HOME PRIVILEGIA NE IRROGANTO di Mauro Novelli Documento
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23-1-2007 |
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AGENZIA DELLE ENTRATE Direzione Centrale Normativa e Contenzioso Roma,19
gennaio 2007 OGGETTO: Decreto-legge n. 262 del 2 ottobre 2006, convertito con
modificazioni dalla legge 24 novembre 2006, n. 286 – Primi chiarimenti INDICE 1 Depositi
IVA (Art. 1, comma 2) 3 Società di calcio
professionistiche (ART. 1, COMMA 7) 5 IMMATRICOLAZIONE O
SUCCESSIVA VOLTURA DI AUTOVEICOLI INTRACOMUNITARI (art. 1, commi 9 – 11) 6 Misure in materia di
riscossione (Articolo 2, commi da 1 a 17) 6.1 Pignoramento dei crediti
presso terzi 6.2
Poteri degli agenti della riscossione 6.3
Dichiarazione stragiudiziale del terzo 6.4
Disposizioni sui pagamenti delle pubbliche amministrazioni 6.5
Riscossione della tariffa del servizio idrico integrato 6.6
Qualifica di agenti della riscossione 6.7
Pagamento mediante compensazione volontaria dei crediti
d’imposta 6.8
Rappresentanza in giudizio degli agenti della riscossione 6.9
Versamento dei contributi associativi alle Associazioni
Sindacali Nazionali 6.10 Rimborso
degli oneri per il servizio di riscossione 7 AMMORTAMENTO DEI TERRENI
(art. 2, comma 18) 7.3
Ammortamento degli immobili acquisiti in proprietà 7.4
Acquisto dell’area e successiva costruzione dell’immobile 7.5
Costi incrementativi, rivalutazioni ed imputazione del fondo
di ammortamento 7.6
Ammortamento degli immobili acquisiti in leasing 9 TASSAZIONE DELLE
PLUSVALENZE DERIVANTI DA CESSIONI A TITOLO ONEROSO DI IMMOBILI (ART. 2, COMMA
21) 10 Perdite illimitatamente
riportabili (Articolo 2, comma 22) 11 RIPORTO PERDITE NELLA
TRASPARENZA FISCALE (articolo 2, comma 23) 12 applicazione della no tax area ai soggetti non residenti
(articolo 2, comma 24) 12.1 Adempimenti dei sostituti
d’imposta. 13 DETERMINAZIONE DELL’IRPEF
PER LE PERSONE RESIDENTI A CAMPIONE D’ITALIA (ART. 2, COMMI DA 25 A 28) 14 riforma del REGIME fiscale
DELLE C.D. STOCK OPTION (Art. 2,
commA 29) 15 Trasmissione telematica
dei corrispettivi (art. 2, comma 30) 16 Regime di esonero nel
settore dell’agricoltura (articolo 2, comma 31) 17. RIFORMA
DELLA DISCIPLINA FISCALE DEGLI AUTOVEICOLI (ART. 2, COMMI 71 E 72) 17.1. A) Reddito di lavoro dipendente 17.2 B) Reddito d’impresa e di lavoro
autonomo PREMESSA La presente circolare fornisce i
primi chiarimenti in merito alle disposizioni di carattere fiscale contenute
nel decreto-legge 2 ottobre 2006, n. 262, convertito con modificazioni dalla
legge 24 novembre 2006, n. 286, c.d. “collegato” alla manovra finanziaria
2007 (di seguito decreto), con il
proposito di illustrarne il contenuto complessivo e favorirne la corretta
applicazione da parte degli uffici. Ulteriori problematiche
interpretative ed applicative relative a specifiche disposizioni saranno
oggetto di successivi approfondimenti. Depositi
IVA (Art. 1, comma 2) L’art. 1, comma 2, del decreto, ha introdotto un comma 2-bis, all’art. 50-bis, del Decreto Legge 30 agosto 1993 n. 331, convertito dalla
legge 29 ottobre 1993 n. 427. Il comma 1 dell’art. 50-bis individua determinate tipologie di
depositi per i quali non si rende necessaria una preventiva autorizzazione da
parte dell’Agenzia delle entrate per essere adibiti anche a depositi IVA in
quanto già valutati positivamente ed autorizzati, sia pure ad altri
fini, dall’Amministrazione doganale. In particolare, a norma del
comma 1 citato, infatti, sono abilitate a gestire i depositi IVA: le imprese esercenti magazzini
generali, già munite di autorizzazione doganale; le imprese esercenti depositi
franchi, le imprese operanti in punti
franchi. Inoltre, possono essere
utilizzati anche come depositi IVA: i depositi fiscali per i
prodotti soggetti ad accisa; i depositi doganali, ivi
compresi quelli per la custodia e la lavorazione delle lane, di cui al D.M.
28 novembre 1934, relativamente ai beni nazionali e comunitari che in base
alle disposizioni doganali possono essere introdotti conformemente alla
normativa vigente in materia. In base al nuovo comma 2-bis, i soggetti esercenti i depositi
predetti, qualora intendano utilizzarli anche come depositi IVA, devono darne
preventiva comunicazione agli uffici territorialmente competenti dell’Agenzia
delle dogane e dell’Agenzia delle entrate, anche ai fini della prestazione
della garanzia prevista dal codice doganale comunitario, in relazione alla
movimentazione complessiva delle merci (artt. 88 e 104 del CDC). Peraltro, nel caso di
società per azioni, di società in accomandita per azioni, di
società a responsabilità limitata, di società
cooperative o enti con capitale o fondo di dotazione non inferiore a
516.456,90 euro, pur sussistendo egualmente l’obbligo di comunicazione in
discorso, non è previsto un ulteriore adeguamento della garanzia. Come è evidente, la norma
in commento è posta a tutela dei poteri di controllo
dell’Amministrazione e costituisce una misura destinata a contrastare le
frodi nel settore. E’ appena il caso di precisare
che per i predetti depositi doganali e fiscali, adibiti dal contribuente
anche a depositi IVA, gli uffici
locali dell’Agenzia delle entrate e L’articolo 1, comma 6, del decreto ha inserito il seguente comma
12-bis nell’articolo 110 del TUIR:
“Le disposizioni dei commi 10 e 11 si
applicano anche alle prestazioni di servizi rese dai professionisti
domiciliati in Stati o territori non appartenenti all’Unione europea aventi
regimi fiscali privilegiati”. Come è noto, l’articolo
110, comma 10, del TUIR stabilisce l’indeducibilità delle “spese e degli altri componenti negativi di
reddito derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese
domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all’Unione europea
ed aventi regimi fiscali privilegiati”. Il successivo comma 11
dell’articolo 110 del TUIR prevede la possibilità di disapplicare la
citata disposizione antielusiva, qualora il contribuente dimostri che “le imprese estere svolgono prevalentemente
un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in
essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno
avuto concreta esecuzione” . A seguito della novella
legislativa, pertanto, anche le spese relative alle prestazioni dei
professionisti domiciliati in Paesi o territori black list non potranno essere dedotte dal contribuente, a meno
che questi fornisca all’Agenzia delle entrate la prova di cui al comma 11,
anche ricorrendo – in via preventiva – alla procedura di interpello prevista
dall’articolo 11, comma 13, della legge 30 dicembre 1991, n. 413. Nell’originaria formulazione del
decreto, la norma non faceva
espresso riferimento al comma 11, ingenerando incertezze
sull’applicabilità delle esimenti. La modifica apportata in sede di
conversione, con lo spostamento della novella dal comma 10-bis al comma 12-bis dell’articolo 110 del TUIR, ha eliminato ogni dubbio
interpretativo al riguardo. Quanto all’ambito soggettivo di
applicazione delle disposizioni in esame, si ritiene utile fare le
seguenti precisazioni. Il riferimento ai “professionisti” va inteso secondo
un’accezione ampia, come categoria residuale rispetto alle imprese a cui si
rivolge il comma Conseguentemente, rientrano
nella definizione di professionisti non soltanto i soggetti appartenenti alle
professioni cosiddette “regolamentate”, ma tutti coloro che agiscono,
professionalmente nell’esercizio di arti e professioni. Ai sensi della disposizione in
esame, i professionisti devono essere domiciliati in Stati o territori aventi
un regime fiscale privilegiato. Il termine “domiciliati” deve essere inteso
in senso ampio, comprendendo non soltanto i professionisti fiscalmente
residenti nei predetti Stati, ma anche coloro che sono comunque ivi
localizzati in base a criteri di collegamento diversi dalla residenza, ad
esempio perché dispongono di una base fissa da cui forniscono i servizi. Quanto all’ambito territoriale
di applicazione, gli Stati o territori a fiscalità privilegiata (black list) sono quelli individuati
dal D.M. 23 gennaio 2002. Come è noto, l’articolo 1
del citato decreto ministeriale elenca gli Stati o territori che sono
considerati – in assoluto – a
fiscalità privilegiata. L’articolo 2 include cinque ulteriori Paesi,
con specifica esclusione di determinate tipi di società. L’articolo 3
individua, al comma 1, altri Stati o territori ai quali le disposizioni in
esame si applicano limitatamente a determinate società che svolgono
attività particolari e che godono di determinati regimi fiscali
agevolati. Al riguardo, il comma 1
dell’articolo 3, facendo riferimento soltanto a particolari categorie
societarie, non sembra possa trovare applicazione nei confronti dei
professionisti localizzati negli stessi Stati. Il comma 2 dell’articolo 3 del
decreto ministeriale, invece, include nella black list i “soggetti” insediati negli stati di cui al comma 1
del medesimo articolo 3, che usufruiscono di regimi fiscali agevolati
indicati dalla norma in virtù di accordi o provvedimenti della
relativa Amministrazione finanziaria. Detta disposizione può trovare
applicazione anche con riferimento ai servizi resi da professionisti
insediati nei predetti Stati che ivi godono di regimi fiscali agevolati. Per quanto attiene i soggetti
che ricevono le prestazioni professionali, la norma si riferisce alle “imprese residenti”. Al riguardo, si fa
presente che, secondo quanto già chiarito con le circolari 22
settembre 1980, n. 32 e 19 dicembre 1997, n. 320, la predetta espressione va
intesa nel significato più generale. Essa comprende chiunque eserciti
professionalmente un’attività economica organizzata al fine della
produzione o dello scambio di beni o di servizi, ed include, pertanto, le
stabili organizzazioni italiane di imprese non residenti. Infatti, sebbene la stabile
organizzazione non sia un soggetto residente, essa determina il proprio
reddito secondo le disposizioni applicabili alle imprese residenti e resta
pertanto assoggettata alla disposizione antielusiva in esame. Diversamente, si determinerebbe
una ingiustificata discriminazione tra società residenti, soggette
all’applicazione della disciplina antielusiva, e stabili organizzazioni di
imprese non residenti, che potrebbero dedurre le spese e gli altri componenti
negativi derivanti da operazioni intercorse con Paesi black list senza la necessità di attivare le previste
procedure di interpello. Come già evidenziato, la
disposizione antielusiva “non si
applica quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le
imprese estere svolgano prevalentemente una attività commerciale
effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un
effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione”. E’ evidente che la disposizione
è stata originariamente prevista con riferimento alle operazioni
commerciali intercorse tra imprese, per cui, nell’applicazione della stessa
alla novella in esame, occorre adattare le esimenti alla specificità
delle prestazioni professionali. In merito alla prima esimente,
il riferimento alla effettività della “attività commerciale” deve essere inteso nel senso che la
prestazione di natura professionale deve essere effettiva e connessa ad
un’attività, non estemporanea, ma radicata nello Stato a fiscalità
privilegiata attraverso, ad esempio, una base fissa. Per quanto riguarda la seconda
esimente, la prova che “le operazioni
rispondano ad un effettivo interesse economico e che le stesse abbiano avuto
concreta esecuzione”, porta a valorizzare motivi economici reali a fronte
della decisione di avvalersi di prestazioni professionali rese da un soggetto
domiciliato nel paese a fiscalità privilegiata. La valutazione dell’effettivo
interesse dell’impresa deve avere riguardo all’apprezzabilità
economico-imprenditoriale complessiva delle prestazioni, desunta – a mero
titolo esemplificativo – dalla specificità o unicità della
prestazione professionale in riferimento a particolari esigenze dell’impresa
più che dalla entità del compenso. Società
di calcio professionistiche (ART. 1, COMMA 7) L’art. 1, comma 7 del decreto ha integrato l’art. 35, comma
35-bis, del decreto-legge 4 luglio
2006 n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n.
