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DOSSIER CONFLITTO DI INTERESSI

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INDICE

 

Articoli del 1° 2 gennaio 2008

Articoli del 31 dicembre 2007

Articoli dal 24 al 27 dicembre 2007

Articoli dal 19 al 23 dicembre 2007

Articoli dal 15 al 18 dicembre 2007

Articoli del 14 dicembre 2007

Articoli del 13 dicembre 2007

 

ARCHIVIO DEL DOSSIER

 

ARTICOLI DEL 1° E 2 GENNAIO 2008

"Derivati" per 9.600 miliardi Una bomba sotto i mercati ( da "Stampa, La" del 02-01-2008)

Generali e Algebris, la resa dei conti sarà in primavera ( da "Giornale.it, Il" del 02-01-2008)

Prodi: "Non cado con le parole" ( da "Tempo, Il" del 02-01-2008)


Articoli

"Derivati" per 9.600 miliardi Una bomba sotto i mercati (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Stampa, La" del 02-01-2008)

 

ROMA Il volume di mercato dei titoli "derivati" è cresciuto troppo, creando instabilità, ed è probabilmente destinato ad aumentare, visto che molti operatori finanziari usano proprio i derivati per mascherare i buchi creati dai mutui americani "subprime". La denuncia arriva dall' Adusbef, che chiede alle autorità di intervenire, altrimenti "la crisi dei mercati si trascinerà ancora per molto tempo e i depositanti raggirati potranno replicare la crisi di panico dei risparmiatori londinesi". "I mercati non si calmano nonostante le rassicurazioni. Resteranno impresse e potranno replicarsi le scene vissute dai clienti della Northern Rock", afferma l'associazione dei consumatori. Adusbef mette sul banco degli imputati "le autorità monetarie, a cominciare dalle banche centrali passando per il Fondo monetario internazionale"; a costoro l'associazione chiede di "imporre ai governi del G7 di mettere sotto controllo la finanza derivata", che Adusbef definisce come "la gallina dalle uova d'oro ideata con finalità speculative e abusata dalle grandi banche d'affari, in connubio e in rapporto incestuoso con le agenzie di rating". In parallelo, Adusbef ha chiesto alle autorità giudiziarie di indagare "sul conflitto di interesse fra le agenzie di rating e le banche d'affari, e al Comitato interministeriale per il credito e il risparmio e alle autorità di mercato maggiore rigore e serietà", perchè "non si può affermare che banche italiane, fondi e assicurazioni siano immuni dai rischi indotti dai mutui subprime e dai prodotti derivati", come invece si sente dire troppo spesso. A conferma della propria tesi, e cioè che il ricorso a derivati è salito, e di molto, l'Adusbef riporta le cifre della Banca d'Italia e della Banca dei regolamenti internazionali. Secondo Bankitalia a fine giugno 2007 i derivati in capo alle banche italiane sono aumentati del 54,9% rispetto a dicembre 2006, raggiungendo la quota di 9.640 miliardi di dollari (proprio miliardi, non milioni). Per la Bri la 30 giugno i derivati avevano superato, a livello mondiale, i 430.000 miliardi di dollari (come sopra). \.


Generali e Algebris, la resa dei conti sarà in primavera (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Giornale.it, Il" del 02-01-2008)

 

Di Redazione - mercoledì 02 gennaio 2008, 07:00 da Milano L'hedge fund inglese Algebris non demorde e prosegue nella ricerca di consensi per "svecchiare" la governance delle Generali e migliorarne la redditività. Il presidente Antoine Bernheim che, a 83 anni, non ha alcuna intenzione di mollare, continua a lanciare strali contro alcuni dei soci italiani della compagnia, accusati di complottare contro di lui. Il consiglio di amministrazione delle Generali, svoltosi il 13 dicembre scorso (quello che all'unanimità ha votato per mantenere inalterata la struttura di governo societario del gruppo), avrebbe dovuto raffreddare il clima intorno al Leone di Trieste. Ma sotto l'apparente concordia continua a serpeggiare la tensione, mentre cresce l'attesa per l'assemblea della prossima primavera, quando si potrà capire se il fondo guidato da Davide Serra ed Eric Halet, titolare dello 0,3% di Generali con un'opzione sullo 0,7% del capitale, riuscirà a far inserire nell'ordine del giorno dell'assemblea i temi di suo interesse (basta il 2,5% del capitale mentre per la convocazione di un'assemblea ad hoc occorre il 10%). Davide Serra, analista tra i più quotati della City, riprenderà a tessere la sua tela al termine delle festività cercando di coagulare consenso sui punti che, a suo avviso, penalizzano la redditività del Leone: il sistema di remunerazione del management, la corporate governance e i conflitti di interesse con Mediobanca. Resta da capire come reagiranno alcuni dei consiglieri e soci delle Generali dopo il crescendo di accuse di Antoine Bernheim. Il presidente del gruppo triestino ha indicato alcuni di loro come i "manovratori" di Algebris, rilevando anche "strane coincidenze" tra i rilievi mossi dal fondo e le richieste di alcuni consiglieri dopo l'assemblea dello scorso aprile che ha rinnovato il mandato di Bernheim fino al 2010. L'acuto finale, l'ex banchiere della Lazard, l'ha riservato ai dipendenti del gruppo, in occasione degli auguri di fine anno. Parlando del "complotto" organizzato contro di lui da "azionisti italiani", Bernheim ha usato l'espressione "attacco mafioso". Anche se l'anziano presidente non ha mai fatto i nomi dei fiancheggiatori di Algebris, la stampa ha individuato negli amministratori delegati dell'Eni e della De Agostini, Paolo Scaroni e Lorenzo Pelliccioli, e nel patron di Luxottica, Leonardo Del Vecchio, i bersagli più probabili.


Prodi: "Non cado con le parole" (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Tempo, Il" del 02-01-2008)

 

"Un governo cade con un voto di sfiducia non con le dichiarazioni o le interviste. E poi un altro governo deve avere la fiducia anche alla Camera" dove questa maggioranza è ben salda.[...] Home Politica prec succ Contenuti correlati Umberto Pizzi e 'La Bocca', l'inaugurazione della mostra Visti da Pizzi: Palazzo Wedekind, incontro tra Fini e Veltroni per le riforme Strani oggetti nella Fontana di Trevi La sorella di Britney Spears incinta a 16 anni Prodi: "L'italia si è rimessa a camminare" Berlusconi: "Incosciente" Attentato di Al Qaeda durante un comizio Muore Benazir Bhutto Insomma Dini prima di aprire una crisi "pensi al dopo". è con queste poche parole che Romano Prodi liquida l'intervista al fiele di Lamberto Dini che solo ventiquattr'ore prima lo dava per spacciato, senza una maggioranza netta al Senato e incapace di mantenere gli impegni del programma di governo. Prodi si presenta al consueto appuntamento di fine anno con l'aria sprezzante verso chi aveva pronosticato che non sarebbe arrivato a mangiare il panettone vuoi per l'ipotesi di una spallata, vuoi per l'irrequietezza dei centristi e della sinistra radicale. E se ora Dini chiede la sua testa Prodi ostenta sicurezza. "Quella di gennaio non sarà una verifica e il programma resta quello originario". Smentisce l'ipotesi di rimpasti ("il governo funziona") e ribadisce la compattezza della maggioranza sui temi delicati della politica estera e dell'economia. Il premier non risparmia una frecciata anche a Veltroni, principale regista dell'accordo bipartisan sulla legge elettorale, ricordandogli che i partiti minori "non vanno messi fuori gioco", che l'accordo parlamentare "deve essere amplissimo", e deve andare di pari passo con le altre riforme istituzionali: riduzione del numero dei parlamentari, monocameralismo e riforma dei regolamenti parlamentari. Il messaggio di Prodi è chiaro: a chi si era illuso di sfrattarlo da Palazzo Chigi manda a dire che è ben saldo in sella e i risultati sul fronte del risanamento dei conti pubblici lo mettono al riparo dalle critiche. "Io ho vinto le elezioni - ha detto - e i sondaggi si considerano al momento delle elezioni. Vado avanti, un governo si abbatte solo con un voto di sfiducia". Quanto all'ipotesi di un governo di transizione, il premier non vuole nemmeno prenderla in considerazione. "In caso di sfiducia io non avrò più titolo a esprimermi. Spetterà a altri pronunciarsi". Poi sempre rivolto a Dini, sottolinea che "per votare contro un governo bisogna avere delle motivazioni" e queste non ci sono. Quindi enfatizza i risultati realizzati. "L'Italia si è rimessa in cammino ed è uscita dall'emergenza. Il pil cresce al ritmo del 2% da due anni, il debito sta calando e a fine legislatura arriverà sotto il 100% del pil. In più il rapporto deficit-pil a fine anno si attesterà intorno al 2%. E il tasso di disoccupazione è il più basso degli ultimi 25 anni". Ma esiste anche il problema di una "crisi legata alla mancanza di fiducia che impedisce di camminare spediti". Prodi è prodigo di promesse per il 2008. A partire da "una grande patto con sindacati e imprese per il recupero del potere d'acquisto dei redditi medio bassi e per una diminuzione delle imposte. "Abbiamo accumulato le risorse ma sindacati e datori di lavoro si devono impegnare a fare un balzo in avanti". Prodi dedica poche parole al tema della sicurezza limitandosi a ammettere che "c'è un clima di insicurezza diffuso". Promette infine che riproverà a far passare una legge sul conflitto d'interessi ("finora non ci sono riuscito" ammette). Laura Della Pasqua 28/12/2007 Il caso: C'è spazio solo per la stampa 'amica' - Berlusconi: "Prodi parla di un Paese che non esiste".

 


ARTICOLI DEL 31 DICEMBRE 2007

Realacci (Pd): il conflitto di interessi non è fermo per il dialogo con Fi. Ma per i senatori dell'Unione che non lo voterebbero ( da "Unita, L'" del 31-12-2007)

Legge elettorale, ripartiamo da zero ( da "Unita, L'" del 31-12-2007)

Baget Bozzo: <La crisi può attendere Il premier è sorretto dai poteri forti> ( da "Giornale.it, Il" del 31-12-2007)


Articoli

Realacci (Pd): il conflitto di interessi non è fermo per il dialogo con Fi. Ma per i senatori dell'Unione che non lo voterebbero (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Unita, L'" del 31-12-2007)

 

Stai consultando l'edizione del Realacci (Pd): il conflitto di interessi non è fermo per il dialogo con Fi. Ma per i senatori dell'Unione che non lo voterebbero.


Legge elettorale, ripartiamo da zero (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Unita, L'" del 31-12-2007)

 

Stai consultando l'edizione del ROSY BINDIAl Pd chiede: si convochi l'assemblea costituente prima di avanzare proposte. Il dialogo Pd-Fi potrebbe legittimare Berlusconi "Legge elettorale, ripartiamo da zero" di Simone Collini / Roma Con l'anno nuovo il confronto sulla legge elettorale deve ripartire da zero. E l'argomento va affrontato dopo la verifica di governo. Ne è convinta Rosy Bindi, che si dice anche favorevole a convocare l'Assemblea costituente del Partito democratico per discutere le due questioni. Quanto alle richieste avanzate da Dini, poi, il ministro per la Famiglia apprezza che il senatore Libdem sia "uscito dalla fase dei pretesti" e abbia invece posto questioni programmatiche. Ma aggiunge che i punti "non contenuti nel programma con cui si siamo presentati agli elettori vanno discussi all'interno della coalizione, non possono essere imposti". Il coordinatore di Fi Bondi dice che avrebbe potuto scrivere del Popolo delle libertà tutto quanto ha scritto Reichlin del Pd, e che è d'accordo con lui sulla necessità di un "partito della Nazione". Che ne pensa ministro Bindi? "Che non c'è niente di nuovo rispetto a come si è aperto il dialogo sulla legge elettorale, con l'ipotesi di un premio di maggioranza non più per le coalizioni ma per i partiti principali. Proprio su questo, però, si è arenato il dialogo. Perché se è vero che esistono tanti partitini dell'1%, è anche vero che diverse forze politiche più consistenti non sono disponibili a dare il via libera a una legge elettorale che li costringe all'annessione e a un bipartitismo forzato. Ora, con l'anno nuovo, bisogna ricominciare da capo". Addirittura ripartire da zero? "Sì, anche perché la discussione in questa fase è partita dalla legge attuale, anziché dal cammino che da essa è stato interrotto. Il "porcellum" deve essere considerato una parentesi da cancellare, e invece ci si è mossi come se il proporzionale fosse inevitabile". Non è così? "Non è così. Il Pd deve riprendere il cammino dal maggioritario e dalla possibilità per l'elettore di scegliere non solo chi mandare in Parlamento ma anche da chi essere governato. E questo anche per evitare l'equivoco, che poi di fatto si è generato, di un asse privilegiato tra i due partiti principali, e anche il rischio di legittimare un rilancio del centrodestra intorno alla figura di Berlusconi proprio nel momento in cui ci sono le condizioni perché avvenga il contrario". Ancora antiberlusconismo? "Non è che non voglia chiudere la stagione delle contrapposizioni, anzi. Ma non vedo le condizioni per un dialogo che finisca per legittimare una sorta di anomalia di questo nostro Paese. Quanto meno perché sul tavolo non ci sarà la legge sul conflitto di interessi e non ci sarà la riforma del sistema radiotelevisivo". Che deve fare secondo lei il Pd a questo punto, a parte saltare a pie' pari il "porcellum"? "Ripartire da se stesso, convocare l'Assemblea costituente per discutere la riforma elettorale e anche di come rilanciare l'azione di governo. Poi, sul sistema elettorale, avanzare una proposta prima di tutto agli alleati, e poi all'opposizione". Parlava del rilancio dell'azione di governo: deve camminare di pari passo al dialogo sulla legge elettorale, secondo lei? "A me pare di capire che prima bisogna fare la verifica di governo e poi prendere in mano la legge elettorale. Questo per non compromettere il rilancio dell'azione di governo depositando una proposta di legge elettorale che può rappresentare una provocazione per alcuni partiti". Dini condiziona il suo sostegno al governo a un "programma minimo" in sette punti. "Dini esce dalla fase dei pretesti e pone questioni programmatiche. Ora mi auguro che abbandoni i toni dell'ultimatum. Quanto propone verrà preso in considerazione nei tempi e nei modi propri di una coalizione". Il senatore non sembra lasciare margini di discussione, però. "Ci sono aspetti posti da Dini che possono rappresentare un approfondimento del programma, ce ne sono altri che nel programma non ci sono. E nessuno può pensare di avanzare a metà legislatura delle proposte programmatiche imponendole, senza passare per un confronto tra alleati". Il ministro Padoa-Schioppa ha frenato sulla possibilità di uno sconto immediato sull'Irpef e Rifondazione è pronta ad andare all'attacco facendosi forte di quanto detto da Prodi nella conferenza stampa di fine anno. "Padoa-Schioppa fa il suo mestiere, e in questi anni lo ha fatto anche bene, guardando ai risultati. Io credo che quanto detto da Prodi può trovare una graduale attuazione, a partire da un accordo con le parti sociali. Proseguiremo lungo la strada delle detrazioni fiscali e degli assegni per i figli delle famiglie dai redditi medio-bassi. Inoltre mi pare siano maturi i tempi per un accordo sulla produttività e sui salari".


Baget Bozzo: <La crisi può attendere Il premier è sorretto dai poteri forti> (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Giornale.it, Il" del 31-12-2007)

 

Baget Bozzo: "La crisi può attendere Il premier è sorretto dai poteri forti" di Gianni Baget Bozzo - lunedì 31 dicembre 2007, 07:00 Don Gianni Baget Bozzo, quale sarà il destino del governo nel 2008? "Io vedo la crisi difficile perché dietro Prodi ci sono molti poteri forti, non solo italiani ma anche europei. Inoltre se cade Prodi crolla tutta l'alleanza. Cosa fa il Partito Democratico a quel punto? Ci penseranno bene prima di staccare la spina. E poi i diniani: se fanno cadere il governo vuol dire che Veltroni ha vinto. Se lo fanno, lo fanno per procura, non hanno voti e non hanno futuro senza una copertura. Difficile che vadano con Forza Italia. Si muovono solo se Veltroni vuole rompere con Prodi. La chiave sta nel Partito Democratico e attualmente non vedo una reale volontà di rompere neanche in Veltroni". Se Prodi cade si va al voto o si forma un governo di larghe intese? "Si va al voto subito. Se Prodi cade è perché è Prodi stesso che lo decide. Sarà Prodi a far cadere Prodi. Lui si dimette e obbliga tutti ad andare alle urne con questa legge elettorale". Si andrà al referendum o i partiti riusciranno a fare la riforma elettorale? "È tutto legato alla resistenza di Prodi. Inoltre non è escluso che la Corte non conceda il suo via libera. Non mi meraviglierebbe affatto. E quello sarebbe per il presidente del Consiglio un grande successo. Io ritengo che quello di Prodi sia un mini-regime difficile da schiodare. La sinistra, d'altra parte, ha una gran paura di rompere, e questo vale sia per Bertinotti che per Veltroni". Il centrodestra riuscirà a ritrovare la pace? "Sarà inevitabile ritrovare la pace. Alla fine il centrodestra sarà obbligato a resistere con questa formazione. D'altra parte non c'è un'alternativa, non c'è uno spazio al centro". L'abbraccio Berlusconi-Veltroni è soltanto fantapolitica? "Per ora è solo un'ipotesi nell'aria. Prodi lo osteggia, va all'attacco, torna a battere sul tasto del conflitto di interessi. Io credo che questo regime prodiano - in cui lui governa i partiti e li logora - impedisca l'accordo". "Qual è il suo auspicio per il 2008? "Io spero che Prodi cada e che la sinistra decida davvero di fare la sinistra".

 

 


ARTICOLI DAL 24 AL 27 DICEMBRE 2007

 

Si sfila anche Pallaro. Violante a Dini: guarda i risultati Tra verifica e senatori uscenti, si annuncia un gennaio caldo. Il riconteggio dei seggi potrebbe aiutare Prodi ( da "Unita, L'" del 24-12-2007)

L'IDEOLOGIA DEL DECLINO IL PIACERE DELL'AUTOGOL ( da "Corriere della Sera" del 24-12-2007)

ROMA - Sono pronte da tempo le nuove linee guida per l'applicazione della legge 40, quella sull ( da "Messaggero, Il" del 24-12-2007)

<B&B, la Regione fa tutto da sola> ( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 27-12-2007)

Acqua ai privati la democrazia negata - maurizio barbato ( da "Repubblica, La" del 27-12-2007)

Così cambierà il commissariato - antonio corbo ( da "Repubblica, La" del 27-12-2007)

Sinistra cos'è l'arcobaleno? ( da "Riformista, Il" del 27-12-2007)

L'inestirpabile avidità e gli eccessi della finanza ( da "Corriere della Sera" del 27-12-2007)

Un magistrato attento ai problemi della società, un avvocato esperto di legislatura amministrat ( da "Messaggero, Il" del 27-12-2007)

Seggi al senato, giunta orientata al no Per l'Unione sfumano i voti in più ( da "Manifesto, Il" del 27-12-2007)

Prodi: "L'Italia è uscita dall'emergenza" ( da "Quotidiano.net" del 27-12-2007)

I conflitti di interesse ( da "Voce d'Italia, La" del 27-12-2007)


Articoli  dal 24 al 27 dicembre 2007


Si sfila anche Pallaro. Violante a Dini: guarda i risultati Tra verifica e senatori uscenti, si annuncia un gennaio caldo. Il riconteggio dei seggi potrebbe aiutare Prodi (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Unita, L'" del 24-12-2007)

 

Stai consultando l'edizione del Si sfila anche Pallaro. Violante a Dini: guarda i risultati Tra verifica e senatori uscenti, si annuncia un gennaio caldo. Il riconteggio dei seggi potrebbe aiutare Prodi di Marcella Ciarnelli ANCHE il senatore argentino Luigi Pallaro prende le distanze dal governo che pure, finora, ha contribuito a tenere in piedi. Peraltro divertendosi "un sacco" a fare "l'ago della bilancia". Ma ora ci vuole un cambiamento. "A Palazzo Chigi sarebbe bene che tornasse Berlusconi" dice in un'intervista a Libero. "Io e lui abbiamo un'ottima amicizia, siamo in sintonia. Ma partiamo da un principio: a me non ha mai fatto nessuna offerta" precisa il senatore, il cui nome ricorre tra quelli che sarebbero stati "corteggiati" dal Cavaliere nel tentativo, non riuscito, di dare la spallata al governo Prodi. La posizione presa da Pallaro si va ad aggiungere a quella di Lamberto Dini che ancora una volta, sul Corriere della Sera, ha provveduto a spiegare il perché della sua decisione di non appoggiare più Prodi da ora in poi. "Può un governo senza una maggioranza in Senato, attraversato da conflitti e visioni opposte non solo in materia di politica economica e sociale, reggere alle sfide che stanno di fronte al Paese? La risposta mia e dei Liberaldemocratici non può che essere negativa". Quindi bisogna cambiare. "Solo un esecutivo di larghe intese, che nasca anche sulla base di un contributo delle componenti migliori del mondo intellettuale, economico e sociale, coinvolte nello sforzo di risanamento del Paese può rispondere alle vere sfide che ha di fronte". Un governo di transizione, dunque. Questa la soluzione Dini. Luciano Violante, presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera, invita Dini a guardare agli obbiettivi raggiunti. "Più si guarda ad essi, più si consolida la coalizione. È su questo terreno che bisogna operare per rilanciare la maggioranza, perché non si può ridurre tutto ad una mera questione di numeri". Per il ministro Clemente Mastella "non c'è spazio per l'ipotesi di un esecutivo di larghe intese. Si può modificare la legge elettorale, anche questo Parlamento può farlo, e si va al voto a primavera inoltrata. Questo sarebbe l'unico dato di correttezza, l'unico percorso lineare". L'ipotesi di un governo istituzionale non piace al segretario dei Comunisti italiani, Oliviero Diliberto. Ed un altro no alla proposta Dini arriva dal capogruppo dei Verdi alla Camera, Angelo Bonelli: "O si finisce la legislatura con Prodi o si va al voto". Mentre Giovanni Russo Spena, capogruppo di Rifondazione al Senato, invita il leader dei liberaldemocratici ad "uscire dall'ambiguità" e a dire con chiarezza "se vuole verificare la possibilità di ricontrattare un programma comune o se invece va solo in cerca di scuse". Contro i professionisti dello "smarcamento" si è dichiarato Franco Monaco. Dall'altra parte grande interesse per la proposta è stato espresso da Sandro Bondi, coordinatore di Forza Italia, ma non dal leghista Roberto Calderoli che è per le elezioni prima dell'estate. Governo istituzionale sì per l'Udc Cesa in modo da poter fare le riforme, poi voto. La questione è politica oltre che di numeri. A dare una mano al governo Prodi, su quest'ultimo punto, potrebbe arrivare la decisione della Giunta per le elezioni del Senato che assegnando gli otto seggi in discussione, farebbe aumentare il numero dei senatori pro governo. Ma bisognerà aspettare la fine di gennaio.


L'IDEOLOGIA DEL DECLINO IL PIACERE DELL'AUTOGOL (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Corriere della Sera" del 24-12-2007)

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Lettere al Corriere - data: 2007-12-24 num: - pag: 31 categoria: REDAZIONALE Risponde Sergio Romano L'IDEOLOGIA DEL DECLINO IL PIACERE DELL'AUTOGOL Nel nostro Paese è tutto un disastro, la sanità, la sicurezza, il lavoro, i trasporti (su ruote e aerei), le poste, la tv pubblica, tranne rare eccezioni come lo sport rappresentato degnamente dalla nazionale di calcio, dalla Ferrari e dalla Ducati, ma anche da tanti altri. Il motivo di questo successo sarà forse che le squadre non vengono scelte dalla politica? Giovanni Giannotti gioest@alice.it Caro Giannotti, N on è vero che tutto sia, come lei scrive, un disastro. Vi sono servizi che funzionano e altri terribilmente mediocri. Vi sono persone che lavorano con grande serietà e altre che incassano spudoratamente stipendi immeritati. Vi sono città in cui la "qualità della vita " è molto elevata e ve ne sono altre afflitte da gravi problemi di sviluppo, di gestione e di convivenza civile. L'Italia fa molta fatica a stare al passo con i tempi e ha due enormi palle al piede: un debito pubblico che mangia ogni anno 70 miliardi di interessi passivi, e un pessimo sistema politico che lavora con grande lentezza e produce compromessi di bassa lega. Ma questa faccenda del "declino " sta diventando una sorta di ideologia nazionale a rovescio, uno sport in cui si gioca a chi riesce a fare il maggior numero di autogol. Innocenzo Cipolletta ha ragione quando scrive (Il Sole 24 Ore del 18 dicembre) che i sentimenti di sfiducia, oggi così evidenti nella società italiana, sono il risultato della "trasformazione verso un nuovo assetto " e aggiunge: "Come tutti i Paesi e tutte le genti che stanno provando una sostanziale transizione verso la modernità, (gli italiani) perdono elementi di riferimento ben noti del passato, mentre ancora non vedono quelli nuovi e perciò appaiono spaventati". Noi tutti ricordiamo con soddisfazione il grande "miracolo italiano" degli anni Cinquanta e Sessanta. Ma dimentichiamo che quella stagione fu preceduta da un lungo periodo di pessimismo e torbidi sociali, quando gli italiani, dopo la fine del conflitto, s'interrogavano sul loro futuro. Chiunque avesse visitato l'Italia in quegli anni avrebbe colto, come il corrispondente del New York Times, soprattutto malumore, sfiducia, pessimismo. E non si sarebbe accorto probabilmente che dietro quei sentimenti altre persone stavano lavorando con impegno e fantasia per adattare l'economia nazionale alle nuove condizioni in cui il Paese avrebbe dovuto vivere e lavorare. Non posso dire con certezza che lo stesso stia accadendo nell'Italia d'oggi. Ma quando leggo che le industrie italiane, nel corso del 2007, hanno fatto acquisti di aziende straniere per la somma di 57 miliardi (Marco Panara in "Affari e Finanza " di la Repubblica del 17 dicembre) ricomincio a sperare. Vengo infine alla sua domanda. La qualità delle competizioni sportive in Italia è dovuta in buona parte agli standard fissati da spettatori e tifosi. Abbiamo un buon calcio e fabbrichiamo buone macchine da corsa perché giocatori e costruttori debbono adeguarsi ai livelli richiesti da un pubblico esigente e severo. Sono gli stessi meccanismi che producono buoni risultati in altri settori, dalla cucina alla moda: se il cliente pretende qualità, il fornitore aguzza l'ingegno e cerca di soddisfare i suoi gusti. Peccato che gli italiani non siano altrettanto esigenti in altri settori e si accontentino in molti casi di prodotti mediocri come, per esempio, quelli che appaiono ogni giorno sui nostri schermi televisivi.


ROMA - Sono pronte da tempo le nuove linee guida per l'applicazione della legge 40, quella sull (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Messaggero, Il" del 24-12-2007)

 

A fecondazione artificiale. Ma, per diversi motivi, non sono state ancora rese pubbliche. E le poche anticipazioni filtrate, hanno già suscitato polemiche. Certo è che le due sentenze, Cagliari e Firenze, che danno il via libera alle diagnosi pre-impianto rappresentano un punto di forza per chi spinge verso la cancellazione del divieto a fare analisi sull'embrione. Per chi, in effetti, sarebbe già riuscito, durante la stesura delle linee guida, a rimuovere il no alla diagnosi pre-impianto (la legge, d'altronde, permette "indagini per fini diagnostici e terapeutici") e a far passare la crioconservazione (sì al congelamento prima che avvenga la fusione tra i due patrimoni geentici). Il ministro della Salute Livia Turco sarebbe d'accordo nella riformulazione delle linee guida in questa direzione. Anche se avrebbe già messo in conto un'alzata di scudi della sua alleata di governo la senatrice teodem Paola Binetti. Secondo alcuni addetti ai lavori il ritardo nella pubblicazione delle nuove norme applicative della legge 40 (quelle del 2004 sono scadute ad agosto scorso) si deve proprio alla supervisione della Binetti. Sul fronte opposto, invece, ci sono i radicali che spingono per una profonda revisione della legge. Proprio due giorni fa hanno ripetuto di ritenere indispensabile, per la prosecuzione del governo Prodi, la priorità dei diritti civili. L'impegno su questioni, si legge in un documento, "di grande concretezza e urgenza come il testamento biologico, la fecondazione assistita, la ricerca su cellule staminali, le unioni civili". L'ultima sentenza, quella dei giudici di Firenze che hanno dato il via libera alla diagnosi pre-impianto sugli embrioni di una coppia portatrice di malattia genetica (la esostosim che provoca la crescita abnorme della cartilagene) crea, dunque, un clima diverso per l'accoglienza delle nuove linee applicative della legge. E' lo stesso ministro della Salute Livia Turco a ricordarlo: "La sentenza di Firenze va tenuta in conto". E poi, nel corso della trasmissione di Raitre 1/2h ripete: "Sul pre-impianto le linee guida redatte dal precedente governo sono più restrittive della legge. Comunque, su questi temi mi ostinerò a cercare il dialogo. Il mio compito è applicare la legge e questo significa anche correggere forzature dove ci sono state". Da tre anni le associazioni che lottano per un "allargamento" della legge 40 puntano il dito proprio su questo aspetto: le indicazioni applicative sarebbero molto più rigide di quanto sia scritto nella legge. Dal ministro della Salute una promessa:"Le linee guida saranno emanate entro gennaio". Due i punti che Livia Turco ha anticipato: l'accesso alle tecniche di fecondazione artificiale per le persone portatrici di malattie come l'Hiv o l'epatite e, appunto, la parte "calda" che riguarda le analisi da effettuare prima che l'embrione venga introdotto nel corpo della donna. "Non è una sentenza giusta perché, se applicata, porta direttamente all'eugenetica", commenta Eugenia Roccella, ex militante radicale, portavoce con Savino Pezzotta del Family Day ed editorialista del quotidiano "Avvenire". "Ma la cosa che proprio non capisco - aggiunge Roccella - è questo palese conflitto di competenze tra il Parlamento e la giurisprudenza". Gaetano Quagliariello, senatore di Forza Italia, parla di "continui attentati alla sovranità popolare da parte dei giudici". Mentre Alfredo Mantovano (An)è convinto che oggi "la frontiera dell'invenzione giudiziaria da parte dei magistrati progressisti è la bioetica". "In questa materia - dice ancora Mantovano - il giudice non solo disapplica la legge ma se ne vanta". A loro risponde il legale della coppia che ha chiesto di poter fare la diagnosi pre-impianto, l'avvocato Gianni Baldini: "L'ordinanza non nega i diritti del nascituro ma ristabilisce l'ordine di tutela degli interessi e opera l'unica interpretazione corretta della norma". C.Ma.


<B&B, la Regione fa tutto da sola> (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 27-12-2007)

 

Economia Pagina 214 Turismo. L'accusa dei rappresentanti dei gestori: l'assessore è in conflitto d'interessi "B&B, la Regione fa tutto da sola" Turismo.. L'accusa dei rappresentanti dei gestori: l'assessore è in conflitto d'interessi --> Polemiche, ma soprattutto proposte. I gestori delle strutture extra alberghiere non hanno gradito le ultime decisioni prese dalla Giunta regionale, come la nuova tassa annuale, ma soprattutto lamentano l'esclusione dal processo di revisione. LEGGE A dare voce al malcontento è Ugo Masala, presidente dell'Associazione sarda operatori Bed&Breakfast e del Coordinamento regionale dell'ospitalità diffusa, un migliaio di iscritti. "Noi non sapevamo che la legge del settore, la 27 del 98, fosse sottoposta a modifica nonostante nel gennaio del 2005", spiega Masala, "avessimo inviato un documento all'assessore al Turismo Luisanna Depau per proporre modifiche normative senza ricevere risposta. Anzi, al suo insediamento, l'assessore disse che le strutture extra alberghiere rappresentavano una concorrenza sleale per quelle alberghiere. Da tempo rileviamo infatti il suo conflitto d'interessi, visto il suo legame con il settore alberghiero". Forme di ospitalità che invece non sarebbero in concorrenza secondo Valentino Sanna, del B&B Karel di Cagliari: "Si rivolgono a un target di clientela diverso". RICHIESTE Si chiede un inquadramento giuridico del settore dell'extra alberghiero e l'accesso a forme di finanziamento, con contributi a fondo perduto per gli operatori che esercitano l'attività in modo continuativo. QUALITÀ Nella legge dovrebbe essere prevista anche una classificazione degli esercizi in base alla qualità del servizio, corredata da una commissione di controllo che segua un disciplinare. "L'offerta deve essere di qualità se vogliamo fare ospitalità in modo serio, Da qui i nostri corsi di autoformazione", aggiunge Masala, evidenziando che proprio per lacune normative sarebbero nati in Sardegna tanti B&B improvvisati. PROMOZIONE I gestori chiedono poi un marchio unico di riconoscimento. "Abbiamo speso migliaia di euro per quello ideato da Gavino Sanna, che fine ha fatto?", si chiede ancora Masala. La promozione dell'ospitalità extra alberghiera giocherebbe infatti un ruolo importante, andrebbe inserita nel testo di legge e fatta da tutti gli enti istituzionali, migliorando poi i siti web. "Abbiamo solo Sardegnaturismo, ma è un sito statico e vuoto, e non serve a fare promozione", conclude Masala. I gestori sperano ancora di instaurare un dialogo con la Giunta per confrontarsi, in vista della nuova legge, sulle priorità. ANNALISA BERNARDINI.


Acqua ai privati la democrazia negata - maurizio barbato (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Repubblica, La" del 27-12-2007)

 

Pagina XV - Palermo Acqua ai privati la democrazia negata MAURIZIO BARBATO (segue dalla prima di cronaca) Una progressione rapida al crescere del numero dei familiari, cioè danno crescente per i più bisognosi. Perché questa penalizzazione? Per l'astuzia di tutte le bollette degli erogatori privati che abbassano il tetto dei consumi previsti nelle varie fasce e diminuiscono la distanza tra un gradino di consumo e l'altro. Perciò nella vecchia tariffa la fascia agevolata arriva a un consumo di 92 metri cubi, mentre nella nuova scende a 80 metri cubi. Poi, nella vecchia ci sono altre due fasce di consumo con prezzi a metro cubo crescenti (base ed eccedenza), mentre nella nuova tariffa le altre fasce con prezzi crescenti al consumo sono ben quattro (base, primo supero, secondo e terzo). Tutto questo, dice Liberacqua, in barba alla legge Galli che, pur prevedendo la possibilità di privatizzare il servizio, tien fermo che l'acqua è un bene pubblico da utilizzare secondo principi comunque solidaristici. Non meglio l'avvenire degli investimenti dove, a fronte di trasferimenti di risorse pubbliche ai privati (211 milioni di fondi europei per infrastrutture nella provincia di Palermo), si registrerebbe una diminuzione dell'offerta privata rispetto alla previsione iniziale. Erano 1.267 milioni in trent'anni gli investimenti previsti in origine dall'Ato (Ambito territoriale ottimale) nel Piano d'ambito: scesi a 847 con l'offerta di oggi (un terzo in meno). Decurtati risultano anche gli investimenti immediati rispetto alle cifre promesse e con un interessante - nota Liberacqua - cambiamento nei termini: da lavori da "avviare e rendicontare", cioè ultimare, a "lavori da avviare" e basta. Ma come si arriva a tutto questo? La vicenda dell'Ato 1 Palermo, è narrata nel libro bianco di Liberacqua. Inizia con la legge Galli del 1994, volta a semplificare la selva di enti (13 mila) deputati al servizio idrico. La legge unifica l'intera gestione in un unico servizio idrico integrato, che agisce in un Ambito territoriale ottimale (Ato), e separa i poteri di indirizzo e di controllo affidati all'autorità dell'Ato (tra i quali notevole la Conferenza dei sindaci) dalle competenze tecniche ed economiche. Queste vanno a un gestore (pubblico o privato), scelto dalle autorità dell'Ato, con cui stipulare una convenzione, volta a fissare attività e tariffe. Le tariffe devono coprire l'intero servizio, ma la legge stabilisce l'utilizzazione dell'acqua come bene pubblico prioritariamente per il consumo umano e secondo principi di solidarietà. La Regione siciliana recepisce la "Galli" a partire dal 1999 e (dopo aver piazzato - "unica tra tutte le regioni" - un suo "superambito" mediante la privatizzazione dell'Ente acquedotti siciliani) istituisce nove Ato, uno per ogni provincia dell'Isola. Questo equiparando (osserva Liberacqua) i confini degli Ato, ottimali appunto perché corrispondenti al territorio del bacino idrico, con i confini politici provinciali, dove per di più il peso del capoluogo è preponderante. L'Ato 1 Palermo risulta costituito dagli 82 Comuni più il presidente della Provincia. Nel 2002 primo passo: decide di affidare a terzi il servizio idrico (lasciando cadere la proposta del Comune di Palermo che candidava la sua ex municipalizzata Amap Spa; candidatura che tra ricorsi e traversie si risolverà con la continuità della gestione Amap per la città di Palermo sino al 2021). Il gestore terzo sarà individuato tramite gara aperta, con un minimo di due candidati. Dopo diverse gare andate deserte, il commissario straordinario all'emergenza idrica, Salvatore Cuffaro, nomina un commissario ad acta per le procedure della gara "in via sostitutiva della Conferenza dei sindaci e del presidente della Provincia". Il commissario ad acta riconferma l'affidamento a terzi, da individuare con gara valida anche con un solo candidato. Si presenta unica, e vince, la Acque potabili siciliane Spa, costituita dalle società idriche di Genova e Torino (di fatto le "Amap" torinesi e genovesi), da una società delle Coop, più altri soggetti. La Conferenza dei sindaci ratifica nel gennaio 2007, e nel giugno è firmato il contratto che affida per trent'anni alla Aps il servizio idrico per la provincia, vigente lo stralcio a favore dell'Amap per Palermo città. Atti finali giunti malgrado - osserva Liberacqua - due autorità di vigilanza (l'Antitrust e l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici) avessero reiterato la loro censura, con pareri inviati a tutti gli interessati e incentrati sia sulla procedura a un solo candidato, sia sulla continuità senza concorrenti dell'Amap, sia su alcune situazioni di conflitto di interesse. Le critiche di Liberacqua sono obiezioni in primo luogo puntate sulla procedura: il non aver tenuto in alcun conto i pareri dell'autorità di vigilanza (su scarsa concorrenzialità e conflitti di interesse). Più importanti sono i rilievi intorno alla sostanziale illegittimità democratica: in quasi dieci anni di discussioni e traversie mai vi sono stati una consultazione e un parere della popolazione interessata, pur essendo in ballo la radicale trasformazione nella risorsa vitale acqua. E anche intendendo i sindaci quali rappresentanti dei cittadini negli Ato, questa rappresentanza risulta palesemente difettosa: come possono, infatti, sindaci eletti per un mandato di cinque anni decidere su una cessione di durata trentennale? Il loro potere di rappresentanza può concernere effetti di tanto più estesi del loro mandato? In più il Comune di Palermo, la cui situazione resterà immutata per parte di questi trent'anni, con i suoi 400 titoli su 1.000 (che uniti ai cento del presidente della Provincia fanno 500 su 1.000) è stato paradossalmente determinante nella scelta per gli altri centri più piccoli. Come dire che ha deciso la sorte di altri, senza condividerla in pieno. Istintivamente "acqua privata" fa l'effetto di "aria privata". Però impensierisce anche lo spreco che si fa dell'acqua gratis, per esempio nell'agricoltura. Perciò schierarsi in astratto e in linea di principio a favore o contro gestioni private (sotto controllo pubblico) non è facile. Ma scartare, su un tema come quello dell'acqua, decisioni informate e responsabili dei cittadini, questo è grave e sospetto. Se è il timore della demagogia referendaria, la politica dovrebbe avere la cultura di sapere che in questo campo (e sugli altri simili di privatizzazioni di risorse e specie del pianeta, come di trasferimenti al privato dell'enorme campo del welfare) esistono i sistemi, noti e studiati, di partecipazione della cosiddetta democrazia deliberativa. Alternativa alla deriva oligarchica.


Così cambierà il commissariato - antonio corbo (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Repubblica, La" del 27-12-2007)

 

Pagina III - Napoli L'ANALISI Una struttura inefficace, che dal primo gennaio verrà sdoppiata per liquidare il passato IL PRESIDENTE Così cambierà il Commissariato Sperperi, acquisti sospetti di suoli, ordinanze finite in Procura, consulenze ANTONIO CORBO (segue dalla prima di cronaca) Il nuovo decreto, a fine settimana, certifica un altro fallimento. Comprensibili le cause, difficili le soluzioni. Non dovrà cercarle solo Alessandro Pansa, affidato al suo destino negli ultimi mesi, come Guido Bertolaso, ancora prima Corrado Catenacci. Uno dopo l'altro si sono dimessi. Pansa non può. è anche prefetto. C'è un percorso burocratico. Il 31 scadono i suoi poteri, ufficialmente saranno rinnovati al suo vice per l'emergenza e a una nuova figura, un magistrato della Corte dei conti che liquiderà il passato. Non è una rinuncia. Pansa dovrà comunque tutelare il diritto alla salute dei napoletani e la vivibilità della terza metropoli italiana: è nei suoi compiti di istituto. Scindere era opportuno. Come già scritto, si profilava il rischio di un conflitto di poteri. Il commissario ha interesse urgente a requisire spazi, ovunque e comunque. Il prefetto invece decide e magari mitiga l'uso della forza, su richiesta del commissario. La separazione dei ruoli eviterà a Pansa scelte impopolari: riaprire Pianura, in disaccordo con il Comune. Ma occorre distinguere anche commissariato e commissario. La struttura e chi la guida. Si deve alla Commissione bicamerale d'inchiesta (passata legislatura e attuale) se dalla crisi è emerso il marcio: sperpero di danaro pubblico, acquisti sospetti di suoli per impianti, ordinanze finite in Procura, assunzioni di lavoratori inattivi come rami secchi, apparecchi e locali inutilizzati, consulenze chiacchierate. L'altra commissione, con Paolo Russo presidente e Tommaso Sodano animatore, ha scoperto e fornito materiale ai magistrati. L'ultima relazione, dei senatori Roberto Barbieri e Donato Piglionica, anche se un po' vaga rivolge accuse gravissime al commissariato. In sintesi: spende i soldi per auto-sostenersi, "è inutile, inefficace, dannoso", suoi personaggi di vertice sono coinvolti in inchieste di camorra. Lascia intendere che ha reagito male appena Pansa, prefetto ex poliziotto, ha snellito la struttura e imposto più trasparenza nei conti. Invita a rimandare tutti a casa. Se il quadro è questo, è giusto prorogare il commissario ma non il commissariato. Restituire i poteri alla Regione è però inopportuno, essendo Bassolino imputato in sede di udienza preliminare. Rischia in linea teorica l'interdizione, se fosse commissario, quindi con un potere amministrativo che gli deriva dal governo. Non l'ha mai rischiata invece essendo la presidenza della Regione una carica elettiva. è difficoltoso poi trasferire i poteri alle Province, è impensabile infine ai sindaci: quante fasce tricolori si sono viste sui fronti del no? Il pool di commissari dovrà infilare un nuovo itinerario: cercare discariche, aprirle e intanto chiudere i Cdr perché siano finalmente rimessi a norma. Che senso ha produrre ecoballe che tali non sono? Bastano tre mesi di lavoro per adeguare gli impianti e mandarle all'inceneritore. Ad Acerra. Il secondo è fissato a Santa Maria La Fossa, dove Fibe ha i suoli. Un motivo in più per accogliere la proposta di Salerno, baricentrica rispetto alla Regione. Perché insistere con Santa Maria La Fossa, se il nuovo commissario liquidatore dovrà chiudere proprio con la società di Impregilo i primi conti? Anche per i rifiuti il 2008 è anni bisesto.


Sinistra cos'è l'arcobaleno? (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Riformista, Il" del 27-12-2007)

 

Sinistra cos'è l'arcobaleno? Noi, orgogliosi di essere comunisti e perciò contrari al partito unico Si all'unità, ma nell'autonomia dei singoli componenti Gli Stati generali della sinistra, le modalità e i contenuti con cui il processo di unità si è avviato in queste settimane, chiamano a un giudizio in chiaroscuro. L'assemblea di Roma è stata senza dubbio una testimonianza importante della volontà, ormai diffusa e radicata tra la nostra gente, di trovare finalmente terreni comuni di confronto e di azione tra le forze della sinistra. La nostra componente, Essere Comunisti, sostiene questa necessità da lungo tempo e lo ha fatto anche quando nel Prc una simile posizione non riscontrava obiettivamente grandi consensi. L'urgenza di unità a sinistra esplode oggi con la nascita del Partito democratico: il rischio di una generale deriva a destra del quadro politico richiede subito un contrappeso credibile a sinistra, capace di equilibrare le forze in campo. Ma la sua necessità affonda le radici in un'annosa e drammatica incapacità della politica di dare un'efficace rappresentanza a una parte grande di questo Paese - in particolare i lavoratori dipendenti - che da troppo tempo è stata dimenticata ed espulsa dall'agenda della maggior parte dei partiti di centrosinistra. Una sinistra unita e plurale può oggi avere il peso per ricominciare a dare risposte concrete alle domande inevase di un popolo che chiede equità, diritti, giustizia sociale. Per questi motivi eravamo presenti agli Stati generali e abbiamo partecipato ai lavori dell'assemblea, la quale non ha, tuttavia, spazzato dall'orizzonte pesanti perplessità e dubbi. Innanzitutto non è ancora chiaro cosa effettivamente sarà questa Sinistra, se un partito unico (come suggerisce Sinistra Democratica e una parte del Prc) o una confederazione di partiti autonomi. Non è problema da poco, anzi. Essere Comunisti, in sintonia - crediamo - con larga parte di Rifondazione, non condivide l'eventualità di uno scioglimento del partito. Non per una ragione nostalgica. Al contrario, per una razionale disamina del contesto politico nel quale essa prenderebbe forma. Pensiamo ai Verdi che, anche recentemente e per tramite del loro segretario Pecoraro Scanio, hanno dichiarato di non essere di sinistra. È un dato di fatto che una parte del loro elettorato non lo sia e che sia geloso della loro peculiare identità ecologista. Come si fa (in Italia come in Germania, del resto) ad ipotizzare di confluire con essi in un partito unico? Oppure pensiamo al mondo del lavoro e a come ciascuno dei soggetti della Sinistra arcobaleno intende rappresentarlo e difenderlo. Non ci interessa qui discutere il merito delle scelte e delle posizioni: prendiamo soltanto atto che sostenere la concertazione o avversarla oppure difendere o osteggiare il Protocollo sul welfare non sono questioni da poco. Oppure, infine, prendiamo in considerazione il rapporto con il Pd e con il governo che ogni giorno che passa erode sempre di più il nostro elettorato, mettendoci in conflitto con esso e con movimenti significativi (in primo luogo, quello pacifista) con cui negli anni scorsi il nostro partito era riuscito a entrare in stretta sinergia. Ma mentre per Rifondazione un distacco dal governo, seppur non auspicato, può essere posto tra le scelte possibili, per gli altri partiti della Sinistra ciò non è dato. Da questo punto di vista si capisce la debolezza della carta d'intenti promossa dall'assemblea di Roma, evidentemente figlia di contraddizioni di contenuto assai significative. Poste queste premesse, la proposta di Essere Comunisti è la seguente: sì a una sinistra confederata, unita e plurale, ma rispettosa dell'autonomia culturale e organizzativa dei soggetti che la compongono. Non condividiamo invece il progetto di un indistinto partito unico. Sarebbe poi davvero bizzarro che chi ha criticato il Pd per la sua natura bifronte in Europa (Pse e Ppe) proponesse ora un partito trifronte (Gue, Pse, Verdi): è giusto invece che ognuno, in un ambito unitario, mantenga la propria autonoma collocazione politica, i propri riferimenti culturali e internazionali, i propri orizzonti di trasformazione sociale. Come abbiamo cercato di argomentare, non sarebbe però pertinente ridurre la questione a una semplice difesa di un simbolo o di un nome: dietro di essi stanno molto concretamente comunità politiche basate su valori comuni, su bisogni concreti, su progetti di società e strategie di lungo periodo, con una storia e un'identità sedimentate nel tempo. Per noi vale ancora il progetto della Rifondazione Comunista. D'altra parte sarebbe veramente grave se alla fine della lunga transizione italiana iniziata alla fine degli anni '80, venisse cancellata dal panorama politico italiano la presenza dei comunisti. È veramente incomprensibile come altre culture, quella socialista, quella democratica cristiana, vengano orgogliosamente rivendicate e, viceversa, quella comunista - che in Italia ha significato un patrimonio inestimabile di idee, lotte e conquiste - non si cerchi di rilanciarla. Noi non siamo disponibili. Coordinatore nazionale Essere Comunisti 27/12/2007.


L'inestirpabile avidità e gli eccessi della finanza (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Corriere della Sera" del 27-12-2007)

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Opinioni - data: 2007-12-27 num: - pag: 44 autore: di SALVATORE BRAGANTINI categoria: REDAZIONALE L'inestirpabile avidità e gli eccessi della finanza Finché i prezzi delle case e delle azioni salivano vorticosamente, le banche centrali rimanevano impassibili. Rotto il giochino, sono intervenute. Ma se non potevano agire diversamente, allora hanno sbagliato prima LA CRISI DEL 2007 L a crisi finanziaria, nata in estate, dura ancora e non se ne vede la fine. La stagione dei bilanci bancari ci dirà chi è sano e chi è malato, e quanto, dissipando l'incertezza per cui ogni banca diffida delle altre. Speriamo che basti. Se ancora non è chiaro come evolverà la crisi, sappiamo però cosa l'ha prodotta, il che serve a evitare che si ripeta. Il conflitto di interessi c'entra sempre, specie per il rating, il cui modello, ormai quasi inutile, va cambiato. Il vero motore, però, è la prodigiosa fioritura dell'innovazione finanziaria, che in sé non va demonizzata; come ogni strumento, può essere utile o dannosa, dipende da come è usata. Le grandi istituzioni finanziarie, alla rincorsa dei profitti, l'hanno sfruttata al limite, e oltre, per "liberare" capitale di vigilanza. Per questo esse hanno "cartolarizzato", cioè venduto, i crediti, a volte a terzi, altre volte a società solo formalmente tali. Se chi compra è davvero estraneo alla banca, il rischio di credito passa a chi non lo conosce, e spesso neanche lo capisce. Quando non ci sono stati acquirenti veri, le banche han venduto a veicoli "esterni", che si finanziavano sul mercato, con la garanzia di linee di credito dalla "mamma", se altre fonti fossero mancate. Ciò per un po' ha consentito di far sparire dai bilanci i crediti, guadagnandoci; scoppiata la crisi, però, il rischio è tornato a casa, e la mamma ha dovuto far fronte all'impegno. Così tutti, tranne la mitica Goldman la cui imbattibilità comincia a insospettire gli altri giocatori. Negli Usa il sistema è stato applicato anche ai mutui a debitori marginali. I subprime però erano solo la carta più vacillante, che ha fatto franare un castello che pareva la pietra filosofale: per le banche, meno rischi e più profitti, per le autorità di vigilanza più (illusoria) stabilità. Il rischio, infatti, si trasferisce, non scompare, e strutture troppo complesse rendono arduo scovare il buco in cui è nascosto. Tanto che, a sei mesi dai primi scricchiolii, ancora non si sa dove siano finite le perdite che dovrebbero essere maturate, ma non sono ancora emerse nei bilanci bancari. Così, credendo di rendere più forti le singole banche, si è aumentato il gravissimo rischio di una crisi sistemica; ora il mondo trattiene il fiato, come mai negli ultimi decenni. Al disastro hanno contribuito tutti: le banche che vendevano i crediti, gli investitori che li compravano, i vigilantes (e dietro di loro, le autorità politiche). L'avidità è inestirpabile, si può solo cercare di incanalarla a fini, se non utili, almeno non dannosi. Chi voleva aumentare il valore dell'azione delle banche lo ha ridotto, ma ha fatto a tempo a incassare ricche prebende. Meno male che in Italia, nonostante fiere proteste, il governo ha saggiamente introdotto un trattamento fiscale delle stock option che scoraggia il "prendi i soldi e scappa". Anche il desiderio degli investitori di avere rendimenti "turbo" ha obnubilato quel buon senso che mai dovrebbe abbandonare chi maneggia denari altrui: non comprate quel che non capite, dice Warren Buffett. L'estate del 2007 stamperà questo monito nelle teste di tutti, fino alla prossima frenesia collettiva. Le banche centrali, pressate dai politici, sono state al gioco, favorendo comunque \\ la dispersione a pioggia del rischio, e tenendo bassi i tassi come mai in un secolo: e infatti mai, in cent'anni, globalizzazione juvante, l' establishment finanziario ha dominato la politica nel mondo come ora. Con tassi bassi, i rischi paiono lievi, il che esalta la propensione al rischio, e i grassi profitti che ciò consente; le banche, intanto, sono protette dalla rete di sicurezza che lo Stato appresta per aiutarle a tener vivi quei beni essenziali che sono il sistema dei pagamenti e la fiducia del pubblico. Ecco il "rischio morale" dei manager: se va bene incassano opzioni milionarie, se va male incassano laute buonuscite. Con i complimenti della casa. Finché i prezzi di case e azioni vorticosamente salivano, le banche centrali erano impassibili; quando il giochino si è rotto, però, sono subito intervenute per evitare danni al "tono" dell'economia. E' per questo che il Financial Times ha nominato il governatore della Bce, Jean-Claude Trichet, uomo dell'anno, ma l'asimmetria non va bene: se davvero esse non potevano fare altro, hanno sbagliato prima. Se si continua così si alimenta un infinito circolo vizioso in cui la collettività deve mettere sempre altri soldi per impedire il propagarsi del rischio sistemico: e il "rischio morale" si fa certezza. Dato che non ci sono pasti gratis, il tutto va a vantaggio dei plus habentes, quindi a danno dei minus. Per l'Economist è ironico che i fondi di Stato asiatici intervengano a salvare le grandi case Usa in difficoltà, icone del capitalismo wasp (bianco, anglosassone, protestante) che li snobba da sempre; ma forse c'è qualcosa più dell'ironia, e dobbiamo tornare a vedere la finanza come ancella della società, anche dell'economia che ne è parte così importante, e non sua padrona. Fa paura, per dire, che i derivati sulle commodity siano dieci volte i flussi fisici, e distorcano i prezzi delle merci! è presto per capire come evitare tante aberrazioni senza inceppare un meccanismo essenziale, ma molto deve cambiare, nella regulation e nel sistema di incentivi; altrimenti il rischio morale riparte subito, perché alla prova dei fatti il mercato si mostra incapace di autoregolarsi. Financial modelling, self restraint e risk management, parole chiave del nuovo paradigma, sono parse straniere anche agli anglosassoni.


Un magistrato attento ai problemi della società, un avvocato esperto di legislatura amministrat (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Messaggero, Il" del 27-12-2007)

 

Di MARCO GIOVANNELLI Un magistrato attento ai problemi della società, un avvocato esperto di legislatura amministrativa, due diabetologi universitari. Prende corpo la commissione d'inchiesta voluta dal presidente della Regione Piero Marrazzo, sull'appalto della Asl RmD per l'autocontrollo del diabete. "La commissione in primo luogo permetterà alla Asl di presentare in modo chiaro il suo progetto - dice Marrazzo - e nello stesso tempo aiuterà a comprendere la posizione di cittadini, medici di famiglia e farmacisti. Capire di più e portare più chiarezza rasserena gli animi". La commissione di inchiesta è per ora formata da Ferdinando Imposimato (parlamentare e presidente onorario aggiunto della Suprema corte), da Giorgio Robiony (avvocato esperto di questioni amministrative e in particolare di quelle sanitarie) e da due diabetologi da scegliere tra i docenti della Sapienza e di Tor Vergata. Lo scopo della commisisone sarà quello di chiarire molti aspetti legati ai rapporti tra la Asl RmdD e i malati di diabete. C'è infatti la gara d'appalto per kit ma anche una sperimentazione per spendere meno attraverso la distribuzione delle strisce reagenti. Quest'ultima è legata a una delibera della Asl RmD e una convenzione tra l'azienda sanitaria e Hc litorale, società controllata dalla Asl con la particolarità che il presidente del consiglio di amministrazione Marco Orgera è anche direttore generale di Farmacap (farmacie comunali) suscitando un possibile conflitto di interessi. Nella delibera e nella convenzione, la Asl affida ad Hc litorale fino al dicembre 2010 la sperimentazione del progetto. Giusy Gabriele (manager dell'azienda sanitaria) aveva detto al Messaggero che il progetto dove testare la consegna a domicilio del kit ma nella convenzione c'è scritto che il programma permette il monitoraggi di glucosio, colesterolo e trigliceri. Il servizio di consegna a domicilio del kit è stato sospeso dopo la portesta di malati e medici sull'attendibilità del nuovo reflessometro che ha messo in pericolo i pazienti. Secondo la Asl sono state 32 le segnalazioni di malfunzionamento su 1.500 macchinette distribuite. C'è poi la gara d'appalto vera e propria che secondo la Asl dovrebbe permettere un forte risparmio. Il direttore generale della Asl non ha dubbi e contesta l'accordo tra Regione e Federfarma (farmacisti privati) ritenendo che la sua iniziativa è migliore. Anche in questo caso emerge il conflitto di interessi di Orgera tra Farmacap, Hc litorale e i farmacisti privati. Secondo i calcoli di Giusy Gabriele nel 2007 la Asl ha speso di assistenza integrativa ai pazienti diabetici 9,556 milioni, con il progetto di Hc litorale si scende a 4,3 milioni mentre l'accordo con Federfarma costa 6,5 milioni. La convenzione prevede l'affidamento del servizio ad Hc litorale fino al 2016. "Noi forniamo una gamma completa di prodotti - ribatte Franco Caprino di Federfarma - che non mi sembrano compresi nella gara d'appalto. In tutti i conteggi si parla sempre di diabete ma quanto costano le strisce per trigliceridi e colesterolo?".


Seggi al senato, giunta orientata al no Per l'Unione sfumano i voti in più (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Manifesto, Il" del 27-12-2007)

 

A palazzo Madama non ci sarebbero avvicendamenti in vista, maggioranza ed ex Cdl - tranne Manzione - tutti contro i ricorsi. Il forzista Lucio Malan: noi diciamo no da sempre Daniela Preziosi Roma "Il fatto è che noi radicali non ci gonfiamo come rane per minacciare o ricattare il governo. Non ne abbiamo i numeri, d'accordo. Ma soprattutto abbiamo un'altra storia. Noi proponiamo un ragionamento politico a Prodi. Che è il seguente: grazie a noi sta facendo le uniche belle figure della sua legislatura. Allora decida: con chi vuole andare avanti, con i Dini e i Mastella oppure con i radicali?". Insieme a Rita Bernardini, ieri Marco Cappato si è appellato al presidente del consiglio perché "intervenga con urgenza per contribuire ad interrompere la cancellazione violenta del soggetto politico radicale". Fra le questioni in ballo c'è quella che Cappato definisce "la battaglia del senato", ovvero i ricorsi che radicali, dipietristi, verdi, comunisti italiani, socialisti del Nuovo Psi e Udc hanno presentato per la riassegnazione di complessivi otto seggi al senato. Secondo l'interpretazione dei ricorrenti la legge elettorale non prevede lo sbarramento nelle regioni in cui la coalizione vincente non abbia superato il 55 per cento dei voti. Se fosse così, ai radicali spetterebbero almeno due seggi, uno dei quali sarebbe destinato a Marco Pannella. Per di più la maggioranza dell'Unione potrebbe tirare un sospiro di sollievo: uno dei seggi contesi è quello del dissidente Prc Franco Turigliatto, che tornerebbe a casa a favore di Ugo Intini, che a sua volta lascerebbe il posto a Pannella; al nazional-alleato Gennaro Coronella subentrerebbe Carmelo Conte, un socialista recente passato con Boselli; il forzista Cosimo Izzo dovrebbe cedere a Nino Marotta, che è dell'Udc ma è vicino a Follini. "Izzo è in palese conflitto di interesse", aggiunge Cappato. "Fa parte della giunta che deve decidere sul suo seggio. Prodi deve capire che il problema è suo, non dei radicali". Ma la soluzione dei conflitti di interesse non è, a quanto sembra, il primo dei pensieri della maggioranza che sostiene Prodi. In ogni caso, è molto probabile però che alla fine il giro di quadriglia non avverrà. Il 21 gennaio la giunta per le elezioni è convocata alle 16. Il presidente Domenico Nania (An) ha stabilito che i lavori andranno avanti ad oltranza, con le relazioni su tutti i casi, fino a raggiungere un unico pronunciamento finale. E la giunta è orientata a non accogliere i ricorsi. Tranne il bordoniano Roberto Manzione, sono contrari tutti gli esponenti dell'Unione, ci assicurano due senatori che non vogliono essere citati. Contrarissimi anche quelli della ex Casa della Libertà, ma non temono di dirlo chiaro e tondo: "Figuriamoci, noi diciamo no ai ricorsi da tempi non sospetti. Da quando, per capirci, Turigliatto non era Turigliatto e Follini non era Follini", si diverte il forzista Lucio Malan. "Fra l'altro, in tempi precedenti, ci avrebbe fatto pure piacere che l'Unione fosse costretta a salutare alcuni suoi autorevoli senatori, come Luigi Zanda o Sinisi, per imbarcare Pannella e qualche altro casinista", aggiunge. "E nonostante questo, siamo rimasti coerenti e contrari. Tanto più che ora l'eventuale avvicendamento significherebbe per noi perdere qualche senatore". "La norma è chiara, il ricorso è irricevibile, lo hanno già affermato illustri costituzionalisti", dice Franco Turigliatto, uno dei ribelli dell'Unione (ora è in forza alla Costituente anticapitalista), eletto dal Prc in Piemonte, che dovrebbe tornare a casa se la giunta per le elezioni di Palazzo Madama accettasse le ragioni dei radicali. "Mi spiace solo che i colleghi che fanno parte della giunta non mi abbiano mai detto niente, ma non importa. Però prendo atto che la questione del mio seggio si pone più di quello di altri, con un andamento ondulatorio, a seconda della fase politica", continua. "Ma è pretestuoso. E' chiaro che a molti, nella maggioranza, farebbe comodo che se ne andasse l'unico senatore che ha votato no al protocollo sul welfare. Ma è grave che una norma debba essere interpretata in funzione degli interessi politici". La vicenda comunque si avvia a essere affrontata, magari con venti mesi di ritardo. Comunque per essere definitivamente seppellita sotto una pietra tombale.


