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"Derivati"
per 9.600 miliardi Una bomba sotto i mercati (
da "Stampa, La" del 02-01-2008)
Generali e
Algebris, la resa dei conti sarà in primavera (
da "Giornale.it, Il" del 02-01-2008)
Prodi:
"Non cado con le parole" (
da "Tempo, Il" del 02-01-2008)
( da "Stampa,
La"
del 02-01-2008)
ROMA Il volume di mercato dei titoli
"derivati" è cresciuto troppo, creando instabilità, ed è
probabilmente destinato ad aumentare, visto che molti operatori finanziari
usano proprio i derivati per mascherare i buchi creati dai mutui americani
"subprime". La denuncia arriva dall' Adusbef,
che chiede alle autorità di intervenire, altrimenti "la crisi dei mercati
si trascinerà ancora per molto tempo e i depositanti raggirati potranno
replicare la crisi di panico dei risparmiatori londinesi". "I mercati
non si calmano nonostante le rassicurazioni. Resteranno impresse e potranno
replicarsi le scene vissute dai clienti della Northern Rock",
afferma l'associazione dei consumatori. Adusbef mette sul banco degli imputati
"le autorità monetarie, a cominciare dalle banche centrali passando per il
Fondo monetario internazionale"; a costoro l'associazione chiede di
"imporre ai governi del G7 di mettere sotto controllo la finanza
derivata", che Adusbef definisce come "la gallina dalle uova d'oro
ideata con finalità speculative e abusata dalle grandi
banche d'affari, in connubio e in rapporto incestuoso con le agenzie di
rating". In parallelo, Adusbef ha chiesto alle autorità giudiziarie di
indagare "sul conflitto di interesse
fra le agenzie di rating e le banche d'affari, e al Comitato interministeriale
per il credito e il risparmio e alle autorità di mercato maggiore rigore e
serietà", perchè "non si può affermare che banche italiane, fondi e
assicurazioni siano immuni dai rischi indotti dai mutui subprime e dai prodotti
derivati", come invece si sente dire troppo spesso. A conferma
della propria tesi, e cioè che il ricorso a derivati è
salito, e di molto, l'Adusbef riporta le cifre della Banca d'Italia e della
Banca dei regolamenti internazionali. Secondo Bankitalia a
fine giugno 2007 i derivati in capo alle banche italiane sono aumentati
del 54,9% rispetto a dicembre 2006, raggiungendo la quota di 9.640 miliardi di
dollari (proprio miliardi, non milioni). Per la Bri la 30 giugno i derivati
avevano superato, a livello mondiale, i 430.000 miliardi di dollari (come
sopra). \.
( da "Giornale.it,
Il"
del 02-01-2008)
Di Redazione - mercoledì 02 gennaio 2008, 07:00 da Milano L'hedge fund inglese Algebris non demorde e
prosegue nella ricerca di consensi per "svecchiare" la governance
delle Generali e migliorarne la redditività. Il presidente Antoine Bernheim
che, a 83 anni, non ha alcuna intenzione di mollare,
continua a lanciare strali contro alcuni dei soci italiani della compagnia,
accusati di complottare contro di lui. Il consiglio di amministrazione
delle Generali, svoltosi il 13 dicembre scorso (quello che all'unanimità ha
votato per mantenere inalterata la struttura di governo societario del gruppo),
avrebbe dovuto raffreddare il clima intorno al Leone di Trieste. Ma sotto
l'apparente concordia continua a serpeggiare la tensione, mentre cresce
l'attesa per l'assemblea della prossima primavera, quando si potrà capire se il
fondo guidato da Davide Serra ed Eric Halet, titolare dello 0,3% di Generali
con un'opzione sullo 0,7% del capitale, riuscirà a far
inserire nell'ordine del giorno dell'assemblea i temi di suo interesse (basta
il 2,5% del capitale mentre per la convocazione di un'assemblea ad hoc occorre
il 10%). Davide Serra, analista tra i più quotati della City, riprenderà a
tessere la sua tela al termine delle festività cercando di coagulare consenso
sui punti che, a suo avviso, penalizzano la
redditività del Leone: il sistema di remunerazione del management, la corporate
governance e i conflitti di interesse con Mediobanca. Resta
da capire come reagiranno alcuni dei consiglieri e soci delle
Generali dopo il crescendo di accuse di Antoine Bernheim. Il presidente
del gruppo triestino ha indicato alcuni di loro come i "manovratori" di Algebris, rilevando anche "strane coincidenze"
tra i rilievi mossi dal fondo e le richieste di alcuni consiglieri dopo l'assemblea
dello scorso aprile che ha rinnovato il mandato di Bernheim fino al
( da "Tempo,
Il"
del 02-01-2008)
"Un governo cade con un voto di
sfiducia non con le dichiarazioni o le interviste. E poi un altro governo deve
avere la fiducia anche alla Camera" dove questa maggioranza è ben
salda.[...] Home Politica prec succ Contenuti correlati Umberto Pizzi e 'La Bocca',
l'inaugurazione della mostra Visti da Pizzi: Palazzo Wedekind, incontro tra
Fini e Veltroni per le riforme Strani oggetti nella Fontana di Trevi La sorella
di Britney Spears incinta a 16 anni Prodi: "L'italia si è rimessa a
camminare" Berlusconi: "Incosciente" Attentato di Al Qaeda durante un comizio Muore Benazir Bhutto Insomma
Dini prima di aprire una crisi "pensi al dopo". è
con queste poche parole che Romano Prodi liquida l'intervista al fiele di
Lamberto Dini che solo ventiquattr'ore prima lo dava per spacciato, senza una
maggioranza netta al Senato e incapace di mantenere gli impegni del programma
di governo. Prodi si presenta al consueto appuntamento
di fine anno con l'aria sprezzante verso chi aveva pronosticato che non sarebbe
arrivato a mangiare il panettone vuoi per l'ipotesi di una spallata, vuoi per
l'irrequietezza dei centristi e della sinistra radicale. E se ora Dini chiede la sua testa Prodi ostenta sicurezza. "Quella di
gennaio non sarà una verifica e il programma resta quello originario".
Smentisce l'ipotesi di rimpasti ("il governo funziona") e ribadisce la compattezza della maggioranza sui temi delicati
della politica estera e dell'economia. Il premier non
risparmia una frecciata anche a Veltroni, principale regista dell'accordo
bipartisan sulla legge elettorale, ricordandogli che i partiti minori "non
vanno messi fuori gioco", che l'accordo parlamentare "deve essere
amplissimo", e deve andare di pari passo con le altre riforme
istituzionali: riduzione del numero dei parlamentari, monocameralismo e riforma
dei regolamenti parlamentari. Il messaggio di Prodi è chiaro: a chi si era
illuso di sfrattarlo da Palazzo Chigi manda a dire che
è ben saldo in sella e i risultati sul fronte del risanamento dei conti
pubblici lo mettono al riparo dalle critiche. "Io ho vinto le elezioni -
ha detto - e i sondaggi si considerano al momento delle elezioni. Vado avanti, un governo si abbatte solo con un voto di
sfiducia". Quanto all'ipotesi di un governo di transizione, il premier non vuole nemmeno prenderla in considerazione.
"In caso di sfiducia io non avrò più titolo a
esprimermi. Spetterà a altri pronunciarsi". Poi
sempre rivolto a Dini, sottolinea che "per votare
contro un governo bisogna avere delle motivazioni" e queste non ci sono. Quindi enfatizza i risultati realizzati. "L'Italia si è
rimessa in cammino ed è uscita dall'emergenza. Il pil cresce al ritmo del 2% da
due anni, il debito sta calando e a fine legislatura arriverà sotto il 100% del
pil. In più il rapporto deficit-pil a fine anno si
attesterà intorno al 2%. E il tasso di disoccupazione
è il più basso degli ultimi 25 anni". Ma esiste
anche il problema di una "crisi legata alla mancanza di fiducia che
impedisce di camminare spediti". Prodi è prodigo
di promesse per il
Realacci (Pd):
il conflitto di interessi non è fermo per il dialogo
con Fi. Ma per i senatori dell'Unione che non lo voterebbero ( da "Unita, L'" del 31-12-2007)
Legge
elettorale, ripartiamo da zero ( da "Unita, L'"
del 31-12-2007)
Baget Bozzo:
<La crisi può attendere Il premier è sorretto dai
poteri forti> ( da "Giornale.it, Il"
del 31-12-2007)
( da "Unita, L'" del
31-12-2007)
Stai consultando l'edizione del
Realacci (Pd): il conflitto di interessi non
è fermo per il dialogo con Fi. Ma per i senatori dell'Unione che non lo
voterebbero.
( da "Unita, L'" del
31-12-2007)
Stai consultando l'edizione del ROSY BINDIAl Pd chiede:
si convochi l'assemblea costituente prima di avanzare proposte. Il dialogo
Pd-Fi potrebbe legittimare Berlusconi "Legge elettorale, ripartiamo da
zero" di Simone Collini / Roma Con l'anno nuovo il confronto sulla legge
elettorale deve ripartire da zero. E l'argomento va affrontato dopo la verifica
di governo. Ne è convinta Rosy Bindi, che si dice anche favorevole a convocare
l'Assemblea costituente del Partito democratico per discutere le due questioni.
Quanto alle richieste avanzate da Dini, poi, il ministro per la Famiglia
apprezza che il senatore Libdem sia "uscito dalla fase dei pretesti"
e abbia invece posto questioni programmatiche. Ma aggiunge che i punti
"non contenuti nel programma con cui si siamo presentati agli elettori
vanno discussi all'interno della coalizione, non possono essere imposti".
Il coordinatore di Fi Bondi dice che avrebbe potuto scrivere del Popolo delle
libertà tutto quanto ha scritto Reichlin del Pd, e che è d'accordo con lui
sulla necessità di un "partito della Nazione". Che ne pensa ministro
Bindi? "Che non c'è niente di nuovo rispetto a come si è aperto il dialogo
sulla legge elettorale, con l'ipotesi di un premio di maggioranza non più per
le coalizioni ma per i partiti principali. Proprio su questo, però, si è
arenato il dialogo. Perché se è vero che esistono tanti partitini dell'1%, è
anche vero che diverse forze politiche più consistenti non sono disponibili a
dare il via libera a una legge elettorale che li costringe all'annessione e a
un bipartitismo forzato. Ora, con l'anno nuovo, bisogna ricominciare da
capo". Addirittura ripartire da zero? "Sì, anche perché la
discussione in questa fase è partita dalla legge attuale, anziché dal cammino
che da essa è stato interrotto. Il "porcellum" deve essere
considerato una parentesi da cancellare, e invece ci si è mossi come se il
proporzionale fosse inevitabile". Non è così? "Non è così. Il Pd deve
riprendere il cammino dal maggioritario e dalla possibilità per l'elettore di
scegliere non solo chi mandare in Parlamento ma anche da chi essere governato.
E questo anche per evitare l'equivoco, che poi di fatto si è generato, di un
asse privilegiato tra i due partiti principali, e anche il rischio di
legittimare un rilancio del centrodestra intorno alla figura di Berlusconi
proprio nel momento in cui ci sono le condizioni perché avvenga il
contrario". Ancora antiberlusconismo? "Non è che non voglia chiudere
la stagione delle contrapposizioni, anzi. Ma non vedo le condizioni per un
dialogo che finisca per legittimare una sorta di anomalia di questo nostro
Paese. Quanto meno perché sul tavolo non ci sarà la legge sul conflitto di interessi e non ci sarà la riforma del sistema
radiotelevisivo". Che deve fare secondo lei il Pd a questo punto, a parte
saltare a pie' pari il "porcellum"? "Ripartire da se stesso,
convocare l'Assemblea costituente per discutere la riforma elettorale e anche
di come rilanciare l'azione di governo. Poi, sul sistema elettorale, avanzare
una proposta prima di tutto agli alleati, e poi all'opposizione". Parlava
del rilancio dell'azione di governo: deve camminare di pari passo al dialogo
sulla legge elettorale, secondo lei? "A me pare di capire che prima
bisogna fare la verifica di governo e poi prendere in mano la legge elettorale.
Questo per non compromettere il rilancio dell'azione di governo depositando una
proposta di legge elettorale che può rappresentare una provocazione per alcuni
partiti". Dini condiziona il suo sostegno al governo a un "programma
minimo" in sette punti. "Dini esce dalla fase dei pretesti e pone
questioni programmatiche. Ora mi auguro che abbandoni i toni dell'ultimatum.
Quanto propone verrà preso in considerazione nei tempi e nei modi propri di una
coalizione". Il senatore non sembra lasciare margini di discussione, però.
"Ci sono aspetti posti da Dini che possono rappresentare un
approfondimento del programma, ce ne sono altri che nel programma non ci sono.
E nessuno può pensare di avanzare a metà legislatura delle proposte
programmatiche imponendole, senza passare per un confronto tra alleati".
Il ministro Padoa-Schioppa ha frenato sulla possibilità di uno sconto immediato
sull'Irpef e Rifondazione è pronta ad andare all'attacco facendosi forte di
quanto detto da Prodi nella conferenza stampa di fine anno.
"Padoa-Schioppa fa il suo mestiere, e in questi anni lo ha fatto anche
bene, guardando ai risultati. Io credo che quanto detto da Prodi può trovare
una graduale attuazione, a partire da un accordo con le parti sociali.
Proseguiremo lungo la strada delle detrazioni fiscali e degli assegni per i
figli delle famiglie dai redditi medio-bassi. Inoltre mi pare siano maturi i
tempi per un accordo sulla produttività e sui salari".
( da "Giornale.it, Il" del
31-12-2007)
Baget Bozzo: "La crisi può attendere Il premier è sorretto
dai poteri forti" di Gianni Baget Bozzo - lunedì 31 dicembre 2007, 07:00
Don Gianni Baget Bozzo, quale sarà il destino del governo nel 2008? "Io
vedo la crisi difficile perché dietro Prodi ci sono molti poteri forti, non
solo italiani ma anche europei. Inoltre se cade Prodi crolla tutta l'alleanza.
Cosa fa il Partito Democratico a quel punto? Ci penseranno bene prima di
staccare la spina. E poi i diniani: se fanno cadere il governo vuol dire che
Veltroni ha vinto. Se lo fanno, lo fanno per procura, non hanno voti e non
hanno futuro senza una copertura. Difficile che vadano con Forza Italia. Si
muovono solo se Veltroni vuole rompere con Prodi. La chiave sta nel Partito
Democratico e attualmente non vedo una reale volontà di rompere neanche in
Veltroni". Se Prodi cade si va al voto o si forma un governo di larghe
intese? "Si va al voto subito. Se Prodi cade è perché è Prodi stesso che
lo decide. Sarà Prodi a far cadere Prodi. Lui si dimette e obbliga tutti ad
andare alle urne con questa legge elettorale". Si andrà al referendum o i
partiti riusciranno a fare la riforma elettorale? "È tutto legato alla
resistenza di Prodi. Inoltre non è escluso che la Corte non conceda il suo via
libera. Non mi meraviglierebbe affatto. E quello sarebbe per il presidente del
Consiglio un grande successo. Io ritengo che quello di Prodi sia un mini-regime
difficile da schiodare. La sinistra, d'altra parte, ha una gran paura di
rompere, e questo vale sia per Bertinotti che per Veltroni". Il
centrodestra riuscirà a ritrovare la pace? "Sarà inevitabile ritrovare la
pace. Alla fine il centrodestra sarà obbligato a resistere con questa
formazione. D'altra parte non c'è un'alternativa, non c'è uno spazio al
centro". L'abbraccio Berlusconi-Veltroni è soltanto fantapolitica?
"Per ora è solo un'ipotesi nell'aria. Prodi lo
osteggia, va all'attacco, torna a battere sul tasto del conflitto di interessi. Io credo che questo regime prodiano - in cui lui governa i
partiti e li logora - impedisca l'accordo". "Qual è il suo auspicio
per il 2008? "Io spero che Prodi cada e che la sinistra decida davvero di
fare la sinistra".
Si sfila anche Pallaro. Violante a Dini: guarda i risultati
Tra verifica e senatori uscenti, si annuncia un gennaio caldo. Il riconteggio
dei seggi potrebbe aiutare Prodi ( da "Unita, L'"
del 24-12-2007)
L'IDEOLOGIA DEL DECLINO IL PIACERE
DELL'AUTOGOL ( da "Corriere della Sera"
del 24-12-2007)
ROMA - Sono pronte da tempo le nuove linee guida per l'applicazione della legge 40, quella sull (
da "Messaggero, Il" del 24-12-2007)
<B&B, la Regione fa tutto da sola> (
da "Unione Sarda, L' (Nazionale)"
del 27-12-2007)
Acqua ai privati la democrazia negata -
maurizio barbato (
da "Repubblica, La" del 27-12-2007)
Così cambierà il commissariato - antonio corbo (
da "Repubblica, La" del 27-12-2007)
Sinistra cos'è l'arcobaleno? (
da "Riformista, Il" del 27-12-2007)
L'inestirpabile avidità e gli eccessi
della finanza (
da "Corriere della Sera" del 27-12-2007)
Un magistrato attento ai problemi della
società, un avvocato esperto di legislatura amministrat ( da "Messaggero, Il"
del 27-12-2007)
Seggi al senato, giunta orientata al no Per l'Unione
sfumano i voti in più ( da "Manifesto, Il"
del 27-12-2007)
Prodi: "L'Italia è uscita dall'emergenza" (
da "Quotidiano.net" del 27-12-2007)
I conflitti di interesse (
da "Voce d'Italia, La" del 27-12-2007)
( da "Unita, L'" del
24-12-2007)
Stai consultando l'edizione del Si sfila anche Pallaro.
Violante a Dini: guarda i risultati Tra verifica e senatori uscenti, si
annuncia un gennaio caldo. Il riconteggio dei seggi potrebbe aiutare Prodi di
Marcella Ciarnelli ANCHE il senatore argentino Luigi Pallaro prende le distanze
dal governo che pure, finora, ha contribuito a tenere in piedi. Peraltro
divertendosi "un sacco" a fare "l'ago della bilancia". Ma
ora ci vuole un cambiamento. "A Palazzo Chigi sarebbe bene che tornasse
Berlusconi" dice in un'intervista a Libero. "Io e lui abbiamo
un'ottima amicizia, siamo in sintonia. Ma partiamo da un principio: a me non ha
mai fatto nessuna offerta" precisa il senatore, il cui nome ricorre tra
quelli che sarebbero stati "corteggiati" dal Cavaliere nel tentativo,
non riuscito, di dare la spallata al governo Prodi. La posizione presa da
Pallaro si va ad aggiungere a quella di Lamberto Dini che ancora una volta, sul
Corriere della Sera, ha provveduto a spiegare il perché della sua decisione di
non appoggiare più Prodi da ora in poi. "Può un governo senza una maggioranza
in Senato, attraversato da conflitti e visioni opposte non
solo in materia di politica economica e sociale, reggere alle sfide che stanno
di fronte al Paese? La risposta mia e dei Liberaldemocratici non può che essere
negativa". Quindi bisogna cambiare. "Solo un esecutivo di larghe
intese, che nasca anche sulla base di un contributo delle componenti migliori
del mondo intellettuale, economico e sociale, coinvolte nello sforzo di
risanamento del Paese può rispondere alle vere sfide che ha di fronte". Un
governo di transizione, dunque. Questa la soluzione Dini. Luciano Violante,
presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera, invita Dini a
guardare agli obbiettivi raggiunti. "Più si guarda ad essi, più si
consolida la coalizione. È su questo terreno che bisogna operare per rilanciare
la maggioranza, perché non si può ridurre tutto ad una mera questione di
numeri". Per il ministro Clemente Mastella "non c'è spazio per
l'ipotesi di un esecutivo di larghe intese. Si può modificare la legge elettorale,
anche questo Parlamento può farlo, e si va al voto a primavera inoltrata.
Questo sarebbe l'unico dato di correttezza, l'unico percorso lineare".
L'ipotesi di un governo istituzionale non piace al segretario dei Comunisti
italiani, Oliviero Diliberto. Ed un altro no alla proposta Dini arriva dal
capogruppo dei Verdi alla Camera, Angelo Bonelli: "O si finisce la
legislatura con Prodi o si va al voto". Mentre Giovanni Russo Spena,
capogruppo di Rifondazione al Senato, invita il leader dei liberaldemocratici
ad "uscire dall'ambiguità" e a dire con chiarezza "se vuole
verificare la possibilità di ricontrattare un programma comune o se invece va
solo in cerca di scuse". Contro i professionisti dello
"smarcamento" si è dichiarato Franco Monaco. Dall'altra parte grande
interesse per la proposta è stato espresso da Sandro Bondi, coordinatore di
Forza Italia, ma non dal leghista Roberto Calderoli che è per le elezioni prima
dell'estate. Governo istituzionale sì per l'Udc Cesa in modo da poter fare le
riforme, poi voto. La questione è politica oltre che di numeri. A dare una mano
al governo Prodi, su quest'ultimo punto, potrebbe arrivare la decisione della
Giunta per le elezioni del Senato che assegnando gli otto seggi in discussione,
farebbe aumentare il numero dei senatori pro governo. Ma bisognerà aspettare la
fine di gennaio.
( da "Corriere della
Sera" del 24-12-2007)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Lettere al
Corriere - data: 2007-12-24 num: - pag: 31 categoria: REDAZIONALE Risponde
Sergio Romano L'IDEOLOGIA DEL DECLINO IL PIACERE DELL'AUTOGOL Nel nostro Paese
è tutto un disastro, la sanità, la sicurezza, il lavoro, i trasporti (su ruote
e aerei), le poste, la tv pubblica, tranne rare eccezioni come lo sport
rappresentato degnamente dalla nazionale di calcio, dalla Ferrari e dalla
Ducati, ma anche da tanti altri. Il motivo di questo successo sarà forse che le
squadre non vengono scelte dalla politica? Giovanni Giannotti gioest@alice.it
Caro Giannotti, N on è vero che tutto sia, come lei scrive, un disastro. Vi
sono servizi che funzionano e altri terribilmente mediocri. Vi sono persone che
lavorano con grande serietà e altre che incassano spudoratamente stipendi
immeritati. Vi sono città in cui la "qualità della vita " è molto
elevata e ve ne sono altre afflitte da gravi problemi di sviluppo, di gestione
e di convivenza civile. L'Italia fa molta fatica a stare al passo con i tempi e
ha due enormi palle al piede: un debito pubblico che mangia ogni anno 70
miliardi di interessi passivi, e un pessimo sistema
politico che lavora con grande lentezza e produce compromessi di bassa lega. Ma
questa faccenda del "declino " sta diventando una sorta di ideologia
nazionale a rovescio, uno sport in cui si gioca a chi riesce a fare il maggior
numero di autogol. Innocenzo Cipolletta ha ragione quando scrive (Il Sole 24 Ore
del 18 dicembre) che i sentimenti di sfiducia, oggi così evidenti nella società
italiana, sono il risultato della "trasformazione verso un nuovo assetto
" e aggiunge: "Come tutti i Paesi e tutte le genti che stanno
provando una sostanziale transizione verso la modernità, (gli italiani) perdono
elementi di riferimento ben noti del passato, mentre ancora non vedono quelli
nuovi e perciò appaiono spaventati". Noi tutti ricordiamo con
soddisfazione il grande "miracolo italiano" degli anni Cinquanta e
Sessanta. Ma dimentichiamo che quella stagione fu preceduta da un lungo periodo
di pessimismo e torbidi sociali, quando gli italiani, dopo
la fine del conflitto, s'interrogavano sul loro futuro. Chiunque avesse
visitato l'Italia in quegli anni avrebbe colto, come il corrispondente del New
York Times, soprattutto malumore, sfiducia, pessimismo. E non si sarebbe
accorto probabilmente che dietro quei sentimenti altre persone stavano
lavorando con impegno e fantasia per adattare l'economia nazionale alle nuove
condizioni in cui il Paese avrebbe dovuto vivere e lavorare. Non posso dire con
certezza che lo stesso stia accadendo nell'Italia d'oggi. Ma quando leggo che
le industrie italiane, nel corso del 2007, hanno fatto acquisti di aziende
straniere per la somma di 57 miliardi (Marco Panara in "Affari e Finanza
" di la Repubblica del 17 dicembre) ricomincio a sperare. Vengo infine
alla sua domanda. La qualità delle competizioni sportive in Italia è dovuta in
buona parte agli standard fissati da spettatori e tifosi. Abbiamo un buon
calcio e fabbrichiamo buone macchine da corsa perché giocatori e costruttori
debbono adeguarsi ai livelli richiesti da un pubblico esigente e severo. Sono
gli stessi meccanismi che producono buoni risultati in altri settori, dalla cucina
alla moda: se il cliente pretende qualità, il fornitore aguzza l'ingegno e
cerca di soddisfare i suoi gusti. Peccato che gli italiani non siano
altrettanto esigenti in altri settori e si accontentino in molti casi di
prodotti mediocri come, per esempio, quelli che appaiono ogni giorno sui nostri
schermi televisivi.
( da "Messaggero, Il" del
24-12-2007)
A fecondazione artificiale. Ma, per diversi motivi, non
sono state ancora rese pubbliche. E le poche anticipazioni filtrate, hanno già
suscitato polemiche. Certo è che le due sentenze, Cagliari e Firenze, che danno
il via libera alle diagnosi pre-impianto rappresentano un punto di forza per
chi spinge verso la cancellazione del divieto a fare analisi sull'embrione. Per
chi, in effetti, sarebbe già riuscito, durante la stesura delle linee guida, a
rimuovere il no alla diagnosi pre-impianto (la legge, d'altronde, permette
"indagini per fini diagnostici e terapeutici") e a far passare la
crioconservazione (sì al congelamento prima che avvenga la fusione tra i due
patrimoni geentici). Il ministro della Salute Livia Turco sarebbe d'accordo
nella riformulazione delle linee guida in questa direzione. Anche se avrebbe
già messo in conto un'alzata di scudi della sua alleata di governo la senatrice
teodem Paola Binetti. Secondo alcuni addetti ai lavori il ritardo nella
pubblicazione delle nuove norme applicative della legge 40 (quelle del 2004
sono scadute ad agosto scorso) si deve proprio alla supervisione della Binetti.