248, (di seguito, d.l. n. 223 del 2006) prevedendo a carico delle
società di calcio professionistiche l’ulteriore obbligo di trasmettere
in via telematica all’Agenzia delle entrate copia dei contratti di
sponsorizzazione stipulati dagli atleti, in relazione ai quali la
società percepisce somme per il diritto di sfruttamento dell’immagine. Tale adempimento si aggiunge
agli obblighi già imposti dal d.l. n. 223 del 2006, illustrati con
circolare 4 agosto 2006, n. 28/E, aventi ad oggetto l’invio all’Agenzia delle
entrate della copia dei contratti di acquisizione delle prestazioni
professionali degli atleti professionisti (quelli relativi all’acquisizione
del c.d. “cartellino” del calciatore da altra società), e della copia
dei contratti riguardanti i compensi periodicamente pattuiti con il
calciatore per le prestazioni sportive. L’articolo 1, comma 7, del decreto ha aggiunto, inoltre, un nuovo
periodo all’articolo 35, comma 35-bis del
d.l. n. 226 del 2006, nel quale è previsto che il contenuto, le
modalità ed i termini delle trasmissioni telematiche da effettuarsi da
parte delle società di calcio professionistiche, aventi ad oggetto le
copie di tutte le tipologie contrattuali sopra indicate, saranno stabiliti
con apposito provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate. Sanzione
accessoria conseguente alla violazione dell’obbligo di emettere L’articolo 1, commi da La disposizione è stata
riformulata dal predetto articolo 1, commi da Rispetto al passato, ai fini
dell’applicazione della sanzione accessoria è, oggi, sufficiente che “siano state contestate ai sensi
dell’articolo 16 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, nel corso
di un quinquennio, tre distinte violazioni dell’obbligo di emettere la
ricevuta fiscale o lo scontrino fiscale”, essendo stato eliminato il
presupposto del definitivo accertamento delle stesse. Pertanto, diviene
possibile l’applicazione della sanzione accessoria indipendentemente dal
decorso dei termini per l’impugnazione dell’atto di contestazione o del
provvedimento di irrogazione o dal passaggio in giudicato della pronuncia
giurisdizionale in caso di impugnazione, momenti ai quali si ricollega la
definitività dell’accertamento. Inoltre, la nuova disposizione
non richiede che le tre distinte violazioni siano “accertate in tempi diversi”. Dal venir meno di tale
riferimento discende che l’autorità competente può, oggi,
disporre la sospensione della licenza o dell’autorizzazione all’esercizio
dell’attività ovvero la sospensione dell’esercizio
dell’attività medesima anche nel caso in cui le tre violazioni - che
rimangono giuridicamente distinte tra loro - siano contestate unitariamente,
a prescindere dall’applicabilità dell’istituto del concorso o della
continuazione alle correlative sanzioni principali. Sotto un diverso profilo,
rispetto al passato il trattamento sanzionatorio risulta mitigato. Infatti,
per effetto delle modifiche introdotte dal decreto come convertito, la sanzione accessoria è disposta
per un periodo compreso tra tre giorni ed un mese, mentre in passato poteva
essere disposta per un periodo superiore, compreso tra quindici giorni e due
mesi. Anche l’ipotesi “aggravata”
della fattispecie in esame, che prevedeva un innalzamento della misura della
sospensione per un periodo da due a sei mesi quando i corrispettivi non
documentati nel corso del quinquennio eccedessero la somma di 103.291,37
euro, risulta modificata. Da un lato è stata ridotta a 50.000 euro la
soglia a partire dalla quale la misura “aggravata” trova applicazione,
dall’altro la sospensione può essere disposta per un periodo
inferiore, compreso tra un mese e sei mesi. Con riferimento agli aspetti
procedurali, coerentemente con il venire meno del presupposto del definitivo
accertamento delle violazioni, è espressamente previsto che il provvedimento
di sospensione sia immediatamente esecutivo, in deroga al principio di cui
all’articolo 19, comma 7, del citato d.lgs. n. 472 del 1997 secondo cui,
invece, le sanzioni accessorie sono eseguite quando il provvedimento di
irrogazione è divenuto definitivo. Ai sensi del nuovo articolo 12,
comma 2-bis, competente a disporre
il provvedimento di sospensione - da notificare a pena di decadenza entro sei
mesi decorrenti dalla contestazione della terza violazione - è la
direzione regionale dell’Agenzia delle entrate competente per territorio in
relazione al domicilio fiscale del contribuente. Il compito di dare esecuzione e
verificare l’effettivo adempimento dei provvedimenti di sospensione di cui
all’articolo 12, comma 2, è affidato all’Agenzia delle entrate ovvero
alla Guardia di finanza, che coopererà secondo le disposizioni recate
dall’articolo 63 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972,
n. Al riguardo, si osserva che le
modalità di apposizione del sigillo devono essere tali da consentire
la riconoscibilità del provvedimento di sospensione della licenza o
dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività. Delle operazioni
compiute è redatto verbale. L’articolo 1, comma 8-ter, prevede, infine, che le
disposizioni dell’articolo 12, così come modificate o introdotte dalla
legge di conversione, trovano applicazione per le violazioni constatate a
decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima legge di
conversione. Per le violazioni già constatate alla medesima data si
applicano, per espressa previsione di legge, le disposizioni previgenti. Da ciò deriva che per le
violazioni constatate prima del 29 novembre 2006 (data di entrata in vigore
della legge di conversione) trova applicazione la previgente disciplina, a
prescindere dalla circostanza che l’atto di contestazione venga formato
successivamente alla suddetta data. Peraltro, anche con riferimento
alle violazioni già constatate prima del 29 novembre 2006, si
renderanno applicabili, se più favorevoli, le nuove misure
sanzionatorie ai sensi dell’art. 3, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997. IMMATRICOLAZIONE
O SUCCESSIVA VOLTURA DI AUTOVEICOLI INTRACOMUNITARI (art. 1, commi 9 – 11) I commi 9, 10 e 11 dell’articolo
1 del decreto introducono alcune disposizioni
di contrasto alle frodi nel settore del commercio dei mezzi di trasporto,
acquistati da paesi esteri e rivenduti in Italia. In particolare il comma 9
prevede che la richiesta di immatricolazione o di voltura di autoveicoli,
motoveicoli e loro rimorchi, oggetto di acquisto intracomunitario a titolo
oneroso, sia condizionata alla contestuale presentazione di copia del modello
F24 dal quale risulti, in relazione a ciascun veicolo, il numero di telaio e
l’ammontare dell’IVA assolta al verificarsi della prima cessione nel
territorio dello Stato. A tal fine, la norma in argomento, prevede
l’opportuna integrazione del modello F24 mediante provvedimento del Direttore
dell’Agenzia delle entrate. La disposizione di cui trattasi
si applica ai veicoli nuovi ed usati per i quali si siano verificate le condizioni di acquisto
intracomunitario previste dall’art. 38 del decreto-legge 30 agosto 1993, n.
331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427.
Quest’ultima disposizione stabilisce che gli acquisti intracomunitari devono
considerarsi realizzati in presenza delle seguenti condizioni: l’acquisto (salvo talune deroghe
previste al comma 3 dello stesso stesso art. 38) deve essere effettuato “nell’esercizio di imprese, arti e
professioni o comunque da enti, associazioni o altre organizzazioni di cui
all’art. 4, quarto comma del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, soggetti passivi
d’imposta nel territorio dello Stato”; il cedente deve essere un
soggetto passivo d’imposta identificato in un altro Stato membro; l’acquisto deve avere ad oggetto
un bene mobile materiale comunitario o immesso in libera pratica in ambito
comunitario; l’acquisto deve essere
effettuato a titolo oneroso con passaggio del diritto di proprietà o
di altro diritto reale di godimento; il bene proveniente da altro
Stato membro deve giungere in Italia. Per ulteriori chiarimenti
sull’argomento si rinvia alla circolare dell’Agenzia delle entrate n. 40 del
17 luglio 2003. Rimangono comunque ferme le
disposizioni di cui al comma 378 dell’art. l della legge 30 dicembre 2004, n.
311, riguardanti gli obblighi e i termini di comunicazione posti a carico dei
soggetti operanti nell’esercizio di imprese, arti e professioni in materia di
acquisto di autovetture di provenienza intracomunitaria. In particolare, come disposto
con il decreto interministeriale 8 giugno 2005 e successivamente chiarito con
la circolare dell’Agenzia delle entrate n. 41 del 26 settembre 2005, i
soggetti di imposta trasmettono al Dipartimento per i trasporti terrestri del
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, entro il termine di quindici
giorni dall’acquisto e, in ogni caso, prima dell’immatricolazione, il numero
identificativo intracomunitario nonché il numero di telaio degli autoveicoli,
motoveicoli e loro rimorchi acquistati. Viene inoltre previsto che per i
successivi passaggi interni precedenti l’immatricolazione il numero
identificativo intracomunitario è sostituito dal codice fiscale del
fornitore e che la comunicazione è altresì effettuata, entro il
termine di quindici giorni dalla vendita, anche in caso di cessione
intracomunitaria o di esportazione dei medesimi veicoli. Il comma 10, riguardante le
importazioni dei medesimi veicoli, dispone che per ottenere
l’immatricolazione è necessario produrre certificazione doganale da
cui risulti l’assolvimento dell’IVA. Qualora l’importazione sia stata
effettuata avvalendosi della facoltà di operare acquisti senza
pagamento d’imposta, riconosciuta ai c.d. esportatori abituali dall’art. 8,
secondo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nella menzionata
certificazione doganale dovrà farsi riferimento anche al plafond utilizzato dall’importatore. Il comma 11 dispone che la
decorrenza delle norme sopra illustrate e i criteri per individuare le
ipotesi di esclusione dall’applicazione delle stesse vengano determinati con
provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate. Il comma 12, nel modificare il
comma 380 dell’art. 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, stabilisce la
gratuità della convenzione prevista tra il Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti con l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia delle
dogane, riguardante la definizione delle procedure per la trasmissione
telematica dei dati attinenti alla verifica di adempimenti fiscali relativi
all’immatricolazione in Italia di veicoli nuovi e usati, acquistati o
importati da Stati esteri. Misure
in materia di riscossione (Articolo 2, commi da L’articolo 2 del decreto contiene una serie di
disposizioni volte ad un riassetto sistematico di diversi istituti previsti
dalla normativa in materia di riscossione coattiva dei tributi, riconoscendo
nuovi e più ampi poteri agli agenti della riscossone. Nello specifico il comma 1,
dedicato alla composizione del consiglio di amministrazione della Riscossione
s.p.a., ha abrogato la previsione secondo cui “la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione è
composta da dirigenti di vertice dall'Agenzia delle entrate e dell'I.N.P.S.”,
facendo, dunque, venire meno il previsto limite qualitativo alla composizione
dei membri del c.d.a. Il successivo comma disciplina
il compenso spettante agli agenti per la riscossione coattiva delle entrate
di province e comuni che abbiano scelto di affidare a Riscossione s.p.a la
predetta attività, mentre il comma 3 regola gli aggi e le spese di
notifica spettanti agli agenti della riscossione, nonché la loro ripartizione
tra debitore ed ente creditore. Il comma 4 contiene modifiche
alla disciplina della cessione dei rami d’azienda da parte dei concessionari
della riscossione in favore di Riscossione s.p.a. con la finalità di
assicurare continuità ai rapporti giuridici in essere. Il comma 5 si occupa della
remunerazione del servizio di riscossione per gli anni 2007 e 2008. Pignoramento dei
crediti presso terzi Di rilevante interesse è
la previsione contenuta nell’articolo 2, comma 6, del decreto, con cui è stato inserito nel d.P.R. 29 settembre
1973, n. 602 l’articolo 72-bis) -
“Pignoramento dei crediti verso terzi” – contenente una nuova procedura per
il pignoramento dei crediti che il debitore vanti nei confronti di terzi. E’, infatti, previsto che l’atto
di pignoramento, da redigere nella forma prescritta dall’articolo 543 del
codice di procedura civile, contenga l’ordine al terzo di pagare il debito
direttamente al concessionario, fino alla concorrenza del credito per il
quale si procede, in luogo della citazione del terzo a comparire davanti al
giudice per rendere la dichiarazione di cui all’articolo 547 c.p.c. Il pagamento deve essere
effettuato nel termine di quindici giorni dalla notifica dell’atto di
pignoramento con riferimento a somme per le quali il diritto alla percezione
sia maturato anteriormente alla data di notifica e per le restanti somme alle
rispettive scadenze. La nuova procedura non
può trovare applicazione per i crediti pensionistici ed incontra i
limiti di pignorabilità delle somme dovute a titolo di stipendio,
salario o altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego,
previsti dai commi quarto, quinto e sesto dell’articolo 543 del codice di
rito. In caso
di inottemperanza all'ordine di pagamento si procede,
previa citazione del terzo intimato e del debitore, secondo le norme
del codice di procedura
civile. Poteri degli
agenti della riscossione È stato previsto che, in caso di morosità
per somme iscritte a ruolo complessivamente superiori a venticinquemila euro,
gli agenti della riscossione, al fine di acquisire copia della documentazione
di tutti i crediti verso terzi di cui risulti titolare il debitore moroso,
possono esercitare le facoltà ed i poteri previsti dall’articolo 33
del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dall’articolo 53 del d.P.R. 26 ottobre
1972, n. 633. Si tratta delle norme che disciplinano accessi, ispezioni e
verifiche da parte degli uffici dell’amministrazione finanziaria e della
Guardia di finanza in materia di imposte sui redditi e di imposta sul valore
aggiunto. La norma, da un lato, chiarisce la finalità per
cui è consentito l’esercizio dei suddetti poteri e facoltà,
ossia “… acquisire copia di tutta la
documentazione utile all’individuazione dell’importo dei crediti di cui i
debitori morosi siano titolari nei confronti di soggetti terzi”,
dall’altro prevede la previa autorizzazione del direttore generale. Il limite dei venticinquemila euro, previsto per
l’applicazione della disposizione in esame, deve essere calcolato in
relazione all’ammontare complessivo dei debiti iscritti a ruolo e non alle
singole partite che hanno dato luogo all’iscrizione. Dichiarazione stragiudiziale
del terzo La dichiarazione si pone come fase intermedia tra
l’inizio dell’esecuzione e il pignoramento di fitti e pigioni ovvero dei
crediti verso terzi. Difatti, una volta decorso il termine di sessanta giorni
dalla notificazione della cartella di pagamento, e prima di procedere al
pignoramento di fitti e pigioni, ovvero al pignoramento presso terzi,
l’agente della riscossione può chiedere ai terzi, debitori del
soggetto iscritto a ruolo o dei suoi coobbligati, “…di indicare per iscritto, ove possibile in modo dettagliato, le
cose e le somme da loro dovute al creditore”. Per esplicita previsione normativa, la dichiarazione
stragiudiziale del terzo concorre con le azioni esecutive e cautelari
previste in materia di riscossione coattiva; pertanto gli agenti della
riscossione potranno continuare, nelle more della procedura, le ordinarie
attività esecutive e cautelari. Nella richiesta è fissato un termine, non
inferiore a trenta giorni dalla ricezione, per fornire la risposta; in caso
di inadempimento si applica la sanzione amministrativo-tributaria prevista
dall’articolo 10 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, da euro 2.065 ad euro
20.658. In proposito l’agente della riscossione provvede a
inviare all’Ufficio locale dell’Agenzia delle entrate, competente in ragione
del domicilio fiscale del soggetto a cui è stata rivolta la richiesta,
una documentata segnalazione. A sua volta l’Ufficio locale provvede ad
irrogare la sanzione secondo il procedimento di cui all’articolo 16, commi da
Disposizioni sui pagamenti
delle pubbliche amministrazioni Il comma La norma impone alle
amministrazioni pubbliche e alle società a prevalente partecipazione
pubblica di verificare, anche in via telematica, prima di effettuare un
pagamento a qualunque titolo per un importo superiore a diecimila euro, “… se il beneficiario è
inadempiente all'obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o
più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari almeno a
tale importo”. Se si verifica tale ipotesi, le amministrazioni pubbliche
e le società a prevalente capitale pubblico non possono procedere al
pagamento e devono segnalare tale circostanza all’agente della riscossione
competente per territorio affinché provveda all’esercizio delle
attività di riscossione. Le concrete modalità
applicative della norma saranno individuate da un regolamento del Ministero
dell’economia e delle finanze, da adottare ai sensi dell’articolo 17, comma
3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. Riscossione
della tariffa del servizio idrico integrato Il comma
10 dell’articolo Con le modifiche inserite in sede di conversione è
stata, inoltre, prevista la possibilità che la riscossione, sia
volontaria che coattiva, della tariffa sia affidata ai soggetti iscritti
all’albo dei soggetti privati abilitati ad effettuare attività di
liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei
tributi e di altre entrate delle province e dei comuni. In tal caso è
necessario il previo esperimento delle procedure di evidenza pubblica. Il successivo comma Qualifica di agenti della
riscossione Il comma Pagamento
mediante compensazione volontaria dei crediti d’imposta L’articolo 28-ter) del d.P.R. n. 602 del 1973,
introdotto dal comma 13, disciplina una nuova modalità di pagamento
delle somme iscritte a ruolo, tramite compensazione con le somme che
l’Agenzia delle entrate è tenuta ad erogare a titolo di rimborso di
imposta. Prima della erogazione
definitiva di un rimborso d’imposta l’Agenzia delle entrate verifica se il
beneficiario risulta iscritto a ruolo: se la verifica ha esito positivo deve
essere trasmessa apposita segnalazione all’agente della riscossione che ha in
carico il ruolo e le somme da rimborsare sono messe a disposizione
dell’agente stesso sulle apposite contabilità aperte presso le
competenti sezioni di Tesoreria provinciali dello Stato. A sua volta, l’agente della
riscossione, ricevuta la segnalazione, notifica all’interessato una “proposta
di compensazione” tra il credito da rimborsare e l’importo iscritto a ruolo;
le azioni volte al recupero delle somme iscritte a ruolo sono sospese ed il
debitore è invitato a comunicare, entro sessanta giorni, se intende
aderire alla proposta di compensazione. Se la proposta è
accettata, le somme vengono riversate all’ente creditore. In caso contrario,
l’agente della riscossione deve comunicare, in via telematica, all’Agenzia di
non aver ottenuto l’adesione alla proposta di compensazione; altrettanto deve
fare in caso di inutile decorso del termine di sessanta giorni. Il mancato perfezionamento
dell’accordo fa venir meno la sospensione della attività di
riscossione. La norma disciplina anche i
compensi spettanti all’agente della riscossione, stabilendo che devono essere
corrisposte le spese vive per la notifica dell’invito nonché un rimborso
forfetario a copertura degli oneri sostenuti per la gestione della proposta
di compensazione (pari ad euro 19,37). Vengono, infine, demandate ad un
emanando provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate
l’individuazione delle specifiche tecniche di trasmissione dei flussi
informativi, le modalità di movimentazione e rendicontazione delle
somme che transitano sulle contabilità speciali, nonché l’erogazione
dei rimborsi spese agli agenti della riscossione. Alla previsione in commento si
ricollega il nuovo articolo 20-bis
del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, inserito dal comma 14, che ammette la
compensazione volontaria di cui all’articolo 28-ter del d.P.R. n. 602 del 1973 per tutte le entrate iscritte a
ruolo dall’Agenzia delle entrate. La norma estende, però,
la possibilità per l’agente della riscossione di effettuare la
proposta di compensazione volontaria per tutte le somme iscritte a ruolo a
carico del soggetto indicato nella segnalazione e, dunque, non soltanto per
le entrate di pertinenza dell’Agenzia delle entrate. Per consentire anche alle altre
Agenzie fiscali ed agli enti previdenziali di beneficiare della segnalazione
di cui all’articolo 28-ter, comma
1, del d.P.R. n. 602 del 1973 è prevista la stipula di apposite
convenzioni, con cui verranno fissati anche i criteri di ripartizione delle
somme da corrispondere agli agenti della riscossione a titolo di rimborso
spese. Rappresentanza
in giudizio degli agenti della riscossione Il comma 15 disciplina la
rappresentanza in giudizio degli agenti della riscossione. Versamento dei
contributi associativi alle Associazioni Sindacali Nazionali La norma contenuta nel comma 16
costituisce disposizione di natura interpretativa, chiarendo che la
disciplina dell’articolo 17, comma 1, del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241 trova
applicazione per il versamento dei contributi associativi e dei contributi
per assistenza contrattuale, che siano stabiliti dai contratti di lavoro,
dovuti dagli iscritti alle associazioni sindacali a carattere nazionale. I suddetti contributi possono,
dunque, essere oggetto di versamenti unitari e di compensazione. Rimborso degli
oneri per il servizio di riscossione Il comma 17 chiarisce che
all’Agenzia delle entrate spetta il rimborso degli oneri sostenuti per
garantire il servizio di riscossione dei contributi e premi di cui
all’articolo 17 del d.lgs. 7 luglio 1997. n. 241. Un’apposita convenzione, da stipularsi tra
l’Agenzia e gli enti interessati, disciplinerà le modalità di
trasmissione dei flussi informatici e il rimborso relativo delle spese
sostenute per le operazioni di riscossione. AMMORTAMENTO
DEI TERRENI (art. 2, comma 18) Il comma 18 dell’articolo 2 del decreto ha riformulato i commi 7 ed 8 dell’articolo
36 del d.l. n. 223 del 2006, che recano disposizioni volte a rendere
fiscalmente indeducibile l’ammortamento delle aree occupate da costruzione,
introducendo altresì il comma 7-bis
all’interno del medesimo articolo 36. Di seguito si commentano le
norme del d.l. n. 223 del 2006 nella nuova formulazione vigente. Il nuovo comma 7 dell’articolo
36 del d.l. n. 223 del 2006 stabilisce che, ai fini del calcolo delle quote
di ammortamento deducibili, il costo complessivo dei fabbricati strumentali
deve essere assunto al netto del costo delle aree occupate dalla costruzione
e di quelle che ne costituiscono pertinenza. Il costo da attribuire alle
predette aree, nell’eventualità che non siano già state
acquistate autonomamente in precedenza, sarà pari al maggiore tra: - il valore separatamente
esposto in bilancio nell’anno di acquisto; - il valore ottenuto applicando
il 20 per cento o - per i fabbricati industriali – il 30 per cento al costo
di acquisto complessivo dell’immobile, comprensivo del valore dell’area. La principale novità,
rispetto al testo originario del d.l. n. 223 del 2006, consiste
nell’eliminazione dell’obbligo di determinare il valore dell’area mediante
perizia di stima. Il nuovo comma 7-bis dell’art. 36 del d.l. n. 223 del
2006, con riferimento ai fabbricati strumentali acquisiti in locazione
finanziaria, prevede in modo speculare l’indeducibilità della quota
capitale dei canoni riferibile alle medesime aree. Ai sensi del comma 8 dell’art.