Prodi: "L'Italia è uscita dall'emergenza" (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Quotidiano.net" del 27-12-2007)

 

Mobile email stampa IL BILANCIO DI FINE ANNO Prodi: "L'Italia è uscita dalle emergenze" Tradizionale conferenza stampa del premier: "Il Paese si è rimesso a camminare, ma resta la mancanza di fiducia e l'incertezza del futuro". Monito anche agli alleati 'riottosi': a gennaio nessuna verifica, nè rimpasti Home Politica prec succ Contenuti correlati Caro Prodi, vorrei tanto che tu.... Invia al premier la lettera di Natale Dini: "Prodi in Senato non ha più i numeri per governare" Roma, 27 dicembre 2007 - "L'Italia si è rimessa a camminare ed è uscita dalle emergenze". Da due anni la crescita di attesta intorno al 3%, è stato ripristinato l'avanzo primario e a fine anno il deficit si collocherà intorno al 2%, "cifra al di sotto di ogni previsione e che non si verificava dal precedente governo di centrosinistra". Non basta, alla fine della legislatura migliorerà anche il debito che scenderà sotto il 100% del Pil. Il presidente del Consiglio, Romano Prodi, chiude con ottimismo il 2007 e nella conferenza stampa di fine anno sottolinea che il Paese "si è rimesso a camminare" . Il 2007, ha affermato, potrà essere ricordato come l'anno "in cui è stato superato il problema dei conti pubblici". Resta, certo, "la mancanza di fiducia" e "l'incertezza verso il futuro", soprattutto resta un 'gap' nel mondo del lavoro tra un Nord a piena occupazione e un Sud dove "un lavoro pulito e onesto resta un sogno per molti". Tuttavia, ha ricordato Prodi, il tasso di disoccupazione in Italia è il più basso da 25 anni a questa parte e l'Italia vanta la migliore situazione in Europa. Inoltre il governo prenderà "le decisioni per tutelare il potere d'acquisto degli stipendi" attraverso una "forte operazione fiscale per i salari medio bassi". "In Italia salari e stipendi hanno perso potere d'acquisto" e ora "ne risente negativamente lo sviluppo del Paese". Prodi spera anche nel via libera al terzo pacchetto delle liberalizzazioni "alla ripresa dei lavori parlamentari". Ricordando che il 2007 è stato l'anno dell'eliminazione del costo fisso per le ricariche dei cellulari, ha riconosciuto che le liberalizzazioni "non sono indolori per le categorie toccate" ma rappresentano l'unica strada per un graduale abbassamento dei prezzi. Uno dei problemi dell'Italia è infatti quello delle "rendite di posizione" e del "familismo corporativo" che frenano la concorrenza. Per questo, quello del governo sulle liberalizzazioni "è uno sforzo che non è finito". La tassazione delle rendite finanziarie, poi - ha aggiunto - resterà nell'agenda del governo. "E' un programma quinquennale - ha detto - e sono passati solo 18 mesi...". Continuerà anche la lotta del governo contro l'evasione fiscale: "Non meno di 20-21 miliardi di euro - ha detto il premier -sono dovuti al recupero dell'evasione fiscale, anche se per i dati definitivi dobbiamo aspettare ancora qualche settimana". Inoltre nel 2008 ci sarà la riforma degli enti previdenziali, nonchè della Pubblica amministrazione con la razionalizzazione e lo snellimento dei procedimenti burocratici. Parlando di economia non è mancato l'accenno ad Alitalia, il cui dossier sarà domani al Consiglio dei ministri. Il governo - ha detto Prodi - "deve scegliere la migliore" e non terrà conto "nè delle proteste nè dei corporativismi" ma di quale sarà l'azienda che fornirà maggiori garanzie e legherà l'Italia a un piano di trasporti. è un Prodi combattivo, quello che si presenta ai giornalisti per la tradizionale conferenza stampa di fine anno. Riconosce che, in alcuni settori, non è riuscito a fare ciò che voleva, come nel caso del conflitto di interessi, ma rivendica i tanti risultati ottenuti. E mette in guardia sia gli avversari politici che gli alleati 'riottosi': a gennaio nessuna verifica, nè rimpasti. Si riparte dal programma e dal mandato consegnato dagli elettori: il governo cade solo se "abbattuto con il voto di sfiducia". è proprio nella parte politica delle sue risposte che Prodi mostra tutta la sua determinazione: "Il governo si abbatte con il voto di sfiducia. Anche se non c'è la sfiducia costruttiva credo che tutti, anche Dini, facciano questa riflessione". Dini, appunto: "Non capisco il suo atteggiamento - spiega -siamo stati eletti con un mandato, una coalizione, un compito e questo il governo lo sta perseguendo". E ancora: "Se c'è voto di sfiducia alle elezioni ci si va prima, se non c'è voto di sfiducia alle elezioni non ci si va. A gennaio non c'è una verifica, parola di vecchio tipo che non adotto proprio perchè c'è un programma con cui ci siamo presentati alle elezioni e, salvo i cambiamenti della realtà, non cambiamo programma. Io andrò alla discussione con i partiti della coalizione partendo dal programma. Dobbiamo prendere sul serio l'impegno preso con l'elettorato. Non lo possiamo cambiare sulla base di sensazioni". Quanto all'ipotesi di modificare la squadra di governo, Prodi rivendica che l'esecutivo "funziona". E se mai dovesse arrivare un voto di sfiducia, il Professore si tirerebbe fuori, ma avverte: qualunque nuovo governo dovrà avere il sì della Camera, dove l'Unione ha una forte maggioranza. Infine, la legge elettorale: il presidente del Consiglio torna a farsi garante dei 'piccoli', "mi sforzerò per una legge elettorale che garantisca anche le forze politiche minori", e scandisce che qualsiasi riforma "deve avere la più ampia rappresentanza parlamentare possibile". DINI "In Senato non c'è più la maggioranza".


I conflitti di interesse (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Voce d'Italia, La" del 27-12-2007)

 

La Voce d'Italia - nuova edizione anno II n.101 del 27/12/2007 Home Cronaca Politica Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura Sport Focus Economia I conflitti di interesse E' un periodaccio per Casini: non ne azzecca una Rimini, 27 dic. - Dopo lo svarione della fissione nucleare il nostro eroe s'è messo a fare l'indovino: ha vagheggiato che il prossimo premier di transizione potrebbe essere Marini o Draghi (1); va riconosciuto che è stato così prudente da NON proporre sé stesso. Con quel popò di parenti voglio vedere che razza di “politica per la casa” sarebbe stato in grado di varare. Parlare di dimezzamento dei costi dell'immobiliare in casa Sua dev'essere come parlare di “corda” in casa dell'impiccato. Niente da dire su Marini, ma su Draghi qualcosina che non batte pari c'è. Che abbia qualche legame con la Goldman Sachs (2) non lo nega nessuno; già in passato qualche favoruccio gliel'ha fatto (3 e 7). Addirittura ha fatto insospettire anche Piero Sansonetti di Liberazione (4) che se ne stava lì, bello tranquillo, a studiare l'abc del perfetto liberista. Infine ha fatto arrabbiare anche Elio Lannutti (5) dell'Adusbef. Con tante persone in giro, che sia proprio necessario andare a cercare coloro che hanno conflitti di interessi così sgangherati? Al confronto quelli di Berlusconi fanno sorridere... I conflitti di interesse di Draghi sono 2: - in quanto Governatore di Bankitalia e quindi sottoposto agli interessi dei partecipanti (6); - in quanto ex alto dirigente di una banca d'affari; non mi si verrà a dire, spero, che passando da un incarico all'altro ha cancellato tutti i contatti sia dal palmare che dal cervello. A questo punto sarà bene ricordare all'ex Presidente della Camera dei Deputati che Gianni Letta, Romano Prodi, Mario Monti, Carlo Azeglio Ciampi, Paolo Savona, Letizia Moratti (Carlyle), ecc. è meglio se li scomoda per farci una partita a scopone scientifico e non per fargli fare il Premier, seppur di transizione. Accà nisciuno è …… Lino Rossi

 

 

ARTICOLI DAL 19 AL 23 DICEMBRE 2007

 

Sant'ambrogio, indaga la procura - davide carlucci ( da "Repubblica, La" del 19-12-2007)

Cultura Forse farà scuola una scelta originale di questo libro (Sergio Luzzatto: Padre Pio. Miracoli... ( da "Repubblica, La" del 19-12-2007)

Anche Cazzola nella holding di Consorte ( da "Unita, L'" del 19-12-2007)

Riassetto Mediobanca All'Antitrust manca una parte del dossier ( da "Giornale.it, Il" del 19-12-2007)

La ragnatela che blocca lo sviluppo ( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 19-12-2007)

Veltroni frena i piccoli: basta richieste infantili ( da "EUROPA.it" del 19-12-2007)

L'autostrada paralizzatadall'inerzia dei politici ( da "Secolo XIX, Il" del 20-12-2007)

Pd, dopo quella sulla laicità scoppia la grana-massoneria In Commissione Codice etico il nodo sulla compatibilità tra iscrizione al partito e alle logge ( da "Unita, L'" del 20-12-2007)

La strage del lavoro che per anni non è stata notizia Cara Unità, la città ( da "Unita, L'" del 20-12-2007)

Ars, la manovrina in aula soldi pure ai circoli di partito - emanuele lauria ( da "Repubblica, La" del 20-12-2007)

Cgil, Cisl, Uil e Ugl rifiutano confronto con il consigliere e croupier Barbaro ( da "Stampa, La" del 20-12-2007)

I gialli dell'Aremol: conflitti d'interessi e uno strano bando pag.1 ( da "Giornale.it, Il" del 20-12-2007)

Sarkozy in visita dal Papa: colloqui sull'Europa e il Medio Oriente di Redazione - giovedì 20 dicemb... ( da "Giornale.it, Il" del 20-12-2007)

Evviva il declino dell'Italia che porta libertà e conflitto ( da "Liberazione" del 20-12-2007)

Con il voto sul protocollo sul Welfare è stata messa l'ultima parola al dibattito sulla possibilità di introdurre riforme favorevoli ai lavoratori e alle classi subalterne attraver ( da "Liberazione" del 20-12-2007)

Prodi: accelerare la riforma tv fini: pubblicazione indecente ( da "Repubblica, La" del 21-12-2007)

Nella trincea di viale mazzini "noi, lottizzati ma professionisti" - concita de gregorio ( da "Repubblica, La" del 21-12-2007)

I sette minuti del padrone - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 21-12-2007)

La tv della lega diventa realtà i club decideranno cosa far vedere ( da "Repubblica, La" del 21-12-2007)

Dall'ex premier frasi di sconfinata volgarità ( da "Unita, L'" del 21-12-2007)

Il governo ha deluso, ma la verifica lo rilancerà ( da "Unita, L'" del 21-12-2007)

Di ANTONELLA COPPARI - ROMA - DICO: al telefono si hanno d ( da "Giorno, Il (Nazionale)" del 21-12-2007) + 2 altre fonti

Berlusconi choc: In La verità del Cavaliere sui raccomandati ( da "Giorno, Il (Nazionale)" del 21-12-2007) + 2 altre fonti

Canelli: ancora veleni in Consiglio comunale ( da "Stampa, La" del 21-12-2007)

Quelle bombe a orologeria per frenare il dialogo ( da "Giornale.it, Il" del 21-12-2007)

Tar, stop alla gara vinta da Sirti per i servizi informatici delle Fs pag.1 ( da "Giornale.it, Il" del 21-12-2007)

Piange il telefono ( da "Manifesto, Il" del 21-12-2007)

La carica degli indipendenti sbarca a Roma ( da "Manifesto, Il" del 21-12-2007)

Un mondo in equilibrio tra il servo e il padrone ( da "Manifesto, Il" del 21-12-2007)

LA REPLICA DI VIALE MAZZINI: ACCUSE INACCETTABILI ( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 21-12-2007)

Riforma tv sì, ma non basta: risolvere il conflitto d'interessi ( da "Unita, L'" del 22-12-2007)

[FIRMA]MARCO INNOCENTI FURINA ROMA Un decreto legge per regolare la materia delle intercettazi ( da "Stampa, La" del 22-12-2007)

Tra scandali e fughe ( da "Stampa, La" del 22-12-2007)

"decreto sulle intercettazioni" ma il governo frena mastella - alberto custodero ( da "Repubblica, La" del 22-12-2007)

Abuso quotidiano ( da "Corriere della Sera" del 22-12-2007)

Tutti quelli che... e la fiction Rai ( da "Corriere della Sera" del 22-12-2007)

I cineasti sardi beffati da Soru ( da "Manifesto, Il" del 22-12-2007)

TALVOLTA il titolo di un libro non rende merito al suo contenuto. È sicuramente il caso di ( da "Messaggero, Il" del 22-12-2007)

ROMA Indignato e offeso dopo le intercettazioni delle sue conversazioni con il direttore di ( da "Messaggero, Il" del 22-12-2007)

No ai processi sommari, ma si confermano le peggiori preoccupazioni sul conflitto di interessi ( da "Messaggero, Il" del 22-12-2007)

Ma Bertinotti condanna solo a metà ( da "Giornale.it, Il" del 22-12-2007)

Bertinotti condanna a metà ( da "Giornale.it, Il" del 22-12-2007)

La scelta del Tg1 di mandare giovedì sera l'audio della ( da "Tempo, Il" del 22-12-2007)

Di ELENA G. POLIDORI - ROMA - L'ENNESIMA fuga di notizie lo ( da "Resto del Carlino, Il (Nazionale)" del 22-12-2007) + 2 altre fonti

L'ira di Berlusconi: C'è voglia Intercettazioni, dubbi di Palazzo Chigi. Il garante chiede ( da "Resto del Carlino, Il (Nazionale)" del 22-12-2007) + 2 altre fonti

Questo no, quello no... E non rimase nessuno ( da "EUROPA.it" del 22-12-2007)

La campana del Colle "apre" la veri ca ( da "EUROPA.it" del 22-12-2007)

Le staminali uccidono il cancro o i profitti deviano la ricerca? ( da "Liberazione" del 22-12-2007)

Intercettazioni, Mastellavuole un decreto urgente ( da "Secolo XIX, Il" del 23-12-2007)

Intercettazioni: la barbarie è nei contenuti ( da "Unita, L'" del 23-12-2007)

Più poteri a Cappon, solo così salviamo la Rai ( da "Unita, L'" del 23-12-2007)

Vorrei sapere cosa ne pensa Veltroni . Antonio Polito, ( da "Tempo, Il" del 23-12-2007)

Veltroni si nasconde, Polito lo chiama in causa ( da "Tempo, Il" del 23-12-2007)

Il Silvio in salsa thai colpisce ancora ( da "EUROPA.it" del 23-12-2007)

Il centrodestra ed il nucleare ( da "Voce d'Italia, La" del 23-12-2007)

Rina Gagliardi ( da "Liberazione" del 23-12-2007)


Articoli

Sant'ambrogio, indaga la procura - davide carlucci (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Repubblica, La" del 19-12-2007)

 

Pagina XIII - Milano Acquisiti dal pm Pirrotta gli esposti dei comitati dei residenti e la trascrizione di una puntata della trasmissione tv Report Sant'Ambrogio, indaga la procura Aperta un'inchiesta sul parcheggio scavato accanto alla basilica DAVIDE CARLUCCI le accuse dei comitati contro i parcheggi in centro finiscono in un fascicolo della procura. Il pubblico ministero Paola Pirrotta ha acquisito la puntata della trasmissione "Report" nella quale s'ipotizzano irregolarità negli appalti per la realizzazione di una serie di posteggi previsti dall'amministrazione Albertini, in particolare quello che sta per nascere in piazza Sant'Ambrogio. è stata disposta la trascrizione della puntata ed è stato sentito, come persona informata sui fatti, il giornalista Bernardo Iovene, autore dell'inchiesta intitolata "Cara Madunina". Il fascicolo, per ora, è contro ignoti. Ma la testimonianza di Iovene arricchisce la documentazione già raccolta da Pirrotta dopo la presentazione di due esposti, da parte del comitato contro il parcheggio a Sant'Ambrogio e da Italia Nostra. Le denunce segnalavano l'operato della Sovrintendenza, che ha consentito la realizzazione dell'opera malgrado la presenza di una necropoli romana nell'area interessata (il cimitero dei martiri cristiani su cui il patrono di Milano volle far erigere la basilica). Il parcheggio, per i ricorrenti, oltre a essere inutile perché troppo vicino a quello, già esistente, in via Olona, rappresenterebbe anche una violazione del codice dei Beni culturali che tutela le piazze storiche, impedendone usi diversi. Gli scavi, inoltre, toccherebbero una falda acquifera. Le stesse accuse sono state ripetute nel corso della puntata di "Report" del 18 novembre. E dubbi sono stati sollevati anche sull'opportunità e sui costi della gara d'appalto dopo che una proposta analoga, nella stessa area, fu respinta dal Comune. Fu accolta, invece, la proposta della società Mangiarotti, "legata alla famiglia dell'assessore alla Salute Carla De Albertis". Ai rilievi ha risposto lo stesso imprenditore beneficiario dell'appalto, Claudio De Albertis, fratello dell'assessore che ha lasciato il suo incarico per protesta contro il ticket antismog voluto dal sindaco Moratti: "Se c'è una cosa su cui io debbo testimoniare è l'assoluta onestà intellettuale di mia sorella". Mentre la procura indaga - acquisendo anche documenti in Comune - le associazioni rilanciano la protesta. Italia Nostra ha scritto a Micaela Goren Monti, presidente del consiglio di zona 1, per ribadire il no "a un'opera che ci appare incongrua, insensata e pericolosa". Inoltre, "l'Ecopass sembrerebbe rafforzare la necessità di allontanare, anziché avvicinare, le auto al centro cittadino". Lo stesso Carlo Ripa di Meana, leader nazionale dell'associazione, incontrerà a gennaio i residenti. Fermamente contraria al progetto è anche l'architetto Cini Boeri: "Attendo che il sindaco Moratti, che con coraggio è riuscita a far approvare il ticket, riesca con uguale sensibilità a ordinare la chiusura dello squarcio attualmente aperto a fianco della Basilica". E Maria Bertolotti, del comitato dei residenti contrari al parcheggio, si aspetta che si faccia luce sui "conflitti di interesse, le gare d'appalto deserte, le modifiche al progetto di partenza con un progressivo aumento del numero dei piani". Intanto, mentre si moltiplicano le azioni legali contro i parcheggi - un gruppo di residenti ne ha intentato un'altra per piazza Bernini - Italia Nostra lancia una campagna contro il degrado di piazza Duomo e a San Babila: oggi ci sarà un incontro con il sovrintendente Alberto Artioli.


Cultura Forse farà scuola una scelta originale di questo libro (Sergio Luzzatto: Padre Pio. Miracoli... (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Repubblica, La" del 19-12-2007)

 

Cultura Forse farà scuola una scelta originale di questo libro (Sergio Luzzatto: Padre Pio. Miracoli e politica nell'Italia del Novecento, Einaudi, pagg. 419, euro 24): le immagini, normalmente raccolte in un inserto o distribuite qua e là per il piacere degli occhi, qui entrano nella pagina e si uniscono al testo come parte integrante di esso. Severe riproduzioni in bianco e nero suggeriscono quale funzione decisiva abbiano avuto le immagini nella vicenda di cui qui si tratta. Quelle della devozione a Padre Pio furono le piccole foto dei santini, sollievo e speranza per gli occhi di poveri, di malati, di sofferenti: a loro "altro non donava, Padre Pio, che immaginette sacre" (pag. 212). Era lui stesso una immagine vivente: quella del Cristo della Passione. La "vera effigie" di Padre Pio che i devoti, i bisognosi di conforto e di speranza si videro ben presto offrire dalla piccola industria sorta a San Giovanni Rotondo, era per così dire l'effigie di una effigie, la forma nuova e più efficace di quella "vera icona" di Cristo che i pellegrini del Medioevo visitavano a Roma. Dai tempi del primo stigmatizzato, San Francesco, i temi della devozione al sangue vivo e vivificante di un Cristo uomo di dolori erano diventati dominanti. E sempre più erano apparse su corpi umani le stigmate della Passione. Soprattutto su corpi di donne: come se il dolore e la compassione nel senso di partecipazione alla Passione originaria del Salvatore, fossero prerogativa della parte femminile dell'umanità. Il modello della santità stigmatizzata di Gemma Galgani fu decisivo nell'esperienza giovanile di Padre Pio, che ne lesse i testi e li fece suoi in una specie di santo plagio, mentre per ragioni di salute e di famiglia era tornato a sperimentare la chiusa vita domestica normalmente riservata alle donne. Da qui ebbe inizio, umilissimo inizio, una storia che doveva portare al duraturo quanto insolito monumento devoto di un grande ospedale moderno - un monumento intitolato all'impresa gigantesca e commovente di portare sollievo alla sofferenza e alla miseria di un popolo abbandonato dallo Stato. Raccontare un miracolo e ricostruire da storico una carriera di santità è l'impresa in cui questo libro si cimenta: e bisogna dire subito che l'esito è pienamente convincente. Non solo: questo libro è molto di più della storia di una vicenda individuale e collettiva di santità miracolosa. è una nuova e diversa storia dell'Italia del '900, è la scoperta del filo profondo che lega il paese del "miracolo italiano" al suo passato e che ne rende forse finalmente comprensibile quella speciale "modernità" che oggi viviamo, fatta di arcaismi e di disordinate fughe nel futuro, dove la religione e la Chiesa svolgono un ruolo altrove sconosciuto. Il libro ha un andamento serrato e avvincente, robustamente sorretto dalle carte di archivi segreti ma nutrito anche di tutti gli echi e i succhi della cultura dei romanzieri e dei giornalisti del '900. Il titolo mette subito in chiaro che non sentiremo frusciare le ali degli angeli ma ci muoveremo sul terreno ben poco edificante della politica. Che le religioni creino politica oggi non è una scoperta: anche se non tutte lo fanno costruendo ospedali. Resta che qui si tratta di miracoli. Ma come si fa storia di un fenomeno religioso così diffuso e senza tempo come la santità taumaturgica? e come si risponde a chi chiede se i miracoli sono veri? dai tempi di Erodoto gli storici hanno imparato a distinguere il loro compito da quelli di chi cerca il dito di Dio nei fatti umani. Il prologo dell'opera fa subito chiarezza su questo punto. Qui il miracolo interessa per quello che rivela delle speranze e dei desideri diffusi, in una parola dell'"orizzonte di attesa" che lo circonda. Ci sarebbe insomma una specie di circolarità tra la domanda e l'offerta: nel caso di Padre Pio, l'orizzonte fu quello terribile degli anni dell'"inutile macello" (parole di un papa) della Grande Guerra, quando la presenza del dolore e della morte, già così alta in quella che tutti chiamavano allora "bassa Italia", divenne l'immane tragedia collettiva che sappiamo. In realtà questa precisazione dice solo in parte quello che si incontra nelle pagine del libro: qui - per fortuna nostra e per merito dell'autore - l'orizzonte di attesa non sfuma nell'indistinto delle mentalità collettive ma assume subito i contorni netti e taglienti del conflitto sociale e politico, con tutti gli ingredienti tipici del secolo delle masse: la propaganda, il dominio dei mezzi di comunicazione, gli intrecci tra finanza, potere e religione e così via. Del resto, che miracoli e religione potevano aprire nuovi orizzonti all'analisi storica del potere lo aveva mostrato Marc Bloch in un'opera concepita e scritta proprio in quel dopoguerra che vide accanto alle stimmate di Padre Pio gran numero di insorgenze devote. Governare e controllare le devozioni era diventato allora un settore dominante dell'opera di quel Sant'Uffizio nato secoli prima per combattere le eresie intellettuali: e questo fatto è degno di nota. Per ritrovare il clima di quegli anni niente è più istruttivo di un sondaggio nell'archivio di quella che oggi si chiama Congregazione vaticana per la dottrina della fede. Arrivarono allora sui tavoli degli inquisitori tante storie di esperienze mistiche e devote concentrate soprattutto sulle immagini e sul sangue: santini sanguinanti di Cristo della Passione, ostie inzuppate nel sangue sgorgato da quelle immagini come quelle della devozione promossa fin dal 1911 dall'abbé Vachère nella diocesi di Poitiers e subito condannata. Anche quella sorta intorno a Padre Pio dopo l'apparizione delle stimmate - 20 settembre 1918, data per più versi simbolica - non ebbe vita facile. Mentre coi primi miracoli quella devozione diventava oggetto della comunicazione di massa, di quel sangue si interessarono sia i tutori laici ed ecclesiastici dell'ordine costituito sia chi quell'ordine tentava di cambiarlo, con la forza o con l'astuzia. E da questo momento il libro fa largo uso di quel procedimento fotografico che mette a fuoco chi guarda e lascia sfocato chi è guardato. Alla fine noi sappiamo che cosa hanno visto in Padre Pio i cappuccini locali, i miracolati e i convertiti, le autorità laiche e religiose e una folla di visitatori, con presenze al completo della cultura letteraria, del giornalismo e della politica. Tanti sguardi, tante speranze, attese, emozioni, convinzioni. Alla fine abbiamo l'impressione di avere imparato moltissimo sul nostro paese: abbastanza comunque per rivedere capitoli fondamentali della storia italiana - di quella del '900, ma di scorcio anche di quella precedente e di quella successiva perché impariamo qualcosa sulle correnti profonde che vivono al di sotto della cronaca dei triti fatti e piegano la storia in un senso o nell'altro. Intorno a Padre Pio si svolse un lungo conflitto sulla religione degli italiani e sulle alleanze della Chiesa. Che il primo e più duro critico fosse Padre Agostino Gemelli fa emergere la sostanza del contrasto: nel suo progetto di una rinnovata egemonia cattolica sull'Italia non c'era spazio per quel misticismo arcaico da clinica psichiatrica che lui credette di vedere nel cappuccino pugliese. E le resistenze furono tenaci: fino a quella celebre di Papa Giovanni XXIII, le cui opinioni ostili all'"affarismo" e alla "superstizione" nate intorno a un "idolo di stoppa" si possono leggere ora nell'ottima edizione delle sue agende a cura di Angelo Velati (Angelo Giuseppe Roncalli, Giovanni XXIII, Pater amabilis. Agende del Pontefice 1958-1963, Istituto per le scienze religiose di Bologna). Ma è sul terreno delle alleanze politiche costruite intorno al frate di Pietrelcina e degli uomini che le cercarono e le incarnarono che il libro riserva le sorprese più notevoli. A partire dalla benedizione che il 15 agosto 1920 Padre Pio impartì alle bandiere delle associazioni combattentistiche - un gesto che "non ebbe nulla di politicamente innocente", annota Luzzatto - e dalla strage di contadini socialisti del 20 ottobre, si dipana il filo di una propensione clerico-fascista dei suoi promotori più attivi (il clerico-fascismo è una categoria della storia italiana contemporanea sul cui valore euristico Luzzatto invita giustamente a riflettere). Protagonista assoluto di questa storia è quell'Emanuele Brunatto che nelle sue molte metamorfosi - spia fascista, collaboratore dei nazisti, borsanerista e speculatore nella Francia liberata - fu sempre un apostolo di Padre Pio e ne costituisce una specie di immagine rovesciata. Brunatto volle dimostrare alle autorità vaticane quel che si poteva guadagnare dall'opera di Padre Pio per battere il comunismo in Italia. Ma non c'era bisogno di simili consiglieri per convincere di questo il cattolicesimo politico italiano: l'investimento che si era disposti a fare su Padre Pio lo mostra la storia di come tra il 1947 e il 1948 i due fratelli Giovanni Battista e Lodovico Montini in rappresentanza l'uno del Vaticano l'altro dello Stato italiano spostarono sull'ospedale di San Giovanni Rotondo la fetta maggiore dei finanziamenti UNRRA al sistema sanitario italiano. La conclusione è nota. Venne un tempo in cui nei cimiteri italiani, quelli che si chiamano ancora abitualmente camposanti, insieme alla croce e talvolta al suo posto comparve la figura di Padre Pio, in immagini scolpite o dipinte, dai santini per le tombe più povere alle statue monumentali: fu chiaro allora che la devozione aveva vinto. E la decisione della Chiesa cattolica di ammettere ufficialmente Padre Pio alla gloria degli altari apparve inevitabile. La religione dell'"alta Italia" di Padre Gemelli o di Papa Giovanni e quella dell'Italia "bassa", percorsa da "fermenti di idolatria" come scrisse nel 1960 il visitatore apostolico monsignor Maccari, dovevano andare insieme. Ne andava dell'unità d'Italia: e il merito storico della Chiesa era stato proprio quello di tenere unita l'Italia, aveva osservato Benedetto Croce. Ne andava soprattutto del destino della Chiesa. Viene in mente un nome che non troviamo in queste pagine ma che sicuramente è stato presente all'autore: quello di Antonio Gramsci che nel carcere di Turi rifletteva sul valore politico dell'energia dispiegata dalla Chiesa nell'impedire che la religione degli intellettuali divorziasse da quella dei semplici.


Anche Cazzola nella holding di Consorte (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Unita, L'" del 19-12-2007)

 

Stai consultando l'edizione del IL CASOL'ex leader dell'Unipol raccoglie una cinquantina di imprenditori nella sua finanziaria Intermedia Anche Cazzola nella holding di Consorte di Antonella Cardone Lui è l'eclettico imprenditore che ha reinventato il Motorshow declinando in chiave erotica l'atavica passione italiana per le automobili. L'altro è l'Icaro che con Unipol si è bruciato le ali tentando la scalata alla Banca nazionale del lavoro. Ora Alfredo Cazzola e Giovanni Consorte sono soci in affari: il primo ha acquisito una quota azionaria della società dell'altro, la merchant bank Intermedia. La conferma arriva da Cazzola, che spiega di aver impiegato nell'operazione parte della liquidità acquisita dalla vendita della sua Promotor (che possedeva, oltre al Motorshow, anche il Lingotto di Torino) ai francesi della Gl events. "Con Consorte siamo amici da tempo, l'ho conosciuto quando era alla guida di Unipol e ho avuto modo di apprezzare le sue capacità finanziarie: ho stima in lui", argomenta Cazzola. Con l'entrata del bolognese, si allunga così la lista dei compagni del nuovo viaggio che Consorte ha intrapreso dopo l'addio-defenestrazione da Unipol. In Intermedia le indiscrezioni vedono figurare una cinquantina di imprenditori italiani, tra cui Vittorio Casale - il costruttore che aveva comprato alcuni immobili di Unipol rivendendone uno allo stesso Consorte, noto anche per aver portato in Italia il business delle sale bingo - e Salvatore Tiozzo, imprenditore di Chioggia. Si parla anche di una prossima entrata in Intermedia di Alberto Rigotti, proprietario della merchant bank Abn che controlla il gruppo editoriale E-Polis. Un dato, quest'ultimo, non irrilevante per chi aspetta - o teme - una rentrée in grande stile di un Consorte col dente avvelenato con la stampa che lo coprì di polvere per il caso Unipol-Bnl. Paiono molto fondati, infatti, i rumors che danno Consorte pronto rilevare il 2% della società di Rigotti, spendendo così 3,5 dei 95,5 milioni di mezzi propri di cui l'Intermedia è ufficialmente dotata. C'è da dire, però, che lo shopping finanziario che sta attuando la società di Consorte spazia nei campi più disparati, dall'immobiliare alla ricerca sul cancro passando per il calcio. Già, il calcio. Al costo di 3 milioni di euro Intermedia ha appena rilevato il 10% della Credsec spa, la società finanziaria controllata dall'avvocato romano Giovanni Lombardi Stronati e proprietaria del Siena Calcio sponsorizzato dal Monte Paschi. Un dato che dovrebbe far preoccupare l'amico Cazzola, il cui mestiere principale, attualmente, è fare il patron del Bologna football club: se i rossoblu l'anno prossimo risalissero in serie A, per lui si profilerebbe un conflitto di interessi.


Riassetto Mediobanca All'Antitrust manca una parte del dossier (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Giornale.it, Il" del 19-12-2007)

 

Di Redazione - mercoledì 19 dicembre 2007, 07:00 Il riassetto dei grandi soci di Mediobanca è cosa fatta, ma nel dossier consegnato da Unicredit all'Antitrust mancano alcuni "allegati". A partire dai documenti sui due punti più delicati dell'intero accordo: lo strumento con cui Piazzetta Cuccia ha smontato la propria quota in Mediolanum e il contratto swap utilizzato da Piazza Cordusio per parcheggiare all'inglese Barclays il 2% della merchant bank inizialmente destinato a Popolare Vicenza. "Mi sono arrivate le carte: mancano ulteriori dettagli. Giovedì decideremo se li avremo tutti", ha attaccato il presidente dell'Authority, Antonio Catricalà. L'Antitrust, che ha imposto a Piazza Cordusio di cedere il 9,36% di Piazzetta Cuccia come condizione alle nozze con Capitalia, vuole quindi leggere tutte le carte prima di dare il proprio avallo definitivo. Unicredit deve inoltre mettere a punto un sistema per impedire al presidente Dieter Rampl e al consigliere Fabrizio Palenzona, entrambi membri del board di Mediobanca, di partecipare alla discussione e alle delibere del consiglio di Unicredit riguardanti i temi dell'investment banking e delle assicurazioni. L'Antitrust ha infatti condizionato il via libera all'aggregazione con Capitalia alla rimozione dei conflitti di interesse con la galassia Mediobanca-Generali.


La ragnatela che blocca lo sviluppo (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 19-12-2007)

 

Commenti Pagina 317 spoils system tutto sardo La ragnatela che blocca lo sviluppo Spoils system tutto sardo di Andrea Pubusa* --> di Andrea Pubusa* Le recenti sentenze del giudice del lavoro sulle nomine di alcuni alti dirigenti regionali non sorprendono, anzi contengono annullamenti annunciati. Gli incarichi sono stati adottati dal presidente Soru in palese contrasto con la disciplina legislativa esistente e, ancor prima, con quella costituzionale. Ciò che sorprende è che si tratta di regole ben note. Infatti, con due sentenze pubblicate non più di qualche mese fa (la numero 103/2007 e 104/2007), la Corte costituzionale ha censurato le forme più estreme di spoils system perché si tratta di un modo per fidelizzare la dirigenza e rendere più stretta la cinghia di trasmissione tra politica e amministrazione. Com'è noto, il nuovo statuto della dirigenza pubblica e, in particolare, il principio della distinzione tra politica e amministrazione, fa sì che i vertici politici assegnino ai dirigenti gli incarichi, indichino gli obiettivi, valutino i risultati; ai dirigenti, il cui rapporto di lavoro è ormai privatizzato (dal 1998 anche quello dei dirigenti generali), è riservata l'attività di gestione e di emanazione degli atti amministrativi. Essi sono assoggettati a una nuova forma di responsabilità dirigenziale in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi. Tuttavia, secondo la Corte costituzionale, "la dipendenza funzionale del dirigente non può diventare dipendenza politica". Il dirigente può essere sottoposto alle direttive e al giudizio del vertice politico, ma "non può essere messo in condizione di precarietà". Ciò violerebbe appunto i principi costituzionali di imparzialità e di buon andamento. Solo per i dirigenti apicali (dirigente e segretario generale, capo di dipartimento, ecc.) il rapporto fiduciario stretto potrebbe prevalere su queste esigenze. Questi dirigenti possono, dunque, essere nominati e rimossi dal Presidente, ma - attenzione - non possono ingerire nell'amministrazione. La loro azione è limitata agli atti d'indirizzo che spettano agli organi politici. Insomma, l'amministrazione spetta ai dirigenti cosiddetti "di carriera" che la svolgono sulla base degli indirizzi degli organi politici e, a garanzia dell'imparzialità e del buon andamento, non sono sottoposti a nomina e revoca fiduciaria del Presidente, mentre quelli apicali possono essere "fiduciari", ossia nominati e revocati liberamente dal Presidente, ma non possono svolgere attività amministrativa a garanzia dell'imparzialità. La Giunta Soru è del tutto al di fuori dalla prospettiva costituzionale. Anzitutto perché ha presentato un disegno di legge imperniato su uno spoils system generalizzato e, dunque, in aperta violazione del principio di imparzialità e di buon andamento. Secondariamente, il Presidente assegna ai dirigenti fiduciari funzioni amministrative in violazione della distinzione che esiste fra politica e amministrazione, creando così una sorta di "amministrazione del Presidente", che è una versione perfino peggiore della "amministrazione di partiti". Questo palese scostamento dalla legalità costituzionale, a ben vedere, è alla base degli annullamenti ripetuti delle nomine di alti dirigenti, ma è anche la fonte dei guai del Presidente. La fidelizzazione degli alti dirigenti determina anche un'indiretta ma non meno pregnante intromissione del Presidente nell'amministrazione. Se poi questi ha anche una ragnatela d'interessi in vari settori, in ragione della sua attività imprenditoriale, è evidente che la commistione affari/amministrazione rischia di divenire inestricabile e fonte di conflitto d'interessi: nell'azione pubblica finiscono per insinuarsi "sensibilità" estranee all'esercizio della funzione, con risvolti evidentemente sconvenienti. Quale è potrebbe essere il rimedio a questa situazione? È più semplice di quanto non si pensi. È sufficiente ripristinare la legalità, così come enunciata dalla Corte costituzionale. Ne guadagnerebbe l'amministrazione regionale e soprattutto i sardi, che in un'amministrazione efficiente e imparziale possono avere una insostituibile risorsa per lo sviluppo. *Università di Cagliari.


Veltroni frena i piccoli: basta richieste infantili (sezione: Conflitto di interessi)

( da "EUROPA.it" del 19-12-2007)

 

LEGGE ELETTORALE Veltroni frena i piccoli: basta richieste infantili RUDY FRANCESCO CALVO "La nostra idea del bipolarismo è l'esatto contrario di un rapporto melmoso. Sugli interessi nazionali si è chiamati a discutere tutti insieme, ma da questo nasce un'alternatività ancora più credibile tra gli schieramenti ". Walter Veltroni e Romano Prodi si ritrovano accanto alla presentazione di Sono partito democratico, il libro di Antonello Soro che raccoglie gli "appunti di viaggio" di uno dei protagonisti diretti della nascita del Pd. Il segretario coglie l'occasione per ribadire sotto lo sguardo attento del premier che non esiste "nessun patto della frittata", ma solo "un dialogo tra forze politiche che restano alternative". E aggiunge che, accantonata l'ipotesi di un sistema francese senza consenso in parlamento, il Pd vuole arrivare a un modello in cui "il sistema proporzionale e il bipolarismo non siano in conflitto", e che non comporti la creazione di "alleanze ancora più larghe di quelle attuali, che metterebbero il paese di fronte a un rischio ancora maggiore di ingovernabilità". Fin qui, tutto bene. Prodi non è certo un sostenitore del proporzionale, ma si rende conto che la strada verso quella direzione ormai è tracciata. Apprezza "il lavoro che sta facendo Walter di consultazione e di dialogo" e spinge per una riforma che garantisca la governabilità. Ma non solo. Perché il premier deve innanzi tutto difendere il proprio governo e questo significa garantire tutte le forze della coalizione. Anche, e soprattutto, le più piccole. È la principale differenza che lo divide da Veltroni che, da parte sua, insiste sull'introduzione di meccanismi di "disproporzionalità", che vanno a tutto vantaggio delle liste più grandi. "Superamento della frammentazione e una democrazia che decida ", sono le parole d'ordine del segretario del Pd. E Prodi puntualizza: "Bisogna arrivare a un sistema in cui vi sia un'alternanza, un accorpamento delle forze politiche, ma senza togliere garanzie alle forze esistenti. La riforma elettorale ? conclude ? deve partire dalla necessità che le diversità siano considerate un valore e non un fattore negativo ". Veltroni risponde: "Cerco, anche se non è facile, di raggiungere un equilibrio su un sistema elettorale. Ma a volte vedo richieste un po' infantili, di chi dice o facciamo così o...". "O porto via il pallone", suggerisce Realacci dalla prima fila. Veltroni sorride, annuisce e lancia l'affondo: "Questo è inaccettabile, soprattutto perché spesso queste posizioni vengono da chi ha le forze numeriche più piccole". A sottolineare le "curiose discrepanze" tra Prodi e Veltroni è il socialista Gavino Angius. Ma anche gli altri alleati si fanno sentire. Per Donadi (Idv) "l'approccio giusto" è quello del premier, Cusumano attacca chi nell'Unione continua "a ritenersi in diritto di decidere per conto proprio e in funzione esclusiva dei propri interessi", e Ripamonti (Verdi) richiama la necessità di "garantire una presenza democratica e plurale rappresentativa del paese reale ". L'obiettivo del leader del Pd non cambia. In un'intervista pubblicata oggi dal Foglio ribadisce la volontà di coltivare la vocazione maggioritaria del proprio partito con qualsiasi sistema elettorale, compreso quello che uscirebbe dal referendum. E lancia la sfida nel campo avversario, rivolgendosi a FI e An: "Se ciascuno di noi va per conto suo e rifà le alleanze, questo introdurrebbe nella politica italiana un forte elemento di discontinuità".


L'autostrada paralizzatadall'inerzia dei politici (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Secolo XIX, Il" del 20-12-2007)

 

Roberto onofrio Gli storici ritardi infrastrutturali e la totale assenza di strategie nella gestione delle emergenze hanno mostrato, con un infernale uno-due, che cosa è diventata Genova. Una città bella, ma inaccessibile. Un capoluogo economicamente cruciale per i traffici portuali, ma irraggiungibile. Un nodo autostradale da aggirare, dal quale restare lontano, potendo. Da evitare, come ormai sempre più spesso, quasi ogni giorno, ripetono le radio nazionali che danno informazioni sul traffico. È questa la condanna più cruda, la sentenza più bruciante, il verdetto più impietoso che affiora dai due giorni di ordinaria follia regalati, ancora una volta, ad automobilisti e camionisti dalle raffiche di tramontana che hanno bloccato gli accessi portuali del Vte di Voltri e di San Benigno a Genova Ovest. Gli scenari apocalittici che si prefiguravano qualche anno fa, quando si discuteva della necessità di alleggerire la A10 dal traffico dei Tir con bretelle o gronde alternative, sono diventati la cronaca quotidiana. Quasi banale nella sua ripetitività. Ossessiva e alienante per chi, alla guida di un'auto o di un camion, è costretto a viverla in diretta. Disastrosa per i riflessi che produce, con una progressiva e devastante reazione a catena, in tutti i canali del sistema economico, locale e nazionale; e non solo, ovviamente, per il comparto portuale genovese. Le snervanti ore di paralisi del traffico, intorno al nodo del capoluogo ligure, cristallizzano energie, soldi, produttività, ore di lavoro, dilatando non solo i tempi di consegna delle merci, ma finendo per incidere profondamente anche sul normale flusso che dovrebbe scandire anche tutte le altre attività. I danni che sta provocando questo stato di sospesa inerzia sono enormi e forse, a questo punto, varrebbe anche la pena cercare di quantificarli per averne una maggiore consapevolezza e per scuotere dal torpore politico che sembra avvolgere, su questo problema, qualunque tipo di decisione. Nel caso specifico, ci sono due livelli di intervento che gli amministratori locali (Autorità portuale compresa), i ministri nazionali e i dirigenti delle Autostrade devono definire subito. Il primo, naturalmente, è la scelta del tracciato autostradale alternativo, su cui si discute da almeno vent'anni con una spensieratezza che un po' indigna e un po' inquieta, perché difficile da spiegare razionalmente. Le bizze dei comitati cittadini hanno paralizzato per anni la bretella Voltri-Rivarolo, fino a convincere i politici - l'attuale governatore della Liguria, Claudio Burlando, protagonista di quei confronti, lo ricorderà - a lasciar stare, pensando a soluzioni diverse per non perdere consensi. I faccia a faccia tra gli amministratori locali sulle gronde (alte o basse) hanno riempito di infinite e inutili discussioni convegni, riunioni, vertici, nei quali si è spostato un po' più in qua o un po' più in là il tracciato, la galleria, il viadotto nel periodo in cui la Regione era guidata dal centrodestra di Sandro Biasotti, il Comune dal centrosinistra di Giuseppe Pericu così come la Provincia di Sandro Repetto. E ora le bizze le fa il sindaco Marta Vincenzi, che non è convinta della decisione tanto faticosamente raggiunta prima di lei. Così adesso si sta cesellando il nulla, con il bel risultato che neanche se ne parla più. È un comportamento grave, politicamente. Rischia seriamente di diventare irresponsabile, dopo quanto è accaduto negli ultimi due giorni tra i caselli di Genova Voltri e Genova Ovest. Impiegare tre ore per percorrere venti chilometri e, soprattutto, restare per tutto quel tempo prigioniero di un'assurdità non è più molto tollerabile e sarebbe stato sufficiente parlare e ascoltare qualche automobilista fermo in coda per capire che la soglia è già abbondantemente oltre il limite di guardia. Come se non bastasse, i notiziari radio, nell'attesa, ti annunciavano anche l'aumento, dal primo gennaio, delle tariffe autostradali e l'ennesimo prezzo record di benzina e gasolio, in Italia. Così, tanto per condire anche con la beffa finale lo slogan "viaggiare informati". Un modo di dire, evidentemente. Uno stato d'animo, per le Autostrade, ieri sollecite, nei pannelli luminosi, nel segnalare i minuti che si sarebbero impiegati per arrivare a Voltri, ma un po' evasivi, almeno in certe ore, nell'indicare che cosa stava accadendo dopo Voltri. E qui si arriva al secondo livello di intervento, che riguarda la gestione delle situazioni limite diventate ormai la quasi normalità, tra Savona e Genova. È ormai assolutamente necessario prevedere, da parte degli amministratori locali, dell'Autorità portuale e della stessa società Autostrade, un vero e proprio piano di emergenza quando i varchi portuali per qualche motivo (un giorno è il vento, un altro è lo sciopero, un altro ancora è l'incidente in banchina) vengono chiusi. L'assessore regionale ai Trasporti, Luigi Merlo, suggerisce oggi, sul Secolo XIX, una proposta che può offrire qualche respiro. Forse può essere utile e importante che, in certi casi, intervenga anche la Prefettura. Per esempio, nello smaltimento del flusso dei Tir in arrivo, subito dopo la sospensione del lungo sciopero dei giorni scorsi, la soluzione trovata dal prefetto di Genova, Giuseppe Romano, è stata funzionale, evitando contraccolpi pesanti. Il fatto che a Genova e dintorni manchino aree adeguate in cui convogliare e fermare Tir e container, in questi frangenti, è evidente. Ma non può più essere, oggi, una giustificazione. Sono anni che questa carenza è nota. Sono anni che si ripete che va studiata un'alternativa, prima che sia troppo tardi, prima che i traffici aumentino, prima che il numero dei container in arrivo e in partenza da Genova cresca. Quel giorno, almeno per quanto riguarda la tenuta delle infrastrutture attuali, è già arrivato da un pezzo. E ogni previsione di ulteriore crescita, naturalmente auspicabile sotto il profilo economico, diventa profezia di sventure autostradali ancora più infernali di quelle appena trascorse. 20/12/2007 Da anni si ripete che serve un'alternativa alla A10, tra Voltri e Genova. Non averla definita, dopo l'inferno di questi giorni, è da irresponsabili 20/12/2007 dalla prima pagina Il giornale ha probabilmente esagerato ma ha scelto il terreno giusto sul quale stranieri e italiani dovrebbero basare le loro valutazioni. Il liberismo tende a presentare la navigazione nel mare tempestoso dello sviluppo come un problema individuale, legato appunto agli spiriti animali di ciascuno. Poiché dall'orizzonte culturale dominante sparisce la barca dello Stato, la traversata verso il futuro dei sei o sette miliardi di uomini sfusi che popolano la terra dovrebbe avvenire a nuoto. Sennonché una malattia specificatamente italiana è proprio la prevalenza degli spiriti animali su quelli civili. Da noi questi ultimi sono stati inghiottiti, masticati e digeriti dall'ingordigia individuale che, per definizione, è refrattaria a quel sovrappiù di egoismo, a quella dilatazione degli interessi individuali che guarda oltre il boccone immediato e cerca di assicurarsi il pasto anche nel futuro tenendo d'occhio gli interessi generali, vale a dire il bene della nazione. Il giudizio del New York Times si può attenuare, trasferendolo dai cimiteri alle cliniche, ma non deve essere ignorato. La malattia sulla quale si continuano a emettere sospiri e sondaggi che quantificano l'insicurezza degli italiani, la loro mancanza di prospettive per il futuro, il ristagno del Pil, e la carestia della quarta e perfino della terza settimana nei bilanci familiari, è riconducibile allo Stato, o meglio al suo progressivo indebolimento. Ma la malattia fisica non risulterebbe mortale se non venisse aggravata e resa incurabile da un disturbo culturale. È la terapia che preoccupa. È la cura proposta praticamene da tutti gli esperti e meravigliosamente espressa da Beppe Grillo, che fa paura. Se, di fronte a una cirrosi, i medici a consulto pretendessero di eliminare le tossine prodotte dai cirri di "grasso burocratico" nascosti nel tessuto epatico, asportando appunto il fegato che li ospita, adotterebbero la terapia degli innumerevoli politici, politologi, commentatori, giornalisti, investigatori di caste che in Italia chiedono a gran voce l'eliminazione non già del morbo ma dell'organo vitale che lo subisce. Purtroppo, però, senza fegato le transaminasi tornano a posto, o meglio spariscono, ma sparisce anche la vita. La quale si dissolve assieme all'organo gettato tra i rifiuti chirurgici. Certo, senza Stato scompaiono le inefficienze burocratiche, la corruzione, le ruberie, le tasse, ma anche l'esistenza della comunità. Quest'ultima è affidata al bastimento politico nel quale, non più frenati dalle autorità istituzionali, gli spiriti animali degli individui possono appropriarsi agevolmente di ciò che resta nella cambusa, senza accorgersi però che il buco nello scafo si allarga, che nessuno lo ripara, e che sott'acqua le riserve accumulate personalmente non si potranno mangiare. Forse per un'estrema resipiscenza intellettuale le terapie proposte non parlano di Stato da buttare, ma di statalismi da eliminare. Penso che in gran parte si tratti di paraventi linguistici con i quali si cerca di coprire l'assurdità del paradigma che sonnecchia sotto il pensiero unico, vale a dire sotto le illusioni ideologiche del radicalismo liberista. Il mondo attuale è sballottato da ondate di anarchismo totalitario (Grillo), che vengono dal basso, e ventate di totalitarismo anarchico che invece soffiano dall'alto (la finanza internazionale). Le prime sono caratterizzate da un'accentuata tolleranza per tutte le possibili intolleranze che si avvicendano nelle società e soprattutto nell'informazione. Le seconde esercitano direttamente la loro ferrea intolleranza nei confronti di ogni ostacolo che incontrano sul loro cammino. Se il problema italiano è salvare la democrazia con la sua razionale mobilità sociale e culturale, è forse bene sapere che: 1) Lo Stato è tuttora l'unico contenitore conosciuto della democrazia. Si può farlo grande o piccolo, continentale o regionale (escludendo però le turpitudini della Lega padana), ma non se ne può fare a meno. 2) Assai più che una cultura liberale (il liberalismo ha i suoi fondamentalismi e le sue intolleranze), la cosiddetta "tolleranza" del costume di un popolo deriva dalla consapevolezza che i conflitti umani oppongono spesso non una ragione e un torto, ma due mezze ragioni. Proprio per questo, altrove anche le ferite più sanguinose prima o poi si rimarginano, lasciando la cicatrice. Mentre qui, dopo decenni, stentano a chiudersi persino i graffi. 3) La causa di questa renitenza alla riconciliazione tra particolare e generale, tra guelfi e ghibellini può essere cercata dappertutto meno che nella durezza del carattere. È più culturale che politica, più legata a un deficit di storia istituzionale (in Italia la nazione è vecchia ma lo Stato è giovinetto) che alle esperienze recenti. 4) Infine non bisogna dimenticare l'importanza della letteratura, che è forse la massima educatrice dei costumi di un popolo. Noi abbiamo avuto una grande letteratura, ma non Miguel de Cervantes, non i tragici inglesi, e neppure le folgori psicologiche di Michel de Montaigne e François de La Rochefoucauld. Per restare ai due estremi del nostro patrimonio, Dante, grande psicologo, presenta tuttavia solo individui appesi ai fili trascendenti di Dio o del Diavolo, soggetti umani non ancora affidati a se stessi, come da qualche secolo siamo invece noi; e Alessandro Manzoni miniaturizza gli abissi delle perversioni, della viltà o della grandezza d'animo, riducendoli alle dimensioni di un confessionale, per quanto raffinato e inquieto. Forse è per questo che mentre in Francia il moralista è Molière, da noi è Tartufo. O meglio, per semplificare: è una media ponderata tra il cardinale Camillo Ruini e Paolo Flores D'Arcais. Saverio Vertone 20/12/2007.


Pd, dopo quella sulla laicità scoppia la grana-massoneria In Commissione Codice etico il nodo sulla compatibilità tra iscrizione al partito e alle logge (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Unita, L'" del 20-12-2007)

 

Stai consultando l'edizione del Pd, dopo quella sulla laicità scoppia la grana-massoneria In Commissione Codice etico il nodo sulla "compatibilità" tra iscrizione al partito e alle logge di Simone Collini / Roma Anche nel Partito democratico c'è "da fare". In particolare, i turbamenti del giovane Pd che vanno risolti si chiamano laicità e modello organizzativo. Ci sarebbe da sciogliere anche il nodo della collocazione internazionale, su cui ieri Francesco Rutelli da Bruxelles è tornato auspicando "un nuovo processo per non rinchiudersi nelle appartenenze per quanto gloriose del ventesimo secolo". E poi sarebbe da chiarire se un "aderente" al Pd possa o meno far parte di logge massoniche, visto che la commissione per il Codice etico si è dimostrata sede di discussione non meno accesa di quelle che si stanno occupando dello Statuto del partito e del Manifesto dei valori: la bozza presentata dalla relatrice Marcella Lucidi prevedeva l'incompatibilità così come per tutte le "associazioni segrete" o "vietate per legge", ma l'ex segretario liberale Valerio Zanone ha protestato, sostenendo che le logge massoniche non sono segrete, visto che le liste degli iscritti sono depositati nelle prefetture, e che i principi illuministici della massoneria non sono in contrasto con quelli del Pd. C'è stato un ampio dibattito, c'è stata anche qualche gaffe, come quando Vincenzo Vita ha detto che sarebbe bene non far parte contemporaneamente del Pd e dell'Opus dei rendendosi conto soltanto dopo un po' del perché più d'uno in sala iniziasse a dare di gomito al vicino e bisbigliare (il nome della Binetti). Alla fine si è convenuto sull'obbligo, al momento dell'iscrizione al partito, di comunicare se si è iscritti ad altre associazione per evitare lobbismi occulti e conflitti di interesse, e di riformulare la parte della bozza relativa alle logge massoniche. Ma è niente in confronto alla discussione in corso nelle altre due commissioni del Pd. In quella incaricata di redigere lo Statuto il lavoro è alle battute finali e sebbene ci sia stato un avvicinamento tra le diverse posizioni non tutti i nodi sono stati sciolti. Il presidente Salvatore Vassallo ha in principio presentato una bozza in cui non comparivano riferimenti al congresso, poi su pressione del fronte ds-popolari-lettiani ne ha presentata un'altra in cui si parlava di una "convenzione", senza però riferimenti temporali, e di un segretario e un'assemblea nazionale che rimangono in carica tre anni e mezzo, e poi dopo un'ulteriore discussione ne ha depositata un'altra in cui si dice che entrambe le scadenze sono ridotte a due anni (e quindi la "convenzione" potrebbe tenersi nell'ottobre 2009). Non manca l'apprezzamento per le correzioni, ma gli ex diessini Maurizio Migliavacca e Massimo Brutti, l'ex popolare Nicodemo Oliverio e il lettiano Francesco Sanna hanno presentato diversi emendamenti nei quali viene chiesto di chiudere in tempi più brevi la fase transitoria e di applicare più rapidamente i principi di democrazia interna, a cominciare dal dotare il Pd di organismi democraticamente eletti che sostituiscano quelli nominati in questa prima fase da Veltroni. Dopodomani si riunisce la commissione e si sta lavorando per evitare spaccature. La commissione per il Manifesto dei valori aveva aperto i lavori in un clima tranquillo, ma il no alla fiducia della Binetti e il voto a Roma sui registri delle unioni civili hanno acceso gli animi sul tema della laicità, e aperto qualche frattura. La senatrice Magda Negri parla di "contraddizioni crescenti del Pd" e chiede al partito di appoggiare il referendum a favore dei registri comunali, mentre sul lato opposto il teodem Luigi Bobba propone per le questioni eticamente sensibili di aprire dei "cantieri di ricerca" e di prevedere delle maggioranze qualificate in Parlamento. Quel che è certo, dice Vittoria Franco, è che nel Pd sui temi etici "una riflessione non si può più rinviare".


La strage del lavoro che per anni non è stata notizia Cara Unità, la città (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Unita, L'" del 20-12-2007)

 

Stai consultando l'edizione del La strage del lavoro che per anni non è stata notizia Cara Unità, la città di Ceccano è in lutto. Una contrada come quella di Colle Pirolo, dove intensi sono i legami familiari, è ancora incredula per la scomparsa di Giovanni Del Brocco, di appena 22 anni, avvenuta in un cantiere ad Albano. Dolore, lutto, incredulità: questi sono i sentimenti che accomunano la comunità ceccanese. L'elenco dei caduti sul lavoro,dunque, si allunga minacciosamente: dall'inizio dell'anno 1013. I giornali parlano in modo molto diffuso dell'accaduto ma fra qualche giorno quando i riflettori si spegneranno c'è il dovere di capire di più. Per comprendere meglio tutto quello che è avvenuto in questi anni in Italia sul tema del lavoro è utile tener conto di una ricerca fatta dall'Amministrazione Provinciale di Roma sulle "morti bianche" e gli infortuni sul lavoro nel Lazio durante il 2006 e come tutto ciò sia stato rappresentato dai media. Da tale inchiesta risulta che nel periodo analizzato nella nostra Regione vi sono stati circa 60.000 incidenti sul lavoro e 151 morti accertati ufficialmente. L'attenzione della tv nazionale, purtroppo, è stata irrilevante mentre quella del tg3 regionale ha coperto solamente il 20% dei casi luttuosi. C'è stata una maggiore attenzione da parte della carta stampata ma pur sempre inadeguata. Su 151 casi di morti i giornali che hanno fatto più articoli sono stati l'Unità con 27, Liberazione 21, Corriere della Sera 19, Repubblica 17. Il Sole 24 ore, ovvero il giornale di Luca Cordero di Montezemolo, 0. Zero. È interessante rilevare che l'Osservatore Romano, giornale della Santa Sede, dopo i due giornali della sinistra è quello che ha fatto più articoli, 20. Ma merita riportare il pensiero dello stesso giornale che ha argomentato tali pezzi: le morti e gli incidenti "non sono un prezzo obbligatorio da pagare alle leggi dell'economia ma derivano da una concezione ottocentesca del lavoro, nella quale i diritti sono intralci e l'impiego quasi un regalo". In tutti questi anni morire per il lavoro non è stata mai una notizia ed anche quando venivano riportate non venivano mai accompagnate da inchieste o strumenti di approfondimento. Forse perché il lavoro si è ritenuto oramai declinante e prossimo a sparire. Una previsione sbagliata in quanto gli operai in Italia, anche se frantumati, non sindacalizzati, indifesi e non rappresentati politicamente raggiungono la ragguardevole cifra di otto milioni. Oggi, più che mai, interessarsi, intervenire e combattere contro la strage degli innocenti non vuol dire inseguire o fronteggiare aspetti residuali, ma stare dentro fenomeni decisivi, nevralgici, riguardanti il presente ed il futuro della dignità umana e del conflitto di classe. Angelino Loffredi Unioni civili / 1 E noi lanciamo un referendum sui Pacs Cara Unità, sono sconcertato per ciò che è successo in comune a Roma sulle unioni civili: questo non è uno Stato democratico, bensì uno stato Teocratico! Perchè a questo punto l'Unità non si fà promotrice di una raccolta firme per un Referendum sui Pacs che i nostri amati politici di sinistra hanno volutamente dimenticato nel cassetto? Francesco Ferrabò Unioni civili / 2 Quell'"atto simbolico" che è mancato Cara Unità, la vicenda della mancata istituzione del Registro delle unioni civili a Roma, ma soprattutto le motivazioni che il Sindaco di Roma (e segretario nazionale del Pd) e il presidente del gruppo consiliare del Pd hanno dato alla stampa, e dunque ai cittadini, sono a mio giudizio del tutto insoddisfacenti. Ci hanno detto, infatti, che l'istituzione del Registro sarebbe stata inutile in quanto si tratta di un fatto puramente simbolico. Mi dispiace molto a questo punto dover rilevare l'incoerenza di fondo tra questa affermazione e le usuali pratiche della buona amministrazione di questa città, del suo Sindaco e della maggioranza che la governano. Un'amministrazione improntata spesso su molti atti simbolici che hanno avuto la capacità e la forza, spesso, di sollecitare il legislatore nazionale ad adottare provvedimenti importanti che colmassero vuoti legislativi che non consentivano, non solo alla Capitale, di risolvere i problemi dei cittadini. Atti simbolici che spesso hanno avuto anche il grande merito di stimolare l'inizio di importati processi di rinnovamento culturale (di cui abbiamo un enorme bisogno) nella popolazione tutta. Penso ai pasti multi-etnici nelle scuole. Penso all'intitolazione di strade e vie a personaggi che per decenni hanno rappresentato profonde divisioni tra sostenitori politici di opposte fazioni. Penso a tutte le volte che si è illuminato il Colosseo perché è stata revocata o sospesa un'esecuzione capitale in un qualsiasi paese del mondo. Penso alle tante occasioni nelle quali il Comune di Roma si è costituito parte civile in processi per reati che hanno leso l'immagine della nostra splendida città. Tutti fatti simbolici. Voglio rivolgere dunque una domanda a tutti e in particolare a chi ricopre importanti incarichi politici e istituzionali nel Pd: davvero un partito che vuole essere riformatore e democratico intende rinunciare a svolgere, anche attraverso alcune iniziative simboliche, quell'importante funzione di guida alla crescita culturale, civile, sociale e democratica di un paese? Edoardo Del Vecchio Consigliere Provinciale Roma Pd La mia Unità / 1 Il patrimonio di un giornale sono i suoi lettori Cara Unità, desidero esprimere la mia solidarietà ai giornalisti e a tutti quelli che vi lavorano. Posso comprendere che una proprietà debba considerare gli aspetti economici di un'impresa, ma tengo a ricordare che il primo patrimonio di un giornale sono i suoi lettori e che esiste un patrimonio di valori che non può essere sacrificato, impunemente, alle leggi del mercato. Ci troviamo oltretutto in un periodo in cui la libertà d'informazione, e per ciò stesso la possibilità di vita democratica, subisce attacchi e limitazioni pesanti. Sono quindi estremamente preoccupata per quanto leggo sui possibili passaggi di proprietà. Ritengo indispensabile la costituzione di un Comitato di garanti di alto profilo, ma la garanzia migliore di un giornale sono i suoi lettori. Per parte mia preciso che, ove non fosse rispettata l'autonomia, la collocazione storica e la tutela dei lavoratori del giornale, intendo disdire il mio abbonamento. Nelle legittime valutazioni economiche si tenga dunque ben presente anche il costo derivante dall'abbandono di un percorso culturale così validamente intrapreso e perseguito negli anni dai giornalisti de l'Unità. Maria Rosa Mura, Trento La mia Unità / 2 Una voce laica e libera Cara Unità, che l'Unità continui a vivere così com'è. Con le sue voci laiche e libere. Questo è il mio desiderio e perciò mi associo all'appello di chi nel mondo politico si è schiarata al fianco della redazione. Nerina Fabris Tonello, Padova.


Ars, la manovrina in aula soldi pure ai circoli di partito - emanuele lauria (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Repubblica, La" del 20-12-2007)

 

Pagina II - Palermo Da oggi il dibattito a Sala d'Ercole. Finanziati due enti che fanno capo ad An INTERLANDI FORMICA Ars, la manovrina in aula soldi pure ai circoli di partito Sì della commissione. Tagli a parchi e riserve Aumentano le spese per viaggi e consulenze Critica l'opposizione "Regalie agli amici" EMANUELE LAURIA L'ormai celebre "manovrina" zavorrata da 150 emendamenti lascia la commissione bilancio, teatro di un lungo conflitto, alle sei del mattino. Portando con sé, in aula, l'ultima pioggia di contributi e spese per viaggi e consulenze. Nella tornata finale prima dell'esame di Sala d'Ercole lo scontro diventa più propriamente politico: perché fra le tabelle che accompagnano il disegno di legge di variazione di bilancio, firmate dall'assessore Guido Lo Porto, ci sono i fondi per le associazioni di partito. Come il circolo delle Libertà di Palermo - che fa riferimento proprio a Lo Porto ed Enzo Fragalà, esponenti di An - finito in un elenco di enti che comprende altre sei sigle e che in tutto è finanziato con 35 mila euro per quest'anno e 75 mila per i prossimi. O come l'Accademia nazionale della politica di Bartolo Sammartino, altro rappresentante di Alleanza Nazionale, che insieme al consorzio europeo servizi integrati specializzati di Catania ottiene 5 mila euro subito e 100 mila nel prossimo biennio. è caduta, invece, una norma che stanziava 55 mila euro per la Fondazione Giuseppe e Marzio Tricoli. "Regalie ai soliti amici", tuona la Sinistra democratica con Franco Cantafia. Maurizio Ballistreri, capogruppo di Uniti per la Sicilia, parla di "un dumping politico, per cui attraverso le amministrazioni pubbliche si finanziano le forze politiche, creando conflitti d'interesse e disparità". Fra i contributi varati in extremis anche quelli per associazioni venatorie ("Caccia e Ambiente Artemide" e "Caccia e Natura") voluti da Udc e An. Ma nelle tabelle approvate nel corso dell'ultima maratona ci sono anche gli aumenti alla spesa richiesti dagli assessorati. La somma più rilevante, sette milioni e mezzo di euro, è quella destinata alle manifestazioni turistiche direttamente promosse dalla Regione. Altri fondi per la formazione professionale: 2 milioni 100 mila euro per gli sportelli multifunzionali. Aumentano anche le spese per i viaggi dell'assessore al Lavoro (40 mila euro) e al Territorio (15 mila euro). A disposizione del Territorio, anche 40 mila euro per la nomina di consulenti. Con una nota indirizzata gli uffici del Bilancio, il commissario dello Stato aveva chiesto conto e ragione dell'abrogazione del tetto alle consulenze, una norma contenuta proprio nella "manovrina" approvata ieri in commissione. C'è invece un taglio da 500 mila euro al capitolo per i parchi e le riserve e di quasi 5 milioni e mezzo al capitolo dei collegamenti con le isole minori. La sfida, nella nottata decisiva, si è accesa su un maxi-emendamento del governo con 41 commi, che l'opposizione ha avversato. Alla fine, sono rimaste in piedi solo poche norme, fra le quali quella che istituisce il parco dei Monti Sicani (sponsorizzata dal deputato del Pd Giovanni Panepinto) e quella a favore dell'ufficio del garante per i detenuti, voluta dal forzista Salvo Fleres. Del pacchetto di disposizioni inviate al vaglio di Sala d'Ercole fa parte anche la stabilizzazione dei precari delle orchestre sinfoniche di Palermo e Messina. Sì anche alle norme-fotografia a vantaggio di amministratori e dirigenti regionali coinvolti in indagini giudiziarie. Una delle quali, firmata da oltre venti parlamentari di entrambi gli schieramenti prevede che sindaci o presidenti di Provincia possano restare in carica fino a condanna definitiva (per reati non gravi) anche se l'amministrazione si è costituita parte civile nel procedimento penale. La maggioranza respinge le polemiche. Il capogruppo dell'Udc Nino Dina dice che "quando le norme di carattere particolare vengono proposte dal centrosinistra assurgono a dispositivi fondamentali, altrimenti sono clientelari". E l'assessore Lo Porto si rallegra: "Abbiamo trovato risposte a emergenze scottanti e possiamo dire di aver salvato i Comuni dal dissesto, la forestazione dalla crisi economica, i consorzi di bonifica boccheggianti per la mancanza di mezzi e i consorzi fidi utilissimi allo sviluppo economico".