Sul fronte opposto, invece, ci sono i radicali che spingono per una profonda
revisione della legge. Proprio due giorni fa hanno ripetuto di ritenere
indispensabile, per la prosecuzione del governo Prodi, la priorità dei diritti
civili. L'impegno su questioni, si legge in un documento, "di grande
concretezza e urgenza come il testamento biologico, la fecondazione assistita,
la ricerca su cellule staminali, le unioni civili". L'ultima sentenza,
quella dei giudici di Firenze che hanno dato il via libera alla diagnosi
pre-impianto sugli embrioni di una coppia portatrice di malattia genetica (la
esostosim che provoca la crescita abnorme della cartilagene) crea, dunque, un
clima diverso per l'accoglienza delle nuove linee applicative della legge. E'
lo stesso ministro della Salute Livia Turco a ricordarlo: "La sentenza di
Firenze va tenuta in conto". E poi, nel corso della trasmissione di Raitre
1/2h ripete: "Sul pre-impianto le linee guida redatte dal precedente
governo sono più restrittive della legge. Comunque, su questi temi mi ostinerò
a cercare il dialogo. Il mio compito è applicare la legge e questo significa
anche correggere forzature dove ci sono state". Da tre anni le
associazioni che lottano per un "allargamento" della legge 40 puntano
il dito proprio su questo aspetto: le indicazioni applicative sarebbero molto
più rigide di quanto sia scritto nella legge. Dal ministro della Salute una
promessa:"Le linee guida saranno emanate entro gennaio". Due i punti
che Livia Turco ha anticipato: l'accesso alle tecniche di fecondazione
artificiale per le persone portatrici di malattie come l'Hiv o l'epatite e,
appunto, la parte "calda" che riguarda le analisi da effettuare prima
che l'embrione venga introdotto nel corpo della donna. "Non è una sentenza
giusta perché, se applicata, porta direttamente all'eugenetica", commenta
Eugenia Roccella, ex militante radicale, portavoce con Savino Pezzotta del
Family Day ed editorialista del quotidiano "Avvenire". "Ma la
cosa che proprio non capisco - aggiunge Roccella - è questo
palese conflitto di competenze tra il Parlamento e la giurisprudenza".
Gaetano Quagliariello, senatore di Forza Italia, parla di "continui
attentati alla sovranità popolare da parte dei giudici". Mentre Alfredo
Mantovano (An)è convinto che oggi "la frontiera dell'invenzione
giudiziaria da parte dei magistrati progressisti è la bioetica".
"In questa materia - dice ancora Mantovano - il giudice non solo
disapplica la legge ma se ne vanta". A loro risponde il legale della
coppia che ha chiesto di poter fare la diagnosi pre-impianto, l'avvocato Gianni
Baldini: "L'ordinanza non nega i diritti del nascituro ma ristabilisce
l'ordine di tutela degli interessi e opera l'unica
interpretazione corretta della norma". C.Ma.
( da "Unione Sarda, L'
(Nazionale)" del 27-12-2007)
Economia Pagina 214 Turismo. L'accusa dei rappresentanti
dei gestori: l'assessore è in conflitto d'interessi
"B&B, la Regione fa tutto da sola" Turismo.. L'accusa dei
rappresentanti dei gestori: l'assessore è in conflitto d'interessi
--> Polemiche, ma soprattutto proposte. I gestori delle strutture extra
alberghiere non hanno gradito le ultime decisioni prese dalla Giunta regionale,
come la nuova tassa annuale, ma soprattutto lamentano l'esclusione dal processo
di revisione. LEGGE A dare voce al malcontento è Ugo Masala, presidente
dell'Associazione sarda operatori Bed&Breakfast e del Coordinamento
regionale dell'ospitalità diffusa, un migliaio di iscritti. "Noi non
sapevamo che la legge del settore, la 27 del 98, fosse sottoposta a modifica
nonostante nel gennaio del 2005", spiega Masala, "avessimo inviato un
documento all'assessore al Turismo Luisanna Depau per proporre modifiche
normative senza ricevere risposta. Anzi, al suo insediamento, l'assessore disse
che le strutture extra alberghiere rappresentavano una concorrenza sleale per
quelle alberghiere. Da tempo rileviamo infatti il suo conflitto d'interessi, visto il suo legame con il settore
alberghiero". Forme di ospitalità che invece non sarebbero in concorrenza
secondo Valentino Sanna, del B&B Karel di Cagliari: "Si rivolgono a un
target di clientela diverso". RICHIESTE Si chiede un inquadramento giuridico
del settore dell'extra alberghiero e l'accesso a forme di finanziamento, con
contributi a fondo perduto per gli operatori che esercitano l'attività in modo
continuativo. QUALITÀ Nella legge dovrebbe essere prevista anche una
classificazione degli esercizi in base alla qualità del servizio, corredata da
una commissione di controllo che segua un disciplinare. "L'offerta deve
essere di qualità se vogliamo fare ospitalità in modo serio, Da qui i nostri
corsi di autoformazione", aggiunge Masala, evidenziando che proprio per
lacune normative sarebbero nati in Sardegna tanti B&B improvvisati.
PROMOZIONE I gestori chiedono poi un marchio unico di riconoscimento.
"Abbiamo speso migliaia di euro per quello ideato da Gavino Sanna, che
fine ha fatto?", si chiede ancora Masala. La promozione dell'ospitalità
extra alberghiera giocherebbe infatti un ruolo importante, andrebbe inserita
nel testo di legge e fatta da tutti gli enti istituzionali, migliorando poi i
siti web. "Abbiamo solo Sardegnaturismo, ma è un sito statico e vuoto, e non
serve a fare promozione", conclude Masala. I gestori sperano ancora di
instaurare un dialogo con la Giunta per confrontarsi, in vista della nuova
legge, sulle priorità. ANNALISA BERNARDINI.
( da "Repubblica, La" del
27-12-2007)
Pagina XV - Palermo Acqua ai privati la democrazia
negata MAURIZIO BARBATO (segue dalla prima di cronaca) Una progressione rapida
al crescere del numero dei familiari, cioè danno crescente per i più bisognosi.
Perché questa penalizzazione? Per l'astuzia di tutte le bollette degli
erogatori privati che abbassano il tetto dei consumi previsti nelle varie fasce
e diminuiscono la distanza tra un gradino di consumo e l'altro. Perciò nella
vecchia tariffa la fascia agevolata arriva a un consumo di
( da "Repubblica, La" del
27-12-2007)
Pagina III - Napoli L'ANALISI Una struttura inefficace, che
dal primo gennaio verrà sdoppiata per liquidare il passato IL PRESIDENTE Così
cambierà il Commissariato Sperperi, acquisti sospetti di suoli, ordinanze
finite in Procura, consulenze ANTONIO CORBO (segue dalla prima di cronaca) Il
nuovo decreto, a fine settimana, certifica un altro fallimento. Comprensibili
le cause, difficili le soluzioni. Non dovrà cercarle solo Alessandro Pansa,
affidato al suo destino negli ultimi mesi, come Guido Bertolaso, ancora prima
Corrado Catenacci. Uno dopo l'altro si sono dimessi. Pansa non può. è anche
prefetto. C'è un percorso burocratico. Il 31 scadono i suoi poteri,
ufficialmente saranno rinnovati al suo vice per l'emergenza e a una nuova
figura, un magistrato della Corte dei conti che liquiderà il passato. Non è una
rinuncia. Pansa dovrà comunque tutelare il diritto alla salute dei napoletani e
la vivibilità della terza metropoli italiana: è nei suoi compiti di istituto.
Scindere era opportuno. Come già scritto, si profilava il
rischio di un conflitto di poteri. Il commissario ha interesse urgente a
requisire spazi, ovunque e comunque. Il prefetto invece decide e magari mitiga
l'uso della forza, su richiesta del commissario. La separazione dei ruoli
eviterà a Pansa scelte impopolari: riaprire Pianura, in disaccordo con il Comune.
Ma occorre distinguere anche commissariato e commissario. La struttura e chi la
guida. Si deve alla Commissione bicamerale d'inchiesta (passata legislatura e
attuale) se dalla crisi è emerso il marcio: sperpero di danaro pubblico,
acquisti sospetti di suoli per impianti, ordinanze finite in Procura,
assunzioni di lavoratori inattivi come rami secchi, apparecchi e locali
inutilizzati, consulenze chiacchierate. L'altra commissione, con Paolo Russo
presidente e Tommaso Sodano animatore, ha scoperto e fornito materiale ai
magistrati. L'ultima relazione, dei senatori Roberto Barbieri e Donato
Piglionica, anche se un po' vaga rivolge accuse gravissime al commissariato. In
sintesi: spende i soldi per auto-sostenersi, "è inutile, inefficace,
dannoso", suoi personaggi di vertice sono coinvolti in inchieste di
camorra. Lascia intendere che ha reagito male appena Pansa, prefetto ex
poliziotto, ha snellito la struttura e imposto più trasparenza nei conti.
Invita a rimandare tutti a casa. Se il quadro è questo, è giusto prorogare il
commissario ma non il commissariato. Restituire i poteri alla Regione è però
inopportuno, essendo Bassolino imputato in sede di udienza preliminare. Rischia
in linea teorica l'interdizione, se fosse commissario, quindi con un potere amministrativo
che gli deriva dal governo. Non l'ha mai rischiata invece essendo la presidenza
della Regione una carica elettiva. è difficoltoso poi trasferire i poteri alle
Province, è impensabile infine ai sindaci: quante fasce tricolori si sono viste
sui fronti del no? Il pool di commissari dovrà infilare un nuovo itinerario:
cercare discariche, aprirle e intanto chiudere i Cdr perché siano finalmente
rimessi a norma. Che senso ha produrre ecoballe che tali non sono? Bastano tre
mesi di lavoro per adeguare gli impianti e mandarle all'inceneritore. Ad
Acerra. Il secondo è fissato a Santa Maria La Fossa, dove Fibe ha i suoli. Un
motivo in più per accogliere la proposta di Salerno, baricentrica rispetto alla
Regione. Perché insistere con Santa Maria La Fossa, se il nuovo commissario
liquidatore dovrà chiudere proprio con la società di Impregilo i primi conti?
Anche per i rifiuti il 2008 è anni bisesto.
( da "Riformista, Il" del
27-12-2007)
Sinistra cos'è l'arcobaleno? Noi, orgogliosi di essere
comunisti e perciò contrari al partito unico Si all'unità, ma nell'autonomia dei
singoli componenti Gli Stati generali della sinistra, le modalità e i contenuti
con cui il processo di unità si è avviato in queste settimane, chiamano a un
giudizio in chiaroscuro. L'assemblea di Roma è stata senza dubbio una
testimonianza importante della volontà, ormai diffusa e radicata tra la nostra
gente, di trovare finalmente terreni comuni di confronto e di azione tra le
forze della sinistra. La nostra componente, Essere Comunisti, sostiene questa
necessità da lungo tempo e lo ha fatto anche quando nel Prc una simile
posizione non riscontrava obiettivamente grandi consensi. L'urgenza di unità a
sinistra esplode oggi con la nascita del Partito democratico: il rischio di una
generale deriva a destra del quadro politico richiede subito un contrappeso
credibile a sinistra, capace di equilibrare le forze in campo. Ma la sua
necessità affonda le radici in un'annosa e drammatica incapacità della politica
di dare un'efficace rappresentanza a una parte grande di questo Paese - in
particolare i lavoratori dipendenti - che da troppo tempo è stata dimenticata
ed espulsa dall'agenda della maggior parte dei partiti di centrosinistra. Una
sinistra unita e plurale può oggi avere il peso per ricominciare a dare
risposte concrete alle domande inevase di un popolo che chiede equità, diritti,
giustizia sociale. Per questi motivi eravamo presenti agli Stati generali e
abbiamo partecipato ai lavori dell'assemblea, la quale non ha, tuttavia,
spazzato dall'orizzonte pesanti perplessità e dubbi. Innanzitutto non è ancora chiaro
cosa effettivamente sarà questa Sinistra, se un partito unico (come suggerisce
Sinistra Democratica e una parte del Prc) o una confederazione di partiti
autonomi. Non è problema da poco, anzi. Essere Comunisti, in sintonia -
crediamo - con larga parte di Rifondazione, non condivide l'eventualità di uno
scioglimento del partito. Non per una ragione nostalgica. Al contrario, per una
razionale disamina del contesto politico nel quale essa prenderebbe forma.
Pensiamo ai Verdi che, anche recentemente e per tramite del loro segretario
Pecoraro Scanio, hanno dichiarato di non essere di sinistra. È un dato di fatto
che una parte del loro elettorato non lo sia e che sia geloso della loro
peculiare identità ecologista. Come si fa (in Italia come in Germania, del resto)
ad ipotizzare di confluire con essi in un partito unico? Oppure pensiamo al
mondo del lavoro e a come ciascuno dei soggetti della Sinistra arcobaleno
intende rappresentarlo e difenderlo. Non ci interessa qui discutere il merito
delle scelte e delle posizioni: prendiamo soltanto atto che sostenere la
concertazione o avversarla oppure difendere o osteggiare il Protocollo sul
welfare non sono questioni da poco. Oppure, infine, prendiamo in considerazione
il rapporto con il Pd e con il governo che ogni giorno che passa erode sempre
di più il nostro elettorato, mettendoci in conflitto con
esso e con movimenti significativi (in primo luogo, quello pacifista) con cui
negli anni scorsi il nostro partito era riuscito a entrare in stretta sinergia.
Ma mentre per Rifondazione un distacco dal governo, seppur non auspicato, può
essere posto tra le scelte possibili, per gli altri partiti della Sinistra ciò
non è dato. Da questo punto di vista si capisce la debolezza della carta
d'intenti promossa dall'assemblea di Roma, evidentemente figlia di
contraddizioni di contenuto assai significative. Poste queste premesse, la
proposta di Essere Comunisti è la seguente: sì a una sinistra confederata,
unita e plurale, ma rispettosa dell'autonomia culturale e organizzativa dei soggetti
che la compongono. Non condividiamo invece il progetto di un indistinto partito
unico. Sarebbe poi davvero bizzarro che chi ha criticato il Pd per la sua
natura bifronte in Europa (Pse e Ppe) proponesse ora un partito trifronte (Gue,
Pse, Verdi): è giusto invece che ognuno, in un ambito unitario, mantenga la
propria autonoma collocazione politica, i propri riferimenti culturali e
internazionali, i propri orizzonti di trasformazione sociale. Come abbiamo
cercato di argomentare, non sarebbe però pertinente ridurre la questione a una
semplice difesa di un simbolo o di un nome: dietro di essi stanno molto
concretamente comunità politiche basate su valori comuni, su bisogni concreti,
su progetti di società e strategie di lungo periodo, con una storia e un'identità
sedimentate nel tempo. Per noi vale ancora il progetto della Rifondazione
Comunista. D'altra parte sarebbe veramente grave se alla fine della lunga
transizione italiana iniziata alla fine degli anni '80, venisse cancellata dal
panorama politico italiano la presenza dei comunisti. È veramente
incomprensibile come altre culture, quella socialista, quella democratica
cristiana, vengano orgogliosamente rivendicate e, viceversa, quella comunista -
che in Italia ha significato un patrimonio inestimabile di idee, lotte e
conquiste - non si cerchi di rilanciarla. Noi non siamo disponibili.
Coordinatore nazionale Essere Comunisti 27/12/2007.
( da "Corriere della
Sera" del 27-12-2007)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Opinioni -
data: 2007-12-27 num: - pag: 44 autore: di SALVATORE BRAGANTINI categoria: REDAZIONALE
L'inestirpabile avidità e gli eccessi della finanza Finché i prezzi delle case
e delle azioni salivano vorticosamente, le banche centrali rimanevano
impassibili. Rotto il giochino, sono intervenute. Ma se non potevano agire
diversamente, allora hanno sbagliato prima LA CRISI DEL
( da "Messaggero, Il" del
27-12-2007)
Di MARCO GIOVANNELLI Un magistrato attento ai problemi
della società, un avvocato esperto di legislatura amministrativa, due
diabetologi universitari. Prende corpo la commissione d'inchiesta voluta dal
presidente della Regione Piero Marrazzo, sull'appalto della Asl RmD per
l'autocontrollo del diabete. "La commissione in primo luogo permetterà
alla Asl di presentare in modo chiaro il suo progetto - dice Marrazzo - e nello
stesso tempo aiuterà a comprendere la posizione di cittadini, medici di
famiglia e farmacisti. Capire di più e portare più chiarezza rasserena gli
animi". La commissione di inchiesta è per ora formata da Ferdinando
Imposimato (parlamentare e presidente onorario aggiunto della Suprema corte),
da Giorgio Robiony (avvocato esperto di questioni amministrative e in
particolare di quelle sanitarie) e da due diabetologi da scegliere tra i
docenti della Sapienza e di Tor Vergata. Lo scopo della commisisone sarà quello
di chiarire molti aspetti legati ai rapporti tra la Asl RmdD e i malati di
diabete. C'è infatti la gara d'appalto per kit ma anche una sperimentazione per
spendere meno attraverso la distribuzione delle strisce reagenti. Quest'ultima
è legata a una delibera della Asl RmD e una convenzione tra l'azienda sanitaria
e Hc litorale, società controllata dalla Asl con la particolarità che il
presidente del consiglio di amministrazione Marco Orgera è anche direttore
generale di Farmacap (farmacie comunali) suscitando un
possibile conflitto di interessi. Nella delibera e nella convenzione, la Asl affida ad Hc
litorale fino al dicembre 2010 la sperimentazione del progetto. Giusy Gabriele
(manager dell'azienda sanitaria) aveva detto al Messaggero che il progetto dove
testare la consegna a domicilio del kit ma nella convenzione c'è scritto che il
programma permette il monitoraggi di glucosio, colesterolo e trigliceri.
Il servizio di consegna a domicilio del kit è stato sospeso dopo la portesta di
malati e medici sull'attendibilità del nuovo reflessometro che ha messo in
pericolo i pazienti. Secondo la Asl sono state 32 le segnalazioni di
malfunzionamento su 1.500 macchinette distribuite. C'è poi la gara d'appalto
vera e propria che secondo la Asl dovrebbe permettere un forte risparmio. Il
direttore generale della Asl non ha dubbi e contesta l'accordo tra Regione e
Federfarma (farmacisti privati) ritenendo che la sua iniziativa è migliore.
Anche in questo caso emerge il conflitto di interessi
di Orgera tra Farmacap, Hc litorale e i farmacisti privati. Secondo i calcoli
di Giusy Gabriele nel 2007 la Asl ha speso di assistenza integrativa ai
pazienti diabetici 9,556 milioni, con il progetto di Hc litorale si scende a
4,3 milioni mentre l'accordo con Federfarma costa 6,5 milioni. La convenzione
prevede l'affidamento del servizio ad Hc litorale fino al 2016. "Noi
forniamo una gamma completa di prodotti - ribatte Franco Caprino di Federfarma
- che non mi sembrano compresi nella gara d'appalto. In tutti i conteggi si
parla sempre di diabete ma quanto costano le strisce per trigliceridi e
colesterolo?".
( da "Manifesto, Il" del
27-12-2007)
A palazzo Madama non ci sarebbero avvicendamenti in
vista, maggioranza ed ex Cdl - tranne Manzione - tutti contro i ricorsi. Il
forzista Lucio Malan: noi diciamo no da sempre Daniela Preziosi Roma "Il
fatto è che noi radicali non ci gonfiamo come rane per minacciare o ricattare
il governo. Non ne abbiamo i numeri, d'accordo. Ma soprattutto abbiamo un'altra
storia. Noi proponiamo un ragionamento politico a Prodi. Che è il seguente:
grazie a noi sta facendo le uniche belle figure della sua legislatura. Allora
decida: con chi vuole andare avanti, con i Dini e i Mastella oppure con i
radicali?". Insieme a Rita Bernardini, ieri Marco Cappato si è appellato
al presidente del consiglio perché "intervenga con urgenza per contribuire
ad interrompere la cancellazione violenta del soggetto politico radicale".
Fra le questioni in ballo c'è quella che Cappato definisce "la battaglia
del senato", ovvero i ricorsi che radicali, dipietristi, verdi, comunisti
italiani, socialisti del Nuovo Psi e Udc hanno presentato per la riassegnazione
di complessivi otto seggi al senato. Secondo l'interpretazione dei ricorrenti
la legge elettorale non prevede lo sbarramento nelle regioni in cui la
coalizione vincente non abbia superato il 55 per cento dei voti. Se fosse così,
ai radicali spetterebbero almeno due seggi, uno dei quali sarebbe destinato a
Marco Pannella. Per di più la maggioranza dell'Unione potrebbe tirare un
sospiro di sollievo: uno dei seggi contesi è quello del dissidente Prc Franco
Turigliatto, che tornerebbe a casa a favore di Ugo Intini, che a sua volta
lascerebbe il posto a Pannella; al nazional-alleato Gennaro Coronella
subentrerebbe Carmelo Conte, un socialista recente passato con Boselli; il
forzista Cosimo Izzo dovrebbe cedere a Nino Marotta, che è dell'Udc ma è vicino
a Follini. "Izzo è in palese conflitto di
interesse", aggiunge Cappato. "Fa parte della giunta che deve
decidere sul suo seggio. Prodi deve capire che il problema è suo, non dei
radicali". Ma la soluzione dei conflitti di interesse non è, a quanto
sembra, il primo dei pensieri della maggioranza che sostiene Prodi. In
ogni caso, è molto probabile però che alla fine il giro di quadriglia non
avverrà. Il 21 gennaio la giunta per le elezioni è convocata alle 16. Il
presidente Domenico Nania (An) ha stabilito che i lavori andranno avanti ad
oltranza, con le relazioni su tutti i casi, fino a raggiungere un unico
pronunciamento finale. E la giunta è orientata a non accogliere i ricorsi.
Tranne il bordoniano Roberto Manzione, sono contrari tutti gli esponenti dell'Unione,
ci assicurano due senatori che non vogliono essere citati. Contrarissimi anche
quelli della ex Casa della Libertà, ma non temono di dirlo chiaro e tondo:
"Figuriamoci, noi diciamo no ai ricorsi da tempi non sospetti. Da quando,
per capirci, Turigliatto non era Turigliatto e Follini non era Follini",
si diverte il forzista Lucio Malan. "Fra l'altro, in tempi precedenti, ci
avrebbe fatto pure piacere che l'Unione fosse costretta a salutare alcuni suoi
autorevoli senatori, come Luigi Zanda o Sinisi, per imbarcare Pannella e
qualche altro casinista", aggiunge. "E nonostante questo, siamo
rimasti coerenti e contrari. Tanto più che ora l'eventuale avvicendamento
significherebbe per noi perdere qualche senatore". "La norma è
chiara, il ricorso è irricevibile, lo hanno già affermato illustri
costituzionalisti", dice Franco Turigliatto, uno dei ribelli dell'Unione
(ora è in forza alla Costituente anticapitalista), eletto dal Prc in Piemonte,
che dovrebbe tornare a casa se la giunta per le elezioni di Palazzo Madama
accettasse le ragioni dei radicali. "Mi spiace solo che i colleghi che
fanno parte della giunta non mi abbiano mai detto niente, ma non importa. Però
prendo atto che la questione del mio seggio si pone più di quello di altri, con
un andamento ondulatorio, a seconda della fase politica", continua.
"Ma è pretestuoso. E' chiaro che a molti, nella maggioranza, farebbe
comodo che se ne andasse l'unico senatore che ha votato no al protocollo sul
welfare. Ma è grave che una norma debba essere interpretata in funzione degli interessi politici". La vicenda comunque si avvia a
essere affrontata, magari con venti mesi di ritardo. Comunque per essere
definitivamente seppellita sotto una pietra tombale.
( da "Quotidiano.net" del
27-12-2007)
Mobile email stampa IL BILANCIO DI FINE ANNO Prodi:
"L'Italia è uscita dalle emergenze" Tradizionale conferenza stampa
del premier: "Il Paese si è rimesso a camminare, ma resta la mancanza di
fiducia e l'incertezza del futuro". Monito anche agli alleati 'riottosi':
a gennaio nessuna verifica, nè rimpasti Home Politica prec succ Contenuti correlati
Caro Prodi, vorrei tanto che tu.... Invia al premier la lettera di Natale Dini:
"Prodi in Senato non ha più i numeri per governare" Roma, 27 dicembre
2007 - "L'Italia si è rimessa a camminare ed è uscita dalle
emergenze". Da due anni la crescita di attesta intorno al 3%, è stato
ripristinato l'avanzo primario e a fine anno il deficit si collocherà intorno
al 2%, "cifra al di sotto di ogni previsione e che non si verificava dal
precedente governo di centrosinistra". Non basta, alla fine della legislatura
migliorerà anche il debito che scenderà sotto il 100% del Pil. Il presidente
del Consiglio, Romano Prodi, chiude con ottimismo il 2007 e nella conferenza
stampa di fine anno sottolinea che il Paese "si è rimesso a
camminare" . Il
( da "Voce d'Italia, La" del
27-12-2007)
Sant'ambrogio,
indaga la procura - davide carlucci (
da "Repubblica, La" del 19-12-2007)
Cultura Forse
farà scuola una scelta originale di questo libro (Sergio Luzzatto: Padre Pio.