36 – che espressamente deroga all’art. 3, comma 1, della legge 27 luglio
2000, n. 212 (c.d. Statuto del Contribuente) - i commi 7 e 7-bis si applicano con riferimento agli
immobili acquisiti a decorrere dal “periodo
di imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto
(n.d.r. il d.l. n. 223 del 2006)”, ovvero alla data del 4 luglio 2006. Il comma 8 prevede, inoltre, che
le disposizioni dei commi 7 e 7-bis si
applicano anche ai fabbricati acquisiti nei periodi di imposta precedenti a
quelli in corso al 4 luglio 2006, data di entrata in vigore del d.l. n. 223
del 2006. Per gli immobili acquisiti in leasing
la disposizione si applica, pertanto, anche in riferimento ai contratti
stipulati prima del 4 luglio 2006. Le disposizioni dei commi 7, 7-bis e 8 dell’art. 36 si applicano agli
immobili strumentali che rientrano nella nozione di fabbricato, ai sensi
dell’articolo 25 del TUIR, ossia agli immobili situati nel territorio dello
Stato che sono o devono essere iscritti, con attribuzione di rendita, nel
catasto edilizio urbano, nonché a quelli situati fuori del territorio dello
Stato aventi carattere similare. A tal fine dovrà farsi riferimento
agli immobili a destinazione ordinaria, speciale e particolare, secondo la
classificazione rilevante per l’attribuzione delle rendite catastali dei
fabbricati. Dette disposizioni sono
applicabili, pertanto, anche agli impianti e ai macchinari infissi al suolo
nel caso in cui questi realizzino una struttura che nel suo complesso
costituisca una unità immobiliare iscrivibile nel catasto urbano in
quanto rientrante nelle categorie catastali di cui sopra. Come affermato nella circolare
del 4 agosto 2006 n. 28/E, non rientrano, invece, nell’ambito di applicazione
delle disposizioni in commento gli impianti e i macchinari ancorché infissi
al suolo, qualora gli stessi non costituiscano fabbricati iscritti o
iscrivibili nel catasto edilizio urbano. Resta ferma, anche in tali ipotesi,
l’indeduciblità delle quote di ammortamento riferibili al valore del
terreno, che sarà tuttavia determinato secondo i criteri ordinari,
comunque diversi da quelli forfetari stabiliti dalle norme in esame. Le disposizioni dei commi 7, 7-bis e 8 dell’art. 36 operano nei
confronti di tutti i soggetti per i quali detti immobili costituiscono un
bene relativo all’impresa e sono conseguentemente applicabili nei confronti
di tutti i titolari di reddito d’impresa a prescindere dai principi contabili
(nazionali o internazionali) di redazione del bilancio adottati. In
particolare, le disposizioni si applicano anche alle singole unità
immobiliari presenti all’interno di un fabbricato ossia anche per gli
immobili che non possono essere definiti “cielo – terra”, per i quali i
principi contabili internazionali non richiedono la separata indicazione in
bilancio del valore del terreno. Si definiscono immobili “cielo – terra”
quelli che occupano tutto lo spazio edificabile con un’unica unità
immobiliare, come nel caso di un capannone industriale. La norme trovano applicazione
anche nei confronti dei soggetti in contabilità semplificata, per i
quali assumono rilievo i valori degli immobili risultanti dal registro dei
beni ammortizzabili (o dalle relative annotazioni sui registri IVA). Come precisato al comma 7, per
la determinazione forfetaria del valore dell’area occupata dai “fabbricati industriali”, si applica la
percentuale del 30 per cento. Sono fabbricati industriali – ai sensi
dell’ultimo periodo del comma 7 - quelli destinati alla produzione o alla
trasformazione di beni, tenendo conto della loro effettiva destinazione e
prescindendo dalla classificazione catastale o contabile attribuita ai
medesimi. Non rientrano, quindi, tra i fabbricati industriali gli immobili
destinati ad una attività commerciale, quali ad esempio negozi, locali
destinati al deposito o allo stoccaggio di merci. Nel caso di immobili all’interno
dei quali si svolge sia un’attività di produzione o trasformazione di
beni che attività diverse da questa (ad esempio attività
commerciale o di stoccaggio) l’intero immobile potrà considerarsi industriale
qualora gli spazi, espressi in metri quadri, utilizzati per l’attività
di produzione o trasformazione siano prevalenti rispetto a quelli destinati
ad altra attività. Per i fabbricati acquisiti o
costruiti dopo l’entrata in vigore della norma, l’utilizzo rilevante ai fini
della classificazione del fabbricato tra quelli industriali o meno, deve
essere verificato con riferimento al periodo di imposta in cui il bene
è entrato in funzione. Per i fabbricati già posseduti rileva
l’utilizzo del bene nel periodo di imposta precedente a quello in corso al 4
luglio 2006. Si ritiene che la qualificazione
del fabbricato, ai fini dell’applicazione della norma in esame, non possa
essere successivamente modificata nel caso di un suo diverso utilizzo,
neanche a seguito di variazione catastale della destinazione d’uso. Si precisa che in caso di
immobili dati in locazione, anche finanziaria, o in comodato, ai fini della
determinazione del valore ammortizzabile, il proprietario dell’immobile
dovrà tener conto del concreto utilizzo dell’immobile da parte
dell’utilizzatore. Ammortamento
degli immobili acquisiti in proprietà Per gli immobili acquisiti a
decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del
citato d.l. n. 223 del 2006 (4 luglio 2006), il valore da attribuire alle
aree sarà pari al maggiore tra: 1) il valore dell’area esposto
nel bilancio d’esercizio relativo al periodo di imposta in corso al momento
dell’acquisto; 2) il valore che si ottiene applicando
i coefficienti del 20 o 30 per cento (per i fabbricati industriali) al costo
di acquisto complessivo dell’immobile, comprensivo del valore dell’area. Se non risulta esposto
separatamente in bilancio nei modi indicati al punto 1), il valore non ammortizzabile
dell’area sarà determinato applicando esclusivamente il criterio di
cui al punto 2). Per le acquisizioni avvenute nei
periodi di imposta precedenti a quello in corso al 4 luglio 2006, il
confronto tra i valori indicati ai punti 1) e 2) va effettuato prendendo a
riferimento l’ultimo bilancio approvato prima dell’entrata in vigore del d.l.
n. 223 del 2006. Ad esempio, nel caso di
contribuenti con esercizio coincidente con l’anno solare, se l’acquisizione
del fabbricato comprensivo di area è avvenuta prima del 2006, i valori
di cui ai punti 1) e 2) sono quelli risultanti dal bilancio chiuso in data 31
dicembre 2005, se approvato prima del 4 luglio 2006, o, se approvato dopo,
quelli risultanti dal bilancio chiuso in data 31 dicembre 2004. In quest’ultimo caso, si fa
riferimento al bilancio relativo al penultimo periodo d’imposta precedente a
quello in corso al 4 luglio 2006. Nel caso, invece, di
contribuenti con esercizio non coincidente con l’anno solare, ad esempio 1
luglio – 30 giugno, i valori di cui ai punti 1) e 2) nel caso di acquisto
effettuato ante 1° luglio 2006 sono quelli risultanti nell’ultimo bilancio
approvato prima del 4 luglio 2006, e cioè quello relativo al periodo
1° luglio 2004 - 30 giugno 2005. Appare opportuno evidenziare che
la determinazione del valore dell’area, che rappresenta la quota non
ammortizzabile del costo complessivo del fabbricato, va effettuata una sola
volta prendendo a riferimento i dati esposti nel bilancio relativo all’anno
di acquisto ovvero nell’ultimo bilancio approvato prima del 4 luglio 2006.
L’importo così determinato non sarà quindi più
influenzato dalle successive vicende che possano interessare l’immobile, come
ad esempio la rivalutazione o il sostenimento di spese incrementative, di cui
si dirà oltre. L’indeducibilità del
valore delle aree si riflette altresì, riducendone l’ammontare, sul
plafond del 5 per cento del valore complessivo dei beni ammortizzabili al
quale commisurare l’importo delle spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento
e trasformazione deducibili ai sensi dell’articolo 102, comma 6, del TUIR. Negli esempi che seguono si
analizzano le modalità da seguire per individuare il valore dell’area
su cui insistono i fabbricati nel caso più comune in cui sia stato
separatamente esposto in bilancio il valore del terreno sul quale insiste
ciascun fabbricato e nell’atro caso in cui, invece, in bilancio sia stato
indicato il valore dell’intera area su cui insistono più fabbricati. Esempio 1. Calcolo della quota fiscalmente ammortizzabile
per immobili iscritti in bilancio con separata indicazione del valore
dell’area Si ipotizzi il caso di un
contribuente che, nell’anno di acquisto, ha separatamente indicato in
bilancio il valore delle aree relative a tre immobili strumentali di cui i
primi due (immobile A e B) a destinazione industriale.
Come si evince dall’esempio, il valore
ammortizzabile di ciascun immobile è determinato sottraendo al valore
complessivo (immobile comprensivo di area) il maggiore tra il valore
dell’area esposto in bilancio e quello ottenuto applicando le percentuali
forfetarie. Il valore ammortizzabile di
ciascun immobile sarà fiscalmente deducibile secondo gli ordinari
criteri previsti nell’articolo 102 del TUIR. Esempio 2. Calcolo della quota fiscalmente ammortizzabile
per immobili iscritti in bilancio senza separata indicazione del valore
dell’area Prendendo i dati dell’esempio 1,
si ipotizzi che il valore complessivo del terreno, riferibile ai tre immobili
strumentali, sia stato esposto in bilancio per 4.200. In tal caso, essendo
l’area non separatamente esposta in bilancio, occorre calcolare il valore
della stessa applicando le percentuali forfetarie sul valore dell’immobile
comprensivo di area. Tale ultimo valore è ottenuto ripartendo il
valore complessivo dell’area in proporzione al valore dei tre fabbricati.
Acquisto
dell’area e successiva costruzione dell’immobile La necessità di
effettuare il confronto tra il valore dell’area indicato in bilancio e il criterio
forfetario, applicando la percentuale del 20 o 30 per cento sul costo
complessivo, viene meno, per espressa previsione normativa contenuta nel
medesimo comma 7, nel caso in cui l’area sia stata autonomamente acquistata
in epoca antecedente rispetto alla successiva costruzione del fabbricato: in
tale ipotesi il valore ammortizzabile sarà pari al solo costo
effettivamente sostenuto per la realizzazione del fabbricato. La disposizione trova
applicazione anche per gli acquisti effettuati nei periodi d’imposta
precedenti a quello in corso alla data del 4 luglio 2006. Il principio contenuto nella
disposizione del comma 7 - che disciplina l’ipotesi di acquisto autonomo ed
antecedente dell’area rispetto alla successiva costruzione del fabbricato -
si applica anche nel caso di fabbricati edificati su un’area già
utilizzata per la costruzione o che risulta libera a seguito della
demolizione del fabbricato che la occupava. In tal caso i fabbricati
edificati successivamente saranno ammortizzabili per un importo pari al costo
di edificazione sostenuto. Occorre precisare al riguardo
che, nel caso in cui il fabbricato preesistente, ora demolito, fosse stato un
bene strumentale funzionante, il valore dell’area ed il valore del fabbricato
saranno determinati applicando i criteri ordinariamente stabiliti dal comma 7
(raffronto tra il valore dell’area eventualmente esposto in bilancio al
momento dell’acquisto e quello che si ottiene applicando i coefficienti del
20 o 30 per cento al costo complessivo dell’immobile, comprensivo del valore
dell’area). Il costo residuo del fabbricato demolito – come sopra determinato
– sarà ammesso in deduzione ai sensi dell’articolo 102, comma 4, del
TUIR, mentre le spese di bonifica relative alla demolizione e capitalizzate
insieme ai costi della nuova costruzione sono da imputare al terreno e ne
incrementano il valore fiscalmente riconosciuto. Nel caso, invece, in cui il
fabbricato preesistente sia solo un rudere acquistato unitamente al terreno,
a tale fattispecie non è applicabile la disciplina del comma 7 ed il
costo d’acquisto deve essere interamente imputato al terreno e non al rudere.