Cgil, Cisl, Uil e Ugl rifiutano confronto con il consigliere e croupier Barbaro (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Stampa, La" del 20-12-2007)

 

Sindacati Cgil, Cisl, Uil e Ugl rifiutano confronto con il consigliere e croupier Barbaro E' saltato il confronto di ieri, in Comune, tra i capigruppo consiliari e le delegazioni di Cgil, Cisl, Uil e Ugl sulla situazione attuale del casinò. Perché nella parte politica era presente anche un croupier, il consigliere Bruno Barbaro, ex della maggioranza (ora nel gruppo misto). Così, i rappresentanti delle quattro sigle hanno denunciato un "conflitto d'interesse, essendo Barbaro dipendente della casa da gioco". E hanno abbandonato l'incontro, di fatto nemmeno iniziato, creando un nuovo casus belli attorno al doppio ruolo del consigliere-croupier, già oggetto di diversi ricorsi (ai quali i sindacati sono però estranei) per una sua presunta incompatibilità. Tuttavia, sono stati sempre respinti dai giudici. Barbaro è così rimasto al suo posto, senza rinunciare a intervenire in modo anche fortemente critico sulla gestione della casa da gioco. Ieri lo scontro con quel mondo sindacale da cui proviene, anche se la sua esperienza specifica è maturata soprattutto su sponde opposte, quelle degli autonomi dello Snalc. Che, guarda caso, sono in aperto contrasto con le altre quattro organizzazioni di categoria. Barbaro si è dichiarato disponibile ad abbandonare la riunione, pretendendo che il tutto fosse verbalizzato. A un certo punto, però, sono state le delegazioni sindacali ad andarsene, promettendo ("dopo aver valutato le eventuali casistiche") di continuare nei prossimi giorni "le iniziative intraprese per permettere che la gestione delle politiche collegate al casinò avvenga in modo finalmente chiaro e trasparente".\.


I gialli dell'Aremol: conflitti d'interessi e uno strano bando pag.1 (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Giornale.it, Il" del 20-12-2007)

 

I gialli dell'Aremol: conflitti d'interessi e uno strano bando di Omar Sherif H. Rida - giovedì 20 dicembre 2007, 07:00 La seconda parte della vicenda si consuma durante l'ultima estate. Il 3 luglio l'assessorato regionale alla Mobilità - cioè l'organo che di fatto esercita il potere di direttiva, vigilanza e controllo su Aremol (articolo 15 della legge istitutiva) - aggiudica la gara (830mila euro Iva esclusa l'importo a base d'asta) per la "redazione di uno studio tecnico-scientifico per la riorganizzazione, secondo principi di economicità ed efficienza, della rete e dei servizi di trasporto pubblico locale su gomma della Regione Lazio". La vincitrice del bando? La It Srl, la società dalla quale Mallamo era uscito da appena cinque mesi. Il 1° luglio sarebbe diventato direttore generale di Aremol. Il 3 luglio (semplice ma curiosa casualità) la Regione comunica a It che è risultata prima classificata nella graduatoria della gara. Da quel momento, come vedremo, il quadro si colora di giallo.


Sarkozy in visita dal Papa: colloqui sull'Europa e il Medio Oriente di Redazione - giovedì 20 dicemb... (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Giornale.it, Il" del 20-12-2007)

 

Sarkozy in visita dal Papa: colloqui sull'Europa e il Medio Oriente di Redazione - giovedì 20 dicembre 2007, 14:11 Città del Vaticano - "Particolare attenzione" alla situazione internazionale, "futuro dell'Europa" e "conflitti in Medio oriente", "problemi sociali e politici di alcuni Paesi africani e il dramma degli ostaggi" sono stati al centro dei colloqui del presidente francese Nicolas Sarkozy con il Papa e il segretario di Stato Tarcisio Bertone. Lo annuncia un comunicato della sala stampa vaticana che definisce "cordiali" i colloqui e riferisce che sono stati anche "evocati i buoni rapporti esistenti tra la Chiesa cattolica e la repubblica francese, nonchè il ruolo delle religioni, in specie della Chiesa cattolica, nel mondo". Il colloquio privato tra il Papa e il presidente francese è durato 25 minuti. Al termine della visita Sarkozy ha fatto visita alla tomba di Giovanni Paolo II. Dopo l'udienza con il Papa, conferma il comunicato, Sarkozy ha incontrato il segretario di Stato Tarcisio Bertone e il "ministro degli Esteri" vaticano Dominique Mamberti. "I colloqui - riferisce la nota - hanno permesso di passare in rassegna alcuni temi di comune interesse riguardanti l'attuale situazione del Paese, evocando i buoni rapporti esistenti tra la Chiesa cattolica e la Repubblica francese, nonchè il ruolo delle religioni, in specie della Chiesa cattolica, nel mondo". "Particolare attenzione - prosegue il comunicato - è stata dedicata alla situazione internazionale, con riferimento al futuro dell'Europa, ai conflitti in Medio oriente, i problemi sociali e politici di alcuni Paesi africani e il dramma degli ostaggi". "Al termine delle conversazioni", conclude il comunicato, c'è stato lo scambio degli auguri di Natale.


Evviva il declino dell'Italia che porta libertà e conflitto (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Liberazione" del 20-12-2007)

 

Contro la retorica che in questi giorni è rimbalzata dal "New York Times" ai nostri giornali. Sotto accusa gli italiani perché non stanno uniti e non hanno senso dello Stato. In realtà hanno così scritto le pagine migliori della democrazia Massimo Ilardi L 'anno scorso l'editore DeriveApprodi pubblicava un pamphlet dal titolo Possibilmente freddi.Quando l'Italia esporta cultura (1964-1980). L'autore era Douglas Mortimer, uno pseudonimo, che ricordava il mitico ex colonnello americano dei film di Sergio Leone divenuto bounty killer, dietro il quale si riconosceva un gruppo di persone che faceva lavoro di ricerca. La tesi che sosteneva era molto semplice ma dura da digerire: è nella tradizione italiana dal Rinascimento in poi, scriveva Mortimer, "far nascere sul terreno del conflitto interno, dello scontro violento tra fazioni, il dinamismo creativo della sua cultura. Dal cinema alla musica - seguitava l'autore - dall'architettura all'arte, dalla pubblicità ai fumetti, dall'editoria alla fiction televisiva, dal design alla moda, la cultura italiana degli anni Sessanta e Settanta sapeva trasformare, riproporre e anticipare in maniera assolutamente originale generi di consumo e modelli culturali di massa alternativi a quelli angloamericani e per di più esportabili". Ma come, dirà qualcuno inorridito, non erano quelli gli anni degli scioperi selvaggi, dell'autunno caldo, delle brigate rosse, del movimento del '77, della violenza politica che tutti i giorni trasformava le strade italiane in teatri di guerriglia urbana? E non era anche un periodo di crisi economica dove inflazione e stagnazione insieme provocavano una profonda recessione e una forte crescita della disoccupazione? E' così. Ma non solo. Pessimismo, mancanza di futuro, insicurezza, sfiducia nelle istituzioni, tutte queste tonalità emotive che si scoprono oggi e attraverso le quali si cerca di spiegare il "declino" degli italiani le ritroviamo per intero in quegli anni definiti "di piombo": solo che queste tonalità hanno funzionato in maniera diversa, ma soprattutto hanno spinto in una direzione diversa la nostra cultura fino al punto di renderla capace di offrire al mondo modelli simbolici, mentalità, stili di vita, emozioni, innovazioni culturali. E questo è avvenuto, sono d'accordo con Mortimer, innanzitutto perché lo spirito di fazione ha preso il sopravvento e ha allontanato l'infezione buonista e del "politicamente corretto", e poi perché il conflitto ha raggiunto una intensità tale da politicizzare la società e da rendere la politica l'unico filtro che ha messo in grado, per l'ultima volta, la nostra cultura di leggere e raffigurare simbolicamente il mutamento sociale. Nel nostro paese, non solo il cinema, ma anche la grande stagione dell'architettura, negli anni Sessanta e Settanta, costituisce un esempio eclatante di questo rispecchiamento tra cultura e società: in quel periodo il progetto di architettura ha saputo rappresentare le contraddizioni in cui era intessuto il reale, agire gli squilibri, corrispondervi quanto più era possibile. Era pensiero di parte che agiva per una parte sociale. Da qui sono nati quei progetti irripetibili che sono le case popolari della legge "167". Gli Italiani, dunque, sembrano dare - dentro questa tradizione dell'essere parte - il loro meglio. Se è così, allora i nostri sociologi, giornalisti, filosofi, commentatori vari, stranieri o no, persino politici dovrebbe interrompere questo continuo piagnisteo sulla nostra incapacità di partecipare, di solidarizzare, di essere uniti. Tra l'altro, i politici, da italiani veri quali sono, sanno rappresentare questo nostra "incapacità" nel modo migliore nelle sedi istituzionali. Bisogna alla fine capire che costringerci all'unità è come obbligare un inglese a prendere alle cinque del pomeriggio un caffè ristretto invece che il tè. E' nel costituirsi in fazione, in gruppi o in bande, è nell'agire come minoranza, è nella mancanza di senso dello Stato, è nell'assenza di una cultura nazionale che si ritrovano e reagiscono i nostri "spiriti animali" che diventano forza materiale non quando rappresentano bisogni e aspirazioni universali, ma quando gli stessi bisogni e aspirazioni si incarnano in minoranze sociali. "Spiriti animali" la cui forza non si misura con indici economici o forzature ideologiche ma attraverso la conoscenza, dice Jacques Le Goff, di una storia lenta che è quella della vita materiale e quella delle mentalità. Scrive Theodor Geiger che "la mentalità è una disposizione spirituale, è formazione dell'uomo attraverso il suo ambiente sociale e le esperienze che ne derivano. La mentalità, anche se collettiva, è spirito soggettivo, l'ideologia è spirito oggettivo. La mentalità è atteggiamento spirituale, l'ideologia invece è questo atteggiamento cristallizzato oggettivamente. La mentalità è una struttura mentale, l'ideologia è riflesso ed auto-interpretazione. La mentalità è "anteriore", appartiene a un ordine primario, l'ideologia è "posteriore" e fa parte di un ordine secondario di cose. La mentalità è fluida, l'ideologia è ben strutturata. La mentalità è un orientamento vitale, spontaneo, l'ideologia è conseguenza di una persuasione". Allora se ci fosse (ma non so se c'è) una storia della mentalità degli italiani forse scopriremmo che non sono certamente "onore" e "patria", come afferma lo storico Lucien Febvre, i sentimenti che ci accomunano come per i francesi, ma "libertà" e "fazione": la libertà che viaggia con noi come individui e la fazione che è la ristretta dimensione territoriale a cui vogliamo appartenere. Ci dicono, però, che proprio questo è il male che ci affligge, che ci costringe al declino. Ma perché? Alla fine qualcuno ci dovrà pur spiegare, al di fuori dei luoghi comuni della morale, perché l'unità sia sempre meglio della frammentazione e la partecipazione sia sempre superiore alla libertà di non partecipare! Né dal punto di vista della tattica militare né da quella politica questo è sempre vero. E gli esempi da citare non mancherebbero. Uno solo: quando è accaduto che l'unificazione di forze politiche diverse ha prodotto qui da noi a livello elettorale un incremento dei voti rispetto al periodo in cui le stesse forze politiche agivano separate nell'arena politica? Mai. Certo se l'efficacia dell'unità la misuriamo attraverso l'incremento annuale del Pil non possiamo che essere d'accordo nel cercare di raggiungerla e di praticarla. L'ultimo sciopero dei camionisti ha dimostrato, ad esempio, che in un mondo globalizzato non è più il tempo per fare i "padroncini", come forse non è più il tempo, di fronte alla concorrenza cinese, per fare le piccole imprese. Però quella che si è globalizzata è l'economia, è il mercato e non la politica che per sopravvivere ha bisogno di tutt'altro che dell'universalismo del mercato. Ha bisogno di tornare sul territorio, di perimetrarlo, per riacquistare la sua centralità sulla questione della governabilità dei rapporti sociali all'interno dei singoli Stati. Ma un territorio è tutt'altro che un bene comune perché la sua misura e la sua forma si rendono spazialmente visibili attraverso il conflitto, la separazione tra differenze e la esclusione delle diversità. Dunque, al contrario di quello che si pensa, la differenza italiana può tornare qui, prima o poi, a giocare un ruolo politico di primo piano; può tornare ad essere quel laboratorio di cultura politica che è sempre stata. Dipenderà ancora una volta dall'intensità del conflitto che riuscirà a mettere in campo. Con buona pace della nostra classe dirigente, questa sì in serio declino. 20/12/2007.


Con il voto sul protocollo sul Welfare è stata messa l'ultima parola al dibattito sulla possibilità di introdurre riforme favorevoli ai lavoratori e alle classi subalterne attraver (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Liberazione" del 20-12-2007)

 

Primo firmatario Claudio Bellotti Documento respinto Con il voto sul protocollo sul Welfare è stata messa l'ultima parola al dibattito sulla possibilità di introdurre riforme favorevoli ai lavoratori e alle classi subalterne attraverso la nostra partecipazione al governo. La modalità con la quale si è arrivati al voto di fiducia non solo riconferma i contenuti negativi del protocollo ( innalzamento dell'età pensionabile attraverso gli scalini, definitiva conferma della legge 30, ecc.), ma costituisce anche una sconfitta diretta del nostro partito e della strategia scelta dalla maggioranza del partito, che aveva teorizzato la possibilità di ottenere dei miglioramenti attraverso il dibattito parlamentare. Questa strategia si è dimostrata fallimentare. Si tratta solo dell'ultimo passaggio di una lunga serie, cominciata con l'Afghanistan e proseguita poi con le leggi finanziarie, l'aumento delle spese militari, i regali alle imprese, le campagne repressive e xenofobe trascritte nel pacchetto "sicurezza", l'ossequi ai diktat vaticani sui Dico, la negazione della commissione sul G8. Oggi, con un quadro politico che si sposta ulteriormente a destra, con il Partito democratico che avanza come un rullo compressore, con un vertice sindacale completamente piegato alla logica della competitività e del "risanamento", con un profondo distacco di massa fra i lavoratori, i giovani, i precari, gli immigrati, gli sfruttati, e le forze della sinistra, è inimmaginabile che da una "verifica" di governo possa emergere qualcosa di diverso da quanto abbiamo visto fino ad oggi. La rottura con questo governo e col Partito democratico è sempre più una necessità urgente, un passo indispensabile affinché il nostro partito possa disporsi al lavoro di ricostruzione del proprio radicamento nelle lotte e nei conflitti, con un percorso di opposizione di fondo non solo al governo Prodi, ormai moribondo, ma all'intero impianto del Partito democratico, che si pone come pietra angolare delle future formule di governo in nome e per conto degli interessi del capitale, pienamente dispiegati nella ideologia e nella patrica del Pd. Questa è la discriminante che dobbiamo assumere anche nei rapporti a sinistra e nel dialogo con quelle forze che non sono confluite nel Partito democratico. L'unità è utile e auspicabile se si produce nei conflitti, su piattaforme chiare, anche parziali, ma che abbiano l'obiettivo della mobilitazione. Viceversa, l'esperienza di questi mesi, dal 9 giugno al 20 ottobre alla vicenda del welfare, ha mostrato una unità di vertice, completamente dominata da una logica istituzionalista ed elettoralista, ma una divisione profonda ogni volta che si sono poste in modo stringente questioni di classe e autentici percorsi di mobilitazione. La Dichiarazione d'intenti scaturita dall'assemblea dell'8-9 dicembre riflette pienamente questa realtà. Si tratta di un documento che rivendica apertamente l'internità al centro sinistra, un documento dal quale è espunto qualsiasi riferimento di classe, antagonista, ma anche solo antiliberista. La dichiarazione peraltro nasconde con una serie di formulazioni evasive le differenze tutt'ora esistenti tra le forze promotrici. A conferma della natura istituzionalista del progetto, queste divisioni si manifestano nel modo più aspro non appena si apre il dibattito sulla legge elettorale. Il Prc non può affrontare il dibattito sulla legge elettorale con logiche strumentali, mettendo in gioco la difesa dei diritti democratici nel tentativo di ottenere una legge elettorale che favorisca l'occultamento dei problemi politici determinati dal fallimento delle linea di Venezia. Tantomeno possiamo renderci disponibili a sostenere o favorire l'avventura di possibili governi "istituzionali" in nome dell'obiettivo delle legge elettorale. E' necessario invece, a partire dalla rottura col Partito democratico, avviare una discussione di massa nel partito e oltre su come affrontare la prossima fase. Al centro delle nostre priorità devono esserci: Un dibattito di natura programmatica che sviluppi la necessaria piattaforma sulla quale ricostruire l'intervento del partito. La logica della trattativa interna al governo, che ha dettato le priorità di tutte le proposte avanzate dal partito in questi anni, deve essere rovesciata e sostituita dalla costruzione di un programma di rivendicazioni a vasto raggio, antagonistiche, sul terreno del salario, dei diritti, della precarietà, dell'immigrazione, dell'internazionalismo. Un intervento a tutto campo nei conflitti in corso, a partire dalla vertenza dei metalmeccanici, che riguarda non solo il rinnovo contrattuale più importante dell'industria, ma anche uno scontro decisivo dal quale può dipendere l'intero dibattito sul cosiddetto "nuovo modello contrattuale", ossia il tentativo di smantellamento del contratto nazionale. Un serio lavoro di costruzione nei luoghi di lavoro, che si ponga l'obiettivo a partire dal milione di No espressi nella consultazione sul welfare, di costruire piattaforme, vertenze e forme di autorganizzazione dal basso in opposizione alla campagna normalizzatrice che avanza nella Cgil. Una mobilitazione di massa sulla guerra, per il ritiro immediato di tutte le missioni militari a partire da quella in Afghanistan, dove la guerra si estende ulteriormente e dove l'Italia si appresta a prendere il comando della missione Isaf. Fare dispiegare appieno il dibattito congressuale, facendo del VII congresso del Prc un'occasione centrale di svolta e rilancio del Prc come partito di lotta e di opposizione. E' in questo grande lavoro che va investita la forza e la voglia di partecipazione e di lotta espressa dalla manifestazione del 20 ottobre, dove si è espresso quanto di meglio questo partito e la sinistra rappresentano nel nostro paese e nelle classi subalterne. 5 voti a favore 20/12/2007.


Prodi: accelerare la riforma tv fini: pubblicazione indecente (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Repubblica, La" del 21-12-2007)

 

Mastella: il Parlamento decida al più presto sulle intercettazioni Prodi: accelerare la riforma tv Fini: pubblicazione indecente ROMA - Agli uomini del Cavaliere che tornano ad evocare il Cile di Pinochet e al centrodestra che per un giorno si ricompatta attorno all'ex premier, Palazzo Chigi e la maggioranza rispondono rilanciando la legge di riforma della tv: va approvata e in fretta. Ma suscita anche "indignazione" l'uscita sulla Rai (in cui "si lavora solo se ti prostituisci o sei di sinistra"). La pubblicazione dell'intercettazione della telefonata tra Silvio Berlusconi e Agostino Saccà ha finito col surriscaldare il clima politico, già teso per la sequenza di voti di fiducia al Senato tra ieri e oggi. "Se la magistratura deve indagare, lo faccia ma senza dimenticare le prerogative delle persone su cui indaga e rispettando le garanzie costituzionali - sottolineano da Palazzo Chigi - Questi casi confermano la necessità di accelerare il percorso della riforma del sistema radio-televisivo". Nel fortino del Cavaliere stiamo assistendo a un attacco politico. è il portavoce Paolo Bonaiuti a evocare, come fatto giorni fa, il Cile di Pinochet, "perché in nessun altro paese civile il leader dell'opposizione è stato esposto su internet per 7 minuti, senza che vi sia alcun rilievo penale". In difesa di Berlusconi interviene anche Gianfranco Fini, a dispetto del gelo delle ultime settimane, per sostenere che "in questa vicenda si è superato il limite della decenza". Non è il solo. Il leghista Maroni chiede "l'intervento del presidente della Repubblica per dirci se viviamo ancora in un paese civile". Ma se il centrista filoberlusconiano Carlo Giovanardi ritiene che il Parlamento sia stato "umiliato", perché la Camera avrebbe dovuto autorizzare le intercettazioni, il resto dell'Udc, per bocca di Maurizio Ronconi, preferisce intervenire per difendere la Rai: "Non è una specie di Sodoma e Gomorra in cui chi non è di sinistra è comunque un poco di buono". Sul fronte del centrosinistra il Guardasigilli Mastella accende i riflettori sull'aspetto della privacy violata, per ricordare che "la riservatezza è un diritto costituzionale da garantire a tutti, senza eccezioni". Sollecita l'approvazione in Parlamento del ddl a sua firma sulle intercettazioni che sono "strumento di investigazione ma anche a rischio strumentalizzazione". Per il resto, il capogruppo del Pd al Senato Anna Finocchiaro bolla come "non commentabili" le parole di Berlusconi. Prostituirsi e essere di sinistra, fa notare, "evidentemente per lui sono due comportamenti assimilabili, per me no". Marco Follini, che del Pd è responsabile Informazione, fa quadrato attorno alla "Rai, che non è né un fortilizio di sinistra né una casa di facili costumi. Merita rispetto e libertà: le telefonate di Berlusconi radono al suolo l'una e l'altra". Ma è il conflitto d'interessi il vero nodo della questione, sostengono tanti a sinistra. Il quadro che emerge, ad ogni modo, denota "squallore", secondo Manuela Palermi del Pdci, a Giovanni Russo Spena del Prc provoca una "sensazione deprimente". (c.l.).


Nella trincea di viale mazzini "noi, lottizzati ma professionisti" - concita de gregorio (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Repubblica, La" del 21-12-2007)

 

Nella trincea di viale Mazzini "Noi, lottizzati ma professionisti" Del Noce: la cosa non mi tocca. Minoli: è tutto da rifondare Vespa: "Battuto il record della violazione delle garanzie e della dignità" "Saccà era il depositario di un potere troppo grande. Il cda se ne accorge ora?" CONCITA DE GREGORIO E per esempio uno come Fabrizio Del Noce, da sei anni direttore di RaiUno, si riconosce più nella categoria dei comunisti o delle prostitute? "Io in questa vicenda non c'entro, ho già sentito i miei avvocati". Sì, ma non è questa la domanda. Berlusconi dice che per lavorare in Rai bisogna essere di sinistra o prostituirsi. Lei a quale ambito si sente più vicino? "Non mi riconosco in nessuna delle due categorie". Quindi ce n'è una terza. "Ovvio. Quella di Berlusconi è una frase iperbolica, la legittima reazione a un fatto inaudito". La terza categoria sarebbe? "Guardi: io ho diretto RaiUno più di chiunque altro, ho sempre navigato in tranquillità. Capita che qualcuno ti segnali una persona, una fiction. E' normale. Ma senza eccessi. Certe cose vengono fatte a chi se le lascia fare". Capita. E' normale. Magari insolito il linguaggio, ecco. "Berlusconi ha fatto una battuta pesante volgarissima e inopportuna", dice Veronica Maya conduttrice di Linea Verde, di recente fotografata proprio in compagnia di Del Noce e unica temeraria che approfitta della scivolosa occasione per cinque minuti di maggior notorietà. Il modo, insomma. La protervia dell'uno e la duttilità dell'altro. "La volgarità", dice Luigi Mattucci, 46 anni da dirigente Rai: "Non sono sconvolto né sorpreso. E' una modalità di agire del potere che non è solo del centrodestra. Certo: altri lo fanno in modo più dignitoso". Dunque è il tono che fa la differenza: il piglio del feudatario che si rivolge al fattore dandogli del tu perché gli porti quel che serve "a tirar su il morale del capo": una giovane avvenente, una fiction per tener buono Bossi, i pomodori migliori, una particina a un'attrice così facciamo contento un senatore di centrosinistra e magari facciamo cadere il governo. Donne, in generale. Donne come pedine per muovere la politica. Poi che Berlusconi dica "in Rai sono tutti comunisti e prostitute" è una reazione "forse esagerata". "Non certo una frase felice" ammette persino Bruno Vespa che, come del Noce, fatica ad iscriversi ad uno dei due circoli. "Abbiamo battuto il record della violazione delle garanzie e della dignità delle persone". Ecco: è stato offeso, ha reagito. Eppure c'è molto di più che una semplice questione stile in questa vicenda esemplare. C'è che il modo in cui la politica ha fatto carne di porco della Rai è arrivato a uno stadio terminale. L'azienda si difende con un comunicato anonimo e generico in cui "ribadisce la fiducia nei propri dipendenti", reazione legittima e pateticamente debole. Gli organismi sindacali delle redazioni e delle reti si riuniscono d'urgenza: assemblea subito, indignazione generale ma c'è poco da riunirsi, dice Mattucci, "il corpo dell'azienda pubblica è stato corrotto in modo irreversibile". Pier Luigi Celli, ex capo del personale e poi direttore generale della Rai: "Sono saltate tutte le regole del gioco, non c'è altro da fare che azzerare tutto". Giovanni Minoli, direttore di Rai Educational: "E' proprio inutile scandalizzarsi dei dettagli se non si affronta il nodo centrale da cui tutto discende: il conflitto di interessi". Privatizzare, commissariare, nominare un amministratore unico. Fare reset e ricominciare come con un programma impazzito. E' questo che suggeriscono i navigatori di lungo corso dei mari aziendali: molti di loro già fuori dalla Rai, altri in posizione più defilata di quel che potrebbero. Sentiamo. Luigi Mattucci è stato capo della segreteria del Cda Rai con quattro presidenti: Manca, Siciliano, Demattè e Annunziata. Saccà è bravo nel suo lavoro, dice. Solo che "era il depositario di un potere troppo grande. Il cda se ne accorge adesso? Sbaglia Curzi a scandalizzarsi: che i posti alla Rai siano lottizzati si sa. Negli ultimi trent'anni si è entrati solo così, da destra e da sinistra. L'errore è dire che non ci sia professionalità dove c'è lottizzazione. Si può essere bravi e lottizzati. Certo: il talento da solo patisce parecchio. Il peggioramento è nella volgarità e nella facilità con cui si mescolano affari privati e politici. L'avvento di Berlusconi ha portato un imbarbarimento culturale. "Ti chiedo solo donne per il morale del capo". Ecco, la telefonata è la dimostrazione esatta di cosa sia il conflitto di interessi e Saccà il prototipo del funzionario Rai in rapporto alla politica". Pier Luigi Celli, ex direttore generale. "Le telefonate le puoi anche ricevere: è il modo in cui rispondi che ti qualifica. Saccà il mestiere della tv lo sa fare ma si è piegato all'interesse di parte. Chi non lo fa, in Rai, o non ha ruoli di responsabilità o se ne va. Governi di destra e di sinistra hanno sempre avuto un uomo di fiducia del presidente del Consiglio che teneva i contatti coi vertici Rai. Qui, di diverso, c'è il senso di un assetto proprietario dell'azienda: è roba nostra, facciamo saltare il governo. E il servizio pubblico? L'unica soluzione è privatizzarla. Tenere una rete, darla a Minoli e privatizzare il resto". Giovanni Minoli. "Io non sparo su Saccà, fino all'altro ieri erano tutti amici suoi ora tutti contro: è un modo di fare che non mi piace. In Rai in 15 anni ho visto 12 direttori generali. Il miracolo è che quando schiacci il telecomando compaia il telegiornale. E' un'azienda che ha perso 12 punti di share in 10 anni. Bisogna rifondarla come tutti i servizi pubblici. La proposta di Veltroni potrebbe essere operativa con un decreto di due righe: il direttore generale ha potere di firma fino a tot milioni di euro e nomina le prime linee aziendali. Così hai già fatto la rivoluzione: hai un capo che risponde agli azionisti, al paese. Se non funziona lo cambi. Premi la qualità, le risorse di cui l'azienda è piena. Cosa ha fatto il centrosinistra per il conflitto di interessi? E' un problema solo quando conviene. Tutto discende da lì: o si risolve quel nodo oppure possiamo continuare a baloccarci con le telefonate. Far finta di scandalizzarci. Solo chiacchiere".


I sette minuti del padrone - (segue dalla prima pagina) (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Repubblica, La" del 21-12-2007)

 

Commenti I SETTE MINUTI DEL PADRONE (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Ancora una volta un'intercettazione disvela per caso il vero volto del potere in Italia. Ancora una volta gli intercettati, Berlusconi in testa, reagiscono lamentando la violazione della privacy, senza mai entrare nel merito dei contenuti. Devastanti. Andiamo alla scena. Protagonisti il presidente, naturalmente Berlusconi, e Agostino Saccà, direttore della fiction Rai, l'uomo più potente della prima azienda culturale italiana, in teoria il capo della concorrenza a Mediaset. I rapporti sono chiari dal "pronto". Saccà dà del "lei" a Berlusconi e lo chiama sempre "presidente". Berlusconi risponde con il "tu" a Saccà, lo chiama "Agostino" e lo tratta come i servi ai tempi di Swift. Nei sette irresistibili minuti di conversazione, dai quali forse un giorno una Rai libera trarrà finalmente una bella fiction, si mescolano generi teatrali, perlopiù comici, e argomenti. Si parla di televisioni, attrici raccomandate e politica. Senza soluzione di continuità perché sono la stessa cosa. "Agostino" declama dall'ingresso in scena la sua natura di servo contento. Batte le mani al padrone, che fa il ritroso, lo gratifica di "uomo più amato d'Italia" ("lei colma un vuoto nel Paese, anche emotivamente"), usa il "noi" di parte per vantare la sua fedeltà. "Abbiamo mantenuto la maggioranza nel consiglio d'amministrazione Rai". Quindi, sempre in posizione genuflessa, il servo Agostino porta idealmente la bocca dalla scarpina rialzata del signore all'orecchio per sussurrargli i nomi dei traditori. Non quello "stronzo" di Urbani, come pensa il signore ma "i nostri alleati", An e Lega, "che hanno spaccato la maggioranza per un piatto di lenticchie". Lo implora di "richiamarli all'ordine". Il Presidente prende nota e passa alle comande di giornata. Ha bisogno che vada avanti la fiction sul Barbarossa ("Bossi mi fa una testa tanta..."). Il fido Agostino acconsente con entusiasmo, ma segnala che il regista Renzo Martinelli ha creato problemi vantandosi troppo con la Padania. Il Martinelli è uno di quegli intellettuali molto di sinistra con eccellenti rapporti a destra e con Mediaset, eppure sempre liberi e alternativi e "contro", checché ne dicano alcuni moralisti borghesi di merda. Nella sintesi di Saccà, a tratti acuta, "un vero cretino". Comunque non c'è problema, assicura il boss Rai. La fiction s'ha da fare "perché poi Barbarossa è Barbarossa, Legnano è Legnano". Argomenti inoppugnabili. Senza contare l'autocitazione. Saccà è infatti il geniale inventore dello slogan "perché Sanremo è Sanremo". D'altra parte, insiste il servitore, il padrone è così modesto, così liberale, gli chiede sempre tanto poco che è un piacere contentarlo. "Per la verità, ogni tanto ti chiedo di donne", lo corregge Berlusconi, introducendo la seconda comanda. Si tratta di piazzare la solita Elena Russo e una certa Evelina Manna, per conto di un senatore della maggioranza di centrosinistra col quale Berlusconi tratta la caduta di Prodi. "Io la chiamo operazione libertà" chiarisce Berlusconi, che quando non racconta barzellette, rivela un involontario ma formidabile sense of humour. Esaudito il terzo desiderio, il genio Saccà, invece di rientrare nella lampada, come nella tradizione, continua a profondersi in inchini e profferte di servigi. Tanto che perfino Berlusconi si stufa e lo liquida. L'intercettazione è allegata all'inchiesta per cui Berlusconi è indagato con l'accusa di corruzione per la Rai e per il mercato dei voti, come ha rivelato Giuseppe D'Avanzo su Repubblica. In Italia, per effetto del combinato disposto di riforme di giustizia promosse da destra e da sinistra, si sa che i processi a imputati eccellenti finiscono tutti in prescrizione. In assenza di una verità processuale, le intercettazioni servono dunque nella pratica a farsi un'idea del Paese: e l'ascolto, fornisce anche un'idea sulle persone. Il Paese degli Agostini e dei Berlusconi è una nazione dove la politica non governa nulla, tranne la televisione. Al singolare, perché la telefonata tra il leader della destra e Saccà rivela come il sistema berlusconiano sia una vera "struttura delta" che controlla l'universo Tv. Per necessità, il padrone della televisione è diventato il padrone della politica. Usa l'una per fare l'altra e viceversa. Ci sarebbe un sistema semplice per interrompere questa perenne fonte di corruzione. Prendere un canestro, ficcarvi dentro in bussolotti una ventina di leggi europee sui sistemi televisivi, quindi estrarne a sorte una. Questo sistema, che rispecchia più o meno la logica seguita per discutere la riforma elettorale, non è mai stato preso in considerazione. Per quanto la riforma televisiva figurasse nei programmi del centrosinistra, prima e seconda versione. I leader del centrosinistra, comunque si chiamino, alla fine s'innamorano dell'idea di poter trattare con Berlusconi, portatore di un conflitto d'interessi così gigantesco e pervasivo, accordi istituzionali "nell'interesse della collettività". Ora, l'interesse di Berlusconi per la collettività è ben illustrato dal suo dialogo con il boss della tv pubblica. Non si tratta di demonizzare i patti fra destra e sinistra. Se per esempio la sinistra e una parte di destra si trovassero finalmente ad approvare una decente e sempre più urgente riforma della Rai e dei monopoli televisivi, saremmo in prima fila a festeggiare il valore "bipartisan" dell'accordo. Ma allora si rischierebbe davvero di voltar pagina, di cambiare una politica che così com'è farà schifo ma garantisce a tutti un posto al sole, una fiction, una quota raccomandati e fidanzati, il proprio Saccà pronto ad esaudire i desideri.


La tv della lega diventa realtà i club decideranno cosa far vedere (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Repubblica, La" del 21-12-2007)

 

Sport La novità La tv della Lega diventa realtà i club decideranno cosa far vedere ROMA - Un sogno che si sta per avverare: la Lega Calcio avrà la sua televisione. Stamani in consiglio dei ministri approderà infatti il decreto legislativo sulla "disciplina della titolarità e della commercializzazione dei diritti audiovisivi sportivi e relativa ripartizione delle risorse". Il "dl" è stato sottoposto a parere parlamentare e ha avuto il via libera: la novità, appunto, riguarda proprio la Lega Calcio. Con l'articolo 13, il governo concede all'organizzatore dell'evento (la Lega, appunto) il diritto di "realizzare prodotti audiovisivi e distribuirli direttamente agli utenti, attraverso un proprio canale tematico o una propria piattaforma". La Lega, dal 2010, potrà quindi fare concorrenza a Sky o Mediaset Premium, e decidere magari di non cedere tutte le partite. Ma sorge un problema, non da poco: ogni singolo club potrà decidere dove piazzare le telecamere, cosa inquadrare e dove inquadrarlo. Il regista, legato al club, può stabilire se fare vedere o no alcune immagini. Come fare, ad esempio, con la prova tv? Potrebbero sorgere non pochi conflitti d'interesse. Molti dubbi quindi da parte delle emittenti e di alcune società calcistiche di primo piano.


Dall'ex premier frasi di sconfinata volgarità (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Unita, L'" del 21-12-2007)

 

Stai consultando l'edizione del FNSI "Dall'ex premier frasi di sconfinata volgarità" ROMA "Stavolta l'on. Berlusconi ha davvero passato il segno. La rabbia per la diffusione di notizie che confermano le sue pesanti intromissioni nella gestione della Rai lo ha portato a dichiarazioni di sconfinata volgarità nei confronti delle donne e degli uomini che lavorano nel servizio pubblico": lo dice in una nota la Federazione nazionale della stampa italiana. "Un comportamento così gretto - continua la nota - non è tollerabile? in un leader politico, nel più importante concorrente di viale Mazzini. Adesso ci sono soltanto due cose che l'on. Berlusconi deve fare: vergognarsi e chiedere scusa. Queste dichiarazioni, come i contenuti delle intercettazioni sulle vicende televisive, chiamano però in causa anche il governo e il Parlamento: perché? la risoluzione del conflitto di interessi si dimostra una volta di più una vera urgenza, così come una legge che dia finalmente alla Rai l'indispensabile autonomia. Una Rai in cui ci sia spazio per dirigenti di ogni opinione politica, che sappiano mettere però al primo posto la difesa della dignità aziendale e il rifiuto di ogni umiliante subalternità. La Fnsi - è la conclusione del sindacato dei giornalisti - sarà al fianco dell' Usigrai e di tutte le altre organizzazioni sindacali della Rai per ogni iniziativa che riterranno di adottare a difesa dell'onorabilità stessa dei dipendenti".


Il governo ha deluso, ma la verifica lo rilancerà (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Unita, L'" del 21-12-2007)

 

Stai consultando l'edizione del MILIZIADE CAPRILIIl vicepresidente del Senato, Prc: se ci mettiamo a vivacchiare allora è meglio andare ognuno per la propria strada "Il governo ha deluso, ma la verifica lo rilancerà" di Andrea Carugati / Roma "Il governo ha disatteso moltissime delle aspettative di chi l'ha votato, e non solo tra gli elettori della sinistra radicale. Ma io non dò per archiviata l'esperienza di questo governo, anzi credo che la verifica di gennaio debba essere un'occasione per rilanciarlo". Milziade Caprili, vicepresidente del Senato ed esponente di Rifondazione, usa toni particolarmente cauti sul rapporto tra la nascente sinistra arcobaleno e palazzo Chigi. Toni più vicini alla prudenza di Mussi e Diliberto che ai leader del Prc. "Non è un mistero che nel nostro partito ci siano posizioni diverse sull'esperienza del governo. Ma alla fine ha prevalso chi la verifica vuole farla davvero, chi pensa che ci siano le condizioni per andare avanti". Lei vede il bicchiere mezzo pieno? "Le differenze tre questo governo e quello precedente ci sono e sono sostanziali. Non è vero che non si è fatto niente. Ora ci vuole un salto che ci consenta una "connessione sentimentale" con il nostro popolo, come diceva Gramsci". Come la vede questa verifica? Non c'è il rischio che ne usciate come da Caserta, con tanti buoni propositi e poi tutto ricomincia come prima? "Non credo che ci sia la possibilità di vivacchiare: o ne usciamo con un rilancio reale, oppure ognuno andrà per la sua strada". Come si misura questo rilancio reale? "Dalle questioni del lavoro: che vuol dire salari, precarietà e sicurezza. Questa è la vera cartina di tornasole. Ci sono altri temi chiave, come i diritti civili, ma la cosa più importante è la questione-lavoro: il fenomeno dell'impoverimento delle famiglie si sta allargando anche al ceto medio. Bisogna concentrare gli sforzi, e anche le risorse, su questo". Crede che la Sinistra si muoverà compatta nella verifica? "È noto che ci sono posizioni diverse tra i quattro partiti e anche all'interno di Rifondazione. E tuttavia anche oggi (ieri, ndr) in Senato sulla Finanziaria abbiamo parlato con una sola voce: è un'abitudine ormai consolidata. Non escludo che, alla fine, ci possano essere valutazioni diverse sui risultati raggiunti nella verifica. Ma l'idea di una consultazione larga, che vada oltre gli iscritti dei partiti, può aiutarci". Pdci e Verdi non sembrano molto convinti di questo referendum... "La discussione è in corso, io credo che una consultazione dal basso possa essere salutare. Noi faremo una consultazione anche prima, per scegliere i temi della verifica, e poi una successiva. Sarà un'operazione impegnativa, per questo abbiamo deciso di rinviare il congresso". Secondo lei nel popolo della sinistra prevale la voglia di salvare questo governo o viene considerato morente? "L'affetto è certamente diminuito perché non sono stati affrontati nodi come la legge 30 e il conflitto d'interessi, e tuttavia pesa ancora moltissimo la paura di un governo di destra. I cinque anni di Berlusconi hanno inciso profondamente sulla sensibilità della gente di sinistra". Cosa insegna la vicenda del decreto sicurezza? "Non ho elementi per dire se quell'errore al Senato sia stato studiato, diciamo che è figlio di un accordo pasticciato dell'ultim'ora". E il nuovo decreto? "Prima vorrei leggere il testo. Ma se c'è l'impegno del governo per avere tempi certi sul ddl stalking e omofobia non vedo perché non debba passare anche in Senato. Però è inaccettabile che il dissenso plateale della senatrice Binetti passi in secondo piano, mentre quando le critiche arrivano da noi ci danno degli estremisti".


Di ANTONELLA COPPARI - ROMA - DICO: al telefono si hanno d (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Giorno, Il (Nazionale)" del 21-12-2007)
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(Nazione, La (Nazionale)) (Resto del Carlino, Il (Nazionale))

 

Di ANTONELLA COPPARI ? ROMA ? "DICO: al telefono si hanno delle libertà e si usa un linguaggio che non si userebbe in pubblico. Il telefono ha zone oniriche e se le telefonate finiscono sul giornale possono esporre una persona al pubblico ludibrio". Ed è questo il punto: al di là del risultato dell'inchiesta di Napoli sulla presunta corruzione di senatori, ormai il Cavaliere si sente inchiodato alla gogna dalle intercettazioni che ? depositate in procura ? sono finite sul sito dell'Espresso-La Repubblica. E COSÌ Silvio Berlusconi che in condizioni normali non fatica a prendersela con magistrati, comunisti e tv pubblica spara granate: "Lo sanno tutti nel mondo dello spettacolo che in Rai si lavora solo se ti prostituisci o se sei di sinistra. Non c'è nessuno che non sia stato raccomandato, a partire dal direttore generale che non è stato certo scelto con una ricerca di mercato". "Xe peso el tacòn del buso", dicono in Veneto: è peggio la toppa del buco. "Pure lui ? osservano nell'Unione ? ne ha sponsorizzati parecchi, a partire da Saccà". E proprio il colloquio con il manager che ha fatto esplodere il caso Rai ora può essere ascoltato da tutti. Sette minuti e spiccioli. Dai saluti iniziali del dirigente ("Lei è amato nel paese, glielo dico senza piangeria") si passa al mantenimento della maggioranza nel Cda, con riferimenti a Giuliano Urbani. "Fa lo stronzo" dice il Cavaliere che promette di bacchettare An e Udc "che per un piatto di lenticchie" hanno spaccato la maggioranza. Poi si arriva alla fissa di Bossi per Barbarossa: "Mi fa una testa tanta con questa cavolo di fiction", sospira Berlusconi. Lo preoccupa al punto da chiedere a Saccà di "avvertire la loro soldatessa nel consiglio" che tutto è a posto. La telefonata si conclude con due segnalazioni dell'ex premier: una per Elena Russo. L'altra per Evelina Manna, che gli sta particolarmente a cuore "perché ? spiega ? mi è stata chiesta da qualcuno con sui sto trattando per avere la maggioranza al Senato". Brutta storia. "Una porcheria", dice ai suoi di buon mattino il Cavaliere che s'appella al garante per la privacy. Un "atto criminale". Politicamente, riapre la questione mai sopita del conflitto di interessi e della riforma Gentiloni. Gettando un'ombra nera sul confronto con Veltroni, sia sul patto fra gentiluomini, cioè l'ipotesi di presentarsi da soli ? Pd e Pdl ? alle elezioni. L'indignazione è tale da investire il Quirinale: Berlusconi dice che vuole parlare di riforme con il Capo dello Stato in occasione degli auguri di Natale, ma in quel colloquio non potrà non entrare la questione giudiziaria, visti gli ultimi richiami di Napolitano. L'IRRITAZIONE trabocca: ce n'è per tutti. Per Repubblica: "Mi si dice che il sostituto procuratore di Napoli è il fratello del capo della redazione napoletana di Repubblica", dichiara (circostanza smentita dal quotidiano). Anche perchè, "sono intervenuto con Saccà solo per fare cancellare un'ingiustizia: avevo saputo che una persona, per caso sorella di un consigliere comunale di Forza Italia, era stata messa da parte per far posto a una raccomandata". Sottolinea: "Non avrei mai immaginato che la Rai, che si comporta da tv commerciale, potesse essere considerata un servizio pubblico" e Saccà "un pubblico ufficiale". Lancia un appello agli italiani che "hanno paura di essere spiati" quando alzano la cornetta: alle elezioni "votate contro questo governo" che gode del sostegno "di una certa magistratura" e viola i diritti fondamentali dei cittadini. IN TARDA SERATA, prima di sedersi a tavola per una cena con i senatori azzurri, torna all'attacco: "Cosa volete che dica l'azienda? Quando leggerò il comunicato, replicherò. Se vogliono comincio a tirar fuori gli elenchi...". E ancora: "Io poi ho solo segnalato un caso doloroso di una persona discriminata che non poteva lavorare". Ribolle l'aria politica ma Berlusconi mostra di non aver perso il buon umore. Anzi, scherza sull'incidente in cui è incappato: "Tutti erano costernati per le ustioni causate dalla borsa d'acqua calda, ma io ho detto: pensate se fosse uscita verso il basso...". - -->.


Berlusconi choc: In La verità del Cavaliere sui raccomandati (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Giorno, Il (Nazionale)" del 21-12-2007)
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Berlusconi choc: "In La verità del Cavaliere sui "raccomandati" di ANTONELLA COPPARI ? ROMA ? "DICO: al telefono si hanno delle libertà e si usa un linguaggio che non si userebbe in pubblico. Il telefono ha zone oniriche e se le telefonate finiscono sul giornale possono esporre una persona al pubblico ludibrio". Ed è questo il punto: al di là del risultato dell'inchiesta di Napoli sulla presunta corruzione di senatori, ormai il Cavaliere si sente inchiodato alla gogna dalle intercettazioni che ? depositate in procura ? sono finite sul sito dell'Espresso-La Repubblica. E COSÌ Silvio Berlusconi che in condizioni normali non fatica a prendersela con magistrati, comunisti e tv pubblica spara granate: "Lo sanno tutti nel mondo dello spettacolo che in Rai si lavora solo se ti prostituisci o se sei di sinistra. Non c'è nessuno che non sia stato raccomandato, a partire dal direttore generale che non è stato certo scelto con una ricerca di mercato". "Xe peso el tacòn del buso", dicono in Veneto: è peggio la toppa del buco. "Pure lui ? osservano nell'Unione ? ne ha sponsorizzati parecchi, a partire da Saccà". E proprio il colloquio con il manager che ha fatto esplodere il caso Rai ora può essere ascoltato da tutti. Sette minuti e spiccioli. Dai saluti iniziali del dirigente ("Lei è amato nel paese, glielo dico senza piangeria") si passa al mantenimento della maggioranza nel Cda, con riferimenti a Giuliano Urbani. "Fa lo stronzo" dice il Cavaliere che promette di bacchettare An e Udc "che per un piatto di lenticchie" hanno spaccato la maggioranza. Poi si arriva alla fissa di Bossi per Barbarossa: "Mi fa una testa tanta con questa cavolo di fiction", sospira Berlusconi. Lo preoccupa al punto da chiedere a Saccà di "avvertire la loro soldatessa nel consiglio" che tutto è a posto. La telefonata si conclude con due segnalazioni dell'ex premier: una per Elena Russo. L'altra per Evelina Manna, che gli sta particolarmente a cuore "perché ? spiega ? mi è stata chiesta da qualcuno con sui sto trattando per avere la maggioranza al Senato". Brutta storia. "Una porcheria", dice ai suoi di buon mattino il Cavaliere che s'appella al garante per la privacy. Un "atto criminale". Politicamente, riapre la questione mai sopita del conflitto di interessi e della riforma Gentiloni. Gettando un'ombra nera sul confronto con Veltroni, sia sul patto fra gentiluomini, cioè l'ipotesi di presentarsi da soli ? Pd e Pdl ? alle elezioni. L'indignazione è tale da investire il Quirinale: Berlusconi dice che vuole parlare di riforme con il Capo dello Stato in occasione degli auguri di Natale, ma in quel colloquio non potrà non entrare la questione giudiziaria, visti gli ultimi richiami di Napolitano. L'IRRITAZIONE trabocca: ce n'è per tutti. Per Repubblica: "Mi si dice che il sostituto procuratore di Napoli è il fratello del capo della redazione napoletana di Repubblica", dichiara (circostanza smentita dal quotidiano). Anche perchè, "sono intervenuto con Saccà solo per fare cancellare un'ingiustizia: avevo saputo che una persona, per caso sorella di un consigliere comunale di Forza Italia, era stata messa da parte per far posto a una raccomandata". Sottolinea: "Non avrei mai immaginato che la Rai, che si comporta da tv commerciale, potesse essere considerata un servizio pubblico" e Saccà "un pubblico ufficiale". Lancia un appello agli italiani che "hanno paura di essere spiati" quando alzano la cornetta: alle elezioni "votate contro questo governo" che gode del sostegno "di una certa magistratura" e viola i diritti fondamentali dei cittadini. IN TARDA SERATA, prima di sedersi a tavola per una cena con i senatori azzurri, torna all'attacco: "Cosa volete che dica l'azienda? Quando leggerò il comunicato, replicherò. Se vogliono comincio a tirar fuori gli elenchi...". E ancora: "Io poi ho solo segnalato un caso doloroso di una persona discriminata che non poteva lavorare". Ribolle l'aria politica ma Berlusconi mostra di non aver perso il buon umore. Anzi, scherza sull'incidente in cui è incappato: "Tutti erano costernati per le ustioni causate dalla borsa d'acqua calda, ma io ho detto: pensate se fosse uscita verso il basso...". - -->.


Canelli: ancora veleni in Consiglio comunale (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Stampa, La" del 21-12-2007)

 

SEDUTA CALDA.L'OPPOSIZIONE CRITICA UN INCARICO, IL SINDACO RISPONDE Canelli: ancora veleni in Consiglio comunale "Camileri non può occuparsi di Urbanistica" [FIRMA]GAIA FERRARIS CANELLI Un'altra seduta fiume mercoledì sera in Consiglio comunale, iniziata con un minuto di silenzio, su iniziativa del consigliere di minoranza Giancarlo Scarrone, per ricordare i morti sul lavoro. Un pensiero rivolto non solo alle sei vittime della Thyssenkrupp, ma anche a quanti perdono la vita per portare a casa uno stipendio. Nonostante l'ordine del giorno fosse di soli quattro punti, la parte più corposa della discussione è stata occupata da un fuori programma. Ad accendere la discussione è stata una nuova richiesta di chiarimenti sull'affidamento, all'assessore Giuseppe Camileri, di quello che, come ha specificato il sindaco, "è un incarico e non una delega". E' stata Mariella Sacco, capogruppo di minoranza, ad inaugurare un dibattito tutt'altro che concluso. Ha ribadito il disaccordo totale sui metodi scelti per individuare chi sarà a portare a termine la revisione del Piano regolatore. Secondo l'opposizione il compito dovrebbe infatti essere affidato a una commissione di professionisti esperti in Urbanistica insieme ai rappresentanti di tutte le forze sociali ed economiche della città e non a un rappresentante di giunta, l'assessore Camileri, che svolge la professione di geometra, in "odore" di conflitto di interessi con l'incarico avuto. "Ma, come abbiamo già detto, quello di Camileri sarà solo un ruolo di coordinamento burocratico", ha replicato il primo cittadino Piergiuseppe Dus, cercando di smorzare il tono polemico della seduta. "Come testimonia anche la prima parte dei fondi di bilancio, 7 mila euro, investiti per coinvolgere professionisti esterni, anche legati al mondo universitario, che studieranno soprattutto soluzioni per il recupero delle aree industriali dismesse" ha spiegato. Tutt'altro che "tiepido" l'intervento di Giuseppe Camileri, che durante l'anno era già stato al centro di critiche e accuse: "E' ora di finirla con la campagna diffamatoria condotta nei miei confronti: sta prendendo una piega poco piacevole", ha affermato, riferendosi alla lettera-esposto scritta dai professionisti canellesi in questi giorni, in cui si chiedono verifiche sull'operato del Comune. Un colpo basso che, secondo l'assessore, sarebbe pilotato da una minoranza mai impegnata in proposte concrete. Poi, l'assemblea ha potuto iniziare la discussione dell'ordine del giorno. E' stato approvato il regolamento comunale per la raccolta ed il trattamento delle acque reflue urbane. Astensione della minoranza, invece, sull'approvazione della convenzione con l'acquedotto Valtiglione.


Quelle bombe a orologeria per frenare il dialogo (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Giornale.it, Il" del 21-12-2007)

 

Di Anna Maria Greco - venerdì 21 dicembre 2007, 07:00 da Roma Tre bombe giornalistiche cariche d'intercettazioni in un mese. Tre bombe che squassano il dialogo sulle riforme tra Walter Veltroni e Silvio Berlusconi. E una sola firma: La Repubblica-L'Espresso. L'ultima è di ieri, con la pubblicazione sui siti internet del quotidiano e del settimanale dell'audio della telefonata tra il Cavaliere e il presidente di RaiFiction, Agostino Saccà. La prima è del 21 novembre, quando sul quotidiano diretto da Ezio Mauro escono le intercettazioni di colloqui tra la dirigente Rai, Deborah Bergamini e dirigenti Mediaset. In mezzo la notizia, sempre su Repubblica, dell'inchiesta di Napoli che coinvolge il leader di Fi per presunta corruzione di senatori del centrosinistra. Si chiude con un nulla di fatto in questi giorni, quando ormai il contraccolpo politico sul dialogo tra i due leader dei maggiori partiti di maggioranza e opposizione, è già stato ottenuto. "Cui prodest?", si chiederebbe a questo punto Medea nella tragedia di Seneca. Giova certo a chi quel confronto non lo vuole, dai piccoli partiti a quella parte resistente del Pd, soprattutto perché mette a rischio il futuro del governo-Prodi. Vediamo la cronologia. La bomba numero 1 scoppia mentre si prepara il primo incontro Veltroni-Berlusconi, che avverrà il 30 novembre. Il giorno precedente il premier dice ad un giornale tedesco che il monopolio del Cavaliere sul sistema tv è un pericolo per la democrazia e insiste sulla necessità di regolare il conflitto d'interessi e di fare una riforma delle comunicazioni. Il secondo scoop è del 12 dicembre, quando i primi risultati del confronto sono già avvelenati dalle polemiche sull'opportunità per il leader del Pd di trattare con un indagato. "È stupefacente - dice il 20 Manuela Palermi del Pdci - che Veltroni consideri questo personaggio (Berlusconi, ndr) un interlocutore". Dietro le quinte, i veltroniani accusano il "partito di Repubblica" di remare contro il dialogo. Il Csm non stigmatizza la fuga di notizie dalla Procura di Napoli, ma dopo le critiche di Berlusconi all'"armata rossa" delle toghe apre una pratica a tutela dei magistrati attaccati e solo un generico fascicolo sulle regole per evitare violazioni del segreto istruttorio. Il terzo atto dà il colpo finale, offrendo in pasto all'opinione pubblica le voci di Berlusconi e Saccà, mentre già si parla di governo istituzionale per fare riforme condivise e Giorgio Napolitano invita al dialogo. Stavolta è l'Anm a glissare sulla fuga di notizie e a definire "inaccettabile" l'attacco alle toghe. "Il fatto che Repubblica - dice il veltroniano del Pd Peppino Caldarola al.


Tar, stop alla gara vinta da Sirti per i servizi informatici delle Fs pag.1 (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Giornale.it, Il" del 21-12-2007)

 

Tar, stop alla gara vinta da Sirti per i servizi informatici delle Fs di Laura Verlicchi - venerdì 21 dicembre 2007, 07:00 Sia l'una che l'altra hanno posto la stessa questione: il conflitto di interessi derivante dalla posizione di Almaviva, venditore e - in caso di vittoria nella gara - acquirente di Tsf. Una situazione da verificare con attenzione, sostengono tutti gli interroganti, perché potrebbe derivarne l'incompatibilità con la partecipazione alla gara da parte di Almaviva. E sulla vicenda è intervenuto anche il presidente dell'Adusbef, Elio Lannutti, ricordando le denunce a suo tempo presentate dall'associazione di consumatori alle Procure di Roma e Milano: "Incombono doverose le inchieste penali per turbativa d'asta", ha concluso Lannutti.


Piange il telefono (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Manifesto, Il" del 21-12-2007)

 

Mariuccia Ciotta Il telefono "ha delle zone oniriche", aveva detto Berlusconi per difendersi dalle intercettazioni pubblicate su Repubblica. Adesso conosciamo i "sogni" del cavaliere e del suo fido scudiero Agostino Saccà, responsabile della fiction Rai, nell'impalbabile sostanza delle loro voci, intonazioni e intercalare compresi. L'audio della telefonata, infatti, circola da ieri sul web, gettonata da una moltitudine di utenti, e già hit di You Tube. Ecco il tono ossequioso di Saccà che "senza nessuna piangeria" piange al telefono per il "disturbo" arrecato al capo della tv concorrente, al quale chiede un aiuto per "conservare la maggioranza" nel consiglio di amministrazione della Rai. Berlusconi è brusco e si concede appena agli inchini di Saccà ("lei è il più amato nel paese... è stupendo... c'è un vuoto che lei copre anche emotivamente"). Vuole arrivare al sodo: "È Urbani che fa lo stronzo?". L'eloquio di Saccà si ingarbuglia alla perentorietà del capo che non ha tempo da perdere con il "suo vecchio amico". Si stupirà che sia considerato "un pubblico ufficiale", cosa che gli è valsa un'accusa di corruzione. E lui che pensava di parlare con un suo dipendente, uno a cui fare l'elenco della spesa spettacolar-politica e impartire certi ordini di servizio da eseguire con un "digli testualmente che io t'ho chiamato". L'audio della telefonata è umiliante, ma non solo per i due interlocutori, lo è per chiunque ascolti, messo davanti all'evidenza materiale delle voci, fuori dal testo freddo pubblicato dai giornali. L'umiliazione di orecchiare la verità, di sapere per vie indecenti, attraverso il buco della serratura, come si amministra la cosa pubblica. Dell'ingerenza pesante di Berlusconi nella Rai, della relazione tra lui e Saccà, si sapeva da tempo. Il cavaliere è abituato da sempre a intimidire, cancellare dal video o pagare i collaborazionisti. Ma non c'era nessuno disposto a testimoniarlo. Ci voleva il sonoro in diretta per cogliere la flagranza del reato. La Rai ridotta a cortile di Mediaset. Non c'è scampo di fronte alla telefonata confidenziale, che al di là del merito, dice l'intimità dei due, uno padrone l'altro servo, tanto che Saccà interrompe le richieste di Berlusconi con un "lei è la persona più civile, più corretta". Ma come? Non gli sta chiedendo di farsi complice della corruzione di un senatore della repubblica? E si capisce l'ira di Berlusconi che se prima aveva liquidato le intercettazioni con una alzata di spalla, ora esplode e si scaglia contro la Rai dove lavora solo "chi si prostituisce o chi è di sinistra". Agostino Saccà non è di sinistra. E, trascinato dalla furia, il cavaliere spazza via anche il suo uomo, al quale ha promesso sostegno per la sua "città della fiction", perché "in Rai non c'è nessuno che non sia raccomandato". Che la tv di stato sia spartita tra i partiti è anche vero, la lottizzazione è la degenerazione della rappresentanza politica, ma per Berlusconi è tutto e solo compravendita, e infatti il direttore generale "non è certo stato scelto attraverso una ricerca di mercato". Il bersaglio è Cappon (anche se la sua reazione è stata debole) che ha avviato una inchiesta interna dopo la pubblicazione delle intercettazioni e che gli ha scompigliato i giochi in un cda ancora sotto dominio berlusconiano. L'indignazione che sale adesso da viale Mazzini, covo di prostituti e di comunisti, speriamo che non si ricomponga come sempre in equilibrismi e opportunismi. E che dilaghi anche nei piani alti del palazzo, là dove si sta trattando con il leader del conflitto di interessi, senza più nascondersi dietro il garantismo, e ci riferiamo al Prc. È un audio scaricato da internet a garantirci che le regole non può dettarle un fuorilegge.


La carica degli indipendenti sbarca a Roma (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Manifesto, Il" del 21-12-2007)

 

La carica degli "indipendenti" sbarca a Roma Al laboratorio occupato e autogestito Esc la seconda edizione del "Critical Book&Wine". Piccoli editori e vignaioli contro il governo monopolistico del mercato. Oggi incontro sulle crisi delle riviste indipendenti Benedetto Vecchi Il Critical Book&Wine raddoppia. Dopo l'edizione milanese al Leoncavallo dello scorso inverno, la rassegna degli editori e dei vignaioli indipendenti si sposta a Roma. Da oggi fino a domenica, il laboratorio occupato di Esc (Via dei Reti 15) diventerà il luogo dove piccoli editori e vignaioli metteranno in mostra i loro prodotti vicini gli uni agli altri per sottolineare che per produrre buoni "artefatti" ci vuole la passione di chi persegue un obiettivo - la qualità - indipendentemente da quanto suggeriscono le regole del mercato. Il Critical Book&Wine nasce come riflessione critica sul funzionamento del mercato per quanto riguarda l'editoria e la produzione vinicola. E se i "vignaioli" hanno nel tempo sviluppato un discorso attorno al prezzo sorgente per tutelare la qualità del prodotto contro la grande distribuzione che privilegia le grandi industrie vinicole, i piccoli editori hanno cominciato, faticosamente, a confrontarsi sulla concentrazione tanto nella produzione che nelle distribuzione che nella vendita della produzione di libri. Così, in Italia come nel resto del mondo, accade che una manciata di case editrici accentrino gran parte della produzione editoriale, mentre la distribuzione si è andata organizzando secondo una logica da "supermercato" che favorisce le grandi industrie editoriali. Questo non significa che le piccole e indipendenti case editrici scompaiono, ma a loro è "delegata" la funzione di "laboratori", che scovano giovani autori, traducono scrittori e saggisti sconosciuti in Italia. E quando quegli autori, scrittori e saggisti si impongono all'attenzione, le "grandi" case editrici subentrano. In altri termini, i piccoli editori costituiscono il "capitale di rischio" dell'industria culturale, i cui frutti sono raccolti dai grandi editori. Allo stesso tempo, in Italia come nel resto del mondo la regolamentazione sul copyright più che rispondere a una tutela dei singoli autori è divenuto uno strumento del governo del mercato editoriale. E non è un caso che comincia a farsi strada tra i piccoli editori l'uso di licenze "alternative" - dai Creative Commons al Copyleft - alle leggi dominanti sulla proprietà intellettuale. Già, perché i piccoli editori che partecipano al Critical Book&Wine di Roma si percepiscono e si presentano, a ragione, come laboratori che perseguono filoni di ricerca culturali scelti in libertà senza che questo coincida con un rifiuto pregiudiziale del "fare impresa". Ma la loro critica coinvolge semmai la tendenza della distribuzione che concorre alla concentrazione oligopolistica del mercato. Una critica che parte anche dal cambiamento del mercato editoriale. Nei mesi scorsi, alcune inchieste hanno presentato i dati sull'acquisto di libri che danno una fotografia con forti tonalità in bianco e nero. Diminuiscono i lettori, mentre le vendite si polarizzano tra best seller e libri destinati a segmenti qualificati Dunque laboratori di cultura "critica" che hanno accolto con interesse la proposta di un altro tipo di laboratorio, occupato e autogestito come Esc, che da alcuni anni sta portando avanti un processo di elaborazione critico attorno all'università, che sempre più si presenta come un supermercato del sapere. E non è dunque un caso che la tre giorni romana sia scandita anche da alcuni incontri che affrontano "trasversalmente" lo statuto dell'indipendenza - cioè dell'autonomia - della produzione culturale. Oggi, tocca ai destini delle riviste, da sempre laboratori culturali che hanno avuto la capacità di leggere la società secondo griglie analitiche "eccentriche" rispetto alla cultura mainstream. La domanda dell'incontro di oggi (coordinato da Lanfranco Caminiti, appuntamento alle ore 18) investe la "forma rivista" chiamando a discutere esperienze come "Accattone", "Conflitti globali", "DeriveApprodi", "DWF", "Forme di vita", "il verri", "Infoxoa", "L'Accalappiacani", "Leggendaria", "Posse", "Zapruder" che oltre a presentarsi come laboratori hanno scommesso sulla possibilità di agire come "comunità politiche". Sabato è la volta. invece, di un incontro, coordinato da Andrea Cortellessa, della "Bibliodiversità", cioè le forme di resistenza delle piccole case editrici. Infine domenica è la volta di cultural studies (con Anna Curcio, Miguel Mellino, Augusto Illuminati) e del rapporto tra "Jazz e black power. La musica e i movimenti neri americani" (con Mario Gamba, Pino Saulo, Luigi Onori).