Miracoli... ( da "Repubblica, La"
del 19-12-2007)
Anche Cazzola nella holding di Consorte (
da "Unita, L'" del 19-12-2007)
Riassetto Mediobanca All'Antitrust manca una parte del dossier ( da "Giornale.it, Il"
del 19-12-2007)
La ragnatela
che blocca lo sviluppo ( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 19-12-2007)
Veltroni frena
i piccoli: basta richieste infantili (
da "EUROPA.it" del 19-12-2007)
L'autostrada paralizzatadall'inerzia dei politici ( da "Secolo XIX, Il"
del 20-12-2007)
Pd, dopo quella sulla laicità scoppia la grana-massoneria In
Commissione Codice etico il nodo sulla compatibilità tra iscrizione al partito
e alle logge ( da "Unita, L'"
del 20-12-2007)
La strage del lavoro che per anni non è stata notizia Cara Unità, la
città ( da "Unita, L'"
del 20-12-2007)
Ars, la manovrina in aula soldi pure ai circoli di partito - emanuele
lauria ( da "Repubblica, La"
del 20-12-2007)
Cgil, Cisl, Uil
e Ugl rifiutano confronto con il consigliere e croupier Barbaro (
da "Stampa, La" del 20-12-2007)
I gialli dell'Aremol: conflitti d'interessi e uno strano bando pag.1 ( da "Giornale.it, Il"
del 20-12-2007)
Sarkozy in visita dal Papa: colloqui sull'Europa e il Medio Oriente di
Redazione - giovedì 20 dicemb... ( da "Giornale.it, Il"
del 20-12-2007)
Evviva il declino dell'Italia che porta libertà e conflitto ( da "Liberazione"
del 20-12-2007)
Con il voto sul
protocollo sul Welfare è stata messa l'ultima parola al dibattito sulla
possibilità di introdurre riforme favorevoli ai lavoratori e alle classi subalterne attraver (
da "Liberazione" del 20-12-2007)
Prodi: accelerare la riforma tv fini: pubblicazione indecente ( da "Repubblica, La"
del 21-12-2007)
Nella trincea
di viale mazzini "noi, lottizzati ma professionisti" - concita de
gregorio ( da "Repubblica, La"
del 21-12-2007)
I sette minuti
del padrone - (segue dalla prima pagina) (
da "Repubblica, La" del 21-12-2007)
La tv della
lega diventa realtà i club decideranno cosa far vedere (
da "Repubblica, La" del 21-12-2007)
Dall'ex premier frasi di sconfinata volgarità ( da "Unita, L'" del 21-12-2007)
Il governo ha deluso,
ma la verifica lo rilancerà ( da "Unita, L'"
del 21-12-2007)
Di ANTONELLA COPPARI - ROMA -
DICO: al telefono si hanno d ( da "Giorno, Il (Nazionale)"
del 21-12-2007) + 2 altre fonti
Berlusconi choc: In La verità del Cavaliere sui raccomandati ( da "Giorno, Il (Nazionale)"
del 21-12-2007) + 2 altre fonti
Canelli: ancora veleni in
Consiglio comunale ( da "Stampa, La"
del 21-12-2007)
Quelle bombe a orologeria per frenare il dialogo (
da "Giornale.it, Il" del 21-12-2007)
Tar, stop alla gara vinta da Sirti per i servizi informatici delle Fs
pag.1 ( da "Giornale.it, Il"
del 21-12-2007)
Piange il
telefono ( da "Manifesto, Il"
del 21-12-2007)
La carica degli
indipendenti sbarca a Roma ( da "Manifesto, Il"
del 21-12-2007)
Un mondo in equilibrio tra il servo e il padrone ( da "Manifesto, Il"
del 21-12-2007)
LA REPLICA DI
VIALE MAZZINI: ACCUSE INACCETTABILI (
da "Mattino, Il (Nazionale)" del 21-12-2007)
Riforma tv sì,
ma non basta: risolvere il conflitto d'interessi (
da "Unita, L'" del 22-12-2007)
[FIRMA]MARCO INNOCENTI FURINA
ROMA Un decreto legge per regolare la materia delle intercettazi (
da "Stampa, La" del 22-12-2007)
Tra scandali e
fughe ( da "Stampa, La"
del 22-12-2007)
"decreto
sulle intercettazioni" ma il governo frena mastella - alberto custodero (
da "Repubblica, La" del 22-12-2007)
Abuso
quotidiano ( da "Corriere della Sera"
del 22-12-2007)
Tutti quelli che... e la fiction Rai ( da "Corriere della Sera"
del 22-12-2007)
I cineasti
sardi beffati da Soru (
da "Manifesto, Il" del 22-12-2007)
TALVOLTA il
titolo di un libro non rende merito al suo contenuto. È sicuramente il caso di (
da "Messaggero, Il" del 22-12-2007)
ROMA Indignato e offeso dopo le
intercettazioni delle sue conversazioni con il direttore di (
da "Messaggero, Il" del 22-12-2007)
No ai processi
sommari, ma si confermano le peggiori preoccupazioni sul conflitto di interessi ( da "Messaggero, Il"
del 22-12-2007)
Ma Bertinotti condanna solo a
metà ( da "Giornale.it, Il"
del 22-12-2007)
Bertinotti
condanna a metà ( da "Giornale.it, Il"
del 22-12-2007)
La scelta del Tg1 di mandare giovedì sera l'audio della ( da "Tempo, Il" del 22-12-2007)
Di ELENA G. POLIDORI - ROMA -
L'ENNESIMA fuga di notizie lo ( da "Resto del Carlino, Il
(Nazionale)" del 22-12-2007) + 2 altre fonti
L'ira di
Berlusconi: C'è voglia Intercettazioni, dubbi di Palazzo Chigi. Il garante
chiede ( da "Resto del Carlino, Il
(Nazionale)" del 22-12-2007) + 2 altre fonti
Questo no,
quello no... E non rimase nessuno (
da "EUROPA.it" del 22-12-2007)
La campana del
Colle "apre" la veri ca (
da "EUROPA.it" del 22-12-2007)
Le staminali
uccidono il cancro o i profitti deviano la ricerca? (
da "Liberazione" del 22-12-2007)
Intercettazioni,
Mastellavuole un decreto urgente ( da "Secolo XIX, Il"
del 23-12-2007)
Intercettazioni:
la barbarie è nei contenuti ( da "Unita, L'"
del 23-12-2007)
Più poteri a
Cappon, solo così salviamo la Rai (
da "Unita, L'" del 23-12-2007)
Vorrei sapere
cosa ne pensa Veltroni . Antonio Polito, (
da "Tempo, Il" del 23-12-2007)
Veltroni si nasconde, Polito lo chiama in causa (
da "Tempo, Il" del 23-12-2007)
Il Silvio in salsa thai colpisce
ancora ( da "EUROPA.it"
del 23-12-2007)
Il centrodestra ed il nucleare ( da "Voce d'Italia, La"
del 23-12-2007)
Rina Gagliardi ( da "Liberazione"
del 23-12-2007)
( da "Repubblica, La" del
19-12-2007)
Pagina XIII - Milano Acquisiti dal pm Pirrotta gli
esposti dei comitati dei residenti e la trascrizione di una puntata della
trasmissione tv Report Sant'Ambrogio, indaga la procura Aperta un'inchiesta sul
parcheggio scavato accanto alla basilica DAVIDE CARLUCCI le accuse dei comitati
contro i parcheggi in centro finiscono in un fascicolo della procura. Il
pubblico ministero Paola Pirrotta ha acquisito la puntata della trasmissione
"Report" nella quale s'ipotizzano irregolarità negli appalti per la
realizzazione di una serie di posteggi previsti dall'amministrazione Albertini,
in particolare quello che sta per nascere in piazza Sant'Ambrogio. è stata
disposta la trascrizione della puntata ed è stato sentito, come persona
informata sui fatti, il giornalista Bernardo Iovene, autore dell'inchiesta
intitolata "Cara Madunina". Il fascicolo, per ora, è contro ignoti.
Ma la testimonianza di Iovene arricchisce la documentazione già raccolta da
Pirrotta dopo la presentazione di due esposti, da parte del comitato contro il
parcheggio a Sant'Ambrogio e da Italia Nostra. Le denunce segnalavano l'operato
della Sovrintendenza, che ha consentito la realizzazione dell'opera malgrado la
presenza di una necropoli romana nell'area interessata (il cimitero dei martiri
cristiani su cui il patrono di Milano volle far erigere la basilica). Il
parcheggio, per i ricorrenti, oltre a essere inutile perché troppo vicino a
quello, già esistente, in via Olona, rappresenterebbe anche una violazione del
codice dei Beni culturali che tutela le piazze storiche, impedendone usi
diversi. Gli scavi, inoltre, toccherebbero una falda acquifera. Le stesse
accuse sono state ripetute nel corso della puntata di "Report" del 18
novembre. E dubbi sono stati sollevati anche sull'opportunità e sui costi della
gara d'appalto dopo che una proposta analoga, nella stessa area, fu respinta
dal Comune. Fu accolta, invece, la proposta della società Mangiarotti,
"legata alla famiglia dell'assessore alla Salute Carla De Albertis".
Ai rilievi ha risposto lo stesso imprenditore beneficiario dell'appalto,
Claudio De Albertis, fratello dell'assessore che ha lasciato il suo incarico
per protesta contro il ticket antismog voluto dal sindaco Moratti: "Se c'è
una cosa su cui io debbo testimoniare è l'assoluta onestà intellettuale di mia
sorella". Mentre la procura indaga - acquisendo anche documenti in Comune
- le associazioni rilanciano la protesta. Italia Nostra ha scritto a Micaela
Goren Monti, presidente del consiglio di zona 1, per ribadire il no "a
un'opera che ci appare incongrua, insensata e pericolosa". Inoltre,
"l'Ecopass sembrerebbe rafforzare la necessità di allontanare, anziché
avvicinare, le auto al centro cittadino". Lo stesso Carlo Ripa di Meana,
leader nazionale dell'associazione, incontrerà a gennaio i residenti.
Fermamente contraria al progetto è anche l'architetto Cini Boeri: "Attendo
che il sindaco Moratti, che con coraggio è riuscita a far approvare il ticket,
riesca con uguale sensibilità a ordinare la chiusura dello squarcio attualmente
aperto a fianco della Basilica". E Maria Bertolotti, del comitato dei
residenti contrari al parcheggio, si aspetta che si faccia luce sui "conflitti di interesse, le gare d'appalto deserte, le modifiche
al progetto di partenza con un progressivo aumento del numero dei piani".
Intanto, mentre si moltiplicano le azioni legali contro i parcheggi - un gruppo
di residenti ne ha intentato un'altra per piazza Bernini - Italia Nostra lancia
una campagna contro il degrado di piazza Duomo e a San Babila: oggi ci
sarà un incontro con il sovrintendente Alberto Artioli.
( da "Repubblica, La" del 19-12-2007)
Cultura Forse farà scuola una scelta originale di questo
libro (Sergio Luzzatto: Padre Pio. Miracoli e politica nell'Italia del
Novecento, Einaudi, pagg. 419, euro 24): le immagini, normalmente raccolte in
un inserto o distribuite qua e là per il piacere degli occhi, qui entrano nella
pagina e si uniscono al testo come parte integrante di esso. Severe
riproduzioni in bianco e nero suggeriscono quale funzione decisiva abbiano
avuto le immagini nella vicenda di cui qui si tratta. Quelle della devozione a
Padre Pio furono le piccole foto dei santini, sollievo e speranza per gli occhi
di poveri, di malati, di sofferenti: a loro "altro non donava, Padre Pio,
che immaginette sacre" (pag. 212). Era lui stesso una immagine vivente:
quella del Cristo della Passione. La "vera effigie" di Padre Pio che
i devoti, i bisognosi di conforto e di speranza si videro ben presto offrire
dalla piccola industria sorta a San Giovanni Rotondo, era per così dire
l'effigie di una effigie, la forma nuova e più efficace di quella "vera
icona" di Cristo che i pellegrini del Medioevo visitavano a Roma. Dai
tempi del primo stigmatizzato, San Francesco, i temi della devozione al sangue
vivo e vivificante di un Cristo uomo di dolori erano diventati dominanti. E
sempre più erano apparse su corpi umani le stigmate della Passione. Soprattutto
su corpi di donne: come se il dolore e la compassione nel senso di
partecipazione alla Passione originaria del Salvatore, fossero prerogativa
della parte femminile dell'umanità. Il modello della santità stigmatizzata di
Gemma Galgani fu decisivo nell'esperienza giovanile di Padre Pio, che ne lesse
i testi e li fece suoi in una specie di santo plagio, mentre per ragioni di
salute e di famiglia era tornato a sperimentare la chiusa vita domestica normalmente
riservata alle donne. Da qui ebbe inizio, umilissimo inizio, una storia che
doveva portare al duraturo quanto insolito monumento devoto di un grande
ospedale moderno - un monumento intitolato all'impresa gigantesca e commovente
di portare sollievo alla sofferenza e alla miseria di un popolo abbandonato
dallo Stato. Raccontare un miracolo e ricostruire da storico una carriera di
santità è l'impresa in cui questo libro si cimenta: e bisogna dire subito che
l'esito è pienamente convincente. Non solo: questo libro è molto di più della
storia di una vicenda individuale e collettiva di santità miracolosa. è una
nuova e diversa storia dell'Italia del '900, è la scoperta del filo profondo
che lega il paese del "miracolo italiano" al suo passato e che ne rende
forse finalmente comprensibile quella speciale "modernità" che oggi
viviamo, fatta di arcaismi e di disordinate fughe nel futuro, dove la religione
e la Chiesa svolgono un ruolo altrove sconosciuto. Il libro ha un andamento
serrato e avvincente, robustamente sorretto dalle carte di archivi segreti ma
nutrito anche di tutti gli echi e i succhi della cultura dei romanzieri e dei
giornalisti del '900. Il titolo mette subito in chiaro che non sentiremo
frusciare le ali degli angeli ma ci muoveremo sul terreno ben poco edificante
della politica. Che le religioni creino politica oggi non è una scoperta: anche
se non tutte lo fanno costruendo ospedali. Resta che qui si tratta di miracoli.
Ma come si fa storia di un fenomeno religioso così diffuso e senza tempo come
la santità taumaturgica? e come si risponde a chi chiede se i miracoli sono
veri? dai tempi di Erodoto gli storici hanno imparato a distinguere il loro
compito da quelli di chi cerca il dito di Dio nei fatti umani. Il prologo
dell'opera fa subito chiarezza su questo punto. Qui il miracolo interessa per
quello che rivela delle speranze e dei desideri diffusi, in una parola
dell'"orizzonte di attesa" che lo circonda. Ci sarebbe insomma una
specie di circolarità tra la domanda e l'offerta: nel caso di Padre Pio,
l'orizzonte fu quello terribile degli anni dell'"inutile macello"
(parole di un papa) della Grande Guerra, quando la presenza del dolore e della
morte, già così alta in quella che tutti chiamavano allora "bassa
Italia", divenne l'immane tragedia collettiva che sappiamo. In realtà
questa precisazione dice solo in parte quello che si incontra nelle pagine del
libro: qui - per fortuna nostra e per merito dell'autore - l'orizzonte di
attesa non sfuma nell'indistinto delle mentalità collettive ma assume subito i contorni netti e taglienti del conflitto
sociale e politico, con tutti gli ingredienti tipici del secolo delle masse: la
propaganda, il dominio dei mezzi di comunicazione, gli intrecci tra finanza,
potere e religione e così via. Del resto, che miracoli e religione potevano
aprire nuovi orizzonti all'analisi storica del potere lo aveva mostrato Marc
Bloch in un'opera concepita e scritta proprio in quel dopoguerra che
vide accanto alle stimmate di Padre Pio gran numero di insorgenze devote.
Governare e controllare le devozioni era diventato allora un settore dominante
dell'opera di quel Sant'Uffizio nato secoli prima per combattere le eresie
intellettuali: e questo fatto è degno di nota. Per ritrovare il clima di quegli
anni niente è più istruttivo di un sondaggio nell'archivio di quella che oggi
si chiama Congregazione vaticana per la dottrina della fede. Arrivarono allora
sui tavoli degli inquisitori tante storie di esperienze mistiche e devote
concentrate soprattutto sulle immagini e sul sangue: santini sanguinanti di
Cristo della Passione, ostie inzuppate nel sangue sgorgato da quelle immagini
come quelle della devozione promossa fin dal 1911 dall'abbé Vachère nella
diocesi di Poitiers e subito condannata. Anche quella sorta intorno a Padre Pio
dopo l'apparizione delle stimmate - 20 settembre 1918, data per più versi
simbolica - non ebbe vita facile. Mentre coi primi miracoli quella devozione
diventava oggetto della comunicazione di massa, di quel sangue si interessarono
sia i tutori laici ed ecclesiastici dell'ordine costituito sia chi quell'ordine
tentava di cambiarlo, con la forza o con l'astuzia. E da questo momento il
libro fa largo uso di quel procedimento fotografico che mette a fuoco chi
guarda e lascia sfocato chi è guardato. Alla fine noi sappiamo che cosa hanno
visto in Padre Pio i cappuccini locali, i miracolati e i convertiti, le
autorità laiche e religiose e una folla di visitatori, con presenze al completo
della cultura letteraria, del giornalismo e della politica. Tanti sguardi, tante
speranze, attese, emozioni, convinzioni. Alla fine abbiamo l'impressione di
avere imparato moltissimo sul nostro paese: abbastanza comunque per rivedere
capitoli fondamentali della storia italiana - di quella del '900, ma di scorcio
anche di quella precedente e di quella successiva perché impariamo qualcosa
sulle correnti profonde che vivono al di sotto della cronaca dei triti fatti e
piegano la storia in un senso o nell'altro. Intorno a Padre Pio si svolse un
lungo conflitto sulla religione degli italiani e sulle alleanze della Chiesa.
Che il primo e più duro critico fosse Padre Agostino Gemelli fa emergere la
sostanza del contrasto: nel suo progetto di una rinnovata egemonia cattolica
sull'Italia non c'era spazio per quel misticismo arcaico da clinica psichiatrica
che lui credette di vedere nel cappuccino pugliese. E le resistenze furono
tenaci: fino a quella celebre di Papa Giovanni XXIII, le cui opinioni ostili
all'"affarismo" e alla "superstizione" nate intorno a un
"idolo di stoppa" si possono leggere ora nell'ottima edizione delle
sue agende a cura di Angelo Velati (Angelo Giuseppe Roncalli, Giovanni XXIII,
Pater amabilis. Agende del Pontefice 1958-1963, Istituto per le scienze
religiose di Bologna). Ma è sul terreno delle alleanze politiche costruite intorno
al frate di Pietrelcina e degli uomini che le cercarono e le incarnarono che il
libro riserva le sorprese più notevoli. A partire dalla benedizione che il 15
agosto 1920 Padre Pio impartì alle bandiere delle associazioni
combattentistiche - un gesto che "non ebbe nulla di politicamente
innocente", annota Luzzatto - e dalla strage di contadini socialisti del
20 ottobre, si dipana il filo di una propensione clerico-fascista dei suoi
promotori più attivi (il clerico-fascismo è una categoria della storia italiana
contemporanea sul cui valore euristico Luzzatto invita giustamente a
riflettere). Protagonista assoluto di questa storia è quell'Emanuele Brunatto
che nelle sue molte metamorfosi - spia fascista, collaboratore dei nazisti,
borsanerista e speculatore nella Francia liberata - fu sempre un apostolo di
Padre Pio e ne costituisce una specie di immagine rovesciata. Brunatto volle
dimostrare alle autorità vaticane quel che si poteva guadagnare dall'opera di
Padre Pio per battere il comunismo in Italia. Ma non c'era bisogno di simili
consiglieri per convincere di questo il cattolicesimo politico italiano:
l'investimento che si era disposti a fare su Padre Pio lo mostra la storia di
come tra il 1947 e il 1948 i due fratelli Giovanni Battista e Lodovico Montini
in rappresentanza l'uno del Vaticano l'altro dello Stato italiano spostarono
sull'ospedale di San Giovanni Rotondo la fetta maggiore dei finanziamenti UNRRA
al sistema sanitario italiano. La conclusione è nota. Venne un tempo in cui nei
cimiteri italiani, quelli che si chiamano ancora abitualmente camposanti,
insieme alla croce e talvolta al suo posto comparve la figura di Padre Pio, in
immagini scolpite o dipinte, dai santini per le tombe più povere alle statue
monumentali: fu chiaro allora che la devozione aveva vinto. E la decisione
della Chiesa cattolica di ammettere ufficialmente Padre Pio alla gloria degli
altari apparve inevitabile. La religione dell'"alta Italia" di Padre
Gemelli o di Papa Giovanni e quella dell'Italia "bassa", percorsa da
"fermenti di idolatria" come scrisse nel 1960 il visitatore
apostolico monsignor Maccari, dovevano andare insieme. Ne andava dell'unità
d'Italia: e il merito storico della Chiesa era stato proprio quello di tenere
unita l'Italia, aveva osservato Benedetto Croce. Ne andava soprattutto del
destino della Chiesa. Viene in mente un nome che non troviamo in queste pagine
ma che sicuramente è stato presente all'autore: quello di Antonio Gramsci che
nel carcere di Turi rifletteva sul valore politico dell'energia dispiegata
dalla Chiesa nell'impedire che la religione degli intellettuali divorziasse da
quella dei semplici.
( da "Unita, L'" del 19-12-2007)
Stai consultando l'edizione del IL CASOL'ex leader
dell'Unipol raccoglie una cinquantina di imprenditori nella sua finanziaria
Intermedia Anche Cazzola nella holding di Consorte di Antonella Cardone Lui è
l'eclettico imprenditore che ha reinventato il Motorshow declinando in chiave
erotica l'atavica passione italiana per le automobili. L'altro è l'Icaro che
con Unipol si è bruciato le ali tentando la scalata alla Banca nazionale del
lavoro. Ora Alfredo Cazzola e Giovanni Consorte sono soci in affari: il primo
ha acquisito una quota azionaria della società dell'altro, la merchant bank
Intermedia. La conferma arriva da Cazzola, che spiega di aver impiegato
nell'operazione parte della liquidità acquisita dalla vendita della sua
Promotor (che possedeva, oltre al Motorshow, anche il Lingotto di Torino) ai
francesi della Gl events. "Con Consorte siamo amici da tempo, l'ho
conosciuto quando era alla guida di Unipol e ho avuto modo di apprezzare le sue
capacità finanziarie: ho stima in lui", argomenta Cazzola. Con l'entrata
del bolognese, si allunga così la lista dei compagni del nuovo viaggio che
Consorte ha intrapreso dopo l'addio-defenestrazione da Unipol. In Intermedia le
indiscrezioni vedono figurare una cinquantina di imprenditori italiani, tra cui
Vittorio Casale - il costruttore che aveva comprato alcuni immobili di Unipol
rivendendone uno allo stesso Consorte, noto anche per aver portato in Italia il
business delle sale bingo - e Salvatore Tiozzo, imprenditore di Chioggia. Si
parla anche di una prossima entrata in Intermedia di Alberto Rigotti,
proprietario della merchant bank Abn che controlla il gruppo editoriale
E-Polis. Un dato, quest'ultimo, non irrilevante per chi aspetta - o teme - una
rentrée in grande stile di un Consorte col dente avvelenato con la stampa che
lo coprì di polvere per il caso Unipol-Bnl. Paiono molto fondati, infatti, i
rumors che danno Consorte pronto rilevare il 2% della società di Rigotti,
spendendo così 3,5 dei 95,5 milioni di mezzi propri di cui l'Intermedia è
ufficialmente dotata. C'è da dire, però, che lo shopping finanziario che sta
attuando la società di Consorte spazia nei campi più disparati,
dall'immobiliare alla ricerca sul cancro passando per il calcio. Già, il
calcio. Al costo di 3 milioni di euro Intermedia ha appena rilevato il 10%
della Credsec spa, la società finanziaria controllata dall'avvocato romano
Giovanni Lombardi Stronati e proprietaria del Siena Calcio sponsorizzato dal
Monte Paschi. Un dato che dovrebbe far preoccupare l'amico
Cazzola, il cui mestiere principale, attualmente, è fare il patron del Bologna
football club: se i rossoblu l'anno prossimo risalissero in serie A, per lui si
profilerebbe un conflitto di interessi.
( da "Giornale.it, Il" del
19-12-2007)
Di Redazione - mercoledì 19 dicembre 2007, 07:00 Il
riassetto dei grandi soci di Mediobanca è cosa fatta, ma nel dossier consegnato
da Unicredit all'Antitrust mancano alcuni "allegati". A partire dai
documenti sui due punti più delicati dell'intero accordo: lo strumento con cui
Piazzetta Cuccia ha smontato la propria quota in Mediolanum e il contratto swap
utilizzato da Piazza Cordusio per parcheggiare all'inglese Barclays il 2% della
merchant bank inizialmente destinato a Popolare Vicenza. "Mi sono arrivate
le carte: mancano ulteriori dettagli. Giovedì decideremo se li avremo
tutti", ha attaccato il presidente dell'Authority, Antonio Catricalà.
L'Antitrust, che ha imposto a Piazza Cordusio di cedere il 9,36% di Piazzetta
Cuccia come condizione alle nozze con Capitalia, vuole quindi leggere tutte le
carte prima di dare il proprio avallo definitivo. Unicredit deve inoltre
mettere a punto un sistema per impedire al presidente Dieter Rampl e al
consigliere Fabrizio Palenzona, entrambi membri del board di Mediobanca, di partecipare alla discussione e alle delibere del consiglio di
Unicredit riguardanti i temi dell'investment banking e delle assicurazioni.
L'Antitrust ha infatti condizionato il via libera all'aggregazione con
Capitalia alla rimozione dei conflitti di interesse con la galassia
Mediobanca-Generali.
( da "Unione Sarda, L'
(Nazionale)" del 19-12-2007)
Commenti Pagina 317 spoils system tutto sardo La
ragnatela che blocca lo sviluppo Spoils system tutto sardo di Andrea Pubusa*
--> di Andrea Pubusa* Le recenti sentenze del giudice del lavoro sulle
nomine di alcuni alti dirigenti regionali non sorprendono, anzi contengono
annullamenti annunciati. Gli incarichi sono stati adottati dal presidente Soru
in palese contrasto con la disciplina legislativa esistente e, ancor prima, con
quella costituzionale. Ciò che sorprende è che si tratta di regole ben note.
Infatti, con due sentenze pubblicate non più di qualche mese fa (la numero
103/2007 e 104/2007), la Corte costituzionale ha censurato le forme più estreme
di spoils system perché si tratta di un modo per fidelizzare la dirigenza e
rendere più stretta la cinghia di trasmissione tra politica e amministrazione.
