Da: “Critica illuminista e crisi della società borghese” di Reinhart Koselleck - Edizioni “Il
Mulino” - 1972
Capitolo
secondo: L'autocoscienza degli illuministi e lo Stato assoluto.
(1°)
L’intellighenzia borghese
nasce proprio in quello spazio interno privato in cui lo Stato assoluto aveva
relegato i suoi sudditi. Ogni passo verso l'esterno è un passo verso
la luce, un atto di illuminazione. L'Illuminismo inizia la sua
marcia trionfale nel momento stesso in cui allarga lo spazio privato interno
fino a farlo diventare pubblico. Senza rinunziare al suo carattere
privato, questo settore pubblico diventa la tribuna della società che
compenetra tutto lo Stato. Infine, la società busserà alla porta dei
detentori del potere, per esigere anche qui l'accesso all'opinione pubblica.
[….]
John Locke (1632-1704),
il padre spirituale dell'Illuminismo borghese cominciò nel 1670 sotto il
dominio assolutistico degli Stuarts, a lavorare
a An Essay
Concerning Human Understanding. L'ampia
opera fu terminata durante i sei anni di esilio in Olanda e poté essere
pubblicata in Inghilterra dopo la caduta di Giacomo II. In
quest'opera, che nel secolo successivo doveva diventare un po' il Vangelo della
borghesia moderna, Locke si occupa anche delle leggi in base alle quali i
borghesi regolano la loro vita. Com'egli stesso dice, si avventurò
così in un campo che doveva essere meditato con cura tutta particolare, per
evitare oscurità e confusioni.
Locke distingue qui tre
tipi di leggi: « La legge divina, che è misura del peccato e del dovere», e
viene manifestata all'uomo dalla natura o dalla rivelazione; « La legge civile,
che è misura dei crimini e dell'innocenza » ed è la legge dello Stato legata al
potere di coercizione, il cui compito consiste nel proteggere i cittadini; al
terzo posto la legge specificamente filosofica cioè « La legge morale, che è
misura della virtù e del vizio ».
[…]
Come Locke dimostra in
modo del tutto empirico, le leggi morali borghesi nascono nello spazio interno
della coscienza umana, che Hobbes aveva escluso dall'ambito del potere
statale. Quantunque i cittadini abbiano attribuito allo Stato la
facoltà di disporre di tutto il loro potere, in modo che essi non possano
procedere contro nessun concittadino al di là dei limiti concessi dalle leggi
del Paese, « tuttavia conservano il potere di pensare bene o male, approvando o
disapprovando le azioni di coloro coi quali vivono e con cui hanno
rapporto». I cittadini non hanno insomma alcun potere esecutivo, ma
possiedono e mantengono il potere spirituale del giudizio
morale. […] Per Locke, le opinioni dei cittadini sulla
virtù e il vizio non sono più limitate al campo delle opinioni e dei pareri: i
giudizi morali dei cittadini possiedono invece essi stessi carattere di
legge. La morale dell'opinione, esclusa dallo Stato per opera di
Hobbes, viene così allargata in duplice guisa.
Senza autorizzazione
statale, le leggi della morale borghese come per Hobbes sussistono in modo
tacito e segreto, ma non restano più limitate agli individui in quanto tali: al
contrario, acquistano la loro obbligatorietà universale dal consenso segreto e
inespresso dei cittadini. Portatore della morale segreta non è più
l'individuo ma la società, che si forma nei « circoli », nei quali ad esempio i
filosofi si occupano in particolare di esplorare le leggi morali. I
cittadini non si subordinano più soltanto alla autorità statale, ma formano
tutti insieme una società, la quale sviluppa le sue leggi morali che compaiono
a fianco delle leggi dello Stato. Così la morale borghese - per sua
natura tacita e segreta - si sposta nel settore pubblico, e con ciò stesso
diviene visibile la seconda trasformazione che ha subito, per opera di Locke,
la morale hobbesiana dell'opinione: le leggi morali borghesi valide in segreto
non restano più limitate all'opinione, ma determinano il valore morale delle
azioni. I cittadini stessi stabiliscono il livello di valore di
tutte le azioni, che per Hobbes era riservato al sovrano « danno il nome della
virtù a quelle azioni che in mezzo a loro sono giudicate lodevoli, e chiamano
vizio ciò che considerano riprovevole ».
[….] Le
opinioni private dei cittadini assurgono a legge unicamente grazie alla censura
insita in esse. Per questo Locke definisce la legge dell’opinione
pubblica anche « legge della censura privata ». Spazio privato e pubblico si
escludono tanto poco che semmai avviene che il secondo scaturisca dal primo. La
certezza dell'interiorità morale consiste nella sua capacità di acquistare
carattere pubblico. Lo spazio privato per virtù propria si dilata
fino a diventare ambito pubblico e soltanto per il tramite di quest'ultimo le
opinioni private si confermano come legge.
[….] Per non
mettersi da soli dalla parte del torto, i cittadini sono costretti a emettere
di continuo i propri giudizi, e soltanto attraverso i propri giudizi
stabiliscono ciò che è moralmente giusto nello Stato e ciò che non lo è. […..]
Addirittura per Locke i cittadini devono proclamare le proprie private opinioni
come una legge universalmente vincolante, perché soltanto nella sentenza
autonoma dei cittadini viene a costituirsi l'autorità della società, e soltanto
con l'esercizio costante della censura morale questa censura dimostra di essere
legge. [….]