Un mondo in equilibrio tra il servo e il padrone (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Manifesto, Il" del 21-12-2007)

 

"Redistribuzione o riconoscimento", il serrato dialogo tra le teorica femminista Nancy Fracer e lo studioso tedesco Axel Honneth edito da Meltemi. Temi attorno ai quali ruota la discussione sul funzionamento delle attuali società capitaliste L'uso della categoria della reificazione conduce il filosofo tedesco a qualificare i conflitti sociali come "lotte per il riconoscimento" dove i diritti di cittadinanza sono Stefano Petrucciani Il paradigma del riconoscimento, che Axel Honneth ha sviluppato a partire dal suo testo fondamentale (Lotta per il riconoscimento, del 1992, tradotto in Italia dal Saggiatore), è uno strumento utile per pensare la dinamica dei conflitti nelle società capitalistiche? È a partire da questo interrogativo di fondo che si può leggere il bel testo appena uscito per Meltemi (Redistribuzione o riconoscimento? Una controversia politico-filosofica, pp. 333, euro 24), confronto vivace e polemico tra lo stesso Honneth e la teorica femminista Nancy Fraser, dovcente alla New School for Social Research di New York e una delle voci più interessanti della teoria critica radicale contemporanea. La lotta tra il servo e il padrone Questo libro va letto insieme a un testo più breve (e più recente) che sempre Meltemi ha pubblicato da qualche settimana, Reificazione, dove Honneth tenta di riattualizzare, mutandola notevolmente di segno, questa tradizionale categoria del marxismo critico, che era stata al centro del fondamentale testo di Lukács del 1923, Storia e coscienza di classe. Per accostarsi al tema "riconoscimento e conflitto", dobbiamo però tornare al modo in cui il tema del riconoscimento è stato introdotto da Honneth nella discussione contemporanea, alle scelte e alle ragioni di fondo che hanno motivato questa sua proposta teorica. In buona sostanza, quando Honneth rilancia il tema del riconoscimento (che stava al centro di uno dei passaggi centrali e più commentati di Hegel, la lotta tra il signore e il servo nella Fenomenologia dello spirito) compie un'operazione polemica su due fronti, prendendo cioè nettamente le distanze tanto da Jürgen Habermas quanto da John Rawls. Rispetto a Habermas, e all'impostazione più o meno kantiana della sua moralità discorsiva, Honneth recupera il punto di vista hegeliano di una eticità concretamente radicata nel sociale e differenziata nelle sfere che articolano i mondi vitali moderni (famiglia, società e civile e Stato, che Honneth riattraversa e reinterpreta nel libro Il dolore dell'indeterminato, manifestolibri 2003). La lotta per la buona vita Rispetto a Rawls, l'opposizione di paradigma è altrettanto netta: all'idea rawlsiana secondo cui la teoria politica normativa deve occuparsi di ciò che è giusto (lasciando in secondo piano le questioni del bene o della "vita buona"), e all'individualismo atomistico che resta sempre uno dei tratti distintivi del liberalismo, Honneth contrappone un nuovo paradigma, basato sul primato della relazione sociale, della intersoggettività, e non timoroso di delineare un concetto, seppur generale e formale, di "vita buona". Le coordinate del nuovo paradigma sono, nelle loro linee essenziali, molto chiare. Proprio in quanto è intrinsecamente relazionale, l'identità individuale presuppone il riconoscimento intersoggettivo: come insegna tutta la psicologia più avvertita, l'acquisizione e il mantenimento di una identità non vulnerata, cioè di un rapporto positivo con sé, dipende dal fatto che l'individuo sia stato positivamente riconosciuto dagli altri che sono significativi per lui (a cominciare ovviamente dalla madre), rapportandosi ai quali si è formato e continua sempre a svilupparsi. Nelle società moderne (e qui Honneth riscrive, appunto, la tripartizione hegeliana delle sfere sociali) una riuscita formazione dell'individualità passa per tre sfere o dimensioni fondamentali: quella delle relazioni affettive legate ai rapporti d'amore, d'affetto o di amicizia, quella dell'eguaglianza tra persone giuridiche che si riconoscono reciprocamente la loro dignità e i loro diritti, e quella della cooperazione sociale e lavorativa, dove gli individui si riconoscono come soggetti che partecipano a un'impresa comune, e il cui contributo è degno di riconoscimento e di stima. Le giuste relazioni Prende così forma quella idea di giustizia come riconoscimento che Honneth sviluppa e precisa nel suo dibattito con Nancy Fraser. La giustizia nella società non ha principalmente a che fare - diversamente da quanto credono Rawls e i suoi seguaci - con la distribuzione di beni, e neppure, come pensa Habermas, con le procedure di una democrazia deliberativa, ma concerne piuttosto l'assetto delle relazioni: il primo diritto di ogni individuo (poiché il riconoscimento è condizione di base per la formazione e lo sviluppo della personalità) è quello di essere incluso in rapporti di interazione non deformati, simmetrici, dove egli non sia oggetto di misconoscimento e disprezzo. Ora, poiché il riconoscimento è un rapporto di reciprocità, nella teoria di Honneth si conservano non solo diversi temi hegeliani ma anche un tipico tema marxiano: se l'individualità si costituisce nelle relazioni di reciprocità, allora vale di nuovo la tesi marxiana per cui il libero sviluppo degli altri individui è condizione del mio libero sviluppo. Per dirla nel modo un po' complicato di Honneth, bisogna che i soggetti siano consapevoli che "la loro autonomia dipende dall'autonomia dei loro partner di interazione". E così arriviamo finalmente al conflitto, tema al quale Honneth mirava già dal suo primo libro, Critica del potere (tradotto in italiano da Dedalo). All'origine del conflitto sociale c'è l'esperienza dell'ingiustizia che è vissuta da chi subisce le dinamiche di un riconoscimento mancato, limitativo o inferiorizzante: il riconoscimento può essere del tutto negato (come accadeva ai neri nell'America schiavista), oppure può essere profondamente umiliante e inferiorizzante (come per millenni è toccato alle donne), o ancora può essere limitante e costrittivo, cioè tale da costringerti a negare una parte della tua personalità (come accade agli omosessuali nelle società omofobe). Per Honneth, i conflitti che racchiudono un potenziale di "progresso morale" sono appunto quelli che nascono dalle esperienze del riconoscimento negato; e che vanno da un lato nella direzione di una maggiore inclusione (come nel caso della conquista dei diritti da parte dei neri o delle donne), dall'altro di una più ricca individualizzazione (quando si tratta di conflitti che rivendicano, appunto, il riconoscimento di aspetti stigmatizzati o socialmente rifiutati del proprio modo di essere). Il dualismo indicibile del conflitto Ma proprio attorno alla questione del conflitto si sviluppa la discussione tra Honneth e Fraser. Anche la teorica americana riconosce il nesso tra conflitti e riconoscimento, ma lo iscrive in un quadro limpidamente e convintamente dualistico. Uno sguardo panoramico sui conflitti sociali di ieri e di oggi, sostiene, lascia emergere due tipi di tensioni ben differenti: da un lato il conflitto distributivo (paradigmatico quello tra capitalisti e lavoratori), dall'altro i conflitti per il riconoscimento, cioè le tensioni che fanno riferimento a identità specifiche e differenziate che reclamano di essere riconosciute; questo è il tipo di conflitti che sembra più diffuso al presente, e paradigmatica può essere la battaglia per il riconoscimento delle unioni civili tra persone omosessuali (che peraltro secondo Fraser sarebbe solo un compromesso, perché resterebbe sempre una discriminazione rispetto al matrimonio). Questa lettura dualistica dei conflitti corrisponde peraltro, secondo Fraser, alla duplice struttura delle gerarchie e del dominio nelle società capitalistiche moderne. Infatti, come è stato sottolineato anche nei lavori di Immanuel Wallerstein, nelle società capitalistiche le gerarchie di classe coesistono con quelle di status: queste non sono affatto un residuo premoderno ma, al contrario, costituiscono una dimensione essenziale anche nella articolazione delle forme di potere moderne. Inoltre, precisa Fraser, ingiustizia economica (distributiva) e mancato riconoscimento non sono due situazioni che si escludano reciprocamente. Sono piuttosto due concetti idealtipici che, nelle forme di ineguaglianza concretamente esistenti, tendono sempre a intrecciarsi. Basti pensare, spiega Fraser, alla ineguaglianza di genere: "Il genere non è né semplicemente una classe né semplicemente un gruppo di status; è una categoria ibrida radicata contemporaneamente nella struttura economica e nella gerarchia di status della società. Per comprendere e correggere l'ingiustizia di genere bisogna, dunque, occuparsi sia di distribuzione sia di riconoscimento". Nelle sue repliche a Fraser, invece (il libro contiene due interventi per ciascuno degli autori), Honneth cerca di sostenere - adducendo una serie di argomenti interessanti e comunque mai banali - che il paradigma del riconoscimento (articolato nelle sue diverse dimensioni) è idoneo a render conto anche di quelle situazioni, come per esempio le lotte salariali, che sembrano inquadrarsi senza problemi dentro lo schema del conflitto distributivo. Una stima di classe Si potrebbe dire che, paradossalmente, Honneth è d'accordo con Marx nel sottostimare la questione distributiva. Solo che, mentre il filosofo di Treviri riteneva che l'unica dimensione rilevante fosse quella della produzione (di cui la distribuzione non era che un'appendice), per Honneth il punto centrale è piuttosto leggere la società capitalistica come uno specifico "sistema di riconoscimento istituzionalizzato": per dirla in modo semplice e chiaro, i rapporti distributivi sono una conseguenza del modo in cui i diversi gruppi e il loro contributo è socialmente valutato e stimato; prima delle questioni di distribuzione, vengono quelle di categorizzazione. Per esempio, uno dei problemi chiave dell'ineguaglianza di genere è che il lavoro di cura delle donne non è riconosciuto come lavoro: la penalizzazione delle donne affonda le sue radici in una categorizzazione socialmente imposta e consolidata. Ma anche le lotte di classe più tradizionali, sostiene Honneth, non si lasciano leggere secondo un paradigma distributivo. Rileggendo le ricerche dello storico marxista E. P. Thompson sulla formazione della classe operaia inglese, Honneth nota che da esse risulta chiaramente che la resistenza e il conflitto operaio affondano le loro radici motivazionali più nella protesta per la sottrazione di antichi diritti, per l'onore e la dignità negati, che non nella semplice ingiustizia distributiva. Insomma, a suscitare il sentimento dell'ingiustizia, e dunque il conflitto, è la gerachizzazione sociale del rispetto e della stima, più che la secca privazione materiale. La banalità dell'ideologia Fraser naturalmente ha buon gioco nel contro-obiettare che Honneth sovrastima decisamente i fattori "ideologici", quando considera ogni tipo di subordinazione come derivante da "gerarchie di status radicate nella cultura". Ma non so se la migliore soluzione delle questioni da lui poste sia tornare, come fa Fraser, al tradizionale dualismo di cultura ed economia. Decifrare le grammatiche del conflitto è un obiettivo complicato e ambizioso; e anche se Honneth e Fraser ci riescono solo in parte, quello che il loro libro ci presenta è un buon modo di discutere la questione, capace di sfuggire alla banalità e di consegnarci, in ogni caso, dei veri stimoli intellettuali.


LA REPLICA DI VIALE MAZZINI: ACCUSE INACCETTABILI (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 21-12-2007)

 

La replica di Viale Mazzini: accuse inaccettabili Il dialogo tra Berlusconi e Veltroni sulla legge elettorale, che irrita i partiti piccoli dell'Unione, finisce ora nel mirino: "La vicenda tra il Cavaliere e Saccà rivela quanto grande ed irrisolto sia il problema del conflitto di interessi nel nostro Paese. Il Pd pensa davvero di fare accordi con questo leader su materie che riguardano le regole della nostra democrazia?". La domanda è di Pino Sgobio, capogruppo del Pdci. Replica con qualche imbarazzo Anna Finocchiaro, a capo dei senatori democratici: "Evidentemente" per i protagonisti della vicenda "sono comportamenti assimilabili, per me no...", dice riferendosi alla telefonata intercettata e aggiunge che sono parole "non commentabili" e comunque fa intendere che si tratta, a suo avviso, di un'uscita poco adeguata "in un momento che dovrebbe essere di dialogo, di tregua" tra gli schieramenti. Per Marco Follini "la Rai non è né un fortilizio di sinistra né una casa di facili costumi. È una grande azienda culturale che merita rispetto e libertà. È chiaro che le telefonate di Berlusconi radono al suolo l'una e l'altra". La vicenda Rai-Mediaset risuona anche nella commissione di Vigilanza Rai che approva a maggioranza la risoluzione presentata dal capogruppo Pd, Fabrizio Morri. La proposta passa con i voti favorevoli del centrosinistra (unico astenuto, il senatore Pd Antonio Polito) e dell'Udc (c'era un sostanziale via libera anche da An assente però in commissione), mentre Forza Italia, che aveva chiesto il rinvio del voto e una riformulazione del testo, non partecipa alla votazione. In sostanza, il documento invita la Vigilanza ad assumere tutte le iniziative utili a restituire alla Rai credibilità e autonomia a tutela della missione di servizio pubblico, sottolinea la preoccupazione per il quadro di compromissione di Viale Mazzini emerso dalle intercettazioni e prende atto positivamente delle iniziative avviate dai vertici Rai e dall'Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni, insistendo sulla necessità di un rapido accertamento dei fatti e delle eventuali responsabilità. Il direttore generale dell'azienda, Claudio Cappon, però si difende: "accuse indiscriminate" nei confronti della Rai. Decisiva in Vigilanza è stata la mediazione del presidente, Mario Landolfi (An) che ha spinto durante una breve pausa dei lavori ad apportare al testo lievi modifiche: in particolare, la richiesta all'azienda di rendere noti alla Vigilanza i dati del monitoraggio sul pluralismo per il 2004 e il 2005 è stata estesa a tutto il 2007, in modo quindi da considerare anche il periodo del governo di centrosinistra. Palle infuocate rispetto al caso Saccà arrivano da Rifondazione: "Sono molto preoccupato per le affermazioni di Berlusconi, la sua reazione rabbiosa e fuori controllo sulla Rai e sull'inchiesta napoletana dopo la pubblicazione dell'audio della sua conversazione con Saccà rasenta l'assurdo", incalza Giovanni Russo Spena, membro della commissione di vigilanza per conto del Prc. "Un capo politico - prosegue - che afferma di stare trattando per ottenere la maggioranza in Senato dando il ruolo in una fiction alla sorella di un senatore fa agghiacciare. La Rai ha certamente molti problemi e la pressione della politica deteriore sulla produzione televisiva ha certamente creato danni". La sinistra dell'Unione mette dunque in guardia Veltroni e il verde Angelo Bonelli ironizza: "Faccio una proposta, visto che siamo in un clima bipartisan penso che la cosa migliore è che Berlusconi faccia dimettere i suoi raccomandati così come il Pd faccia dimettere i suoi e ricostruiamo una Rai che guarda al servizio pubblico e fa lavorare i giornalisti che sono all'angolo".


Riforma tv sì, ma non basta: risolvere il conflitto d'interessi (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Unita, L'" del 22-12-2007)

 

Stai consultando l'edizione del FABRIZIO MORRICapogruppo del Pd in Vigilanza Rai "Riforma tv sì, ma non basta: risolvere il conflitto d'interessi" di Roberto Brunelli / Roma La Rai, un postribolo frequentato solo da gente di sinistra, secondo l'ormai celebre versione berlusconiana. C'è chi, con una goccia di veleno, aggiunge che allora sono di sinistra anche Del Noce, Marano, Vespa... "Beh, Berlusconi è stato molto offensivo proprio nei confronti decine e decine professionisti che hanno spiccate simpatie per lui. Quelli in Rai non mancano, al punto tale da ritrovarsi intercettati in situazioni di totale asservimento". Battute a parte, Fabrizio Morri, capogruppo Pd in Commissione di vigilanza, pensa che il "caso Saccà" sia l'ultima prova dell'urgenza di una profonda riforma della tv di Stato. Ma è separabile, Morri, la questione della riforma da quella del conflitto d'interessi, di cui le intercettazioni sono una fotografia piuttosto drammatica? "Certo che le due cose vanno insieme. In un paese democatico e moderno un padrone di televisioni e titolare di una concesisione dello Stato non dovrebbe essere messo nella condizione di diventare capo del governo, perché chi fa tv maneggia una tastiera delicata in relazione sia al consenso che qualità culturale di una democrazia. Detto questo, di sicuro la cosa più urgente è la riforma dell'emittenza e della Rai: io credo che tutte le forze politiche dovrebbero sentire l'urgenza di una svolta. Invece sulla cosidetta "Gentiloni 2", al Senato non mi risultano ritirati i ben 1250 emendanmenti ascrivibili a Forza Italia, e questo la dice lunga sulle dinamiche del conflitto d'interesse. Vede, le altre forze di centrodestra non sono certo tenere con la Gentiloni, ma non hanno questo atteggiamento ostruzionistico. Un atteggiamento che io mi auguro possa essere superato, perché la situazione ai vertici Rai ora è molto delicata... ". Normalmente viene descritta come una palude... "Per la precisione una semiparalisi, che con con il reintegro di Petroni, e cioé con un Cda a maggioranza di centrodestra, rischia di rimanere tale. È un peccato, perché in realtà qualche segnale di risveglio del servizio pubblico c'è stato... vedi il caso Benigni, che dimostra come non necessariamente i grandi ascolti si fanno solo con una qualità "discutibile"". C'è anche chi dice che quelli di Benigni o di Celentano siano eventi unici che poi non incidono sull'andamento generale dell'azienda... "È vero, ma detto così risulta un po' ingeneroso. La Rai ha grandissime potenzialità, ma non le sfrutta. Dài e dài, ci potrebbero essere tanti "eventi unici" di qualità, se si rimette in moto la "macchina Rai", oggi così condizionata dalla politica e anche dalla concorrenza. La sfida principale della Rai è quella di ridefinire il ruolo della televisione generalista negli anni duemila". Ossia, si tratta di ridisegnare da fondo la "mission" della tv di Stato... "Esatto. Ma il tempo stringe. È necessario che la Rai torni a essere lo strumento culturale dell'unità del paese. Per far questo deve ripensarsi come ha fatto la Bbc, o come hanno fatto le tv pubbliche in Germania e in Francia. È di fronte a questa urgenza che risulta avvilente non tanto sentire il capo dell'opposizione nonché capo di Mediaset raccomandare delle veline, ma sentire un altissimo dirigente Rai, uno che è stato pure direttore generale e ora responsabile della fiction, chiedere al capo dell'opposizione di intervenire presso il Cda per modificarne la maggioranza. È questo che è inaccettabile, perché configura un'azienda a dispozione, perché ne ammazza la credibilità. Qualunque idea si abbia delle intercettazioni, non si può nascondere la testa sotto la sabbia. Tutte le forze politiche devono capire che è giunto il momento di permettere alla Rai di essere un'azienda normale. Dove chi ci lavora viene scelto sulla base del merito e della professionalità, non perché amica - o nemica - di Berlusconi".


[FIRMA]MARCO INNOCENTI FURINA ROMA Un decreto legge per regolare la materia delle intercettazi (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Stampa, La" del 22-12-2007)

 

Oni. Clemente Mastella propone d'approvare un provvedimento d'urgenza per "mettere un freno" alla loro pubblicazione. Il suo disegno di legge dopo essere stato approvato all'unanimità alla Camera lo scorso aprile, giace da mesi in Senato. Ma la bufera seguita alla pubblicazione audio della telefonata tra Agostino Saccà e Silvio Berlusconi, potrebbe aver riaperto i giochi. I tempi sono maturi per "un decreto ad hoc che garantisca la libertà dei cittadini, dei magistrati e della stampa", ha detto il ministro della Giustizia. No a "provvedimendi d'impulso", ma è un tema di cui "si può discutere", è la risposta di Palazzo Chigi. Mentre un netto via libera all'ipotesi del decreto arriva dal numero due del Pd al Senato, Luigi Zanda: "Non vedrei particolari ostacoli ad intervenire con un decreto legge". Una mossa, quella del decreto, che servirebbe tra l'altro a neutralizzare eventuali iniziative di protesta berlusconiane dal forte impatto mediatico. Come, si vocifera, un discorso nell'Aula di Montecitorio sul tema della giustizia e sulla "gogna" delle intercettazioni. Ma la controffensiva del Cavaliere è già partita. I suoi avvocati si sono rivolti al Garante della Privacy perché verifichi "la liceità" della diffusione sul Web del contenuto delle telefonate intercettate. Ma non basta. Perché il Garante ora vuole vederci chiaro e ha chiesto alla Procura di Napoli "se le registrazioni audio delle telefonate diffuse figurino tra il materiale depositato e messo a disposizione delle parti". In caso contrario potrebbero esserci conseguenze legali. Anche Bertinotti si dimostra sensibile al tema della diffusione incontrollata degli atti d'indagine. "Le intercettazioni rese pubbliche sono una violazione dei diritti del cittadini e delle persone, di chiunque essi siano", ha detto il presidente della Camera. Più critico il ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni, che entra nel merito del colloquio e attacca: "Viene fuori un quadro che conferma le maggiori preoccupazioni sul conflitto di interessi". Gli esponenti del centrodestra invece fanno quadrato intorno all'ex premier. "Queste intercettazioni sono uno squallore", dice il leader dell'Udc, Pierferdinando Casini, che se la prende anche col Tgi reo di averle in parte trasmesse. Sandro Bondi di Fi parla di "clima di barbarie" e Maurizio Gasparri (An) chiede l'intervento del Csm. Sul fronte Rai i vertici aziendali cercano di rimediare alla figuraccia subita. "Prima di Natale, partirà una contestazione disciplinare nei confronti di Saccà", fa sapere il direttore generale, Claudio Cappon. E il presidente della Tv pubblica, Claudio Petruccioli prende nettamente le distanze dal comportamento da Saccà: "Ho trovato l'etica, lo stile, l'atteggiamento della telefonata di Saccà incompatibili con lo svolgimento della sua funzione di direttore nel servizio pubblico".


Tra scandali e fughe (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Stampa, La" del 22-12-2007)

 

Questa rubrica si occupa di programmi, riusciti oppure no. Ma non può ignorare la nuova "bufera" Rai (quante ne ha subite, di 'ste bufere, negli anni?). E non può ignorarla perché sui programmi incide. Non tanto sulla loro realizzazione, quanto sulla già precaria fiducia nella tv di Stato. Il pubblico è molto più sensibile, e si arrabbia molto di più, per le cose che fa, o non fa, la Rai, rispetto a quelle che fa, o non fa, Mediaset. Perché si paga il canone, perché il pubblico (ancora) non è privato, perché la Rai era considerata una bandiera. Un po' come l'Alitala. Ma la cronaca ci insegna che dalle bandiere ci dobbiamo affrancare, e non è detto sia un bene. La telefonata tra Saccà e Berlusconi, così squadernata, mette in cattiva luce ogni attività provenga dalla Rai. E' questo il vero disastro. La conseguenza inevitabile della faccenda è che si diffida di tutti i programmi, di tutte le persone. E' che non si crede più, definitvamente, nella tv servizio pubblico. Ha ragione Minoli quando dice che basterebbe premiare la qualità, le risorse di cui l'azienda è piena. "Che cosa ha fatto il centrosinistra per il conflitto di interessi? E' un problema solo quando conviene. Tutto discende da lì: o si risolve quel nodo oppure possiamo continuare a baloccarci con le telefonate. Far finta di scandalizzarci. Solo chiacchiere". Gli smaliziati dunque "fanno finta" di scandalizzarci. E gli spettatori? Si scandalizzeranno davvero? Forse no, ormai sono troppo scafati. E non faranno neanche finta. Andranno direttamente su internet, o sui telefilm, gratis e a pagamento.


"decreto sulle intercettazioni" ma il governo frena mastella - alberto custodero (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Repubblica, La" del 22-12-2007)

 

"Decreto sulle intercettazioni" ma il governo frena Mastella Berlusconi: è la gogna. Un uovo lo centra al comizio Bertinotti: spiare vìola i diritti, però emerge un grave degrado del costume ALBERTO CUSTODERO ROMA - Per il ministro della Giustizia Clemente Mastella è "il momento giusto" per proporre un decreto legge ad hoc sulle intercettazioni telefoniche per "evitare una cannibalizzazione fra politica e magistratura". Il governo però frena, ed esclude "provvedimenti decisi d'impulso", anche se riconosce la "necessità di tutelare nel miglior modo possibile i diritti delle persone". "Un decreto al momento non è all'esame - precisa Palazzo Chigi - ma se ne può discutere". Il presidente della Camera Fausto Bertinotti si schiera contro "l'uso politico" delle intercettazioni che considera "tutte cattive". Ma ritiene quelli che emergono dalle telefonate "elementi indicativi del degrado del Paese". Silvio Berlusconi ieri è stato contestato e insultato da un gruppo dei centri sociali in un quartiere periferico di Roma dove era andato per una manifestazione. L'ex presidente del Consiglio è stato colpito da un uovo. Poco prima se l'era presa con chi "mette la gente alla gogna" e aveva annunciato un suo intervento in Parlamento a tutela della "libertà dei cittadini". Non si placano le polemiche politiche sulle intercettazioni telefoniche dei colloqui fra l'ex premier e l'ex direttore di Rai Fiction, Agostino Saccà, pubblicate da Repubblica.it e Espresso e mandate in onda dal Tg1 e dalla trasmissione di Michele Santoro, Annozero. Secondo Pier Ferdinando Casini, dell'Udc, le intercettazioni sono "uno squallore", il loro uso, per Maurizio Gasparri, deputato di An, "una barbarie". Mastella ha cercato di riportare il dibattito su "un terreno di neutralità" proponendo di trasformare il disegno di legge, fermo in Senato, in un decreto del governo. "Berlusconi - ha dichiarato il guardasigilli - non può gioire quando i suoi giornali hanno pubblicato le mie intercettazioni nell'indagine del pm di Catanzaro Luigi De Magistris e quelle del ministro degli Esteri Massimo D'Alema e dell'ex segretario Ds Piero Fassino nell'inchiesta Unipol. E poi arrabbiarsi quando tocca a lui: questo è sbagliato. Ma va alzato un muro non a protezione della "casta" parlamentare, ma a difesa dei diritti costituzionali che tutelano la privacy di tutti i cittadini, non solo dei politici". Il tutto, secondo il titolare della Giustizia, salvaguardando il diritto all'informazione e l'autonomia delle indagini della magistratura. Berlusconi, al quale "non importa nulla del contenuto delle sue telefonate con Saccà" (anzi, ne va "fiero: ho solo dato una mano a qualcuno che cercava un lavoro"), si lamenta di essere stato messo alla gogna: "su di me è stato gettato fango". E denuncia un clima da Grande Fratello: "gli italiani - dice - non si sentono più sicuri quando fanno una telefonata". L'ex premier non ha voluto fornire altri dettagli sull'intervento che pronuncerà in Parlamento sul problema della pubblicazione delle telefonate intercettate durante le indagini giudiziarie, ma fonti parlamentari di Fi sottolineano come per il Cavaliere la riforma della legge sulle intercettazioni sia una "faccenda bipartisan". All'ex presidente del Consiglio replica il leader dell'Idv Antonio Di Pietro, secondo il quale "la cosa grave è proprio il contenuto delle intercettazioni, che dimostra come l'informazione pubblica sia malata e di come la Rai risponda a interessi personali". Sulla stessa linea di Di Pietro anche il ministro dell'Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio. "Questa vicenda - ha dichiarato - rende sempre più urgente una riforma seria della televisione e una legge sul conflitto di interessi".


Abuso quotidiano (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Corriere della Sera" del 22-12-2007)

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Opinioni - data: 2007-12-22 num: - pag: 42 autore: di VITTORIO GREVI categoria: REDAZIONALE LE INTERCETTAZIONI E LA LEGGE Abuso quotidiano SEGUE DALLA PRIMA Da un lato, sul piano sostanziale, si tratta di conversazioni che davvero sembrano riconducibili a condotte di corruzione, o di istigazione alla corruzione, quali risultano addebitate dalla procura di Napoli allo stesso Berlusconi. Dall'altro, sul piano formale, si tratta di conversazioni pubblicate in violazione di un preciso divieto della legge penale (violazione che si configura anche come illecito disciplinare, e come tale dovrebbe essere segnalato dal pm agli organi competenti). Cominciando da questo secondo profilo, l'episodio più grave è emerso da un articolo apparso su Repubblica a metà della scorsa settimana, nel quale si anticipavano - quando ancora erano coperte dal segreto investigativo - notizie e indiscrezioni relative alle intercettazioni poste alla base delle suddette indagini. Qui, in realtà, è assai probabile che, alle spalle di questa pubblicazione arbitraria, vi sia stata una rivelazione di segreto d'ufficio, forse proveniente dagli stessi ambienti giudiziari, sicché appare più che doverosa l'inchiesta aperta, per tale delitto, dalla magistratura partenopea. Il discorso è diverso, invece, per le conversazioni pubblicate negli ultimi giorni, e divulgate anche in versione audio, trattandosi in questa ipotesi dei risultati di intercettazioni già depositati a disposizione dei difensori (con l'avviso di conclusione delle indagini), e sui quali, quindi, è venuto meno il segreto investigativo. Anche in eventualità del genere permane, infatti, il divieto di pubblicazione (dei soli "atti", tuttavia, non anche del loro "contenuto"), la cui violazione è sanzionata come illecito contravvenzionale; ma è chiaro che, in questi casi, il livello di gravità del reato è assai inferiore, non essendovi stata violazione del segreto. Nei medesimi casi può risultare più grave, per contro, il danno d'immagine che ne deriva alle persone coinvolte, in seguito all'innegabile interferenza nella loro sfera di riservatezza; senonché questo pregiudizio è destinato a passare in secondo piano, quando si tratti di notizie (nonché di intercettazioni) aventi rilevanza per il processo penale. Quando, invece, una simile rilevanza non sussista, dovrebbe assolutamente escludersi che tali intercettazioni possano venire pubblicate, e prima ancora che le relative registrazioni vengano poste nella piena disponibilità delle parti. Così sarà, se verranno approvate le norme previste sul punto, dal progetto Mastella. Tuttavia lo stesso potrebbe verificarsi anche oggi (mentre così non è avvenuto a Napoli, almeno per alcuni colloqui di Berlusconi, certo imbarazzanti, ma estranei al tema delle indagini), se la magistratura seguisse sempre la specifica procedura, che prescrive lo svolgimento di un'apposita udienza proprio per lo stralcio delle intercettazioni irrilevanti, prima della loro acquisizione al processo. Quanto al merito delle intercettazioni, a parte gli evidenti riflessi riferibili al tema del conflitto di interessi, sembra chiaro che da alcune di esse (soprattutto da quelle tra Saccà e Berlusconi) emergano elementi idonei a giustificare una richiesta di rinvio a giudizio per il delitto di corruzione, essendo piuttosto evidente il perfezionarsi tra i due interlocutori di un patto corruttivo. C'è da dire, tuttavia, che nei confronti di Berlusconi, in quanto deputato, una richiesta del genere (comportando l'"utilizzazione" delle suddette intercettazioni occasionali) potrà effettuarsi soltanto dopo che l'autorità giudiziaria di Napoli avrà ottenuto la prescritta autorizzazione dalla Camera.


Tutti quelli che... e la fiction Rai (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Corriere della Sera" del 22-12-2007)

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Spettacoli TV - data: 2007-12-22 num: - pag: 61 categoria: REDAZIONALE A fil di rete di Aldo Grasso Tutti quelli che... e la fiction Rai A gostino Saccà, the day after. Quelli che Saccà io l'avevo sempre detto, ma non lo hanno mai detto, né scritto. Quelli che fino a ieri Saccà era un dio e adesso è solo qualcosa di ingombrante da dimenticare. Quelli che per anni hanno scritto libri dicendo ogni bene della fiction prodotta da Saccà. Quelli che, a onor del vero, hanno sempre difeso Saccà e continueranno a difenderlo. Quelli che in Rai si fa così e così fan tutti. Quelli che, molto di sinistra e molto impegnati contro la tv, tessono l'elogio di Saccà ai convegni sulla fiction. Quelli che nei loro talk non mostreranno mai il plastico del settimo piano di Viale Mazzini perché si è persa la dignità. Quelli che non metteranno mai in scena la telefonata fra Berlusconi e Saccà perché sono più interessanti quelle di Moggi. Quelli che il "Barbarossa", inteso come fiction, è già un capolavoro, a prescindere. Quelli che il conflitto d'interessi. Quelli che c'erano e non hanno visto nulla. Quella che non c'erano, perché sempre fuori ufficio. Quelli che non sparano su Saccà solo perché è già un uomo morto. Quelli che trovano scandaloso e allucinante l'utilizzo illegale di un'intercettazione riservata. Quelli che trovano scandaloso e allucinate quello che si sente nelle intercettazioni. Quelli che ieri Agostino e oggi Saccà. Quelli che pensano che fare la spia alla concorrenza sia solo un tassello di un grande complotto per frenare il dialogo fra Veltroni e Berlusconi. Quelli che una volta erano amiconi di Saccà e adesso fanno sentire in trasmissione la telefonata con Berlusconi, con qualche bip di pudore. Quelli che faccio il regista e non il politico. Quelli che non faccio più il giornalista ma il politico. Quelli che gridano al regime perché Berlusconi è stato intercettato. Quelli che gridano al regime perché Berlusconi traffica con la Rai. Quelli che... Vincitori e vinti Tom Welling Il giovane Superman batte la veggente detective. Nella guerra fra serie televisive ha la meglio "Smallville", con protagonista Tom Welling, seguito da 2.012.000 spettatori, 8% share. Patricia Arquette La veggente battuta dal giovane Superman. Non decolla invece un'altra serie televisiva, "Medium", con protagonista Patricia Arquette, seguito su Raitre da 1.475.000, 6% share.


I cineasti sardi beffati da Soru (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Manifesto, Il" del 22-12-2007)

 

I "decreti di attuazione" della legge del cinema regionale e la nuova finanziaria stanno annullando le speranze di rilanciare il cinema nell'isola, restituendo il potere ai privati e ai potentati. I registi insorgono Davide Zanza Cagliari Con recente delibera regionale sono state pubblicate, dopo oltre un anno di attesa, le direttive di attuazione della legge sul cinema. I registi sardi, però, uniti più che mai, le hanno criticate: "i criteri approvati disattendono ogni aspettativa e falsano lo spirito della legge, fino a rendere la stessa impraticabile e inefficace rispetto alle finalità per cui è stata emanata: fare cinema in Sardegna". I problemi sono molti e non si rivolgono solo alle norme di attuazione, ma a un percorso legislativo travagliato, iniziato con la bocciatura (dicembre 2005) del primo testo in consiglio regionale e con la successiva approvazione l'anno dopo. Tra queste due date il dibattito si è fatto sempre più aspro, soprattutto sul ruolo che la Film Commission avrebbe dovuto avere all'interno della legge. In origine un organismo avente, paradossalmente, scopo di lucro, affidato quindi ai privati (cinematografici) che fino a quel momento avevano spadroneggiato in Sardegna. Ma la mattina del 11 settembre 2006, pochi minuti prima dell'approvazione, a impedirlo, un emendamento lungimirante sembrò chiudere il discorso: "la Film Commission è gestita da un organismo associativo senza fini di lucro cui partecipano la Regione, come socio di maggioranza, gli enti locali e altri soggetti pubblici e privati senza fini di lucro". Ma nell'attuale legge finanziaria regionale, in fase di discussione, l'art. 4, comma 13, lettera a, indirizza il discorso su un piano strategico ben preciso: affidare la Film Commission in mano ai suddetti privati: "nel comma 2 dell'articolo 2 sono soppresse le parole associativo senza fini di lucro, e come socio di maggioranza". Nel silenzio generale è stato introdotto un dispositivo che se passasse creerebbe in Italia la prima Film Commission con fini di lucro anziché essere l'emanazione di una struttura che dovrebbe portare all'esterno e attrarre all'interno, produzioni cinematografiche e audiovisive, aiutando a diffondere l'immagine dell'isola nel resto del mondo. Ma ritorniamo a un altra anomalia passata inosservata. Appena due mesi dopo l'approvazione della legge (inattiva fino alla pubblicazione dei decreti di attuazione) la Regione, sulla base di un bando pubblicato nei primi di settembre ha appaltato alcuni servizi di competenza della Film Commission. L'appalto è stato vinto dalla società ArteVideo scrl di Marco Benoni per un importo di 87.500 euro per un anno, rinnovabili. L'importo era inizialmente di 108 mila euro. Il dato rilevante è che si sono appaltati servizi a un un privato che, con palese conflitto d'interessi, lavora proprio nel settore cinema/audiovisivo come casa di produzione. Perché? Ritorniamo così all'appello dei registi sardi che non entra solo nel merito delle direttive di attuazione ma fa riferimento anche alle ultime modifiche apportate alla legge regionale nella scorsa finanziaria e che ne ha profondamente intaccato l'impianto originario. Infatti nel testo approvato nel settembre 2006, all'art. 26 comma 2 sulla "Norma finanziaria" è scritto: "le risorse a favore della presente legge sono destinate prioritariamente, per una quota non inferiore al 70% agli interventi ai capi II e III", cioè alla produzione. Nella modifica del marzo scorso viene cancellata la parola inferiore e sostituita con non superiore. Mentre prima veniva garantita una soglia privilegiata alla produzione (motore del sistema), ora chiunque può decidere che in un X anno alla produzione vada, mettiamo, il 10% delle risorse. Gli autori chiedono che la finanziaria ripristini la precedente formulazione e di eliminare il farraginoso fondo di rotazione (meglio costruire un Film Fund) destinare le somme alla coproduzione di opere d'interesse regionale. Le direttive d'attuazione si riferiscono a: contributi dati alle sceneggiature, alla produzione di corti di interesse regionale, ai lunghi; alla distribuzione per la diffusione e il lancio delle opere prodotte; al sostegno di rassegne circuiti, festival, premi, seminari e convegni; contributi all'università e gli istituti pubblici e privati per l'incremento e l'innovazione della didattica del cinema; borse di studio per l'alta formazione; studi e ricerche per progetti di sperimentazione sui nuovi linguaggi audiovisivi. Secondo gli autori i decreti attuano, rigidamente, meccanismi poco innovativi o inadatti alla Sardegna. Si chiede di eliminare lo spoil system (fallito anche nazionalemente); e il requisito anagrafico per almeno un potenziale beneficiario del fondo di sviluppo sceneggiature riservato (nel testo della legge) agli esordienti (e che le direttive di attuazione vogliono dai 16 ai 29 anni invece che interpretare quel passaggio della legge come riferito all'opera prima e non all'età). Chiedono di temperare i vincoli relativi alla costituzione delle società di produzione. E cancellare la richiesta, per l'ammissibilità ai contributi, di aver realizzato almeno 1 lungo (anche se si tratta di finanziare corti, ammazzando sul nascere identità produttive nuove) distribuito nazionalmente. Si chiede inoltre di notificare urgentemente all'Ue la legge, così da ottenerne ratifica e operatività.


TALVOLTA il titolo di un libro non rende merito al suo contenuto. È sicuramente il caso di (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Messaggero, Il" del 22-12-2007)

 

Di FULVIO CAMMARANO TALVOLTA il titolo di un libro non rende merito al suo contenuto. È sicuramente il caso di Quando Mussolini rischiò di morire. La malattia del duce tra biografia e politica 1924-1926 scritto da Paolo Cacace per Fazi editore. Grazie anche a documenti inediti provenienti dall'Archivio di Luigi Federzoni, l'autore confeziona con stile vivace un bel saggio di storia a tutto tondo in cui le crisi provocate dall'ulcera duodenale di Mussolini sembrano quasi una metafora di altre più gravi crisi che attraversano il corpo politico e sociale del paese in quel triennio. Probabilmente gli attacchi di ulcera, iniziati nel febbraio del 1925, che sembrano mettere in pericolo la carriera se non la vita del duce mostrano il lato fisico dell'impasse politica provocata dal delitto Matteotti. Non c'è però dubbio che esiste una connessione tra la crisi del Paese e quella di Mussolini. Il termine "crisi", non a caso, ha origine nel vocabolario medico per indicare il punto di svolta di una malattia, il bivio tra morte e guarigione, e solo successivamente verrà importato, inflazionandolo, nell'ambito politico-sociale. Per tale ragione impressiona constatare come questi anni, decisivi per le sorti del Paese, siano stati caratterizzati da una serie di crisi: quella fisica relativa all'incolumità di Mussolini (attentati compresi) e quella politica del sistema parlamentare. Sappiamo che l'evoluzione in senso positivo della prima è stata accompagnata da una prognosi infausta per la seconda. Cacace delinea efficacemente, grazie anche ad un attento utilizzo di fonti d'archivio e bibliografiche, la tensione di una fase in cui l'impresa mussoliniana non si è ancora consolidata e rischia di andare in frantumi. In questo senso alcuni documenti e in particolare la corrispondenza tra Margherita Sarfatti, amante del duce in quei primi anni di governo, e il ministro degli Interni Luigi Federzoni, mostrano i dubbi, le ansie e la fragilità del nuovo sistema che, come tutti i sistemi, si fonda anche sulle umane debolezze. Le trame del conflitto di potere che si sviluppano, "tra malori e congiure" in particolare nel "duello" tra Farinacci e Federzoni rendono appieno il senso di quello che diventerà il refrain del regime, cioè il conflitto tra apparati dello stato e fascismo, tra nazionalisti e squadristi, tra lealisti monarchici e mussoliniani, tra fascismo moderato e "rassismo": un conflitto che Mussolini talvolta alimenterà e che comunque riuscirà abilmente a governare in funzione della stabilizzazione del sistema. Una ricostruzione dunque ricca e puntuale che attraverso l'intreccio di vicende biografiche mostra i passaggi decisivi del consolidamento, anche ideologico e culturale, del fascismo di Mussolini.


ROMA Indignato e offeso dopo le intercettazioni delle sue conversazioni con il direttore di (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Messaggero, Il" del 22-12-2007)

 

Di CLAUDIA TERRACINA ROMA Indignato e offeso dopo le intercettazioni delle sue conversazioni con il direttore di Rai fiction, Agostino Saccà, nelle quali raccomandava due attrici e si interessava di uno sceneggiato sul Barbarossa, Silvio Berlusconi sale al Quirinale, accompagnato da Gianni Letta e resta a colloquio con Napolitano per più di un'ora. Oggetto, il dialogo, "mai così necessario, per fare fronte comune contro la criminale invasione della privacy". Su questi argomenti, sui quali il leader forzista è convinto che "si debba avere un atteggiamento bipartisan perchè tutti sono stati intercettati, anche esponenti della maggioranza, e le loro conversazioni sono state sbattute sui media", si è concentrato il colloquio con il Capo dello Stato, che da sempre predica "un clima costruttivo tra i poli". A Napolitano il Cavaliere ha ripetuto quanto anticipato ai senatori forzisti, durante la cena di giovedì scorso. E cioè che, "dopo l'ennesima fuga di notizie", è intenzionato a sollevare la questione dell'uso delle intercettazioni in Parlamento con un discorso che pronuncerà lui stesso nell'aula di Montecitorio "perchè questa vicenda è fondamentale per garantire la libertà a tutti i cittadini, che non si sentono più sicuri quando fanno una telefonata perchè c'è un clima da grande fratello". Da palazzo Chigi, e quindi da Prodi, filtra la "contrarietà a provvedimenti d'impulso, anche se il tema c'è e si può discutere di provvedimenti che garantiscano i diritti delle persone, salvaguardando la libertà d'informazione e il rispetto del corso delle indagini della magistratura, temi che, data la loro sensibilità- si sottolinea- sono da valutare con estrema attenzione". Anche il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, denuncia "la violazione dei diritti del cittadino e delle persone", sottolineando però "un degrado del costume del Paese" che emerge da quella telefonata. "Non credo che si debbano fare processi sommari, ma occorre fare chiarezza perchè viene fuori un quadro che conferma le peggiori preoccupazioni sul conflitto di interessi e affiora un quadro collusivo tra dirigenti Rai e politici che hanno un rapporto con la tv commerciale", dice il ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni. E il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini, definisce "uno squallore" la vicenda delle intercettazioni tra Berlusconi e Saccà, ma precisa che "è un grande squallore anche che il principale telegiornale italiano del servizio pubblico, il Tg1, le abbia riportate integralmente, con nessun riguardo alle persone e alla loro privacy". Reazioni che non tranquillizzano Berlusconi, che, in serata, torna con veemenza sul ruolo di alcune procure nella fuga di notizie. "Vedo una volontà di gogna e di gettare fango su chi parla al telefono- denuncia- e credo che chi ha avuto la disgrazia di finire in un'aula di giustizia per dire di no ai teoremi dei Pm deve essere un eroe".


No ai processi sommari, ma si confermano le peggiori preoccupazioni sul conflitto di interessi (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Messaggero, Il" del 22-12-2007)

 

"No ai processi sommari, ma si confermano le peggiori preoccupazioni sul conflitto di interessi, con collusioni tra dirigenti e politici che hanno un rapporto con l e televisioni commerciali".


Ma Bertinotti condanna solo a metà (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Giornale.it, Il" del 22-12-2007)

 

Di Marianna Bartoccelli - sabato 22 dicembre 2007, 07:00 da Roma Ancora la pubblicazione delle intercettazioni sul banco degli imputati e ancora una volta il ministro Mastella torna a parlare della necessità di una legge. Ma stavolta la situazione è aggravata dall'aver messo on line la registrazione per intero di una telefonata privata tra l'ex premier Silvio Berlusconi e il responsabile Rai delle fiction Agostino Saccà. "Uno squallore" per dirla con Pier Ferdinando Casini che mette sotto accusa anche il Tg1 per averle riportate integralmente. "Un conto - sottolinea il leader dell'Udc - è il contenuto delle intercettazioni, un conto è la loro divulgazione in diretta senza tener conto che la privacy è un diritto costituzionale". Più o meno allo stesso modo la pensa il presidente della Camera, Fausto Bertinotti per il quale le intercettazioni rese pubbliche "sono una violazione dei diritti individuali di tutti i cittadini e delle persone. Dobbiamo uscire da questa condizione, non ci sono intercettazioni buone o cattive. Sono tutte cattive" ribadisce il presidente della Camera che comunque individua nella vicenda emersa dalle intercettazioni "elementi di degrado del costume" e segnali di un "degrado del sistema". E invoca una riforma del servizio pubblico "non più rinviabile". Il ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni alza il tiro e più che di riforma torna a parlare "di conflitto di interessi", visto che dalle intercettazioni "affiora un quadro collusivo tra dirigenti e personalità politiche che hanno un rapporto con la televisione commerciale, un quadro molto negativo su cui bisogna fare chiarezza". E se c'è chi come Lorenzo Del Boca, presidente dell'Ordine nazionale dei giornalisti difende il diritto a pubblicare le intercettazioni, c'è chi invece, come Sandro Bondi (Fi) considera la pubblicazione delle intercettazioni "una barbarie". Molto criticata è stata anche la trasmissione della telefonata da parte di Raiuno. In particolare il presidente della commissione di vigilanza Mario Landolfi chiede al direttore generale Rai Claudio Cappon di intervenire su quella che più che essere "libera informazione" appare "una gogna mediatica". Da parte sua il direttore Rai annuncia che "in questi giorni, prima di Natale, partirà una contestazione disciplinare nei confronti di Saccà", mentre il Garante della Privacy apre un'inchiesta chiedendo elementi di valutazione alla Procura di Napoli. Anche Claudio Petruccioli condanna senza appello Saccà e conferma che verranno prese misure a carico del funzionario. Il presidente della Rai lancia anche l'allarme sul futuro del servizio pubblico: "Il problema è la disarticolazione progressiva che viene da elementi del sistema delle comunicazioni".


Bertinotti condanna a metà (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Giornale.it, Il" del 22-12-2007)

 

Ma Bertinotti condanna solo a metà di Marianna Bartoccelli - sabato 22 dicembre 2007, 07:00 da Roma Ancora la pubblicazione delle intercettazioni sul banco degli imputati e ancora una volta il ministro Mastella torna a parlare della necessità di una legge. Ma stavolta la situazione è aggravata dall'aver messo on line la registrazione per intero di una telefonata privata tra l'ex premier Silvio Berlusconi e il responsabile Rai delle fiction Agostino Saccà. "Uno squallore" per dirla con Pier Ferdinando Casini che mette sotto accusa anche il Tg1 per averle riportate integralmente. "Un conto - sottolinea il leader dell'Udc - è il contenuto delle intercettazioni, un conto è la loro divulgazione in diretta senza tener conto che la privacy è un diritto costituzionale". Più o meno allo stesso modo la pensa il presidente della Camera, Fausto Bertinotti per il quale le intercettazioni rese pubbliche "sono una violazione dei diritti individuali di tutti i cittadini e delle persone. Dobbiamo uscire da questa condizione, non ci sono intercettazioni buone o cattive. Sono tutte cattive" ribadisce il presidente della Camera che comunque individua nella vicenda emersa dalle intercettazioni "elementi di degrado del costume" e segnali di un "degrado del sistema". E invoca una riforma del servizio pubblico "non più rinviabile". Il ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni alza il tiro e più che di riforma torna a parlare "di conflitto di interessi", visto che dalle intercettazioni "affiora un quadro collusivo tra dirigenti e personalità politiche che hanno un rapporto con la televisione commerciale, un quadro molto negativo su cui bisogna fare chiarezza". E se c'è chi come Lorenzo Del Boca, presidente dell'Ordine nazionale dei giornalisti difende il diritto a pubblicare le intercettazioni, c'è chi invece, come Sandro Bondi (Fi) considera la pubblicazione delle intercettazioni "una barbarie". Molto criticata è stata anche la trasmissione della telefonata da parte di Raiuno. In particolare il presidente della commissione di vigilanza Mario Landolfi chiede al direttore generale Rai Claudio Cappon di intervenire su quella che più che essere "libera informazione" appare "una gogna mediatica". Da parte sua il direttore Rai annuncia che "in questi giorni, prima di Natale, partirà una contestazione disciplinare nei confronti di Saccà", mentre il Garante della Privacy apre un'inchiesta chiedendo elementi di valutazione alla Procura di Napoli. Anche Claudio Petruccioli condanna senza appello Saccà e conferma che verranno prese misure a carico del funzionario. Il presidente della Rai lancia anche l'allarme sul futuro del servizio pubblico: "Il problema è la disarticolazione progressiva che viene da elementi del sistema delle comunicazioni".


La scelta del Tg1 di mandare giovedì sera l'audio della (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Tempo, Il" del 22-12-2007)

 

La scelta del Tg1 di mandare giovedì sera l'audio della telefonata tra Silvio Berlusconi e Agostino Saccà ha scatenato una durissima polemica da parte degli esponenti del centrodestra. Il presidente della commissione di vigilanza Rai Mario Landolfi ha spedito una lettera al direttore generale di viale Mazzini Claudio Cappon nella quale scrive che "la decisione di diffondere in sonoro non la mera notizia, ma il contenuto testuale di una conversazione privata lede palesemente l'articolo 15 della Costituzione, in base al quale "la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili"". Home Politica prec succ Contenuti correlati Umberto Pizzi e 'La Bocca', l'inaugurazione della mostra Visti da Pizzi: Palazzo Wedekind, incontro tra Fini e Veltroni per le riforme La sorella di Britney Spears incinta a 16 anni Sexy, lesbiche, aggressive ad ogni costo Via libera al Senato decisivo il voto dei senatori a vita Giuliani influenzato, perde nei sondaggi Pier Ferdinando Casini parla invece di "squallore, grande squallore". "Questo è quel che penso rivedendo le immagini del Tg1 che riporta integralmente senza alcun riguardo alla privacy una privata conversazione". A Landolfi hanno risposto Roberto Cuillo e Beppe Giulietti del Pd. "Perché il TG1 avrebbe dovuto nascondere le telefonate tra Berlusconi e Saccà? La verità è che la destra risulta garantista a corrente alternata e a seconda delle convenienze del momento. La questione dell'uso delle intercettazioni telefoniche e quella dell'autonomia della Rai e del conflitto d'interessi sono questioni diverse e vanno affrontate in modo separato". 22/12/2007.


Di ELENA G. POLIDORI - ROMA - L'ENNESIMA fuga di notizie lo (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Resto del Carlino, Il (Nazionale)" del 22-12-2007)
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(Nazione, La (Nazionale)) (Giorno, Il (Nazionale))

 

Di ELENA G. POLIDORI ? ROMA ? L'ENNESIMA fuga di notizie lo ha mandato su tutte le furie. Tant'è che ieri mattina, nel corso di un colloquio con il presidente Napolitano, durato quasi un'ora e mezza, Berlusconi si è più volte lamentato del clima creato dalle continue "fughe di notizie che non vengono mai accertate e denunciate", al punto da creare una situazione do intimidazione collettiva che "riguarda tutti i cittadini, che ormai non si sentono più liberi di fare una telefonata". E, d'altra parte, il Cavaliere più tardi lo ha ripetuto pubblicamente: "E' gravissimo che una conversazione fra due privati venga messa sui giornali con la volontà di gogna e con lo scopo di gettare fango su chi parla al telefono, violando il suo diritto alla privacy". NAPOLITANO ha suggerito a Berlusconi di proseguire nel solco del dialogo con la maggioranza, perchè le riforme non si fanno da una parte sola, ma questa storia delle telefonate è un pungolo da cui il Cavaliere vuole liberarsi al più presto: del "clima da grande fratello" lui non ne può più, ma a sinistra stanno un po' nelle stesse condizioni. E non è detto che, poi, alla fine, dal comune disagio ? o dal comune timore ? ne esca un accordo bipartisan per superare l'emergenza. "DEVONO capire ? ha detto il Cavaliere ai suoi più stretti collaboratori, citando i casi dei pm Luigi De Magistris e Clementina Forleo ? che è un'emergenza che riguarda tutti, anche loro". Ecco perchè "durante le vacanze lavorerò ad un discorso da pronunciare in aula (di Montecitorio, ndr) sul tema della giustizia, perchè è troppo importante per la libertà dei cittadini". E per i politici, soprattutto. Il Palazzo, insomma, intende difendersi da chi ne mina la credibilità diffondendo conversazioni private. Su sollecitazione di Berlusconi, ieri si è mosso anche il garante per la Privacy che ha chiesto alla Procura di Napoli ulteriori informazioni per "verificare se le registrazioni diffuse figurino tra il materiale depositato e messo a disposizione delle parti". Ci vorrà tempo per saperlo, ma intanto la politica vuole mettere al più presto un tappo ad un vaso di Pandora ogni volta più devastante. Al punto di far scalpitare Mastella: "In materia di intercettazioni si può fare anche un decreto legge", ha detto ieri durante l'ennesimo intervento per sollecitare la rapida approvazione del provvedimento che punta a regolamentare l'uso delle stesse intercettazioni "purchè si rispetti l'attività investigativa dei magistrati e la privacy dei cittadini, di tutti i cittadini, non solo dei parlamentari". Palazzo Chigi, però, non è affatto d'accordo: i provvedimenti d'impulso non hanno mai portato a nulla di buono. "Il tema c'è ? dicono in Presidenza del Consiglio ? ma un decreto al momento non è all'esame; però si può discutere di provvedimenti che garantiscano i diritti delle persone, salvaguardando la libertà di informazione". C'è emergenza ed emergenza, in fondo. MA PER CASINI così non si può certo andare avanti. "Quelle intercettazioni sono uno squallore ? ha commentato il leader Udc ? e debbo dire che è un grande squallore che il principale telegiornale della Rai le debba riportare integralmente". In verità il Tg1 ha riportato solo le frasi di Saccà, non quelle di Berlusconi. Da Santoro, invece, è andata in onda la versione integrale, fatto che non è piaciuto al direttore generale Rai. Resta il dato che quella che il presidente della Vigilanza Rai, Mario Landolfi, ha chiamato "gogna mediatica" rischia di avvelenare ancora di più il già rovente clima politico. Ne è convinto anche il presidente della Camera, Fausto Bertinotti. "L'uso politico delle intercettazioni va bandito ? ha detto ? perchè le intercettazioni rese pubbliche sono una violazione dei diritti individuali di tutti i cittadini e delle persone; dobbiamo uscire da questa condizione, non c'è intercettazione buona o cattiva, sono tutte cattive". Secondo Bertinotti, nella vicenda Saccà-Berlusconi emergono "elementi di degrado del costume e il riemergere di fenomeni di trasformismo che sono stati tanta parte della storia italiana". "Non credo che si debbano fare processi sommari ? è invece il parere del ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni ? ma viene fuori un quadro che conferma le maggiori preoccupazioni sul conflitto d'interessi, un quadro molto negativo su cui occorre fare chiarezza". - -->.


L'ira di Berlusconi: C'è voglia Intercettazioni, dubbi di Palazzo Chigi. Il garante chiede (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Resto del Carlino, Il (Nazionale)" del 22-12-2007)
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L'ira di Berlusconi: "C'è voglia Intercettazioni, dubbi di Palazzo Chigi. Il garante chiede di ELENA G. POLIDORI ? ROMA ? L'ENNESIMA fuga di notizie lo ha mandato su tutte le furie. Tant'è che ieri mattina, nel corso di un colloquio con il presidente Napolitano, durato quasi un'ora e mezza, Berlusconi si è più volte lamentato del clima creato dalle continue "fughe di notizie che non vengono mai accertate e denunciate", al punto da creare una situazione do intimidazione collettiva che "riguarda tutti i cittadini, che ormai non si sentono più liberi di fare una telefonata". E, d'altra parte, il Cavaliere più tardi lo ha ripetuto pubblicamente: "E' gravissimo che una conversazione fra due privati venga messa sui giornali con la volontà di gogna e con lo scopo di gettare fango su chi parla al telefono, violando il suo diritto alla privacy". NAPOLITANO ha suggerito a Berlusconi di proseguire nel solco del dialogo con la maggioranza, perchè le riforme non si fanno da una parte sola, ma questa storia delle telefonate è un pungolo da cui il Cavaliere vuole liberarsi al più presto: del "clima da grande fratello" lui non ne può più, ma a sinistra stanno un po' nelle stesse condizioni. E non è detto che, poi, alla fine, dal comune disagio ? o dal comune timore ? ne esca un accordo bipartisan per superare l'emergenza. "DEVONO capire ? ha detto il Cavaliere ai suoi più stretti collaboratori, citando i casi dei pm Luigi De Magistris e Clementina Forleo ? che è un'emergenza che riguarda tutti, anche loro". Ecco perchè "durante le vacanze lavorerò ad un discorso da pronunciare in aula (di Montecitorio, ndr) sul tema della giustizia, perchè è troppo importante per la libertà dei cittadini". E per i politici, soprattutto. Il Palazzo, insomma, intende difendersi da chi ne mina la credibilità diffondendo conversazioni private. Su sollecitazione di Berlusconi, ieri si è mosso anche il garante per la Privacy che ha chiesto alla Procura di Napoli ulteriori informazioni per "verificare se le registrazioni diffuse figurino tra il materiale depositato e messo a disposizione delle parti". Ci vorrà tempo per saperlo, ma intanto la politica vuole mettere al più presto un tappo ad un vaso di Pandora ogni volta più devastante. Al punto di far scalpitare Mastella: "In materia di intercettazioni si può fare anche un decreto legge", ha detto ieri durante l'ennesimo intervento per sollecitare la rapida approvazione del provvedimento che punta a regolamentare l'uso delle stesse intercettazioni "purchè si rispetti l'attività investigativa dei magistrati e la privacy dei cittadini, di tutti i cittadini, non solo dei parlamentari". Palazzo Chigi, però, non è affatto d'accordo: i provvedimenti d'impulso non hanno mai portato a nulla di buono. "Il tema c'è ? dicono in Presidenza del Consiglio ? ma un decreto al momento non è all'esame; però si può discutere di provvedimenti che garantiscano i diritti delle persone, salvaguardando la libertà di informazione". C'è emergenza ed emergenza, in fondo. MA PER CASINI così non si può certo andare avanti. "Quelle intercettazioni sono uno squallore ? ha commentato il leader Udc ? e debbo dire che è un grande squallore che il principale telegiornale della Rai le debba riportare integralmente". In verità il Tg1 ha riportato solo le frasi di Saccà, non quelle di Berlusconi. Da Santoro, invece, è andata in onda la versione integrale, fatto che non è piaciuto al direttore generale Rai. Resta il dato che quella che il presidente della Vigilanza Rai, Mario Landolfi, ha chiamato "gogna mediatica" rischia di avvelenare ancora di più il già rovente clima politico. Ne è convinto anche il presidente della Camera, Fausto Bertinotti. "L'uso politico delle intercettazioni va bandito ? ha detto ? perchè le intercettazioni rese pubbliche sono una violazione dei diritti individuali di tutti i cittadini e delle persone; dobbiamo uscire da questa condizione, non c'è intercettazione buona o cattiva, sono tutte cattive". Secondo Bertinotti, nella vicenda Saccà-Berlusconi emergono "elementi di degrado del costume e il riemergere di fenomeni di trasformismo che sono stati tanta parte della storia italiana". "Non credo che si debbano fare processi sommari ? è invece il parere del ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni ? ma viene fuori un quadro che conferma le maggiori preoccupazioni sul conflitto d'interessi, un quadro molto negativo su cui occorre fare chiarezza". - -->.