Com'è noto, il nuovo statuto della dirigenza pubblica e, in particolare, il
principio della distinzione tra politica e amministrazione, fa sì che i vertici
politici assegnino ai dirigenti gli incarichi, indichino gli obiettivi,
valutino i risultati; ai dirigenti, il cui rapporto di lavoro è ormai
privatizzato (dal 1998 anche quello dei dirigenti generali), è riservata
l'attività di gestione e di emanazione degli atti amministrativi. Essi sono
assoggettati a una nuova forma di responsabilità dirigenziale in caso di
mancato raggiungimento degli obiettivi. Tuttavia, secondo la Corte costituzionale,
"la dipendenza funzionale del dirigente non può diventare dipendenza
politica". Il dirigente può essere sottoposto alle direttive e al giudizio
del vertice politico, ma "non può essere messo in condizione di
precarietà". Ciò violerebbe appunto i principi costituzionali di
imparzialità e di buon andamento. Solo per i dirigenti apicali (dirigente e
segretario generale, capo di dipartimento, ecc.) il rapporto fiduciario stretto
potrebbe prevalere su queste esigenze. Questi dirigenti possono, dunque, essere
nominati e rimossi dal Presidente, ma - attenzione - non possono ingerire
nell'amministrazione. La loro azione è limitata agli atti d'indirizzo che
spettano agli organi politici. Insomma, l'amministrazione spetta ai dirigenti
cosiddetti "di carriera" che la svolgono sulla base degli indirizzi
degli organi politici e, a garanzia dell'imparzialità e del buon andamento, non
sono sottoposti a nomina e revoca fiduciaria del Presidente, mentre quelli
apicali possono essere "fiduciari", ossia nominati e revocati liberamente
dal Presidente, ma non possono svolgere attività amministrativa a garanzia
dell'imparzialità. La Giunta Soru è del tutto al di fuori dalla prospettiva
costituzionale. Anzitutto perché ha presentato un disegno di legge imperniato
su uno spoils system generalizzato e, dunque, in aperta violazione del
principio di imparzialità e di buon andamento. Secondariamente, il Presidente
assegna ai dirigenti fiduciari funzioni amministrative in violazione della
distinzione che esiste fra politica e amministrazione, creando così una sorta
di "amministrazione del Presidente", che è una versione perfino
peggiore della "amministrazione di partiti". Questo palese
scostamento dalla legalità costituzionale, a ben vedere, è alla base degli
annullamenti ripetuti delle nomine di alti dirigenti, ma è anche la fonte dei
guai del Presidente. La fidelizzazione degli alti dirigenti determina anche
un'indiretta ma non meno pregnante intromissione del Presidente
nell'amministrazione. Se poi questi ha anche una ragnatela d'interessi in vari
settori, in ragione della sua attività imprenditoriale, è evidente che la
commistione affari/amministrazione rischia di divenire inestricabile e fonte di
conflitto d'interessi: nell'azione pubblica finiscono per insinuarsi
"sensibilità" estranee all'esercizio della funzione, con risvolti
evidentemente sconvenienti. Quale è potrebbe essere il rimedio a questa
situazione? È più semplice di quanto non si pensi. È sufficiente ripristinare
la legalità, così come enunciata dalla Corte costituzionale. Ne guadagnerebbe
l'amministrazione regionale e soprattutto i sardi, che in un'amministrazione
efficiente e imparziale possono avere una insostituibile risorsa per lo
sviluppo. *Università di Cagliari.
( da "EUROPA.it" del
19-12-2007)
LEGGE ELETTORALE Veltroni frena i piccoli: basta
richieste infantili RUDY FRANCESCO CALVO "La nostra idea del bipolarismo è
l'esatto contrario di un rapporto melmoso. Sugli interessi
nazionali si è chiamati a discutere tutti insieme, ma da questo nasce
un'alternatività ancora più credibile tra gli schieramenti ". Walter
Veltroni e Romano Prodi si ritrovano accanto alla presentazione di Sono partito
democratico, il libro di Antonello Soro che raccoglie gli "appunti di
viaggio" di uno dei protagonisti diretti della nascita del Pd. Il
segretario coglie l'occasione per ribadire sotto lo sguardo attento del premier
che non esiste "nessun patto della frittata", ma solo "un
dialogo tra forze politiche che restano alternative". E aggiunge che,
accantonata l'ipotesi di un sistema francese senza consenso in parlamento, il
Pd vuole arrivare a un modello in cui "il sistema
proporzionale e il bipolarismo non siano in conflitto", e che non comporti
la creazione di "alleanze ancora più larghe di quelle attuali, che
metterebbero il paese di fronte a un rischio ancora maggiore di
ingovernabilità". Fin qui, tutto bene. Prodi non è certo un sostenitore
del proporzionale, ma si rende conto che la strada verso quella direzione ormai
è tracciata. Apprezza "il lavoro che sta facendo Walter di
consultazione e di dialogo" e spinge per una riforma che garantisca la
governabilità. Ma non solo. Perché il premier deve innanzi tutto difendere il
proprio governo e questo significa garantire tutte le forze della coalizione.
Anche, e soprattutto, le più piccole. È la principale differenza che lo divide
da Veltroni che, da parte sua, insiste sull'introduzione di meccanismi di
"disproporzionalità", che vanno a tutto vantaggio delle liste più
grandi. "Superamento della frammentazione e una democrazia che decida
", sono le parole d'ordine del segretario del Pd. E Prodi puntualizza:
"Bisogna arrivare a un sistema in cui vi sia un'alternanza, un
accorpamento delle forze politiche, ma senza togliere garanzie alle forze
esistenti. La riforma elettorale ? conclude ? deve partire dalla necessità che
le diversità siano considerate un valore e non un fattore negativo ". Veltroni
risponde: "Cerco, anche se non è facile, di raggiungere un equilibrio su
un sistema elettorale. Ma a volte vedo richieste un po' infantili, di chi dice
o facciamo così o...". "O porto via il pallone", suggerisce
Realacci dalla prima fila. Veltroni sorride, annuisce e lancia l'affondo:
"Questo è inaccettabile, soprattutto perché spesso queste posizioni
vengono da chi ha le forze numeriche più piccole". A sottolineare le
"curiose discrepanze" tra Prodi e Veltroni è il socialista Gavino Angius.
Ma anche gli altri alleati si fanno sentire. Per Donadi (Idv) "l'approccio
giusto" è quello del premier, Cusumano attacca chi nell'Unione continua
"a ritenersi in diritto di decidere per conto proprio e in funzione
esclusiva dei propri interessi", e Ripamonti
(Verdi) richiama la necessità di "garantire una presenza democratica e
plurale rappresentativa del paese reale ". L'obiettivo del leader del Pd
non cambia. In un'intervista pubblicata oggi dal Foglio ribadisce la volontà di
coltivare la vocazione maggioritaria del proprio partito con qualsiasi sistema
elettorale, compreso quello che uscirebbe dal referendum. E lancia la sfida nel
campo avversario, rivolgendosi a FI e An: "Se ciascuno di noi va per conto
suo e rifà le alleanze, questo introdurrebbe nella politica italiana un forte
elemento di discontinuità".
( da "Secolo XIX, Il" del
20-12-2007)
Roberto onofrio Gli storici ritardi infrastrutturali e
la totale assenza di strategie nella gestione delle emergenze hanno mostrato,
con un infernale uno-due, che cosa è diventata Genova. Una città bella, ma
inaccessibile. Un capoluogo economicamente cruciale per i traffici portuali, ma
irraggiungibile. Un nodo autostradale da aggirare, dal quale restare lontano,
potendo. Da evitare, come ormai sempre più spesso, quasi ogni giorno, ripetono
le radio nazionali che danno informazioni sul traffico. È questa la condanna
più cruda, la sentenza più bruciante, il verdetto più impietoso che affiora dai
due giorni di ordinaria follia regalati, ancora una volta, ad automobilisti e
camionisti dalle raffiche di tramontana che hanno bloccato gli accessi portuali
del Vte di Voltri e di San Benigno a Genova Ovest. Gli scenari apocalittici che
si prefiguravano qualche anno fa, quando si discuteva della necessità di
alleggerire la A10 dal traffico dei Tir con bretelle o gronde alternative, sono
diventati la cronaca quotidiana. Quasi banale nella sua ripetitività. Ossessiva
e alienante per chi, alla guida di un'auto o di un camion, è costretto a
viverla in diretta. Disastrosa per i riflessi che produce, con una progressiva
e devastante reazione a catena, in tutti i canali del sistema economico, locale
e nazionale; e non solo, ovviamente, per il comparto portuale genovese. Le
snervanti ore di paralisi del traffico, intorno al nodo del capoluogo ligure,
cristallizzano energie, soldi, produttività, ore di lavoro, dilatando non solo
i tempi di consegna delle merci, ma finendo per incidere profondamente anche
sul normale flusso che dovrebbe scandire anche tutte le altre attività. I danni
che sta provocando questo stato di sospesa inerzia sono enormi e forse, a
questo punto, varrebbe anche la pena cercare di quantificarli per averne una
maggiore consapevolezza e per scuotere dal torpore politico che sembra
avvolgere, su questo problema, qualunque tipo di decisione. Nel caso specifico,
ci sono due livelli di intervento che gli amministratori locali (Autorità
portuale compresa), i ministri nazionali e i dirigenti delle Autostrade devono
definire subito. Il primo, naturalmente, è la scelta del tracciato autostradale
alternativo, su cui si discute da almeno vent'anni con una spensieratezza che
un po' indigna e un po' inquieta, perché difficile da spiegare razionalmente.
Le bizze dei comitati cittadini hanno paralizzato per anni la bretella
Voltri-Rivarolo, fino a convincere i politici - l'attuale governatore della
Liguria, Claudio Burlando, protagonista di quei confronti, lo ricorderà - a
lasciar stare, pensando a soluzioni diverse per non perdere consensi. I faccia
a faccia tra gli amministratori locali sulle gronde (alte o basse) hanno
riempito di infinite e inutili discussioni convegni, riunioni, vertici, nei
quali si è spostato un po' più in qua o un po' più in là il tracciato, la
galleria, il viadotto nel periodo in cui la Regione era guidata dal
centrodestra di Sandro Biasotti, il Comune dal centrosinistra di Giuseppe
Pericu così come la Provincia di Sandro Repetto. E ora le bizze le fa il
sindaco Marta Vincenzi, che non è convinta della decisione tanto faticosamente
raggiunta prima di lei. Così adesso si sta cesellando il nulla, con il bel
risultato che neanche se ne parla più. È un comportamento grave, politicamente.
Rischia seriamente di diventare irresponsabile, dopo quanto è accaduto negli
ultimi due giorni tra i caselli di Genova Voltri e Genova Ovest. Impiegare tre
ore per percorrere venti chilometri e, soprattutto, restare per tutto quel
tempo prigioniero di un'assurdità non è più molto tollerabile e sarebbe stato
sufficiente parlare e ascoltare qualche automobilista fermo in coda per capire
che la soglia è già abbondantemente oltre il limite di guardia. Come se non
bastasse, i notiziari radio, nell'attesa, ti annunciavano anche l'aumento, dal
primo gennaio, delle tariffe autostradali e l'ennesimo prezzo record di benzina
e gasolio, in Italia. Così, tanto per condire anche con la beffa finale lo
slogan "viaggiare informati". Un modo di dire, evidentemente. Uno
stato d'animo, per le Autostrade, ieri sollecite, nei pannelli luminosi, nel
segnalare i minuti che si sarebbero impiegati per arrivare a Voltri, ma un po'
evasivi, almeno in certe ore, nell'indicare che cosa stava accadendo dopo
Voltri. E qui si arriva al secondo livello di intervento, che riguarda la
gestione delle situazioni limite diventate ormai la quasi normalità, tra Savona
e Genova. È ormai assolutamente necessario prevedere, da parte degli
amministratori locali, dell'Autorità portuale e della stessa società
Autostrade, un vero e proprio piano di emergenza quando i varchi portuali per
qualche motivo (un giorno è il vento, un altro è lo sciopero, un altro ancora è
l'incidente in banchina) vengono chiusi. L'assessore regionale ai Trasporti,
Luigi Merlo, suggerisce oggi, sul Secolo XIX, una proposta che può offrire
qualche respiro. Forse può essere utile e importante che, in certi casi,
intervenga anche la Prefettura. Per esempio, nello smaltimento del flusso dei
Tir in arrivo, subito dopo la sospensione del lungo sciopero dei giorni scorsi,
la soluzione trovata dal prefetto di Genova, Giuseppe Romano, è stata
funzionale, evitando contraccolpi pesanti. Il fatto che a Genova e dintorni
manchino aree adeguate in cui convogliare e fermare Tir e container, in questi
frangenti, è evidente. Ma non può più essere, oggi, una giustificazione. Sono
anni che questa carenza è nota. Sono anni che si ripete che va studiata
un'alternativa, prima che sia troppo tardi, prima che i traffici aumentino,
prima che il numero dei container in arrivo e in partenza da Genova cresca.
Quel giorno, almeno per quanto riguarda la tenuta delle infrastrutture attuali,
è già arrivato da un pezzo. E ogni previsione di ulteriore crescita,
naturalmente auspicabile sotto il profilo economico, diventa profezia di
sventure autostradali ancora più infernali di quelle appena trascorse.
20/12/2007 Da anni si ripete che serve un'alternativa alla A10, tra Voltri e
Genova. Non averla definita, dopo l'inferno di questi giorni, è da
irresponsabili 20/12/2007 dalla prima pagina Il giornale ha probabilmente
esagerato ma ha scelto il terreno giusto sul quale stranieri e italiani
dovrebbero basare le loro valutazioni. Il liberismo tende a presentare la
navigazione nel mare tempestoso dello sviluppo come un problema individuale,
legato appunto agli spiriti animali di ciascuno. Poiché dall'orizzonte
culturale dominante sparisce la barca dello Stato, la traversata verso il
futuro dei sei o sette miliardi di uomini sfusi che popolano la terra dovrebbe
avvenire a nuoto. Sennonché una malattia specificatamente italiana è proprio la
prevalenza degli spiriti animali su quelli civili. Da noi questi ultimi sono
stati inghiottiti, masticati e digeriti dall'ingordigia individuale che, per
definizione, è refrattaria a quel sovrappiù di egoismo, a quella dilatazione
degli interessi individuali che guarda oltre il
boccone immediato e cerca di assicurarsi il pasto anche nel futuro tenendo
d'occhio gli interessi generali, vale a dire il bene
della nazione. Il giudizio del New York Times si può attenuare, trasferendolo
dai cimiteri alle cliniche, ma non deve essere ignorato. La malattia sulla
quale si continuano a emettere sospiri e sondaggi che quantificano
l'insicurezza degli italiani, la loro mancanza di prospettive per il futuro, il
ristagno del Pil, e la carestia della quarta e perfino della terza settimana
nei bilanci familiari, è riconducibile allo Stato, o meglio al suo progressivo
indebolimento. Ma la malattia fisica non risulterebbe mortale se non venisse
aggravata e resa incurabile da un disturbo culturale. È la terapia che
preoccupa. È la cura proposta praticamene da tutti gli esperti e
meravigliosamente espressa da Beppe Grillo, che fa paura. Se, di fronte a una
cirrosi, i medici a consulto pretendessero di eliminare le tossine prodotte dai
cirri di "grasso burocratico" nascosti nel tessuto epatico,
asportando appunto il fegato che li ospita, adotterebbero la terapia degli
innumerevoli politici, politologi, commentatori, giornalisti, investigatori di
caste che in Italia chiedono a gran voce l'eliminazione non già del morbo ma
dell'organo vitale che lo subisce. Purtroppo, però, senza fegato le
transaminasi tornano a posto, o meglio spariscono, ma sparisce anche la vita.
La quale si dissolve assieme all'organo gettato tra i rifiuti chirurgici.
Certo, senza Stato scompaiono le inefficienze burocratiche, la corruzione, le
ruberie, le tasse, ma anche l'esistenza della comunità. Quest'ultima è affidata
al bastimento politico nel quale, non più frenati dalle autorità istituzionali,
gli spiriti animali degli individui possono appropriarsi agevolmente di ciò che
resta nella cambusa, senza accorgersi però che il buco nello scafo si allarga,
che nessuno lo ripara, e che sott'acqua le riserve accumulate personalmente non
si potranno mangiare. Forse per un'estrema resipiscenza intellettuale le
terapie proposte non parlano di Stato da buttare, ma di statalismi da
eliminare. Penso che in gran parte si tratti di paraventi linguistici con i
quali si cerca di coprire l'assurdità del paradigma che sonnecchia sotto il
pensiero unico, vale a dire sotto le illusioni ideologiche del radicalismo
liberista. Il mondo attuale è sballottato da ondate di anarchismo totalitario
(Grillo), che vengono dal basso, e ventate di totalitarismo anarchico che
invece soffiano dall'alto (la finanza internazionale). Le prime sono
caratterizzate da un'accentuata tolleranza per tutte le possibili intolleranze
che si avvicendano nelle società e soprattutto nell'informazione. Le seconde
esercitano direttamente la loro ferrea intolleranza nei confronti di ogni
ostacolo che incontrano sul loro cammino. Se il problema italiano è salvare la
democrazia con la sua razionale mobilità sociale e culturale, è forse bene
sapere che: 1) Lo Stato è tuttora l'unico contenitore conosciuto della
democrazia. Si può farlo grande o piccolo, continentale o regionale (escludendo
però le turpitudini della Lega padana), ma non se ne può fare a meno. 2) Assai
più che una cultura liberale (il liberalismo ha i suoi fondamentalismi e le sue
intolleranze), la cosiddetta "tolleranza" del
costume di un popolo deriva dalla consapevolezza che i conflitti umani
oppongono spesso non una ragione e un torto, ma due mezze ragioni. Proprio per
questo, altrove anche le ferite più sanguinose prima o poi si rimarginano, lasciando
la cicatrice. Mentre qui, dopo decenni, stentano a chiudersi persino i graffi.
3) La causa di questa renitenza alla riconciliazione tra particolare e
generale, tra guelfi e ghibellini può essere cercata dappertutto meno che nella
durezza del carattere. È più culturale che politica, più legata a un deficit di
storia istituzionale (in Italia la nazione è vecchia ma lo Stato è giovinetto)
che alle esperienze recenti. 4) Infine non bisogna dimenticare l'importanza
della letteratura, che è forse la massima educatrice dei costumi di un popolo.
Noi abbiamo avuto una grande letteratura, ma non Miguel de Cervantes, non i
tragici inglesi, e neppure le folgori psicologiche di Michel de Montaigne e
François de La Rochefoucauld. Per restare ai due estremi del nostro patrimonio,
Dante, grande psicologo, presenta tuttavia solo individui appesi ai fili
trascendenti di Dio o del Diavolo, soggetti umani non ancora affidati a se
stessi, come da qualche secolo siamo invece noi; e Alessandro Manzoni
miniaturizza gli abissi delle perversioni, della viltà o della grandezza
d'animo, riducendoli alle dimensioni di un confessionale, per quanto raffinato
e inquieto. Forse è per questo che mentre in Francia il moralista è Molière, da
noi è Tartufo. O meglio, per semplificare: è una media ponderata tra il
cardinale Camillo Ruini e Paolo Flores D'Arcais. Saverio Vertone 20/12/2007.
( da "Unita, L'" del
20-12-2007)
Stai consultando l'edizione del Pd, dopo quella sulla
laicità scoppia la grana-massoneria In Commissione Codice etico il nodo sulla
"compatibilità" tra iscrizione al partito e alle logge di Simone
Collini / Roma Anche nel Partito democratico c'è "da fare". In
particolare, i turbamenti del giovane Pd che vanno risolti si chiamano laicità
e modello organizzativo. Ci sarebbe da sciogliere anche il nodo della
collocazione internazionale, su cui ieri Francesco Rutelli da Bruxelles è
tornato auspicando "un nuovo processo per non rinchiudersi nelle
appartenenze per quanto gloriose del ventesimo secolo". E poi sarebbe da
chiarire se un "aderente" al Pd possa o meno far parte di logge
massoniche, visto che la commissione per il Codice etico si è dimostrata sede
di discussione non meno accesa di quelle che si stanno occupando dello Statuto
del partito e del Manifesto dei valori: la bozza presentata dalla relatrice
Marcella Lucidi prevedeva l'incompatibilità così come per tutte le
"associazioni segrete" o "vietate per legge", ma l'ex
segretario liberale Valerio Zanone ha protestato, sostenendo che le logge
massoniche non sono segrete, visto che le liste degli iscritti sono depositati
nelle prefetture, e che i principi illuministici della massoneria non sono in
contrasto con quelli del Pd. C'è stato un ampio dibattito, c'è stata anche
qualche gaffe, come quando Vincenzo Vita ha detto che sarebbe bene non far
parte contemporaneamente del Pd e dell'Opus dei rendendosi conto soltanto dopo
un po' del perché più d'uno in sala iniziasse a dare di gomito al vicino e
bisbigliare (il nome della Binetti). Alla fine si è convenuto sull'obbligo, al
momento dell'iscrizione al partito, di comunicare se si è iscritti ad altre
associazione per evitare lobbismi occulti e conflitti di
interesse, e di riformulare la parte della bozza relativa alle logge
massoniche. Ma è niente in confronto alla discussione in corso nelle altre due
commissioni del Pd. In quella incaricata di redigere lo Statuto il lavoro è
alle battute finali e sebbene ci sia stato un avvicinamento tra le diverse
posizioni non tutti i nodi sono stati sciolti. Il presidente Salvatore
Vassallo ha in principio presentato una bozza in cui non comparivano
riferimenti al congresso, poi su pressione del fronte ds-popolari-lettiani ne
ha presentata un'altra in cui si parlava di una "convenzione", senza
però riferimenti temporali, e di un segretario e un'assemblea nazionale che
rimangono in carica tre anni e mezzo, e poi dopo un'ulteriore discussione ne ha
depositata un'altra in cui si dice che entrambe le scadenze sono ridotte a due
anni (e quindi la "convenzione" potrebbe tenersi nell'ottobre 2009).
Non manca l'apprezzamento per le correzioni, ma gli ex diessini Maurizio
Migliavacca e Massimo Brutti, l'ex popolare Nicodemo Oliverio e il lettiano
Francesco Sanna hanno presentato diversi emendamenti nei quali viene chiesto di
chiudere in tempi più brevi la fase transitoria e di applicare più rapidamente
i principi di democrazia interna, a cominciare dal dotare il Pd di organismi
democraticamente eletti che sostituiscano quelli nominati in questa prima fase
da Veltroni. Dopodomani si riunisce la commissione e si sta lavorando per
evitare spaccature. La commissione per il Manifesto dei valori aveva aperto i
lavori in un clima tranquillo, ma il no alla fiducia della Binetti e il voto a
Roma sui registri delle unioni civili hanno acceso gli animi sul tema della
laicità, e aperto qualche frattura. La senatrice Magda Negri parla di
"contraddizioni crescenti del Pd" e chiede al partito di appoggiare
il referendum a favore dei registri comunali, mentre sul lato opposto il teodem
Luigi Bobba propone per le questioni eticamente sensibili di aprire dei
"cantieri di ricerca" e di prevedere delle maggioranze qualificate in
Parlamento. Quel che è certo, dice Vittoria Franco, è che nel Pd sui temi etici
"una riflessione non si può più rinviare".
( da "Unita, L'" del
20-12-2007)
Stai consultando l'edizione del La strage del lavoro che
per anni non è stata notizia Cara Unità, la città di Ceccano è in lutto. Una
contrada come quella di Colle Pirolo, dove intensi sono i legami familiari, è
ancora incredula per la scomparsa di Giovanni Del Brocco, di appena 22 anni,
avvenuta in un cantiere ad Albano. Dolore, lutto, incredulità: questi sono i
sentimenti che accomunano la comunità ceccanese. L'elenco dei caduti sul
lavoro,dunque, si allunga minacciosamente: dall'inizio dell'anno 1013. I
giornali parlano in modo molto diffuso dell'accaduto ma fra qualche giorno
quando i riflettori si spegneranno c'è il dovere di capire di più. Per
comprendere meglio tutto quello che è avvenuto in questi anni in Italia sul
tema del lavoro è utile tener conto di una ricerca fatta dall'Amministrazione
Provinciale di Roma sulle "morti bianche" e gli infortuni sul lavoro
nel Lazio durante il 2006 e come tutto ciò sia stato rappresentato dai media.
Da tale inchiesta risulta che nel periodo analizzato nella nostra Regione vi
sono stati circa 60.000 incidenti sul lavoro e 151 morti accertati
ufficialmente. L'attenzione della tv nazionale, purtroppo, è stata irrilevante
mentre quella del tg3 regionale ha coperto solamente il 20% dei casi luttuosi.