Come in Bayle la ragione si stabilisce come istanza suprema
soltanto nell'eterno processo della critica, così in Locke le opinioni morali
dei cittadini si innalzano a legge universalmente vincolante soltanto nel
costante esercizio della censura. La critica associata alla ragione e
la censura associata alla morale divennero la stessa cosa per l'autocoscienza
borghese, vale a dire un'attività che motiva se stessa. La loro comunanza
consiste nella sentenza. nel giudizio, che da un lato divide il mondo nei regni
del bene e del male, o del vero e del falso, ma contemporaneamente sulla base e
nell'esercizio di questa divisione innalza i cittadini a suprema istanza
giudicante. Senza richiamarsi alle leggi statali, ma anche senza
possedere un proprio potere esecutivo politico, nel costante alternarsi di
critica intellettuale e di censura morale si sviluppa la borghesia moderna.
«Soltanto allora », dirà un secolo dopo Schiller,
«soltanto quando avremo deciso da noi stessi che cosa siamo e che cosa non
siamo, soltanto allora saremo sfuggiti al pericolo di soffrire per il giudizio
altrui ». La sentenza dei cittadini legittimante se stessa come giusta e vera,
la censura, la critica divengono il potere esecutivo della nuova società.
Locke con la sua
interpretazione della legge filosofica ha dato un peso politico allo spazio
interiore della coscienza umana, che Hobbes aveva subordinato ad una politica
statale. Le azioni pubbliche non soggiacciono soltanto all'istanza
statale, ma contemporaneamente all'istanza morale dei cittadini. A questo modo,
Locke ha dato espressione alla decisiva irruzione nell'ordine assolutistico,
che si esprimeva nel rapporto tra protezione e obbedienza: la morale non è più
una morale formale dell'obbedienza, non è più subordinata ad una politica
assolutistica ma si contrappone alle leggi dello Stato.
[….] Il potere politico
diretto resta riservato allo Stato, la «legge dell'opinione» invece
è priva di mezzi statali di coercizione. Ma anche se i cittadini
hanno ceduto alla guida dello Stato il proprio potere politico di intervento,
tuttavia la loro « legge filosofica » è solo apparentemente priva di
autorità. Essa esiste ed opera soltanto per mezzo della lode o del
biasimo, ma di fatto è assai più efficace nelle sue ripercussioni, nei suoi
effetti. Infatti nessuno può sfuggire a questa
sentenza. Su diecimila individui, non uno è in grado di sottrarsi al
giudizio morale degli altri uomini: «Chiunque agisca contro il costume o
l'opinione della compagnia in cui si trova, non sfuggirà alla pena della sua
censura e della sua ripulsa ». Perciò, accanto alle istanze statali e
religiose, il terzo potere si presenta come il più potente, poiché ad esso sono
subordinati tutti i cittadini, «e così essi fanno ciò che procura loro buona
reputazione nella loro compagnia e tengono minor conto delle leggi di Dio o del
magistrato ». Così, al di là della situazione inglese, Locke ha descritto la
peculiare efficacia della legislazione morale.
Le leggi statali operano
direttamente attraverso il potere di coercizione dello Stato che sta dietro di
esse, la legislazione morale opera nel medesimo Stato, ma indirettamente e
assai più incisivamente. La morale borghese diventa un potere
pubblico che, pur operando soltanto sul piano spirituale, nelle sue
ripercussioni è politico in quanto obbliga il cittadino ad adattare le proprie
azioni non soltanto alle leggi dello Stato ma contemporaneamente, e innanzi
tutto, alla legge dell'opinione pubblica.
[….]
(2°)
[….]
Totalmente esclusi dalla
politica, gli uomini della società si incontravano in luoghi «apolitici»: alla
Borsa o nei caffè, nelle Accademie, dove le nuove scienze venivano promosse
senza dover sottostare all'autorità ecclesiastico-statale di una Sorbonne, o nei club, dove non potevano amministrare la
giustizia ma criticavano la giustizia dominante; nei salotti, dove lo spirito
poteva muoversi in libertà senza avere carattere ufficiale come sul pulpito o
nelle cancellerie, oppure ancora nelle biblioteche e nelle associazioni
letterarie, nelle quali ci si occupava di arte e di scienza, non però di politica
statale. Così sotto la protezione dello Stato assolutistico la nuova
società creò le proprie istituzioni, i cui compiti - fossero o no tollerati e
promossi dallo Stato - erano «sociali». Si creò così nello sfondo una
istituzionalizzazione la cui forza politica non poteva però dispiegarsi
apertamente nel solco della legislazione monarchica o nell'ambito delle
istituzioni statali o di quelle ancora esistenti di ceto; questi rappresentanti
della società semmai poterono fin da principio, esercitare un'influenza
politica soltanto per via indiretta. Tutte le istituzioni sociali di questo
nuovo strato ottennero quindi un carattere potenzialmente politico, e nei
limiti in cui riuscivano ad esercitare un’influenza sulla politica e la
legislazione statale, divennero autorità politiche indirette.
Non appena lo Stato vide
minacciato da questa direzione il monopolio della propria legislazione,
intervenne contro queste istituzioni di tipo nuovo. Illuminante in proposito la
sorte del « Club de l'Entresol». « E’ una specie di
club all'inglese, o di società politica perfettamente libera », riferisce il
marchese d'Argenson, il suo membro più importante,
nelle sue Mémoires « composta di persone
che desiderano discutere di ciò che avviene, che possono riunirsi e parlare
senza alcun timore di compromettersi, perché si conoscono l'un l'altro e sanno
con chi e davanti a chi parlano. In questa associazione suggerita da Bolingbroke ", si trovavano eminenti studiosi,
sacerdoti progressisti, alti ufficiali ed esperti funzionari, che raccoglievano
e discutevano le notizie di tutto il mondo; ciascuno aveva una sua determinata
competenza. e il lavoro principale riguardava i problemi di politica interna ed
estera. [….]