Si osserva al riguardo che un rudere, non potendo costituire un bene
strumentale in quanto non funzionante, non è ammortizzabile. Resta inteso che la disposizione
del comma Costi
incrementativi, rivalutazioni ed imputazione del fondo di ammortamento Il comma 8 prevede che il costo
complessivo (area più fabbricato) su cui applicare le percentuali del
20 o 30 per cento deve essere assunto al netto dei costi incrementativi
capitalizzati nonché delle rivalutazioni effettuate, le quali, pertanto, sono
riferibili esclusivamente al valore del fabbricato e non anche a quello
dell’area. Si ricorda che i costi
incrementativi capitalizzati sono costituiti dalle spese per interventi di
manutenzione, riparazione, ammodernamento, trasformazione e ampliamento che
siano state portate ad incremento del costo dei fabbricati strumentali,
sostenute successivamente all’acquisto o alla costruzione. Al riguardo si precisa che i
predetti costi incrementativi non debbono essere decurtati dal costo
complessivo nel caso in cui oggetto dell’acquisizione sia un “edificio significativo” ai sensi
dell’art. 2645-bis del codice
civile, il quale per essere utilizzato come bene strumentale necessita del
sostenimento dei predetti costi incrementativi. In tali casi, è di
tutta evidenza che il costo sostenuto per l’acquisizione è riferibile
prevalentemente al terreno; pertanto, il valore complessivo del fabbricato in
relazione al quale applicare le disposizioni in esame deve essere comprensivo
dei costi incrementativi sostenuti per renderlo pienamente funzionale, ovvero
di quelli sostenuti fino all’entrata in funzione del bene nel ciclo
produttivo. Si ritiene, inoltre, che
rientrano nella medesima disciplina prevista per i costi incrementativi anche
gli oneri di urbanizzazione e gli oneri accessori capitalizzati, che,
pertanto, dovranno essere decurtati dal costo complessivo (area più fabbricato)
su cui si applicano le percentuali forfetarie indicate dalla norma. Si ritiene, infine, assimilabile
alla rivalutazione l’ipotesi in cui, a seguito di un’operazione di fusione,
il relativo disavanzo venga allocato su un fabbricato oggetto di ammortamento.
Anche in tali casi, quindi, il valore complessivo del fabbricato dovrà
essere decurtato della quota riferibile a tale disavanzo e sul valore residuo
saranno calcolate le percentuali forfetarie. Appare evidente come la norma
del comma L’ultima parte del comma 8 prevede
che per i fabbricati acquisiti nei periodi di imposta precedenti a quello in
corso alla data del 4 luglio 2006, gli ammortamenti precedentemente dedotti
debbano essere imputati prioritariamente al valore del fabbricato, ottenuto
applicando le modalità di calcolo in precedenza descritte. Pertanto,
il costo fiscalmente riconosciuto del fabbricato ancora da ammortizzare
sarà decurtato degli ammortamenti dedotti fino al periodo d’imposta
precedente a quello in corso alla data del 4 luglio 2006. Il valore residuo
sarà deducibile fino ad esaurimento, a partire dal periodo d’imposta
in corso alla predetta data. E’ evidente che quando il fondo
di ammortamento è pari o superiore al valore del fabbricato, il
residuo costo fiscalmente ammortizzabile del fabbricato è pari a zero
(cfr. circolare del 21 novembre 2006 n. 34/E). La parte del fondo di
ammortamento già dedotto e che eventualmente eccede il valore fiscale
del fabbricato, inciderà, diminuendolo, sul costo fiscale dell’area –
determinato sempre secondo i criteri dettati dalle disposizioni in esame -
rilevante per la determinazione di una eventuale plusvalenza o minusvalenza
da cessione. Esempio 3 - Calcolo della residua quota ammortizzabile Si ipotizzi il caso di un
contribuente con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare che abbia
acquisito nel 1997 un fabbricato industriale per un valore, comprensivo
dell’area, pari a 100. Nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2005 risultano
separatamente indicati il valore del fabbricato (per un importo pari a 80) e
il valore dell’area (per un importo pari a 20). Considerando un’aliquota di
ammortamento fiscale pari al 6% si ha il seguente piano di ammortamento.
Esempio 4. Calcolo della residua quota ammortizzabile in
presenza di spese incrementative. Si ipotizzi il caso di un
contribuente con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare che esponga nel
bilancio chiuso al 31 dicembre 2005 il valore di un fabbricato industriale,
comprensivo dell’area, pari a 1200, di cui 200 per spese incrementative
capitalizzate, con un fondo di ammortamento pari a 600 di cui 100 riferibili
alle spese incrementative. Per effetto dell’applicazione
della norma in commento il valore dell’area sarà pari 300, ottenuto
riducendo il valore complessivo del fabbricato delle spese incrementative
capitalizzate (1200-200) e applicando sul valore residuo (1000) la percentuale
pari a 30. Il residuo costo fiscalmente
riconosciuto del fabbricato da ammortizzare sarà pari a 200 (700-500),
ottenuto riducendo il valore del fabbricato (700) del fondo ammortamento al
netto della quota riferibile alle spese incrementative (600-100). Si precisa,
al riguardo, che le spese incrementative, non influenzando il costo
complessivo del fabbricato, dovranno essere scorporate anche dal fondo di
ammortamento nella misura in cui hanno concorso ad incrementarlo. La parte residua riferibile al
fabbricato (200) sarà deducibile, fino ad esaurimento, a partire dal
periodo d’imposta 2006 per l’intero importo di competenza. Ad esempio, qualora il totale
degli ammortamenti effettuati nell’esempio precedente fosse pari ad 700, senza tenere conto di quelli
riferiti alle spese incrementative, nessuna ulteriore quota di ammortamento
sarebbe fiscalmente deducibile, posto che il valore del fabbricato (700)
risulta già completamente ammortizzato. Appare opportuno precisare che
la norma non produce alcun effetto sulle quote di ammortamento riferibili
all’area già dedotte: le disposizioni in commento, infatti, trovano
applicazione a partire dal periodo d’imposta in corso al 4 luglio 2006 e non
prevedono il recupero a tassazione di quote di ammortamento fiscalmente non
deducibili in quanto interamente attribuite all’area sulla base dei criteri
individuati dalla nuova disposizione. Pertanto, con riferimento
all’esempio precedente, nel caso in cui il totale degli ammortamenti
effettuati risultasse pari a 750, sempre senza tenere conto di quelli
riferiti alle spese incrementative, non si verificherebbe alcun recupero a
tassazione delle quote di ammortamento riferite all’area precedentemente
dedotte (50) e divenute non più deducibili sulla base delle nuove disposizioni.
La parte eccedente, come precisato, dovrà essere imputata a riduzione
del valore fiscalmente riconosciuto dell’area. Ammortamento
degli immobili acquisiti in leasing Per effetto del comma 7-bis, l’irrilevanza fiscale già
prevista per le quote di ammortamento dei terreni, viene estesa anche a
quella parte delle quote capitale dei canoni di fabbricati strumentali
acquisiti in locazione finanziaria, riferibile ai terreni medesimi. La norma trova applicazione, per
espressa previsione del comma La norma è volta a
rendere il trattamento fiscale dei canoni relativi all’acquisizione in
leasing di un fabbricato, per la quota parte riferibile al terreno sul quale
il fabbricato insiste, equivalente a quello applicabile al costo sostenuto
per l’acquisizione del medesimo fabbricato a titolo di proprietà. In applicazione del medesimo
principio, si ritiene invece deducibile la quota del canone di leasing costituita dagli interessi
passivi impliciti, anche per la parte riferibile alla quota capitale relativa
al valore dei terreni. In altre parole, così
come l’acquisto delle aree occupate dalla costruzione, realizzato con mezzi
finanziari esterni, avrebbe comportato la deducibilità degli interessi
passivi relativi al finanziamento, allo stesso modo sono deducibili gli
interessi passivi corrisposti per l’acquisizione della medesima area con un
contratto di leasing. Tali interessi concorreranno
alla determinazione del reddito d’impresa nell’esercizio di competenza
tenendo conto dei limiti previsti dagli articoli 96, 97 e 98 del TUIR in
materia di pro-rata generale, pro-rata patrimoniale e thin capitalization. Si ricorda, infatti, che, ai fini
dell’applicazione degli articoli 97 e 98 del TUIR, vanno considerati anche
gli interessi passivi impliciti nei canoni dovuti in base ai contratti di leasing finanziario (cfr. circolari
del 17 marzo 2005, n. 11/E e del 2 novembre 2005, n. 46/E). Per determinare la parte di
canone riferibile agli interessi passivi occorrerà fare riferimento
alle indicazioni fornite ai fini IRAP dall’articolo 1 del decreto
ministeriale 24 aprile 1998 (pubblicato nella G.U. del 12 maggio 1998, n.
108). Pertanto, la quota capitale del
canone di competenza dell’esercizio sarà pari all’importo risultante
dal rapporto tra il costo sostenuto dalla società concedente, al netto
del prezzo di riscatto, ed il numero dei giorni di durata del contratto di
locazione finanziaria, moltiplicato per il numero dei giorni del periodo di
imposta. Il valore da attribuire alla
parte della quota capitale riferibile all’area (ossia quella non deducibile)
sarà pari, per i contratti di leasing
finanziari stipulati a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di
entrata in vigore del d.l. n. 223 (4 luglio 2006), a quella derivante
dall’applicazione delle percentuali del 20 o 30 per cento alla quota capitale
complessiva di competenza del periodo d’imposta. Esempio 5. Contratto di leasing stipulato nel 2006 Si riporta di seguito un esempio
relativo ad un contratto di locazione per l’acquisizione di un fabbricato
industriale stipulato il 1° gennaio 2006 da un contribuente con periodo
d’imposta coincidente con l’anno solare. L’esempio è stato sviluppato
considerando un maxicanone iniziale di euro 5000 (che nella tabella che segue
è ripartito per competenza sulla base della durata del contratto) e un
prezzo di riscatto finale di 2500 euro.
La parte non deducibile
riferibile al terreno è stata determinata applicando la percentuale
del 30 per cento alla quota capitale di competenza del periodo d’imposta. Per i contratti di leasing
stipulati nei periodi di imposta precedenti a quello in corso al 4 luglio
2006, invece, occorre calcolare la residua quota capitale fiscalmente
deducibile. Tale residua quota sarà pari alla quota capitale
complessiva relativa al fabbricato (ottenuta applicando le percentuali del 20
o 30 per cento alla quota capitale complessiva dell’area) decurtata
dell’ammontare complessivo delle quote capitali dedotte fino al periodo
d’imposta precedente a quello in corso alla data del 4 luglio 2006 che devono
intendersi interamente riferibili al
fabbricato. Il valore residuo della quota capitale riferibile al fabbricato
sarà deducibile a partire dal periodo d’imposta in corso al 4 luglio
2006 sulla base della residua durata del contratto di leasing. Esempio 6. Contratto di leasing stipulato ante 2006 Si ipotizzi il caso di un
contribuente, con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, che ha
stipulato ante 2006 un contratto di locazione finanziaria relativo
all’acquisizione di un fabbricato industriale. L’esempio è stato
sviluppato considerando un maxicanone iniziale di euro 5000 (che nella
tabella che segue è ripartito per competenza sulla base della durata
del contratto) e un prezzo di riscatto finale di 2500 euro.
La quota non deducibile
riferibile al terreno si determina applicando la percentuale del 30 per cento
alla quota capitale di competenza del periodo d’imposta. Al fine di determinare la quota parte
dei canoni ancora deducibile occorre sottrarre alla quota capitale relativa
al fabbricato (70.000), al netto della quota capitale del prezzo di riscatto
riferibile al fabbricato (1.750), la quota capitale dei canoni dedotta nei
periodi d’imposta ante 2006 (58.500), interamente riferibile al fabbricato.
L’importo (9.750), così determinato, sarà deducibile a partire
dal periodo d’imposta 2006 e nei successivi, come riportato nell’esempio,
tenendo conto della residua durata del contratto di locazione finanziaria. La disciplina in commento
sull’indeducibilità delle quote di ammortamento relative ai terreni
trova applicazione, come precisato nella circolare del 21 novembre 2006, n.