C'è stata una maggiore attenzione da parte della carta stampata ma pur sempre
inadeguata. Su 151 casi di morti i giornali che hanno fatto più articoli sono
stati l'Unità con 27, Liberazione 21, Corriere della Sera 19, Repubblica 17. Il
Sole 24 ore, ovvero il giornale di Luca Cordero di Montezemolo, 0. Zero. È
interessante rilevare che l'Osservatore Romano, giornale della Santa Sede, dopo
i due giornali della sinistra è quello che ha fatto più articoli, 20. Ma merita
riportare il pensiero dello stesso giornale che ha argomentato tali pezzi: le
morti e gli incidenti "non sono un prezzo obbligatorio da pagare alle
leggi dell'economia ma derivano da una concezione ottocentesca del lavoro,
nella quale i diritti sono intralci e l'impiego quasi un regalo". In tutti
questi anni morire per il lavoro non è stata mai una notizia ed anche quando
venivano riportate non venivano mai accompagnate da inchieste o strumenti di
approfondimento. Forse perché il lavoro si è ritenuto oramai declinante e
prossimo a sparire. Una previsione sbagliata in quanto gli operai in Italia,
anche se frantumati, non sindacalizzati, indifesi e non rappresentati
politicamente raggiungono la ragguardevole cifra di otto milioni. Oggi, più che
mai, interessarsi, intervenire e combattere contro la strage degli innocenti
non vuol dire inseguire o fronteggiare aspetti residuali, ma stare dentro
fenomeni decisivi, nevralgici, riguardanti il presente ed
il futuro della dignità umana e del conflitto di classe. Angelino Loffredi
Unioni civili / 1 E noi lanciamo un referendum sui Pacs Cara Unità, sono
sconcertato per ciò che è successo in comune a Roma sulle unioni civili: questo
non è uno Stato democratico, bensì uno stato Teocratico! Perchè a questo
punto l'Unità non si fà promotrice di una raccolta firme per un Referendum sui
Pacs che i nostri amati politici di sinistra hanno volutamente dimenticato nel
cassetto? Francesco Ferrabò Unioni civili / 2 Quell'"atto simbolico"
che è mancato Cara Unità, la vicenda della mancata istituzione del Registro
delle unioni civili a Roma, ma soprattutto le motivazioni che il Sindaco di
Roma (e segretario nazionale del Pd) e il presidente del gruppo consiliare del
Pd hanno dato alla stampa, e dunque ai cittadini, sono a mio giudizio del tutto
insoddisfacenti. Ci hanno detto, infatti, che l'istituzione del Registro
sarebbe stata inutile in quanto si tratta di un fatto puramente simbolico. Mi
dispiace molto a questo punto dover rilevare l'incoerenza di fondo tra questa
affermazione e le usuali pratiche della buona amministrazione di questa città,
del suo Sindaco e della maggioranza che la governano. Un'amministrazione
improntata spesso su molti atti simbolici che hanno avuto la capacità e la
forza, spesso, di sollecitare il legislatore nazionale ad adottare
provvedimenti importanti che colmassero vuoti legislativi che non consentivano,
non solo alla Capitale, di risolvere i problemi dei cittadini. Atti simbolici
che spesso hanno avuto anche il grande merito di stimolare l'inizio di
importati processi di rinnovamento culturale (di cui abbiamo un enorme bisogno)
nella popolazione tutta. Penso ai pasti multi-etnici nelle scuole. Penso
all'intitolazione di strade e vie a personaggi che per decenni hanno
rappresentato profonde divisioni tra sostenitori politici di opposte fazioni.
Penso a tutte le volte che si è illuminato il Colosseo perché è stata revocata
o sospesa un'esecuzione capitale in un qualsiasi paese del mondo. Penso alle
tante occasioni nelle quali il Comune di Roma si è costituito parte civile in
processi per reati che hanno leso l'immagine della nostra splendida città.
Tutti fatti simbolici. Voglio rivolgere dunque una domanda a tutti e in
particolare a chi ricopre importanti incarichi politici e istituzionali nel Pd:
davvero un partito che vuole essere riformatore e democratico intende
rinunciare a svolgere, anche attraverso alcune iniziative simboliche, quell'importante
funzione di guida alla crescita culturale, civile, sociale e democratica di un
paese? Edoardo Del Vecchio Consigliere Provinciale Roma Pd La mia Unità / 1 Il
patrimonio di un giornale sono i suoi lettori Cara Unità, desidero esprimere la
mia solidarietà ai giornalisti e a tutti quelli che vi lavorano. Posso
comprendere che una proprietà debba considerare gli aspetti economici di
un'impresa, ma tengo a ricordare che il primo patrimonio di un giornale sono i
suoi lettori e che esiste un patrimonio di valori che non può essere
sacrificato, impunemente, alle leggi del mercato. Ci troviamo oltretutto in un
periodo in cui la libertà d'informazione, e per ciò stesso la possibilità di
vita democratica, subisce attacchi e limitazioni pesanti. Sono quindi estremamente
preoccupata per quanto leggo sui possibili passaggi di proprietà. Ritengo
indispensabile la costituzione di un Comitato di garanti di alto profilo, ma la
garanzia migliore di un giornale sono i suoi lettori. Per parte mia preciso
che, ove non fosse rispettata l'autonomia, la collocazione storica e la tutela
dei lavoratori del giornale, intendo disdire il mio abbonamento. Nelle
legittime valutazioni economiche si tenga dunque ben presente anche il costo
derivante dall'abbandono di un percorso culturale così validamente intrapreso e
perseguito negli anni dai giornalisti de l'Unità. Maria Rosa Mura, Trento La
mia Unità / 2 Una voce laica e libera Cara Unità, che l'Unità continui a vivere
così com'è. Con le sue voci laiche e libere. Questo è il mio desiderio e perciò
mi associo all'appello di chi nel mondo politico si è schiarata al fianco della
redazione. Nerina Fabris Tonello, Padova.
( da "Repubblica, La" del
20-12-2007)
Pagina II - Palermo Da oggi il dibattito a Sala
d'Ercole. Finanziati due enti che fanno capo ad An INTERLANDI FORMICA Ars, la manovrina
in aula soldi pure ai circoli di partito Sì della commissione. Tagli a parchi e
riserve Aumentano le spese per viaggi e consulenze Critica l'opposizione
"Regalie agli amici" EMANUELE LAURIA L'ormai celebre
"manovrina" zavorrata da 150 emendamenti lascia la commissione
bilancio, teatro di un lungo conflitto, alle sei del mattino. Portando con sé,
in aula, l'ultima pioggia di contributi e spese per viaggi e consulenze. Nella
tornata finale prima dell'esame di Sala d'Ercole lo scontro diventa più propriamente
politico: perché fra le tabelle che accompagnano il disegno di legge di
variazione di bilancio, firmate dall'assessore Guido Lo Porto, ci sono i fondi
per le associazioni di partito. Come il circolo delle Libertà di Palermo - che
fa riferimento proprio a Lo Porto ed Enzo Fragalà, esponenti di An - finito in
un elenco di enti che comprende altre sei sigle e che in tutto è finanziato con
35 mila euro per quest'anno e 75 mila per i prossimi. O come l'Accademia
nazionale della politica di Bartolo Sammartino, altro rappresentante di
Alleanza Nazionale, che insieme al consorzio europeo servizi integrati
specializzati di Catania ottiene 5 mila euro subito e 100 mila nel prossimo
biennio. è caduta, invece, una norma che stanziava 55 mila euro per la Fondazione
Giuseppe e Marzio Tricoli. "Regalie ai soliti amici", tuona la
Sinistra democratica con Franco Cantafia. Maurizio Ballistreri, capogruppo di
Uniti per la Sicilia, parla di "un dumping politico, per cui attraverso le
amministrazioni pubbliche si finanziano le forze politiche, creando conflitti d'interesse e disparità". Fra i contributi
varati in extremis anche quelli per associazioni venatorie ("Caccia e
Ambiente Artemide" e "Caccia e Natura") voluti da Udc e An. Ma
nelle tabelle approvate nel corso dell'ultima maratona ci sono anche gli
aumenti alla spesa richiesti dagli assessorati. La somma più rilevante,
sette milioni e mezzo di euro, è quella destinata alle manifestazioni
turistiche direttamente promosse dalla Regione. Altri fondi per la formazione professionale:
2 milioni 100 mila euro per gli sportelli multifunzionali. Aumentano anche le
spese per i viaggi dell'assessore al Lavoro (40 mila euro) e al Territorio (15
mila euro). A disposizione del Territorio, anche 40 mila euro per la nomina di
consulenti. Con una nota indirizzata gli uffici del Bilancio, il commissario
dello Stato aveva chiesto conto e ragione dell'abrogazione del tetto alle
consulenze, una norma contenuta proprio nella "manovrina" approvata
ieri in commissione. C'è invece un taglio da 500 mila euro al capitolo per i
parchi e le riserve e di quasi 5 milioni e mezzo al capitolo dei collegamenti
con le isole minori. La sfida, nella nottata decisiva, si è accesa su un
maxi-emendamento del governo con 41 commi, che l'opposizione ha avversato. Alla
fine, sono rimaste in piedi solo poche norme, fra le quali quella che
istituisce il parco dei Monti Sicani (sponsorizzata dal deputato del Pd
Giovanni Panepinto) e quella a favore dell'ufficio del garante per i detenuti,
voluta dal forzista Salvo Fleres. Del pacchetto di disposizioni inviate al
vaglio di Sala d'Ercole fa parte anche la stabilizzazione dei precari delle
orchestre sinfoniche di Palermo e Messina. Sì anche alle norme-fotografia a
vantaggio di amministratori e dirigenti regionali coinvolti in indagini
giudiziarie. Una delle quali, firmata da oltre venti parlamentari di entrambi
gli schieramenti prevede che sindaci o presidenti di Provincia possano restare
in carica fino a condanna definitiva (per reati non gravi) anche se l'amministrazione
si è costituita parte civile nel procedimento penale. La maggioranza respinge
le polemiche. Il capogruppo dell'Udc Nino Dina dice che "quando le norme
di carattere particolare vengono proposte dal centrosinistra assurgono a
dispositivi fondamentali, altrimenti sono clientelari". E l'assessore Lo
Porto si rallegra: "Abbiamo trovato risposte a emergenze scottanti e
possiamo dire di aver salvato i Comuni dal dissesto, la forestazione dalla
crisi economica, i consorzi di bonifica boccheggianti per la mancanza di mezzi
e i consorzi fidi utilissimi allo sviluppo economico".
( da "Stampa, La" del
20-12-2007)
Sindacati Cgil, Cisl, Uil e Ugl rifiutano confronto con
il consigliere e croupier Barbaro E' saltato il confronto di ieri, in Comune,
tra i capigruppo consiliari e le delegazioni di Cgil, Cisl, Uil e Ugl sulla
situazione attuale del casinò. Perché nella parte politica era presente anche
un croupier, il consigliere Bruno Barbaro, ex della maggioranza (ora nel gruppo
misto). Così, i rappresentanti delle quattro sigle hanno
denunciato un "conflitto d'interesse, essendo Barbaro dipendente della
casa da gioco". E hanno abbandonato l'incontro, di fatto nemmeno iniziato,
creando un nuovo casus belli attorno al doppio ruolo del consigliere-croupier,
già oggetto di diversi ricorsi (ai quali i sindacati sono però estranei) per
una sua presunta incompatibilità. Tuttavia, sono stati sempre respinti
dai giudici. Barbaro è così rimasto al suo posto, senza rinunciare a
intervenire in modo anche fortemente critico sulla gestione della casa da
gioco. Ieri lo scontro con quel mondo sindacale da cui proviene, anche se la
sua esperienza specifica è maturata soprattutto su sponde opposte, quelle degli
autonomi dello Snalc. Che, guarda caso, sono in aperto contrasto con le altre
quattro organizzazioni di categoria. Barbaro si è dichiarato disponibile ad
abbandonare la riunione, pretendendo che il tutto fosse verbalizzato. A un
certo punto, però, sono state le delegazioni sindacali ad andarsene,
promettendo ("dopo aver valutato le eventuali casistiche") di
continuare nei prossimi giorni "le iniziative intraprese per permettere
che la gestione delle politiche collegate al casinò avvenga in modo finalmente
chiaro e trasparente".\.
( da "Giornale.it, Il" del
20-12-2007)
I gialli dell'Aremol: conflitti d'interessi e uno strano bando di Omar Sherif H. Rida - giovedì 20 dicembre
2007, 07:00 La seconda parte della vicenda si consuma durante l'ultima estate. Il
3 luglio l'assessorato regionale alla Mobilità - cioè l'organo che di fatto
esercita il potere di direttiva, vigilanza e controllo su Aremol (articolo 15
della legge istitutiva) - aggiudica la gara (830mila euro Iva esclusa
l'importo a base d'asta) per la "redazione di uno studio
tecnico-scientifico per la riorganizzazione, secondo principi di economicità ed
efficienza, della rete e dei servizi di trasporto pubblico locale su gomma
della Regione Lazio". La vincitrice del bando? La It Srl, la società dalla
quale Mallamo era uscito da appena cinque mesi. Il 1° luglio sarebbe diventato
direttore generale di Aremol. Il 3 luglio (semplice ma curiosa casualità) la
Regione comunica a It che è risultata prima classificata nella graduatoria
della gara. Da quel momento, come vedremo, il quadro si colora di giallo.
( da "Giornale.it, Il" del
20-12-2007)
Sarkozy in visita dal Papa: colloqui sull'Europa e il
Medio Oriente di Redazione - giovedì 20 dicembre 2007, 14:11 Città del Vaticano
- "Particolare attenzione" alla situazione internazionale,
"futuro dell'Europa" e "conflitti in Medio
oriente", "problemi sociali e politici di alcuni Paesi africani e il
dramma degli ostaggi" sono stati al centro dei colloqui del presidente
francese Nicolas Sarkozy con il Papa e il segretario di Stato Tarcisio Bertone.
Lo annuncia un comunicato della sala stampa vaticana che definisce
"cordiali" i colloqui e riferisce che sono stati anche "evocati
i buoni rapporti esistenti tra la Chiesa cattolica e la repubblica francese,
nonchè il ruolo delle religioni, in specie della Chiesa cattolica, nel mondo".
Il colloquio privato tra il Papa e il presidente francese è durato 25 minuti.
Al termine della visita Sarkozy ha fatto visita alla tomba di Giovanni Paolo
II. Dopo l'udienza con il Papa, conferma il comunicato, Sarkozy ha incontrato
il segretario di Stato Tarcisio Bertone e il "ministro degli Esteri"
vaticano Dominique Mamberti. "I colloqui - riferisce la nota - hanno
permesso di passare in rassegna alcuni temi di comune interesse riguardanti
l'attuale situazione del Paese, evocando i buoni rapporti esistenti tra la
Chiesa cattolica e la Repubblica francese, nonchè il ruolo delle religioni, in
specie della Chiesa cattolica, nel mondo". "Particolare attenzione -
prosegue il comunicato - è stata dedicata alla situazione internazionale, con
riferimento al futuro dell'Europa, ai conflitti in Medio oriente, i problemi
sociali e politici di alcuni Paesi africani e il dramma degli ostaggi".
"Al termine delle conversazioni", conclude il comunicato, c'è stato
lo scambio degli auguri di Natale.
( da "Liberazione" del
20-12-2007)
Contro la retorica che in questi giorni è rimbalzata dal
"New York Times" ai nostri giornali. Sotto accusa gli italiani perché
non stanno uniti e non hanno senso dello Stato. In realtà hanno così scritto le
pagine migliori della democrazia Massimo Ilardi L 'anno scorso l'editore
DeriveApprodi pubblicava un pamphlet dal titolo Possibilmente freddi.Quando
l'Italia esporta cultura (1964-1980). L'autore era Douglas Mortimer, uno
pseudonimo, che ricordava il mitico ex colonnello americano dei film di Sergio
Leone divenuto bounty killer, dietro il quale si riconosceva un gruppo di persone
che faceva lavoro di ricerca. La tesi che sosteneva era molto semplice ma dura
da digerire: è nella tradizione italiana dal Rinascimento in poi, scriveva
Mortimer, "far nascere sul terreno del conflitto
interno, dello scontro violento tra fazioni, il dinamismo creativo della sua
cultura. Dal cinema alla musica - seguitava l'autore - dall'architettura
all'arte, dalla pubblicità ai fumetti, dall'editoria alla fiction televisiva,
dal design alla moda, la cultura italiana degli anni Sessanta e Settanta sapeva
trasformare, riproporre e anticipare in maniera assolutamente originale
generi di consumo e modelli culturali di massa alternativi a quelli
angloamericani e per di più esportabili". Ma come, dirà qualcuno
inorridito, non erano quelli gli anni degli scioperi selvaggi, dell'autunno
caldo, delle brigate rosse, del movimento del '77, della violenza politica che
tutti i giorni trasformava le strade italiane in teatri di guerriglia urbana? E
non era anche un periodo di crisi economica dove inflazione e stagnazione
insieme provocavano una profonda recessione e una forte crescita della
disoccupazione? E' così. Ma non solo. Pessimismo, mancanza di futuro,
insicurezza, sfiducia nelle istituzioni, tutte queste tonalità emotive che si
scoprono oggi e attraverso le quali si cerca di spiegare il "declino"
degli italiani le ritroviamo per intero in quegli anni definiti "di
piombo": solo che queste tonalità hanno funzionato in maniera diversa, ma
soprattutto hanno spinto in una direzione diversa la nostra cultura fino al punto
di renderla capace di offrire al mondo modelli simbolici, mentalità, stili di
vita, emozioni, innovazioni culturali. E questo è avvenuto, sono d'accordo con
Mortimer, innanzitutto perché lo spirito di fazione ha preso il sopravvento e
ha allontanato l'infezione buonista e del "politicamente corretto", e
poi perché il conflitto ha raggiunto una intensità tale da politicizzare la
società e da rendere la politica l'unico filtro che ha messo in grado, per
l'ultima volta, la nostra cultura di leggere e raffigurare simbolicamente il
mutamento sociale. Nel nostro paese, non solo il cinema, ma anche la grande
stagione dell'architettura, negli anni Sessanta e Settanta, costituisce un
esempio eclatante di questo rispecchiamento tra cultura e società: in quel periodo
il progetto di architettura ha saputo rappresentare le contraddizioni in cui
era intessuto il reale, agire gli squilibri, corrispondervi quanto più era
possibile. Era pensiero di parte che agiva per una parte sociale. Da qui sono
nati quei progetti irripetibili che sono le case popolari della legge
"167". Gli Italiani, dunque, sembrano dare - dentro questa tradizione
dell'essere parte - il loro meglio. Se è così, allora i nostri sociologi,
giornalisti, filosofi, commentatori vari, stranieri o no, persino politici
dovrebbe interrompere questo continuo piagnisteo sulla nostra incapacità di
partecipare, di solidarizzare, di essere uniti. Tra l'altro, i politici, da
italiani veri quali sono, sanno rappresentare questo nostra
"incapacità" nel modo migliore nelle sedi istituzionali. Bisogna alla
fine capire che costringerci all'unità è come obbligare un inglese a prendere
alle cinque del pomeriggio un caffè ristretto invece che il tè. E' nel
costituirsi in fazione, in gruppi o in bande, è nell'agire come minoranza, è
nella mancanza di senso dello Stato, è nell'assenza di una cultura nazionale
che si ritrovano e reagiscono i nostri "spiriti animali" che
diventano forza materiale non quando rappresentano bisogni e aspirazioni
universali, ma quando gli stessi bisogni e aspirazioni si incarnano in
minoranze sociali. "Spiriti animali" la cui forza non si misura con
indici economici o forzature ideologiche ma attraverso la conoscenza, dice
Jacques Le Goff, di una storia lenta che è quella della vita materiale e quella
delle mentalità. Scrive Theodor Geiger che "la mentalità è una
disposizione spirituale, è formazione dell'uomo attraverso il suo ambiente
sociale e le esperienze che ne derivano. La mentalità, anche se collettiva, è
spirito soggettivo, l'ideologia è spirito oggettivo. La mentalità è
atteggiamento spirituale, l'ideologia invece è questo atteggiamento
cristallizzato oggettivamente. La mentalità è una struttura mentale,
l'ideologia è riflesso ed auto-interpretazione. La mentalità è
"anteriore", appartiene a un ordine primario, l'ideologia è
"posteriore" e fa parte di un ordine secondario di cose. La mentalità
è fluida, l'ideologia è ben strutturata. La mentalità è un orientamento vitale,
spontaneo, l'ideologia è conseguenza di una persuasione". Allora se ci fosse
(ma non so se c'è) una storia della mentalità degli italiani forse scopriremmo
che non sono certamente "onore" e "patria", come afferma lo
storico Lucien Febvre, i sentimenti che ci accomunano come per i francesi, ma
"libertà" e "fazione": la libertà che viaggia con noi come
individui e la fazione che è la ristretta dimensione territoriale a cui
vogliamo appartenere. Ci dicono, però, che proprio questo è il male che ci
affligge, che ci costringe al declino. Ma perché? Alla fine qualcuno ci dovrà
pur spiegare, al di fuori dei luoghi comuni della morale, perché l'unità sia
sempre meglio della frammentazione e la partecipazione sia sempre superiore
alla libertà di non partecipare! Né dal punto di vista della tattica militare
né da quella politica questo è sempre vero. E gli esempi da citare non
mancherebbero. Uno solo: quando è accaduto che l'unificazione di forze
politiche diverse ha prodotto qui da noi a livello elettorale un incremento dei
voti rispetto al periodo in cui le stesse forze politiche agivano separate
nell'arena politica? Mai. Certo se l'efficacia dell'unità la misuriamo
attraverso l'incremento annuale del Pil non possiamo che essere d'accordo nel
cercare di raggiungerla e di praticarla. L'ultimo sciopero dei camionisti ha
dimostrato, ad esempio, che in un mondo globalizzato non è più il tempo per
fare i "padroncini", come forse non è più il tempo, di fronte alla
concorrenza cinese, per fare le piccole imprese. Però quella che si è
globalizzata è l'economia, è il mercato e non la politica che per sopravvivere
ha bisogno di tutt'altro che dell'universalismo del mercato. Ha bisogno di
tornare sul territorio, di perimetrarlo, per riacquistare la sua centralità
sulla questione della governabilità dei rapporti sociali all'interno dei
singoli Stati. Ma un territorio è tutt'altro che un bene comune perché la sua
misura e la sua forma si rendono spazialmente visibili attraverso il conflitto,
la separazione tra differenze e la esclusione delle diversità. Dunque, al
contrario di quello che si pensa, la differenza italiana può tornare qui, prima
o poi, a giocare un ruolo politico di primo piano; può tornare ad essere quel
laboratorio di cultura politica che è sempre stata. Dipenderà ancora una volta
dall'intensità del conflitto che riuscirà a mettere in campo. Con buona pace
della nostra classe dirigente, questa sì in serio declino. 20/12/2007.
( da "Liberazione" del
20-12-2007)
Primo firmatario Claudio Bellotti Documento respinto Con
il voto sul protocollo sul Welfare è stata messa l'ultima parola al dibattito
sulla possibilità di introdurre riforme favorevoli ai lavoratori e alle classi
subalterne attraverso la nostra partecipazione al governo. La modalità con la
quale si è arrivati al voto di fiducia non solo riconferma i contenuti negativi
del protocollo ( innalzamento dell'età pensionabile attraverso gli scalini,
definitiva conferma della legge 30, ecc.), ma costituisce anche una sconfitta
diretta del nostro partito e della strategia scelta dalla maggioranza del
partito, che aveva teorizzato la possibilità di ottenere dei miglioramenti
attraverso il dibattito parlamentare. Questa strategia si è dimostrata
fallimentare. Si tratta solo dell'ultimo passaggio di una lunga serie,
cominciata con l'Afghanistan e proseguita poi con le leggi finanziarie,
l'aumento delle spese militari, i regali alle imprese, le campagne repressive e
xenofobe trascritte nel pacchetto "sicurezza", l'ossequi ai diktat
vaticani sui Dico, la negazione della commissione sul G8. Oggi, con un quadro
politico che si sposta ulteriormente a destra, con il Partito democratico che
avanza come un rullo compressore, con un vertice sindacale completamente
piegato alla logica della competitività e del "risanamento", con un
profondo distacco di massa fra i lavoratori, i giovani, i precari, gli
immigrati, gli sfruttati, e le forze della sinistra, è inimmaginabile che da
una "verifica" di governo possa emergere qualcosa di diverso da
quanto abbiamo visto fino ad oggi. La rottura con questo governo e col Partito
democratico è sempre più una necessità urgente, un passo indispensabile
affinché il nostro partito possa disporsi al lavoro di
ricostruzione del proprio radicamento nelle lotte e nei conflitti, con un
percorso di opposizione di fondo non solo al governo Prodi, ormai moribondo, ma
all'intero impianto del Partito democratico, che si pone come pietra angolare
delle future formule di governo in nome e per conto degli interessi del capitale, pienamente dispiegati nella ideologia e nella patrica
del Pd. Questa è la discriminante che dobbiamo assumere anche nei
rapporti a sinistra e nel dialogo con quelle forze che non sono confluite nel
Partito democratico. L'unità è utile e auspicabile se si produce nei conflitti,
su piattaforme chiare, anche parziali, ma che abbiano l'obiettivo della
mobilitazione. Viceversa, l'esperienza di questi mesi, dal 9 giugno al 20
ottobre alla vicenda del welfare, ha mostrato una unità di vertice,
completamente dominata da una logica istituzionalista ed elettoralista, ma una
divisione profonda ogni volta che si sono poste in modo stringente questioni di
classe e autentici percorsi di mobilitazione. La Dichiarazione d'intenti
scaturita dall'assemblea dell'8-9 dicembre riflette pienamente questa realtà.
Si tratta di un documento che rivendica apertamente l'internità al centro
sinistra, un documento dal quale è espunto qualsiasi riferimento di classe,
antagonista, ma anche solo antiliberista. La dichiarazione peraltro nasconde
con una serie di formulazioni evasive le differenze tutt'ora esistenti tra le
forze promotrici. A conferma della natura istituzionalista del progetto, queste
divisioni si manifestano nel modo più aspro non appena si apre il dibattito
sulla legge elettorale. Il Prc non può affrontare il dibattito sulla legge
elettorale con logiche strumentali, mettendo in gioco la difesa dei diritti
democratici nel tentativo di ottenere una legge elettorale che favorisca
l'occultamento dei problemi politici determinati dal fallimento delle linea di
Venezia. Tantomeno possiamo renderci disponibili a sostenere o favorire
l'avventura di possibili governi "istituzionali" in nome
dell'obiettivo delle legge elettorale. E' necessario invece, a partire dalla
rottura col Partito democratico, avviare una discussione di massa nel partito e
oltre su come affrontare la prossima fase. Al centro delle nostre priorità
devono esserci: Un dibattito di natura programmatica che sviluppi la necessaria
piattaforma sulla quale ricostruire l'intervento del partito. La logica della
trattativa interna al governo, che ha dettato le priorità di tutte le proposte
avanzate dal partito in questi anni, deve essere rovesciata e sostituita dalla
costruzione di un programma di rivendicazioni a vasto raggio, antagonistiche,
sul terreno del salario, dei diritti, della precarietà, dell'immigrazione,
dell'internazionalismo. Un intervento a tutto campo nei conflitti in corso, a
partire dalla vertenza dei metalmeccanici, che riguarda non solo il rinnovo
contrattuale più importante dell'industria, ma anche uno scontro decisivo dal
quale può dipendere l'intero dibattito sul cosiddetto "nuovo modello
contrattuale", ossia il tentativo di smantellamento del contratto
nazionale. Un serio lavoro di costruzione nei luoghi di lavoro, che si ponga
l'obiettivo a partire dal milione di No espressi nella consultazione sul
welfare, di costruire piattaforme, vertenze e forme di autorganizzazione dal
basso in opposizione alla campagna normalizzatrice che avanza nella Cgil. Una
mobilitazione di massa sulla guerra, per il ritiro immediato di tutte le
missioni militari a partire da quella in Afghanistan, dove la guerra si estende
ulteriormente e dove l'Italia si appresta a prendere il comando della missione
Isaf. Fare dispiegare appieno il dibattito congressuale, facendo del VII congresso
del Prc un'occasione centrale di svolta e rilancio del Prc come partito di
lotta e di opposizione. E' in questo grande lavoro che va investita la forza e
la voglia di partecipazione e di lotta espressa dalla manifestazione del 20
ottobre, dove si è espresso quanto di meglio questo partito e la sinistra
rappresentano nel nostro paese e nelle classi subalterne. 5 voti a favore
20/12/2007.