Questo no, quello no... E non rimase nessuno (sezione: Conflitto di interessi)

( da "EUROPA.it" del 22-12-2007)

 

Partito democratico/2: non sarà che certe regole vengono scritte con un po' troppa ideologia? Questo no, quello no... E non rimase nessuno DONATA LENZI Partito nuovo, si discutono le regole per definire il profilo del candidato ideale. Quando ne sento parlare mi viene in mente il più famoso romanzo di Agatha Christie, Dieci piccoli indiani, che è intitolato anche ...e poi non rimase nessuno. Provo a elencare. No ai funzionari di partito, anzi a tutti quelli che fanno della politica un mestiere. Questo nel passato avrebbe escluso anche Berlinguer, ma si sa che non ci sono più i leader di una volta. No agli imprenditori per il noto problema del conflitto di interessi (che ancora non riusciamo a regolamentare). C'è tanta gente che lavora e ha famiglia, fa una vita normale e può avvicinarsi alla politica. Per incoraggiarli, nell'ultima finanziaria, abbiamo provveduto a tagliare indiscriminatamente i gettoni di presenza (di ben 16 euro lordi a seduta nei comuni più piccoli del mio collegio) e ridotto le possibilità di mettersi in aspettativa. Con un datore di lavoro privato fare politica a livello comunale diventa arduo, aggiungiamo gli orari notturni, i tempi della politica e una compagna poco paziente e diventa impossibile; se si è donna e si ha un marito? occorre un miracolo. Meglio un ragazzo giovane allora, il tempo e l'entusiasmo non gli mancano: peccato che si allontanerà nel momento in cui dovrà cercarsi un lavoro (perché "politico di professione no", vedi regola numero 1). Rivolgiamoci allora al vasto mondo delle professioni. Non è proprio una novità, in parlamento avvocati e medici sono in testa alle graduatorie delle categorie più rappresentate. Anche nei consigli comunali sono ben piazzati. Nessuno si chiede mai perché: perché i clienti ti aiutano a essere eletto e, dopo, raddoppiano di numero. Si entra nel giro, le pratiche del professionista politico vanno più in fretta, a fine mandato ci sono le nomine nei cda o come revisore. Insomma la politica può essere un buon investimento. Per molto tempo i professionisti dei media sono stati molto attenti a non farsi coinvolgere in nome dell'imparzialità; adesso, nell'era della politica spettacolo, sembrano più disponibili a entrare in campo. Certo partono avvantaggiati, in potenza possono vincere tutte le primarie! Chi oserebbe sfidarli? Dovremmo poi assegnargli un incarico a vita, infatti hanno la tendenza. una volta rientrati nei ranghi, a rifarsi una verginità a spese di chi li ha candidati . Rimangono i pensionati, benestanti però (bisogna pur pagarsi le campagne elettorali!). Dev'essere per questo che gli asili nido non sono mai una priorità! Se guardiamo le cose senza gli occhiali del furore ideologico, ci accorgiamo che le scelte da fare sono poche. Vogliamo persone che si dedichino alla politica totalmente, senza curare altri interessi sia pure per un fase della loro vita? Allora riconosciamo che vanno pagati (il giusto !), proibiamo loro di fare qualsiasi altra cosa e smettiamo di demonizzare chi fa politica di professione (è anche questo il sistema spagnolo). Vogliamo favorire la rappresentanza di realtà professionali e di lavoro auspicando una più facile rotazione nelle cariche? Allora dobbiamo sapere che i problemi sono due: il primo consiste nel definire i confini tra le attività professionali, gli interessi imprenditoriali e l'incarico pubblico sapendo che più questo è rilevante più l' attività personale va ridotta, limitata e in alcuni casi impedita. Il secondo è garantire la "par condicio" nell'agone politico, accesso ai media e risorse finanziarie fanno la differenza, già sono spariti gli operai ora rischia di sparire la rappresentanza del lavoro dipendente. Fare politica non può essere un lusso. Scegliamo una strada e seguiamola coerentemente, consapevoli che comunque il primo vero controllo lo fanno gli elettori e che nessuna regola risolve i problemi conseguenti all'assenza di una coscienza civica, quella che ci spinge a selezionare non il politico che farà un favore a me ma quello che governerà meglio per tutti.


La campana del Colle "apre" la veri ca (sezione: Conflitto di interessi)

( da "EUROPA.it" del 22-12-2007)

 

IL MONITO DI NAPOLITANO Il Quirinale: "Troppe ducie e scarsa qualità delle leggi. Basta interdizioni, presto le riforme" La campana del Colle "apre" la veri ca "Sento già parlare di nuove altre ducie...". Sotto Natale, il senatore Fisichella le vota: "Ma è l'ultima volta". Sempre più a rischio tre "diniani", Bordon e Rossi. Il 10 gennaio si pro la un dif cile vertice di maggioranza per Prodi: sulla legge elettorale e molti altri nodi. Mastella: "È inutile, meglio il voto subito". FRANCESCO LO SARDO Non è la prima volta che Giorgio Napolitano richiama il governo Prodi sulle troppe "cadute" nei rapporti esecutivo-parlamento e nella "qualità delle leggi" (un implicito riferimento al decreto sicurezza), con "abnormi" accorpamenti e "conseguenti voti di fiducia". Potrebbe però essere l'ultimo richiamo. Tutto dipenderà dal vertice di maggioranza del 10 gennaio, cui sono legate le sorti del governo. Prodi ha allargato le braccia: "Il presidente Napolitano ha ragione, ma se non cambiamo le procedure... ". Le parole di Napolitano, pronunciate ieri in occasione dello scambio di auguri con le alte cariche dello stato, sono rimbalzate in senato, dove si votavano due delle ultime trenta fiducie poste dal governo Prodi. Poche ore dopo, il senatore Fisichella comunicava all'aula il suo voto favorevole per evitare l'esercizio provvisorio, "ma il rapporto di fiducia col governo per me è esaurito". Anche Dini, D'Amico e Scalera dicono sì alla fiducia: "Ma consideriamo conclusa una fase politica". Rossi resta un'incognita, mentre Bordon annuncia: "Il 16 gennaio io mi dimetto". Così sono sei, a palazzo Madama dove il governo si regge con due voti di scarto, i senatori che hanno già la valigia al piede. "Avevo già preso la decisione, in solitudine e meditata. Le parole del capo dello stato ? racconta Fisichella ? mi hanno confermato nella mia scelta". Con aria grave l'ex vicepresidente del senato spiega che "dopo qualche mese non puoi giudicare, ma dopo un anno e mezzo di governo sì. C'è una crescente difficoltà a mettersi in una logica di sistema e questo spaventa. Le leggi sono il prodotto delle spinte contrapposte dei diversi segmenti della coalizione, ma ben oltre i limiti accettabili...". Perciò lui tira i remi in barca. "Il paese ? ragiona Fisichella ? ha bisogno di una guida robusta. Il dialogo tra i due maggiori partiti sulle riforme è positivo ma c'è un'antinomia tra azione del governo e quel che le grandi forze politiche stanno cercando di realizzare". Questo, insomma, è il teorema di Fisichella: "C'è un dialogo che ha una sua consistenza e serietà, rispetto al quale si percepisce un'attività chiara di contrasto. Siamo ad un passaggio stretto: certo, la situazione non può continuare a deteriorarsi così...". La legge elettorale, che Rifondazione ? favorevole alle intese con Berlusconi ? non vuole sia il fulcro del vertice chiesto dai "nanetti" che vogliono una posizione comune dell'Unione, è un detonatore. Ieri il presidente della Repubblica è stato nettissimo: il dialogo maggioranza-opposizione "deve proseguire" e condurre "rapidamente a risultati concreti". Perciò Napolitano dice che "nei prossimi mesi" vanno superati "paralizzanti sospetti reciproci e giochi d'interdizione ", altrimenti "si correrebbero rischi". Non spetta a me, suggerire soluzioni "ma insistere ? avverte il Capo dello stato facendo intravedere scenari di voto anticipato ? sulle gravi conseguenze che avrebbe un nuovo nulla di fatto". Mastella, da guascone, ieri andava ripetendo ai suoi che "se la maggioranza non c'è più, allora fare il vertice è inutile perchè servirebbe solo a prendere atto che non ci sono più i numeri al senato. Allora è meglio andare a votare...". In attesa del vertice di maggioranza, anche i calendari dei lavori parlamentari attendono. Riforma elettorale in primis ma anche sicurezza, servizi pubblici locali, ddl Bersani, riforma del fisco, conflitto d'interessi, legge Gentiloni. L'elenco è lungo, ma il come procedere è ancora tutto da decidere. E il 22 gennaio, a palazzo Madama, incombe già la mozione di sfiducia per Padoa-Schioppa sul "caso" Speciale.


Le staminali uccidono il cancro o i profitti deviano la ricerca? (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Liberazione" del 22-12-2007)

 

Le ricerche sulle "tumorali" ricevono grande attenzione sui media e dividono gli scienziati Sono solo all'inizio, ma ci sarebbe già un farmaco che non funzionava per l'Alzheimer ma... Sabina Morandi La notizia campeggiava ieri sulla prima pagina del New York Times : gli scienziati avrebbero individuato l'esistenza di cellule staminali tumorali che potrebbero essere responsabili della "ricrescita" di tumori dati per debellati. "In pochi mesi" sostiene l'autrice dell'articolo "i ricercatori di tre centri medici potrebbero essere in grado di effettuare i primi test sui pazienti di una delle più promettenti - e controverse - idee sulla causa e sul trattamento del cancro". Ora, a parte che è difficile immaginare come si possa "sperimentare un'idea" di qui a "pochi mesi", chi avesse la pazienza di continuare la lettura dell'articolo scoprirebbe che siamo davvero all'inizio del vaglio di un'ipotesi nuova e ancora tutta da dimostrare. La nuova idea di cui parla Gina Kolata sul NYT mette in discussione il vecchio assunto - per altro già sorpassato dagli studi sul suicidio cellulare - sul fatto che le cellule tumorali siano tutte immortali cioè in grado di dividersi e crescere indiscriminatamente. Secondo gli studi condotti da Max S. Wicha dell'Università del Michigan esisterebbero delle cellule staminali tumorali in grado di produrre nuove linee cellulari malate dopo che quelle originarie sono state debellate con le normali terapie. Se l'ipotesi si rivelasse corretta bisognerebbe quindi trovare il modo di concentrarsi su questo tipo di cellule che invece, secondo il dottor Wicha, sono particolarmente resistenti ai trattamenti normalmente impiegati per aggredire i tumori, come la chemioterapia e le radiazioni. Insomma, le cellule progenitrici che prima si pensava fossero presenti soltanto nell'embrione e che poi sono state trovate, anche se in percentuali molto più piccole, in parecchi altri organi (per il sollievo del Papa e di Bush) adesso sarebbero anche nei tumori dove, disgraziatamente, sono in grado di continuare a riprodurre le cellule impazzite che sono all'origine del male. Le staminali tumorali sarebbero insomma "le radici del cancro" che se non vengono estirpate "possono farlo ricrescere". Per questo motivo, scrive l'autrice, i laboratori che stanno lavorando a questa ipotesi hanno ricevuto fondi per milioni di dollari. A questo punto urge una spiegazione perché, dalla lettura distratta dell'articolo, sembrerebbe che di qui a pochi mesi sarà disponibile una nuova terapia, ma purtroppo non è così. A parte il fatto che secondo alcuni ricercatori come Scott E. Kern, esperto di tumore al pancreas della Johns Hopkins University, quella delle staminali tumorali "è un'ipotesi più vicina alla religione che alla scienza", gli esperimenti previsti riguardano, per ora, soltanto la possibilità di isolare questo tipo di cellule anche nei pazienti umani. Siamo insomma ancora al primo stadio, quello in cui bisogna verificare se gli esperimenti condotti sui topi, nei quali sono state evidenziate questo tipo di cellule, sono validi anche per gli esseri umani. Va sottolineato anche il fatto che alcuni ricercatori - per esempio Kornelia Polyak del Dana-Farber Cancer Institute - contestano anche i risultati degli esperimenti condotti sui modelli animali. Secondo la dottoressa Polyak le cellule tumorali sono soggette a trasformazioni inaspettate anche nei topi e quindi "dire che basta uccidere le cellule staminali tumorali è una semplificazione che rischia di dare false speranze". Da dove viene allora tutto questo entusiasmo? Prima di tutto scopriamo che non ci saranno ancora certezze sul nuovo obiettivo della guerra al cancro (le staminali tumorali) ma è già pronta la medicina. Si tratta di un farmaco prodotto dalla Merk per trattare l'Alzheimer che però non funzionava. Ma visto che, come racconta il dottor Wicha, "test di laboratorio hanno mostrato che il farmaco è efficace nell'uccidere le cellule staminali tumorali presenti nel cancro al seno", ecco pronta la cura da sperimentare su una trentina di donne in stadio avanzato della malattia. La nuova ipotesi nasce insomma, guarda caso, come spiegazione per lo strano funzionamento di un prodotto che era stato confezionato con tutt'altro scopo - ma che bisogna "piazzare" in qualche modo. Il fatto che nel presentare il suo rivoluzionario studio il dottor Wicha spenda qualche parola sui "cattivi modelli" utilizzati da chi autorizza la commercializzazione dei farmaci, fa presagire che ci siano già contenziosi aperti con le autorità di controllo. Insomma, la notizia potrebbe anche essere vera - è anzi plausibile che, nel concorrere alla formazione dei tumori particolarmente ostici da trattare entrino in gioco svariati meccanismi, dall'immortalità delle cellule tumorali al fallimento dei meccanismi di suicidio cellulare (che regolano il ricambio cellulare negli organi sani) passando per le staminali - ma è sbagliato e crudele presentarla come una svolta risolutiva. Infine, per smontare ulteriormente la notizia, bisogna dare un'occhiata alla firma. Gina Kolata è una brillantissima giornalista scientifica che è stata per anni una potenza al NYT , per poi finire ridimensionata come altri protagonisti della bolla biotecnologica. Alla fine degli anni 90 il boom delle "start up" biotech - ovvero delle piccole società, povere ma creative - aveva attirato l'attenzione degli investitori e dei ricercatori delusi dalle lungaggini (e dagli stipendi) del mondo accademico. I ricercatori fondavano queste piccole società con l'obiettivo di fare il grande salto: quotarsi sul mercato azionario e smettere di sudare sulle provette per passare all'incasso. Fondamentale, in quel gioco, era avere un canale diretto con i media che potesse far salire le quotazioni dell'azienda produttrice di un farmaco senza nemmeno bisogno di aspettare il suo arrivo sul mercato. Da questo punto di vista Gina Kolata, responsabile della pagina scientifica del quotidiano, era nel posto giusto e poteva spedire le quotazioni di una sconosciuta società in cima al mercato azionario. Ed è quello che ha fatto. Nel 2001, Kolata è riuscita a trasformare una storia di esperimenti sui topi nella rivelazione scientifica dell'anno, e le azioni di una piccola società, la Entremed, sono passate da 12 a 85 dollari nello spazio di un mattino. Il farmaco "miracoloso" ancora non era in commercio ma chi aveva comprato le azioni della sconosciuta società - come aveva fatto la giornalista - ha guadagnato parecchi soldi. Ovviamente quando è emerso il conflitto d'interesse la credibilità della Kolata è precipitata e la sua firma è sparita per qualche tempo dalle pagine del prestigioso quotidiano. Per tornarci, ieri, con l'annuncio di un'altra cura miracolosa in arrivo "di qui a pochi mesi". 22/12/2007.


Intercettazioni, Mastellavuole un decreto urgente (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Secolo XIX, Il" del 23-12-2007)

 

Caso berlusconi-Rai Critica sulla proposta del Guardasigilli larga parte della maggioranza. Casson: "Disegno di legge pronto a febbraio" 23/12/2007 Roma. Anche Clemente Mastella, ministro della Giustizia, concorda con Silvio Berlusconi: "Sulle intercettazioni telefoniche è emergenza civile". Il Guardasigilli sembra intenzionato a proporre, in una delle prossime riunioni del Consiglio dei Ministri, la trasformazione del disegno di legge sulle intercettazioni, in un decreto, in modo da renderlo immediatamente efficace. Ma buona parte della maggioranza non ci sta: "Vogliamo ripetere gli errori che abbiamo commesso, quando si trasformò in decreto il Ddl sulla sicurezza?", avverte Cesare Salvi, sinistra democratica. E non basta: dal Senato arriva una piccata risposta al ministro. Non è vero, si sostiene, che il disegno di legge è"arenato": sta, al contrario, per approdare in aula per essere votato entro febbraio. Non solo: il testo firmato da Mastella (già approvato dalla Camera) è stato profondamente modificato e, quindi, sarebbe difficile un provvedimento d'urgenza. Una questione è, però, la pubblicazione dei colloqui tra l'ex premier, Berlusconi, ed un altissimo dirigente della Rai, Agostino Saccà; altra è il contenuto di quei discorsi: raccomandazioni finalizzate ad ottenere la caduta del governo. "Stiamo molto attenti - ammonisce Giorgio Merlo, esponente del Pd - possiamo discutere di riforme con lui?". Mastella ha sostenuto che è ora di accelerare l'iter del disegno di legge sulle intercettazioni: "Prodi spiega che non bisogna agire d'impulso? Bene, il politico dovrebbe fare lo psicologo, ma se lo psicologo è più agitato del paziente?". Il Guardasigilli non accetta la reazione di Berlusconi alla pubblicazione delle sue telefonate ("Lui è padrone di quei media che hanno commesso identiche violazioni della privacy ai miei danni, di Fini e di D'Alema, per esempio"), ma spiega che il suo testo "giace da tempo in Senato". E' un'accusa che Felice Casson (Pd), relatore di quel disegno di legge, respinge al mittente: "E' male informato. Possiamo votarlo entro febbraio". La cosa più rilevante è che il testo licenziato da Montecitorio (con una maggioranza bipartisan) è stato sensibilmente modificato proprio negli articoli che dovrebbero regolamentare la pubblicazione da parte dei media: "Il testo originario prevedeva che si potessero pubblicare solo dopo l'udienza preliminare, e, quindi, dopo anni. Ora si è preferito che gli atti siano pubblicabili non appena le parti interessate ne siano venute a conoscenza". "Quel che è grave - così Merlo ha introdotto la discussione sull'altra faccia del problema -è che dal centrodestra si sia risposto con un silenzio agghiacciante alla considerazione che Berlusconi ha del servizio pubblico e della informazione pluralista del nostro paese. Mi riferisco al presidente della Commissione di Vigilanza, Landolfi (An n.d.r.), la cui posizione anticipa che l'opposizione continuerà ad impedire qualsiasi riforma, non solo del sistema radiotelevisivo, ma anche del conflitto di interesse". "Ma ora, in Rai, Berlusconi non interferisce più con la vita dell'azienda -è la tesi del presidente dell'azienda, Claudio Petruccioli - Prima era diverso. Ma da quando ci siamo noi il clima è cambiato. Ho molti amici che, di fronte a lui, si amputano delle proprie qualità: questo è un prezzo negativo per il paese". La reazione dell'azienda dovrebbe iniziare proprio dall'avvicendamento del direttore di Rai Fiction, Saccà: ieri, il Corriere della sera, ha pubblicato stralci di un suo interrogatorio nel quale aveva ammesso di aver subito (ed accettato) pressioni da parte del leader di Fi. "Ricordo che mi ha segnalato - ha detto ai giudici, durante l'interrogatorio del 4 dicembre - solo nell'ultimo anno, due... no, tre persone. Se ci aggiungiamo anche gli attori maschi arriviamo a quattro o cinque". Ma poi, quando il magistrato gli chiede di fare i nomi, di sole attrici, Saccà ne elenca cinque. A. M. B. 23/12/2007.


Intercettazioni: la barbarie è nei contenuti (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Unita, L'" del 23-12-2007)

 

Stai consultando l'edizione del "Intercettazioni: la barbarie è nei contenuti" "Ci si è concentrati sulla barbarie della divulgazione invece che sulla barbarie di quello che le telefonate raccontano". Vittorio Grevi, giurista, professore di procedura penale all'Università di Pavia, commenta così il caso Berlusconi-Saccà. E anche le ipotesi di reato al vaglio della procura di Napoli. "In quelle conversazioni ci sono elementi significativi che fanno pensare che tra i due interlocutori ci sia stata una promessa di vantaggi che è stata accettata. E questo intreccio tra promessa e accettazione costituisce di per sé corruzione". Sullo sfondo, sottolinea il giurista, "c'è il tema del conflitto di interessi. Si avverte un tentativo di gestione dei programmi Rai da parte del titolare di Mediaset".Carugati a pagina 8.


Più poteri a Cappon, solo così salviamo la Rai (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Unita, L'" del 23-12-2007)

 

Stai consultando l'edizione del ROBERTO CUILLOAzienda paralizzata, serve un decreto che faccia del direttore generale un amministratore unico "Più poteri a Cappon, solo così salviamo la Rai" di Natalia Lombardo/ Roma La Rai va "rifondata" o perderà competitività. La cura d'emergenza, secondo Roberto Cuillo, già responsabile informazione dei Ds, è un "decreto governativo che assegni più poteri al direttore generale, come a un amministratore unico". Crede che gli intrecci di favori non appartengano alla attuale Rai, come sostiene il presidente Petruccioli? "Queste vicende appartengono al passato, tranne la telefonata Saccà-Berlusconi. Ma in questi anni ci sono state due fasi: la prima ha visto la gestione della Rai durante il governo Berlusconi, con un consolidamento del potere interno. E nell'anno di vuoto fra le dimissioni di Lucia Annunziata e l'elezione di Petruccioli, tra il 2004 e il 2005, il direttore generale Cattaneo era solo a gestire la tv pubblica. Allora si consolidò il regime "RaiSet", con le telefonate della Bergamini a Mediaset. Nella seconda fase, Petruccioli e il Dg Cappon hanno tentato di risollevare la Rai, ma la maggioranza di centrodestra nel Cda ha cercato di bloccare tutto. Ora i nodi vengono al pettine". Qual è la cosa più grave? "Che venga utilizzata la Rai e un suo alto dirigente per acquistare senatori ai fini del rovesciamento della maggioranza. È il conflitto d'interessi e la mancanza di autonomia del servizio pubblico, sancita con la Legge Gasparri. Problemi che la maggioranza non può far finta di non vedere". I ddl Gentiloni sul sistema tv e sulla riforma Rai, quello sul conflitto d'interessi ci sono, ma vanno a rilento. C'è una priorità? "Bisogna accelerarne l'iter, ma la Rai è un'industria che ha bisogno di stabilità e di un'azione per rifondarla". Rifondarla come? "Il governo deve farsi coraggio e varare un decreto semplice che estenda i poteri del direttore generale, anche l'attuale, facendolo diventare amministratore unico. Estendere i poteri di firma sui contratti fino a 20 milioni di euro e sulla nomina delle prime linee di dirigenza Rai. Potrebbe esserci anche il consenso del centrodestra". Non si accentra troppo il potere? "Siamo alla paralisi: se il governo e la maggioranza non hanno uno scatto di reni, la Rai perde competitività". Non si affossa il ddl Gentiloni che cambia la "governance" Rai? "Dev'essere approvato presto, ma urge una figura che abbia potere di firma sui contratti e sulle nomine: ora tutte le decisioni passano dal Cda e questo dà ai partiti l'arma di gestire contratti e quindi i palinsesti. È il servizio pubblico ad essere in discussione. Lo dice persino Berlusconi: "che ne sapevo io che stavo parlando con un pubblico ufficiale? Per me il servizio pubblico non c'è più". Noi, invece, vogliamo rilanciarlo. E la Rai deve fare pulizia al suo interno, valorizzare le risorse migliori, non penalizzare dirigenti leali come Loris Mazzetti". Così lei rilancia la proposta di Veltroni per l'amministratore unico? "È un'iniziativa che nasce dalla proposta di Veltroni: una fase d'emergenza esige un'iniziativa straordinaria".


Vorrei sapere cosa ne pensa Veltroni . Antonio Polito, (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Tempo, Il" del 23-12-2007)

 

"Vorrei sapere cosa ne pensa Veltroni". Antonio Polito, ... "Vorrei sapere cosa ne pensa Veltroni". Antonio Polito, senatore del Pd, mette il dito nella piaga. Nel gran palvore suscitato sul caso delle intercettazioni con Berlusconi che continua a dire che dietro c'è una manovra per far fallire il dialogo sulla riforma elettorale, spicca il silenzio di Veltroni. Home Politica prec succ Contenuti correlati Visti da Pizzi: Palazzo Wedekind, incontro tra Fini e Veltroni per le riforme L'Udc ad An: ripensateci Fabrizio Fabbri Pensare che ... Da quindici anni ho una curiosità che vorrei soddisfare: ... Elezioni, la sinistra già pensa alla spallata Pensare la città che verrà Il leader del Pd che è l'altro protagonista del dialogo con il Cavaliere, finora è rimasto silente. Non solo. Nessun commento è venuto nemmeno a seguito del colloquio di Berlusconi con il presidente Napolitano e dopo le accuse che il Cavaliere ha fatto in piazza di essere sottoposto a una gogna mediatica. A questo punto sono in molti dentro Forza Italia a chiedersi quanto possa durare l'asse Veltroni-Berlusconi sulla riforma elettorale e l'attenzione è puntata sul pronunciamento della Corte Costituzionale sull'ammissibilità del referendum. A fronte di questo silenzio Polito ha chiamato direttamente in causa Veltroni. "Non si tratta di difendere Berlusconi o Saccà. Qui si tratta di capire se l'intero sistema di garanzie processuali in Italia è saltato. Vorrei sapere che cosa ne pensa il Pd, che pare non abbia niente da dire su quanto sta accadendo. Ai tempi di Ds e Margherita, almeno un paio di comunicati li avremmo letti, una posizione sarebbe emersa. Oggi niente". Il senatore usa toni incalzanti fino all'ironia: "Nell'esecutivo del loft non c'è un responsabile giustizia, o un responsabile informazione, o qualcuno che faccia il turno di presenza natalizia? E che cosa intende fare il gruppo al Senato del Pd per tirar fuori dal cassetto dove è finito il disegno di legge Mastella? O pensa che sia preferibile un decreto legge?" Dal Pd invece c'è solo una dichiarazione, laconica, del vice di Veltroni, Dario Franceschini. In un colloquio con Il Riformista si limita a dire che "la pubblicazione delle intercettazioni è inammissibile. E non si può denunciarne l'uso quando creano un problema e strofinarsi le mani quando danno un vantaggio". La soluzione per il numero due del Pd è di "andare avanti sulla riforma del sistema radio-televisivo e sul conflitto di interessi" ma tenendo "distini questi piani dal tavolo delle riforme". Franceschini non aggiunge nulla di più. Polito invece va oltre e se la prende con quelle procure che sembrano diventate dei "dei megafoni. Sui giornaliabbiamo letto non dei brogliacci, non delle intercettazioni, ma addirittura dei verbali di interrogatorio quasi in tempo reale, resi neanche venti giorni fa, come in un vero processo in piazza. Si tratta dell'interrogatorio di Saccà davanti al pubblico ministero di Napoli". A fronte di questa situazione il silenzio del leader del Pd appare grave. Polito ricorda che "a Milano, nel suo discorso di insediamento, Veltroni pronunciò tre volte di seguito la fatidica frase, basta odio, promettendo anche atti unilateralì per riportare il conflitto politico in Italia nell'alveo che gli è proprio e per separarlo dalle indagini della magistratura. Qui -conclude Polito- non solo non si vedono gli atti, nè unilaterali nè multilaterali, ma non si odono nemmeno le parole". Infine il senatore del Pd rimarca che "l'interrogatorio pubblicato sui giornali si conclude con la decisione del Pm di secretare il verbale e con il rifiuto a rilasciarne copia all'indagato. Tanto, tempo un paio di settimane, l'indagato avrebbe potuto leggerlo sulla stampa". 23/12/2007.


Veltroni si nasconde, Polito lo chiama in causa (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Tempo, Il" del 23-12-2007)

 

"Vorrei sapere cosa ne pensa Veltroni". Antonio Polito, senatore del Pd, mette il dito nella piaga. Nel gran palvore suscitato sul caso delle intercettazioni con Berlusconi che continua a dire che dietro c'è una manovra per far fallire il dialogo sulla riforma elettorale, spicca il silenzio di Veltroni. Home Politica prec succ Contenuti correlati Visti da Pizzi: Palazzo Wedekind, incontro tra Fini e Veltroni per le riforme Serena Suriani Si chiama Annalisa ... Benzina da record. Bersani chiama le aziende Politici chiamati a raccolta Troppi regali a Romano, paga il paese Ubriaco causa un incidente Il leader del Pd che è l'altro protagonista del dialogo con il Cavaliere, finora è rimasto silente. Non solo. Nessun commento è venuto nemmeno a seguito del colloquio di Berlusconi con il presidente Napolitano e dopo le accuse che il Cavaliere ha fatto in piazza di essere sottoposto a una gogna mediatica. A questo punto sono in molti dentro Forza Italia a chiedersi quanto possa durare l'asse Veltroni-Berlusconi sulla riforma elettorale e l'attenzione è puntata sul pronunciamento della Corte Costituzionale sull'ammissibilità del referendum. A fronte di questo silenzio Polito ha chiamato direttamente in causa Veltroni. "Non si tratta di difendere Berlusconi o Saccà. Qui si tratta di capire se l'intero sistema di garanzie processuali in Italia è saltato. Vorrei sapere che cosa ne pensa il Pd, che pare non abbia niente da dire su quanto sta accadendo. Ai tempi di Ds e Margherita, almeno un paio di comunicati li avremmo letti, una posizione sarebbe emersa. Oggi niente". Il senatore usa toni incalzanti fino all'ironia: "Nell'esecutivo del loft non c'è un responsabile giustizia, o un responsabile informazione, o qualcuno che faccia il turno di presenza natalizia? E che cosa intende fare il gruppo al Senato del Pd per tirar fuori dal cassetto dove è finito il disegno di legge Mastella? O pensa che sia preferibile un decreto legge?" Dal Pd invece c'è solo una dichiarazione, laconica, del vice di Veltroni, Dario Franceschini. In un colloquio con Il Riformista si limita a dire che "la pubblicazione delle intercettazioni è inammissibile. E non si può denunciarne l'uso quando creano un problema e strofinarsi le mani quando danno un vantaggio". La soluzione per il numero due del Pd è di "andare avanti sulla riforma del sistema radio-televisivo e sul conflitto di interessi" ma tenendo "distini questi piani dal tavolo delle riforme". Franceschini non aggiunge nulla di più. Polito invece va oltre e se la prende con quelle procure che sembrano diventate dei "dei megafoni. Sui giornaliabbiamo letto non dei brogliacci, non delle intercettazioni, ma addirittura dei verbali di interrogatorio quasi in tempo reale, resi neanche venti giorni fa, come in un vero processo in piazza. Si tratta dell'interrogatorio di Saccà davanti al pubblico ministero di Napoli". A fronte di questa situazione il silenzio del leader del Pd appare grave. Polito ricorda che "a Milano, nel suo discorso di insediamento, Veltroni pronunciò tre volte di seguito la fatidica frase, basta odio, promettendo anche atti unilateralì per riportare il conflitto politico in Italia nell'alveo che gli è proprio e per separarlo dalle indagini della magistratura. Qui -conclude Polito- non solo non si vedono gli atti, nè unilaterali nè multilaterali, ma non si odono nemmeno le parole". Infine il senatore del Pd rimarca che "l'interrogatorio pubblicato sui giornali si conclude con la decisione del Pm di secretare il verbale e con il rifiuto a rilasciarne copia all'indagato. Tanto, tempo un paio di settimane, l'indagato avrebbe potuto leggerlo sulla stampa". 23/12/2007.


Il Silvio in salsa thai colpisce ancora (sezione: Conflitto di interessi)

( da "EUROPA.it" del 23-12-2007)

 

BANGKOK I fedelissimi del magnate Thaksin, deposto dai militari nel 2006, sono i favoriti per il voto di domani Il Silvio in salsa thai colpisce ancora DANIELE CASTELLANI PERELLI Nel capitolo "Asia e democrazia", la Thailandia scriverà domenica una pagina molto importante. Il paese del sud-est asiatico andrà alle elezioni generali quindici mesi dopo il colpo di stato militare che ha rovesciato il governo del discusso tycoon Thaksin Shinawatra, il cosiddetto "Berlusconi d'Asia", che aveva stravinto le elezioni del 2001 e del 2005. L'esercito riporterà quindi la Thailandia all'interno del processo democratico, ma nuvole scure si addensano sul voto e il rischio del caos è dietro l'angolo. La figura del corrotto Thaksin ha dominato la campagna elettorale, anche se il magnate e 110 dei suoi principali compagni di partito (il dissolto Thai Rak Thai) non potranno partecipare al voto: il tribunale instaurato dalla giunta militare li ha infatti banditi per cinque anni da ogni incarico politico. Il 58enne Thaksin, riparato in Gran Bretagna (dove ha comprato la squadra del Manchester City e la sta rendendo competitiva), seguirà il voto da Hong Kong e farà certo il tifo per il Ppp, il Partito del potere del popolo, che rappresenta la reincarnazione del Thai Rak Thai. Il Ppp, stando ai sondaggi, è impegnato in un testa a testa con il Partito democratico, il movimento che per lungo tempo è stato all'opposizione con il Thaksin premier e le cui continue manifestazioni di piazza diedero la prima spallata al governo del magnate delle telecomunicazioni. Il Ppp ha conservato molto del programma e della classe dirigente del vecchio partito e ora, guidato dal vecchio conservatore Samak Sundaravej, conta sullo storico sostegno del nord e del nord-est (tra le regioni più povere del paese) per tornare maggioranza. La giunta militare si era ufficialmente decisa al colpo di stato per "salvaguardare l'unità del paese" e lo aveva fatto senza spargimenti di sangue, approfittando dell'assenza del premier, in quel momento impegnato alle Nazioni Unite di New York per una sessione dell'Assemblea generale. Una vittoria di Sundaravej sarebbe uno scacco clamoroso per i militari, visto che il leader del Ppp ha già annunciato che permetterebbe a Thaksin di tornare in Thailandia per chiarire la sua posizione e allontanare da sé le pesanti accuse di corruzione, conflitto d'interessi e compravendita di voti, che prima provocarono le manifestazioni di piazza (guidate in realtà non tanto dal Partito democratico, ma da uno dei principali presentatori televisivi del paese, Sondhi Limthongkul) e poi fornirono un pretesto al colpo di stato del settembre 2006. Quale sarebbe la reazione dell'esercito davanti a una netta vittoria del Ppp? Sunai Thasuk, di Human Rights Watch, ha spiegato al quotidiano britannico The Guardian che il Ppp è stato messo sotto stretta sorveglianza dai militari in campagna elettorale: "Se il partito vince e la giunta rifiuta di riconoscere il volere degli elettori ? ha commentato ? è possibile che ci sia una qualche reazione, e questo porrebbe la Thailandia in una posizione molto, molto pericolosa". Se il Ppp non riportasse una chiarissima vittoria, invece, è probabile che l'esercito farebbe pressioni sui partiti minori per formare una coalizione con il Partito democratico, probabilmente guidata dal leader di quest'ultimo, il 43enne Abhisit Vejjajiva, formatosi a Eton e Oxford, ma dallo scarso carisma. Gli analisti prevedono comunque instabilità dopo il voto. Il test elettorale è interessante anche perché, solo un paio di settimane più tardi, un altro paese asiatico andrà al voto dopo un colpo di stato. È il Pakistan di Musharraf, che però, a differenza della Thailandia, ha permesso la candidatura del principale oppositore del regime militare, l'ex premier Benazir Bhutto. In entrambi i paesi le elezioni si svolgeranno al termine di campagne elettorali dalla dubbia regolarità (Bangkok ha appena approvato una legge di sicurezza interna che per i critici assicurerà poteri decisivi all'esercito anche dopo le elezioni). In entrambi, i colpi di stato hanno danneggiato l'economia. In Thailandia, ha commentato il settimanale britannico The Economist, "non è chiaro se l'esercito e i suoi sostenitori hanno imparato la vecchia lezione in base alla quale colpi di stato e operazioni extracostituzionali peggiorano le crisi politiche e non producono buoni governi". In tutto ciò, la commissione elettorale ha assolto la giunta da ogni accusa di boicottaggio nei confronti del Ppp. Potrebbe invece eliminare quest'ultimo dalla contesa, per via di un banale video con cui Thaksin ha invitato a votare i suoi "eredi". Il malgoverno della giunta e il suo accanimento verso il Ppp potrebbero quindi favorire proprio il successo di quest'ultimo. Un ruolo chiave sarà probabilmente svolto dal re, una figura estremamente carismatica, che prima ha tollerato Thaksin e poi ha accettato senza troppe esitazioni il colpo di stato. Il Partito democratico dipinge l'ex premier e il Ppp come degli antimonarchici. Che però, proprio per rassicurare l'elettore medio, hanno puntato su un leader ultramonarchico come Samak Sundaravej. Se dopo le elezioni la Thailandia non finirà nel caos, forse sarà proprio grazie alla presenza del sovrano, Bhumibol Adulyadej. Il Pakistan, invece, dovrà sbrigarsela da solo.


Il centrodestra ed il nucleare (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Voce d'Italia, La" del 23-12-2007)

 

La Voce d'Italia - nuova edizione anno II n.97 del 23/12/2007 Home Cronaca Politica Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura Sport Focus Economia Fonti alternative Il centrodestra ed il nucleare Dalla padella alla brace. Abbiamo visto che nel centrosinistra ci sono personaggi assai discutibili; nel centrodestra, se possibile, riescono a superarli. In peggio... Rimini, 23 dic. - è nata una nuova sintonia fra Fini e Casini caratterizzata dalla risoluzione definitiva del problema energetico (1). Facciamo finta che la fissione nucleare sia economicamente vantaggiosa (2). Facciamo finta che il nostro paese sia ricchissimo di uranio e che comunque nel tempo il suo costo si mantenga competitivo. Facciamo finta che il problema delle scorie sia risolto. Facciamo finta che una centrale nucleare si possa realizzare in pochi anni. Facciamo finta che il nostro paese disponga di un congruo numero di tecnici del settore. Facciamo finta che le grandi società private che dovrebbero occuparsi di questa vicenda improvvisamente diventino tutte filantrope e pongano gli interessi della collettività prima dei loro. Facciamo finta che i due personaggi siano pienamente affidabili; che Fini non abbia votato per abrogare una legge da Lui stesso effettuata e che Casini non abbia conflitti di interessi per i Suoi legami con importanti palazzinari. Non possiamo fare finta però di due fattori: 1) la presenza di reali alternative; 2) la filosofia generale che deve informare la risoluzione del problema energetico. Circa il primo va sottolineato che fin da subito si possono effettuare moltissime attività: - miglioramento dei rendimenti dei sistemi esistenti; nelle centrali termoelettriche tradizionali, ad esempio, si spreca troppo; - piena valorizzazione delle risorse rinnovabili, non inquinanti, ecocompatibili ed autosufficienti economicamente (con severa censura del fotovoltaico acefalo (3) ed incentivazione alla geotermia); - incentivazione del condizionamento estivo mediante irraggiamento da pannelli radianti, riducendo così drasticamente il consumo di energia elettrica rispetto agli attuali super-obsoleti e ridicoli condizionatori piccoli e grandi; - incentivazione dei gruppi frigoriferi ad assorbimento; - introduzione dei sistemi CHP fino all'ambito domestico (4). Bruciare del gas per produrre acqua calda è un atto irresponsabile; il gas si brucia per produrre elettricità da mettere in rete e l'acqua calda si ottiene come scarto; presto questi sistemi potranno essere integrati dai pannelli solari termici e da altri combustibili rinnovabili quali la legna o il pellet; - finanziamento della ricerca sulla fusione fredda (5). Chi la nega o è un ignorante o è un truffaldino. è facile a questo punto scoprire il secondo fattore. La risoluzione del problema energetico deve essere informata dal “gigantismo” centralizzatore del XX° secolo o deve essere il più possibile di tipo “distribuito” ed a misura d'uomo? Non c'è dubbio che la scelta politica deve essere ferrea sulla seconda opzione. Bisogna ammettere che su questo punto il centrosinistra è più avanti, pur fra mille contraddizioni. Se invece si vuole fare la fissione nucleare perché anche noi vogliamo la bomba atomica, bisogna subito verificare la presenza di posti liberi in manicomio. La “sicurezza” va giocata in ambito europeo, magari nell'Europa dei Popoli. Fini e Casini ed i loro portaborse hanno perso un'occasione per stare zitti... Lino Rossi ___________________________________________________ (1) http://www.ansa.it/ambiente/notizie/ notiziari/energia/20071220162634544230.html (2) http://www.ansa.it/ambiente/notizie/ notiziari/energia/20071220175734544491.html (3) http://www.voceditalia.it/articolo.asp?id=3903 (4) http://www.rinnovabili.it/cogenerazione (5) http://lenr-canr.org/acrobat/DeNinnoAexperiment.pdf.


Rina Gagliardi (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Liberazione" del 23-12-2007)

 

Salvati dalle colonne del "Corriere" chiede un "benevolent dictator" "Democrazia inefficiente, meglio la dittatura" Uno dei fondatori del Pd lancia l'idea-choc Rina Gagliardi Esaurita, anzi obsoleta, anzi pericolosa ogni vocazione ad intervenire sugli squilibri della società, in senso perequativo e redistributivo, allo Stato (e alla politica) spetta in realtà un unico compito: la repressione. Sia del "disordine" e del conflitto sociale, eventualmente della criminalità che disturba il business, e degli "interessi particolari": che poi sono tutti quelli che, a loro volta, infastidiscono il libero dispiegarsi della logica d'impresa - corporazioni, ma anche e soprattutto lavoratori, e lavoratori organizzati in specie. Una società così modellata può ancora pensarsi come democratica? Sia pure con tutti i limiti della nostra acciaccatissima democrazia rappresentativa? Certo che no. Per quanto forti siano gli attuali poteri forti, per quanto grande (enorme) sia il loro potere di condizionamento, l'Italia dispone pur sempre di alcuni e rilevanti anticorpi all'ipotesi di ridurla ad una società-azienda, ed a uno Stato che funziona esclusivamente come "comitato d'affari della borghesia". Tra questi anticorpi c'è, giust'appunto, un sistema politico democratico, anch'esso certo in crisi galoppante, che però resta fondato sulla libertà di voto, sul consenso necessario per governare, al centro e nei territori, sul ruolo di controllo e sorveglianza delle istituzioni parlamentari, insomma su alcuni poteri della politica, per altro sempre più deboli, inestricabilmente connessi con alcuni diritti fondamentali dei cittadini. Ma è proprio su questo che Salvati eccepisce: "ci sono problemi" scrive testualmente "difficilmente trattabili in democrazia". E sono i problemi più importanti, che richiedono soluzioni "impopolari" e di "lunga lena": il governo che le adottasse, uscirebbe sicuramente bocciato dagli elettori, tutti egoisti, tutti miopi, o tutti incapaci (il classico "popolo bue") di capire davvero in che cosa consiste l'interesse superiore - il bene vero del paese. E quindi? Quindi, l'unica soluzione possibile dell'aporia è il vecchio nodo gordiano: se interesse del paese (cioè della borghesia) e pratica della democrazia non coincidono e anzi confliggono, basta tagliare uno dei corni dilemmatici - il secondo. Eliminarlo, o lobotomizzarlo, o sterilizzarlo. Altro che proporzionale o maggioritario, altro che riforma elettorale. L'unica buona riforma elettorale, secondo Salvati, è quella che inibisce le elezioni ("gli slogan populistici e delegittimanti") e consegna tutto il potere politico alle "élites politiche" (?) illuminate: ovvero, l'incarnazione attuale del benevolent dictator. Amen. Se il vero atto di nascita del Partito Democratico, a detta del suo leader Walter Veltroni, è stato il decreto di espulsione dei romeni, questa scoperta della bontà della dittatura getta un'ulteriore luce sull'identità effettiva - a torto considerata generica ed ecumenica - del nuovo ircocervo. *** Il fatto è che, contrariamente a quel che fu detto nel corso della "grande ubriacatura" dell'89, capitalismo e democrazia non costituiscono, nient'affatto, una coppia organica, e men che mai indissolubile. "Fra sviluppo capitalistico e democrazia" ebbe a scrivere Rosa Luxemburg nel lontano 1898, nel pieno della così detta prima globalizzazione dell'economia "non può esser stabilito alcun rapporto generale assoluto?Il liberalismo è diventato superfluo, nella sua essenza, per la società borghese in quanto tale, ed oggi, sotto altri aspetti, esso è diventato addirittura un impedimento?a causa di due fattori, la politica mondiale e il movimento operaio?". Oggi, la globalizzazione capitalistica (e la sua crisi) inducono effetti analoghi a quelli di cui parlava Rosa: la corsa al riarmo, la guerra, la competizione mondiale sempre più sfrenata. Con una conseguenza quasi identica: l'insofferenza borghese per i "costi" della democrazia e della politica, il divorzio ormai celebrato tra borghesia e liberalismo. Come allora, una parte ampia, anzi maggioritaria, della sinistra si lasciò abbacinare dalle sirene della nuova fase di sviluppo. Ma come allora, "il movimento operaio e socialista è e può essere l'unico punto di appoggio della democrazia. Non i destini del movimento socialista sono legati alla democrazia borghese, ma piuttosto i destini dello sviluppo democratico sono legati al movimento socialista" (Rosa Luxemburg, 1898). Non è anche per questo che una nuova sinistra è diventata una necessità irrinviabile? 23/12/2007.


ARTICOLI DAL 15 AL 18 DICEMBRE 2007

 

La crisi della Rai raccontata da dentro A proposito della situazione della Rai durante l&# ( da "Stampa, La" del 15-12-2007)

Libertà e giustizia: che brutto paese colpisce il silenzio del centrosinistra ( da "Repubblica, La" del 15-12-2007)

Tre poteri separati e ben squilibrati ( da "Corriere della Sera" del 15-12-2007)

Trattare con Silvio? Sì, è imbarazzante ( da "Manifesto, Il" del 15-12-2007)

Consulenze d'oro, risultati zero ( da "Libero" del 15-12-2007)

Porto, la ferita aperta ( da "Giornale.it, Il" del 15-12-2007)

Profumo accusa: troppi conflitti d'interesse nei giornali ( da "Unita, L'" del 16-12-2007)

Due consigli per le banche ( da "Unita, L'" del 16-12-2007)

"Un conflitto d'interessi Non c'è stata trasparenza ma solo scelte clientelari" ( da "Stampa, La" del 16-12-2007)

Perché alla regione il tempo si è fermato - nino alongi ( da "Repubblica, La" del 16-12-2007)

Il dramma torinese e le multinazionali ( da "Corriere della Sera" del 16-12-2007)

In una intervista alla Stampa teorizza di tornare alla ricetta dell'editore puro ( da "Liberazione" del 16-12-2007)

Lunedì il Csm decide la sorte di De Magistris ( da "Opinione, L'" del 17-12-2007)

"Il 2008? Sarà l'anno delle mie riforme" ( da "Opinione, L'" del 17-12-2007)

Malapolitica, ne parliamo con Antonello Caporale ( da "Voce d'Italia, La" del 17-12-2007)

"Voglio i soldi per la scorta a Tronchetti" ( da "Stampa, La" del 18-12-2007)

Convivere con la censura ( da "Unita, L'" del 18-12-2007)

MILANO - Unicredit assume con l'Antitrust lo stesso tipo di impegno preso da ( da "Messaggero, Il" del 18-12-2007)

A gennaio, la Sinistra e i nodi di governo ( da "Liberazione" del 18-12-2007)


Articoli

La crisi della Rai raccontata da dentro A proposito della situazione della Rai durante l&# (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Stampa, La" del 15-12-2007)

 

La crisi della Rai raccontata da dentro A proposito della situazione della Rai durante l'ultimo governo di centrodestra, finalmente sta emergendo che l'ostracismo a Biagi, Santoro e Luttazzi era solo la punta dell'iceberg, fatto in sé gravissimo ma anche un chiaro avvertimento a quanti non intendevano accettare il nuovo corso. In quel periodo il vero controllo fu esercitato a livello industriale, sulle strutture operative in grado d'intervenire sulla competitività dell'azienda e i dirigenti che non si allineavano venivano emarginati; ne so qualcosa io che dirigevo la struttura industriale più grande della Rai - la produzione - e che fui immediatamente rimosso dall'incarico, sebbene nella delibera del Consiglio d'amministrazione che mi defenestrava mi si riconoscesse una grande professionalità. Saccà, che mi giubilò, mi confessò anni dopo che fu una delle decisioni più "dolorose e sgradite" della sua carriera. Peccato che la decisione spettasse solo a lui, in qualità di direttore generale e che sopra di lui, teoricamente, non ci fosse nessuno. L'allora presidente Baldassarre mi spiegò che contro di me non c'era nulla di personale né di professionale, in quanto le mie capacità erano unanimemente riconosciute dall'azienda, e soprattutto nulla di politico. Resta, mi pare, ma non vorrei fare il processo alle intenzioni, la mia ferrea volontà di difendere il servizio pubblico anche nei suoi interessi materiali. Il controllo industriale ha consentito, tra l'altro, l'avvio di un digitale terrestre più mirato forse a salvare Rete4 che a modernizzare il Paese, ma questa è una storia lunga. Quando tu eri presidente Rai e io uno dei tuoi assistenti abbiamo cercato di ripristinare un minimo di garanzie sulla gestione dell'azienda e sulla sua organizzazione, ma i numeri nel Cda erano contro di noi e abbiamo fallito. Avremmo potuto ottenere di più? E se è così, dove abbiamo sbagliato? MAURIZIO ARDITO TORINO Questa lettera contiene un evidente conflitto d'interesse per me, che del resto è stato chiaramente esposto anche da chi scrive: dopo essere stato giubilato, come lui racconta, Ardito fu ripreso in presidenza Rai dal 2003 al 2004. Non risponderò dunque alle sue domande, perché significherebbe rubare spazio al giornale per un dialogo a due. Ma pubblico ugualmente la lettera: Ardito, infatti, ben prima di lavorare con me pochi mesi, ha trascorso una vita in Rai. Ingegnere, è stato direttore del Centro produzione ed è insomma uno di quei tanti dirigenti che, senza nessuna visibilità, costituiscono l'"oro" della Rai. Ardito è anche un torinese e ha diretto a lungo anche il Centro produzione di questa città. Oggi è in pensione, un prepensionamento da lui stesso voluto per sganciarsi da una situazione irrisolvibile. Per questo pubblico: Maurizio Ardito è uno dei molti esempi di cosa significhi la crisi di un'azienda.


Libertà e giustizia: che brutto paese colpisce il silenzio del centrosinistra (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Repubblica, La" del 15-12-2007)

 

La polemica Libertà e Giustizia: che brutto paese colpisce il silenzio del centrosinistra ROMA - "Che brutto paese che siamo diventati". è quanto scrive Sandra Bonsanti sul sito di Libertà e Giustizia dopo aver letto gli articoli di D'Avanzo sull'inchiesta napoletana. "Quello che impressiona non è tanto l'ennesima conferma di quanto sia caduta in basso la cultura politica italiana - dice - quanto il silenzio e l'imbarazzo del centrosinistra e del governo rispetto alla possibilità che esistano le prove sia del tentativo di corruzione di senatori, sia di quanto sia profondo il marcio costituito dalla mancata soluzione del conflitto di interessi e di adeguate leggi sulla tv pubblica". L'esponente di L&G è convinta che il dialogo sulle riforme "non deve ritardare l'approvazione di quelle regole invocate ormai dal '93-'94". "Vogliamo esser normali, ma non lo siamo. E non basta un incontro con Berlusconi a cambiare la situazione". Resta, quindi, "da capire quanta voglia ci sia nel nuovo partito che guarda al domani di non fare orecchi da mercante".


Tre poteri separati e ben squilibrati (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Corriere della Sera" del 15-12-2007)

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Opinioni - data: 2007-12-15 num: - pag: 48 categoria: BREVI Tre poteri separati e ben squilibrati S ilvio Berlusconi è nuovamente indagato, mentre i due magistrati (Clementina Forleo e Luigi de Magistris) che indagavano su personalità del centrosinistra sono stati censurati dal Consiglio superiore della magistratura. Ma non penso - a differenza di Berlusconi - sia il (supposto) colore politico delle toghe a motivare le indagini nei suoi confronti. Anche questa indagine, ne sono convinto, si risolverà secondo Giustizia. Sono, invece, dell'opinione sia un tacito "patto di non aggressione" fra la corporazione dei magistrati e i partiti della sinistra a spiegare i casi Forleo e de Magistris. La sinistra non farà mai una seria riforma del sistema giudiziario e la magistratura avrà sempre per essa un occhio di riguardo. In Italia, c'è separazione ma non equilibrio fra i tre poteri dello Stato: Parlamento, governo, ordine giudiziario. La separazione sta nella Costituzione; l'equilibrio dipende dalla contrattazione fra i poteri. Il meccanismo di pesi e contrappesi - ciascun potere fa da contrappeso all'altro - è saltato. Ogni potere è una monade, all'interno della quale fa quello che gli pare. Parlamento e governo ricorrono alla legislazione per farsi le leggi che più convengono alla maggioranza del momento, contro i principi universali del Diritto. La Corte costituzionale - che avrebbe il compito di valutarne la legittimità - ne asseconda, secondo i suoi critici, le posizioni politiche. La corporazione dei magistrati difende i propri interessi negoziandoli con Parlamento e governo. L'ordine giudiziario ne diventa lo strumento di pressione quando entra in conflitto con gli altri due poteri. A molti osservatori era parso inspiegabile il richiamo del presidente della Repubblica, e del Consiglio superiore della magistratura, "a non inserire in atti processuali valutazioni e riferimenti non pertinenti e chiaramente eccedenti rispetto alle finalità dei provvedimenti ". La richiesta della Forleo al Parlamento di poter utilizzare le intercettazioni telefoniche di Fassino, D'Alema e Latorre era - a giudizio di molti giuristi - ineccepibile sotto il profilo formale. Non credo di mancare di rispetto alla figura istituzionale del presidente della Repubblica - che a me pare farisaico continuare a ritenere, chiunque egli sia, una sorta di Immacolata Concezione al di sopra delle parti politiche - se dico che, più di una giusta raccomandazione tecnica, le sue parole, a me (e non solo a me) sono parse un messaggio politico. L'accusa successiva del Procuratore generale della Cassazione alla Forleo di comportamento "abnorme " e la decisione del Csm di avviare una procedura per il suo trasferimento avvalorano l'impressione che la vera colpa della Forleo - a parte le sue comparsate televisive, queste, sì, da censurare - sia di non essere stata ai patti. Lei e de Magistris avrebbero creduto di essere dei magistrati; erano solo le pedine di un gioco politico. I media avevano massacrato i Ds. Il Csm li ha difesi. Giustizia - " famola strana ", direbbe il personaggio di Carlo Verdone - è fatta. La domanda, a questo punto, è: siamo ancora uno Stato di diritto? postellino@corriere.it \\ Sono saltati pesi e contrappesi tra Parlamento, governo e sistema giudiziario.


Trattare con Silvio? Sì, è imbarazzante (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Manifesto, Il" del 15-12-2007)

 

Ferrero "Proporzionale per ricostruire la sinistra" Il ministro: "Recuperare la dimensione di classe" Trattare con Silvio? Sì, è imbarazzante Vicenza? Non mi basta Napolitano. Il governo ha fallito. Pronto a dimissioni se la verifica va male Andrea Fabozzi E' ancora dei morti della Thyssen, dei funerali "di classe" ai quali ha partecipato a Torino che il ministro della solidarietà sociale Paolo Ferrero, Rifondazione, vorrebbe parlare. Ha ricavato la convinzione che la sinistra politica ormai "galleggia sulle dinamiche sociali". "Operai senza politica", dice il ministro, preoccupato che la "Cosa rossa" finisca con l'essere "solo un processo di unificazione della rappresentanza" mentre il problema è "se riesce a ricostruirsi dentro la condizione proletaria". Ma riuscirci dal governo, o almeno da questo governo, sembra una sfida impossibile. E' difficile perché dagli operai ci viene una domanda di efficacia, non solo una domanda di stare dalla loro parte. Vogliono vedere cosa si porta a casa su sul salario. E' un'esigenza anche nostra per tornare ad essere interni a quella composizione di classe. Oggi siamo troppo attenti, e lo dice un ministro, al meccanismo della rappresentanza, ma la politica avviene almeno ad un altro livello: la costruzione di una soggettività autonoma di classe. Qui siamo drammaticamente in ritardo. L'efficacia, non è lo stesso problema che avete con i movimenti? Voi ministri della sinistra avete scritto una lettera chiedendo la moratoria rispetto alla base di Ederle, vi ha risposto picche Napolitano da Washington. E oggi a Vicenza rischiate i fischi. Non è la stessa cosa perché con i movimenti c'è una dinamica politica, e banalmente se noi fossimo all'opposizione questo problema non ci sarebbe. Invece il rapporto con con il proletariato è più complicato, anche se fossimo all'opposizione avremmo il problema esattamente identico. Proprio perché siamo una sinistra, siamo un partito che rischia di rimanere esterno alle dinamiche della classe in quanto tale. Il raddoppio della base di Vicenza continuo a giudicarlo un errore grave del governo e la risposta di Napolitano non è quella che mi interessa, abbiamo scritto a Prodi e deve risponderci lui. Basterà la verifica di governo che chiedete a gennaio per rimettere la sinistra sulla strada della sua base sociale? Quella verifica avrà al centro le questioni sociali, il reddito, il fisco, la sicurezza sul posto di lavoro, gli orari. E l'immigrazione che rappresenta un altro pezzo di proletariato, molto diverso e con ulteriori elementi di separatezza. E se la verifica va male è pronto a dimettersi? E' evidente che non si può stare in un governo che fa le cose sotto dettatura di Dini. Non è per quello che abbiamo preso i voti e devo dire nemmeno l'Unione. A proposito, che fine ha fatto la consultazione dei militanti alla quale avevate deciso di affidare la permanenza di Rifondazione al governo? Rimane e i dirigenti del partito ci stanno lavorando, puntiamo a farla se possibile come consultazione di tutte le forze di sinistra. Ma con il resto della sinistra arcobaleno proprio Rifondazione sta rompendo avendo scelto di seguire Veltroni e Berlusconi sulla strada della riforma elettorale. Non è così, sono molto d'accordo con il segretario del mio partito Giordano che ha spiegato l'importanza di far partire la discussione, altrimenti si finisce al referendum. E' una valutazione che può essere discutibile ma al momento noi diciamo solo: 'bene che si sia cominciato a discutere'. Vogliamo andare a un modello di tipo tedesco, per cui la bozza Bianco così com'è non è votabile. Servono due modifiche pregiudiziali: il doppio voto e il recupero nazionale dei resti. Dunque penso che gli elementi di contrasto a sinistra, che effettivamente oggi sono molto forti, si possano ridurre. Perché la nostra è una posizione politica, non dettata da egoismo di partito. Scegliamo il proporzionale dentro un processo unitario, non ci stiamo preoccupando solo di piazzare l'asticella dove va bene a Rifondazione. L'obiezione è che con lo sbarramento sareste in condizioni di imporre l'unità, non di offrirla. Chi ha spinto per il processo unitario siamo noi, non abbiamo mai fatto i furbi. Rendiamoci conto che il sistema bipolare non ci mette in condizione di rispondere ai drammi sociali con la forza e la rapidità che servirebbero. L'abbiamo verificato e io toccato con mano in questo anno e mezzo. La ricostruzione della sinistra in termini strategici oggi deve passare per un grado di autonomia elettorale che il proporzionale assicura, altrimenti quando vai a governare assieme alla sinistra moderata non fai altro che costruire le condizioni perché ritornino le destre non riuscendo a fare quello che devi. Stai parlando dunque di ritorno all'opposizione, è a questo che serve il sistema proporzionale più che alla autonomia elettorale? Non necessariamente. Anzi sarebbe auspicabile riuscire a trovare un'intesa con il Pd. Ma bisogna mettersi in condizione di poter scegliere. No all'accordo obbligato in nome del pericolo di destra, no al governo coatto. Oggi la situazione richiederebbe scelte profonde e radicali che questa coalizione non è in grado di fare, anche al di là di Dini. La ricostruzione della sinistra, che per me è l'aspetto politico del problema della ricostruzione del movimento operaio, passa dal sistema proporzionale. E' il "fallimento del centrosinistra" di cui ha parlato Bertinotti? Rispetto alle aspettative che aveva suscitato è evidente che questo governo ha fallito. Ma non imbarazza avere Berlusconi come interlocutore privilegiato? Trattare con Berlusconi mi imbarazzerebbe moltissimo. Ma la legge elettorale è una questione di stretta competenza del parlamento, e in parlamento c'è anche Berlusconi con il suo conflitto di interessi e la sua capacità corruttiva di cui stiamo avendo prova. Il conflitto di interessi c'è e resterà visto che il centrosinistra ha dimenticato la legge. E' uno dei problemi di questa maggioranza.


Consulenze d'oro, risultati zero (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Libero" del 15-12-2007)

 

Roma 15-12-2007 Consulenze d'oro, risultati zero M. Maselli NATALIA ALBENSI Settecento mila euro di consulenze pagate, ma nessun risultato raggiunto. È questa la storia della vendita del patrimonio immobiliare delle Asl. Infatti, nonostante una legge votata lo scorso anno nella Finanziaria regionale stabilisse la vendita degli immobili appartenenti alla Comunione delle Asl "al fine di pervenire all'azzera mento del disavanzo sanitario", fino ad oggi, in questo senso, non è stato fatto nulla. Gli immobili non sono stati venduti, e, di conseguenza, la regione non ha incassato. Nel frattempo, però, la Comunione delle Asl, che gestisce il patrimonio immobiliare delle aziende sanitarie, ha deciso di affidare a professionisti esterni consulenze per centinaia di migliaia di euro. Ben 150 mila euro all'anno destinate a un avvocato del Foro di Bologna e a una commercialista, sempre con studio a Bologna, per consulenze stragiudiziali di assistenza e per la revisione e la ristrutturazione contabile. A chiedere immediata chiarezza sulla situazione inerente la mancata vendita degli immobili appartenenti alle Asl e sugli incarichi di consulenza professionali affidati all'ester no, è stato il capogruppo dell'Udc alla Pisana, Massimiliano Maselli. Il consigliere chiede spiegazioni innanzitutto sul perché siano state scelte due consulenti che lavorano in un'altra città piuttosto che due professionisti della nostra regione. E non solo. "È stato dato un incarico all' avvocato Maria Rosaria Russo Valentini, che gode di varie consulenze nelle singole aziende sanitarie e sembra avere anche un conflitto di interessi, visto che lavora sia per le aziende che per la Comunione, e nel frattempo difende anche alcuni soggetti che sono in causa proprio con le aziende sanitarie", spiega Maselli. Che fa poi riferimento a una società regionale, la RisorSa s.r.l., deputata alla gestione dei patrimoni immobiliari, e sopravvissuta, tra l'altro, al taglio delle società partecipate avviato la scorsa estate, che di fatto sembra essere stata esclusa dalla questa vicenda. "Perché Nieri sta mettendo da parte RisorSa s.r.l.? A chi vuole fare gestire queste vendite? A questo punto", conclude Maselli, "mi chiedo dove siano il risparmio e la trasparenza di cui parla tanto da quando si è insediato". Salvo per uso personale è vietato qualunque tipo di riproduzione delle notizie senza autorizzazione.


Porto, la ferita aperta (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Giornale.it, Il" del 15-12-2007)

 

Di Redazione - sabato 15 dicembre 2007, 07:00 (...) al Partito Democratico) abbiano quella comprovata esperienza nella materia marittima logistico portuale richiesta come presupposto essenziale dalla legge. La città vuole vedere i curricula, conoscere i programmi e le competenze specifiche, non è disponibile ad accettare che si decida tutto nelle segrete stanze di un partito. Ci domandiamo inoltre perché nessuno abbia fatto un bilancio della stagione dei presidenti nominati dal centro-destra, in cui hanno prevalso il profilo manageriale aziendalistico operativo sul profilo politico burocratico. Siamo proprio sicuri che le presidenze Zacchello, Montanari, Moscherini, Novi, Bonicciolli e Canavese, alcune delle quali ancora in piena attività, siano tutte da buttare? È l'ora di sottolineare la necessità di una riforma legislativa in quanto i compiti richiesti al Presidente dell'Autorità Portuale sono troppo vasti e difficilmente concentrabili in un'unica persona (non si può essere Buffon e Totti nello stesso giocatore) e, quel che è peggio, il Presidente deve attenersi a normative che fanno a pugni con il bisogno di decisioni veloci ed efficienti (prima fra tutte l'impossibilità di gestire un comitato portuale di trenta persone la cui metà è in palese conflitto di interessi con una politica portuale a vantaggio della Città e del Paese). È certamente importante ricordare che il Giappone, che ha una struttura economica simile alla nostra (importazione di materie prime e esportazione di prodotti finiti), ha completamente liberalizzato tutto il sistema portuale per rispondere ai cambiamenti della globalizzazione. Allora si decida alla luce del giorno e si spieghi perché si vuole tornare indietro alla nomina politico-burocratica e non si preferisce, in una logica di continuità, correggere gli aspetti nei quali, i predecessori, avessero eventualmente deluso. In tal senso, il mondo delle categorie imprenditoriali genovesi, se non vuole essere corresponsabile di tale situazione, deve compiere un atto di coraggio ed uscire dal vecchio sistema. Non perdiamo, però, quest'altra e forse ultima occasione. I genovesi non sentono nessun bisogno di investire su un veneziano (e ci auguriamo che in futuro non dimenticheranno lo schiaffo ricevuto dal sindaco Vincenzi che non ha trovato, tra i propri concittadini, nessuna candidatura all'altezza); investiamo su un nostro concittadino che abbia il centro della sua attività (produttiva e realmente professionale) e - perché no? - anche dei suoi affetti, in città così ad essa sarà più legato ed anche più impegnato nell'esercizio del suo lavoro.