34/E, anche per la determinazione del calcolo dell’acconto. A tal fine
occorre assumere quale imposta del periodo precedente a quello in corso al 4
luglio 2006 quella che si sarebbe determinata se la previsione di
indeducibilità fosse stata già in vigore. La stessa circolare n. 34/E del
2006 aveva chiarito che, ai fini dell’acconto e per esigenze di
semplificazione, era possibile determinare il valore dei terreni mediante
l’applicazione delle percentuali forfetarie del 20 o 30 per cento (per i
fabbricati industriali), senza necessità di confronto con valori determinati
a seguito di apposita perizia di stima, come previsto dall’originaria
disposizione del d.l. n. 223 prima delle modifiche in commento. Per le medesime esigenze, si
ritiene corretta la determinazione dell’acconto che tiene conto solo del
valore delle aree calcolato con l’applicazione delle predette percentuali
forfetarie, senza considerare il valore delle aree eventualmente esposto in
bilancio, come prescritto dalla legge di conversione. I contribuenti che abbiano
determinato e versato acconti più elevati sulla base del confronto con
valori delle aree risultanti da apposita perizia potranno recuperare tali
maggiori versamenti in sede di liquidazione del saldo. Sempre per esigenze di
semplificazione, si ritiene che anche ai fini della determinazione dell’acconto,
possa trovare applicazione il principio affermato con la legge di conversione
n. 286 del 2006 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 227 del 28 novembre
2006) ed illustrato al paragrafo 7.4, con la conseguenza che qualora l’area
sia stata autonomamente acquistata in epoca antecedente rispetto alla
successiva costruzione del fabbricato, il valore ammortizzabile sarà
pari al solo costo effettivamente sostenuto per la realizzazione del
fabbricato. L’articolo 2, comma 19, del decreto prevede che all’articolo 2,
comma 3, del decreto legislativo n. 461 del 1997 le parole “il mutuatario e il cessionario a pronti
hanno diritto al credito d’imposta spettante sui dividendi soltanto se tale
diritto sarebbe spettato, anche su opzione, al mutuante ovvero al cedente a
pronti” sono sostituite dalle
seguenti: “al mutuatario e al
cessionario a pronti si applica il regime previsto dall’articolo 89, comma 2,
del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, soltanto se tale regime sarebbe
stato applicabile al mutuante o al cedente a pronti”. La norma in commento interviene
sulla disciplina fiscale delle operazioni di mutuo e di pronti contro termine
(con tale espressione si indicano comunemente operazioni che si sostanziano
in una vendita di titoli per contanti e in un contestuale riacquisto degli
stessi a epoca prefissata) aventi ad oggetto titoli partecipativi,
cioè azioni e quote, oppure strumenti finanziari assimilati alle
azioni. La modifica si è resa
necessaria per adeguare il contenuto della disposizione di cui all’articolo 2,
comma 3, del decreto legislativo 461 del 1997 alla disciplina degli utili
societari introdotta con la riforma fiscale di cui al decreto legislativo 12
dicembre 2003, n. 344. E’ noto come nel sistema
precedente alla riforma che ha introdotto l’IRES gli utili scontavano una
prima tassazione, che aveva carattere provvisorio, in capo alla
società che li produceva. La tassazione definitiva avveniva nel
momento di percezione del dividendo in capo al socio sulla base del principio
di imputazione del dividendo (cosiddetto “imputation
system”). Il dividendo percepito e il relativo credito d’imposta
(spettante in relazione alle imposte già pagate dalla società)
concorreva al reddito complessivo del socio ed il credito di imposta era
detratto dall’imposta da questi dovuta. Gli utili, pertanto, dopo
l’annullamento degli effetti della tassazione subita dalla società,
erano sottoposti ad imposizione definitiva con l’aliquota personale di
ciascun socio. La riforma introdotta dal
decreto legislativo n. 344 del Per la tassazione degli utili
percepiti da soggetti IRES, l’articolo 89, comma 2, del TUIR prevede
l’esclusione dalla formazione del reddito della società o dell’ente
percipiente degli utili distribuiti da società ed enti commerciali
residenti nel limite del 95 per cento del loro ammontare. L’applicazione dell’esclusione
non è subordinata ad alcuna condizione. Sulla base del successivo comma
3, la medesima esclusione è prevista per gli utili relativi ai titoli
esteri e strumenti finanziari assimilati che rispettino i requisiti di cui
all’articolo 44, comma 2, lettera a), del TUIR. In deroga a tale regime,
concorrono integralmente alla formazione del reddito del percettore gli utili
e gli altri proventi distribuiti da soggetti residenti negli Stati o
territori a regime fiscale privilegiato di cui al decreto del Ministro
dell'Economia e delle Finanze adottato ai sensi dell'articolo 167, comma 4,
del TUIR. Anche in tali casi usufruiscono, comunque, del regime di esclusione
dalla formazione del reddito gli utili relativamente ai quali è stato
esperito con esito positivo l’esercizio dell’interpello secondo le
modalità indicate dal comma 5, lettera b), dello stesso articolo 167. Ciò premesso, la
disposizione antielusiva contenuta nell’articolo 2, comma 3, del decreto
legislativo n. 461 del 1997 non risultava più adeguata al quadro
normativo risultante dalla riforma. In sostanza, tale previsione interessava
quelle operazioni di pronti contro termine o di riporto in cui si verificava
l’acquisto a pronti di partecipazioni cum
cedola al fine di incassare nel
periodo di durata del contratto il relativo dividendo usufruendo del credito
d’imposta. Pertanto, la norma – disponendo che “il mutuatario ed il cessionario a pronti hanno diritto al credito di
imposta sui dividendi soltanto se tale diritto sarebbe spettato … al mutuante
ovvero al cedente a pronti” - mirava a evitare che i dividendi incassati
dal cessionario a pronti o dal mutuatario ricevessero un trattamento
più favorevole rispetto a quello che sarebbe stato applicabile al
cedente a pronti o al mutuante. Ed infatti, a differenza delle
operazioni di pronti contro termine su obbligazioni – laddove il provento
dell’obbligazione va calcolato e imputato per maturazione fra le parti
dell’operazione in ragione del possesso del titolo ai sensi dell’articolo 89,
comma 6, del TUIR – nelle operazioni di pronti contro termine su
partecipazioni il dividendo va imputato per intero all’acquirente a pronti
che provvede allo stacco della cedola e che in quel momento incorpora la
qualifica di socio. La predetta disciplina di
carattere antielusivo concernente le operazioni di pronti contro termine ed i
mutui su titoli è poi completata in materia di ritenute dal comma 3-bis dell’articolo 26 del D.P.R. n. 600
del 1973 con il quale è previsto che le società e gli enti che
corrispondono i proventi sulle operazioni di pronti contro termine o
intervengono nella loro riscossione operano sui predetti proventi una
ritenuta alla fonte con la stessa aliquota (12,5 o 27 per cento) che sarebbe
stata applicata se gli interessi e altri proventi generati dai titoli
sottostanti le predette operazioni fossero stati conseguiti direttamente dal
cedenti a pronti o dai mutuanti. Ciò posto, l’articolo 2,
comma 19, del decreto, con
l’obiettivo di adeguare l’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 461 del 1997 al
sistema di tassazione dei dividendi introdotto dalla riforma dell’Ires,
prevede che al mutuatario e al cessionario a pronti si applichi il regime
previsto dall’articolo 89, comma 2, del TUIR, ossia l’esclusione dal reddito
del 95 per cento degli utili percepiti, solo se tale regime sarebbe stato
applicabile al mutuante o al cedente a pronti. In buona sostanza, il
riferimento al credito di imposta del precedente testo dell’articolo 2, comma
3, del decreto legislativo n. 461 del 1997 è stato sostituito con il
riferimento al regime di non concorrenza al reddito imponibile nella misura
del 95 per cento previsto dall’articolo 89, comma 2, del TUIR. Di conseguenza, per le
operazioni di pronti contro termine su titoli azionari (nonché per le altre
operazioni considerate) il regime di esclusione da imposizione è
applicabile ai dividendi staccati nel periodo di durata del contratto e
percepiti dal cessionario a pronti o dal mutuatario esclusivamente
nell’ipotesi in cui il cedente a pronti o il mutuante rientrino tra quei
soggetti che possono usufruire dello stesso regime di tassazione. Trattasi,
in particolare, dei soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera a) e
b), del TUIR, nonché dei soggetti non residenti di cui alla successiva
lettera d) del medesimo articolo con stabile organizzazione nel territorio
dello Stato. E’ inoltre opportuno precisare
che la norma in commento si applica agli utili di fonte estera relativi a
titoli oggetto di operazioni di pronti contro termine in cui il cedente a
pronti o il mutuante siano soggetti esteri. Si precisa, infine, che, ai
sensi dell’articolo 2, comma 20, del decreto,
la disposizione si applica ai “contratti
stipulati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto” vale a dire dal 3 ottobre 2006,
considerato anche che le disposizioni in commento riproducono quelle
originariamente contenute nel commi 2 e 3 dell’art. 3 del decreto, articolo poi soppresso dalla
legge di conversione. TASSAZIONE
DELLE PLUSVALENZE DERIVANTI DA CESSIONI A TITOLO ONEROSO DI IMMOBILI (ART. 2,
COMMA 21) L’art. 2, comma 21, del decreto ha modificato la norma
contenuta nell’ art. 1, comma 496, della legge 23 dicembre 2005 n. 266 (legge
finanziaria 2006), in tema di tassazione delle plusvalenze derivanti da
cessioni a titolo oneroso di immobili. In base al predetto comma 496,
nella formulazione vigente prima della modifica, “in caso di cessioni a titolo oneroso di beni immobili acquistati o
costruiti da non più di 5 anni, e di terreni suscettibili di
utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al
momento della cessione, all’atto della cessione e su richiesta della parte
venditrice resa al notaio, … sulle plusvalenze realizzate si applica
un’imposta, sostitutiva dell’imposta sul reddito, del 12,5 per cento.” La norma introdotta
dall’articolo in commento ha disposto l’aumento dell’aliquota dell’imposta
sostitutiva dal 12,50 al 20 per cento, che si applica per le cessioni
effettuate a partire dal 3 ottobre, data di entrata in vigore del decreto. Ulteriori modifiche alla norma
in commento sono state apportate dall’art. 1, comma 310, della legge 27
dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) che, intervenendo nel citato
comma Ne deriva che, per le cessioni
dal 1° gennaio 2007, data di entrata in vigore della richiamata norma, le
plusvalenze realizzate ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera b) del
TUIR in occasione della cessione di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria, concorreranno alla formazione del reddito complessivo IRPEF del
cedente, secondo le ordinarie modalità di tassazione, essendo stata
esclusa la possibilità di applicare la richiamata imposta sostitutiva.
L’ambito di applicazione di quest’ultima, pertanto, a decorrere dal 1°
gennaio 2007 è limitata alle cessioni infraquinquennali di fabbricati
e terreni non suscettibili di edificazione. Si rammenta, infine, che il d.l.
n. 223 del Perdite
illimitatamente riportabili (Articolo 2, comma 22) Si ricorda che il d.l. n. 223
del 2006, con disposizioni recate all’articolo 36, comma Come affermato dal successivo
comma 13, i requisiti richiesti per il riporto delle perdite dovevano
sussistere anche con riferimento alle perdite illimitatamente riportabili
relative a precedenti periodi d’imposta e non ancora utilizzate alla data di
entrata in vigore del d.l. n. 223 del L’articolo 2, comma 22, del decreto ha sostituito il comma 13
dell’articolo 36 del d.l. n. 223, del 2006, intervenendo sulla decorrenza
delle modiche apportate al citato articolo 84, comma 2, del TUIR. Il predetto comma 13 prevede ora
che “Le disposizioni della lettera a)
del comma 12 si applicano alle perdite relative ai primi tre periodi
d’imposta formatesi a decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data di
entrata in vigore del presente decreto. Per le perdite relative ai primi tre
periodi d’imposta formatesi in periodi anteriori alla predetta data resta
ferma l’applicazione dell’articolo 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. In definitiva, l’attuale
formulazione del comma 13 dell’articolo Pertanto, a titolo
esemplificativo, la società beneficiaria di un’operazione di scissione
avente efficacia giuridica in data 9 febbraio 2006 e periodo d’imposta
09/02/2006 – 31/12/2006, dovrà dimostrare la sussistenza di entrambi i
requisiti “soggettivo” e “oggettivo” al fine di poter qualificare come
illimitatamente riportabili le eventuali perdite fiscali conseguite nel
predetto periodo d’imposta e nei due successivi. In base a quanto disposto dal
secondo periodo del comma A titolo esemplificativo,
quindi, la società beneficiaria di un’operazione di scissione avente
efficacia giuridica in data 9 febbraio 2005 e periodo d’imposta 09/02/2005 –
08/02/2006, potrà qualificare come “illimitatamente riportabili” le
perdite realizzate nel suddetto periodo d’imposta e nei due successivi, fatta
salva l’applicazione dell’articolo 37-bis
del D.P.R. n. 600 del 1973. RIPORTO
PERDITE NELLA TRASPARENZA FISCALE (articolo 2, comma 23) L’articolo 36, commi 9 e 10, del
d.l. n. 223 del L’art. 2, comma 23, del decreto, senza intervenire sulla norma
sostanziale di cui sopra, ne modifica la decorrenza sostituendo integralmente
il comma 11 del citato articolo 36 del d.l. n. 223. Le modifiche attualmente
apportate alla norma sono sostanzialmente dirette a posticipare l’entrata in
vigore delle disposizioni contenute nei commi 9 e 10; nel predetto comma 11
viene previsto infatti che: “Le disposizioni di cui ai commi 9 e 10 hanno effetto con riferimento
ai redditi delle società partecipate relativi a periodi di imposta che
iniziano successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto”. Considerato che il d.l. n. 223
è entrato in vigore il 4 luglio 2006, nel caso in cui la
società partecipata trasparente abbia l’esercizio coincidente con
l’anno solare, la norma trova applicazione con riferimento ai redditi
prodotti dalla stessa a partire dal periodo d’imposta Tuttavia, l’ultimo periodo del
comma 11, come modificato dall’articolo 2 comma 23 del decreto, prevede che per i periodi di imposta precedenti a quello
a partire dal quale si applicano le limitazioni introdotte dal d.l. n. 223
resta ferma l’applicazione della disposizione antielusiva generale di cui
all’articolo 37-bis del decreto del
Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600. applicazione
della no tax area ai soggetti non
residenti (articolo 2, comma 24) Il comma 24 dell’art. 2 del decreto prevede il riconoscimento
della deduzione per assicurare la progressività dell’imposizione (no tax area) ai soggetti non residenti in Italia limitatamente all’anno
2006. Tale disposizione stabilisce,
infatti, che “per l’anno 2006, l’art. 3,
comma 1 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, si applica nel testo
vigente alla data del 3 luglio L’intervento del legislatore ha
lo scopo di “sterilizzare” gli effetti delle modificazioni introdotte
dall’art. 36, comma 22, del d.l. n. 223 del 2006, che avevano determinato,
per i non residenti, l’eliminazione delle deduzioni per assicurare la
progressività dell’imposizione. Ciò comporta che, nel
periodo d’imposta 2006, i non residenti beneficiano ancora delle deduzioni
per oneri e per assicurare la progressività di cui, rispettivamente,
agli articoli 10 e 11 del TUIR, mentre non spetta loro la deduzione per
familiari a carico, di cui all’art. 12, del TUIR, come già chiarito
con La norma contenuta nel comma Per il 2006 si è tenuto
fermo il regime preesistente per evitare che, nelle more di dette modifiche,
i redditi percepiti da non residenti (precipuamente quelli originati da
pensioni di fonte italiana) fossero pesantemente penalizzati, in quanto
privati sia delle deduzioni, non più operanti, che delle detrazioni,
non ancora vigenti. Di conseguenza, l’art. 2, comma
24, consente di continuare ad applicare ai non residenti le deduzioni di cui
agli articoli 10 e 11 del TUIR, prima eliminate dal d.l. n. 223 del 2006. In effetti, il reddito
complessivo è un attendibile segnalatore della capacità
contributiva del contribuente solo per i residenti, che sono assoggettati a
tassazione sui redditi ovunque prodotti, tanto da giustificare il riconoscimento di benefici
ad essi collegati, quali sono le deduzioni o le detrazioni personali. Come anticipato, la norma in
commento non può essere invocata per riconoscere, a favore dei non
residenti, la deduzione per i familiari a carico, di cui all’art. 12 del
TUIR. Sul punto, infatti, la novella introdotta dal comma 22 dell’art. 36 del
citato d.l. n. 223 del 2006 svolgeva una funzione di mero coordinamento, come
è stato già chiarito con la circolare n. 28 del 2006. Adempimenti
dei sostituti d’imposta. La disposizione di cui al comma
24 dell’art. 2 del decreto modifica
taluni adempimenti posti a carico dei sostituti d’imposta. Come detto, l’originario art.
36, comma 22, lettera a), del d.l. n. 223 del 2006, escludeva i non residenti
dal beneficio della deduzione per assicurare la progressività
dell’imposta per l’intero periodo d’imposta 2006. Pertanto nel suo periodo di
vigenza, ossia dal 4 luglio 2006 al 2 ottobre 2006, i sostituti d’imposta non
hanno riconosciuto tale deduzione. Inoltre hanno recuperato le
quote di deduzione riconosciute prima della entrata in vigore del d.l. 223,
all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, se intervenuto in corso
d'anno. Con la reintroduzione della
citata deduzione per l’anno 2006, si pone la necessità di coordinare
gli adempimenti vigenti, in capo ai sostituti d’imposta a decorrere dal 3
ottobre 2006, con quelli effettuati nella vigenza del d.l. n. 223. Poiché la disposizione opera per
l’intero periodo d’imposta, la deduzione per assicurare la
progressività andrà calcolata sull’intero 2006, incluso il
periodo di vigenza dell’art. 36, comma 22, lettera a), del d.l. n. 223
citato. Pertanto i sostituti d’imposta
sono tenuti a riconoscere nuovamente la deduzione per assicurare la
progressività, a sospendere il recupero delle deduzioni effettuate dal
1° gennaio 2006, e a restituire quelle effettuate, al più tardi, in
occasione del conguaglio di fine anno. Quanto alla posizione dei non
residenti il cui rapporto di lavoro sia cessato durante la vigenza dell’art.
36, comma 22, lettera a), del d.l. n. 223 del 2006, si chiarisce quanto
segue. L’art. 23, comma 3, del d.p.r.