( da "Repubblica, La" del
21-12-2007)
Mastella: il Parlamento decida al più presto sulle
intercettazioni Prodi: accelerare la riforma tv Fini: pubblicazione indecente
ROMA - Agli uomini del Cavaliere che tornano ad evocare il Cile di Pinochet e
al centrodestra che per un giorno si ricompatta attorno all'ex premier, Palazzo
Chigi e la maggioranza rispondono rilanciando la legge di riforma della tv: va
approvata e in fretta. Ma suscita anche "indignazione" l'uscita sulla
Rai (in cui "si lavora solo se ti prostituisci o sei di sinistra").
La pubblicazione dell'intercettazione della telefonata tra Silvio Berlusconi e
Agostino Saccà ha finito col surriscaldare il clima politico, già teso per la
sequenza di voti di fiducia al Senato tra ieri e oggi. "Se la magistratura
deve indagare, lo faccia ma senza dimenticare le prerogative delle persone su
cui indaga e rispettando le garanzie costituzionali - sottolineano da Palazzo
Chigi - Questi casi confermano la necessità di accelerare il percorso della
riforma del sistema radio-televisivo". Nel fortino del Cavaliere stiamo
assistendo a un attacco politico. è il portavoce Paolo Bonaiuti a evocare, come
fatto giorni fa, il Cile di Pinochet, "perché in nessun altro paese civile
il leader dell'opposizione è stato esposto su internet per 7 minuti, senza che
vi sia alcun rilievo penale". In difesa di Berlusconi interviene anche
Gianfranco Fini, a dispetto del gelo delle ultime settimane, per sostenere che
"in questa vicenda si è superato il limite della decenza". Non è il
solo. Il leghista Maroni chiede "l'intervento del presidente della
Repubblica per dirci se viviamo ancora in un paese civile". Ma se il
centrista filoberlusconiano Carlo Giovanardi ritiene che il Parlamento sia
stato "umiliato", perché la Camera avrebbe dovuto autorizzare le
intercettazioni, il resto dell'Udc, per bocca di Maurizio Ronconi, preferisce
intervenire per difendere la Rai: "Non è una specie di Sodoma e Gomorra in
cui chi non è di sinistra è comunque un poco di buono". Sul fronte del
centrosinistra il Guardasigilli Mastella accende i riflettori sull'aspetto
della privacy violata, per ricordare che "la riservatezza è un diritto
costituzionale da garantire a tutti, senza eccezioni". Sollecita l'approvazione
in Parlamento del ddl a sua firma sulle intercettazioni che sono
"strumento di investigazione ma anche a rischio strumentalizzazione".
Per il resto, il capogruppo del Pd al Senato Anna Finocchiaro bolla come
"non commentabili" le parole di Berlusconi. Prostituirsi e essere di
sinistra, fa notare, "evidentemente per lui sono due comportamenti
assimilabili, per me no". Marco Follini, che del Pd è responsabile
Informazione, fa quadrato attorno alla "Rai, che non è né un fortilizio di
sinistra né una casa di facili costumi. Merita rispetto e libertà: le
telefonate di Berlusconi radono al suolo l'una e l'altra". Ma è il conflitto d'interessi il vero
nodo della questione, sostengono tanti a sinistra. Il quadro che emerge, ad
ogni modo, denota "squallore", secondo Manuela Palermi del Pdci, a
Giovanni Russo Spena del Prc provoca una "sensazione deprimente". (c.l.).
( da "Repubblica, La" del
21-12-2007)
Nella trincea di viale Mazzini "Noi, lottizzati ma
professionisti" Del Noce: la cosa non mi tocca. Minoli: è tutto da
rifondare Vespa: "Battuto il record della violazione delle garanzie e della
dignità" "Saccà era il depositario di un potere troppo grande. Il cda
se ne accorge ora?" CONCITA DE GREGORIO E per esempio uno come Fabrizio
Del Noce, da sei anni direttore di RaiUno, si riconosce più nella categoria dei
comunisti o delle prostitute? "Io in questa vicenda non c'entro, ho già
sentito i miei avvocati". Sì, ma non è questa la domanda. Berlusconi dice
che per lavorare in Rai bisogna essere di sinistra o prostituirsi. Lei a quale
ambito si sente più vicino? "Non mi riconosco in nessuna delle due
categorie". Quindi ce n'è una terza. "Ovvio. Quella di Berlusconi è
una frase iperbolica, la legittima reazione a un fatto inaudito". La terza
categoria sarebbe? "Guardi: io ho diretto RaiUno più di chiunque altro, ho
sempre navigato in tranquillità. Capita che qualcuno ti segnali una persona,
una fiction. E' normale. Ma senza eccessi. Certe cose vengono fatte a chi se le
lascia fare". Capita. E' normale. Magari insolito il linguaggio, ecco.
"Berlusconi ha fatto una battuta pesante volgarissima e inopportuna",
dice Veronica Maya conduttrice di Linea Verde, di recente fotografata proprio
in compagnia di Del Noce e unica temeraria che approfitta della scivolosa
occasione per cinque minuti di maggior notorietà. Il modo, insomma. La
protervia dell'uno e la duttilità dell'altro. "La volgarità", dice
Luigi Mattucci, 46 anni da dirigente Rai: "Non sono sconvolto né sorpreso.
E' una modalità di agire del potere che non è solo del centrodestra. Certo:
altri lo fanno in modo più dignitoso". Dunque è il tono che fa la
differenza: il piglio del feudatario che si rivolge al fattore dandogli del tu
perché gli porti quel che serve "a tirar su il morale del capo": una
giovane avvenente, una fiction per tener buono Bossi, i pomodori migliori, una
particina a un'attrice così facciamo contento un senatore di centrosinistra e
magari facciamo cadere il governo. Donne, in generale. Donne come pedine per
muovere la politica. Poi che Berlusconi dica "in Rai sono tutti comunisti
e prostitute" è una reazione "forse esagerata". "Non certo
una frase felice" ammette persino Bruno Vespa che, come del Noce, fatica
ad iscriversi ad uno dei due circoli. "Abbiamo battuto il record della
violazione delle garanzie e della dignità delle persone". Ecco: è stato
offeso, ha reagito. Eppure c'è molto di più che una semplice questione stile in
questa vicenda esemplare. C'è che il modo in cui la politica ha fatto carne di
porco della Rai è arrivato a uno stadio terminale. L'azienda si difende con un
comunicato anonimo e generico in cui "ribadisce la fiducia nei propri
dipendenti", reazione legittima e pateticamente debole. Gli organismi
sindacali delle redazioni e delle reti si riuniscono d'urgenza: assemblea
subito, indignazione generale ma c'è poco da riunirsi, dice Mattucci, "il
corpo dell'azienda pubblica è stato corrotto in modo irreversibile". Pier
Luigi Celli, ex capo del personale e poi direttore generale della Rai:
"Sono saltate tutte le regole del gioco, non c'è altro da fare che
azzerare tutto". Giovanni Minoli, direttore di Rai Educational: "E'
proprio inutile scandalizzarsi dei dettagli se non si affronta il nodo centrale
da cui tutto discende: il conflitto di interessi".
Privatizzare, commissariare, nominare un amministratore unico. Fare reset e
ricominciare come con un programma impazzito. E' questo che suggeriscono i
navigatori di lungo corso dei mari aziendali: molti di loro già fuori dalla
Rai, altri in posizione più defilata di quel che potrebbero. Sentiamo. Luigi
Mattucci è stato capo della segreteria del Cda Rai con quattro presidenti:
Manca, Siciliano, Demattè e Annunziata. Saccà è bravo nel suo lavoro, dice.
Solo che "era il depositario di un potere troppo grande. Il cda se ne
accorge adesso? Sbaglia Curzi a scandalizzarsi: che i posti alla Rai siano
lottizzati si sa. Negli ultimi trent'anni si è entrati solo così, da destra e
da sinistra. L'errore è dire che non ci sia professionalità dove c'è
lottizzazione. Si può essere bravi e lottizzati. Certo: il talento da solo
patisce parecchio. Il peggioramento è nella volgarità e nella facilità con cui
si mescolano affari privati e politici. L'avvento di Berlusconi ha portato un
imbarbarimento culturale. "Ti chiedo solo donne per il morale del
capo". Ecco, la telefonata è la dimostrazione esatta di cosa sia il
conflitto di interessi e Saccà il prototipo del
funzionario Rai in rapporto alla politica". Pier Luigi Celli, ex direttore
generale. "Le telefonate le puoi anche ricevere: è il modo in cui rispondi
che ti qualifica. Saccà il mestiere della tv lo sa fare ma si è piegato all'interesse
di parte. Chi non lo fa, in Rai, o non ha ruoli di responsabilità o se ne va.
Governi di destra e di sinistra hanno sempre avuto un uomo di fiducia del
presidente del Consiglio che teneva i contatti coi vertici Rai. Qui, di
diverso, c'è il senso di un assetto proprietario dell'azienda: è roba nostra,
facciamo saltare il governo. E il servizio pubblico? L'unica soluzione è
privatizzarla. Tenere una rete, darla a Minoli e privatizzare il resto".
Giovanni Minoli. "Io non sparo su Saccà, fino all'altro ieri erano tutti
amici suoi ora tutti contro: è un modo di fare che non mi piace. In Rai in 15
anni ho visto 12 direttori generali. Il miracolo è che quando schiacci il
telecomando compaia il telegiornale. E' un'azienda che ha perso 12 punti di
share in 10 anni. Bisogna rifondarla come tutti i servizi pubblici. La proposta
di Veltroni potrebbe essere operativa con un decreto di due righe: il direttore
generale ha potere di firma fino a tot milioni di euro e nomina le prime linee
aziendali. Così hai già fatto la rivoluzione: hai un capo che risponde agli
azionisti, al paese. Se non funziona lo cambi. Premi la qualità, le risorse di
cui l'azienda è piena. Cosa ha fatto il centrosinistra per il conflitto di interessi? E' un problema solo quando conviene. Tutto
discende da lì: o si risolve quel nodo oppure possiamo continuare a baloccarci
con le telefonate. Far finta di scandalizzarci. Solo chiacchiere".
( da "Repubblica, La" del
21-12-2007)
Commenti I SETTE MINUTI DEL PADRONE (SEGUE DALLA PRIMA
PAGINA) Ancora una volta un'intercettazione disvela per caso il vero volto del potere
in Italia. Ancora una volta gli intercettati, Berlusconi in testa, reagiscono
lamentando la violazione della privacy, senza mai entrare nel merito dei
contenuti. Devastanti. Andiamo alla scena. Protagonisti il presidente,
naturalmente Berlusconi, e Agostino Saccà, direttore della fiction Rai, l'uomo
più potente della prima azienda culturale italiana, in teoria il capo della
concorrenza a Mediaset. I rapporti sono chiari dal "pronto". Saccà dà
del "lei" a Berlusconi e lo chiama sempre "presidente". Berlusconi
risponde con il "tu" a Saccà, lo chiama "Agostino" e lo
tratta come i servi ai tempi di Swift. Nei sette irresistibili minuti di
conversazione, dai quali forse un giorno una Rai libera trarrà finalmente una
bella fiction, si mescolano generi teatrali, perlopiù comici, e argomenti. Si
parla di televisioni, attrici raccomandate e politica. Senza soluzione di
continuità perché sono la stessa cosa. "Agostino" declama
dall'ingresso in scena la sua natura di servo contento. Batte le mani al padrone,
che fa il ritroso, lo gratifica di "uomo più amato d'Italia"
("lei colma un vuoto nel Paese, anche emotivamente"), usa il
"noi" di parte per vantare la sua fedeltà. "Abbiamo mantenuto la
maggioranza nel consiglio d'amministrazione Rai". Quindi, sempre in posizione
genuflessa, il servo Agostino porta idealmente la bocca dalla scarpina rialzata
del signore all'orecchio per sussurrargli i nomi dei traditori. Non quello
"stronzo" di Urbani, come pensa il signore ma "i nostri
alleati", An e Lega, "che hanno spaccato la maggioranza per un piatto
di lenticchie". Lo implora di "richiamarli all'ordine". Il
Presidente prende nota e passa alle comande di giornata. Ha bisogno che vada
avanti la fiction sul Barbarossa ("Bossi mi fa una testa tanta...").
Il fido Agostino acconsente con entusiasmo, ma segnala che il regista Renzo
Martinelli ha creato problemi vantandosi troppo con la Padania. Il Martinelli è
uno di quegli intellettuali molto di sinistra con eccellenti rapporti a destra
e con Mediaset, eppure sempre liberi e alternativi e "contro",
checché ne dicano alcuni moralisti borghesi di merda. Nella sintesi di Saccà, a
tratti acuta, "un vero cretino". Comunque non c'è problema, assicura
il boss Rai. La fiction s'ha da fare "perché poi Barbarossa è Barbarossa,
Legnano è Legnano". Argomenti inoppugnabili. Senza contare
l'autocitazione. Saccà è infatti il geniale inventore dello slogan "perché
Sanremo è Sanremo". D'altra parte, insiste il servitore, il padrone è così
modesto, così liberale, gli chiede sempre tanto poco che è un piacere
contentarlo. "Per la verità, ogni tanto ti chiedo di donne", lo
corregge Berlusconi, introducendo la seconda comanda. Si tratta di piazzare la
solita Elena Russo e una certa Evelina Manna, per conto di un senatore della
maggioranza di centrosinistra col quale Berlusconi tratta la caduta di Prodi.
"Io la chiamo operazione libertà" chiarisce Berlusconi, che quando
non racconta barzellette, rivela un involontario ma formidabile sense of
humour. Esaudito il terzo desiderio, il genio Saccà, invece di rientrare nella
lampada, come nella tradizione, continua a profondersi in inchini e profferte
di servigi. Tanto che perfino Berlusconi si stufa e lo liquida.
L'intercettazione è allegata all'inchiesta per cui Berlusconi è indagato con
l'accusa di corruzione per la Rai e per il mercato dei voti, come ha rivelato
Giuseppe D'Avanzo su Repubblica. In Italia, per effetto del combinato disposto
di riforme di giustizia promosse da destra e da sinistra, si sa che i processi
a imputati eccellenti finiscono tutti in prescrizione. In assenza di una verità
processuale, le intercettazioni servono dunque nella pratica a farsi un'idea
del Paese: e l'ascolto, fornisce anche un'idea sulle persone. Il Paese degli
Agostini e dei Berlusconi è una nazione dove la politica non governa nulla,
tranne la televisione. Al singolare, perché la telefonata tra il leader della
destra e Saccà rivela come il sistema berlusconiano sia una vera
"struttura delta" che controlla l'universo Tv. Per necessità, il
padrone della televisione è diventato il padrone della politica. Usa l'una per
fare l'altra e viceversa. Ci sarebbe un sistema semplice per interrompere
questa perenne fonte di corruzione. Prendere un canestro, ficcarvi dentro in
bussolotti una ventina di leggi europee sui sistemi televisivi, quindi estrarne
a sorte una. Questo sistema, che rispecchia più o meno la logica seguita per
discutere la riforma elettorale, non è mai stato preso in considerazione. Per
quanto la riforma televisiva figurasse nei programmi del centrosinistra, prima
e seconda versione. I leader del centrosinistra, comunque si chiamino, alla
fine s'innamorano dell'idea di poter trattare con Berlusconi, portatore di un conflitto d'interessi così
gigantesco e pervasivo, accordi istituzionali "nell'interesse della
collettività". Ora, l'interesse di Berlusconi per la collettività è ben
illustrato dal suo dialogo con il boss della tv pubblica. Non si tratta di
demonizzare i patti fra destra e sinistra. Se per esempio la sinistra e
una parte di destra si trovassero finalmente ad approvare una decente e sempre
più urgente riforma della Rai e dei monopoli televisivi, saremmo in prima fila
a festeggiare il valore "bipartisan" dell'accordo. Ma allora si
rischierebbe davvero di voltar pagina, di cambiare una politica che così com'è
farà schifo ma garantisce a tutti un posto al sole, una fiction, una quota
raccomandati e fidanzati, il proprio Saccà pronto ad esaudire i desideri.
( da "Repubblica, La" del
21-12-2007)
Sport La novità La tv della Lega diventa realtà i club
decideranno cosa far vedere ROMA - Un sogno che si sta per avverare: la Lega
Calcio avrà la sua televisione. Stamani in consiglio dei ministri approderà
infatti il decreto legislativo sulla "disciplina della titolarità e della
commercializzazione dei diritti audiovisivi sportivi e relativa ripartizione
delle risorse". Il "dl" è stato sottoposto a parere parlamentare
e ha avuto il via libera: la novità, appunto, riguarda proprio la Lega Calcio.
Con l'articolo 13, il governo concede all'organizzatore dell'evento (la Lega,
appunto) il diritto di "realizzare prodotti audiovisivi e distribuirli
direttamente agli utenti, attraverso un proprio canale tematico o una propria
piattaforma". La Lega, dal 2010, potrà quindi fare concorrenza a Sky o
Mediaset Premium, e decidere magari di non cedere tutte le partite. Ma sorge un
problema, non da poco: ogni singolo club potrà decidere dove piazzare le
telecamere, cosa inquadrare e dove inquadrarlo. Il regista,
legato al club, può stabilire se fare vedere o no alcune immagini. Come fare,
ad esempio, con la prova tv? Potrebbero sorgere non pochi conflitti d'interesse.
Molti dubbi quindi da parte delle emittenti e di alcune società calcistiche di
primo piano.
( da "Unita, L'" del
21-12-2007)
Stai consultando l'edizione del FNSI "Dall'ex
premier frasi di sconfinata volgarità" ROMA "Stavolta l'on.
Berlusconi ha davvero passato il segno. La rabbia per la diffusione di notizie
che confermano le sue pesanti intromissioni nella gestione della Rai lo ha
portato a dichiarazioni di sconfinata volgarità nei confronti delle donne e
degli uomini che lavorano nel servizio pubblico": lo dice in una nota la
Federazione nazionale della stampa italiana. "Un comportamento così gretto
- continua la nota - non è tollerabile? in un leader politico, nel più
importante concorrente di viale Mazzini. Adesso ci sono soltanto due cose che
l'on. Berlusconi deve fare: vergognarsi e chiedere scusa. Queste dichiarazioni,
come i contenuti delle intercettazioni sulle vicende televisive, chiamano però
in causa anche il governo e il Parlamento: perché? la
risoluzione del conflitto di interessi si dimostra una volta di
più una vera urgenza, così come una legge che dia finalmente alla Rai
l'indispensabile autonomia. Una Rai in cui ci sia spazio per dirigenti di ogni
opinione politica, che sappiano mettere però al primo posto la difesa della
dignità aziendale e il rifiuto di ogni umiliante subalternità. La Fnsi -
è la conclusione del sindacato dei giornalisti - sarà al fianco dell' Usigrai e
di tutte le altre organizzazioni sindacali della Rai per ogni iniziativa che
riterranno di adottare a difesa dell'onorabilità stessa dei dipendenti".
( da "Unita, L'" del
21-12-2007)
Stai consultando l'edizione del MILIZIADE CAPRILIIl
vicepresidente del Senato, Prc: se ci mettiamo a vivacchiare allora è meglio
andare ognuno per la propria strada "Il governo ha deluso, ma la verifica
lo rilancerà" di Andrea Carugati / Roma "Il governo ha disatteso
moltissime delle aspettative di chi l'ha votato, e non solo tra gli elettori
della sinistra radicale. Ma io non dò per archiviata l'esperienza di questo
governo, anzi credo che la verifica di gennaio debba essere un'occasione per
rilanciarlo". Milziade Caprili, vicepresidente del Senato ed esponente di
Rifondazione, usa toni particolarmente cauti sul rapporto tra la nascente
sinistra arcobaleno e palazzo Chigi. Toni più vicini alla prudenza di Mussi e
Diliberto che ai leader del Prc. "Non è un mistero che nel nostro partito
ci siano posizioni diverse sull'esperienza del governo. Ma alla fine ha
prevalso chi la verifica vuole farla davvero, chi pensa che ci siano le
condizioni per andare avanti". Lei vede il bicchiere mezzo pieno? "Le
differenze tre questo governo e quello precedente ci sono e sono sostanziali.
Non è vero che non si è fatto niente. Ora ci vuole un salto che ci consenta una
"connessione sentimentale" con il nostro popolo, come diceva
Gramsci". Come la vede questa verifica? Non c'è il rischio che ne usciate
come da Caserta, con tanti buoni propositi e poi tutto ricomincia come prima?
"Non credo che ci sia la possibilità di vivacchiare: o ne usciamo con un
rilancio reale, oppure ognuno andrà per la sua strada". Come si misura
questo rilancio reale? "Dalle questioni del lavoro: che vuol dire salari,
precarietà e sicurezza. Questa è la vera cartina di tornasole. Ci sono altri
temi chiave, come i diritti civili, ma la cosa più importante è la
questione-lavoro: il fenomeno dell'impoverimento delle famiglie si sta
allargando anche al ceto medio. Bisogna concentrare gli sforzi, e anche le
risorse, su questo". Crede che la Sinistra si muoverà compatta nella
verifica? "È noto che ci sono posizioni diverse tra i quattro partiti e
anche all'interno di Rifondazione. E tuttavia anche oggi (ieri, ndr) in Senato
sulla Finanziaria abbiamo parlato con una sola voce: è un'abitudine ormai
consolidata. Non escludo che, alla fine, ci possano essere valutazioni diverse
sui risultati raggiunti nella verifica. Ma l'idea di una consultazione larga,
che vada oltre gli iscritti dei partiti, può aiutarci". Pdci e Verdi non
sembrano molto convinti di questo referendum... "La discussione è in
corso, io credo che una consultazione dal basso possa essere salutare. Noi
faremo una consultazione anche prima, per scegliere i temi della verifica, e
poi una successiva. Sarà un'operazione impegnativa, per questo abbiamo deciso
di rinviare il congresso". Secondo lei nel popolo della sinistra prevale
la voglia di salvare questo governo o viene considerato morente?
"L'affetto è certamente diminuito perché non sono
stati affrontati nodi come la legge 30 e il conflitto d'interessi, e tuttavia pesa ancora moltissimo la paura di un governo di
destra. I cinque anni di Berlusconi hanno inciso profondamente sulla
sensibilità della gente di sinistra". Cosa insegna la vicenda del decreto
sicurezza? "Non ho elementi per dire se quell'errore al Senato sia stato
studiato, diciamo che è figlio di un accordo pasticciato
dell'ultim'ora". E il nuovo decreto? "Prima vorrei leggere il testo.
Ma se c'è l'impegno del governo per avere tempi certi sul ddl stalking e
omofobia non vedo perché non debba passare anche in Senato. Però è
inaccettabile che il dissenso plateale della senatrice Binetti passi in secondo
piano, mentre quando le critiche arrivano da noi ci danno degli
estremisti".
( da "Giorno, Il
(Nazionale)" del 21-12-2007)
Pubblicato anche in: (Nazione, La (Nazionale)) (Resto del
Carlino, Il (Nazionale))
Di ANTONELLA COPPARI ? ROMA ? "DICO: al telefono si
hanno delle libertà e si usa un linguaggio che non si userebbe in pubblico. Il
telefono ha zone oniriche e se le telefonate finiscono sul giornale possono
esporre una persona al pubblico ludibrio". Ed è questo il punto: al di là
del risultato dell'inchiesta di Napoli sulla presunta corruzione di senatori,
ormai il Cavaliere si sente inchiodato alla gogna dalle intercettazioni che ?
depositate in procura ? sono finite sul sito dell'Espresso-La Repubblica. E
COSÌ Silvio Berlusconi che in condizioni normali non fatica a prendersela con
magistrati, comunisti e tv pubblica spara granate: "Lo sanno tutti nel
mondo dello spettacolo che in Rai si lavora solo se ti prostituisci o se sei di
sinistra. Non c'è nessuno che non sia stato raccomandato, a partire dal
direttore generale che non è stato certo scelto con una ricerca di
mercato". "Xe peso el tacòn del buso", dicono in Veneto: è
peggio la toppa del buco. "Pure lui ? osservano nell'Unione ? ne ha
sponsorizzati parecchi, a partire da Saccà". E proprio il colloquio con il
manager che ha fatto esplodere il caso Rai ora può essere ascoltato da tutti.