Profumo accusa: troppi conflitti d'interesse nei giornali (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Unita, L'" del 16-12-2007)

 

Stai consultando l'edizione del EDITORIAL'amministratore delegato di Unicredit: "L'azionista ideale di una società di media è chi fa solo quel mestiere" Profumo accusa: troppi conflitti d'interesse nei giornali Marco Tedeschi "Andrebbero tagliati i rapporti tra chiunque svolge attività economica e l'editoria". È quanto afferma in un'intervista a La Stampa, l'ad di Unicredit Alessandro Profumo. Una dichiarazione che arriva proprio nel momento in cui la banca ha annunciato la propria disponibilità a uscire da Rcs. "Noi siamo un soggetto economico - spiega Profumo nell'intervista -. L'azionariato ideale di una società di media è composto da soggetti che fanno solo quel mestiere. Penso che un giornale debba avere il massimo dell'indipendenza ed essere fatto per i lettori, così da avere il massimo successo economico". Una dichiarazione che, con inevitabili venature polemiche, sembra guardare al "resto" del patto di sindacato che governa Rcs nel quale prosperano bei nomi dell'imprenditoria: dall'ultimo padrone di Milano, Salvatore Ligresti, l'immobiliarista, a Mediobanca. Partendo proprio dal 9,37% di Mediobanca ereditato dalla fusione con Capitalia, come peraltro annunciato da tempo, Unicredit ha avviato una campagna di dismissioni rilevanti. Il perfezionamento dell'operazione è atteso per domani e Piazza Cordusio potrà mettere in cascina una plusvalenza di 549 milioni di euro. Quanto agli altri dossier, entro l'anno si dovrebbe chiudere il capitolo Fiat, con una nuova ricca plusvalenza, nonostante i capricci del titolo in Piazza Affari nelle ultime settimane, rispetto alla sottoscrizione avvenuta in epoca pre-Marchionne con il prestito-ponte che aveva consentito il salvataggio del Lingotto. Con il nuovo anno, invece, sarà la volta di Rcs. In questo caso è scattata la procedura di prelazione da parte dei soci aderenti al patto di sindacato e, come ha spiegato Giuseppe Lucchini, che all'interno del salotto di via Rizzoli rappresenta Sinpar, non vi sono dubbi che la risposta da parte dei pattisti sarà collegiale. A chi gli chiedeva se Sinpar fosse interessata a rilevare la propria quota di pertinenza in Rcs, Lucchini ha infatti replicato di ritenere che "lo faranno tutti". Diverso è il discorso per Fiat. Qui Piazza Cordusio era entrata nel settembre del 2005 a 10,28 euro per azione e dopo poco più di due anni il titolo oscilla intorno a quota 18 euro, raggiunti anche nel corso del saliscendi registrato ieri in Piazza Affari. C'è chi ipotizza tra gli operatori che sia stato proprio l'annuncio di Unicredit a determinare le oscillazioni del titolo nelle ultime settimane, ma in realtà quest'ultimo ha sofferto già nel corso dell'estate (dopo aver raggiunto nei mesi scorsi massimi oltre i 24 euro), a causa della crisi dei mutui "subprime". Unicredit sarà così l'ultima delle grandi banche a lasciare il Lingotto, dopo che man mano hanno venduto Sanpaolo e Banca Intesa (allora ancora divise, ndr), Capitalia, Bnl, Mps, Abn Amro e Bnp Paribas.


Due consigli per le banche (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Unita, L'" del 16-12-2007)

 

Stai consultando l'edizione del Due consigli per le banche Angelo De Mattia Mediobanca, come altre banche, ha all'esame la risposta alla consultazione pubblica promossa dalla Banca d'Italia sulla bozza di disposizioni di vigilanza in materia di governo societario degli istituti di credito. Con la fine di novembre è scattato il termine, che però non è perentorio, di conclusione della consultazione. Le progettate disposizioni, conseguenti alla riforma del diritto societario, riguardano la governance delle banche, con particolare riferimento al modello duale, cioè l'assetto di vertice composto di due organi, consiglio di sorveglianza e consiglio di gestione. Questa materia non è solo destinata agli addetti ai lavori. Riguardando innanzitutto la funzionalità degli organi, il bilanciamento dei relativi poteri, il contraddittorio dialettico tra i rispettivi titolari, la prevenzione delle commistioni e dei conflitti d'interesse, il corretto rapporto tra proprietà, gestione e manager, è materia che si riflette, in ultima analisi, sul modo di decidere e di operare della banca, sulle sue strategie, sulle sue relazioni con la clientela: insomma, su tutto ciò che dell'azienda di credito vede il normale cittadino; più in generale, sulla tutela del risparmio. La governance duale - con il consiglio di sorveglianza preposto al controllo e alla supervisione strategica, e il consiglio di gestione, cui spetta l'operatività - è stata adottata da diverse banche, in luogo della governance monistica (il solo consiglio di amministrazione); ha consentito di affrontare bene la costruzione delle nuove entità a seguito delle aggregazioni che hanno interessato diversi istituti, e di definire in maniera equilibrata il rapporto tra azionisti, loro presenza nel consiglio di sorveglianza, e il consiglio di gestione, con funzioni separate e distinte. Il duale deve comunque ritenersi ancora in fase sperimentale. Intanto tra correzioni, messe a punto e prescrizioni interviene l'ipotesi, che si estende anche al sistema monistico, di istruzioni Bankitalia. Esse mirano ad esaltare la funzione dialettica dei due organi del duale, a impedire commistioni per esempio nella gestione delle partecipazioni, a limitare la proliferazione di cariche affini nelle banche minori, a disciplinare il sistema delle deleghe conferibili, nonché la nomina dei consiglieri indipendenti, la materia dei controlli, i tetti per la remunerazione di alcune cariche. In questo quadro sono fissate linee applicative distinte per il monistico e per il duale. Fra queste ultime, il divieto per il presidente del consiglio di sorveglianza di partecipare alle riunioni del consiglio di gestione o di presiedere il comitato di controllo interno ovvero, ancora, di ricoprire cariche nel consiglio di amministrazione o nel consiglio di gestione di società controllate o collegate. È poi fissata una serie di limitazioni e di specificazioni sia per il duale sia per il monistico (per esempio sui componenti degli organi a seconda che siano "esecutivi" o no). Poiché lo scopo di una consultazione pubblica, in armonia con gli indirizzi europei e con la legge sulla tutela del risparmio, è quello di esaminare le reazioni innanzitutto dei soggetti interessati, eventuali osservazioni e pareri difformi su determinati aspetti non dovrebbero suscitare alcuna apprensione. Tanto più perché si tratta, nel caso di specie, di una materia nuova e complessa che si caratterizza per il fatto che il duale, dopo i primi tentativi degli anni Ottanta poi abortiti, è entrato per la prima volta nel sistema bancario solo nel 2006. Del resto, nella tradizione della Banca d'Italia vi è sempre stato un ampio coinvolgimento di esperti, come è avvenuto più volte con il fior fiore della cultura giuridica, in occasione per esempio delle riflessioni sull'ordinamento della banca pubblica, sulla predisposizione del testo unico bancario etc. Il documento dell'Istituto di via Nazionale ha il merito di affrontare compiutamente tutte le diverse problematiche che possono insorgere nel funzionamento degli organi societari. E si segnala così l'attenzione forte che su questo punto nodale della vita delle banche - il governo societario appunto - l'Istituto è venuto via via concentrando, quasi a fargli prendere il posto, ai fini della stabilità e della sana e prudente gestione, che nei lontani anni avevano i procedimenti autorizzativi relativi all'operatività. Una vigilanza che, insomma, sposta progressivamente la sua ottica concentrandola nei momenti chiave della capacità decisionale delle banche, senza naturalmente ingerirsi o supergestire. Si stabiliscono, dunque, dei binari perché i banchieri governino in modo corretto, trasparente, scevro di conflitti d'interesse e di incompatibilità. Detto ciò, va pure rilevato che sarebbero preferibili disposizioni più incisive, secondo una più comprensibile tecnica normativa che separi motivazioni e presupposti da prescrizioni e sollecitazioni (espungendo "il troppo e 'l vano", come dice il Poeta). Ma, quel che più conta, vi è una domanda da formulare: quanto è possibile disporre attivando i poteri regolamentari - fonte normativa subordinata - derivanti dal testo unico bancario per derogare, in alcuni casi, alle norme primarie del diritto societario? Per esempio, per limitare la partecipazione dei membri del consiglio di sorveglianza alle sedute del consiglio di gestione, considerato che la legge conferisce questa facoltà a tutti indistintamente i membri costituenti il primo consiglio? Alcune prescrizioni risalgono chiaramente ai poteri di vigilanza regolamentare: si ritiene che sia possibile derogare alle fonti primarie quando il consiglio di sorveglianza, oltre ad avere compiti di controllo, ha anche attribuzioni in materia strategica? Basta, a tal fine, ricollegarsi al generale principio della sana e prudente gestione per legittimare le limitazioni? Che, per esempio, non sono previste per il collegio sindacale versus il consiglio di amministrazione. Non è qui in questione tanto il merito delle disposizioni - anche se in alcuni i casi i perché di una scelta potrebbero essere fondatamente avanzati, come per i limiti alle presenze negli organi delle imprese partecipate da banche - quanto il poter conseguire la certezza della copertura della norma superiore, in difetto di che anche le più sagge istruzioni potrebbero soffrirne. E, poi, sussistono sempre proporzionalità e adeguatezza per le limitazioni e i controlli posti a carico della governance delle banche minori? Infine, è da escludere che il funzionamento del duale, che finora ha presentato anche dei problemi, come accennato prima, sia ancora sotto osservazione, prima di trarne definitivamente tutte le conclusioni? Ciò non toglie nulla all'importanza e all'efficacia del lavoro di predisposizione normativa svolto e a quelle che certamente avranno gli ulteriori interventi, una volta vagliati i risultati della consultazione.


"Un conflitto d'interessi Non c'è stata trasparenza ma solo scelte clientelari" (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Stampa, La" del 16-12-2007)

 

L'accusa: il senatore Malan "Un conflitto d'interessi Non c'è stata trasparenza ma solo scelte clientelari" Il senatore Lucio Malan ha inviato al ministro dell'Interno e per le riforme e le innovazioni nella Pubblica Amministrazione un'interpellanza con la quale lo sollecita ad intervenire e fermare questo modus operandi. Come ha preso il via questa sua azione? "Sono stato informato dai consiglieri Alida Revel e Stefano Drago, mi sembra che siamo davanti ad un comportamento che provoca un grave danno alle casse del Comune di Pinerolo e per questo è necessario un intervento". Nella sua interpellanza lei solleva anche il problema che ad amministrare questa società voluta dal Comune sia stato messo un dirigente del Comune stesso. "L'amministratore unico si trova in una posizione di conflitto di interessi, essendo responsabile dell'ufficio le cui carenze rendono necessario avvalersi di una società esterna. Nella mia interrogazione ho scritto che è evidente che meno l'Ufficio Entrate è stato efficiente nel riscuotere i tributi, più la Sistemi Territoriali incassa, senza alcun rischio di impresa e senza dover svolgere il più piccolo lavoro, una volta affidato il tutto ad una società di fiducia (Azienda Sviluppo Multiservizi) e di pari orientamento politico". Oltre all'interpellanza lei come pensa di affrontare la questione? "So che se ne parlerà anche nell'ambito del programma di Rai 3, "Ballarò", ma nello stesso tempo intendiamo organizzare a Pinerolo degli incontri per rispondere a tutte le domande". Sono molti i Comuni che non potendo gestire in proprio il problema dell'evasione fiscale, a causa della finanziaria che blocca le assunzioni, si affidano a società esterne: il caso di Pinerolo non rientra fra questi? "Qui la vicenda è diversa, si sono adottati escamotage per evitare le gare d'appalto. E' mancata la trasparenza, anche se queste cose sono state affrontate in Consiglio comunale. Come cittadino, prima ancora che come politico, trovo inaccettabile il meccanismo messo in atto dal comune di Pinerolo". \.


Perché alla regione il tempo si è fermato - nino alongi (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Repubblica, La" del 16-12-2007)

 

Pagina XIII - Palermo Perché alla Regione il tempo si è fermato NINO ALONGI (segue dalla prima di cronaca) La cronaca, come si evidenzia da questo piccolo spaccato del Paese, ci offre ogni giorno notizie più o meno interessanti e più o meno allarmanti, ma che hanno tuttavia una comune matrice: da anni sono sempre le stesse. Mutano in alcuni casi i luoghi e i protagonisti, ma la sostanza non cambia. è come se il tempo, in Italia e nell'Isola, si fosse fermato. Gli scenari in sequenza, che scorrono sui mezzi d'informazione, si ripetono come gli spot pubblicitari. Colpisce il generale adattamento delle persone. Una intera nazione vive e si comporta ormai come se avesse perduto la memoria. è una situazione allucinante. Ma forse è bene che sia così. Se provassimo a riflettere sul fascio di informazioni che si ricevono, ci sarebbe da stare poco allegri. Si scoprirebbe facilmente, ad esempio, che il clima di generale sospensione che si respira in questo periodo alla Regione, non è poi così diverso dall'atmosfera che si viveva negli stessi luoghi quando nel Paese iniziò, nel 1992, la stagione inquieta di "Mani pulite". Lo stesso discorso potremmo fare per quanto riguarda le riforme. Lo ricordano i più anziani. Si è iniziato a parlare di questi argomenti con il primo governo Craxi, nel lontano 1983. Da allora non abbiamo smesso, si sono elette commissioni parlamentari ad hoc, si sono pronunciati discorsi impegnativi, costruite alleanze e presentati estesi programmi, ma senza mai fare un passo avanti. E ancora: imperterriti ci scandalizziamo ogni volta che parliamo del mancato sviluppo del Mezzogiorno o ci commuoviamo per il quotidiano stillicidio di morti sul lavoro. Sappiamo benissimo che non abbiamo mai provato a rimuovere le cause vere che nel secondo Dopoguerra hanno ritardato lo sviluppo del Sud e sappiamo altrettanto bene che, esaltando il profitto, deliberatamente abbiamo messo a rischio buona parte del lavoro nei cantieri e nelle fabbriche. Le stesse diatribe tra l'ex presidente del Consiglio e i giudici, come dovremmo ricordare, non hanno niente di estemporaneo. Sono legate alla crisi della giustizia e al conflitto di interessi che non si sono voluti o non si sono saputi affrontare seriamente in tutti questi anni. E, infine, le targhe alterne a Palermo. Che cosa rappresentano se non il segno di un'immobilità amministrativa che inchioda la città a vivere nell'eterna precarietà? "Tutto il mondo ama l'Italia", ha scritto in questi giorni Ian Fisher sul New York Times, ma ha subito aggiunto che il Paese, che nel 1987 festeggiava la conquistata parità economica con l'Inghilterra, oggi è in forte declino. La situazione è probabilmente anche peggiore di quella che viene descritta all'estero. Il Paese, in verità, non solo sta perdendo la memoria, sta perdendo anche l'identità. In queste condizioni ci si muove per tribù contrapposte, e il denaro e l'inganno sopravanzano il sapere e il saper fare. Avanza anche l'antipolitica. Essa - rivela Ilvo Diamanti - più che "rifiuto" evoca "domanda" di politica. Nostalgia di futuro. La nazione vista dalla Sicilia e attraverso la Sicilia non invita purtroppo all'ottimismo. Al palazzo di giustizia il procuratore aggiunto Roberto Scarpinato, nel corso di una conferenza stampa, parlando delle ultime inchieste di mafia nel Trapanese, ha colto l'occasione per raccomandare agli elettori di quella provincia di essere più accorti al momento del voto per evitare l'elezione di personaggi scomodi. Si tratta, come ben comprende il lettore, di una pia illusione. Gli elettori trapanesi (e non solo gli elettori trapanesi) continueranno a votare come hanno sempre votano nel passato, e lo faranno fino a quando il Paese resterà fermo e sarà rappresentato da uomini senza illusioni, solo carichi di anni, e fino a quando la scala dei valori non tornerà a essere quella di un Paese civile.


Il dramma torinese e le multinazionali (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Corriere della Sera" del 16-12-2007)

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Opinioni - data: 2007-12-16 num: - pag: 34 categoria: REDAZIONALE A conti fatti di Massimo Mucchetti Il dramma torinese e le multinazionali I l minuto di silenzio, osservato dall'assemblea dei soci ThyssenKrupp in memoria dei 4 operai morti a Torino, è un segno di rispetto, ma non può nascondere un'ambiguità amara: la crescita dei profitti, che l'assemblea celebra, ha qualcosa a che fare con il sangue versato. Del resto, oggi sono azionisti i padroni delle ferriere quanto i fondi pensione dei dipendenti. Globalizzazione, flessibilità, massimo ritorno sul capitale: la tragedia svela di che lacrime grondino e di che sangue quando diventino feticci di un nuovo integralismo anziché fenomeni inevitabili e obiettivi legittimi, e però governabili con il senso del limite. La ThyssenKrupp, allora soltanto Krupp, acquisì lo stabilimento piemontese dall'Iri nel 1994. Ebbene, in 13 anni i tedeschi non hanno trovato il tempo e i soldi per applicare alla linea 5 di Torino la barriera d'azoto della gemella di Essen, che, dice La Stampa, avrebbe potuto evitare la strage. Dei 9 operai coinvolti nell'incidente, 3 stavano facendo 4 ore di straordinario in aggiunta alle normali 8 in uno stabilimento che chiuderà l'anno prossimo e, nel frattempo, intende tener fede ai programmi di produzione nonostante in pochi mesi se ne sia andata la metà del personale più qualificata e dunque più consapevole dei pericoli. L'incidente è avvenuto nella notte, quando prevale la stanchezza. Con salari bassi e la disoccupazione in vista, gli operai torinesi hanno accettato rischi che i loro colleghi tedeschi, meglio garantiti, non avrebbero tollerato. In Italia, le leggi di prevenzione esistono. Ma se i responsabili della sicurezza sono condizionati dagli obiettivi produttivistici e dai vincoli di spesa decisi dall'alto per avere i risultati necessari a sostenere le quotazioni del titolo, la legge 626 resterà una grida manzoniana. Se i sindacati sono deboli, verrà meno pure il controllo sociale. E oggi i sindacati, anche la Fiom-Cgil, sono deboli perché non hanno più una rete di delegati capace di leggere il processo produttivo. In Germania, la sicurezza è codecisa da direzione e rappresentanze dei lavoratori. In Italia no. Il sindacato ha diritto all'informazione e, se del caso, alla vertenza. Il sistema tedesco sopravvive al variare dei rapporti di forza tra capitale e lavoro, quello italiano si arenò negli anni '70 quando il sindacato dei consigli non volle istituzionalizzarsi per non perdere la verginità rivoluzionaria. Comunque sia, adesso, sindacati e governi potrebbero chiedere alle multinazionali di dichiarare Paese per Paese il costo del lavoro e la composizione del personale, le spese e gli investimenti per la sicurezza, gli infortuni e le malattie professionali dei propri dipendenti e di quelli delle ditte appaltatrici. L'informazione è potere. E responsabilità. Le burocrazie sindacali e aziendali hanno spesso preferito la mistica del conflitto e l'ipocrisia sovietica dei bilanci sociali. Agli analisti della City certe notizie non interessano. Ma una Repubblica fondata sul lavoro dovrebbe pretenderle. Anche per dare alle Cine del mondo un mattone per farsi le loro Ig-Metal o, almeno, le loro Fiom, premessa per avere di là più sicurezza e di qua meno dumping sociale. \\ Come uscire dalla mistica del conflitto e dalle ipocrisie dei bilanci sociali mmucchetti@corriere.it.


In una intervista alla Stampa teorizza di tornare alla ricetta dell'editore puro (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Liberazione" del 16-12-2007)

 

Editoria, Profumo (Unicredit) "Via i legami tra banche e giornali" Fabio Sebastiani Taglio netto ai rapporti tra economia ed editoria. Non un pericoloso estremista ma l'amministratore delegato Alessandro Profumo, ieri dalle colonne della "Stampa" ha dettato la ricetta per imass media italiani. Profumo, che nello specifico parla del percorso di Unicredit in Rcs e della relativa cessione delle quote azionarie, non ha nessuna paura di passare da naif. Anzi, indica nella "massima indipendenza" dei giornali l'unico orizzonte possibile. Solo così i giornali saranno in grado "di essere fatti per i lettori". In Italia, molte testate, anche dei blasonati giornali di informazione, sono legate a istituti bancari, gruppi finanziari o imprese. Non esiste, in sostanza, quello che viene chiamato "l'editore puro". "L'azionariato ideale di una società di media è composta da soggetti che fanno solo quel mestiere", sottolinea Profumo. La cessione della quota detenuta in Rcs? "In linea con il comportamento che abbiamo già avuto qualche anno fa", risponde. "Non è il caso che Unicredit faccia, anche se con una piccola quota, anche l'editore", conclude Profumo. Tra i primi a rispondere positivamente all'amministratore delegato di Unicredit, il capogruppo di Rifondazione alla Camera Gennaro Migliore. "Mi sembra - commenta - una voce fuori dal coro in un Paese come l'Italia dove i grandi centri di potere, anche quelli che riguardano la comunicazione di massa, sono nelle mani di pochi. La formazione di organismi indipendenti anche in questo campo - aggiunge - farabbe guadagnare autonomia e prestigio a tutti". "Non credo - insiste Migliore - che questa possa essere vista come un'utopia. Certo, è indispensabile, per compiere questo passo, che vi sia una reale volontà politica e soggettiva. Credo comunque che tutte le forze politiche debbano e possano essere interessate ad una più equilibrata divisione dei compiti nella società, che una scelta di questo tipo certamente contribuirebbe a realizzare". Per Pietro Folena, parlamentare del Prc, "l'Italia non è una repubblica fondata sul lavoro, ma sulle banche. L'interventismo dei gruppi bancari è una delle anomalie italiane". "Ringrazio Profumo prosegue Folena - se è lui che lo dice è una cosa importante". Folena però chiarisce: "Certo, se la disponibilità a cedere la quota in Rcs è una copertura per cedere la stessa quota a chi sa chi, questo non va bene". Secondo il presidente della commissione Cultura, "ci vogliono regole e principi per dare al sistema bancario meno incidenza sul corso di tutte le vicende economiche, politiche e del Paese in generale. Bisogna mettere un limite allo strapotere delle banche, e questo anche nell'interesse delle banche. Io poi, da uomo di sinistra, dico che è anche una cosa a favore dell'economia". Per Beppe Giulietti, portavoce di "Articolo 21" e parlamentare del Pd, la decisione di Profumo "è apprezzabile", "anche se temo che non troverà molti imitatori, dal momeno che non ci sono molte tracce di editori puri e non solo in Italia. Forse alla politica spetterebbe il compito di definire una rigorosa legge sui conflitti di interesse e una riforma complessiva del settore dei media e dell'editoria con l'obiettivo di favorire una maggiore autonomia rendendo l'Italia più simile ad altri Paesi europei". D'accordo con l'amministratore delegato di Unicredit anche Forza Italia. "Concordo pienamente con quanto affermato dall'amministratore delegato di Unicredit - dice Giampiero Cantoni vicepresidente del gruppo in Senato - sono anche favorevole a che i grandi gruppi non detengano partecipazioni nelle testate giornalistiche. Comprendo però che pretendere di avere un 'editore purò diventa sempre più difficile, quindi se le partecipazioni si mantengono sia fatto a condizione di non praticare nessuna ingerenza o partecipazione politica nella gestione". Per quanto riguarda la vicenda dell'Unità, infine, in procinto di essere acquisita dal gruppo Angelucci, editrice di Libero e del Riformista, ieri si è tenuto un incontro in Campidoglio tra il Comitato di Redazione dell'Unità e il leader del partito Democratico Walter Veltroni. Precedentemente il Cdr aveva incontrato Piero Fassino. "Abbiamo spiegato il senso delle nostre proposte: quelle del Comitato dei Garanti e della Carta dei Valori e dei Diritti. Da parte nostra c'e una valutazione positiva dei colloqui". La Carta dei Valori e dei Diritti è già pronta ed è stata messa a punto da Furio Colombo, da Alfredo Reichlin e da Clara Sereni. L'accordo che dovrà invece portare gli Angelucci al controllo del pacchetto azionario dovrebbe essere perfezionato a giorni, prima di Natale, probabilmente il 20 dicembre. 16/12/2007.


Lunedì il Csm decide la sorte di De Magistris (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Opinione, L'" del 17-12-2007)

 

Oggi è Lun, 17 Dic 2007 Edizione 275 del 15-12-2007 Si pronuncerà sulla richiesta di Mastella di allontanare il pm che ha indagato su di lui Lunedì il Csm decide la sorte di De Magistris Aperto anche un procedimento disciplinare nei confronti del magistrato di Dimitri Buffa Lunedì, con possibilità di arrivare fino all'11 e al 14 gennaio, si deciderà la sorte di Luigi De Magistris. Martedì quella di Clementina Forleo. In poco più di un mese, a cavallo delle feste di Natale, la sinistra di governo si toglierà due spine nel fianco. Con la complice approvazione del partito dei giudici che non difenderà questi due suoi campioni di giustizia mediatica. Perché con Mastella, Prodi e D'Alema, il gioco non vale la candela. E "passata la festa sarà gabbato lo santo", come dicono al centro sud. Avessero condotto inchieste sulle frequenze televisive, sulle vallette raccomandate da Berlusconi, sul caso Sme, sui diritti Mediaset, sul passaggio del giocatore Lentini dal Torino al Milan, avrebbero avuto la solidarietà della casta. Così invece sia Forleo sia de Magistris si sono dovuti accontentare di fare da fenomeni da baraccone dell'anti politica per risollevare l'audience di Santoro, sempre a rischio quando si gioca sul filo. Così ieri il presidente della sezione disciplinare del Csm, Nicola Mancino, su richiesta del Procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione, depositata ieri, ha fissato la discussione di merito del procedimento disciplinare promosso nei confronti del pm Luigi De Magistris, per l'udienza straordinaria dell'11 gennaio prossimo, alle 15. Con eventuali udienze straordinarie ulteriori nei giorni di sabato 12 gennaio e lunedì 14 gennaio 2008. Ci manca che lavorino anche di domenica. Resta anche confermata, come premurosamente ci informa il Csm, la data di lunedì 17 dicembre, alle 9.30, per la discussione e la decisione relativa alla richiesta di trasferimento cautelare urgente avanzata dal Ministro della Giustizia. Cosa che potrebbe fare chiudere le due pratiche, De Magistris e Forleo, anche prima di Natale con un po' di buona volontà. Senza nemmeno la necessità di usare per il pm della procura di Catanzaro l'arma in più della richiesta avanzata ieri dal Pg della Cassazione Mario dell Priscoli. Magistrato che ha ovviamente il dente avvelenato anche con la Forleo visto che la stessa lo tirò in ballo nelle proprie denuncie sulle pressioni relative all'inchiesta Unipol-Bnl. In questo caso la serenità d'animo e il non essere in conflitto di interessi da parte di taluni membri del Csm è un optional. Basta vedere il capo di incolpazione per rendersene conto: è lunghissimo e composto da ben undici rilievi considerati gravi. Peraltro la documentazione è stata consegnata al Csm dallo stesso Delli Priscoli, a sua volta sollecitato ad occuparsi del magistrato in questione dal Guardasigilli Mastella. De Magistris, che sarà difeso dal presidente della sesta sezione penale della Cassazione, Alessandro Criscuolo, attende anche il responso della prima commissione del Csm che nei giorni scorsi ha deciso di proseguire l'istruttoria sul suo caso e che dovrà anch'essa decidere se aprire nei suoi confronti una procedura di trasferimento d'ufficio per incompatibilità ambientale. Una decisione, quella di proseguire nell'istruttoria, tutt'altro che unanime. Presa mercoledì scorso dopo che la Commissione si era spaccata in due davanti all'interrogativo se aprire subito o meno una pratica di trasferimento. Ma al di là di tutte queste schermaglie procedurali cosa si rimprovera a De Magistris usando i soliti due pesi e due misure? Solo un pugno di frasi banali, fra cui "lo Stato in Calabria è poco presente", "la magistratura non è adeguata alla sfida", "c'è una magistratura troppo vicina al potere politico, soprattutto ora che guida il governo Prodi", frase quest'ultima che De Magistris aveva pronunciato a Strasburgo partecipando a un'iniziativa insieme al comico Beppe Grillo. Se fossero state proferite in inchieste riguardanti Berlusconi non avrebbero dato il via a nessuna iniziativa disciplinare.


"Il 2008? Sarà l'anno delle mie riforme" (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Opinione, L'" del 17-12-2007)

 

Oggi è Lun, 17 Dic 2007 Edizione 275 del 15-12-2007 L'ottimismo di Gentiloni "Il 2008? Sarà l'anno delle mie riforme" di Ettore Zago Per il ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni, "il 2008 sarà l'anno delle riforme nel settore televisivo". Un auspicio per il nuovo anno che sa tanto di preghiera a Babbo Natale e che il diretto interessato ha espresso a Uno Mattina, in occasione dell'avvio della maratona di Telethon. Gentiloni ha ricordato che entrambi i disegni di legge con il suo nome, quello sulla Rai e quello sul settore tv in generale, sono all'esame dei due rami dal Parlamento con speranze di successo: "La riforma generale del sistema televisivo arriverà in aula alla Camera agli inizi del prossimo anno; quella sulla Rai è all'attenzione della commissione competente del Senato. Sono convinto che il 2008 sia l'anno delle riforme, sia di quella generale del settore tv, sia di quella più specifica della Rai". Gentiloni ha colto l'occasione per lanciare un appello all'opposizione: "In materia di tv, purtroppo, ha un conflitto di interessi grande come una casa: è complicato perciò chiedere su questi temi un atteggiamento distaccato. Mi auguro comunque che sulla riforma generale del sistema tv ci sia un contrasto parlamentare leale, civile, tranquillo, senza gli insulti e le parole grosse che ho sentito volare anche in queste settimane. Sul ddl di riforma della Rai, invece, credo che si possa trovare un accordo. Voglio ribadire il mio appello al centrodestra in questo senso. Anche in questi giorni ho sentito voci importanti di disponibilità a un'intesa. Anche le intercettazioni e le inchieste di questi giorni confermano che la politica tende a intromettersi in ogni momento e in modo improprio nelle cose della tv pubblica". Un ottimismo forzato, che stride un po' con l'appello quasi disperato di Giorgio Merlo (Pd), vicepresidente della commissione di Vigilanza Rai: "E' perfettamente inutile alimentare la caccia alle streghe da un lato o continuare ad insabbiare le tristi vicende, dall'altro, che ormai settimanalmente investono la Rai e, più ingenerale, il sistema dell'informazione nel nostro paese. O si ha il coraggio di invertire la rotta inaugurando una stagione di riforme vere ed autentiche del settore, oppure periodicamente si ripeterà una farsa - ormai tragica - che getta discredito sull'intera politica offrendo un'immagine squallida di come viene gestita l'informazione e tutto ciò che ruota attorno alla gestione delle televisioni e della stessa produzione televisiva. Chi continuerà ad opporsi strumentalmente ed opportunisticamente alle riforme in campo, mi riferisco al ddl Gentiloni sull'intero settore e a quello sulla riforma della Rai, si assumerà anche la responsabilità, agli occhi della pubblica opinione, di conservare questo stato di cose, sempre più triste e degradato. Su questo versante è richiesto un colpo d'ala da parte di tutte le forze politiche responsabili. Altro che sognare le elezioni anticipate o interrompere la legislatura. E' in gioco, su questo versante, anche un pezzo della credibilità della democrazia italiana".


Malapolitica, ne parliamo con Antonello Caporale (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Voce d'Italia, La" del 17-12-2007)

 

La Voce d'Italia - nuova edizione anno II n.91 del 17/12/2007 Home Cronaca Politica Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura Sport Focus Politica Malapolitica, ne parliamo con Antonello Caporale "Impuniti : storie di un sistema incapace, sprecone e felice" Milano 15 dic. - Antonello Caporale, scrittore, è cronista politico di Repubblica dal 1989. Dopo il precedente libro "La ciurma" dei politici, si è avventurato in un viaggio tra fatti e misfatti italiani, sprechi di risorse pubbliche trasformate in clientelismi. Un viaggio inchiesta raccontato nel saggio "Impuniti : storie di un sistema incapace, sprecone e felice ", edito da Baldini Castoldi Dalai. Dottor Caporale, cavalcare il modello dell'antipolitica non è un pò comodo, adesso che la nascita di due nuove formazioni, tende a modernizzare l'aspetto politico del paese ? << L'antipolitica oggi è di moda, capisco. Ma cosa si intende per antipolitica ? Un moto greve, un urlo, lo sberleffo. L'antipolitica viene denigrata se si esibisce in queste forme. Ma antipolitica intesa come opposizione alla malapolitica è indignazione, vigilanza attiva, capacità di denuncia e assunzione di responsabilità. E' un attodi passione civile. Per quel che mi riguarda ho tentato di individuare anche i luoghi dove l'antipolitica, intesa nell'idea comune, è al potere. Perchè esistono già città dove i politici vestono i panni dei demagoghi, usano linguaggi grevi, barattono l'efficienza con i riti della democrazia, che saranno anche polverosi e lenti, ma indispensabili a regolare la vita della società moderna >>. Secondo lei, il grillismo ed il castismo ( dal libro di Stella ), quanto possono indirizzare ed influenzare i programmi politici di Veltroni e Berlusconi ? << Libri di successo, come quello di Stella, o fenomeni di massa nati su internet grazie ad un comico, sono segni di uno stato di insofferenza diffuso, di crisi profonda nella relazione tra governanti e cittadini. Segnali che devono far riflettere e che dovrebbero far interrogare tutti sullo stato della nostra democrazia, sul senso del bene comune >>. Berlusconi si presenta come l'uomo nuovo dell'antipolitica. Veltroni come il nuovo in assoluto. Quanto possono essere credibili ? << Vestire l'antipolitica come se fosse una sfilata di moda, è il tratto caratteristico dei funanboli, è il trasformismo più acuto ed insidioso. E' il modello che dovremmo rifiutare >>. Il suo libro è paragonabile ad un viaggio tra gli sprechi, grandi scempi e clientelismi. La sua impressione è che si tratti di un viaggio di sola andata ? << Il mio non è un viaggio disperato, è un atto di accusa, un segno di passione civile, l'idea che si può essere anche non sopraffatti dalla malapolitica. Basta individuarla, scansarla e lottare per sostenere la buona politica. Che esiste, per fortuna nostra >>. Il suo pensiero sul silenzio dell'opposizione circa le vicende che hanno coinvolto Forleo e De Magistris. << Con i magistrati la politica è sempre in conflitto d'interesse. Permette sacche clamorose di nullafacenza e nel mio libro vi è qualche esempio luminoso, ma strilla ogni qualvolta viene insidiato il suo potere. Questo permette alleanze e solidarietà trasversali >>. I fischi a Bertinotti durante la manifestazione per le vittime della strage all'acciaieria ThyssenKrupp. Il malessere della gente che non arriva a fine mese mentre nei palazzi si disserta sulla legge elettorale. Siamo ad un punto di non ritorno riguardo alla disaffezione, o meglio all'astio, dei cittadini nei confronti di questa politica ? << Cosa lega la società civile e la classe dirigente ? La generale mancanza di senso del bene comune. La politica è lo specchio frantumato della nostra società, non dispieghiamo ogni energia per recuperarla alla resa del conto, non vigiliamo, non denunciamo, non ci scandalizziamo. Urliamo a volte, ma solo a tratti. E quest'urlo, inteso come antipolitica, assomiglia alla pioggia : la politica apre l'ombrello e aspetta che spiova. Per poi richiuderlo >>. Riccardo Castagneri politica@voceditalia.it.


"Voglio i soldi per la scorta a Tronchetti" (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Stampa, La" del 18-12-2007)

 

LA BATTAGLIA IN TRIBUNALE DELL'INVESTIGATORE AMICO DI TAVAROLI "Voglio i soldi per la scorta a Tronchetti" [FIRMA]PAOLO COLONNELLO MILANO La lite tra i due contendenti è, tutto sommato, per una somma modesta: 526 mila e 553 euro. Modesta se si pensa ai 20 e passa milioni di euro che in pochi anni Telecom ha versato all'agenzia d'investigazioni private Polis d'Istinto di Emanuele Cipriani per l'incredibile numero di dossier illegali commissionati per spiare mezz'Italia. Eppure per quella somma, i legali di Cipriani e di Telecom da più di un anno stanno combattendo, davanti al tribunale civile di Firenze, una battaglia senza esclusione di colpi. A fare la prima mossa è stato l'ex investigatore fiorentino quando ancora si trovava agli arresti domiciliari per le indagini milanesi, chiedendo ai giudici fiorentini di ordinare con un decreto ingiuntivo alla società di Tronchetti Provera il pagamento di alcune fatture rimaste in sospeso e che inutilmente aveva tentato di recuperare per alcuni "servizi" resi direttamente al "presidente". Piccatissima la risposta dei legali di Telecom che parlano di "non meglio precisate attività di security asseritamente svolte per conto di Telecom" e contrattaccano chiedendo addirittura la restituzione di almeno una parte dei soldi "indebitamente" versati a Cipriani "dalla direzione Security di Telecom quale corrispettivo di illecita attività d'investigazione". Quasi la precostituzione di una difesa che eviti, stando almeno a una recente relazione della Gdf, la possibile contestazione da parte della Procura milanese della legge 231 sulla responsabilità oggettiva delle società, che implica pesanti sanzioni. Ma non è finita: Telecom sostiene che la Polis d'Istinto non può avere diritto al pagamento di quel mezzo milione di euro perché non esisterebbro prove di fatture regolari per dimostrare gli incarichi ricevuti: "E' evidente che gli importi delle fatture azionate sono stati determinati in modo arbitrario e sproporzionato e senza alcun accordo o pattuizione con Telecom". Alla fine scaricano tutto sull'ex capo della Security Giuliano Tavaroli, definito nelle memorie "in palese conflitto d'interessi con la società rappresentata". Perché, scrivono i legali il 18 maggio scorso, "i rapporti tra Polis d'Istinto e Telecom non si basano sulla stipula di contratti aventi per oggetto prestazioni di sicurezza a tutela del patrimonio aziendale, bensì esclusivamente sulla "collusione" tra Tavaroli e Cipriani per prestazioni mai svolte o in ogni caso illecite", all'insegna di un "pactum sceleris" ordito dall'ex capo della Security, dell'"abuso di potere" e "degli interessi personali" di Tavaroli accusato perfino di aver spartito con Cipriani il frutto delle commissioni pagate all'estero: "Per altro la stessa prassi di fatturare con ricarico la dice lunga sul disegno criminoso di Cipriani e Tavaroli e sull'intenzione di drenare quante più risorse possibili dalle casse Telecom...". Cipriani non si arrende e in una memoria del 28 maggio sostiene che i pagamenti sono dovuti per la sicurezza garantita a Tronchetti Provera e ai suoi famigliari e per le "bonifiche ambientali" di suoi uffici e abitazioni, nonché per attività minori d'investigazione. Ricorda che con i suoi uomini garantì perfino la sicurezza in Iraq a un giornalista di La7, la scorta "al Presidente e ai suoi famigliari e amici" per il Festival di Ravenna in Siria, per i viaggi in Turchia e per "la bonifica" dell'abitazione parigina. "Va sottolineato - scrivono i legali della Polis - che il lavoro svolto dalla Polis era così apprezzato dalla Presidenza che il dottor Tronchetti Provera richiese l'intervento dei collaboratori di Polis anche in occasione del matrimonio della figlia Giada (ovviamente sostenendo le spese con propri fondi personali)". E, dulcis in fundo, citano Tronchetti perfino come testimone a favore. A presto una decisione.


Convivere con la censura (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Unita, L'" del 18-12-2007)

 

Stai consultando l'edizione del Convivere con la censura Marco Travaglio Non ho scritto nulla sull'ennesima censura subita da Luttazzi a La7, per una sorta di conflitto d'interessi emotivo. Un po' per l'amicizia che ci lega, un po' per il senso di colpa che mi deriva dall'aver contribuito al suo lungo esilio televisivo. Non scriverò della censura di La7 nemmeno ora, anche perché mi mancano le parole: le ho già spese tutte a proposito dell'editto bulgaro. Vorrei dire due cose su quel che è accaduto dopo la censura: nessuno (a parte un paio di attori satirici e un paio di giornali "estremisti") l'ha chiamata censura, nessuno ha scritto che è illegale, tutti l'han trovata normale. E anziché concentrarsi sul fatto hanno preferito parlar d'altro. Della presunta volgarità di Decameron (Adriano Sofri, noto autore satirico, intimo di Giuliano Ferrara, vi ha dedicato qualche migliaia di righe su Repubblica). Del cosiddetto "attacco a Ferrara". Di Luttazzi che "non fa ridere". Della vittima della censura che "fa la vittima", anzi "se l'è cercata". Fin qui nulla di nuovo sotto il sole. Dai casi Fo, Grillo, Biagi, Santoro, Satyricon e Raiot, i fornitori di alibi ai censori di regime han dato vita in trent'anni a una vasta letteratura di paraculaggini assortite, nel solco della tradizione di servaggio dell'intellighenzia italiota alle greppie del potere. Il simbolo dell'intellettuale nostrano, che trent'anni fa faceva la rivoluzione in salotto e oggi si proclama "liberale" e "riformista", è il professor Ludovico Cerchiobot ideato da Sabina Guzzanti e interpretato da Roberto Herlitzka: quello che "agli italiani piace la frusta". Ma ora, sul caso Decameron, i servi furbi hanno sperimentato due nuove, sopraffine tecniche di fiancheggiamento alla censura. La prima è il modello "larghe intese": consiste nel solidarizzare contemporaneamente col censore e col censurato. L'hanno fatto Ferrara, che ha riconosciuto il valore satirico dello sketch che lo riguardava, ma subito dopo ha difeso La7 che ha chiuso il programma (La7, per la cronaca, è la rete che gli paga un lauto stipendio e lo manda in onda tutte le sere all'insaputa dei più), poi ha invitato Luttazzi a "Otto e mezzo" (nella speranza di ereditare qualche briciola del suo pubblico); e Daria Bignardi, secondo cui ha ragione Luttazzi ma anche La7 (che, per la cronaca, manda in onda le sue Invasioni barbariche). La seconda tecnica è il modello Maramaldo: consiste nel picchiare a sangue il censurato, nella speranza di finirlo per sempre. È quella adottata da "Il Giornale" e da "Libero", che fanno a gara a chi manganella di più. "Libero", nell'apposita rubrica "Telemeno", titolava: "La caduta di Luttazzi. Han fatto bene, era solo volgare". Bene, bravi, bis. Ma, nello speciale campionato dei randellatori, "Il Giornale" vince ai punti grazie a un paio di titoli memorabili ("Luttazzi cacciato da La7 fa ancora la vittima", "Quei "martiri" che hanno stufato anche la sinistra") e a due commenti da antologia di Filippo Facci. All'indomani della censura, Facci s'è sperticato in elogi ai censori: "La verità su Luttazzi, licenziato da La7: non lo vuole nessuno". E questo non perché abbia toccato chi non doveva (tipo Ferrara, il Vaticano, Berlusconi, la "sinistra" guerrafondaia), ma perché è "sopravvalutatissimo", anzi è matto: "la sua infanzia dovrebbe dar lavoro al suo psicanalista"; e, soprattutto, "non è neanche un comico". Tant'è che "scopiazza David Letterman" ("a cui ha plagiato persino le iniziali") e la sua battuta su Ferrara "è ispirata a una del comico americano Bill Hicks" (che però, guardacaso, non venne censurato). Anche "Libero" dedica al presunto plagio di Hicks un'intera pagina. Naturalmente non c'è nessun plagio: quella di Letterman è una citazione dichiarata, mentre la battuta su Ferrara riprende una lunga tradizione letteraria, da Ruzante a Rabelais, in cui pescano a piene mani tutti coloro che la satira non si limitano a farla, ma prima la studiano. E naturalmente Luttazzi non è stato censurato dalla Rai e ricensurato da La7 per le sue citazioni, altrimenti Benigni ­ che nel celebratissimo show su Rai1 ha copiato paro paro una battuta di Crozza e una di Luttazzi ­ non lavorerebbe più. Ma questo passa il convento: abbiamo imparato a convivere con la censura, tant'è che i cosiddetti liberali se la prendono coi censurati. Cioè con i pochi "uomini liberi in questo paese di merda" (prima che qualcuno mi rinfacci il plagio, confesso: questa non è mia, è di Luttazzi). Uliwood party.


MILANO - Unicredit assume con l'Antitrust lo stesso tipo di impegno preso da (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Messaggero, Il" del 18-12-2007)

 

Di GIULIA LEONI MILANO - Unicredit assume con l'Antitrust lo stesso tipo di impegno preso da Telecom con Anatel. Prevede cioè un doppio ordine del giorno del consiglio ogni volta che sul tavolo figureranno materie "sensibili". Ieri - secondo quanto risulta a Il Messaggero - la banca guidata da Alessandro Profumo avrebbe depositato all'Autorità, in anticipo di un giorno sulla scadenza, la relazione informativa sull'esecuzione degli impegni concordati per la fusione con Capitalia. Relazione di cui oggi prenderà atto il cda di piazza Cordusio (cui farà seguito la cena di Natale) e che il consiglio dell'Autorità, giovedì, quasi certamente recepirà. E tra gli impegni spicca dunque l'introduzione di un meccanismo "speciale" nella gestione delle decisioni sulle materie individuate dall'Antitrust - investment banking e assicurazioni - per le quali potrebbe profilarsi un conflitto di interesse. Al punto 3 (Impegno ad evitare cumuli di incarichi e di ruoli) del paragrafo XI (La prospettazione degli impegni) si legge che i membri del cda di Uci "con un ruolo nella governance di Mediobanca e/o Generali, non parteciperanno alla discussione nè alla votazione delle delibere aventi ad oggetto i mercati dell'investment banking e delle assicurazioni in Italia". I destinatari di queste limitazioni sono il presidente di Unicredit Dieter Rampl e il vicepresidente Fabrizio Palenzona che sono anche rispettivamente vicepresidente del consiglio di sorveglianza e consigliere di sorveglianza di Mediobanca. Nella relazione depositata ieri con l'ausilio dello studio legale Grimaldi e associati sarebbe prevista l'introduzione di uno strumento di governance assolutamente innovativo nel mondo bancario italiano: il duplice ordine del giorno. In altri termini ogni volta in cui il board di piazza Cordusio dovrà affrontare delibere sulle due materie individuate dall'Antitrust sarà obbligato a compilare un doppio ordine del giorno: uno sugli argomenti ordinari, l'altro sulle decisioni che sono off limit per Rampl e Palenzona. Che pertanto non dovranno partecipare per evitare commistione di ruoli. Esattamente come concordato da Telecom con Anatel, l'Authority di controllo delle tlc brasiliane. Per garantire che i rappresentanti espressione di Telefonica nel board di Telecom - Cesar Alierta e Julio Linares - non partecipino alle decisioni sul Brasile. Nella relazione depositata ieri inoltre Unicredit ricorda tutti gli altri impegni: dalla cessione di 186 sportelli che dovrebbe concludersi entro febbraio all'impegno a cedere l'intera quota detenuta in Generali e in società del gruppo di Trieste. Quanto all'impegno di ridurre la quota in Mediobanca, Unicredit ha già ceduto il 7,37% a Fininvest, Benetton, Sal Oppenheim, Mediolanum, Bollorè, Groupama e Santusa Holding. Un ulteriore 2% è andato a Barclays. La banca di Profumo detiene ora l'8,67% del capitale di piazzetta Cuccia.


A gennaio, la Sinistra e i nodi di governo (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Liberazione" del 18-12-2007)

 

Conferenza operaia da tenersi al più presto, costruzione del soggetto de "la Sinistra, l'Arcobaleno", verifica di governo, riforma elettorale e consultazione di massa su governo e percorso unitario. Sono i primi obiettivi e appuntamenti del Prc nel 2008 che suggeriscono il rinvio del congresso Franco Giordano Il 20 ottobre, inoltre, ha fatto emergere una grande rivendicazione politico-sociale, una critica nei confronti del governo Prodi che non siamo riusciti a far passare sulla vicenda del protocollo sul welfare e che, oggi, depositiamo sulla prossima verifica. Ma il 20 ottobre ha evidenziato anche una fortissima vocazione unitaria. In entrambe le occasioni, 20 ottobre e 8-9 dicembre, il Prc ha investito tutte le sue energie ed il grande risultato ottenuto è dipeso dalla capacità organizzativa e dalla ricchezza del nostro partito: v'è stata, inoltre, una presenza diffusa di aree di movimento, di associazioni e di espressioni sindacali, fondamentali per ancorare socialmente il nuovo soggetto unitario. C'è chi ha osteggiato la manifestazione "da sinistra" dicendo che essa non era critica verso il governo e c'è chi l'ha osteggiata "da destra" temendo una conflittualità eccessiva con le altre forze del soggetto unitario e plurale: niente di tutto ciò! Anzi, all'indomani di essa si è finalmente sbloccato il processo unitario. Ora dobbiamo proseguire ed accelerare questo processo, dando continuità ed investendo sulla soggettività nuova. Penso sia utile presentarci alle prossime amministrative unitariamente anche facendo ricorso a una battaglia politica con quelle forze che sembrano non condividere questa scelta. Si deve tenere insieme la ricchezza emersa l'8 e 9 dicembre con tutte le potenzialità che essa contiene: guai ad immaginare solo una sommatoria federata di partiti, perché ciò distruggerebbe ogni aspettativa. Vanno aggregate le realtà sociali, territoriali, di movimento e quelle critiche del capitalismo e farle contare e decidere: per questo, a gennaio, proporremo un seminario aperto per far vivere un processo democratico di costruzione del nuovo soggetto che sia autonomo ed inclusivo. Bisogna costruire un'unità forte sui contenuti e vanno lanciate alcune campagne: proponiamo per il 23 e 24 gennaio l'avvio di un iter partecipativo con un pronunciamento effettivo, quindi modificativo, sulla carta dei valori. Insisto sulla necessità di valorizzazione delle soggettività esterne ai partiti e per questo vorrei proporre un meccanismo binario di costruzione della nuova soggettività in cui esse siano attive nelle decisioni e non mere parti accessorie del processo. Il tesseramento potrebbe avvenire tramite l'iscrizione alle singole forze politiche, valido anche per il soggetto unitario, ed autonomamente per chi non si sente interno ai partiti. Trovo che la concezione mediatica sul leader e sulla direzione sia sbagliata e pericolosa per il soggetto unitario e plurale perchè produce tensioni con le altre soggettività aderenti, esula dalla democrazia di genere, desertifica le forme di partecipazione, intacca il rapporto con culture nuove, snatura il senso del percorso in atto distruggendo l'anomalia democratica che stiamo attivando. Ricordiamoci del congresso di Venezia in cui abbiamo puntato tutto sul rapporto con i movimenti, sulle esperienze di innovazione, sulla rottura con le forme del leaderismo. La collocazione politica del nuovo soggetto è dirimente: nella carta si dice che esso può collocarsi al governo o all'opposizione, senza che questa sia un disvalore e sempre dietro una libera scelta priva di vincolo, nel rispetto della sua autonomia ed a seconda delle convenienze politiche e sociali a cui fa riferimento. La carta d'intenti non è chiusa, ma aperta e potrà essere modificata e migliorata dopo un dibattito ampio: essa rappresenta solo un punto di partenza. Penso che sia chiaro anche nella carta d'intenti che si apre una sfida sul terreno dell'egemonia col Pd, altro che interlocutore privilegiato! Una sfida sul modello alternativo di società: si può lealmente costruire un governo insieme, ma si può, altrettanto, restare su posizioni politiche difformi. L'assemblea della sinistra e degli ecologisti si è svolta in un momento sociale drammatico per il paese in cui la vicenda di Torino ha determinato uno spartiacque nella storia sociale del paese: quella tragedia, quegli omicidi hanno determinato una rottura sociale, oltre che politica, che investe anche il sindacato, con una rabbia operaia che non tiene più e che noi dobbiamo guardare in faccia. I fischi di Torino hanno travolto anche chi, socialmente, è prossimo a quella condizione. Penso che quel malessere sia concentrato sulle condizioni materiali drammatiche che riguardano anche, ma non solo, il tema della sicurezza. Essa è solo la metafora, non il paradigma, del modello produttivo e dell'organizzazione del lavoro del nostro paese. Al tema della sicurezza dobbiamo aggiungere quello dei salari, sempre più insostenibili. Noi abbiamo avanzato proposte sul terreno dei salari e delle retribuzioni che riguardano l'intervento fiscale a partire dalla detassazione degli aumenti contrattuali che allevierebbe la pressione del fisco sul lavoro dipendente, incentivando anche il rinnovo contrattuale. C'è anche il tema della precarietà, quello dei tempi e ritmi di lavoro, il tema degli straordinari ne è un esempio, e quello dell'usura psico-fisica di tanta parte del lavoro dipendente, specie quello operaio. Questi sono gli effetti della rincorsa alla forza lavoro al suo costo più basso: oramai nessuna tutela e nessun diritto sono più al riparo. Per questo oggi dobbiamo rimettere al centro del dibattito questo punto, iniziando dall'analisi che vede negli ultimi decenni una potente svalorizzazione del lavoro nel nostro paese. Non parlo assolutamente di gerarchie fra diritti sociali e civili, ma ritengo che non possiamo ignorare questa drammatica condizione materiale, altrimenti non potremmo neanche declinare la parola "sinistra". Il lavoro ha perso politicità: è invisibile, derubricato dall'agenda politica e dalla scena del paese e penso che se il soggetto unitario non si confronta con questo tema, non può esistere. Per questo propongo che la prima iniziativa del soggetto unitario sia una conferenza operaia da tenersi a Torino, fra fine gennaio e gli inizi di febbraio, al fine di far emergere la condizione operaia, invisibile nel paese, ed al fine di far nascere una cultura nuova che riparta proprio da qui. Uno degli operai superstiti che ho incontrato a Torino ha chiesto di non calare il sipario su di loro: non possiamo eludere questa richiesta. Al contrario, la proposta del Pd sulla conferenza operaia mi sembra tutta incentrata sul modello di Confindustria che vorrebbe legare inscindibilmente i salari alla produttività. Queste sono le questioni da porre per prime sul tavolo della verifica di gennaio: salari prezzi, condizioni di lavoro. Alla verifica va posto anche il tema dell'inflazione che in Italia si attesta al 2,6% e che rischia, come negli Usa, di trasformarsi in stagflazione. Perciò penso che bisogna intervenire sia sul terreno della distribuzione, sia su quello dei prezzi, sia su quello della rendita finanziaria. A gennaio discuteremo anche dei diritti civili, quelli dei migranti, il rapporto pace/guerra e l'alternativa ai conflitti in atto, il disarmo, la moratoria sul Dal Molin, l'innovazione e ricerca ed il nuovo paradigma economico: Bali indica un'inversione di tendenza, anche se da verificare nel concreto, dove la pressione del mondo sugli Usa è stata determinante per un cambiamento nelle politiche ambientali. Ultima, ma non per importanza, è la richiesta di istituzione della commissione d'inchiesta sul G8. Colgo l'occasione per dire pubblicamente a Gasparri che non deve permettersi in alcun modo di insultare quella bella persona che è Haidi Giuliani! Chiederemo un mandato conseguente ad un'ampia discussione politica, che spero riusciremo ad estendere anche alle altre forze della sinistra, che ci permetta di effettuare una trattativa vera ed aperta col governo: a ciò seguirà un giudizio politico del partito, del suo gruppo dirigente da sottoporre, subito dopo, ad una consultazione referendaria del nostro popolo che determinerà la nostra collocazione politica. Gennaio è un mese cruciale: c'è la verifica, ma anche il dibattito sulla legge elettorale. Le due cose s'intrecciano e la legge elettorale è decisiva per noi: dobbiamo battere le tendenze referendarie che creano frammentazione. Ci giochiamo una partita decisiva e non abbiamo altre chance: il referendum non solo determinerebbe la scomparsa della nostra rappresentanza, ma soprattutto limiterebbe la nostra autonomia. Si avrebbero, probabilmente, due sole liste: una di destra ed un'altra contro la destra, all'interno della quale non potrebbe vivere alcuna soggettività politica autonoma. Non possiamo chiedere il sistema tedesco o niente, perché, lo ripeto, l'alternativa sarebbe il referendum. Se qualcuno è tentato dalla partecipazione al listone di sinistra per una mera autorappresentazione di sé, sempre che sia accettato nel listone, a noi ciò non interessa, perché abbiamo una cultura politica segnata da percorsi di autonomia. Non capisco le critiche interne: non potevamo fare altro se non estendere il dialogo a tutti su questa materia e siamo stati sempre coerenti con il nostro obiettivo di ottenere il sistema tedesco. Il testo Bianco propone 32 circoscrizioni e tiene aperta la possibilità del voto disgiunto: non si tratta del tedesco, ma nemmeno dello spagnolo ed avvia, comunque, un percorso decisivo. Il riparto nazionale ed il voto disgiunto sono alla nostra portata, al di fuori di questo schema c'è il referendum. Ci sono due questioni su cui dobbiamo insistere: voto non unico e riparto nazionale. Infatti, il voto unico nel collegio causerebbe una forte pressione bipolare, cioè si vota destra contro sinistra e prevarrebbe la logica del voto utile. Il vertice del 10 gennaio è paradossale, non si è fatto sul welfare, e si fa sulla legge elettorale che, in realtà, è delegata al dibattito parlamentare fra tutti i partiti. Conferenza operaia, costruzione del soggetto unitario, verifica di governo e consultazione di massa sono i motivi che ci spingono a rinviare, di pochi mesi, il congresso. A gennaio si concentra tutto, per questo proponiamo un rinvio del congresso, per discutere alla fine di un periodo lungo e difficile. Inoltre, resta in piedi la costruzione del soggetto unitario e plurale da effettuare dal basso nei territori: ciò, lo ripeto ancora, non mette a rischio l'esistenza del Prc. Sul terreno identitario tornano i timori infondati del rischio di scioglimento. La nostra battaglia politica va verso liste unitarie comuni e verso la modifica del rapporto fra partito e movimenti: abbiamo rotto il meccanismo pedagogico, per entrare in un'ottica di internità e proponiamo una sfida per l'egemonia e l'idea di trasformazione della società. Il soggetto unitario e plurale non risolve queste contraddizioni, v'è un problema di utilità sociale ed una dimensione di massa da costruire per una verifica sociale. La nostra utilità sociale è indispensabile: la verifica può essere fondamentale, specie insieme alla successiva consultazione di massa. Dobbiamo ricostruire il nesso fra la spendibilità dell'iniziativa politica oggi e l'idea del domani. Penso che qui si giochi la differenza fra chi propone e predica una società che verrà e chi ha come bussola quella che Antonio Gramsci chiamava "la trasformazione molecolare della società". 18/12/2007.

 

 

 


ARTICOLI DEL 14-12-2007

 

Il Grande Fratello di GIUSEPPE D'AVANZO La Repubblica del 14-12-2007

 

"Dialogo col Cavaliere? Soltanto un sogno" ( da "Stampa, La" del 14-12-2007)

"E' un fallimento annunciato" ( da "Stampa, La" del 14-12-2007)

Mediobanca, stop a Popolare Vicenza ( da "Stampa, La" del 14-12-2007)

Vicenza resta fuori ( da "Unita, L'" del 14-12-2007)

Premiata ditta Berlusconi-Saccà ( da "Unita, L'" del 14-12-2007)

Ecco una legge per tutti ( da "Unita, L'" del 14-12-2007)

Primo: l'autonomia. Con ogni azionista ( da "Unita, L'" del 14-12-2007)

Geronzi non entra in consiglio Rcs ( da "Giornale.it, Il" del 14-12-2007)

Cliniche, carte ai raggi x - gabriella de matteis ( da "Repubblica, La" del 14-12-2007)

Nella rete di Berlusconi ( da "Manifesto, Il" del 14-12-2007)

ROMA - Il sistema di governo degli atenei cambierà. Lo ha annunciato il ministro Fabio Mussi du ( da "Messaggero, Il" del 14-12-2007)

A Napoli farà come a Catanzaro? ( da "Libero" del 14-12-2007)

Per Capanna trovano i soldi, per la ricerca no ( da "Libero" del 14-12-2007)

"ho sbagliato ha ragione huntington" - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 14-12-2007)

Angela Mauro ( da "Liberazione" del 14-12-2007)

Servizi locali, chi rema contro ( da "EUROPA.it" del 14-12-2007)


Articoli

Il Grande Fratello di GIUSEPPE D'AVANZO La Repubblica del 14-12-2007

LE BIZZARRIE d'Italia ci hanno abituato a molto, e di più. Alla stupefacente scena mancava il Berlusconi che denuncia la minaccia di un Grande Fratello così pericolosa da rendere necessario l'allarme per una "un'emergenza nazionale". Al Cavaliere l'interpretazione spericolata della Vittima Unica riesce in modo memorabile. È un grande comunicatore, si sa.
Lo accompagna una claque assordante di turiferi e flabellieri che eccepiscono, protestano, ringhiano a comando e cronacanti di attenzione cerimoniosa che hanno la generosa tendenza a nascondere o minimizzare ciò che accade a vantaggio di ciò che si dice (e naturalmente non c'è limite a quel che si può legittimamente dire, se non si tiene conto dei fatti). Quando la necessità lo impone, il lavoro incrociato di questa orchestra con coro, al servizio della Vittima Unica, produce un catalogo di verità rovesciate che confonde l'opinione pubblica; istupidisce gli avversari politici; lascia senza bussola anche gli osservatori più attenti e avvertiti.
C'è forse un Grande Fratello come va dicendo il Cavaliere, dunque? E se c'è, dov'è? Una memoria appena mediocre aiuta a venire a capo del quesito. Nei cinque anni del governo di Silvio Berlusconi, è nato all'ombra di Palazzo Chigi un intreccio spionistico illegale e clandestino che ha associato l'intelligence politico-militare di Nicolò Pollari, l'ufficio Informazioni della Guardia di Finanza del generale Roberto Speciale, la Security di Giuliano Tavaroli e alcune società di investigazioni private, pagate dagli azionisti della Telecom-Pirelli di Marco Tronchetti Provera.
Questa cosa, che non si sa nemmeno come definire, ha spiato senza alcun controllo gli avversari politici del governo del Cavaliere, imprenditori, finanzieri, banchieri, magistrati, editori, giornali e giornalisti. Ha raccolto illegalmente migliaia di fascicoli con informazioni riservate violando al di là di ogni legge la privacy dei poveri malcapitati.
Ha progettato operazioni per "neutralizzare e disarticolare anche con azioni traumatiche" tutti coloro che erano - a torto o a ragione - "potenzialmente in grado di "creare problemi" all'attività dell'esecutivo di centrodestra". Ha ingaggiato contro la legge giornalisti spioni per affidare loro il pedinamento di qualche pubblico ministero che pericolosamente si stava avvicinando ai pasticci organizzati da Palazzo Chigi nella fantasmagorica "guerra al terrore" all'italiana.
Per non parlare di Telekom Serbia, Mitrokhin e i falsi dossier contro Prodi. Alla luce di tutto quel che è accaduto nella scorsa legislatura, se si deve parlare di Grande Fratello, si può sostenere documenti alla mano che, è vero, il Grande Fratello ha fatto capolino in Italia negli anni in cui il Cavaliere governava il Paese.
Quel che è accaduto nel passato può, però, non aiutarci a capire l'oggi. C'è un Grande Fratello al lavoro in questi giorni? Un Grande Fratello uguale a quello della scorsa legislatura, ma contrario nei suoi obiettivi visto che ha nel mirino il povero Berlusconi? È frutto di quel lavoro storto l'inchiesta sulla corruzione dei dirigenti Rai e nel mercato della politica? Anche se l'orchestra con coro, al servizio della Vittima Unica, lo dimentica, l'istruttoria di Napoli ha il vantaggio di essere "formalizzata" dal codice di procedura penale.
Può essere ricostruita negli atti e nelle decisioni, quando diventerà pubblica. Ci potranno lavorare gli avvocati delle difese, gli ispettori del ministero di Giustizia, il consiglio superiore della magistratura, le giunte parlamentari qualora dovessero essere chiamate ad autorizzare l'uso processuale di fonti di prova che coinvolgono eletti del popolo. Se qualcuno ha sbagliato, sarà punito. Nulla a che fare, per farla breve, con il lavoro sporco della cosa nata durante il governo Berlusconi, che spiava illegalmente - dunque, al di là di ogni formalità - e riferiva non si sa bene a chi e in quale Palazzo del Potere.
E comunque non si può ridurre ogni controverso evento pubblico ad affare giudiziario, a meno di non voler davvero assegnare alla magistratura la custodia della salute pubblica. Anche una testa fina come Massimo Cacciari sembra non comprenderlo. Questa storia appare al filosofo soltanto "una cafonata", per di più una volgarità che "piace agli italiani", e allora che dobbiamo farci?
La stravagante furia inconoclastica del sindaco di Venezia dimentica una questione essenziale: che cosa sanno gli italiani del Cavaliere? È lecito o addirittura doveroso per l'informazione raccontare agli italiani qualcosa di Berlusconi? Se non conoscono Berlusconi, quella passione degli italiani la si può giudicare autentica, genuina, consapevole?
Noi pensiamo che la libertà di stampa debba avere la responsabilità di rendere informato chi vota e decide pubblicando notizie di interesse pubblico, anche coperte da segreto, perché la stampa serve i governati non i governanti. Le notizie pubblicate da Repubblica possono essere utili a comprendere meglio la realtà italiana e i comportamenti di un suo decisivo attore.
Non spinge la sua curiosità nella privacy di Berlusconi. Dà conto di due questioni pubbliche. Berlusconi, tycoon televisivo, promette di ricompensare a tempo debito un alto dirigente della Rai pubblica. Come pensava di ricompensarlo? E lo avrebbe ricompensato soltanto per l'ingaggio di qualche attrice o questa promessa poteva, se necessario, ampliarsi e deformare in chiave privata altre decisioni pubbliche del dirigente Rai?
Berlusconi, leader dell'opposizione, incontra un senatore della maggioranza per convincerlo a votare contro il governo che egli sostiene. Gli dice che l'accordo potrebbe essere "garantito" da "un contratto". Gli ripete che "il contratto è pronto e (il senatore) deve solo passare a firmarlo". Di quale "contratto" si tratta? Che cosa prevedeva il "contratto" approntato? Queste mosse - contratti, promesse di ricompense - non appaiono soltanto sconvenienti o "volgari". Sono iniziative che meritano dal protagonista un chiarimento e non il petulante piagnisteo da Vittima Unica che si nasconde nella nebbia di un grottesco complotto contro le riforme. Noi pensiamo che, al di là di quel potrà e non potrà accertare la magistratura, le due questioni meritino da oggi una spiegazione pubblica. Anche nell'interesse di chi vuole votare consapevolmente Silvio Berlusconi.