29 settembre 1973, n. 600, prescrive che il datore di lavoro, in
qualità di sostituto d’imposta, effettui il conguaglio alla data della
cessazione del rapporto di lavoro. Ai sensi dell’art. 4, comma 1,
del DPR 22 luglio 1998, n. 322, egli è tenuto altresì a
presentare la dichiarazione annuale dei sostituti d’imposta. Effettuato il conguaglio a
seguito della cessazione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro non
è obbligato ad ulteriori adempimenti nei confronti dell’ex dipendente. Ciò comporta che delle
quote di deduzione non riconosciute e delle somme recuperate dall’ex
sostituto d’imposta a seguito del disconoscimento della deduzione relativa,
si potrà tenere conto solo nella dichiarazione annuale IRPEF del 2006
presentata dal dipendente. In tale sede il dipendente
applicherà la deduzione di cui all’art. 11 del TUIR sull’intero anno e
scomputerà dall’IRPEF le (maggiori) ritenute subite. DETERMINAZIONE
DELL’IRPEF PER LE PERSONE RESIDENTI A CAMPIONE D’ITALIA (ART. 2, COMMI DA L’articolo 2 del decreto, ai commi da Prima dell’intervento del d.l.
n. 223 del 2006, l’articolo 188 del TUIR disponeva che ai fini dell’imposta
sul reddito delle persone fisiche iscritte nei registri anagrafici del comune
di Campione d’Italia, i redditi prodotti in franchi svizzeri, per un importo
complessivo non superiore a 200.000 franchi, dai residenti nel territorio
dello stesso comune, dovevano essere computati in euro sulla base di un tasso
di cambio convenzionale stabilito ogni tre anni con decreto del Ministro
dell’economia e delle finanze. Come già chiarito nella
circolare n. 28 del 4 agosto 2006, tale particolare sistema di determinazione
dell’imposta ebbe origine in uno specifico periodo storico, al fine di
perequare la pressione fiscale nei confronti dei cittadini di Campione d’Italia
che operavano in un contesto economico sostanzialmente equiparabile a quello
svizzero, contraddistinto dall’utilizzo della moneta svizzera e da un costo
della vita superiore a quello rilevato in Italia. L’articolo 36, comma 31, del
d.l. n. 223 del La materia è stata,
peraltro, profondamente modificata dal decreto
in commento il quale, con il comma 26 dell’articolo 2 dispone che “Per l’anno 2006, l’articolo 188 del citato
testo unico di cui al comma 8, si applica nel testo vigente alla data del 3
luglio Con tale disposizione si
ripristina pertanto, per l’anno 2006, l’articolo 188 del TUIR nella suo
contenuto dispositivo antecedente alla pubblicazione del decreto legge n. 223
del 2006. Ne consegue che, relativamente al
periodo d’imposta 2006, le imposte sui redditi potranno essere determinate
utilizzando ancora il particolare sistema di calcolo sopra specificato,
basato sull’utilizzo di un tasso convenzionale per la conversione in euro,
relativamente ai redditi prodotti in franchi svizzeri, per un importo
complessivo non superiore a duecentomila franchi e, ovviamente, in deroga
all’articolo 9, comma 2, del TUIR secondo cui “… i proventi, le spese e gli oneri in valuta estera sono valutati
secondo il cambio del giorno in cui sono stati percepiti o sostenuti o del
giorno antecedente più prossimo …”. Nel contempo il comma 27
dell’art. 2 del decreto abroga
espressamente l’art. 36, comma 31, del decreto-legge n. 223 del 2006. Per l’anno d’imposta 2007,
invece, il comma 28 dell’articolo 2 del decreto
provvede a variare il tasso convenzionale fissato, per il triennio 2005-2007,
dal decreto 27 ottobre 2005 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 257 del 4
novembre 2005). Il tasso viene elevato a 0,52135 euro per franco svizzero (il
decreto del 2005 lo aveva fissato in 0,40515). Infine, il comma 25
dell’articolo L’articolo 188-bis, a differenza del previgente
articolo 188, non utilizza il sistema di calcolo basato sul tasso
convenzionale per la conversione in euro, rinviando invece all’articolo 9,
comma 2, del TUIR, a norma del quale i redditi in valuta estera “sono valutati secondo il cambio del giorno in cui sono stati percepiti o sostenuti o del giorno
antecedente più prossimo e, in mancanza, secondo il cambio del mese in
cui sono stati percepiti o sostenuti”; l’importo così determinato
dovrà poi essere forfetariamente ridotto del 20%. Il legislatore del decreto non ha specificato la data a
partire dalla quale il nuovo articolo 188-bis
spiegherà i suoi effetti; considerato tuttavia che l’articolo Si osserva infine che il comma
25 dell’articolo Le disposizioni di cui
all’articolo 188-bis si
applicheranno pertanto non solo agli iscritti nei registri anagrafici del
comune di Campione d’Italia, ma anche alle persone aventi domicilio fiscale nel
medesimo Comune, le quali, già residenti nel comune di Campione
d’Italia, sono iscritte nell’anagrafe degli italiani residenti all’estero
(AIRE) dello stesso Comune e residenti nel Canton Ticino della Confederazione
elvetica. riforma del
REGIME fiscale DELLE C.D. STOCK OPTION
(Art. 2, commA 29) L’articolo 2, comma 29 del decreto ha sostituito i periodi
secondo, terzo e quarto del comma 2-bis
dell’articolo 51 del TUIR, come introdotti dal comma 25 dell’articolo 36
del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla
legge 4 agosto 2006, n. 248, i cui contenuti sono stati illustrati nel
paragrafo 36 della circolare n. 28/E del 2006. Come si ricorda,
all’assegnazione di azioni effettuata nei confronti di soggetti titolari di
reddito di lavoro dipendente o assimilato si rende applicabile la disciplina
delle stock option contenuta
nell’articolo 51, comma 2, lettera g-bis),
del TUIR. Tale disposizione agevolativa prevede una forma di esenzione di una
quota parte del reddito di lavoro dipendente in misura corrispondente alla
differenza tra il valore delle azioni al momento dell’assegnazione del
diritto di opzione e l’ammontare corrisposto dal dipendente per l’esercizio
delle opzioni stesse, a condizione che il predetto ammontare sia almeno pari
al valore delle azioni stesse alla data dell’offerta. Inoltre, sempre ai
sensi della medesima disposizione, le partecipazioni, i titoli o i diritti
posseduti dal dipendente devono rappresentare una percentuale di diritto di
voto esercitabile in assemblea ordinaria o di partecipazione al capitale non
superiore al 10 per cento. Non verificandosi entrambe le
condizioni, la differenza concorre alla formazione del reddito di lavoro
dipendente. Prima delle modifiche apportate
dal decreto, l’applicazione delle disposizioni agevolative era subordinata,
ai sensi del citato comma 2-bis
dell’articolo 51 del TUIR, al verificarsi di ulteriori determinate condizioni
e in presenza di taluni limiti. In particolare, le azioni offerte non
dovevano essere cedute né costituite in garanzia prima che fossero trascorsi
cinque anni dalla data dell’assegnazione e il valore delle azioni assegnate
non doveva essere complessivamente superiore, nel periodo d’imposta, alla
retribuzione lorda annua del dipendente relativa al periodo d’imposta
precedente (cosiddetto “parametro retributivo”). Tali nuove disposizioni si sono
rese applicabili alle assegnazioni di azioni effettuate successivamente alla
data di entrata in vigore del medesimo d.l. n. 223 del 2006 (quindi a
decorrere dal 5 luglio 2006), anche se i relativi piani erano stati
deliberati anteriormente a tale data. Ciò premesso, l’articolo
2, comma 29 del decreto, nel
sostituire i periodi secondo, terzo e quarto del comma 2-bis dell’articolo 51 del TUIR, ha eliminato dalle condizioni per
fruire del regime in esame il predetto parametro retributivo ed ha modificato
gli ulteriori requisiti richiesti per l’applicazione dell’agevolazione
fiscale. In particolare, la norma prevede che la disposizione di cui
all’articolo 51, comma 2, lettera g-bis)
sia applicabile esclusivamente a condizione che: l’opzione sia esercitabile non
prima che siano scaduti tre anni dalla sua attribuzione; al momento in cui l’opzione
è esercitabile, la società risulti quotata in mercati
regolamentati; il beneficiario mantenga per
almeno i cinque anni successivi all’esercizio dell’opzione un investimento
nei titoli oggetto di opzione non inferiore alla differenza tra il valore
delle azioni al momento dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto dal
dipendente. Al riguardo, con riferimento
alla prima condizione, la norma intende incentivare il processo di
fidelizzazione dei destinatari dei piani di stock option, in genere legati al periodo di crescita di valore
dei titoli ai quali si riferisce il diritto di opzione (cosiddetto “vesting period”) il quale, pertanto,
non può essere inferiore a tre anni. Tale condizione va verificata in
concreto secondo le specifiche previsioni contenute nei piani deliberati
dalle società. A tal fine, si ritiene che i piani in corso, già
deliberati prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina, ove non
prevedano un termine per l’esercizio dell’opzione oppure ove prevedano un
termine inferiore ai tre anni, possono essere adeguati per poter usufruire
dell’agevolazione, senza che tali modifiche costituiscano fattispecie
novative. La seconda condizione posta
dalla norma è che, al momento in cui l’opzione è esercitabile
sulla base del relativo piano, nel rispetto del requisito temporale del
triennio, le azioni della società emittente siano ammesse alla
quotazione in un mercato regolamentato, italiano o estero. Per quanto
concerne la sussistenza della condizione in commento, si osserva come non sia
sufficiente il fatto che la quotazione delle azioni sia stata semplicemente
disposta, essendo necessario che le azioni risultino effettivamente negoziate
nei mercati regolamentati al momento in cui l’opzione è esercitabile
(cfr. circolare n. 306/E del 23 dicembre 1996). Come si evince dalla Relazione
governativa al decreto, quindi, la
condizione della quotazione deve essere verificata in capo alla
società emittente le azioni assegnate e, quindi, rientrano nella
disciplina di favore - sempreché siano rispettate le altre condizioni – anche
i piani di stock option deliberati
da società non quotate qualora le azioni da essa assegnate siano
emesse da una società del gruppo quotata. A differenza della norma
previgente che imponeva un vincolo di indisponibilità delle azioni
assegnate per un periodo quinquennale, la nuova norma prevede che il beneficiario
debba mantenere per almeno i cinque anni successivi all’esercizio
dell’opzione non tutte le azioni ricevute, bensì un “investimento nei titoli oggetto di opzione
non inferiore alla differenza tra il valore delle azioni al momento
dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto dal dipendente”. In sostanza, l’oggetto del
vincolo è costituito dalla differenza tra il valore normale dei titoli
assegnati e l’ammontare pagato dall’assegnatario in modo tale da consentire
lo smobilizzo o la costituzione in garanzia di un numero di azioni
corrispondente all’esborso effettuato dal dipendente. Ad esempio: numero di azioni offerte = 120 valore unitario delle azioni
offerte = euro 8,3 valore complessivo delle azioni
al momento dell’offerta = euro 1.000 valore normale unitario delle
azioni al momento dell’assegnazione = euro 13,3 valore normale complessivo delle
azioni al momento dell’assegnazione = euro 1.600 prezzo pagato dal beneficiario =
euro 1.000 La differenza tra il valore
delle azioni al momento dell’assegnazione e il prezzo pagato dal beneficiario
del piano, pari a euro 600, non concorre a formare il reddito di lavoro
dipendente, a condizione che vengano mantenute nei cinque anni successivi
all’assegnazione un numero di azioni corrispondente a euro 600, ossia 45
azioni. Pertanto, 75 azioni possono essere vendute o date in garanzia anche
prima che siano trascorsi cinque anni dalla loro assegnazione. In sostanza, una volta
effettuato il calcolo del numero delle azioni che non possono essere cedute o
date in garanzia nel quinquennio, stabilito alla data dell’assegnazione delle
azioni, tale numero di azioni deve essere mantenuto indipendentemente dalla
circostanza che il valore delle azioni subisca modificazioni nel corso del
predetto periodo. In tal modo, il dipendente non
è costretto ad acquistare un numero maggiore di azioni per tenere fede
al valore dell’investimento da mantenere, nell’ipotesi in cui il valore delle
azioni diminuisca. Qualora le azioni che dovevano
essere mantenute (nell’esempio le 45 azioni) siano anche parzialmente cedute
o date in garanzia prima che siano trascorsi cinque anni dalla loro
assegnazione, l’importo che non ha concorso a formare il reddito di lavoro
dipendente al momento dell’assegnazione (nell’esempio, euro 600) è assoggettato
a tassazione nel periodo d’imposta in cui avviene la cessione o la
costituzione in garanzia. In tal caso, in sede di
determinazione dei redditi diversi di natura finanziaria, può essere
assunto come costo il valore delle azioni assoggettato a tassazione in
qualità di reddito di lavoro dipendente (nell’esempio, 13,3 per
azione). Qualora una parte delle azioni
sia stata ceduta prima del quinquennio, nel numero consentito dalla norma
(nell’esempio, 75 azioni) e sia stata, pertanto, corrisposta l’imposta sostitutiva
sul relativo reddito diverso di natura finanziaria e le restanti azioni
(nell’esempio, 45 azioni) siano anch’esse successivamente cedute, sempre
prima del quinquennio, considerato che l’intera differenza tra il valore
delle azioni al momento dell’assegnazione e l’importo corrisposto dal
dipendente viene assoggettata a tassazione come reddito di lavoro dipendente
(nell’esempio, euro 600), l’imposta sostitutiva precedentemente corrisposta
in relazione alla prima cessione effettuata può essere chiesta a
rimborso, ai sensi dell’articolo 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.
Qualora i termini per esperire l’istanza di rimborso ai sensi di quest’ultima
disposizione siano scaduti (ad esempio, se alla data della cessione delle
azioni prima del quinquennio sono trascorsi 48 mesi dal versamento
dell’imposta sostitutiva relativa alla prima cessione) il contribuente
può attivare la procedura di cui all’articolo 21, comma 2, secondo
periodo, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ossia presentare domanda di restituzione
dell’imposta entro due anni dal giorno in cui si è verificato il
presupposto per la restituzione che, in tal caso, è rappresentato
dalla cessione delle azioni prima dello scadere del quinquennio (in senso
conforme c.f.r. risposta all’interrogazione n. 5-00420 “Fenomeni di doppia
imposizione fiscale derivanti dall’applicazione della nuova disciplina delle
stock option” presentata in commissione finanze della camera il 29 novembre
2006). Così come chiarito nella
citata circolare n. 28/E del 2006, ai fini dell’individuazione del momento
impositivo della predetta differenza in qualità di reddito di lavoro
dipendente, assume rilevanza la notizia, acquisita dal datore di lavoro,
dell’avvenuta cessione delle azioni da parte del dipendente, sempreché il cessionario
non sia lo stesso datore di lavoro o la società emittente. Pertanto,
il datore di lavoro deve applicare le relative ritenute nel primo periodo di
paga utile, successivo all’avvenuta conoscenza del presupposto impositivo,
anche per effetto di un’apposita comunicazione del dipendente. Trattandosi, quindi,
dell’applicazione di una norma agevolativa che condiziona i suoi presupposti
alla sussistenza di un determinato requisito giuridico - temporale (possesso
di un determinato numero di azioni per almeno un quinquennio), il datore di
lavoro-sostituto d’imposta è tenuto ad informare i destinatari
dell’assegnazione agevolata circa l’obbligo di comunicare tempestivamente
allo stesso le eventuali cessioni delle predette azioni, anche successivamente
all’eventuale cessazione del rapporto di lavoro. Nell’ipotesi in cui il
contribuente che ha ricevuto l’assegnazione delle azioni abbia cessato il
rapporto di lavoro, intraprendendone uno nuovo con altro datore di lavoro
ovvero sia collocato a riposo, il precedente datore di lavoro deve comunicare
al nuovo datore di lavoro o all’ente che eroga il trattamento pensionistico
l’importo del valore che questi deve assumere a tassazione, unitamente al
reddito di lavoro dipendente o al trattamento pensionistico erogato (cfr.