Sette minuti e spiccioli. Dai saluti iniziali del dirigente ("Lei è amato
nel paese, glielo dico senza piangeria") si passa al mantenimento della
maggioranza nel Cda, con riferimenti a Giuliano Urbani. "Fa lo
stronzo" dice il Cavaliere che promette di bacchettare An e Udc "che
per un piatto di lenticchie" hanno spaccato la maggioranza. Poi si arriva
alla fissa di Bossi per Barbarossa: "Mi fa una testa tanta con questa
cavolo di fiction", sospira Berlusconi. Lo preoccupa al punto da chiedere
a Saccà di "avvertire la loro soldatessa nel consiglio" che tutto è a
posto. La telefonata si conclude con due segnalazioni dell'ex premier: una per Elena
Russo. L'altra per Evelina Manna, che gli sta particolarmente a cuore
"perché ? spiega ? mi è stata chiesta da qualcuno con sui sto trattando
per avere la maggioranza al Senato". Brutta storia. "Una
porcheria", dice ai suoi di buon mattino il Cavaliere che s'appella al
garante per la privacy. Un "atto criminale". Politicamente, riapre la questione mai sopita del conflitto di interessi e della riforma Gentiloni. Gettando un'ombra nera sul confronto
con Veltroni, sia sul patto fra gentiluomini, cioè l'ipotesi di presentarsi da
soli ? Pd e Pdl ? alle elezioni. L'indignazione è tale da investire il
Quirinale: Berlusconi dice che vuole parlare di riforme con il Capo dello Stato
in occasione degli auguri di Natale, ma in quel colloquio non potrà non
entrare la questione giudiziaria, visti gli ultimi richiami di Napolitano.
L'IRRITAZIONE trabocca: ce n'è per tutti. Per Repubblica: "Mi si dice che
il sostituto procuratore di Napoli è il fratello del capo della redazione
napoletana di Repubblica", dichiara (circostanza smentita dal quotidiano).
Anche perchè, "sono intervenuto con Saccà solo per fare cancellare
un'ingiustizia: avevo saputo che una persona, per caso sorella di un
consigliere comunale di Forza Italia, era stata messa da parte per far posto a
una raccomandata". Sottolinea: "Non avrei mai immaginato che la Rai,
che si comporta da tv commerciale, potesse essere considerata un servizio
pubblico" e Saccà "un pubblico ufficiale". Lancia un appello
agli italiani che "hanno paura di essere spiati" quando alzano la
cornetta: alle elezioni "votate contro questo governo" che gode del
sostegno "di una certa magistratura" e viola i diritti fondamentali
dei cittadini. IN TARDA SERATA, prima di sedersi a tavola per una cena con i
senatori azzurri, torna all'attacco: "Cosa volete che dica l'azienda?
Quando leggerò il comunicato, replicherò. Se vogliono comincio a tirar fuori
gli elenchi...". E ancora: "Io poi ho solo segnalato un caso doloroso
di una persona discriminata che non poteva lavorare". Ribolle l'aria
politica ma Berlusconi mostra di non aver perso il buon umore. Anzi, scherza
sull'incidente in cui è incappato: "Tutti erano costernati per le ustioni
causate dalla borsa d'acqua calda, ma io ho detto: pensate se fosse uscita
verso il basso...". - -->.
( da "Giorno, Il
(Nazionale)" del 21-12-2007)
Pubblicato anche in: (Nazione, La (Nazionale)) (Resto del
Carlino, Il (Nazionale))
Berlusconi choc: "In La verità del Cavaliere sui
"raccomandati" di ANTONELLA COPPARI ? ROMA ? "DICO: al telefono
si hanno delle libertà e si usa un linguaggio che non si userebbe in pubblico.
Il telefono ha zone oniriche e se le telefonate finiscono sul giornale possono
esporre una persona al pubblico ludibrio". Ed è questo il punto: al di là
del risultato dell'inchiesta di Napoli sulla presunta corruzione di senatori,
ormai il Cavaliere si sente inchiodato alla gogna dalle intercettazioni che ?
depositate in procura ? sono finite sul sito dell'Espresso-La Repubblica. E
COSÌ Silvio Berlusconi che in condizioni normali non fatica a prendersela con
magistrati, comunisti e tv pubblica spara granate: "Lo sanno tutti nel mondo
dello spettacolo che in Rai si lavora solo se ti prostituisci o se sei di
sinistra. Non c'è nessuno che non sia stato raccomandato, a partire dal
direttore generale che non è stato certo scelto con una ricerca di
mercato". "Xe peso el tacòn del buso", dicono in Veneto: è
peggio la toppa del buco. "Pure lui ? osservano nell'Unione ? ne ha
sponsorizzati parecchi, a partire da Saccà". E proprio il colloquio con il
manager che ha fatto esplodere il caso Rai ora può essere ascoltato da tutti.
Sette minuti e spiccioli. Dai saluti iniziali del dirigente ("Lei è amato
nel paese, glielo dico senza piangeria") si passa al mantenimento della
maggioranza nel Cda, con riferimenti a Giuliano Urbani. "Fa lo
stronzo" dice il Cavaliere che promette di bacchettare An e Udc "che
per un piatto di lenticchie" hanno spaccato la maggioranza. Poi si arriva
alla fissa di Bossi per Barbarossa: "Mi fa una testa tanta con questa
cavolo di fiction", sospira Berlusconi. Lo preoccupa al punto da chiedere
a Saccà di "avvertire la loro soldatessa nel consiglio" che tutto è a
posto. La telefonata si conclude con due segnalazioni dell'ex premier: una per
Elena Russo. L'altra per Evelina Manna, che gli sta particolarmente a cuore
"perché ? spiega ? mi è stata chiesta da qualcuno con sui sto trattando
per avere la maggioranza al Senato". Brutta storia. "Una
porcheria", dice ai suoi di buon mattino il Cavaliere che s'appella al
garante per la privacy. Un "atto criminale". Politicamente, riapre la questione mai sopita del conflitto di interessi e della riforma Gentiloni. Gettando un'ombra nera sul confronto
con Veltroni, sia sul patto fra gentiluomini, cioè l'ipotesi di presentarsi da
soli ? Pd e Pdl ? alle elezioni. L'indignazione è tale da investire il
Quirinale: Berlusconi dice che vuole parlare di riforme con il Capo dello Stato
in occasione degli auguri di Natale, ma in quel colloquio non potrà non
entrare la questione giudiziaria, visti gli ultimi richiami di Napolitano.
L'IRRITAZIONE trabocca: ce n'è per tutti. Per Repubblica: "Mi si dice che
il sostituto procuratore di Napoli è il fratello del capo della redazione
napoletana di Repubblica", dichiara (circostanza smentita dal quotidiano).
Anche perchè, "sono intervenuto con Saccà solo per fare cancellare
un'ingiustizia: avevo saputo che una persona, per caso sorella di un
consigliere comunale di Forza Italia, era stata messa da parte per far posto a
una raccomandata". Sottolinea: "Non avrei mai immaginato che la Rai,
che si comporta da tv commerciale, potesse essere considerata un servizio pubblico"
e Saccà "un pubblico ufficiale". Lancia un appello agli italiani che
"hanno paura di essere spiati" quando alzano la cornetta: alle
elezioni "votate contro questo governo" che gode del sostegno
"di una certa magistratura" e viola i diritti fondamentali dei
cittadini. IN TARDA SERATA, prima di sedersi a tavola per una cena con i
senatori azzurri, torna all'attacco: "Cosa volete che dica l'azienda?
Quando leggerò il comunicato, replicherò. Se vogliono comincio a tirar fuori
gli elenchi...". E ancora: "Io poi ho solo segnalato un caso doloroso
di una persona discriminata che non poteva lavorare". Ribolle l'aria
politica ma Berlusconi mostra di non aver perso il buon umore. Anzi, scherza
sull'incidente in cui è incappato: "Tutti erano costernati per le ustioni
causate dalla borsa d'acqua calda, ma io ho detto: pensate se fosse uscita
verso il basso...". - -->.
( da "Stampa, La" del
21-12-2007)
SEDUTA CALDA.L'OPPOSIZIONE CRITICA UN INCARICO, IL
SINDACO RISPONDE Canelli: ancora veleni in Consiglio comunale "Camileri
non può occuparsi di Urbanistica" [FIRMA]GAIA FERRARIS CANELLI Un'altra seduta
fiume mercoledì sera in Consiglio comunale, iniziata con un minuto di silenzio,
su iniziativa del consigliere di minoranza Giancarlo Scarrone, per ricordare i
morti sul lavoro. Un pensiero rivolto non solo alle sei vittime della
Thyssenkrupp, ma anche a quanti perdono la vita per portare a casa uno
stipendio. Nonostante l'ordine del giorno fosse di soli quattro punti, la parte
più corposa della discussione è stata occupata da un fuori programma. Ad
accendere la discussione è stata una nuova richiesta di chiarimenti
sull'affidamento, all'assessore Giuseppe Camileri, di quello che, come ha
specificato il sindaco, "è un incarico e non una delega". E' stata
Mariella Sacco, capogruppo di minoranza, ad inaugurare un dibattito tutt'altro
che concluso. Ha ribadito il disaccordo totale sui metodi scelti per
individuare chi sarà a portare a termine la revisione del Piano regolatore.
Secondo l'opposizione il compito dovrebbe infatti essere affidato a una
commissione di professionisti esperti in Urbanistica insieme ai rappresentanti
di tutte le forze sociali ed economiche della città e non a un rappresentante
di giunta, l'assessore Camileri, che svolge la professione
di geometra, in "odore" di conflitto di interessi con
l'incarico avuto. "Ma, come abbiamo già detto, quello di Camileri sarà
solo un ruolo di coordinamento burocratico", ha replicato il primo
cittadino Piergiuseppe Dus, cercando di smorzare il tono polemico della seduta.
"Come testimonia anche la prima parte dei fondi di bilancio, 7 mila euro,
investiti per coinvolgere professionisti esterni, anche legati al mondo
universitario, che studieranno soprattutto soluzioni per il recupero delle aree
industriali dismesse" ha spiegato. Tutt'altro che "tiepido"
l'intervento di Giuseppe Camileri, che durante l'anno era già stato al centro
di critiche e accuse: "E' ora di finirla con la campagna diffamatoria
condotta nei miei confronti: sta prendendo una piega poco piacevole", ha
affermato, riferendosi alla lettera-esposto scritta dai professionisti canellesi
in questi giorni, in cui si chiedono verifiche sull'operato del Comune. Un
colpo basso che, secondo l'assessore, sarebbe pilotato da una minoranza mai
impegnata in proposte concrete. Poi, l'assemblea ha potuto iniziare la
discussione dell'ordine del giorno. E' stato approvato il regolamento comunale
per la raccolta ed il trattamento delle acque reflue urbane. Astensione della
minoranza, invece, sull'approvazione della convenzione con l'acquedotto
Valtiglione.
( da "Giornale.it, Il" del
21-12-2007)
Di Anna Maria Greco - venerdì 21 dicembre 2007, 07:00 da
Roma Tre bombe giornalistiche cariche d'intercettazioni in un mese. Tre bombe
che squassano il dialogo sulle riforme tra Walter Veltroni e Silvio Berlusconi.
E una sola firma: La Repubblica-L'Espresso. L'ultima è di ieri, con la
pubblicazione sui siti internet del quotidiano e del settimanale dell'audio
della telefonata tra il Cavaliere e il presidente di RaiFiction, Agostino
Saccà. La prima è del 21 novembre, quando sul quotidiano diretto da Ezio Mauro
escono le intercettazioni di colloqui tra la dirigente Rai, Deborah Bergamini e
dirigenti Mediaset. In mezzo la notizia, sempre su Repubblica, dell'inchiesta
di Napoli che coinvolge il leader di Fi per presunta corruzione di senatori del
centrosinistra. Si chiude con un nulla di fatto in questi giorni, quando ormai
il contraccolpo politico sul dialogo tra i due leader dei maggiori partiti di
maggioranza e opposizione, è già stato ottenuto. "Cui prodest?", si
chiederebbe a questo punto Medea nella tragedia di Seneca. Giova certo a chi
quel confronto non lo vuole, dai piccoli partiti a quella parte resistente del
Pd, soprattutto perché mette a rischio il futuro del governo-Prodi. Vediamo la
cronologia. La bomba numero 1 scoppia mentre si prepara il primo incontro
Veltroni-Berlusconi, che avverrà il 30 novembre. Il giorno precedente il
premier dice ad un giornale tedesco che il monopolio del
Cavaliere sul sistema tv è un pericolo per la democrazia e insiste sulla
necessità di regolare il conflitto d'interessi e di
fare una riforma delle comunicazioni. Il secondo scoop è del 12 dicembre,
quando i primi risultati del confronto sono già avvelenati dalle polemiche
sull'opportunità per il leader del Pd di trattare con un indagato.
"È stupefacente - dice il 20 Manuela Palermi del Pdci - che Veltroni
consideri questo personaggio (Berlusconi, ndr) un interlocutore". Dietro
le quinte, i veltroniani accusano il "partito di Repubblica" di
remare contro il dialogo. Il Csm non stigmatizza la fuga di notizie dalla
Procura di Napoli, ma dopo le critiche di Berlusconi all'"armata
rossa" delle toghe apre una pratica a tutela dei magistrati attaccati e
solo un generico fascicolo sulle regole per evitare violazioni del segreto
istruttorio. Il terzo atto dà il colpo finale, offrendo in pasto all'opinione
pubblica le voci di Berlusconi e Saccà, mentre già si parla di governo
istituzionale per fare riforme condivise e Giorgio Napolitano invita al
dialogo. Stavolta è l'Anm a glissare sulla fuga di notizie e a definire
"inaccettabile" l'attacco alle toghe. "Il fatto che Repubblica -
dice il veltroniano del Pd Peppino Caldarola al.
( da "Giornale.it, Il" del
21-12-2007)
Tar, stop alla gara vinta da Sirti per i servizi informatici
delle Fs di Laura Verlicchi - venerdì 21 dicembre 2007, 07:00 Sia l'una che l'altra hanno posto la stessa questione: il conflitto di interessi derivante dalla posizione di Almaviva, venditore e - in caso di
vittoria nella gara - acquirente di Tsf. Una situazione da verificare con
attenzione, sostengono tutti gli interroganti, perché potrebbe derivarne
l'incompatibilità con la partecipazione alla gara da parte di Almaviva.
E sulla vicenda è intervenuto anche il presidente dell'Adusbef, Elio Lannutti,
ricordando le denunce a suo tempo presentate dall'associazione di consumatori
alle Procure di Roma e Milano: "Incombono doverose le inchieste penali per
turbativa d'asta", ha concluso Lannutti.
( da "Manifesto, Il" del
21-12-2007)
Mariuccia Ciotta Il telefono "ha delle zone
oniriche", aveva detto Berlusconi per difendersi dalle intercettazioni
pubblicate su Repubblica. Adesso conosciamo i "sogni" del cavaliere e
del suo fido scudiero Agostino Saccà, responsabile della fiction Rai,
nell'impalbabile sostanza delle loro voci, intonazioni e intercalare compresi.
L'audio della telefonata, infatti, circola da ieri sul web, gettonata da una
moltitudine di utenti, e già hit di You Tube. Ecco il tono ossequioso di Saccà
che "senza nessuna piangeria" piange al telefono per il
"disturbo" arrecato al capo della tv concorrente, al quale chiede un
aiuto per "conservare la maggioranza" nel consiglio di amministrazione
della Rai. Berlusconi è brusco e si concede appena agli inchini di Saccà
("lei è il più amato nel paese... è stupendo... c'è un vuoto che lei copre
anche emotivamente"). Vuole arrivare al sodo: "È Urbani che fa lo
stronzo?". L'eloquio di Saccà si ingarbuglia alla perentorietà del capo
che non ha tempo da perdere con il "suo vecchio amico". Si stupirà
che sia considerato "un pubblico ufficiale", cosa che gli è valsa
un'accusa di corruzione. E lui che pensava di parlare con un suo dipendente,
uno a cui fare l'elenco della spesa spettacolar-politica e impartire certi
ordini di servizio da eseguire con un "digli testualmente che io t'ho
chiamato". L'audio della telefonata è umiliante, ma non solo per i due
interlocutori, lo è per chiunque ascolti, messo davanti all'evidenza materiale
delle voci, fuori dal testo freddo pubblicato dai giornali. L'umiliazione di
orecchiare la verità, di sapere per vie indecenti, attraverso il buco della
serratura, come si amministra la cosa pubblica. Dell'ingerenza pesante di
Berlusconi nella Rai, della relazione tra lui e Saccà, si sapeva da tempo. Il
cavaliere è abituato da sempre a intimidire, cancellare dal video o pagare i
collaborazionisti. Ma non c'era nessuno disposto a testimoniarlo. Ci voleva il
sonoro in diretta per cogliere la flagranza del reato. La Rai ridotta a cortile
di Mediaset. Non c'è scampo di fronte alla telefonata confidenziale, che al di
là del merito, dice l'intimità dei due, uno padrone l'altro servo, tanto che
Saccà interrompe le richieste di Berlusconi con un "lei è la persona più
civile, più corretta". Ma come? Non gli sta chiedendo di farsi complice
della corruzione di un senatore della repubblica? E si capisce l'ira di
Berlusconi che se prima aveva liquidato le intercettazioni con una alzata di spalla,
ora esplode e si scaglia contro la Rai dove lavora solo "chi si
prostituisce o chi è di sinistra". Agostino Saccà non è di sinistra. E,
trascinato dalla furia, il cavaliere spazza via anche il suo uomo, al quale ha
promesso sostegno per la sua "città della fiction", perché "in
Rai non c'è nessuno che non sia raccomandato". Che la tv di stato sia
spartita tra i partiti è anche vero, la lottizzazione è la degenerazione della
rappresentanza politica, ma per Berlusconi è tutto e solo compravendita, e infatti
il direttore generale "non è certo stato scelto attraverso una ricerca di
mercato". Il bersaglio è Cappon (anche se la sua reazione è stata debole)
che ha avviato una inchiesta interna dopo la pubblicazione delle
intercettazioni e che gli ha scompigliato i giochi in un cda ancora sotto
dominio berlusconiano. L'indignazione che sale adesso da viale Mazzini, covo di
prostituti e di comunisti, speriamo che non si ricomponga come sempre in
equilibrismi e opportunismi. E che dilaghi anche nei piani
alti del palazzo, là dove si sta trattando con il leader del conflitto di interessi, senza più nascondersi dietro il garantismo, e ci riferiamo al
Prc. È un audio scaricato da internet a garantirci che le regole non può
dettarle un fuorilegge.
( da "Manifesto, Il" del
21-12-2007)
La carica degli "indipendenti" sbarca a Roma Al
laboratorio occupato e autogestito Esc la seconda edizione del "Critical
Book&Wine". Piccoli editori e vignaioli contro il governo
monopolistico del mercato. Oggi incontro sulle crisi delle riviste indipendenti
Benedetto Vecchi Il Critical Book&Wine raddoppia. Dopo l'edizione milanese
al Leoncavallo dello scorso inverno, la rassegna degli editori e dei vignaioli
indipendenti si sposta a Roma. Da oggi fino a domenica, il laboratorio occupato
di Esc (Via dei Reti 15) diventerà il luogo dove piccoli editori e vignaioli
metteranno in mostra i loro prodotti vicini gli uni agli altri per sottolineare
che per produrre buoni "artefatti" ci vuole la passione di chi
persegue un obiettivo - la qualità - indipendentemente da quanto suggeriscono
le regole del mercato. Il Critical Book&Wine nasce come riflessione critica
sul funzionamento del mercato per quanto riguarda l'editoria e la produzione
vinicola. E se i "vignaioli" hanno nel tempo sviluppato un discorso
attorno al prezzo sorgente per tutelare la qualità del prodotto contro la
grande distribuzione che privilegia le grandi industrie vinicole, i piccoli
editori hanno cominciato, faticosamente, a confrontarsi sulla concentrazione
tanto nella produzione che nelle distribuzione che nella vendita della
produzione di libri. Così, in Italia come nel resto del mondo, accade che una
manciata di case editrici accentrino gran parte della produzione editoriale,
mentre la distribuzione si è andata organizzando secondo una logica da
"supermercato" che favorisce le grandi industrie editoriali. Questo
non significa che le piccole e indipendenti case editrici scompaiono, ma a loro
è "delegata" la funzione di "laboratori", che scovano
giovani autori, traducono scrittori e saggisti sconosciuti in Italia. E quando
quegli autori, scrittori e saggisti si impongono all'attenzione, le
"grandi" case editrici subentrano. In altri termini, i piccoli
editori costituiscono il "capitale di rischio" dell'industria
culturale, i cui frutti sono raccolti dai grandi editori. Allo stesso tempo, in
Italia come nel resto del mondo la regolamentazione sul copyright più che
rispondere a una tutela dei singoli autori è divenuto uno strumento del governo
del mercato editoriale. E non è un caso che comincia a farsi strada tra i
piccoli editori l'uso di licenze "alternative" - dai Creative Commons
al Copyleft - alle leggi dominanti sulla proprietà intellettuale. Già, perché i
piccoli editori che partecipano al Critical Book&Wine di Roma si
percepiscono e si presentano, a ragione, come laboratori che perseguono filoni
di ricerca culturali scelti in libertà senza che questo coincida con un rifiuto
pregiudiziale del "fare impresa". Ma la loro critica coinvolge semmai
la tendenza della distribuzione che concorre alla concentrazione oligopolistica
del mercato. Una critica che parte anche dal cambiamento del mercato
editoriale. Nei mesi scorsi, alcune inchieste hanno presentato i dati
sull'acquisto di libri che danno una fotografia con forti tonalità in bianco e
nero. Diminuiscono i lettori, mentre le vendite si polarizzano tra best seller
e libri destinati a segmenti qualificati Dunque laboratori di cultura
"critica" che hanno accolto con interesse la proposta di un altro
tipo di laboratorio, occupato e autogestito come Esc, che da alcuni anni sta
portando avanti un processo di elaborazione critico attorno all'università, che
sempre più si presenta come un supermercato del sapere. E non è dunque un caso
che la tre giorni romana sia scandita anche da alcuni incontri che affrontano
"trasversalmente" lo statuto dell'indipendenza - cioè dell'autonomia
- della produzione culturale. Oggi, tocca ai destini delle riviste, da sempre
laboratori culturali che hanno avuto la capacità di leggere la società secondo
griglie analitiche "eccentriche" rispetto alla cultura mainstream. La
domanda dell'incontro di oggi (coordinato da Lanfranco Caminiti, appuntamento
alle ore 18) investe la "forma rivista" chiamando
a discutere esperienze come "Accattone", "Conflitti
globali", "DeriveApprodi", "DWF", "Forme di
vita", "il verri", "Infoxoa", "L'Accalappiacani",
"Leggendaria", "Posse", "Zapruder" che oltre a
presentarsi come laboratori hanno scommesso sulla possibilità di agire come
"comunità politiche". Sabato è la volta. invece, di un
incontro, coordinato da Andrea Cortellessa, della "Bibliodiversità",
cioè le forme di resistenza delle piccole case editrici. Infine domenica è la
volta di cultural studies (con Anna Curcio, Miguel Mellino, Augusto Illuminati)
e del rapporto tra "Jazz e black power. La musica e i movimenti neri
americani" (con Mario Gamba, Pino Saulo, Luigi Onori).
( da "Manifesto, Il" del
21-12-2007)
"Redistribuzione o riconoscimento", il serrato
dialogo tra le teorica femminista Nancy Fracer e lo studioso tedesco Axel
Honneth edito da Meltemi. Temi attorno ai quali ruota la discussione sul
funzionamento delle attuali società capitaliste L'uso della categoria della
reificazione conduce il filosofo tedesco a qualificare i conflitti sociali come
"lotte per il riconoscimento" dove i diritti di cittadinanza sono
Stefano Petrucciani Il paradigma del riconoscimento, che Axel Honneth ha
sviluppato a partire dal suo testo fondamentale (Lotta per il riconoscimento,
del 1992, tradotto in Italia dal Saggiatore), è uno strumento utile per pensare
la dinamica dei conflitti nelle società capitalistiche? È a partire da questo
interrogativo di fondo che si può leggere il bel testo appena uscito per
Meltemi (Redistribuzione o riconoscimento? Una controversia
politico-filosofica, pp. 333, euro 24), confronto vivace e polemico tra lo
stesso Honneth e la teorica femminista Nancy Fraser, dovcente alla New School
for Social Research di New York e una delle voci più interessanti della teoria
critica radicale contemporanea. La lotta tra il servo e il padrone Questo libro
va letto insieme a un testo più breve (e più recente) che sempre Meltemi ha
pubblicato da qualche settimana, Reificazione, dove Honneth tenta di riattualizzare,
mutandola notevolmente di segno, questa tradizionale categoria del marxismo
critico, che era stata al centro del fondamentale testo di Lukács del 1923,
Storia e coscienza di classe. Per accostarsi al tema "riconoscimento e
conflitto", dobbiamo però tornare al modo in cui il tema del
riconoscimento è stato introdotto da Honneth nella discussione contemporanea,
alle scelte e alle ragioni di fondo che hanno motivato questa sua proposta
teorica. In buona sostanza, quando Honneth rilancia il tema del riconoscimento
(che stava al centro di uno dei passaggi centrali e più commentati di Hegel, la
lotta tra il signore e il servo nella Fenomenologia dello spirito) compie
un'operazione polemica su due fronti, prendendo cioè nettamente le distanze
tanto da Jürgen Habermas quanto da John Rawls. Rispetto a Habermas, e
all'impostazione più o meno kantiana della sua moralità discorsiva, Honneth
recupera il punto di vista hegeliano di una eticità concretamente radicata nel
sociale e differenziata nelle sfere che articolano i mondi vitali moderni
(famiglia, società e civile e Stato, che Honneth riattraversa e reinterpreta
nel libro Il dolore dell'indeterminato, manifestolibri 2003). La lotta per la
buona vita Rispetto a Rawls, l'opposizione di paradigma è altrettanto netta:
all'idea rawlsiana secondo cui la teoria politica normativa deve occuparsi di
ciò che è giusto (lasciando in secondo piano le questioni del bene o della
"vita buona"), e all'individualismo atomistico che resta sempre uno
dei tratti distintivi del liberalismo, Honneth contrappone un nuovo paradigma,
basato sul primato della relazione sociale, della intersoggettività, e non
timoroso di delineare un concetto, seppur generale e formale, di "vita
buona". Le coordinate del nuovo paradigma sono, nelle loro linee
essenziali, molto chiare. Proprio in quanto è intrinsecamente relazionale,
l'identità individuale presuppone il riconoscimento intersoggettivo: come
insegna tutta la psicologia più avvertita, l'acquisizione e il mantenimento di
una identità non vulnerata, cioè di un rapporto positivo con sé, dipende dal
fatto che l'individuo sia stato positivamente riconosciuto dagli altri che sono
significativi per lui (a cominciare ovviamente dalla madre), rapportandosi ai
quali si è formato e continua sempre a svilupparsi. Nelle società moderne (e
qui Honneth riscrive, appunto, la tripartizione hegeliana delle sfere sociali)
una riuscita formazione dell'individualità passa per tre sfere o dimensioni
fondamentali: quella delle relazioni affettive legate ai rapporti d'amore,
d'affetto o di amicizia, quella dell'eguaglianza tra persone giuridiche che si
riconoscono reciprocamente la loro dignità e i loro diritti, e quella della
cooperazione sociale e lavorativa, dove gli individui si riconoscono come
soggetti che partecipano a un'impresa comune, e il cui contributo è degno di
riconoscimento e di stima. Le giuste relazioni Prende così forma quella idea di
giustizia come riconoscimento che Honneth sviluppa e precisa nel suo dibattito
con Nancy Fraser. La giustizia nella società non ha principalmente a che fare -
diversamente da quanto credono Rawls e i suoi seguaci - con la distribuzione di
beni, e neppure, come pensa Habermas, con le procedure di una democrazia
deliberativa, ma concerne piuttosto l'assetto delle relazioni: il primo diritto
di ogni individuo (poiché il riconoscimento è condizione di base per la
formazione e lo sviluppo della personalità) è quello di essere incluso in
rapporti di interazione non deformati, simmetrici, dove egli non sia oggetto di
misconoscimento e disprezzo. Ora, poiché il riconoscimento è un rapporto di
reciprocità, nella teoria di Honneth si conservano non solo diversi temi
hegeliani ma anche un tipico tema marxiano: se l'individualità si costituisce
nelle relazioni di reciprocità, allora vale di nuovo la tesi marxiana per cui
il libero sviluppo degli altri individui è condizione del mio libero sviluppo.