(14 dicembre 2007)

 

"Dialogo col Cavaliere? Soltanto un sogno" (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Stampa, La" del 14-12-2007)

 

Ministro Bindi, i "nanetti" del centrosinistra sono in rivolta e minacciano la crisi di governo. Ora è venuta fuori un'inchiesta della Procura di Napoli su un presunto "mercato" dei senatori del centrosinistra per far cadere il governo. Secondo lei, Berlusconi è un interlocutore credibile per le riforme? "Se Berlusconi sia interlocutore credibile o meno, lo si sa sempre dopo, mai prima. Con lui il dialogo non si è mai concluso bene. La sua credibilità si valuta sempre dopo, e anche per questo non si può costruire il percorso delle riforme solo con Berlusconi. E' evidente che non si può prescindere da Fi, ma non si possono prevedere corsie preferenziali. Per quanto riguarda la vicenda emersa a Napoli, così come il contenuto dei dialoghi tra dirigenti Rai e Mediaset, emerge una situazione molto grave. Ho visto che Berlusconi cerca di spostare il problema sul fatto che in questo Paese non c'è più la privacy, siamo al Grande Fratello, ma la gravità è ciò che accade, non che si rende noto. E' gravissimo solo che si pensi alla compravendita del parlamentari". Insomma, lei dice no al dialogo con il "diavolo"? "Qualcuno può sognare di avere come interlocutore una persona diversa da quella che è Berlusconi, con una storia diversa dalla sua. Ma non è possibile. Può provare a immaginarselo e desiderarlo ma la realtà è un'altra, e a me interessa il risultato. Tutti auspichiamo che il 2008 sia l'anno delle riforme ma le condizioni perché questo avvenga sono molte. Prima di tutto il rispetto della coalizione di governo. Poi l'apertura del confronto con tutto il centrodestra perché lì ci sono posizioni diverse che non possono essere ignorate. Infine una vera e seria consultazione dentro il Pd. Il cambiamento delle idee di Veltroni non è avvenuto per le esigenze manifestate al tavolo del dialogo ma si è attivato il dialogo su contenuti che sono in assoluta discontinuità con tutto il percorso fatto in questi anni dal centrosinistra e in maniera particolare dall'Ulivo. Si è aperto il confronto sul proporzionale, ma abbiamo fatto una campagna elettorale non indicando mai questo modello, e nessuno può affermare che è stato votato Veltroni segretario del Pd su questo preciso contenuto di riforma elettorale. Anzi. Poi c'è una quarta condizione...". Quale? "Ogni volta che tentiamo di uscire dalle difficoltà del Paese, ci troviamo sempre in mezzo il grande macigno del conflitto di interesse. Non si può pensare, ancora una volta, che questo problema venga archiviato". Ma allora lei vuole proprio far saltare il tavolo? "Qualcuno mi spiega perché le ragioni dei piccoli partiti sarebbero di impedimento al dialogo, mentre le ragioni di Berlusconi vengono preventivamente accolte?". Ora c'è in campo la proposta Bianco: che ne pensa? "Ci fa tornare indietro rispetto a quelle che abbiamo considerato le grandi e fondamentali conquiste di questi anni. In particolare al bipolarismo, all'alternanza e alla possibilità che siano i cittadini a scegliere chi va in Parlamento, ma anche chi governa e quale coalizione sostiene il governo. Lo scettro non può passare dalle mani dei cittadini alle segreterie dei partiti, anche se sono grandi partiti". Meglio il ritorno al Mattarellum? "Il Mattarellum lo considero ancora una base di ripartenza. La bozza Bianco affronta doverosamente il problema della frammentazione ma con una logica che va tutta a vantaggio dei partiti principali". Lei è del Pd e dovrebbe essere contenta, no? "No, perché i grandi partiti a vocazione maggioritaria sono anche partiti a vocazione coalizionale, che non sono mossi da una tentazione di cannibalismo e annessione degli alleati. Anzi, si fanno carico degli alleati. Invece con la proposta di Bianco, i due maggiori partiti si ingrossano a spese degli altri". Cosa deve fare Prodi? "Prodi è persona di grande prudenza: l'ultima cosa che si può permettere è quella di mettere a rischio il governo del Paese. Non è pensabile che ci possa essere una sorta di strategia parallela tra governo e Pd: il principale partito della coalizione non può non collaborare con il premier che è anche il presidente del Pd. Prima di adottare la proposta Bianco come testo base, è necessario aspettare la riunione di tutto il centrosinistra e aprire le consultazioni nel Pd. E' inutile che si continui a smentire che ci sia un rapporto privilegiato con Berlusconi, se non si fa la fatica di trovare prima un punto di incontro nel centrosinistra.


"E' un fallimento annunciato" (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Stampa, La" del 14-12-2007)

 

Preso atto che il dottor Marone (nuovo amministratore unico di Tubor, ndr) l'11 dicembre ha revocato l'istanza di dissequestro dei conti correnti presentata dall'avvocato Russo il 6 dicembre su delega dello stesso Marone e che quindi ha indotto l'avvocato a ritenere che non vi fossero più le condizioni per assistere Radiatori Tubor, e premesso che sono colpevole a prescindere, chiedo: perché è stata revocata la richiesta di dissequestro dei conti? Perché, così facendo, è stata ottenuta la revoca della rappresentanza dell'avv.Russo a due giorni dalla discussione istanza di fallimento? Che logica ha? Chi rappresenterà l'azienda e come? Il processo potrà essere ritenuto equo in questa situazione? Perché i sindacati dicono che non ci sono soldi per le paghe quando invece ci sarebbero ma che visto il blocco dei conti e la revoca dell'istanza di dissequestro non è possibile effettuarle? Perché insieme alla notizia con la quale il dr. Marone ha dichiarato che ci sono imprenditori pronti ad intervenire solo dopo il fallimento è stato revocato il mandato al legale e revocata la richiesta di sblocco dei conti? Perché i conti sono ancora bloccati quando le somme a garanzia sono abbondantemente oltre i famosi 3 milioni? Perché l'istanza di fallimento fa riferimento ad una consulenza esterna presentata in sede di Riesame e presa per buona anche se di parte? Perché questa consulenza parla più volte di un piano di salvataggio formulato anni fa che Tubor non ha mai messo in pratica ma che era stato preparato da ex consulenti Parmalat (prima del crack) e che prevedeva di effettuare le stesse operazioni che oggi la Procura contesta? Come mai la stessa consulenza parla solo di passività e viene presa per buona dal Tribunale del Riesame (prima istanza di dissequestro conti) ma solo in questi giorni viene mandato lo Spresal ad effettuare un controllo sugli impianti? A tre giorni dall'istanza di fallimento e senza considerare che Tubor aveva affidato proprio a consulenti Spresal (gli stessi che sono venuti in azienda) l'attività di sistemazione impianti - iniziata 3 anni fa - e cadenziata da un piano che doveva far collimare sicurezza, produzione e aspetto economico? Come è possibile pensare che domani (oggi, ndr) non sia dichiarato il fallimento? Solo nel caso che l'ex proprietà arrivi con garanzie.... ma quali garanzie? E allora quale sarebbe il senso di comunicare a tutti i dipendenti che l'azienda rimarrà chiusa (per sciopero generale) mentre lunedì "si invitano le persone ad entrare, almeno la mattina, in quanto si daranno disposizioni su come organizzare la settimana (non venire più o far entrare solo alcune persone)"? Se questa non è una dichiarazione anticipata di fallimento e chiusura... Avrei altre domande ma le tengo per quando sarò di nuovo carcerato (dopo questa è sicuro). Chiedete e riceverete risposte, o meglio alibi. A proposito del legale diranno che c'è conflitto di interessi (assurdità, devono dimostrarmi il contrario con le prove) anche quando abbiamo chiaramente detto che avremmo fatto a meno a livello personale dell'avv. Russo perché si impegnasse alla salvaguardia dell'azienda circa il dissequestro, perché nel caso l'avessero fatto le banche si sarebbero riprese le somme. Altra assurdità perché i conti sono intestati al Tribunale, e comunque se fanno riferimento alle successive somme che andranno a maturare ecco un'altra domanda: se il buco complessivo accertato è di 14 milioni che però porta il capitale a meno 7 milioni (e quindi va ricostituita quella somma e non i 14 che tutti indicano erroneamente), posto che sono sequestrati 3 milioni sui conti, più azioni delle società, piu immobili personali, beni mobili personali, marchio, impianti ed attrezzature, 700 mila euro di fatturazione a disposizione (che indicavo per le paghe), 500 mila euro circa di un bonifico leasing bloccato e 250 mila euro di un anticipo leasing da far rientrare e 3 milioni di plusvalenze sugli immobili aziendali non superiamo la somma? E se viene superata ma non utilizzata a chi andrà questo "vantaggio"? Ho solo la sindrome da colpevole vero?.


Mediobanca, stop a Popolare Vicenza (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Stampa, La" del 14-12-2007)

 

MILANO Popolare Vicenza non supera lo sbarramento dell'Antitrust. La banca non potrà rilevare il 2% sindacato del capitale Mediobanca che fa parte della quota messa in vendita da Unicredit. Questo perché non ha offerto all'Autorità una soluzione atta a risolvere il conflitto d'interessi che sarebbe derivato dalla contemporanea presenza in piazzetta Cuccia, nella Cattolica Assicurazioni e in Nord Est Merchant. Come in ogni telenovela che si rispetti - e quella del collocamento del 9,39% di Mediobanca da parte dell'Unicredit ormai lo è - non poteva mancare il colpo di scena finale, proprio mentre questa mattina il patto di sindacato di piazzetta Cuccia - sotto la presidenza di Cesare Geronzi - si appresta a varare la sistemazione delle azioni. Unicredit, però, non si fa fermare dal "no" dell'Antitrust. Il patto darà così il via libera al collocamento tra i soci già prenotati - Benetton prende il 2%, Mediolanum l'1,5% che aggiunge al 2% in portafoglio, Fininvest un 1% che si aggiunge a un'altra quota simile che già possiede, la tedesca Sal Oppenheim l'1,7% e i soci stranieri l'1% - mentre il 2% che sarebbe dovuto andare alla Vicenza verrà vincolato in uno strumento finanziario, un "equity swap", e parcheggiare le azioni nel portafoglio di una banca d'investimento fino a fine 2008. In questo modo la quota uscirà dal perimetro di Unicredit e ci sarà un lungo periodo a disposizione per trovare un compratore che vada bene a tutto il patto. Allo stesso tempo la banca guidata da Alessandro Profumo potrà trarre vantaggio da eventuali rialzi del titolo perchè il prezzo di cessione di quella quota non sarà fissato ai 15,85 euro di tutti gli altri acquirenti ma sarà riferito al valore di mercato. La Vicenza continua comunque a ritenere "strategica" una propria presenza in piazzetta Cuccia e non esclude di entrare nell'azionariato attraverso acquisti in Borsa, senza ingresso nel patto di sindacato. La Fondazione Montepaschi di Siena si è invece candidata a entrare nel patto, ma finché controlla la banca omonima sbatte anch'essa contro i paletti Antitrust. Geronzi, in un'intervista ha parlato di possibili aperture a soci asiatici. Oggi si riuniscono anche il comitato governance e il consiglio di sorveglianza di Mediobanca. All'ordine del giorno l'esame della bozza di regolamento sul sistema dualistico inviata da Bankitalia agli istituti per la consultazione. Ma la risposta, se ci sarà, sarà su toni "soft". In piazzetta Cuccia non c'è intenzione di mettersi in contrasto con le scelte di via Nazionale. \.


Vicenza resta fuori (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Unita, L'" del 14-12-2007)

 

Stai consultando l'edizione del Vicenza resta fuori La Popolare Vicenza non ha ottenuto il via libera dell'Antitrust all'acquisto del 2% di Mediobanca nell'ambito del collocamento della quota Unicredit. La banca guidata da Gianni Zonin non ha fornito impegni all'Antitrust tali da superare i dubbi dell'authority sui possibili conflitti di interesse con Piazzetta Cuccia. I paletti posti dall'Authority per il via libera alla fusione con Capitalia impediscono infatti a Unicredit di cedere il 9,39% a "società attive sui mercati nei quali Mediobanca operi principalmente, direttamente o indirettamente tramite partecipate". I nodi che non sono stati sciolti riguardano l'attività di banca di investimento svolta dalla popolare veneta attraverso la controllata all'80% Nord Est Merchant, attiva nell'advisory per le Pmi, e la partecipazione al 12% nella Cattolica, compagnia assicurativa di cui Zonin è vicepresidente e il condirettore generale della Vicenza, Samuele Sorato, consigliere di amministrazione. Mediobanca.


Premiata ditta Berlusconi-Saccà (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Unita, L'" del 14-12-2007)

 

Stai consultando l'edizione del Premiata ditta Berlusconi-Saccà Furio Colombo Segue dalla Prima C onosco l'India, conosco il cinema indiano e l'ho fatto volentieri. Fa piacere occuparsi di accordi che non hanno niente a che fare con le armi. Poi leggo, il 12 dicembre, l'articolo di Giuseppe D'Avanzo su Repubblica (tema, la corruzione di Berlusconi, la sua operazione di acquisto dei senatori del centrosinistra) e apprendo di avere lavorato per il "socio" di Berlusconi, Agostino Saccà. Da una sua posizione chiave nel cuore dell'azienda pubblica Rai, l'ex direttore generale (ora capo di Rai Fiction) lavora a un suo (suo e di Berlusconi) progetto di impresa privata. Trascrivo da D'Avanzo: "Nonostante i suoi doveri di incaricato del servizio pubblico ha un privatissimo proposito di farsi imprenditore di se stesso, creatore della "Città della fiction" di Lamezia, architetto di "Pegasus", un nascente consorzio di produttori televisivi sollecitato da alcuni produttori indiani. Qualcosa non va in questa storia, e non solo dal punto di vista etico", conclude D'Avanzo. Qualcosa non va anche dal punto di vista politico. La mucillagine dilagante (per usare le parole del Censis) degli interessi privati invade e contamina la vita politica e gli impegni istituzionali al punto da far agire nell'interesse dell'impresa infetta (Berlusconi e soci) anche chi si batte in tutti i modi contro di essa. La mattina del 13 dicembre, mentre parlavo di questa vicenda nel corso del programma "Omnibus" de La 7 , coordinato da una indomita conduttrice decisa a non lasciarsi intimidire dagli urli, mi sono accorto di far parte di una esigua minoranza che considera uno scandalo grave il tentativo esplicito e provato di comprare senatori. Mi sono ricordato che - in coincidenza con i fatti rilevati da Repubblica sulla base di intercettazioni telefoniche in cui Berlusconi entra per caso (intercettazioni della magistratura di Napoli che riguardavano il non irreprensibile ex direttore generale della Rai) - il vivace e attivo capo della opposizione e (come si constata ancora una volta) della illegalità italiana aveva indicato il giorno preciso della caduta del governo, il 14 novembre. Era infatti il giorno in cui un imprenditore italiano residente in Australia si era assunto il compito di concludere "l'affare" se il sen. Randazzo - eletto dagli emigrati italiani in quel continente - si fosse prestato al convenientissimo evento del passaggio incentivato da una parte all'altra del Parlamento. Randazzo ha detto e ripetuto il suo no sia a Berlusconi in persona sia ai suoi mandatari (stando sempre alle intercettazioni e alla de-codificazione di esse da parte dei giornalisti di Repubblica). E Berlusconi ha subito lanciato il progetto dal nome maoista di "Partito della Libertà del popolo" per colmare la sconfitta e il vuoto. Ma provate a parlarne con uno schieramento di liberi giornalisti italiani nell'era di Arcore, nel corso di una diretta tv come quella di "Omnibus". La squadra di firme invitate (Paolo Liguori di Mediaset, Carlo Puca di Panorama e persino il celebre Minzolini, ottimo e intraprendente giornalista che ha l'esclusiva delle frasi confidenziali e virgolettate di Berlusconi) hanno risolutamente preteso di essere al di sopra delle parti. E contestualmente si sono impegnati a dimostrare che "vendere e comprare" senatori è un normale fatto politico. Forse che Follini non era stato comprato dal centro-sinistra? Invano ho fatto notare che un partito impegnato a tassare i suoi parlamentari del nuovo Pd (1500 euro a testa ogni mese) solo per pagare il "loft" di poche stanze in cui hanno sede, in tre o quattro vani, i nuovi uffici, difficilmente avrebbe potuto "acquistare" l'ex vice presidente del Consiglio della Casa delle libertà. Ma l'offesa priva di fondamento dedicata a Follini dalla viva voce di giornalisti che dovrebbero narrare la realtà, era solo una parte della loro fiera esibizione super partes. Tutto il loro impegno era dedicato a spiegare - con qualche urlo in più - al pubblico che tutto nella politica italiana è basato su continue compra-vendite. E che dunque, se c'è un intollerabile scandalo, è quello delle intercettazioni. Soltanto Gianni Barbacetto (coautore con Marco Travaglio di testi su Berlusconi visti di malocchio dai politici di ogni parte, ma best-seller presso il pubblico italiano) e io abbiamo tentato di dire che quando le manovre che cambiano la politica italiana sono segrete, illegali e pericolose, il venirle a sapere in modo inconfutabile è sempre un atto di difesa della democrazia. Purtroppo sulla questione intercettazioni lo schieramento dei super partes berlusconiano non è isolato. Il presidente della Camera Bertinotti: "Ho detto che Silvio Berlusconi è un animale politico e che sulle riforme è un interlocutore indispensabile". "Ma - scrive il Corriere della Sera del 13 dicembre - c'è di più. Il garantista Bertinotti si è appellato al Procuratore di Napoli per verificare se c'è stato il vulnus che sembra appalesarsi nella intercettazione del deputato Berlusconi. Dice Bertinotti al Corriere: "Le regole sono l'essenza della democrazia. E qui mi fermo. È un rito (la pubblicazione delle intercettazioni, N.d.R.) che danneggia anche la magistratura"". Dice il senatore-avvocato Guido Calvi del Pd: "Diciamo che ho sempre paura che qualche magistrato, come dire, possa deviare dall'esercizio delle sue funzioni. Il controllo del Csm deve ormai diventare estremamente rigoroso. È urgente mettere mano al problema delle intercettazioni che non siano finalizzate all'accertamento del reato perseguito e impedire la fuga prima del legittimo uso processuale". Ma la pattuglia di coloro che guardano corrucciati alla presunta irregolarità dei giudici di Napoli (che appare infondata perché - come afferma il Procuratore di quella città - la parte investigativa dell'indagine è giunta a compimento e non sembra ci sia stata una fuga di carte segrete) non è affatto isolata. Da una parte si sente (si è sentita nella puntata di Omnibus di cui ho parlato) la voce esasperata di un giornalista come Liguori che sbotta: "Ma con tutti i delitti che ci sono a Napoli proprio di Berlusconi e Saccà si dovevano occupare quei giudici!". Dall'altra, c'è il desiderio di partecipare alla vasta indifferenza verso il clamoroso attentato alla democrazia. Perché è vero che il deputato Berlusconi è stato intercettato e questo viola le regole. Ma questa violazione - che è apparente, perché gli investigatori stavano seguendo e ascoltando un alto dirigente della Rai circondato di molti sospetti - non è colpa dei giudici. Infatti Saccà e Berlusconi discutevano tutto il tempo non solo di ragazze da piazzare alla Rai per "levarcele dalle balle", ma anche di richieste di Berlusconi a Saccà di "far felice il capo" procurandogli, con i mezzi che si sanno, i senatori che gli mancano affinché Prodi cada quel magico 14 novembre che "il capo" aveva profetizzato. In fondo a sinistra, profondo silenzio. E quando non è silenzio è preoccupazione. Tutto questo disordine non interromperà il dialogo? Non è meglio, come suggeriscono i senatori-avvocati, separare la giustizia dalla politica? Il ragionamento ricorda le tante altre volte in cui ci ammonivano a non parlare dei processi di Berlusconi, per una sorta di cavalleresca sospensione che avrebbe reso meno aspri i rapporti. Come si ricorderà, ha sempre provveduto Berlusconi, di sua iniziativa, a riaccendere la miccia ora accusando i comunisti di occupare l'Italia, ora facendo descrivere Prodi come "un mascalzone bavoso". Questa volta è diverso. Nel pieno della politica, Berlusconi compie un delitto politico, oltre che di corruzione: vuole comprarsi alcuni senatori. Un senatore conferma, comprese sorveglianze, pedinamenti, fotografi pronti allo scatto, strani intermediari. Non è "un'altra storia" come ci dicevano (sbagliando) per il conflitto di interessi. È il cuore dell'unica storia: la politica italiana inquinata da Berlusconi. Il tentativo, illegale e disonesto, di abbattere la maggioranza per dissanguamento. Non si può e non si deve far finta di niente perché ormai siamo in compagnia degli italiani che sanno tutto attraverso un percorso che non viola alcuna legge. Certo che il tentativo di trovare un minimo di accordo per una decente legge elettorale deve continuare, non è stato il centro-sinistra a volere una legge elettorale indecente, giustamente definita da loro stessi "porcata" . Certo che tale tentativo va fatto con loro, gli autori della "porcata" (che non hanno mai neppure tentato di giustificare o spiegare, solo un sabotaggio della delicata macchina elettorale che genera ogni volta la democrazia). Meglio se "loro" sono una tavola larga, senza preclusioni, senza esclusi. Difficile? Difficile. Ma dalla parte della maggioranza l'esperienza e la conoscenza di queste cose non manca. Ma non possiamo farci carico di Saccà. Non possiamo far finta di non sapere ciò che tutta l'Italia sa. Non possiamo isolare e lasciare sola la preda che avevamo puntato, il senatore "da comprare" dopo che avevamo fatto una meticolosa ispezione del suo stato patrimoniale. Il grande teatro insegna che la vittima diventa patetica se viene lasciata sola, se non diventa simbolo vantato ed esibito da chi ha scoperto l'inganno. Non credo si debba confondere la necessità urgente (e finora bene impostata da Veltroni) dell'accordo su un punto, la legge elettorale, con una sorta di indulto-distrazione-amnistia generale. O che sia consigliabile aggiungere sdegno per il gesto di rivelare invece che per la rivelazione. La storia, adesso, parte da quella rivelazione. colombo_f@posta.senato.it.


Ecco una legge per tutti (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Unita, L'" del 14-12-2007)

 

Stai consultando l'edizione del Ecco una legge per tutti Gianfranco Pasquino Segue dalla Prima Per superare le resistenze e per non frustrare le speranze, sarebbe necessaria una proposta che non consenta a nessuno di potere valutare immediatamente, con un margine di errore minimo, vantaggi e svantaggi, propri e altrui. La ragione dell'impasse va trovata, a mio modo di vedere, nella difficoltà di conciliare il mantenimento del bipolarismo con una legge elettorale proporzionale senza incidere sulla auspicabile proporzionalità e, forse, senza neppure distorcerla. Cosicché, da un lato, protestano, a ragione, i bipolaristi, alcuni dei quali, non tutti in verità, sono anche favorevoli ad una legge effettivamente maggioritaria; dall'altro, si sollevano i proporzionalisti che non vedono perché i partiti già grandi debbano essere ancora più premiati. So perfettamente che, in definitiva, la legge elettorale costituisce proprio il terreno sul quale i politici valutano non soltanto il loro consenso, ma anche il loro potere e che, di conseguenza, un'opinione tecnica, per quanto accuratamente formulata (come la mia...), è destinata ad incidere poco. Però, vorrei cimentarmi con una proposta non bizzarra, mettendo comunque in guardia tutti: la mia preferenza prima continua ad essere per il sistema maggioritario a doppio turno, francese, appena ritoccato. Ciò detto, poiché appare accertato che nel Parlamento attuale, qualora fossero lasciati soli a decidere, i parlamentari opterebbero per una legge proporzionale, ne prendo atto e suggerisco quanto segue. Il sistema elettorale dovrebbe essere a doppio turno. Nel primo turno, vengono assegnati quattrocento seggi con metodo proporzionale in quaranta/cinquanta circoscrizioni equilibrate, eventualmente con l'inserimento di una clausola di esclusione del quattro/cinque per cento. Le liste sarebbero composte da non più di otto, dieci candidature. All'assenza del voto di preferenza, che giustifico per evitare lotte, scontri, conflitti dentro ciascuna lista e probabile formazione di correnti, si potrebbe ovviare sancendo il principio di primarie facoltative, a richiesta di un certo numero di elettori. Al secondo turno, verranno assegnati 75 seggi al partito o alla coalizione che ottiene più voti e 25 seggi al partito o alla coalizione giunti secondi (per incoraggiare la formazione di una opposizione e darle rilevanza e consistenza). È probabile, ma non ne farei un vincolo, che i partiti o le coalizioni avranno tutto l'interesse a pre-designare il loro candidato alla carica di Presidente del Consiglio. L'esistenza di un premio di maggioranza assegnato al partito o alla coalizione che ottiene più voti al secondo turno spingerà verso il bipolarismo ovvero lo preserverà. Inoltre, il voto espresso al primo turno consentirebbe tanto ai partiti quanto agli elettori di avere una idea abbastanza chiara dei rapporti di forza intercorrenti e quindi, li incoraggerà a scegliere se e quali coalizioni formare (i partiti) e se e quali coalizioni votare (gli elettori). La semplice esistenza del doppio turno consente di fare circolare molte utili, persino decisive informazioni politiche. Infine, il partito o la coalizione vincente potrebbero vantare una legittimazione elettorale esplicitamente espressa. Il bipolarismo costruito in questo modo non sarebbe né rigido, in quanto il partito o la coalizione vincente potrebbero decidere se e come aprirsi ad altri apporti parlamentari, né feroce, nella consapevolezza che le coalizioni durano lo spazio di una legislatura (ovvero, eventualmente, ma non molto probabilmente, anche meno, se si volesse introdurre il voto di sfiducia costruttivo). Questo sistema elettorale ha alcuni pregi rispetto alle proposte circolanti. Anzitutto, è facile da capire nei suoi meccanismi e persino da valutare nelle sue probabili conseguenze, senza in alcun modo ridurre l'incertezza sull'esito. In secondo luogo, grazie al doppio voto, che può anche essere disgiunto, conferisce grande potere agli elettori. In terzo luogo, minimizza gli svantaggi prevedibili per i piccoli partiti che, grazie alla ampia componente proporzionale, avranno sicuramente rappresentanza in Parlamento, e conferisce un vantaggio (il premio di maggioranza) ai grandi, ma soltanto se sapranno conquistarselo visibilmente nella competizione del secondo turno. Ricordo che al doppio turno e al premio di maggioranza l'elettorato italiano si è ormai positivamente abituato grazie ai sistemi elettorali usati per l'elezione dei sindaci, senza nessun inconveniente. Non andrei fino a sostenere che il sistema che propongo possa essere definito con la terminologia un po' fuorviante che fa riferimento all'elezione del "sindaco d'Italia", ma, insomma, ci va abbastanza vicino. Comunque, mi auguro che costituisca la mossa che spariglia alcune carte dei politici e restituisce molto potere agli elettori. Questo, alla fine della ballata, è il criterio che merita di contare più di tutti gli altri.


Primo: l'autonomia. Con ogni azionista (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Unita, L'" del 14-12-2007)

 

Stai consultando l'edizione del ROBERTO NATALEIl neopresidente della Fnsi a fianco della redazione: sì alla carta dei valori e al comitato dei garanti "Primo: l'autonomia. Con ogni azionista" Roberto Natale è da pochi giorni il nuovo presidente della Federazione nazionale della stampa. "Inizio con un ringraziamento a voi per la scelta di posticipare di ventiquattro ore lo sciopero per non oscurare i funerali delle vittime di Torino: anche noi giornalisti ci sentiamo in questo momento tutti parte del lutto di una nazione". Il problema che la redazione de l'Unità pone, con questo sciopero, è anche quello della dell'autonomia del giornale... "È un tema di valore assolutamente generale. Ieri al Congresso dell'Associazione stampa romana è stata approvata a larghissima maggioranza una mozione che esprime solidarietà ai colleghi dell'Unità, facendo suo l'auspicio che si raggiunga la massima articolazione nella composizione azionaria del giornale. Lo abbiamo fatto non perché la maggioranza della platea sia sulle posizioni de l'Unità, ma perché quasi tutti i giornalisti, qualsivoglia sia il loro orientamento politico, vedono il pericolo generale di questa vicenda". Ci sono cose che non si possono comprare, come dice un spot... "La logica di mercato non può essere la sola quando si parla di un tema sensibile come l'informazione. Un esempio. Se la famiglia Sensi, proprietaria della Roma, decidesse di comprare anche la Lazio non solo ci sarebbe la protesta dei tifosi ma certamente avremmo decine di editorialisti pronti a spiegarci che non tutti i valori possono essere ridotti al solo principio finanziario. Chiediamo che anche i valori di idee, di cultura e di passione civili possano godere dello stesso rispetto. Ovviamente il discorso vale per tutti i giornali di opinione: forti delle loro idee, ma deboli in una logica di mercato viziata che impedisce loro di avere il sostegno pubblicitario che meriterebbero". Che strumenti possono darsi i giornalisti per difendere la qualità dell'informazione? "Nel caso degli Angelucci, appare abbastanza evidente come il loro interesse editoriale sia legato ai loro interessi imprenditoriali. È un problema che non riguarda solo gli Angelucci, ma in modo diverso tutti gli editori in Italia, che sono tutt'altro che "puri": quello che diciamo noi è semplicemente che questo tipo di conflitto di interessi venga alla luce e che i lettori sappiano perché si prendono certe posizioni piuttosto che altre. Noi da anni parliamo di statuto di impresa editoriale, un tema che riproponiamo al governo e al parlamento. In questo senso è utilissima la proposta dei redattori de l'Unità di una carta dei valori e di un comitato di garanti: discuterne significa discutere anche della qualità della nostra democrazia oggi, vista la rilevanza che la comunicazione ha oggi nei meccanismi di formazione del consenso e delle decisioni". ro.bru.


Geronzi non entra in consiglio Rcs (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Giornale.it, Il" del 14-12-2007)

 

Di Nicola Porro - venerdì 14 dicembre 2007, 07:00 da Milano Qualche piccola considerazione su due-tre pezzi del nostro capitalismo che conta e sui regolatori del sistema. Antitrust e peanuts. L'authority ha fatto intendere, attraverso la sua moral suasion e senza alcun atto formale, che la Banca Popolare di Vicenza non può portarsi a casa una piccola fetta (il 2%) di Mediobanca. Poiché la Popolare veneta ha una partecipazione in un'assicurazione cooperativa, la Cattolica, si creerebbe un conflitto di interessi. Mediobanca, infatti, controlla di fatto le Generali. Giusto, bene, avanti così. Certo che però vedere la totale assenza di moral suasion da parte della medesima Autorità sul caso Alitalia stupisce. Ma come, sulla piccola pagliuzza di Vicenza in Mediobanca, si è intransigenti e sulla trave di Air One che si pappa Alitalia e che crea di fatto un monopolio in Italia, si glissa? Boh. Generali e dintorni. La storia è un po' noiosa, ma tratta di stipendi e di grandi manager francesi. Per settimane si è discusso della corporate governance delle Generali e del ruolo del suo presidente. È finito tutto in un sospiro, ma con pagine e pagine di commenti. Il motivo è semplice Antoine Bernheim è sostituibile in concomitanza con il giro di nomine e poltrone delle ex partecipazioni statali (Finmeccanica, Eni ed Enel su tutte) e gli appetiti romani crescono. Ma la sua posizione non si tocca, se le pedine dei grand commis romani debbono muoversi, lo facciano nel loro ambito e non tocchino la finanza che conta. Geronzi è uno, ma non è trino. Il presidente di Mediobanca non sostituirà Gabriele Galateri nel consiglio di amministrazione di Rcs. Galateri ne è vicepresidente, ma il suo sostituto né oggi né in futuro sarà il banchiere romano. Geronzi, a cui alcuni attribuiscono anche i misfatti di Belzebù, ha una caratteristica, che molti nostri manager e capitalisti non hanno neanche dipinta: non cumula cariche operative. Non lo ha mai fatto e non sembra che ne abbia intenzione neanche a questo giro. Confindustria senza Bombassei. È il più tosto dei potenziali successori di Montezemolo. Eppure lascia la corsa: per ora in solitaria Emma Marcegaglia. Poco tempo per trovare un concorrente temibile.


Cliniche, carte ai raggi x - gabriella de matteis (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Repubblica, La" del 14-12-2007)

 

Pagina V - Bari L'INCHIESTA Le indagini per accertare se ci sono reati negli accreditamenti. L'assessore Tedesco: interrogatemi Cliniche, carte ai raggi X Blitz della Finanza, acquisiti nuovi documenti GABRIELLA DE MATTEIS Dall'assessorato alla Sanità alle sedi delle società che gestiscono le due cliniche accreditate dalla giunta di centrosinistra. Gli uomini della guardia di finanza che indagano sul presunto conflitto di interessi di Alberto Tedesco, ieri mattina, hanno condotto nuove acquisizioni. Hanno portato via altri documenti. Alle prime ore del mattino i militari del nucleo di polizia tributaria, coordinati dal procuratore aggiunto Marco Dinapoli, sono arrivati negli uffici delle società proprietarie delle due strutture sanitarie convenzionate con la Regione Puglia. E hanno acquisito la documentazione che ora fa parte degli atti dell'inchiesta. Allegate al fascicolo ci sono anche le carte che i militari delle fiamme gialle hanno portato via, martedì mattina, dalla sede dell'assessorato alla Sanità. Quello sugli accreditamenti è solo un aspetto dell'indagine aperta per capire se vi sia un conflitto di interessi di Alberto Tedesco e soprattutto se la presunta incompatibilità dell'esponente della giunta Vendola con la carica di assessore alla Sanità si traduca in comportamenti penalmente rilevanti. Il fascicolo è stato aperto all'indomani delle polemiche politiche che infuocato il dibattito alla Regione nel mese di ottobre. A sollevare il caso è stato il consigliere regionale dell'Italia dei Valori Pierfelice Zazzera. "Le aziende sanitarie del figlio di Alberto Tedesco - ha spiegato - da quando è assessore hanno incrementato il fatturato del cento per cento". Una posizione fatta propria dal vicepresidente della commissione Giustizia Luigi Vitali che ha scritto una lettera al procuratore Emilio Marzano, allegando il comunicato stampa del rappresentante dipietrista e sollecitando alcune verifiche. E così il capo degli uffici giudiziari di via Nazariantz ha aperto un'inchiesta, assegnandola all'aggiunto Marco Dinapoli che ha già coordinato altri fascicoli sulla sanità pugliese. Indagando sul presunto conflitto di interessi, gli uomini delle fiamme gialle vogliono accertare se le società dei figli dell'assessore che commercializzano prodotti medicali siano stati beneficiati e in modo irregolare dalla politica sanitaria della giunta Vendola. Per questo l'inchiesta è partita dalle verifiche sugli accreditamenti. In provincia di Bari, in particolare, due cliniche che operano nel campo della fisioterapia e della radiodiagnostica, sono state accreditate dall'amministrazione di centrosinistra. La procura vuole capire prima di tutto se le strutture sanitarie, al centro dei controlli, avessero i requisiti per essere convenzionate con il sistema sanitario pubblico. E se la decisione della giunta di stipulare un contratto con i due centri clinici sia stata dettata da reali e concrete necessità. Analizzando la documentazione acquisita nella sede dell'assessorato nel quartiere Japigia e negli uffici delle società, gli uomini delle fiamme gialle vogliono anche accertare se le società dei figli di Alberto Tedesco abbiano venduto prodotti medicali alle cliniche accreditate. "Chiederò al procuratore di essere ascoltato ma non c'è un documento prelevato dall'assessorato che riguardi in qualche modo l'attività dei miei figli" ha spiegato l'assessore alla Sanità (che non è indagato), all'indomani delle prime acquisizioni. Gli uomini del nucleo di polizia tributaria hanno portato via la documentazione che riguarda due cliniche della provincia di Bari, ma nei prossimi giorni i controlli si estenderanno anche alle altre strutture sanitarie della Puglia che sono state accreditate dall'amministrazione regionale di centrosinistra. Anche in questo caso la procura verificherà se, per l'acquisto di prodotti medicali, si siano rivolti alle società dei figli di Alberto Tedesco.


Nella rete di Berlusconi (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Manifesto, Il" del 14-12-2007)

 

Andrea Fabozzi Se qualcuno nel centrosinistra si permette di questionare le riforme immaginate da Veltroni, il primo a preoccuparsi e a dirsi solidale con il segretario del Pd è ormai Berlusconi. Se Fini litiga con Berlusconi, Veltroni subito litiga con Fini. Se Berlusconi finisce indagato per corruzione, Veltroni non dice una parola e l'intero Pd perde la voce. La trattativa sulla legge elettorale prima di tutto. Ma a che prezzo? Quel po' di concordia che restava nell'Unione è stato sacrificato con la leggerezza con cui si butta via qualcosa di inutile e sorpassato. Nel centrosinistra sono tutti contro tutti, la sinistra arcobaleno scolora nella più classica delle guerre civili: quella per la sopravvivenza. Non solo. Il dialogo esige i suoi sacrifici. La legge di riforma dell'emittenza può attendere, quella sul conflitto di interessi è parcheggiata sul binario morto. E attenzione. Si tratta delle due riforme mancate dallo scorso governo di centrosinistra per le quali sia Prodi che Veltroni che tutti gli altri hanno chiesto scusa e perdono agli elettori, i due massimi impegni per la nuova legislatura. La ragione per la quale molti indecisi hanno deciso di votare ancora il centrosinistra, a questo punto sbagliando. E invece. Veltroni preferisce glissare su quei provvedimenti che anche lui all'opposizione e in campagna elettorale riteneva fondamentali. Prodi se ne ricorda a giorni alterni e solo quando si preoccupa che l'intesa tra Walter e Silvio finisca per scavargli la fossa. Il risultato non cambia. Conflitto di interessi e riforma delle tv non si fanno e sono considerati meno urgenti di una modifica dei regolamenti parlamentari. "L'anomalia" Berlusconi è più che mai al centro della scena politica. Ma è giusto dialogare con il cavaliere sulla riforma della legge elettorale? Non si tratta con Berlusconi, si tratta di Berlusconi. È ridicolo scoprirne oggi la biografia, dopo quarant'anni di attività imprenditoriale e quindici di politica. Non sono certo le ultime inchieste ad aprire gli occhi sugli intrecci Rai-Mediaset o sulle attività mercantili del cavaliere con le attrici e i senatori. Semmai quelle inchieste sono enfatizzate proprio dal contorno politico: quel Berlusconi è tornato ad essere uno statista con il quale si sta cercando un dialogo privilegiato. Un brutto errore. La riforma elettorale va certamente fatta anche con il leader del primo partito dell'opposizione, ma senza per questo scontargli il fatto di aver imposto lui, solo due anni fa, l'attuale legge porcata. Buon senso e buona politica vorrebbero che la maggioranza o quel che ne resta cercasse prima di tutto al suo interno un'intesa. Sembrerebbe persino il compito del segretario del partito più grande dell'Unione. Aver fatto di Berlusconi l'architrave di tutto è più di quanto Berlusconi potesse desiderare. Per farlo il centrosinistra deve sacrificare le riforme promesse e nascondere la faccia ogni volta che la cronaca ricorda chi sia Silvio Berlusconi. Con il rischio, sottovalutato da Veltroni, che alla fine al cavaliere rimesso in sella convenga far saltare tutto. Ancora una volta.


ROMA - Il sistema di governo degli atenei cambierà. Lo ha annunciato il ministro Fabio Mussi du (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Messaggero, Il" del 14-12-2007)

 

Di ANNA MARIA SERSALE ROMA - Il sistema di governo degli atenei cambierà. Lo ha annunciato il ministro Fabio Mussi durante l'ultima seduta della Conferenza dei rettori. Meno burocrazia e una rigorosa valutazione del merito dovranno accompagnare il rilancio dell'autonomia universitaria e il nuovo sistema di governance. Una riforma attesa da anni. Attualmente, infatti, l'autonomia degli atenei pubblici è caratterizzata da un grave conflitto di interessi, quelli personali e corporativi dei docenti, e quelli di carattere generale dell'università. Ma per rendere più trasparente la gestione delle università Mussi inserisce una norma chiave: "I rettori potranno avere al massimo un mandato di sei anni, non rinnovabile negli ulteriori sei". I rettori in carica, dunque, non potranno essere rieletti. La regola varrà anche per gli altri componenti degli organi di governo accademico. C'è una novità anche per gli studenti. Viene dal ministro per le Politiche giovanili Giovanna Melandri. Il prestito d'onore che non era mai decollato, diventerà operante. Per pagare master, gli scambi Erasmus, computer, e affitto ci sarà una convenzione che verrà stipulata mercoledì prossimo tra il ministero e l'Abi, l'Associazione delle banche italiane, e che prevede uno stanziamento di 660 milioni nel triennio 2007-2009 da destinare agli studenti tra i 18 e i 35 anni. Il prestito va da un minimo di mille ad un massimo di seimila euro. Ma torniamo alla riforma Mussi. Nel disegno di legge in preparazione si prevede tra l'altro "la separazione delle competenze di politica e di strategia, assegnate al senato accademico, da quelle amministrative e di pianificazione finanziaria, attribuite al consiglio di amministrazione, riducendo ove necessario il numero degli organi e dei loro componenti". Altro punto centrale sarà quello che riguarda le sedi decentrate. Per determinare maggiore efficienza della spesa, e una migliore qualità complessiva del sistema, il ministro prevede la "chiusura delle sedi universitarie decentrate, non sufficientemente sostenute dagli enti locali; o non inserite in processi federativi. Il problema riguarda soprattutto i mega-atenei che hanno dato vita a sedi che soffrono di localismo, e che talvolta hanno strutture inadeguate e mancanza di laboratori. I rettori hanno detto di essere d'accordo, in particolare Guido Trombetti, presidente della Crui, ha ammesso la necessità di un intervento di regolazione. Per favorire la diffusione delle "buone pratiche", inoltre, il ministro ha detto che convocherà ogni anno una conferenza nazionale sul processo autonomistico degli atenei. Ma c'è un'altra novità importante. Riguarda le università telematiche. E' stato varato un decreto interministeriale (tra il ministero dell'Università e quello dell'Innovazione) per definire quali devono essere i requisiti dei corsi on-line, in merito a tutoring, numero di docenti e infrastrutture.


A Napoli farà come a Catanzaro? (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Libero" del 14-12-2007)

 

Attualità 14-12-2007 A Napoli farà come a Catanzaro? Lucia Annunziata nella puntata di "Ballarò" l'ha detto: "Berlusconi è spudoratamente troppo ricco". Ed ecco che certa magistratura, addirittura napoletana, indaga su Berlusconi su come si procaccia tanta ricchezza. Per par condicio, e non per conflitto di interessi, mi congratulerò con il ministro Mastella se si muoverà verso la magistratura napoletana con l'identica prontezza usata verso quella di Catanzaro. Salvatore Mastrodonato e.mail Salvo per uso personale è vietato qualunque tipo di riproduzione delle notizie senza autorizzazione.


Per Capanna trovano i soldi, per la ricerca no (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Libero" del 14-12-2007)

 

Italia 14-12-2007 Per Capanna trovano i soldi, per la ricerca no di ROBERTO DEFEZ* Nel gran baccano finale che sempre accompagna l'approvazione di una legge finanziaria, il ministro Paolo De Castro ha trovato il modo di tenere fede ad un impegno contratto mesi fa con l'ex leader sessantottino Mario Capanna. Pochi giorni fa, infatti, nel testo è comparso un articolo che stanzia 2 milioni di euro per promuovere "filiere produttive agricole esenti da contaminazioni da Ogm". Fantomatiche fondazioni Potrebbero persino diventare 5 milioni, se il ministero della Ricerca non gestirà con rigore e trasparenza l'altro fondo, di 3 milioni, previsto in Finanziaria. L'articolo specifica che queste somme saranno gestite da "Fondazioni che operano in campo scientifico", anche se con la ricerca scientifica, quella vera, non hanno nulla a che fare. Insomma, siamo il fanalino di coda per l'investimento in ricerca tra i Paesi più sviluppati, non possiamo pagare gli stipendi ai giovani ricercatori, li facciamo scappare a gambe levate all'estero, ma poi troviamo il modo di finanziare fondazioni come quella presieduta da Capanna. E lasciamo che su un tema controverso come le biotecnologie sia lui ad informare i cittadini, nonostante il palese conflitto di interessi dei soggetti con cui è alleato. La campagna mediatica Ai lettori potrà apparire una somma esigua, ma per chi come noi vive dei finanziamenti alla ricerca pubblica, la posta in gioco è molto consistente. Credo sia il caso di far notare che non uno solo dei più prestigiosi scienziati italiani ha aderito alla campagna mediatica orchestrata da Capanna, mentre si sono detti fiduciosi nei riguardi degli Ogm ricercatori come Garattini, Veronesi, Boncinelli, Cattaneo, Cossu, Hack, Ballabio, Regge, il presidente dell'Accademia delle Scienze Scarascia Mugnozza e molti altri. La comunità scientifica di questo paese ha tante colpe, ma non si può certo rimproverarle di non aver parlato chiaro sugli alimenti geneticamente migliorati. Le società scientifiche italiane hanno prodotto almeno tre inequivocabili documenti sul tema, disponibili sul sito http://www.salmone.org. Ma, paradossalmente, quando la comunità scientifica cerca di uscire dalla torre d'avorio, a sbarrarle il passo sono i vari ministri delle Politiche Agricole e una parte della filiera della distribuzione, che ha identificato nel rifiuto degli Ogm un comodo slogan pubblicitario. In molti supermercati è ormai difficile trovare alimenti che non siano etichettati come "No-Ogm". Il governo, invece di assecondare le lobby più rumorose, avrebbe il dovere di rispondere onestamente a una domanda: i prodotti Ogmfree sono più o meno sicuri degli altri? Nel corso di una recente polemica tra SAgRi ed il ministro De Castro, è emerso che il mais Bt (l'unico Ogm che sia coltivato oggi in Francia, Spagna e Germania) è molto più sicuro per la salute umana del mais tradizionale. Con e senza "fumosine" La ragione sta in alcune pericolose tossine prodotte da alcuni funghi (fumonisine) che si annidano nel mais convenzionale e non in quello transgenico. Il ministro è stato chiamato in causa per non aver dato rilievo a questi dati, confermati tra l'altro da uno studio dell'Istituto nazionale per la Nutrizione, da cui è emerso che il mais convenzionale presentava un contenuto di fumonisine superiore dell'81% rispetto al mais Bt. Questi dati sono di certo molto scomodi per chi ha investito tanti soldi per creare filiere senza Ogm e sta cercando di convincere i consumatori che è ragionevole pagare di più un alimento se ha il marchio "No-Ogm". E allora chi dovrebbe informare i cittadini: la ricerca scientifica pubblica del nostro paese o i rappresentanti di organizzazioni di categoria, commerciali e sindacali? *COORDINATORE SAGRI (SALUTE, AGRICOLTURA, RICERCA) POLITICO NON OGM L'ex leader sessantottino Mario Capanna, fondatore di Democrazia Proletaria, da tempo di batte contro i prodotti Ogm, Organismi geneticamente modificati. Per l'anno 2008 il governo ha stanziato 2 milioni di euro destinati a un fondo apposito creato per finanziare la battaglia contro gli Ogm Con trasto Salvo per uso personale è vietato qualunque tipo di riproduzione delle notizie senza autorizzazione.


"ho sbagliato ha ragione huntington" - (segue dalla prima pagina) (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Repubblica, La" del 14-12-2007)

 

Cultura "ho sbagliato ha ragione Huntington" Lo scrittore riscrive un suo celebre articolo e ammette che lo scontro di civiltà esiste La maggioranza silenziosa dei musulmani si è alleata con gli estremisti è evidente che ogni storia religiosa sul come siamo arrivati qui è di fatto sbagliata (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Molte di queste storie ti colpiranno per la loro straordinaria bellezza, e dunque per la loro capacità di seduzione. Malauguratamente, però, non sarà una reazione puramente letteraria che chiederanno da te. Solo le storie delle religioni "morte" possono essere apprezzate per la loro bellezza. Le religioni vive ti chiedono molto di più. E ti diranno dunque che credere nelle "tue" storie, e aderire ai rituali di culto sviluppatisi intorno a esse, dovrà diventare una parte fondamentale della tua esistenza in questo mondo affollato. Le chiameranno il cuore della tua cultura, della tua identità individuale, perfino. è possibile che a un certo punto arriveranno a sembrarti qualcosa a cui non si può sfuggire, non come non si può sfuggire alla verità, ma come non si può sfuggire a una prigione. Forse, a un certo punto, smetteranno di apparirti come i testi in cui degli esseri umani hanno cercato di risolvere un grande mistero, e ti appariranno invece come i pretesti per consentire ad altri esseri umani, consacrati all'uopo, di tiranneggiarti. Ed è vero che la storia umana è piena di pubblica oppressione inferta dagli aurighi degli dei. Ma le persone religiose ritengono che il conforto privato che la religione dà è più che sufficiente a compensare il male fatto in suo nome. Con lo svilupparsi della conoscenza umana, è diventato anche evidente che ogni storia religiosa mai raccontata sul come siamo arrivati qui è, semplicemente, sbagliata. è questo, in definitiva, che accomuna tutte le religioni. Non c'hanno indovinato. Niente rimestìo celeste, niente danza del creatore, niente vomitìo di galassie, niente progenitori canguri o serpenti, niente Valhalla, niente Olimpo, niente sei giorni di giochi di prestigio seguiti da un giorno di riposo. Sbagliato, sbagliato, sbagliato. Qui, però, accade qualcosa di davvero strano. L'erratezza delle storie sacre non ha sminuito neanche un po' lo zelo del credente devoto. Anzi: la pura e semplice, anacronistica assurdità della religione spinge il religioso a insistere con ancor più fervore sull'importanza della fede cieca. Per effetto di questa fede, tra l'altro, si è rivelato impossibile, in molte parti del mondo, impedire che i numeri della razza umana si gonfiassero fino a proporzioni allarmanti. La colpa del sovraffollamento del pianeta, almeno in parte, dàlla alla sventatezza delle guide spirituali della razza. Nell'arco della tua vita, potresti tranquillamente arrivare a vedere la nascita del novemiliardesimo cittadino del mondo. Se sei indiano o indiana (e c'è una possibilità su sei che tu lo sia) sarai vivo (o viva) quando, grazie al fallimento dei programmi di pianificazione delle nascite in questa terra povera e oppressa da Dio, la popolazione del tuo Paese supererà quella della Cina. E se troppe persone stanno nascendo, anche per effetto dell'ostilità delle religioni al controllo delle nascite, troppe persone stanno anche morendo, perché la cultura religiosa, rifiutando di affrontare le realtà della sessualità umana, rifiuta anche di combattere la diffusione di malattie sessualmente trasmissibili. Ci sono quelli che dicono che le grandi guerre del nuovo secolo saranno ancora una volta guerre di religione, jihad e crociate, come furono nel Medioevo. Anche se ormai da anni l'aria risuona delle grida di battaglia di fedeli che trasformano i loro corpi in bombe del Signore, e anche delle urla delle loro vittime, non ho voluto credere a questa teoria, o quantomeno non nel modo in cui la maggior parte delle persone la concepiscono. Ho sostenuto per molto tempo che lo "scontro di civiltà" di Samuel Huntington è un'ipersemplificazione. Che la maggior parte dei musulmani non ha alcun interesse a prendere parte a guerre religiose. Che le divisioni nel mondo islamico sono altrettanto profonde delle cose che lo uniscono. (Basta dare uno sguardo al conflitto tra sunniti e sciiti in Iraq, se si ha qualche dubbio.) è alquanto difficile trovare qualcosa che assomigli a un obbiettivo comune di tutto l'islam. Perfino dopo che la non islamica Nato combatté una guerra per i kosovari, albanesi e musulmani, il mondo islamico fu lento a farsi avanti con gli aiuti umanitari tanto necessari. Le vere guerre di religione, sostengo io, sono le guerre che le religioni scatenano contro i comuni cittadini che rientrano nella loro "sfera di influenza". Sono guerre dei devoti contro gli indifesi (in gran parte): fondamentalisti americani contro medici abortisti, mullah iraniani contro la minoranza ebraica nel loro Paese, i talebani contro il popolo afghano, i fondamentalisti indù di Bombay contro i residenti musulmani, sempre più impauriti, di quella città. E le vere guerre di religione sono anche le guerre che le religioni scatenano contro i non credenti, la cui non tollerabile nonfede viene reinterpretata come un delitto, come ragione sufficiente per eliminarli. Col passare del tempo, però, sono stato obbligato a riconoscere una cruda verità, che le masse dei cosiddetti "musulmani comuni" sembrano aver comprato le fantasie paranoidi degli estremisti, e sembrano spendere più energie a mobilitarsi contro vignettisti, romanzieri o il papa, che a condannare, emarginare ed espellere gli assassini fascisti presenti tra loro. Se questa maggioranza silenziosa consente che una guerra venga condotta in suo nome, allora, in definitiva, in quella guerra diventa complice. E forse allora, dopo tutto, sta effettivamente iniziando una guerra di religione, perché ai peggiori tra noi viene concesso di dettare l'agenda al resto di noi, e perché i fanatici, che fanno sul serio, non incontrano un'opposizione sufficientemente forte da parte della "loro gente". E se è così, allora i vincitori di una simile guerra non devono essere gli ottusi, quelli che marciano in battaglia, come sempre, con Dio al loro fianco. Scegliere la nonfede è scegliere la ragione contro il dogma, fidarsi della nostra umanità invece di tutte queste pericolose divinità. E dunque, come siamo arrivati qui? Non cercare la risposta nei libri di storia "sacri". L'imperfetta conoscenza umana magari sarà una via accidentata e piena di insidie, ma è la sola strada alla saggezza che valga la pena imboccare. Virgilio, che credeva che l'apicoltore Aristeo potesse generare spontaneamente nuove api dalla carcassa putrefatta di una mucca, era più vicino alla verità sulle origini di tutti i venerati libri antichi. Le saggezze antiche sono sciocchezze moderne. Vivi nel tuo tempo, usa quello che conosci e quando sarai diventato adulto, forse finalmente la razza umana sarà diventata adulta con te e avrà messo da parte le cose da bambini. Come dice la canzone, It's easy if you try: se ci provi è facile. Quanto alla moralità, il secondo grande interrogativo ? come dobbiamo vivere? Quali sono le cose giuste da fare, e quali quelle sbagliate? ? dipenderà se sarai disposto, o disposta, a pensare con la tua testa. Solo tu puoi decidere se vuoi che siano i preti a elargirti la legge, e accettare che il bene e il male siano, in qualche modo, esterni a noi stessi. A mio parere, la religione, anche nella sua versione più sofisticata, essenzialmente infantilizza il nostro io etico fissando infallibili Arbitri morali e irredimibili Tentatori immorali al di sopra di noi; i genitori eterni, bene e male, luce e ombra del regno ultraterreno. Come potremo, dunque, compiere scelte etiche senza un regolamento o un giudice divino? La nonfede è solo il primo passo della lunga deriva verso la morte cerebrale del relativismo culturale, in base al quale molte cose insopportabili ? la circoncisione femminile, per nominarne soltanto una ? possono essere giustificate con la specificità culturale, e può essere ignorata anche l'universalità dei diritti umani? (Quest'ultimo capolavoro di disfacimento morale trova sostenitori in alcuni tra i regimi più autoritari del pianeta, e anche, ed è inquietante, sugli editoriali del Daily Telegraph). No, non è il primo passo verso il relativismo culturale, ma le ragioni per sostenere questa tesi non sono così chiare e distinte. Solo l'ideologia radicale è chiara e distinta. La libertà, che è la parola che uso per definire la posizione etico-laica, è inevitabilmente più confusa. Sì, la libertà è quello spazio in cui può regnare la contraddizione, è un dibattito infinito. Non è, in sé, la risposta all'interrogativo morale, è la conversazione su quell'interrogativo. Ed è molto di più di semplice relativismo, perché non è semplicemente un chiacchiericcio senza fine, ma un luogo in cui si compiono le scelte e si definiscono e difendono i valori. La libertà intellettuale, nella storia europea, ha significato principalmente libertà dai vincoli della Chiesa, non dai vincoli dello Stato. Questa è la battaglia che combatteva Voltaire, ed è anche quello che tutti i sei miliardi di noi potremmo fare per noi stessi, la rivoluzione in cui ognuno di noi potrebbe giocare la sua piccola, seimiliardesima parte: potremmo, una volta per tutte, rifiutare di permettere ai preti e alle storie immaginarie in nome delle quali essi pretendono di parlare, di essere i poliziotti delle nostre libertà e del nostro comportamento. Potremmo, una volta per tutte, rimettere le storie nei libri, rimettere i libri sugli scaffali e vedere il mondo semplice e sdogmatizzato. Immagina che non ci sia nessun regno dei cieli, mio caro seimiliardesimo, e improvvisamente il cielo cesserà di avere limiti. Copyright Salman Rushdie 2007 (Traduzione di Fabio Galimberti).


Angela Mauro (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Liberazione" del 14-12-2007)

 

Allo studio modifiche sulla soglia di sbarramento circoscrizionale della nuova legge Bozza Bianco, si lavora per ricucire con i piccoli Ma resta la spaccatura nella Sinistra-Arcobaleno Angela Mauro Ieri hanno dimostrato che fanno sul serio. I piccoli dell'Unione si sono iscritti in massa per intervenire al dibattito sulla bozza Bianco della nuova legge elettorale in Commissione Affari Costituzionali al Senato. Ostruzionismo, puntato contro il frutto del dialogo tra Veltroni e Forza Italia, sul quale ci sta anche Rifondazione che pure chiede modifiche al testo base (voto disgiunto collegio-lista e ripartizione dei resti su base nazionale). Tattica da fuoco amico per fermare la macchina delle riforme fino al vertice dell'Unione fissato per il 10 gennaio e pazienza se alla fine l'avrà vinta il referendum: per Udeur, Verdi, Pdci non sarebbe un dramma, a questo punto, anzi potrebbe risultare un'ancora di salvezza maggioritaria per autopreservarsi. L'ostruzionismo contiene una richiesta specifica: rinviare il voto sulla bozza Bianco previsto per il 19 dicembre. "Sarebbe saggio", dice pure Cesare Salvi di Sinistra Democratica, "precipitare il voto sul testo base potrebbe essere dirompente per il governo: la gatta frettolosa fa i gattini ciechi e l'Aula di palazzo Madama si appresta a votare quattro fiducie". Più che una minaccia, è un invito alla riflessione. E infatti a Palazzo è già iniziato il lavorìo per ricucire con chi è recuperabile. Malgrado strepitino per fare tabula rasa della bozza Bianco, Udeur, Lega, Udc e anche Sd potrebbero accontentarsi di alcune modifiche sulla soglia di sbarramento prevista al 7 per cento in almeno cinque circoscrizioni. Si lavora per renderla più bassa e in un numero minore di circoscrizioni, sperando che la pausa natalizia porti giudizio. Perchè, nonostante che il presidente della Commissione Affari Costituzionali Enzo Bianco insista sull'opportunità di adottare il testo base al più presto per evitare il referendum, non è escluso che in presenza di un barlume di accordo si rinvii la discussione ad anno nuovo. Dal quadro di riconciliazione però resterebbero esclusi Verdi e Pdci, dati per irrecuperabili nella trattativa. Insomma, sulla legge elettorale il bilancio della sinistra unitaria resta in rosso. "La bozza Bianco è peggio della legge truffa del '53", sbotta Manuela Palermi dei Comunisti Italiani che manda a dire a Rifondazione che "così l'unità a sinistra si rompe". Da qui, le insistenze sul vertice dell'Unione del 10 gennaio. "Veltroni è il capo di un partito - dice Pino Sgobio - Prodi è il garante della coalizione e deve allontanare le nubi che si addensano sul suo governo". "Bene il vertice di gennaio, ma la bozza Bianco è il ritorno alla Prima Repubblica", ribadisce Angelo Bonelli dei Verdi che avverte: "No allo scambio tra il dialogo sulle riforme e il sacrificio della legge sul conflitto di interessi". L'inchiesta della procura di Napoli su Berlusconi, indagato per corruzione, non c'entra, insiste il Prc. Una cosa sono le persone singole, altra è il fatto che le leggi elettorali si fanno "insieme, maggioranza e opposizione, con una discussione in Parlamento", ribatte Giovanni Russo Spena, tornando a puntualizzare che il vertice di gennaio non deve aggirare "la verifica programmatica" chiesta dal Prc (e da tutta la sinistra, tranne il Pdci) dopo il voto di fiducia sul welfare alla Camera. Decisamente più morbida invece la linea di Sd, aperta a ricucire. "I partiti della Sinistra Arcobaleno non smentiscano oggi la promessa di unità che hanno lanciato pochi giorni fa agli stati generali", sostiene Titti Di Salvo, esortando al "confronto e alla ricerca di una posizione unitaria per cambiare il Calderolum, in quanto il referendum non risolve i suoi limiti". In tutto il bailamme, il ministro Paolo Ferrero ne approfitta per rilanciare la sua proposta: "Facciamo i conti con la realtà. L'unico obiettivo possibile a sinistra è la federazione". Se l'unità a sinistra scricchiola a livello nazionale, il patto d'azione comune tra Prc, Sd, Verdi e Pdci regge in Campidoglio. A Roma i quattro partiti - insieme ai socialisti di Boselli - hanno annunciato compatti che non voteranno l'ordine del giorno del Partito Democratico sulle unioni civili. "E' offensivo - spiega Adriana Spera del Prc dopo l'incontro della sinistra con Veltroni - giudica negativamente le nostre proposte di delibera sul registro delle unioni civili, istituito in ben 70 comuni italiani. Lunedì, quando si voteranno le delibere, faremo un nuovo "contro Family Day" in Piazza del Campidoglio". 14/12/2007.