C.M. n. 326/E del 23 dicembre 1997 e Ris. n. 186/E del 12 giugno 2002). In
mancanza o in caso di ritardata comunicazione da parte del precedente datore
di lavoro, il nuovo datore di lavoro o l’ente pensionistico, informato dal
dipendente della sussistenza di un fringe
benefit derivante dal precedente rapporto di lavoro, è tenuto ad
attivarsi al fine di conoscere il predetto importo. Qualora il contribuente non
intrattenga un altro rapporto di lavoro dipendente o assimilato ovvero non
percepisca un trattamento pensionistico, le ritenute relative al reddito di
lavoro dipendente derivante dalla cessione delle azioni o dalla loro
costituzione in garanzia devono essere operate dal datore di lavoro che aveva
assegnato le azioni, previa comunicazione dell’evento da parte del lavoratore
cessato e corresponsione della relativa provvista. Le nuove disposizioni si
applicano alle assegnazioni di azioni effettuate a decorrere dal 3 ottobre
2006, data di entrata in vigore del decreto,
anche se i relativi piani sono stati deliberati in data anteriore. Pertanto, con riferimento alle
assegnazioni di azioni effettuate nel periodo che va dal 5 luglio 2006 al 2
ottobre 2006 si rendono applicabili le disposizioni contenute nel
decreto-legge n. 223 del 2006, tra cui quella relativa al vincolo retributivo
e alla detenzione quinquennale di tutte le azioni ricevute. Si ricorda, al riguardo, che
l’art. 36, comma 26, del d.l. n. 223 prevede che le disposizioni in commento
si applicano alle assegnazioni effettuate “successivamente” alla data di entrata in vigore del decreto
medesimo (4 luglio 2006). Trasmissione
telematica dei corrispettivi (art. 2, comma 30) L’articolo 37, commi da Il testo originario della norma
è stato oggetto di una prima modifica ad opera del comma 30 dell’art.
2 inserito nel testo del decreto in
sede di conversione. Le modifiche hanno riguardato
l’ultimo periodo del comma 34 del citato articolo 37, che adesso stabilisce
che “restano fermi gli obblighi di
certificazione fiscale dei corrispettivi previsti dall’articolo 12 della
legge 30 dicembre 1991, n. 413, e dal regolamento di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 21 dicembre 1996, n. 696, nonché di emissione
della fattura su richiesta del cliente, fatta eccezione per i soggetti
indicati all’articolo 1, commi da La disposizione in esame ha
chiarito che l’obbligo di comunicazione telematica dei corrispettivi
introdotto dal d.l. n. 223 del 2006 non sostituisce quello di certificazione
fiscale dei corrispettivi e che resta fermo, pertanto, l’obbligo di emettere
gli scontrini e le ricevute fiscali per tutti i contribuenti interessati,
fatta eccezione per le imprese che operano nel settore della grande
distribuzione commerciale, come definite dal comma 430 della legge n. 311 del
2004. Il citato comma 430 stabilisce
che “sono imprese della grande distribuzione
commerciale, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lettere e) ed f), del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 114, le aziende distributive che operano con
esercizi commerciali definiti media e grande struttura di vendita aventi,
quindi, superficie superiore a Al riguardo, si evidenzia che
come precisato dalla scrivente con la circolare n. 8/E del 23 febbraio 2006,
il concetto di “grande distribuzione” presuppone un’attività destinata
ad una amplia platea di clienti, svolta in più punti vendita di grande
dimensione dislocati sul territorio. Tanto premesso, sotto il profilo
degli effetti della trasmissione telematica dei corrispettivi, per le imprese
della grande distribuzione - purché dotate di più punti vendita di
adeguate dimensioni - la comunicazione dei corrispettivi sostituisce anche
l’obbligo di emissione dello scontrino o della ricevuta fiscale di cui
all’articolo 12 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 e al decreto del
Presidente della Repubblica 21 dicembre 1996, n. 696, fermo restando
l’obbligo di emissione della fattura su richiesta del cliente. Il quadro normativo sopra
delineato è ulteriormente mutato con l’approvazione della legge 27
dicembre 2006, n. 296 ( legge finanziaria 2007) che ha modificato le
disposizioni del citato d.l. n. 223 del 2006. In particolare, l’articolo 1,
comma 327, della legge finanziaria Per effetto di tale
sostituzione, le disposizioni in commento non entrano in vigore a partire dal
1° gennaio 2007, come originariamente previsto dall’articolo 37, comma 37 del
d.l. n. 223 del 2006 e, quindi, i soggetti che svolgono attività di
commercio al minuto e assimilate in locali aperti al pubblico di cui all’art.
22 del d.P.R. n. 633 del 1972 non sono ancora obbligati alla trasmissione
telematica dei corrispettivi. Il comma 328 dell’articolo 1
della legge finanziaria Il comma 37-bis, stabilisce, tra l’altro, che “gli apparecchi misuratori fiscali di cui all’articolo 1 della legge
26 gennaio 1983, n. 18, immessi sul mercato a decorrere dal 1° gennaio 2008,
devono essere idonei alla trasmissione telematica dei corrispettivi”. I
predetti misuratori fiscali, le cui spese di acquisizione saranno
integralmente deducibili nell’esercizio in cui saranno sostenute, non
dovranno essere sottoposti alla verificazione periodica di cui al
provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 28 luglio 2003. L’utilizzo di tali apparecchi
misuratori fiscali “di nuova generazione” è finalizzato a semplificare
ulteriormente gli obblighi di certificazione fiscale dei corrispettivi
previsti dall’articolo 12 della legge n. 413 del 1991 e dal regolamento di
cui al d.P.R. n. 696 del 1996. Il citato comma 37-bis stabilisce, infatti, che “I
soggetti che effettuano la trasmissione telematica emettono scontrino non
avente valenza fiscale”. Al riguardo, il successivo comma
37-ter prevede che “con regolamento emanato ai sensi
dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro
centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente
disposizione sono emanate disposizioni atte a disciplinare le modalità
di rilascio delle certificazioni dei corrispettivi, non aventi valore
fiscale, in correlazione alla trasmissione, in via telematica, dei
corrispettivi medesimi”. Va rilevato, infine, che i
soggetti della grande distribuzione, che avevano già la facoltà
di optare per la comunicazione telematica dei corrispettivi ai sensi
dell’articolo 1, commi da Regime
di esonero nel settore dell’agricoltura (articolo 2, comma 31) L’articolo 2, comma 31, del decreto ha modificato la disciplina
agevolativa del settore agricolo di cui al previgente comma 6 dell’articolo
34 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, prevedendo un unico limite di volume di
affari entro il quale opera il regime di esonero dei produttori agricoli,
indipendentemente dall’ubicazione dell’attività agricola svolta dallo
stesso contribuente; nel contempo è stato abrogato il regime
semplificato previsto dal terzo periodo del previgente comma 6 del citato
articolo 34 del D.P.R. n. 633 del 1972. Più precisamente, il
novellato comma 6 del menzionato articolo 34 prevede un regime di esonero
dagli adempimenti IVA per i produttori agricoli che nell’anno solare
precedente hanno realizzato (o, in caso di inizio di attività,
prevedono di realizzare) un volume d’affari non superiore a 7.000 euro,
costituito per almeno due terzi da cessioni di prodotti agricoli e ittici
compresi nella parte I della tabella A allegata al citato decreto n. 633 del
1972. Pertanto, sulla base della nuova
formulazione della norma in esame, viene individuato un unico regime di
esonero a cui accedono tutti i produttori agricoli con un volume di affari
non superiore a 7.000 euro, limite che risulta più elevato di quello
precedentemente in vigore pari a 2.582,28 euro. Tale nuovo regime elimina : lo specifico limite di 7.746,85
euro fissato, in tema di regime di esonero, per i produttori agricoli che
esercitano la loro attività esclusivamente nei comuni montani con meno
di mille abitanti, e nelle zone con meno di cinquecento abitanti ricompresi
negli altri comuni montani, individuati dalle rispettive Regioni come
previsto dall'articolo 16 della legge 31 gennaio 1994, n. 97; il regime semplificato previsto per
gli imprenditori agricoli che hanno realizzato nell’anno solare precedente un
volume di affari superiore a 2.582,28 euro o a 7.746,85 euro e inferiore a
20.658,28 euro, costituito per almeno due terzi da cessioni di prodotti
agricoli e ittici, compresi nella prima parte della tabella A), allegata al
citato decreto n. 633 del 1972. Detti contribuenti erano esonerati
dall’obbligo di effettuare le liquidazioni periodiche e dai relativi
versamenti dell’imposta, fermo restando l’obbligo di fatturazione, di numerazione
delle fatture ricevute, di conservazione dei documenti ai sensi dell’articolo
39 del DPR n. 633 del 1972 e di versamento annuale dell’imposta. In base all’attuale formulazione
della norma in commento, l’agevolazione concessa ai produttori agricoli
consiste: nell’esonero dal versamento
dell’imposta e da tutti gli obblighi documentali e contabili di fatturazione,
registrazione, liquidazione periodica e presentazione della dichiarazione
annuale Iva e della comunicazione annuale dei dati Iva. Resta fermo l’obbligo
di numerazione e conservazione delle fatture e delle bollette doganali
relative agli acquisti e alle importazioni, nonché delle fatture di vendita
emesse per loro conto dai cessionari o dai committenti; nell'applicazione delle aliquote
corrispondenti alle percentuali di compensazione stabilite con decreto del
Ministro delle Finanze, di concerto con il Ministro per le politiche
agricole, per l’espressa deroga contenuta nell’ultima parte del comma 1
dell’articolo 34 del menzionato DPR n. 633 del 1972, alla generale
applicazione delle aliquote proprie dei beni ceduti. Inoltre, tale regime fiscale
comporta per i cessionari e i committenti che, nell'esercizio d’impresa,
acquistano beni o utilizzano servizi dai produttori agricoli “esonerati”,
l’obbligo di emettere un’autofattura con le modalità e nei termini
dell’articolo 21 del DPR n. 633 del 1972, indicandovi, unitamente al prezzo
di vendita dei beni o dei servizi acquistati, l’imposta calcolata secondo
l’aliquota corrispondente alle percentuali di compensazione dei prodotti
agricoli. Il cessionario o il committente dovranno pagare l'imposta,
così determinata, direttamente al produttore agricolo, procedendo a
registrare la fattura a norma dell'articolo 25 del DPR n. 633 del 1972, ed a
consegnarne copia al produttore agricolo. L’agricoltore esonerato
dall'obbligo di versamento dell’imposta, tratterrà l’imposta incassata
a titolo di compensazione dell’imposta assolta sugli acquisti. In coerenza con le modifiche
apportate al regime di cui al comma 6 del citato articolo 34, l’articolo 2,
comma 32, del decreto ha provveduto
a sostituire la lettera d)
dell’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446,
che individua i soggetti passivi ai fini dell’imposta regionale sulle
attività produttive (IRAP), Più precisamente, per aggiornarne
il contenuto al nuovo limite di esonero previsto ai fini IVA, per effetto del
menzionato comma 32, sono ora esclusi dal novero dei soggetti passivi IRAP, i
produttori agricoli titolari di reddito agrario che realizzano un volume
d’affari annuo non superiore a 7.000 euro e che non hanno rinunciato
all’esonero. Le modifiche in commento,
apportate in sede di conversione del decreto legge n. 262 del 2006, esplicano
i loro effetti a partire dal 1° gennaio 2007. Infatti, la norma in questione
riguarda una disciplina specifica che collega determinati comportamenti del
produttore agricolo – da porre in essere nell’anno in corso - al volume
d’affari realizzato nell’anno precedente; pertanto, la sua applicazione non
può che decorrere dall’anno successivo a quello della sua emanazione. Infine, a maggior chiarimento ed
approfondimento di quanto precisato nel paragrafo 52.1 della circolare n. 28
del 4 agosto 2006, si fa presente che in sede di conversione del decreto, è stato eliminato
dall’articolo 34, comma 6, ogni riferimento alle disposizioni dell’articolo
32-bis del D.P.R. n. 633 del 1972.
Con tale intervento il legislatore ha inteso escludere che i produttori
agricoli con volume d’affari non superiore a 7.000 euro potessero rientrare
fra quelli interessati dal regime della franchigia, previsto dall’articolo
32-bis, istituito con l’articolo 37
del d.l. n. 223 del 2006. Peraltro, così come
previsto per i soggetti in franchigia dall’articolo 32-bis, comma 7, del D.P.R.
n. 633 del 1972, anche i produttori
agricoli possono esercitare l’opzione per “l’applicazione dell’imposta nei modi ordinari”, ai sensi dell’articolo 34, comma 11,
dello stesso decreto n. 633 del 1972. Conseguentemente un produttore
agricolo che nell’anno solare 2006, abbia realizzato un volume di affari non
superiore a 5.000 euro, potrà optare per applicare l’IVA nei modi
ordinari, esercitando una facoltà analoga a quella spettante ai
soggetti esercenti attività
attratte nel regime di franchigia. Infine, si coglie l’occasione
per precisare che anche gli imprenditori agricoli che svolgono
un’attività di agriturismo sono esclusi dall’ambito di applicazione
del regime di franchigia di cui al citato articolo 32-bis, trattandosi di un’attività per la quale opera un
regime speciale di determinazione dell’imposta, disciplinato dall’articolo 5
della legge 30 dicembre 1991, n. 413. 17.
RIFORMA DELLA DISCIPLINA FISCALE DEGLI AUTOVEICOLI (ART. 2, COMMI 71 E 72) L’articolo 2, commi 71 e 72, del
decreto ha modificato la disciplina
della deduzione delle spese e degli altri componenti negativi di reddito
relativi ad alcuni mezzi di trasporto a motore, utilizzati nell’esercizio di
impresa, arti o professioni. Detto intervento si è
reso necessario per compensare gli effetti negativi sulla finanza pubblica
che deriveranno dall’attuazione della sentenza della Corte di Giustizia
europea nella causa C-228/05, in materia di detrazione dell’Iva sui mezzi di
trasporto. A questo riguardo, l’articolo 2, comma 72, del decreto, stabilisce che le nuove
misure che limitano la deducibilità delle spese relative agli
autoveicoli potranno essere modificate “…tenuto
conto degli effetti finanziari derivanti dalla concessione all’Italia da
parte del Consiglio dell’Unione europea dell’autorizzazione, ai sensi
dell’articolo 27 della direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio In particolare: la lettera a) del comma la lettera b) dello stesso comma
al primo periodo, sono state
aggiunte le parole “solo se rientranti
in una delle fattispecie previste nelle successive lettere a), b) e b-bis)”
[lettera b), n. 1]; alla lettera a), numero 2, sono
state soppresse le parole “o dati in
uso promiscuo ai dipendenti per la maggior parte del periodo d’imposta”
[lettera b, n. 2]; la lettera b), è stata
riformulata nel senso che la deduzione è riconosciuta “nella misura dell’80 per cento
relativamente alle autovetture ed autocaravan, di cui alle predette lettere
dell’articolo 54 del citato decreto legislativo n. 285 del 1992, ai
ciclomotori e motocicli utilizzati da soggetti esercenti attività di
agenzia o di rappresentanza di commercio in modo diverso da quello indicato
alla lettera a). numero 1)”. Inoltre, nella stessa lettera b), la
percentuale di deducibilità dei i veicoli per gli esercenti arti e
professioni è passata dal 50 per cento al 25 per cento [lettera b), n.