Servizi locali, chi rema contro (sezione: Conflitto di interessi)

( da "EUROPA.it" del 14-12-2007)

 

LIBERALIZZAZIONI Perché dà fastidio il ddl Lanzillotta? I comuni e i bilanci delle ex municipalizzate Servizi locali, chi rema contro EMILIO BARUCCI FEDERICO PIEROBON Il tema della liberalizzazione dei servizi pubblici locali oramai tiene banco da più di un anno nell'agenda politica del governo Prodi: il ddl Lanzillotta si è arenato malamente sulle secche del senato, e dopo un lungo tira e molla la riforma non è stata inserita in Finanziaria. A ben guardare, le misure di cui oggi si discute sono annacquate rispetto ai propositi iniziali (l'obbligatorietà della gara è accompagnata da significative deroghe in favore dell'affidamento diretto a società in house, miste, esercizio in economia) ma pur sempre di un tentativo di liberalizzazione si tratta. Le opposizioni, da parte della sinistra radicale ma soprattutto dei piccoli (e forse anche grandi) comuni, hanno avuto buon gioco nella loro opera di contrasto. Il dibattito è stato condizionato da una contrapposizione in gran parte artificiosa: servizi pubblici locali come esempio dei costi della politica (mal gestiti e con una pletora di consiglieri di amministrazione di nomina politica) contro salvaguardia degli interessi degli utenti. In tutto questo alcuni dati di fatto sono passati inosservati. Il tema dei servizi pubblici locali deve essere letto all'interno di quello più ampio del ruolo che lo stato svolge nell'economia, un ruolo mutato profondamente negli ultimi quindici anni. Lo stato imprenditore ha lasciato spazio allo stato regolatore (autorità di settore e a tutela della concorrenza) e il suo intervento è ormai teorizzato soltanto negli ambiti di "fallimento del mercato" che non siano regolabili in modo efficace. Questo riposizionamento in realtà è stato disordinato: alcuni asset (come le reti e le infrastrutture) sono stati privatizzati/regolati in modo non oculato, in altri casi lo stato è rimasto azionista di imprese per lucrare dividendi elevati giocando un doppio ruolo (proprietario-regolatore) in evidente conflitto di interessi. I servizi pubblici locali ripropongono questo "stato di confusione" e lo accentuano: non essendo sotto il controllo di una autorità centrale e risentendo in misura meno stringente del vincolo del debito pubblico, sono stati coinvolti dal processo di privatizzazione in misura limitata, solo una piccola parte è stata quotata in borsa, le aggregazioni sono state comunque limitate, i tentativi di liberalizzare il settore hanno avuto natura settoriale e risalgono al quinquennio d'oro delle liberalizzazioni in Italia (1995-2000), in alcuni casi i comuni traggono dalle municipalizzate dividendi significativi (Milano il 4% delle entrate). Le grandi guadagnano di più L'analisi dei bilanci delle municipalizzate mostra in modo inequivocabile alcuni dati che reclamano una riforma e una liberalizzazione: a) la performance delle imprese varia in misura sostanziale a seconda del settore di appartenenza. Un po' come lo stato centrale, che riesce a fare bene l'imprenditore con Eni ed Enel e male con Alitalia e Ferrovie, le imprese municipalizzate vanno bene nel settore dell'energia elettrica/ gas (comprese le multiutility) con una remunerazione del capitale mediamente superiore al 10% per le società quotate e comunque generalmente superiore al 6%, una remunerazione che scende al 3-4% nei servizi ambientali ed idrici, mentre i trasporti locali vengono gestiti generalmente in perdita. A questa differenza corrispondono tariffe basse e contributi pubblici di ripianamento delle perdite quasi esclusivamente nel settore dei trasporti locali. b) il settore è attraversato da profonde differenziazioni a livello regionale e dimensionale. Innanzitutto al centro-nord abbiamo il maggior numero di imprese municipalizzate, essendo stato maggiore il ricorso alla "societarizzazione" delle ex-aziende speciali. La maggiore diffusione del fenomeno nel nord Italia non si accompagna con differenze sostanziali rispetto alla dimensione media delle imprese in termini di numero di dipendenti, mentre la differenza si fa sentire riguardo al giro di affari; questa sperequazione si riflette sulla diversa profittabilità: nel 2005, il rapporto del margine operativo lordo sui ricavi delle municipalizzate del nord è stato in media doppio rispetto a quello delle stesse società del meridione. Le imprese di maggiore dimensione sono, generalmente, più profittevoli: nel campione che abbiamo analizzato, tra il 2000 e il 2005, risulta che le prime cinque imprese per valore dell'attivo hanno operato con una media di 10 punti percentuali in più, in termini di margini, rispetto alle cinque più piccole. c) le società municipalizzate nel loro complesso non hanno attraversato un processo di ristrutturazione intenso quale quello che ha coinvolto il settore privato negli ultimi anni: il peso dei costi del personale sul fatturato rimane mediamente più elevato rispetto alle società del settore privato. Il dato diventa patologico in alcune realtà del trasporto locale: esistono ancora casi in cui le spese per il personale sono superiori ai ricavi, con punte del 120- 130%. d) le società municipalizzate quotate e quelle in cui il privato è entrato come socio di minoranza hanno conosciuto negli ultimi anni un recupero di efficienza: se da un lato è vero che solo le imprese più "virtuose" erano in grado di attrarre investimenti dal settore privato, è possibile sostenere che queste società hanno beneficiato dalla trasparenza e dal monitoraggio dei mercati per perseguire aggregazioni volte ad abbattere i costi fissi. Il caso dell'assegnazione del ruolo di socio di minoranza nella società per il trasporto pubblico del comune di Genova ha mostrato come l'ingresso del socio privato possa coincidere con un forte impulso alla ristrutturazione della società piuttosto che essere motivato dalla ricerca di rendite. e) al di là dei (fondati) argomenti sui "costi della politica", gli enti locali hanno tratto in molti casi lauti profitti dalla partecipazione al capitale di queste società: tra il 2002 e il 2005 il comune di Brescia ha ricevuto il 20% delle proprie entrate attraverso i dividendi erogati dalle controllate, mediamente quasi tre volte quanto trasferito dall'intero settore pubblico nel periodo. Anche i comuni di Milano e di Roma si trovano ad incassare circa 50-60 milioni l'anno in termini di dividendi. Se è vero che questi dati corrispondono alle realtà "di punta", non va dimenticato che essi potrebbero costituire un punto di riferimento per molti comuni attenti alla valorizzazione dei propri attivi. Il controllore coincide con il controllato Questi dati di fatto ci costringono a fissare tre conclusioni di natura politica: a) se si esclude quelle quotate, il mondo delle municipalizzate presenta segni di inefficienza gestionale o quantomeno di non recupero di efficienza. b) siamo in presenza di fatto di scelte discutibili in materia distributiva: alcuni utenti (dei trasporti pubblici) sono avvantaggiati rispetto ad altri (si pensi agli anziani che subiscono il caro bolletta ma non usano mezzi pubblici); in molte città del nord le municipalizzate si stanno aggregando e hanno conosciuto un recupero significativo di efficienza, mentre al sud le municipalizzate o vengono acquisite o continuano a sostenere costi elevati nella gestione con finalità difficilmente giustificabili in termini redistributivi. c) gli enti locali ripropongono il connubio perverso imprenditore-regolatore che si osserva a livello centrale. Per ovviare a questi problemi urge una riforma nella direzione del ddl Lanzillotta. L'ingresso dei privati, che non è un obbligo ma può avvenire solo tramite una gara, rappresenta una soluzione a questi tre problemi: garantirebbe un recupero di efficienza; scioglierebbe il conflitto di interessi in capo all'ente pubblico; eliminerebbe le distorsioni distributive nord-sud e tra utenti. Su questa strada esistono dei rischi e la liberalizzazione non basta. Occorre agire in tre direzioni: rendere più efficace la regolamentazione al fine di impedire che la liberalizzazione si traduca in un trasferimento di rendita dal pubblico al privato; compiere scelte trasparenti e chiare nella definizione dei contratti di servizio (soprattutto in materia di trasporti), tenendo ben presenti le implicazioni redistributive; aprire all'innovazione in materia di fornitura di servizi in territori particolari (zone montane, isole, ecc.) che rischiano di essere tagliati fuori da questo processo di ristrutturazione. La liberalizzazione rappresenta il primo passo e fa parte di un disegno più ampio. Ma attenzione a non nascondersi dietro una foglia di fico: avere ben presenti i rischi e l'esigenza di altre misure non può tradursi in una difesa dello status quo che lascerebbe tutti i gravi problemi irrisolti.


Articoli del 13 dicembre 2007

"non lavoro per conto di berlusconi" - niccolo zancan ( da "Repubblica, La" del 13-12-2007)

L'anno nero delle concessioni e l'intrigo del multipurpose - marco preve ( da "Repubblica, La" del 13-12-2007)

Pd, due assessori nel mirino - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 13-12-2007)

ROMA - Passa al contrattacco Silvio Berlusconi: i fatti non sono assolutamente di rilievo pena ( da "Messaggero, Il" del 13-12-2007)

O no esistito all'origine (e sussista tuttora) un conflitto ( da "Tempo, Il" del 13-12-2007)

Di Pietro dal palco: <Sul caso Mastella conflitto d'interessi> ( da "Libero" del 13-12-2007)

Uggè: <Un patto debole Rischiamo altre proteste> ( da "Corriere della Sera" del 13-12-2007)

Saccà ammette. E si difende: a Berlusconi ho anche detto tanti no Alle attrici furono fatti provini, ma nessun contratto. Il direttore di Raifiction rischia la sospensione ( da "Unita, L'" del 13-12-2007)

E i forzisti in dismissione recitano il mantra antigiudici ( da "Unita, L'" del 13-12-2007)

Scioperi e clima, l'Italia è sempre in ritardo Cara Unità, il blocco del ( da "Unita, L'" del 13-12-2007)

Uggè, il forzista che accende la protesta ( da "Unita, L'" del 13-12-2007)

Il Governo ai magistrati Rispetto per le Camere Nell'inchiesta Berlusconi c'è chi vede un siluro al dialogo ( da "Giorno, Il (Nazionale)" del 13-12-2007) + 2 altre fonti

Prodi getta acqua sul fuoco: Aperti al dialogo ( da "Tempo, Il" del 13-12-2007)

Evitare il conflitto di interesse dei magistrati ( da "Opinione, L'" del 13-12-2007)

RIFORME, RISSA NELL'UNIONE: VERTICE IL 10 GENNAIO ( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 13-12-2007)


Articoli

"non lavoro per conto di berlusconi" - niccolo zancan (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Repubblica, La" del 13-12-2007)

 

Cronaca Ex sottosegretario nel governo del Cavaliere e presidente del sindacato Fai: chi mi accusa è in malafede "Non lavoro per conto di Berlusconi" Uggè, rivoltoso e deputato di Fi: nessun conflitto d'interessi Non cerco la paralisi è Prodi che ha trascurato il problema e poi ha fatto la Bella Addormentata NICCOLO ZANCAN NICCOLò ZANCAN TORINO - Dica la verità, ha sentito Berlusconi? "Purtroppo è una vita che non sento il presidente". Secondo lei è contento del lavoro che sta facendo? "Questo dovete chiederlo a lui. Ma sappia che qui nessuno ha mai fatto il tifo per la paralisi del paese". Chi lo dice: il sindacalista o il politico? "Credo che questa risposta non interessi a nessuno. Chi mi accusa è in malafede. Non esiste conflitto di interesse in quello che faccio: sono deputato di Forza Italia e presidente di un'importante associazione di autotrasportatori. Non sarà mica reato...". Se è per questo l'onorevole Paolo Uggè, 60 anni, è stato anche sottosegretario ai Trasporti nel governo Berlusconi. E ha svolto l'incarico con indubbio ascendete sulla categoria: durante il suo mandato, mai un blocco. "Il motivo è banale - spiega - il dottor Letta, intendo zio Gianni, conduceva trattative che finivano all'alba. Così riusciva ad evitare gli scioperi. In questi giorni le cose sono andate diversamente". Come sono andate? "Ero a Palazzo Chigi. Si sono presentati Enrico Letta, il ministro Bianchi e il sottosegretario Annunziata. Hanno distribuito un documento per lo sviluppo dell'autotrasporto che a grandi linee ricalca il protocollo di intesa siglato a febbraio. Noti bene: protocollo mai attuato. Hanno detto: valutate e fateci sapere. Prendere o lasciare. A me sembra un modo strano di trattare". Il suo sindacato è l'unico che non ha firmato l'accordo. Cosa farete? "Intanto, prendiamo atto. Invitiamo le aziende a riprendere i trasporti. I nostri organismi esprimeranno un giudizio. Ma io penso che il Governo invece di un generico impegno fumoso, avrebbe dovuto presentare un emendamento alla finanziaria". Palazzo Chigi dice che la sua presenza al tavolo della trattativa era incongruente. Cosa risponde? "Ero lì in veste esclusiva di sindacalista". è sicuro? "Guardi, l'ultimo blocco di cinque giorni risale al 1990. Nel 2000 ce n'è stato uno durato un giorno e mezzo. Ma allora c'era un ministro che costrinse la parti a confrontarsi, quel ministro si chiamava Bersani. Vede che non c'entra la politica?". Nel 2000, in un'intervista a Repubblica, lei aveva detto: "I blocchi sono da condannare senza incertezze". Continua a pensarla allo stesso modo? "Certo. Noi di Fai Conftrasporto non li abbiamo mai autorizzati. Il nostro codice di autoregolamentazione non li prevede. Far passare la nostra iniziativa sindacale come collegata alla politica non risponde alla realtà. Le ricordo che il blocco è stato voluto da altre rappresentanze, sigle che non possano certamente essere annoverate fra i fan del presidente Berlusconi". Cosa si sente di dire alla gente per i disagi di questi giorni? "Si rivolgano a Prodi. Devono chiedergli come mai trova sempre tanto tempo per andare in giro a fare inaugurazioni e cose simpatiche ma non ha sprecato neppure un minuto per convocare le parti". Nel suo blog ha scritto: "Prodi resiste con sprezzo del ridicolo". Chi parlava: il politico o il sindacalista? "è la mia valutazione. Dopo settimane di silenzio e totale disinteresse, il presidente del consiglio si è svegliato come la bella addormentata nel bosco e ha detto: "Ma guarda un po' questi cattivoni cosa stanno combinando..."".


L'anno nero delle concessioni e l'intrigo del multipurpose - marco preve (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Repubblica, La" del 13-12-2007)

 

Pagina IX - Genova L'INDAGINE Svolta nell'inchiesta del pm Cotugno, spuntano nuove e più gravi accuse L'anno nero delle concessioni e l'intrigo del Multipurpose l'inchiesta Una vicenda che si trascina da anni e che ora sembra arrivare a un punto di svolta i colpi di scena Emergono le prime indiscrezioni dagli interrogatori non secretati sulle aree demaniali MARCO PREVE Con una serie di nuovi colpi di scena e le prime indiscrezioni dagli interrogatori non secretati, si stanno per concludere i dodici mesi che hanno sconvolto il porto di Genova. Si chiude l'anno ma non l'inchiesta del pm Walter Cotugno sulle concessioni demaniali che, iniziata con un blitz e uno sgombero delle baracche abusive dei pescatori della fascia di rispetto a Prà, si è via via addentrata all'interno delle banchine, fino a toccare i punti nevralgici del sistema portuale genovese. E' stato così possibile portare a galla una gestione perlomeno negligente delle varie concessioni, con aree assegnate in via informale ed altre affittate per canoni irrisori, come aveva spesso denunciato il presidente dell'Autorità Giovanni Novi. Centinaia i denunciati, che eviteranno guai penali attraverso la regolarizzazione della propria posizione oltre al pagamento di multe salate. L'ultimo capitolo, che è poi quello più delicato, riguarda l'assegnazione del terminal Multipurpose. E in questa vicenda compaiono come indagati alcuni personaggi chiave. C'è quel Sandro Carena ex segretario dell'Autorità Portuale che entra in aperto conflitto con il presidente Giovanni Novi, e poi c'è il professor Sergio Maria Carbone, docente di diritto e consulente legale dell'Authority. Fino ad oggi si era saputo che i tre, assieme all'armatore Aldo Grimaldi erano indagati per turbativa d'asta. In realtà Novi e Carbone (difesi dagli avvocati Cesare Manzitti e Corrado Pagano) sarebbero accusati anche di concussione, truffa e falso. I loro legali spiegano che a loro "non risulta", aggiungendo che "gli unici atti che ci sono stati notificati parlano di turbativa d'asta". Per Carena (difeso dall'avvocato Sabrina Franzone) e Grimaldi resta, al momento, la sola accusa della turbativa. Nella vicenda, molto complessa, del Multipurpose, la procura ha approfondito la fase dell'assegnazione gestita da Novi. Il terminal, nei primi mesi del 2004 viene assegnato alla Msc dell'armatore Aponte che però successivamente rinuncia. A quel punto il neo presidente Novi sfrutta la possibilità concessa dalla legge 84/94 che, per evitare le formalità della gara, consente all'Autorithy di accettare accordi costitutivi presentati dai soggetti privati interessati: nel caso in questione il gruppo Spinelli, Messina, Clerici e Gavio - Scerni. Ma quando a settembre Ignazio Messina, in un'intervista, riferendosi all'accordo parla di "condizioni ricattatorie" il pm Cotugno lo convoca e lo interroga. Quindi iscrive a registro Novi e Carbone. Novi, negli interrogatori, spiega di aver voluto risolvere fin dal suo insediamento il problema Multipurpose. Ricorda un incontro con Aldo Grimaldi e poi di aver ricevuto una lettera con cui l'armatore gli forniva i termini del possibile accordo, spiegando che ne aveva parlato con gli altri terminalisti interessati ma aggiungendo di tenere la cosa riservata. La procura contesterebbe quindi a Novi la non originalità dell'accordo. Altro motivo di scontro è la presenza, nel progetto di spartizione, della Tirrenia. Novi ricorda di averne sempre parlato pubblicamente, senza nascondersi. La procura però intravede una forzatura nell'inserimento di Tirrenia. Messina e gli altri spiegano poi di essersi ritrovati di fronte ad un aut aut del presidente il primo di aprile 2004: o accettate questo accordo (che secondo la legge dovrebbe essere invece frutto dei privati) oppure si rifà la gara e perdete la possibilità che oggi vi sono offerte. Novi, però, ribatte e parla di un piano regolare, proveniente dai terminalisti e che all'epoca non trovò alcuna opposizione da parte degli interessati. Un accordo, prosegue il presidente, che ebbe anche l'assenso di Carbone e di Giuseppe Pericu (membro del comitato portuale, anche lui sentito dagli inquirenti). Un altro aspetto oggetto dell'indagine è la modalità con cui si invitarono a rinunciare all'assegnazione tre società minori: Angelo Pastorino, Thermocar, Stc, i cui tre titolari sono stati interrogati. In questo caso, Novi e Carbone da un parte e Carena dall'altra, si rimpallano la primogenitura nella scelta del metodo. Per altro, tutti - i primi due in una cena al Tunnel - Carena nel suo ufficio, ammettono di aver parlato con i titolari delle aziende, ma solo per sottolineare l'assenza dei requisiti necessari e senza promettere nulla in cambio.


Pd, due assessori nel mirino - (segue dalla prima pagina) (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Repubblica, La" del 13-12-2007)

 

Pagina V - Bari RETROSCENA I responsabili del Bilancio e della Sanità sotto tiro da parte del centrosinistra. "Ma restano, per ora" Pd, due assessori nel mirino Il partito processa Saponaro e Tedesco: "Hanno sbagliato" (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) (segue dalla prima di cronaca) E qualcuno, infatti, gli ha ricordato che la sua crociata contro i costi della politica, inserita nella bozza di relazione al bilancio, dovrebbe portare dritto alle sue dimissioni perché quei costi sono cresciuti di 10 milioni di euro in quattro anni per pagare i 10 consiglieri regionali in più di via Capruzzi ma anche assessori esterni come lui. Un modo elegante per chiedere di togliere il disturbo? Forse. Certo è - fanno notare nel centrosinistra - che "dopo le batoste alla riunione del Pd e le mazzate al vertice di centrosinistra, avrebbe dovuto almeno fare il gesto di rimettere il mandato". Probabilmente se la caverà modificando la relazione fatta in fretta per consegnarla in tempo al Consiglio. E la prima voce a cadere sarà la parte "programmatica" sui costi della politica. Più articolata la posizione di Tedesco. La visita della guardia di finanza negli uffici del suo assessorato per prelevare documenti sugli accreditamenti recenti nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul suo presunto conflitto d'interessi (i figli dell'assessore sono titolari di azienda che commercializza materiale sanitario) indebolisce l'assessore alla vigilia di una sessione di bilancio che introdurrà le tasse per coprire i deficit che si riconduce alle politiche della salute. "Chiederò al procuratore di essere ascoltato ma non c'è un documento prelevato dall'assessorato che riguardi in qualche modo l'attività dei miei figli", ha detto prima di entrare in commissione sanità e visibilmente infastidito dall'idea di vedere riportare l'orologio della polemica sulle accuse dei "dipietristi" sugli affari di famiglia indietro di due mesi, quando il Consiglio regionale si trasformò in un processo sul suo presunto conflitto d'interessi dal quale uscì assolto. Ora che la procura comincia a mettere documenti in quel fascicolo conoscitivo, la sua posizione non fa che uscirne indebolita. Tanto più se il deficit delle asl ha fatto tremare i polsi anche al governatore che - dicono - s'aspettava cifre ben diverse non da capogiro come quelle che circolano tra presidenza, bilancio e sanità. Ma Tedesco sa come vendere cara la pelle. Ha già cominciato a farlo nel vertice di centrosinistra, quando ha consegnato il suo dossier ed ha indicato comune per comune i servizi territoriali garantiti, e ospedale per ospedale i reparti nuovi e quelli riaperti che sono costati da soli non meno di 150 milioni di euro. All'elenco mancava solo il nome e il cognome dei consiglieri di riferimento in quei comuni. Ma chi doveva capire ha capito. L'altra sera dalle sedie occupati dai consiglieri della "Cosa rossa" qualcuno ha cominciato ad alzare la voce contro Tedesco. Forse per bilanciare il silenzio di Michele Emiliano che, come primo atto da segretario regionale del Pd, non vuole mettere la sua firma sull'aumento delle tasse se non alla fine e comunque dopo Vendola. Forse per chiedergli di dire qualche "no" all'esercito di questuanti sempre in agguato, di avere il fiato sul collo dei direttori generali. Tedesco è uscito dall'angolo per dire a tutti che i manager non rispondono a lui ma alla giunta perché è la giunta che li ha nominati. Ma il colpo del ko per lui, resta in agguato e potrebbe arrivare a marzo quando ci saranno i consuntivi delle asl. (p. r.).


ROMA - Passa al contrattacco Silvio Berlusconi: i fatti non sono assolutamente di rilievo pena (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Messaggero, Il" del 13-12-2007)

 

Di PAOLA OREFICE ROMA - Passa al contrattacco Silvio Berlusconi: i fatti "non sono assolutamente di rilievo penale". E ancora: "C'è odore di elezioni e l'armata rossa della magistratura si rimette in moto". Il leader di Forza Italia è ospite di Michela Vittoria Brambilla alla Tv della Libertà. Per nulla impensierito Berlusconi ricorda di aver fatto tutto "alla luce del sole" avendo colloqui con esponenti del centrosinistra che si sfogavano contro il governo.E avendogli fatto la corte per far cadere il governo. Ma queste cose sono già state scritte. Mentre sulla presunta corruzione di Agostino Saccà, direttore di Raifiction, Berlusconi ricorda di essere "amico di Saccà. Ho segnalato probabilmente più uomini che donne, perchè in Rai se non sei di sinistra non lavori". Mentre palazzo Chigi chiede che la magistratura sia rispettata ma sempre osservando le prerogative parlamentari. E che "la nostra posizione rispetto a queste vicende è sempre la stessa, al di là dei nomi: la magistratura deve valutare se ci sono ipotesi che possano essere di interesse giudiziario". E' solidarietà da parte del centro-destra. Sarà pure (ex) Cdl ma nel momento del bisogno soprattutto An c'è. Tanto è vero che i capigruppo di Camera e Senato, Ignazio La Russa, e Altero Matteoli, parlano di "un deja vu. Tutte le volte che c'è una situazione politica particolare interviene un provvedimento giudiziario" e di un nuovo atto di "sequela di veleni". Anche il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini parla. E' un po' freddino. Ma tant'è. E sostiene "mi sembra ci sia molto fumo e poco arrosto. E comunque noi siamo garantisti da sempre, non come altri che lo sono a seconda delle loro convenienze". Paolo Bonaiuti, portavoce di Berlusconi, si chiede con amarezza "ci siamo svegliati a Roma oppure nel Cile del generale Pinochet?". Intanto il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, ha scritto una lettera al procuratore di Napoli, Giovandomenico Lepore, per avere lumi sulla questione. Questo dopo che il presidente della Giunta delle autorizzazioni, Carlo Giovanardi, aveva fatto presente a Bertinotti che occorrerebbe sapere "se vi siano state violazioni nella presunta indagine a carico di Berlusconi". Come la violazione dell'immunità parlamentare. E il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, ricorda che la tutela della riservatezza è un bene costituzionale da garantire sempre. Prudente il centrosinistra. Questo non toglie che nell'incontro di ieri mattina Walter Veltroni, Dario Franceschini e Anna Finocchiaro ne abbiano parlato. Ma è solo Giuseppe Giulietti a parlare di conflitto di interessi irrisolto. Mentre il segretario del Pd, pur non commentando, ai suoi collaboratori pare che abbia sottolineato la gravità del fatto che rappresenta la negazione di quella "bella politica" in cui ha sempre creduto. Parla di "mercato illecito" Massimo Brutti del Pd, di "scenario inquietante" Pino Sgobio del Pdci. Ribattono a muso duro i diretti interessati. Il senatore italoaustraliano Nino Randazzo ironizza: "Mi faccio un sacco di risate". Mentre l'ex dipietrista passato a Forza Italia Sergio De Gregorio tuona: "L'inchiesta è una comica ad orologeria, con FI c'è un accordo pubblico. Il presidente Berlusconi dovrebbe appellarsi al capo dello Stato perché si tenta in modo scorretto di pregiudicare la solennità e l'autonomia della politica".


O no esistito all'origine (e sussista tuttora) un conflitto (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Tempo, Il" del 13-12-2007)

 

O no esistito all'origine (e sussista tuttora) un conflitto ... o no esistito all'origine (e sussista tuttora) un conflitto di interessi nell'assegnare un'agevolazione fiscale ad una organizzazione di cui è stranoto il collegamento con l'ex partito comunista, poi variamente rinominato. Alessandro Finzi (e-mai) FARMACI /2 Lo scandalo dei ricarichi In farmacia ho pagato 1,10 un flacone d'acqua ossigenata da 250 millilitri. Home prec succ Contenuti correlati più la norma sul conflitto di interessi, forse perché ... Il super euro è diventato una star Chiesto stop alla vendita di videogame erotico Huckabee: un outsider tra le file Repubblicane Benzina esaurita nelle grandi città Test universitari, commissione fantasma In un minimarket ho trovato il medesimo articolo a euro 0,50. Ho telefonato al rappresentante pugliese della casa produttrice e ho appreso che la benedetta acqua ossigenata è venduta all'ingrosso a euro 0,20: tra 0,20 e 0,50 c'è un ricarico del 150%, tra 0,20 e 1,10 un ricarico del 450%. Rocco Boccadamo (Lecce) PASTICCIO TEST /1 Sfuma il sogno di fare l'università Mia figlia ha sostenuto i test di medicina all'università di Siena e nonostante abbia ottenuto un 13/12/2007.


Di Pietro dal palco: <Sul caso Mastella conflitto d'interessi> (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Libero" del 13-12-2007)

 

Italia 13-12-2007 Di Pietro dal palco: "Sul caso Mastella conflitto d'interessi" di ALESSANDRO TREVISANI MILANO Quando Pino Masciari, imprenditore perseguitato dalla 'ndrangheta, chiama sul palco Antonio Di Pietro, il pubblico del teatro Carcano lo invoglia con un applauso. Soltanto allora il ministro, come una vera star, cede alla lusinga della platea e sale gli scalini che separano la prima fila dal palcoscenico. La serata si intitola Break the mafia: dovevano esserci Clementina Forleo e Luigi de Magistris. Che invece sono assenti giustificati. A prendersi la scena c'è allora Di Pietro, che rivolge un pensiero ai due magistrati, e insieme al collega di governo Clemente Mastella. "Vedete", esordisce il ministro, "non volevo salire sul palco, ma il cuore è quello che è: stasera voglio dire da che parte sto, e voglio dirlo da ministro". E poi: "Io credo che qualsiasi politico, quando viene messo sotto indagine dalla magistratura, debba sentire il bisogno di correre dal magistrato, perché solo in questo modo mette a posto le cose. Ovviamente bisogna essere innocenti": così parla Di Pietro, e scatta l'applauso dei circa mille presenti. Il pensiero di tutti vola a Clemente Mastella, all'indagine che su di lui aveva aperto Luigi de Magistris, prima che l'inchiesta Why not? gli venisse avocata per incompatibilità. "Ma dobbiamo guardare alla forma o alla sostanza?", prorompe Di Pietro, "ci interessa sapere se membri delle istituzioni hanno commesso dei reati, o no?". Di Pietro non ce l'ha col Csm ("fa il suo dovere"), ma con chi "cerca di fermare chi sta facendo il proprio dovere. Io non contesto il Csm, contesto un conflitto d'interessi". A Mastella fischieranno le orecchie. de Magistris, impegnato a Roma per il procedimento disciplinare che lo riguarda, si fa sentire al telefono: "La democrazia è anche partecipazione, chi ha paura di questo è nemico della democrazia. La politica? Non mi interessa, io voglio fare il magistrato". Clementina Forleo ha mandato una lettera per chiedere venia della sua assenza: "Devo essere riservata in questo momento". A leggere è Sonia Alfano, figlia di Beppe, giornalista ucciso dalla mafia nel 1993. Un'altra che non le manda a dire: "Chi ha deciso la morte di mio padre siede in Parlamento". E ancora: "Totò Riina si dispiace di dover vedere suo figlio dietro a un vetro? Sapesse quanto me ne frega! Io mio padre non lo vedrò mai più". Pino Masciari si consola: "Questo governo mi ha restituito la scorta". Alfano ribatte sardonica: "A me l'ha tolta". Alla fine uno spettatore si alza in piedi e grida: "Dobbiamo tutti fare qualcosa! Basta parlare, svegliati Italia!". Sonia Alfano: "Giusto, lunedì tutti sotto al Csm a manifestare per de Magistris". Ci sarà pure Di Pietro? Salvo per uso personale è vietato qualunque tipo di riproduzione delle notizie senza autorizzazione.


Uggè: <Un patto debole Rischiamo altre proteste> (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Corriere della Sera" del 13-12-2007)

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Primo Piano - data: 2007-12-13 num: - pag: 2 categoria: REDAZIONALE Il parlamentare di FI Uggè: "Un patto debole Rischiamo altre proteste" ROMA - "Le parole di Palazzo Chigi contro di me? Solo menzogne ": Paolo Uggè, presidente Fai e responsabile di Conftrasporti, ma anche deputato di Forza Italia ed ex sottosegretario ai Trasporti ai tempi di Berlusconi premier, respinge le accuse. Dal governo nel pomeriggio era trapelata una dichiarazione al vetriolo, contro il politico-sindacalista: "La sua è una presenza incongruente, nella vertenza", avevano detto fonti dell'esecutivo. In serata, la replica: "Nessun conflitto di interessi. Non sono nemmeno andato a Palazzo Chigi per la trattativa", dice Uggè. Però martedì era al tavolo? "Sì, ma non ho parlato". Ma lei, parlamentare della Repubblica, ha dato sostegno a una protesta che ha messo in ginocchio il Paese. Tutto normale? "Le ragioni erano giuste. In ogni caso abbiamo solo aderito a un'iniziativa di altre sigle". In questi giorni di emergenza, ha avuto modo di parlare con Silvio Berlusconi? " E perché mai avrei dovuto?". Forse perché è il leader del suo partito? "E che c'entra?". Non insistiamo. Ma non sarebbe stato più responsabile dire "no" a questa manifestazione? "Sono parlamentare, ma rappreDeputato Paolo Uggè, ex sottosegretario ai Trasporti ai tempi di Berlusconi.


Saccà ammette. E si difende: a Berlusconi ho anche detto tanti no Alle attrici furono fatti provini, ma nessun contratto. Il direttore di Raifiction rischia la sospensione (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Unita, L'" del 13-12-2007)

 

Stai consultando l'edizione del Saccà ammette. E si difende: a Berlusconi ho anche detto tanti no Alle attrici furono fatti provini, ma nessun contratto. Il direttore di Raifiction rischia la sospensione di Natalia Lombardo / Roma CHE AGOSTINO SACCÀ, potente direttore di RaiFiction, sia vicino a Silvio Berlusconi è cosa nota: lui stesso disse con orgoglio che tutta la sua famiglia ha vo- tato da sempre Forza Italia. Ieri, dalle pagine di Repubblica, è partita una vera "bomba"; se i contenuti venissero confermati dalle carte processuali richieste dalla Rai, Saccà potrebbe essere sospeso dal suo incarico come è avvenuto per Deborah Bergamini (sempre di conflitti d'interesse si tratta, di un dirottare "l'attenzione verso un leader politico", dicono ai piani alti di Viale Mazzini). Saccà non è indagato ma si ritiene, dicono negli ambienti a lui vicini, "oggetto di tentata corruzione"; avrebbe però fatto da tramite con "l'amico Fuda" per convincerlo a fare "un'assenza" dall'aula di Palazzo Madama, a compiere una distrazione fatale per il governo Prodi, con ampie promesse di ricompensa al prossimo giro elettorale. Nelle stanze di RaiFiction in effetti non si smentisce nulla, ma si tende a far prevalere la tesi dei "tanti no detti a Berlusconi". Sull'aspetto meno rilevante delle raccomandazioni, l'eterno peccato che a Viale Mazzini non fa troppa impressione. Quelle "segnalazioni" che l'ex premier avrebbe fatto all'amico Agostino. I "no" pronunciati dal direttore sarebbero quelli alle parti da assegnare alle quattro attrici "segnalate" da Silvio: Elena Russo, Evelina Manna, Antonella Troise, Camilla Ferranti (che sarebbe la figlia di un medico molto vicino all'ex premier, secondo un testimone). Nomi che il direttore Saccà avrebbe fatto vagliare con dei normali "provini" dalle strutture adepte; poi, magari perché non adatte al ruolo, le ragazze non hanno superato la prova. Nessun contratto alle attrici, precisa il legale di Saccà "dopo le segnalazioni dell'on Berlusconi". Il quale, (come conferma tra il serio e il faceto lui stesso) avrebbe segnalato anche tre o quattro uomini, tutti bocciati ai provini... La Manni, secondo quanto scritto dal quotidiano in base alle intercettazioni, "mi è stata segnalata da un senatore del centrosinistra che mi può essere utile per far cadere il governo", avrebbe detto il cavaliere a Saccà. La ragazza in questione avrebbe ottenuto una parte grazie al produttore, dicono a Rai Fiction. Agostino Saccà è calabrese come Pietro Fuda, il senatore corteggiato da Silvio. Il direttore di RaiFiction non sembra nascondere neppure questo contatto (come se fosse la cosa più normale del mondo per un dirigente Rai), in nome della libertà di pensiero garantita dalla Costituzione. Fuda è amico del conterraneo Saccà, il quale lo avrebbe sondato (per far piacere a Berlusconi). Il senatore, secondo indiscrezioni uscite da RaiFiction, avrebbe detto quello che Repubblica ha scritto: "il suo cuore batte a destra ma per ora non vuole tradire la fiducia di Agazio Loiero", presidente della Calabria che sostiene il centrosinistra. E poi la ricompensa di Berlusconi sarebbe stata a lungo termine per Saccà. Quel "ti aiuterò quando diventerai imprenditore.". Troppo vago per pretendere dei sì, sembrerebbe, quindi ecco che arriva "l'infinità di no detti a Berlusconi", spiegano negli ambienti vicini al direttore. Saccà, che è vicino al traguardo della pensione in Rai, sta già ponendo le basi del "Progetto Pegasus", aggregando piccoli produttori Tv ma anche pescando in Rai e Mediaset. Agostino l'affabulatore, alla sua terra dedica da anni la fiction "Gente di mare" ma, avendo in mano un potentissimo mezzo di persuasione culturale massificata, durante il governo Berlusconi ha realizzato le ordinazioni delle varie forze della Cdl: così andò in onda la fiction sulle foibe, richiesta al congresso di An da Maurizio Gasparri, allora ministro della Comunicazione. E una fiction su Marinetti, compensata, già che è a governo il centrosinistra, da una su Di Vittorio in fase di realizzazione. Nelle telefonate Saccà avrebbe anche rassicurato Berlusconi: presto andrà in onda in prima serata la fiction su Federico Barbarossa, "pallino" di Bossi rilanciato dalla consigliera Bianchi Clerici (assillando il cavaliere.).


E i forzisti in dismissione recitano il mantra antigiudici (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Unita, L'" del 13-12-2007)

 

Stai consultando l'edizione del IL RETROSCENAStorace pianta il suo chiodo su An: naturale si aprano le inchieste giudiziarie se c'è chi accusa Berlusconi di aver finanziato il nostro movimento... E i forzisti in dismissione recitano il mantra antigiudici Federica Fantozzi "Credo che Berlusconi e Veltroni proseguiranno sulla loro strada che porta a un sostanziale bipartitismo. È l'unico modo di assicurare governabilità a questo Paese". Alza le spalle il palermitano Antonio Verro, deputato forzista e amico del Cavaliere, iscrivendosi al partito di quelli che "il dialogo andrà avanti". Idem sentire per Guido Crosetto, imprenditore e coordinatore regionale in Piemonte: "Questa storia non pregiudicherà i contatti sulla legge elettorale". Tra gli uomini di Via dell'Umiltà, che già si sentono un po' dismessi per via del Popolo della Libertà che avanza sotto l'egida vistosa e rosseggiante della Michela Vittoria Brambilla, quella del "dialogo privilegiato" è l'ultima trincea. Ai lividi dell'ennesima offensiva targata "armata rossa" si oppone la speranza prendendosela, come ai vecchi tempi, con l'Anm. Il sottotesto che passa di bocca in bocca come un mantra beneaugurante è "Silvio e Walter hanno le spalle al muro: non possono che continuare il percorso imboccato fino alla fine". Anche se le asperità sono molte: i due maggiori partiti delle coalizioni, e i loro leader, appaiono sempre più isolati. Presi di mira dal fuoco amico. Stretti in un abbraccio che il tempo potrà o meno trasformare in morsa. Pomeriggio spaesato a Montecitorio, dove ognuno ha i suoi guai e nessuno sa bene che pesci pigliare. È più o meno il senso del dialogo tra il Guardasigilli Clemente Mastella e il vispo Mario Pepe, il forzista lombardo che in tempi di "dalli alla casta" raccontò di non aver esibito in treno il tesserino parlamentare che consente il viaggio gratis per paura delle reazioni degli altri viaggiatori. "Complimenti - si avvicina Pepe - Voi siete gli unici che hanno piegato i magistrati". Il riferimento è al caso Verzaschi, il sottosegretario dell'Udeur finito ai domiciliari per presunte tangenti pochi giorni dopo essersi dimesso: "Se fosse capitato a uno di Forza Italia lo avrebbero arrestato sulla sedia..." insiste Pepe. Mastella, impegnato ad elencare tutti i difetti della bozza Bianco, lo stoppa: "Di cose serie si parla seriamente". Pepe provoca: "Quelli di An fanno i sindacalisti, difendono i tassisti. Noi andiamo più d'accordo con Veltroni". Il leader del Campanile alza le spalle: "Bene, fate il governo con lui". Con quelli di An ce l'ha anche Francesco Storace: "È normale un'indagine dopo i veleni di un alleato". Il neo-leader della Destra scrive un altro capitolo della sua querelle con Fini: "Quando si lanciano accuse infamanti come quella che Berlusconi avrebbe finanziato la nascita del nostro movimento è normale che saltino su qualche giornale e magistrato". E certe dichiarazioni di solidarietà sono solo "ipocrite". È la bellezza del tourbillon intorno alla riforma elettorale: coalizioni saltate, alleanze trasversali, liberi tutti. Così nell'Udc a domanda Pier Ferdinando Casini risponde: "Nella vicenda c'è molto fumo e poco arrosto, noi non siamo garantisti a intermittenza", mentre il silenzio regna tra i suoi. Ad eccezione degli uomini più vicini a Berlusconi. Buttiglione esprime solidarietà all'ex premier: "C'è il sospetto di un ricatto politico. Un'inchiesta mentre parte un tentativo di riforma vera basato sul dialogo sembra fatta apposta per rilanciare un antiberlusconismo squallido e rendere tutto più difficile". Giovanardi chiede a Bertinotti di valutare l'operato della procura partenopea ottenendo promessa di una risposta. El senador Luigi Pallaro, eletto all'estero anche lui come il presunto tentato acquisto Randazzo, si premura di far sapere che con lui Berlusconi "è sempre stato corretto" e pieno di "senso di responsabilità istituzionale". In Transatlantico aleggia lo spirito del '94 e circola una battuta: "Napoli batte Milan 2-0". Il centrosinistra maneggia con cautela la notizia. Pochi, distanti commenti. Rapporti di "correttezza e cordialità" con Berlusconi e Letta vengono dichiarati da Lamberto Dini, che ormai ha un piede fuori dalla maggioranza. Willer Bordon non vede "condizionamenti" sugli scenari in corso ma ritiene che di giustizia devono occuparsi i magistrati, di politica i politici". Solo Beppe Giulietti batte un colpo chiamando in causa prima l'"elegante silenzio" della Rai sulla storia e poi l'Unione affinché risolva "la grandissima priorità democratica del conflitto di interessi e dell'assetto dei media".


Scioperi e clima, l'Italia è sempre in ritardo Cara Unità, il blocco del (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Unita, L'" del 13-12-2007)

 

Stai consultando l'edizione del Scioperi e clima, l'Italia è sempre in ritardo Cara Unità, il blocco del trasporto determinato in questi giorni dallo sciopero dei "padroncini" è una buona occasione per riflettere sui ritardi dell'Italia e sull'incapacità di reagire alle sfide mondiali. L'economia di un paese è in ginocchio a causa di uno sciopero corporativo - non è il solo e non sarà l'ultimo anche perché i tassisti di Roma insegnano - ma è anche la dimostrazione dell'assenza di politiche strutturali che, nel 2007, consentano di trasportare le merci non esclusivamente con tir che viaggiano sulle autostrade. Non è solo un problema di politica fiscale, di tassazione del carburante e di sostegni alle ditte di autotrasporto: è la rappresentazione di un sistema economico basato sul trasporto su gomma, sull'utilizzo dei veicoli privati, sul petrolio come unica fonte energetica. Qual è la percentuale di trasporto di merci su ferrovia? Qual è la capacità di trasporto pubblico nelle città e l'incidenza delle autovetture come unico mezzo di trasporto? Queste sono alcune delle domande che consentirebbero, oggi, di rispondere anche alle critiche rivolte all'Italia dalla Conferenza di Bali sul Protocollo di Kyoto: i trasporti contribuiscono in misura significativa all'incremento delle emissioni di CO² e proprio sull'assenza di misure in questo settore si basa la Decisione della Commissione europea relativa al Piano nazionale di allocazione delle quote di emissione (CE 15 mag 2007). Fino a oggi sono state adottate politiche episodiche, legate soprattutto a strumenti di incentivazione ma ben pochi sono gli interventi strutturali, capaci di avviare un processo di innovazione e di competitività del sistema economico. Si continua a considerare la sostenibilità un problema separato dall'economia e, con il petrolio a 100 USD al barile, si continua a pensare allegramente di basare il trasporto su tir e autovetture: siamo ben distanti da paesi come la Germania, che hanno fatto della strategia 20-20-20 un fattore fondamentale per il rilancio dell'economia e della competitività. Continuiamo ad avere città senza una rete efficiente di trasporto pubblico, multimodale e integrato, incrementando le emissioni anziché ridurle, facendo perdere competitività all'economia, confidando speranze remote e illusorie nel ritorno all'energia nucleare: un modo di governare con aspetti quasi grotteschi che ci allontana dall'Europa. Andrea Ferraretto Se un Paese si consegna ai Tir Cara Unità, gli autotrasportatori hanno bloccato per due giorni ogni attività del Paese. Non si sono limitati a tener fermi i loro automezzi, come uno sciopero rispettoso dell'autoregolamentazione e delle leggi vorrebbero, ma hanno bloccato strade e autostrade mettendosi di traverso ed intasandole con i loro più o meno mastodontici autoveicoli. È come se i conduttori di autobus e tram, quando scattasse l'ora dello sciopero, anziché rientrare in rimessa abbandonassero i mezzi per le vie delle città, come del resto abbiamo visto fare dai tassisti. L'Italia fra le tante anomalie, e qui vale la pena di ricordare il conflitto d'interessi, poiché il presidente di una forte federazione d'autotrasportatori è anche deputato di Forza Italia ed ex sottosegretario ai trasporti del "dottore", ha anche quella che l'80% delle merci d'ogni genere viaggia su gomma. È il frutto di un'antica e sciagurata scelta politica che è proseguita finora. Una scelta assurda che ha intasato il sistema stradale e autostradale di Tir ed ha consegnato agli autotrasportatori un potere che si trasforma in ricatto al Paese. Mario Sacchi, Milano Piccola storia sulla bontà delle tasse Cara Unità, ho letto che Piero Citati si lamenta delle tasse. Essendo uomo di cultura usa riferimenti dotti (da Omero ad Alice Munro), ma io non sono per nulla d'accordo: io pago le tasse con orgoglio e senza protestare. Le racconterò la breve storia di mio padre ma prima mi permetta un piccolo travaso di bile: mi manda in bestia la demagogia contro "lo stato che mette le mani nelle tasche degli italiani". Ma questi riccastri piagnucolanti, chi chiamano se arrivano i ladri? La polizia. E se gli viene un colpo? A chi telefonano i parenti? Al 118. Io allora domando: ma chi paga la polizia? E gli insegnanti? I netturbini? Chi paga i deficit degli autobus e dei trasporti pubblici? E le fognature? La manutenzione delle strade? E chi ha pagato i medici e gli infermieri e l'ambulanza e le medicine e l'operazione e la riabilitazione di mio padre che un anno e mezzo fa ha avuto due infarti e nell'ospedale pubblico di Trieste ha subito un serissimo intervento chirurgico (apertura del torace, tre by-pass e la sostituzione dell'aorta)? Se non ci fossero le tasse chi avrebbe pagato tutto ciò? Se non ci fossero le tasse e un sistema sanitario pubblico, mio padre sarebbe morto. Luciano Comida Noi lettori vogliamo diventare azionisti de l'Unità Cara Unità, a tutta la redazione, a tutti i lettori ed abbonati: salviamo il nostro giornale. Apriamo una sottoscrizione per diventare azionisti del giornale. Da abbonato mi propongo per aprire un conto presso una banca (che sia comoda per tutti) e versare i primi 100 euro. Dobbiamo partecipare tutti nella misura delle nostre possibilità, stabilire un valore di un'azione e creare una società con un capitale tale da poter divenire azionisti di riferimento. A questo proposito, propongo al senatore Furio Colombo, già direttore di questa testata di guidare la cordata di azionisti. No so quanto possa servire, 1, 2 oppure 10 milioni di euro, ma dobbiamo farcela. Dovete pubblicizzare l'iniziativa sul giornale e bisogna farlo in fretta. Si è perso ormai troppo tempo. Umberto Dari Solidarietà al teatro dei Sassi di Matera In un momento di grande vivacità del teatro italiano è davvero incomprensibile apprendere che una delle realtà teatrali più originali e interessanti della scena nazionale venga "sfrattata" dal suo luogo di lavoro e di ricerca; e, colpevolmente, in controtendenza rispetto ad una importante e diffusa peculiarità che vede le migliori compagnie del teatro di ricerca, specialmente al Sud, di radicarsi sempre più in un territorio di appartenenza, o d'elezione culturale. Per queste ragioni l'Associazione Nazionale dei Critici di Teatro esprime grande rincrescimento e forte preoccupazione per l'annunciato "sgombero" intimato al gruppo del "Teatro dei Sassi" di Matera e afferma la piena solidarietà dei critici italiani a Massimo Lanzetta e ai suoi collaboratori. Giuseppe Liotta Presidente Associazione Nazionale dei Critici di Teatro Precisazione Per uno spiacevolissimo errore redazionale, ieri è stata pubblicata una rubrica "Sagome" di Fulvio Abbate già uscita in precedenza. Ce ne scusiamo con l'autore e con i lettori.


Uggè, il forzista che accende la protesta (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Unita, L'" del 13-12-2007)

 

Stai consultando l'edizione del RITRATTO Uggè, il forzista che accende la protesta "Resistere, resistere, resistere": questo l'invito-appello che il presidente della Fai-Conftrasporto Paolo Uggè ha rivolto in questi giorni di tir selvaggio alla categoria. E chissà se lo sa che a dirlo per primo fu l'ex magistrato Francesco Saverio Borrelli, e che con questo si riferiva alla situazione della magistratura italiana così come si stava trasformando col governo Berlusconi. Ovvero, col governo del suo capo, il referente politico che lo chiamò a Roma come sottosegretario al ministero delle Infrastrutture con delega ai trasporti. Un'esperienza politica di cui evidentemente ha saputo far tesoro, visto che anche oggi resta deputato di Forza Italia (ma non amava definirsi un "tecnico", ma non diceva che lui la tessera azzurra non l'aveva mai avuta?). Comunque, un'esperienza che non riesce a riempirgli la vita come dovrebbe, dato che ha voluto tornare anche ai vertici della Fai, Federazione Autotrasportatori Italiani, carica che peraltro ricopre da una trentina d'anni. Parentesi governative a parte. Del resto: "Credo che agli italiani del mio conflitto d'interessi non gliene freghi proprio niente", ha dichiarato giusto l'altro giorno a Repubblica tv. Paolo Uggè, 60 anni, milanese di nascita, valtellinese d'adozione, è di sicuro un profondo conoscitore della materia ed in particolare di ogni tematica che riguarda l'autotrasporto delle merci. Ma è il gioco su più tavoli la sua vera passione. Nasce sindacalista della Cisl. Poi, negli ultimi anni '70 l'estremismo per lui diventò eccessivo, e se ne andò. Va capito, perchè già a vent'anni sembra si fosse appassionato a De Gasperi, e lo scudo crociato, finchè è esistito, è stato la sua unica fede politica. Di fatto, entra nella Fai, fa rapidamente carriera e sale ai vertici, diventando in sostanza il Montezemolo dei camionisti. Nel '94, nel corso del primo governo Berlusconi, lo conosce e simpatizza. Al governo lo chiamerà Gianni Letta. E, dal suo punto di vista, di certo azzeccò la mossa. Perchè la periodicità regolare delle proteste dei camionisti sembra spezzarsi solo quando Uggè è al governo. Anche perchè, sia come sottosegretario sia come sindacalista, l'uomo mostrava certo un volto più mite rispetto a quello oltranzista che si è visto in questi giorni. Vale la pena riportare un passo di un'intervista rilasciata a Repubblica nel 2000: i blocchi stradali? "Iniziative da fare con molta attenzione...I blocchi vanno senza dubbio condannati". la.ma.


Il Governo ai magistrati Rispetto per le Camere Nell'inchiesta Berlusconi c'è chi vede un siluro al dialogo (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Giorno, Il (Nazionale)" del 13-12-2007)
Pubblicato anche in:
(Resto del Carlino, Il (Nazionale)) (Nazione, La (Nazionale))

 

Il Governo ai magistrati "Rispetto per le Camere" Nell'inchiesta Berlusconi c'è chi vede un siluro al dialogo di ELENA G. POLIDORI ? ROMA ? UNA NUOVA "bomba di profondità" per far saltare il tavolo delle riforme? Le nuove rivelazioni sulle commistioni tra Berlusconi e gli ex vertici Rai (Agostino Saccà) e quei dettagli sulla trattativa tra il Cavaliere e alcuni senatori dell'Unione (Randazzo, ma non solo) per far cadere il governo Prodi sono piovute come macigni sulla via del dialogo avviato sulla legge elettorale. Fatte salve le indignazioni di rito del centrodestra, che legge nell'inchiesta l'ennesimo tentativo di demonizzare Berlusconi, dietro la pubblicazione di queste intercettazioni qualcuno ? anche nel centrosinistra ? vede antichi rancori e appetiti editoriali futuri del gruppo "Repubblica-l'Espresso", appetiti legati all'approvazione del ddl Gentiloni, che il proseguimento del dialogo metterebbe invece a rischio. "Lo sanno tutti ? ci ha detto un parlamentare Pd ? che De Benedetti ha bisogno della Gentiloni per far partire la sua tv". LA PUBBLICAZIONE delle notizie sull'inchiesta napoletana ha comunque spinto prima Mastella ad interveniere ("la tutela della riservatezza è un bene da garantire sempre"), poi il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, su sollecitazione del presidente della Giunta per le Autorizzazioni, Carlo Giovanardi, a chiedere chiarimenti al Procuratore della Repubblica, presso il Tribunale di Napoli, Giovandomenico Lepore, su eventuali intercettazioni di parlamentari. Nella lettera, Bertinotti chiede di avere "notizie relative ad asserite conversazioni tra membri del Parlamento". La richiesta non è solo un atto formale, mirato a "tutelare le prerogative parlamentari di cui all'articolo 68 della Costituzione", ma soprattutto la volontà di vedere chiaro su queste fughe di notizie che alimentano un clima di sospetto e di continui veleni e che minano le fondamenta del dialogo aperto tra Veltroni il Cavaliere. In serata è arrivato anche il commento di Palazzo Chigi, prudente. "La magistratura deve valutare se ci sono ipotesi che possano essere di interesse giudiziario, ma sempre nel rispetto delle prerogative dei parlamentari. La nostra posizione rispetto a queste vicende ? ricordano le fonti della presidenza del Consiglio ? è sempre la stessa, al di là dei nomi: non diamo mai giudizi su fatti specifici". CHE L'ASSE Veltroni-Berlusconi stia creando più di un malumore è ormai evidente. Ieri il capogruppo socialista della Rosa nel Pugno, ha detto con chiarezza quanto altri non dicono o nascondono dietro congetture e calcoli sulla "bozza Bianco" della nuova legge lettorale. "Nessuno può far finta di non vedere ? ha detto Villetti ? che si sta diffondendo un malessere politico interno alla maggioranza la cui origine è dovuta all'accordo tra Pd e Pdl". "Chi pensa ad approvare con una gravissima forzatura ? ha proseguito ? una legge elettorale basata su un asse tra Berlusconi e Veltroni, con l'assenso di Bertinotti, deve però anche mettere in conto che poi questa si possa trasfomare in una maggioranza di governo in grado di sostituire quella che ancora esiste". E questo, allo stato attuale, non è affatto detto. LO STATO MAGGIORE del Pd sembra tuttavia ben convinto: il confronto sulle riforme ? è la tesi di Veltroni ? ha bisogno della massima convergenza e deve andare avanti, la vicenda di Napoli non può far saltare un dialogo a tutto campo che è nell'interesse del Paese. I dubbi però non mancano. "Siamo in un momento delicato ? spiega un antico navigatore come Beppe Giulietti del Pd ? ma è di tutta evidenza che c'è chi, nel tavolo delle riforme, intravvede l'ennesimo momento della nostra storia in cui, per far fronte all'emergenza della legge elettorale, si rimuove la soluzione di problemi che costituiscono una cancrena della nostra vita politica e sociale degli ultimi quindici anni; sto parlando, ovviamente, della legge sul conflitto d'interessi e della riforma del sistema televisivo". L'accordo sulla legge elettorale, dunque, preluderebbe ad un nuovo allontanamento, da parte del centrosinistra, della soluzione di questi problemi per ottenere il placet di Berlusconi? - -->.


Prodi getta acqua sul fuoco: Aperti al dialogo (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Tempo, Il" del 13-12-2007)

 

Prodi getta acqua sul fuoco: "Aperti al dialogo" "Il governo e il presidente del Consiglio hanno sempre auspicato il massimo della convergenza e del dialogo. Quando si arriverà a una condivisione ampia, ci sarà la riunione di maggioranza con il premier". Così da Palazzo Chigi, terminato il briefing serale, commentano gli sviluppi del dibattito sulla riforma della legge elettorale. Home Politica prec succ Contenuti correlati D'Assaro: "Ho gettato in mare il corpo di Denise" "Dialogo solo se c'è rispetto" Finanziaria pesante Telecom, riparte il dialogo con l'Authority delle tlc Le alleanze evaporano e Prodi galleggia CREMONA Furioso scontro a fuoco per strada fra quattro ... Rispetto al malumore dei piccoli partiti del centrosinistra per la bozza Bianco, fonti della presidenza del Consiglio sottolineano: "C'è fermento che porta a una dialettica anche molto forte, ma c'è comunque fermento. è importante che le critiche abbiano una sintesi in positivo e non in negativo". Romano Prodi, però, non ha avuto modo di vedere la bozza Bianco sulla legge elettorale, ma "la posizione del governo è chiara: ogni contributo è utile al percorso delle riforme, ma vanno visti tutti i contributi e sondate tutte le posizioni. Venti giorni fa - spiegano dalla presidenza del Consiglio - dicemmo che a gennaio ci sarebbe stato il punto sull'azione di governo e sul rilancio delle sue politiche. Ci sembra che le cose collimino: le nostre parole sono però di venti giorni fa. Le riforme vanno accelerate: non solo legge elettorale ma anche riforme istituzionali, regolamenti parlamentari, conflitto di interessi, riforma del sistema tv, federalismo fiscale". Soprattutto sono "le questioni della povertà, dei salari, del potere d'acquisto delle famiglie che vanno perseguite con la massima determinazione. Questi saranno tra i temi di cui si parlerà a gennaio. Sono temi - ricordano le stesse fonti - rispetto ai quali il premier non ha mai fatto mistero di essere sensibile. Vanno affrontati seriamente e con provvedimenti concreti. Abbiamo cominciato a farlo, con il decreto fiscale e con una Finanziaria che redistribuisce, e però bisogna fare di più". 12/12/2007.


Evitare il conflitto di interesse dei magistrati (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Opinione, L'" del 13-12-2007)

 

Oggi è Gio, 13 Dic 2007 Edizione 273 del 13-12-2007 Ecco la proposta di legge dei Radicali. E il commento di Di Federico, ex membro laico del Csm Evitare il conflitto di interesse dei magistrati di Dimitri Buffa Come evitare che il partito dei giudici faccia le leggi che poi applicherà, vanificando quella che ormai (da loro) viene ritenuta l'obsoleta distinzione tra potere lesislativo e potere giudiziario? E magari un domani anche con quello esecutivo? L'antidoto crede di averlo trovato un nutrito gruppo di avvocati, tra i quali spiccano il segretario delle Camere penali italiane Renato Borzone e il presidente della sezione di Roma Giandomenico Caiazza, che mercoledì prossimo parteciperanno a un convegno in cui verrà presentato il progetto di legge dei Radicali italiani, primo firmatario Marco Beltrandi, in materia. Questo progetto di legge ha dei punti fermi che sicuramente provocheranno la reazione corporativa dei magistrati che si riconoscono nell'Anm e nella sua politica. Il primo consiste nel limitare al massimo questi inacarichi extra giudiziari e "consentire ai magistrati ordinari e amministrativi di essere preposti esclusivamente agli incarichi dirigenziali dei Dipartimenti del Ministero che si occupano di pura amministrazione, con esclusione della possibilità di essere chiamati a ricoprire incarichi di diretta collaborazione con il Ministro". Il secondo punto fermo stabilisce che nell'ambito degli incarichi direttivi di cui sopra "sia riservata agli stessi magistrati una quota non superiore alla metà delle 18 Direzioni Generali in cui sono articolati i 4 Dipartimenti, con la espressa esclusione della Direzione Generale del Contenzioso e dei diritti Umani e della Direzione Generali dei Magistrati". Perché queste due esclusioni? Secondo gli estensori del testo che sarà presentato mercoledì "si giustificano in ragione delle competenze funzionali delle due Direzioni Generali atteso che la prima, nell'ambito del Dipartimento per gli Affari di Giustizia, ha competenza per il contenzioso in materia di responsabilità civile dei magistrati e la seconda, nell'ambito del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria del personale e dei servizi, ha competenza, tra l'altro, in ordine alle attività preparatorie e preliminari relative all'esercizio dell'azione disciplinare". In pratica trattandosi di competenze da cui possono discendere conseguenze dirette sugli interessi patrimoniali e/o professionali di singoli magistrati, "è necessario che i delicati incarichi non siano ricoperti da soggetti legati da un vincolo di colleganza". Fin qui la ratio del disegno di legge. Abbiamo chiesto a Pietro Di Federico, ex membro laico del Csm, cosa ne pensi di questa iniziativa. "E' lodevolissima sul piano della pura provocazione ? ha esordito il giurista ? ma forse non basterà. Il problema con i magistrati si può risolvere solo creando una nuova classe di burocati ministeriali che li sostituiscano completamente man mano che vanno in pensione. In quel ministero non ci devono stare più. E magari anche negli altri. Se sono magistrati facciano i magistrati, non i politici". Per Di Federico "non basta escluderli da alcuni compiti, finchè stanno lì, terranno in ostaggio gli inquilini di via Arenula, non importa quale sia il colore del governo. Quando chiediamo all'ex membro laico del Csm, se tutta l'Anm si riconosce in questa brama di potere, risponde: "Certo, solo gli stolti possono credere che Magistratura indipendente o Unicost siano differenti. La logica correntizia vale solo per i posti nel Csm e negli uffici giudiziari italiani. Finite le elezioni e le spartizioni nazionali e locali, l'Anm ritorna a rappresentare il partito dei giudici e si ricompatta. Anche gli esponenti della Casa delle libertà a suo tempo caddero nel trucco di appoggiare le nomine negli uffici a incarichi direttivi dei cosiddetti moderati di Unicost e Magistratura indipendente ai danni di Magistratura democratica. Ma non è servito a niente. Una volta ottenute le poltrone i cosiddetti moderati si ribellano a chi li ha aiutati e non mostrano alcuna gratitudine. Loro si considerano una casta a parte e vogliono prendere il posto dei politici, chi crede di allearsi con una parte di loro ne verrà fagocitato. Al Polo capitò proprio questo, quando io stavo al Csm. Ormai il gioco lo ha capito anche la sinistra che dopo le ultime storie note a tutti comincia a temerli, ma, per ora, non può farci niente".


RIFORME, RISSA NELL'UNIONE: VERTICE IL 10 GENNAIO (sezione: Conflitto di interessi)

( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 13-12-2007)

 

Riforme, rissa nell'Unione: vertice il 10 gennaio Tensione alle stelle nell'Unione dopo i molti no alla bozza di legge elettorale presentata in commissione Affari costituzionali del Senato dal presidente Enzo Bianco. La paura dell'inciucio tra Veltroni e Berlusconi agita i partiti che un tempo erano definiti i cespugli dell'Ulivo, siano essi di sinistra che di centro. Fronte compatto, dai Verdi all'Udeur, che in mattinata abbandonano la riunione della maggioranza sulla Finanziaria minacciando di non votarla se non ci sarà un chiarimento con il premier. Avverrà, ma bisognerà attendere il 10 gennaio: slitta quindi di circa un mese il vertice che doveva svolgersi questa settimana. Dopo aver sentito Prodi e Veltroni, il capogruppo del Pd alla Camera, Antonello Soro, spiega che la riunione verterà esclusivamente sulla legge elettorale e di conseguenza gli emendamenti alla proposta della maggioranza saranno dilazionati fino al 20 del prossimo mese in modo da trasformare in proposte di modifica della bozza l'eventuale accordo raggiunto nel centrosinistra. Coalizione che affronterà il nodo del sistema di voto rinviando il rilancio del governo a data da destinarsi. Provvede Palazzo Chigi a spiegare che "il 10 gennaio si parlerà di legge elettorale, riforme istituzionali e regolamenti parlamentari", mentre per le altre questioni sul tappeto "si vedrà". I piccoli partiti dell'Unione incassano dunque la promessa di un futuro e parziale chiarimento, mentre Clemente Mastella va di nuovo all'attacco e parla di "sistema catanese" riferito all'ex sindaco di Catania Bianco. Poi il leader dell'Udeur avverte: "Questo clima ci ammazza", insidia derivante dal "berlusconismo che oltre che a destra si è diffuso pure a sinistra". Indice contro il Pd, Francesco Rutelli non si sbilancia e confessa di non avere ancora letto la proposta: "Voglio capire - dice - se è in grado di risolvere il problema che ci siamo posti, cioè far funzionare meglio un sistema politico che oggi obbiettivamente è bloccato". Appuntamento al prossimo anno per entrare nel merito, ma il verde Angelo Bonelli critica il metodo seguito finora perché "la bozza - dice - deve essere discussa in maggioranza prima di essere presentata e per quanto ci riguarda le nostre priorità sono l'approvazione di una legge sul conflitto d'interessi e sulla riforma del sistema radiotelevisivo". Per il ministro Paolo Ferrero (nella foto) in quota Rifondazione, "è comunque un bene che sia cominciato l'iter della riforma altrimenti saremmo finiti - avverte - dritti nel referendum, ma il testo è inaccettabile e va modificato nella direzione di un sistema con sbarramento in modo da non favorire i grandi partiti". Il timore dell'inciucio condiziona il confronto nel centrosinistra, così come nella ex Cdl che torna a riunirsi confermando le divisioni. Il 15 gennaio è atteso intanto il responso della Corte costituzionale su un referendum che consegnerebbe al Paese il bipartitismo. L'Unione si riunirà appena cinque giorni prima, vertice con la pistola alla tempia dell'imminente verdetto. p. per.