3]; dopo la lettera b) è
stata inserita una nuova lettera b-bis
che prevede che “per i veicoli dati in
uso promiscuo ai dipendenti è deducibile l’importo costituente reddito
di lavoro” [lettera b), n. 4]. Pertanto, le modifiche
introdotte dal decreto nel settore
in commento, producono effetti ai
fini sia del reddito di lavoro dipendente che di quello d’impresa e di lavoro
autonomo. 17.1. A)
Reddito di lavoro dipendente Per quanto concerne il reddito
di lavoro dipendente, e più precisamente la valutazione della
componente in natura di tale reddito, il comma 71, lettera a), ha modificato
l’art. 51, comma 4, lettera a) del Tuir nel senso di prevedere l’aumento dal
30 al 50 per cento del costo forfetario, risultante dall’applicazione delle
tabelle ACI, che concorre alla formazione dell’imponibile. A seguito dell’intervento
normativo in argomento, quindi, al fine di determinare il valore della
componente della retribuzione in natura derivante dalla messa a disposizione
dei dipendenti, sia per fini personali che aziendali (c.d. uso promiscuo),
degli autoveicoli indicati nell’articolo 54, comma 1, lettere a) ed m), del
D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, dei motocicli e dei ciclomotori, si deve
assumere il 50 per cento dell’importo corrispondente ad una percorrenza
convenzionale di 15 mila chilometri calcolato sulla base del costo
chilometrico di esercizio desumibile dalle tabelle nazionali messe a
disposizione periodicamente dall’ACI. Si ricorda, inoltre, che la
circolare n. 326 del 1997, alla quale si rinvia per quanto non espressamente
precisato in questa sede, ha chiarito che essendo il valore del fringe benefit fissato forfetariamente
su base annuale, l’importo da far concorrere alla formazione del reddito deve
essere ragguagliato al periodo dell’anno durante il quale al dipendente viene
concesso l’uso promiscuo del veicolo, conteggiando il numero dei giorni per i
quali il veicolo è assegnato, indipendentemente dal suo effettivo
utilizzo. Laddove sia prevista la
corresponsione da parte del dipendente di un prezzo o di un canone (con il
metodo del versamento o della trattenuta) per il godimento del veicolo in uso
promiscuo, il reddito imponibile è costituito dalla differenza tra il
valore forfetario determinato secondo il calcolo sopra descritto e quanto
corrisposto dal lavoratore. Per quanto riguarda gli altri
eventuali beni o servizi accessori che il datore di lavoro fornisce (gratuitamente
o meno) al dipendente, come, ad esempio, l’immobile per custodire il veicolo,
questi vanno separatamente valutati al
fine di stabilire l’importo da assoggettare a tassazione in capo al
dipendente. Le suddette regole trovano
applicazione, in linea generale, anche con riferimento ai redditi assimilati
a quelli di lavoro dipendente e, in particolare, per la determinazione dei
compensi derivanti da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di
cui all’articolo 50, comma 1, lettera c-bis) del Tuir. 17.2 B)
Reddito d’impresa e di lavoro autonomo Nell’ambito del reddito
d’impresa e di lavoro autonomo, come già si è accennato, le
modifiche introdotte dal decreto hanno
interessato l’art. 164 del Tuir ed in particolare: B.1) il regime dei veicoli dati
in uso promiscuo ai dipendenti [comma 71, lett. b), n. 2) e n. 4)]; B.2) il regime dei veicoli non
strumentali all’attività propria dell’impresa [comma 71, lett. b), n.
3)]; B.3) il regime dei veicoli
utilizzati nell’esercizio di arti o professioni [comma 71, lett. b), n. 3),
ultima parte]. Nulla è, invece, mutato
in riferimento al trattamento fiscale dei mezzi di trasporto strumentali
all’esercizio dell’ attività di agenzia o di rappresentanza di
commercio [art. 164, comma 1, lett. b)], per i quali è stato
confermato il precedente sistema che prevedeva la deducibilità fino
all’80 per cento delle spese. Non vi sono modifiche neppure in
riferimento al trattamento fiscale dei mezzi di trasporto strumentali
all’esercizio d’impresa [art. 164, comma 1, lett. a), n. 1] e dei veicoli
adibiti ad uso pubblico [art. 164, comma 1, lett. a), n. 2]. Per quanto riguarda
l’individuazione dei beni strumentali, si conferma quanto chiarito con la
circolare n. 48 del 1998, secondo cui sono da intendersi tali quelli senza i
quali l’attività di impresa non può essere esercitata. Resta fermo che dalla portata
applicativa dell’articolo 164 del Tuir sono esclusi tutti i mezzi di
trasporto non a motore (ad esempio, biciclette e gondole), come pure i
veicoli a motore alla cui produzione o al cui scambio è diretta
l’attività dell’impresa anche se temporaneamente utilizzati per fini
pubblicitari o promozionali (si veda Non rientrano, inoltre,
nell’area operativa della disposizione, gli autoveicoli individuati dall’art.
54, comma 1 del D.Lgs. n. 285 del 1992 (nuovo codice della strada) che non
sono richiamati espressamente dall’articolo 164 del Tuir. Trattasi, ad
esempio, degli autobus, autocarri, trattori stradali, autoveicoli per
trasporti specifici, autoveicoli per uso speciale, autotreni, autoarticolati
ed autosnodati, mezzi d’opera. Si segnala, inoltre, che con il
provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate del 6 dicembre 2006,
emanato in esecuzione dell’articolo 35, comma 11, del decreto legge 4 luglio
2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, sono state
individuate le caratteristiche dei veicoli che, a prescindere dalla categoria
di omologazione, risultano da adattamenti che non ne impediscono l'utilizzo
per i trasporto privato di persone. Si tratta dei veicoli che pur
immatricolati o reimmatricolati come N1 abbiano codice di carrozzeria F0
(Effe 0), quattro o più posti e un rapporto tra la potenza del motore
(Pt), espressa in KW, e la portata (P) del veicolo, ottenuta quale differenza
tra la massa complessiva (Mc) e la tara (T), espressa in tonnellate, uguale o
superiore a 180, secondo la seguente formula: Pt (KW) > 180
Mc –
T(t) Per espressa previsione del
menzionato articolo 35, comma 11, del d.l. n. 223 del 2006, i veicoli con le
caratteristiche su indicate dovranno essere assoggettati a regime proprio
degli autoveicoli di cui al comma 1, lettera b), dell'articolo 164 del Tuir
ai fini delle imposte dirette. Tale disposizione si applica a decorrere dal
periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del citato decreto. B. 1) Per quanto
riguarda i veicoli dati in uso promiscuo ai dipendenti, la loro disciplina, a
seguito delle modifiche apportate dal decreto,
non è più contenuta nel comma 1, numero 2), lettera a),
dell’art. 164 del Tuir, ma è stata inserita in un’apposita lettera b-bis) del medesimo art. 164, la quale
dispone che “per i veicoli dati in uso
promiscuo ai dipendenti, è deducibile l’importo costituente reddito di
lavoro”. Il legislatore fiscale ha,
pertanto, creato uno stretto collegamento tra l’importo assoggettato a
tassazione a titolo di retribuzione in natura per il dipendente ai sensi
dell’art. 51, comma 4, lettera a), del Tuir (c.d. fringe benefit) e la spesa deducibile dall’impresa. Quindi, ai sensi della nuova
lettera b-bis), l’impresa
potrà unicamente dedurre dal proprio reddito l’importo corrispondente
al fringe benefit portato a
tassazione in capo al dipendente. Nel caso in cui il dipendente
corrisponda delle somme a fronte dell’utilizzo del veicolo per rimborsare in
tutto o in parte il relativo costo sostenuto dall’impresa, si ribadisce che
dette somme vanno a decurtare il reddito di lavoro dipendente. In tal caso,
considerato che le somme rimborsate dal dipendente concorrono a formare il
reddito dell’impresa, è da ritenere che i costi effettivamente
sostenuti dall’impresa, per un ammontare corrispondente a dette spese,
possano essere portati in deduzione dal reddito in quanto strettamente
correlati al componente positivo tassato. In ogni caso l’importo
complessivamente deducibile dall’impresa, a titolo di fringe benefit e di altri costi, non può eccedere quello
delle spese sostenute per l’autoveicolo dato in uso promiscuo. Si considerino i seguenti
esempi: Esempio 1 Costi sostenuti dall’impresa 210 Fringe benefit 100 Somme rimborsate 40 L’impresa registrerà: un componente positivo di reddito, incluso
nell’utile civilistico, pari a una variazione fiscale in
aumento pari a 110, per riprendere a tassazione i costi sostenuti (210) al
netto del fringe benefit (60) e
delle somme rimborsate (40), che sono deducibili. Esempio 2 Costi sostenuti dall’impresa 80 Fringe benefit 100 Somme rimborsate 40 L’impresa registrerà: un componente positivo di
reddito, incluso nell’utile civilistico, pari a nessuna variazione fiscale in
aumento o in diminuzione, in quanto ai costi complessivamente sostenuti (80)
vanno sottratti il fringe benefit
(60) e le somme rimborsate, ma solo fino a concorrenza dei predetti costi
(20). Si fa presente, inoltre, che la
nuova lettera b-bis) non prevede,
diversamente da quanto stabilito dalla previgente disciplina, alcun
riferimento al periodo di possesso del veicolo da parte del dipendente.
Ciò considerato, affinché trovi applicazione la disciplina portata
dalla lettera b-bis), non si
richiede più che il dipendente utilizzi il veicolo per la maggior
parte del periodo d’imposta. Come prima precisato, il periodo di concessione
in uso al dipendente del veicolo, inciderà sul calcolo del fringe benefit e, conseguentemente,
sull’ammontare dei relativi costi deducibili da parte dell’impresa. Si
ricorda, infatti, che l’importo da far concorrere alla formazione del reddito
deve essere ragguagliato al periodo dell’anno durante il quale al dipendente
viene concesso l’uso promiscuo del veicolo, conteggiando il numero dei giorni
per i quali il veicolo è assegnato, indipendentemente dal suo
effettivo utilizzo. In caso di concessione in uso
del medesimo mezzo a più dipendenti nel corso dello stesso anno, ai
fini dell’ammontare deducibile occorre sommare il valore di ciascun fringe benefit concesso. In caso di veicoli concessi in
uso a titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa,
ovvero all’amministratore di società, si conferma quanto affermato con
la circolare n. 5 del 2001, punto 10, secondo la quale l’assimilazione,
operata dall'art. 34 della legge 342 del 2000, del trattamento fiscale dei
redditi derivanti da rapporti di collaborazione coordinata ai redditi di
lavoro dipendente, concerne le modalità di determinazione del reddito
del collaboratore ai fini delle imposte dirette, ma non si configura quale
assimilazione delle due tipologie di rapporto di lavoro a tutti gli effetti
di legge ed, in particolare, non opera con riferimento alle disposizioni che
regolano la deduzione dal reddito di impresa o di lavoro autonomo. Pertanto, qualora un'autovettura
venga data in uso promiscuo all’amministratore, l'ammontare del fringe benefit che concorre a formare
il reddito dell'amministratore è deducibile per l'impresa, ai sensi
dell'art. 95 del TUIR, fino a concorrenza delle spese sostenute da
quest'ultima. L'eventuale eccedenza delle spese sostenute dall’impresa
rispetto al fringe benefit non
è deducibile, in ragione del nuovo regime di indeducibilità dei
veicoli non strumentali, per il commento del quale si rinvia al successivo
punto. Si fa presente, infine che, nei
casi in cui è possibile che un dipendente rivesta, per lo stesso
periodo, anche la carica di amministratore, e che tale ufficio rientri nei
compiti istituzionali compresi nell’attività di lavoro dipendente, i
redditi percepiti in relazione a tale qualità sono attratti nel
reddito di lavoro dipendente. In questo caso, poiché tutte le somme e i
valori percepiti saranno qualificati e determinati come redditi di lavoro
dipendente, si ritiene che, anche ai fini della deduzione dei costi dei
veicoli da parte dell’impresa, trovino applicazione le disposizioni di cui
all’articolo 164 del Tuir. B. 2) Per quanto
riguarda il regime dei veicoli non
strumentali (per la definizione di strumentalità si conferma quanto
chiarito con la circolare n. 48 del 1998, secondo cui sono da intendersi tali
quelli senza i quali l’attività di impresa non può essere
esercitata) si fa presente che il comma 71, numero 3, lettera b), dell’articolo
2 del decreto ha modificato
radicalmente il trattamento fiscale applicabile a tali veicoli da parte degli
esercenti attività d’impresa, prevedendo per gli stessi un regime di
totale indeducibilità sia per quanto riguarda il costo d’acquisto, sia
per le relative spese di gestione. Per effetto della nuova
formulazione della norma, i veicoli non strumentali, e cioè quelli che
non rientrano nelle previsioni della lettera a) e della lettera b-bis) che disciplinano,
rispettivamente, il trattamento dei veicoli strumentali e di quelli dati in
uso promiscuo ai dipendenti, sono
stati esclusi dalla lettera b), comma 1, dell’art. 164 del Tuir. Ne discende
che i veicoli non strumentali appartenenti ad una delle categorie di mezzi di
trasporto indicati dall’articolo 164 del Tuir (autovetture, autocaravan,
motocicli e ciclomotori), sono caratterizzati fiscalmente da un regime di
totale indeducibilità. Tale trattamento fiscale si
applica a prescindere dal titolo giuridico mediante il quale l’impresa
utilizza il mezzo di trasporto (ad esempio, leasing o di noleggio). B. 3) Infine,
l’ultima parte del comma 71, n. 3), lettera b), dell’art. 2 del decreto ha ridotto dal 50 per cento al
25 per cento la quota di deduzione spettante agli esercenti arti e
professioni (sia in forma individuale che associata), in relazione ai
medesimi veicoli indicati dall’art. 164 del TUIR. Si ricorda che nel caso di
esercizio in forma individuale la deduzione delle spese e degli altri
componenti negativi di costo è limitata ad un solo veicolo, mentre, se
l’attività è svolta da società semplici o da
associazioni di cui all’articolo 5 del TUIR, la deducibilità è
consentita per un veicolo per ciascun socio o associato. Rispetto alla
disciplina previgente, rimangono inalterati i limiti massimi di costo
fiscalmente riconosciuti su cui poter calcolare la percentuale di deduzione
(18.075,99 euro per le autovetture e gli autocaravan, 4.131,66 euro per i
motocicli, 2.065,83 euro per i ciclomotori). L’art. 2, comma 72 del decreto, regola la decorrenza degli
effetti derivanti dalle modifiche introdotte dal comma 25) e dispone che in
deroga all’articolo 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, le disposizioni
dello stesso comma 25 trovano applicazione a partire dal periodo d’imposta in
corso al 3 ottobre 2006. Tuttavia, ai soli fini del versamento in acconto
delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività
produttive relative a detto periodo ed a quelli successivi, il contribuente
può continuare ad applicare le previgenti disposizioni. Invece, per quanto riguarda le
novità in materia di reddito da lavoro dipendente, per espressa
previsione contenuta nell’articolo 1, comma 324, della legge 27 dicembre 2006
n. 296 (finanziaria per l’anno 2007), le modifiche sopra illustrate trovano
applicazione a partire dall’anno 2007. Con la menzionata norma viene
modificato, infatti, il primo periodo dell’articolo 2, comma 72, del decreto, prevedendo che le norme di
cui alla lettera a) del comma 71 (concernente modifiche all’articolo 51 del
TUIR che reca disposizioni in materia di determinazione del reddito di lavoro
dipendente) hanno effetto a partire dal periodo d’imposta successivo alla
data di entrata in vigore del provvedimento stesso, e, quindi dal 2007. Resta confermata l’entrata in
vigore a partire dal periodo d’imposta in corso al 3 ottobre 2006 per le
altre disposizioni. *** Le Direzioni Regionali
vigileranno sulla corretta applicazione delle presenti istruzioni. IL DIRETTORE DELL’AGENZIA Massimo Romano |
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