Per dirla nel modo un po' complicato di Honneth, bisogna che i soggetti siano
consapevoli che "la loro autonomia dipende dall'autonomia dei loro partner
di interazione". E così arriviamo finalmente al conflitto, tema al quale
Honneth mirava già dal suo primo libro, Critica del potere (tradotto in
italiano da Dedalo). All'origine del conflitto sociale c'è l'esperienza
dell'ingiustizia che è vissuta da chi subisce le dinamiche di un riconoscimento
mancato, limitativo o inferiorizzante: il riconoscimento può essere del tutto
negato (come accadeva ai neri nell'America schiavista), oppure può essere
profondamente umiliante e inferiorizzante (come per millenni è toccato alle
donne), o ancora può essere limitante e costrittivo, cioè tale da costringerti
a negare una parte della tua personalità (come accade agli omosessuali nelle
società omofobe). Per Honneth, i conflitti che racchiudono un potenziale di "progresso
morale" sono appunto quelli che nascono dalle esperienze del
riconoscimento negato; e che vanno da un lato nella direzione di una maggiore
inclusione (come nel caso della conquista dei diritti da parte dei neri o delle
donne), dall'altro di una più ricca individualizzazione
(quando si tratta di conflitti che rivendicano, appunto, il riconoscimento di
aspetti stigmatizzati o socialmente rifiutati del proprio modo di essere). Il
dualismo indicibile del conflitto Ma proprio attorno alla questione del
conflitto si sviluppa la discussione tra Honneth e Fraser. Anche la
teorica americana riconosce il nesso tra conflitti e riconoscimento, ma lo
iscrive in un quadro limpidamente e convintamente dualistico. Uno sguardo
panoramico sui conflitti sociali di ieri e di oggi, sostiene, lascia emergere
due tipi di tensioni ben differenti: da un lato il conflitto distributivo
(paradigmatico quello tra capitalisti e lavoratori), dall'altro i conflitti per
il riconoscimento, cioè le tensioni che fanno riferimento a identità specifiche
e differenziate che reclamano di essere riconosciute; questo è il tipo di
conflitti che sembra più diffuso al presente, e paradigmatica può essere la
battaglia per il riconoscimento delle unioni civili tra persone omosessuali
(che peraltro secondo Fraser sarebbe solo un compromesso, perché resterebbe
sempre una discriminazione rispetto al matrimonio). Questa lettura dualistica
dei conflitti corrisponde peraltro, secondo Fraser, alla duplice struttura
delle gerarchie e del dominio nelle società capitalistiche moderne. Infatti,
come è stato sottolineato anche nei lavori di Immanuel Wallerstein, nelle
società capitalistiche le gerarchie di classe coesistono con quelle di status:
queste non sono affatto un residuo premoderno ma, al contrario, costituiscono
una dimensione essenziale anche nella articolazione delle forme di potere
moderne. Inoltre, precisa Fraser, ingiustizia economica (distributiva) e
mancato riconoscimento non sono due situazioni che si escludano reciprocamente.
Sono piuttosto due concetti idealtipici che, nelle forme di ineguaglianza
concretamente esistenti, tendono sempre a intrecciarsi. Basti pensare, spiega
Fraser, alla ineguaglianza di genere: "Il genere non è né semplicemente
una classe né semplicemente un gruppo di status; è una categoria ibrida
radicata contemporaneamente nella struttura economica e nella gerarchia di
status della società. Per comprendere e correggere l'ingiustizia di genere
bisogna, dunque, occuparsi sia di distribuzione sia di riconoscimento". Nelle
sue repliche a Fraser, invece (il libro contiene due interventi per ciascuno
degli autori), Honneth cerca di sostenere - adducendo una serie di argomenti
interessanti e comunque mai banali - che il paradigma del riconoscimento
(articolato nelle sue diverse dimensioni) è idoneo a render conto anche di
quelle situazioni, come per esempio le lotte salariali, che sembrano
inquadrarsi senza problemi dentro lo schema del conflitto distributivo. Una
stima di classe Si potrebbe dire che, paradossalmente, Honneth è d'accordo con
Marx nel sottostimare la questione distributiva. Solo che, mentre il filosofo
di Treviri riteneva che l'unica dimensione rilevante fosse quella della
produzione (di cui la distribuzione non era che un'appendice), per Honneth il
punto centrale è piuttosto leggere la società capitalistica come uno specifico
"sistema di riconoscimento istituzionalizzato": per dirla in modo
semplice e chiaro, i rapporti distributivi sono una conseguenza del modo in cui
i diversi gruppi e il loro contributo è socialmente valutato e stimato; prima
delle questioni di distribuzione, vengono quelle di categorizzazione. Per
esempio, uno dei problemi chiave dell'ineguaglianza di genere è che il lavoro
di cura delle donne non è riconosciuto come lavoro: la penalizzazione delle
donne affonda le sue radici in una categorizzazione socialmente imposta e
consolidata. Ma anche le lotte di classe più tradizionali, sostiene Honneth,
non si lasciano leggere secondo un paradigma distributivo. Rileggendo le
ricerche dello storico marxista E. P. Thompson sulla formazione della classe
operaia inglese, Honneth nota che da esse risulta chiaramente che la resistenza
e il conflitto operaio affondano le loro radici motivazionali più nella
protesta per la sottrazione di antichi diritti, per l'onore e la dignità
negati, che non nella semplice ingiustizia distributiva. Insomma, a suscitare
il sentimento dell'ingiustizia, e dunque il conflitto, è la gerachizzazione
sociale del rispetto e della stima, più che la secca privazione materiale. La
banalità dell'ideologia Fraser naturalmente ha buon gioco nel contro-obiettare
che Honneth sovrastima decisamente i fattori "ideologici", quando
considera ogni tipo di subordinazione come derivante da "gerarchie di
status radicate nella cultura". Ma non so se la migliore soluzione delle
questioni da lui poste sia tornare, come fa Fraser, al tradizionale dualismo di
cultura ed economia. Decifrare le grammatiche del conflitto è un obiettivo
complicato e ambizioso; e anche se Honneth e Fraser ci riescono solo in parte,
quello che il loro libro ci presenta è un buon modo di discutere la questione,
capace di sfuggire alla banalità e di consegnarci, in ogni caso, dei veri
stimoli intellettuali.
( da "Mattino, Il
(Nazionale)" del 21-12-2007)
La replica di Viale Mazzini: accuse inaccettabili Il
dialogo tra Berlusconi e Veltroni sulla legge elettorale, che irrita i partiti
piccoli dell'Unione, finisce ora nel mirino: "La vicenda tra il Cavaliere
e Saccà rivela quanto grande ed irrisolto sia il problema
del conflitto di interessi nel nostro Paese. Il Pd pensa davvero di fare accordi con questo
leader su materie che riguardano le regole della nostra democrazia?". La
domanda è di Pino Sgobio, capogruppo del Pdci. Replica con qualche imbarazzo
Anna Finocchiaro, a capo dei senatori democratici: "Evidentemente"
per i protagonisti della vicenda "sono comportamenti assimilabili,
per me no...", dice riferendosi alla telefonata intercettata e aggiunge
che sono parole "non commentabili" e comunque fa intendere che si
tratta, a suo avviso, di un'uscita poco adeguata "in un momento che dovrebbe
essere di dialogo, di tregua" tra gli schieramenti. Per Marco Follini
"la Rai non è né un fortilizio di sinistra né una casa di facili costumi.
È una grande azienda culturale che merita rispetto e libertà. È chiaro che le
telefonate di Berlusconi radono al suolo l'una e l'altra". La vicenda
Rai-Mediaset risuona anche nella commissione di Vigilanza Rai che approva a
maggioranza la risoluzione presentata dal capogruppo Pd, Fabrizio Morri. La
proposta passa con i voti favorevoli del centrosinistra (unico astenuto, il
senatore Pd Antonio Polito) e dell'Udc (c'era un sostanziale via libera anche
da An assente però in commissione), mentre Forza Italia, che aveva chiesto il
rinvio del voto e una riformulazione del testo, non partecipa alla votazione.
In sostanza, il documento invita la Vigilanza ad assumere tutte le iniziative
utili a restituire alla Rai credibilità e autonomia a tutela della missione di
servizio pubblico, sottolinea la preoccupazione per il quadro di compromissione
di Viale Mazzini emerso dalle intercettazioni e prende atto positivamente delle
iniziative avviate dai vertici Rai e dall'Autorità per le garanzie nelle
Comunicazioni, insistendo sulla necessità di un rapido accertamento dei fatti e
delle eventuali responsabilità. Il direttore generale dell'azienda, Claudio
Cappon, però si difende: "accuse indiscriminate" nei confronti della
Rai. Decisiva in Vigilanza è stata la mediazione del presidente, Mario Landolfi
(An) che ha spinto durante una breve pausa dei lavori ad apportare al testo
lievi modifiche: in particolare, la richiesta all'azienda di rendere noti alla
Vigilanza i dati del monitoraggio sul pluralismo per il 2004 e il 2005 è stata
estesa a tutto il
( da "Unita, L'" del
22-12-2007)
Stai consultando l'edizione del FABRIZIO
MORRICapogruppo del Pd in Vigilanza Rai "Riforma tv sì, ma non basta:
risolvere il conflitto d'interessi" di Roberto Brunelli / Roma La Rai, un postribolo
frequentato solo da gente di sinistra, secondo l'ormai celebre versione
berlusconiana. C'è chi, con una goccia di veleno, aggiunge che allora sono di
sinistra anche Del Noce, Marano, Vespa... "Beh, Berlusconi è stato
molto offensivo proprio nei confronti decine e decine professionisti che hanno
spiccate simpatie per lui. Quelli in Rai non mancano, al punto tale da
ritrovarsi intercettati in situazioni di totale asservimento". Battute a
parte, Fabrizio Morri, capogruppo Pd in Commissione di vigilanza, pensa che il
"caso Saccà" sia l'ultima prova dell'urgenza di una profonda riforma
della tv di Stato. Ma è separabile, Morri, la questione della riforma da quella
del conflitto d'interessi, di cui le intercettazioni
sono una fotografia piuttosto drammatica? "Certo che le due cose vanno
insieme. In un paese democatico e moderno un padrone di televisioni e titolare
di una concesisione dello Stato non dovrebbe essere messo nella condizione di
diventare capo del governo, perché chi fa tv maneggia una tastiera delicata in
relazione sia al consenso che qualità culturale di una democrazia. Detto
questo, di sicuro la cosa più urgente è la riforma dell'emittenza e della Rai:
io credo che tutte le forze politiche dovrebbero sentire l'urgenza di una
svolta. Invece sulla cosidetta "Gentiloni 2", al Senato non mi
risultano ritirati i ben 1250 emendanmenti ascrivibili a Forza Italia, e questo
la dice lunga sulle dinamiche del conflitto d'interesse. Vede, le altre forze
di centrodestra non sono certo tenere con la Gentiloni, ma non hanno questo
atteggiamento ostruzionistico. Un atteggiamento che io mi auguro possa essere
superato, perché la situazione ai vertici Rai ora è molto delicata... ".
Normalmente viene descritta come una palude... "Per la precisione una
semiparalisi, che con con il reintegro di Petroni, e cioé con un Cda a
maggioranza di centrodestra, rischia di rimanere tale. È un peccato, perché in
realtà qualche segnale di risveglio del servizio pubblico c'è stato... vedi il
caso Benigni, che dimostra come non necessariamente i grandi ascolti si fanno
solo con una qualità "discutibile"". C'è anche chi dice che quelli
di Benigni o di Celentano siano eventi unici che poi non incidono
sull'andamento generale dell'azienda... "È vero, ma detto così risulta un
po' ingeneroso. La Rai ha grandissime potenzialità, ma non le sfrutta. Dài e
dài, ci potrebbero essere tanti "eventi unici" di qualità, se si
rimette in moto la "macchina Rai", oggi così condizionata dalla
politica e anche dalla concorrenza. La sfida principale della Rai è quella di
ridefinire il ruolo della televisione generalista negli anni duemila".
Ossia, si tratta di ridisegnare da fondo la "mission" della tv di
Stato... "Esatto. Ma il tempo stringe. È necessario che la Rai torni a
essere lo strumento culturale dell'unità del paese. Per far questo deve
ripensarsi come ha fatto la Bbc, o come hanno fatto le tv pubbliche in Germania
e in Francia. È di fronte a questa urgenza che risulta avvilente non tanto
sentire il capo dell'opposizione nonché capo di Mediaset raccomandare delle
veline, ma sentire un altissimo dirigente Rai, uno che è stato pure direttore
generale e ora responsabile della fiction, chiedere al capo dell'opposizione di
intervenire presso il Cda per modificarne la maggioranza. È questo che è
inaccettabile, perché configura un'azienda a dispozione, perché ne ammazza la
credibilità. Qualunque idea si abbia delle intercettazioni, non si può
nascondere la testa sotto la sabbia. Tutte le forze politiche devono capire che
è giunto il momento di permettere alla Rai di essere un'azienda normale. Dove
chi ci lavora viene scelto sulla base del merito e della professionalità, non
perché amica - o nemica - di Berlusconi".
( da "Stampa, La" del
22-12-2007)
Oni. Clemente Mastella propone d'approvare un
provvedimento d'urgenza per "mettere un freno" alla loro
pubblicazione. Il suo disegno di legge dopo essere stato approvato
all'unanimità alla Camera lo scorso aprile, giace da mesi in Senato. Ma la
bufera seguita alla pubblicazione audio della telefonata tra Agostino Saccà e
Silvio Berlusconi, potrebbe aver riaperto i giochi. I tempi sono maturi per
"un decreto ad hoc che garantisca la libertà dei cittadini, dei magistrati
e della stampa", ha detto il ministro della Giustizia. No a
"provvedimendi d'impulso", ma è un tema di cui "si può
discutere", è la risposta di Palazzo Chigi. Mentre un netto via libera
all'ipotesi del decreto arriva dal numero due del Pd al Senato, Luigi Zanda:
"Non vedrei particolari ostacoli ad intervenire con un decreto
legge". Una mossa, quella del decreto, che servirebbe tra l'altro a
neutralizzare eventuali iniziative di protesta berlusconiane dal forte impatto
mediatico. Come, si vocifera, un discorso nell'Aula di Montecitorio sul tema
della giustizia e sulla "gogna" delle intercettazioni. Ma la
controffensiva del Cavaliere è già partita. I suoi avvocati si sono rivolti al
Garante della Privacy perché verifichi "la liceità" della diffusione
sul Web del contenuto delle telefonate intercettate. Ma non basta. Perché il
Garante ora vuole vederci chiaro e ha chiesto alla Procura di Napoli "se
le registrazioni audio delle telefonate diffuse figurino tra il materiale
depositato e messo a disposizione delle parti". In caso contrario
potrebbero esserci conseguenze legali. Anche Bertinotti si dimostra sensibile
al tema della diffusione incontrollata degli atti d'indagine. "Le
intercettazioni rese pubbliche sono una violazione dei diritti del cittadini e
delle persone, di chiunque essi siano", ha detto il presidente della
Camera. Più critico il ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni, che entra
nel merito del colloquio e attacca: "Viene fuori un
quadro che conferma le maggiori preoccupazioni sul conflitto di interessi". Gli esponenti del centrodestra invece fanno quadrato
intorno all'ex premier. "Queste intercettazioni sono uno squallore",
dice il leader dell'Udc, Pierferdinando Casini, che se la prende anche col Tgi
reo di averle in parte trasmesse. Sandro Bondi di Fi parla di
"clima di barbarie" e Maurizio Gasparri (An) chiede l'intervento del
Csm. Sul fronte Rai i vertici aziendali cercano di rimediare alla figuraccia
subita. "Prima di Natale, partirà una contestazione disciplinare nei
confronti di Saccà", fa sapere il direttore generale, Claudio Cappon. E il
presidente della Tv pubblica, Claudio Petruccioli prende nettamente le distanze
dal comportamento da Saccà: "Ho trovato l'etica, lo stile, l'atteggiamento
della telefonata di Saccà incompatibili con lo svolgimento della sua funzione
di direttore nel servizio pubblico".
( da "Stampa, La" del
22-12-2007)
Questa rubrica si occupa di programmi, riusciti oppure
no. Ma non può ignorare la nuova "bufera" Rai (quante ne ha subite,
di 'ste bufere, negli anni?). E non può ignorarla perché sui programmi incide.
Non tanto sulla loro realizzazione, quanto sulla già precaria fiducia nella tv
di Stato. Il pubblico è molto più sensibile, e si arrabbia molto di più, per le
cose che fa, o non fa, la Rai, rispetto a quelle che fa, o non fa, Mediaset.
Perché si paga il canone, perché il pubblico (ancora) non è privato, perché la
Rai era considerata una bandiera. Un po' come l'Alitala. Ma la cronaca ci
insegna che dalle bandiere ci dobbiamo affrancare, e non è detto sia un bene.
La telefonata tra Saccà e Berlusconi, così squadernata, mette in cattiva luce
ogni attività provenga dalla Rai. E' questo il vero disastro. La conseguenza
inevitabile della faccenda è che si diffida di tutti i programmi, di tutte le
persone. E' che non si crede più, definitvamente, nella tv servizio pubblico.
Ha ragione Minoli quando dice che basterebbe premiare la qualità, le risorse di
cui l'azienda è piena. "Che cosa ha fatto il centrosinistra per il
conflitto di interessi? E' un problema solo quando
conviene. Tutto discende da lì: o si risolve quel nodo oppure possiamo
continuare a baloccarci con le telefonate. Far finta di scandalizzarci. Solo
chiacchiere". Gli smaliziati dunque "fanno finta" di
scandalizzarci. E gli spettatori? Si scandalizzeranno davvero? Forse no, ormai
sono troppo scafati. E non faranno neanche finta. Andranno direttamente su
internet, o sui telefilm, gratis e a pagamento.
( da "Repubblica, La" del
22-12-2007)
"Decreto sulle intercettazioni" ma il governo frena
Mastella Berlusconi: è la gogna. Un uovo lo centra al comizio Bertinotti:
spiare vìola i diritti, però emerge un grave degrado del costume ALBERTO
CUSTODERO ROMA - Per il ministro della Giustizia Clemente Mastella è "il
momento giusto" per proporre un decreto legge ad hoc sulle intercettazioni
telefoniche per "evitare una cannibalizzazione fra politica e
magistratura". Il governo però frena, ed esclude "provvedimenti
decisi d'impulso", anche se riconosce la "necessità di tutelare nel
miglior modo possibile i diritti delle persone". "Un decreto al
momento non è all'esame - precisa Palazzo Chigi - ma se ne può discutere".
Il presidente della Camera Fausto Bertinotti si schiera contro "l'uso
politico" delle intercettazioni che considera "tutte cattive". Ma
ritiene quelli che emergono dalle telefonate "elementi indicativi del
degrado del Paese". Silvio Berlusconi ieri è stato contestato e insultato
da un gruppo dei centri sociali in un quartiere periferico di Roma dove era
andato per una manifestazione. L'ex presidente del Consiglio è stato colpito da
un uovo. Poco prima se l'era presa con chi "mette la gente alla
gogna" e aveva annunciato un suo intervento in Parlamento a tutela della
"libertà dei cittadini". Non si placano le polemiche politiche sulle
intercettazioni telefoniche dei colloqui fra l'ex premier e l'ex direttore di
Rai Fiction, Agostino Saccà, pubblicate da Repubblica.it e Espresso e mandate
in onda dal Tg1 e dalla trasmissione di Michele Santoro, Annozero. Secondo Pier
Ferdinando Casini, dell'Udc, le intercettazioni sono "uno squallore",
il loro uso, per Maurizio Gasparri, deputato di An, "una barbarie".
Mastella ha cercato di riportare il dibattito su "un terreno di
neutralità" proponendo di trasformare il disegno di legge, fermo in
Senato, in un decreto del governo. "Berlusconi - ha dichiarato il
guardasigilli - non può gioire quando i suoi giornali hanno pubblicato le mie
intercettazioni nell'indagine del pm di Catanzaro Luigi De Magistris e quelle
del ministro degli Esteri Massimo D'Alema e dell'ex segretario Ds Piero Fassino
nell'inchiesta Unipol. E poi arrabbiarsi quando tocca a lui: questo è
sbagliato. Ma va alzato un muro non a protezione della "casta"
parlamentare, ma a difesa dei diritti costituzionali che tutelano la privacy di
tutti i cittadini, non solo dei politici". Il tutto, secondo il titolare
della Giustizia, salvaguardando il diritto all'informazione e l'autonomia delle
indagini della magistratura. Berlusconi, al quale "non importa nulla del
contenuto delle sue telefonate con Saccà" (anzi, ne va "fiero: ho
solo dato una mano a qualcuno che cercava un lavoro"), si lamenta di
essere stato messo alla gogna: "su di me è stato gettato fango". E
denuncia un clima da Grande Fratello: "gli italiani - dice - non si
sentono più sicuri quando fanno una telefonata". L'ex premier non ha
voluto fornire altri dettagli sull'intervento che pronuncerà in Parlamento sul
problema della pubblicazione delle telefonate intercettate durante le indagini
giudiziarie, ma fonti parlamentari di Fi sottolineano come per il Cavaliere la
riforma della legge sulle intercettazioni sia una "faccenda
bipartisan". All'ex presidente del Consiglio replica il leader dell'Idv
Antonio Di Pietro, secondo il quale "la cosa grave è proprio il contenuto
delle intercettazioni, che dimostra come l'informazione
pubblica sia malata e di come la Rai risponda a interessi
personali". Sulla stessa linea di Di Pietro anche il ministro
dell'Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio. "Questa vicenda - ha dichiarato -
rende sempre più urgente una riforma seria della televisione e una legge sul
conflitto di interessi".
( da "Corriere della
Sera" del 22-12-2007)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Opinioni -
data: 2007-12-22 num: - pag: 42 autore: di VITTORIO GREVI categoria:
REDAZIONALE LE INTERCETTAZIONI E LA LEGGE Abuso quotidiano SEGUE DALLA PRIMA Da
un lato, sul piano sostanziale, si tratta di conversazioni che davvero sembrano
riconducibili a condotte di corruzione, o di istigazione alla corruzione, quali
risultano addebitate dalla procura di Napoli allo stesso Berlusconi.
Dall'altro, sul piano formale, si tratta di conversazioni pubblicate in violazione
di un preciso divieto della legge penale (violazione che si configura anche
come illecito disciplinare, e come tale dovrebbe essere segnalato dal pm agli
organi competenti). Cominciando da questo secondo profilo, l'episodio più grave
è emerso da un articolo apparso su Repubblica a metà della scorsa settimana,
nel quale si anticipavano - quando ancora erano coperte dal segreto
investigativo - notizie e indiscrezioni relative alle intercettazioni poste
alla base delle suddette indagini. Qui, in realtà, è assai probabile che, alle
spalle di questa pubblicazione arbitraria, vi sia stata una rivelazione di
segreto d'ufficio, forse proveniente dagli stessi ambienti giudiziari, sicché
appare più che doverosa l'inchiesta aperta, per tale delitto, dalla magistratura
partenopea. Il discorso è diverso, invece, per le conversazioni pubblicate
negli ultimi giorni, e divulgate anche in versione audio, trattandosi in questa
ipotesi dei risultati di intercettazioni già depositati a disposizione dei
difensori (con l'avviso di conclusione delle indagini), e sui quali, quindi, è
venuto meno il segreto investigativo. Anche in eventualità del genere permane,
infatti, il divieto di pubblicazione (dei soli "atti", tuttavia, non
anche del loro "contenuto"), la cui violazione è sanzionata come
illecito contravvenzionale; ma è chiaro che, in questi casi, il livello di
gravità del reato è assai inferiore, non essendovi stata violazione del
segreto. Nei medesimi casi può risultare più grave, per contro, il danno
d'immagine che ne deriva alle persone coinvolte, in seguito all'innegabile
interferenza nella loro sfera di riservatezza; senonché questo pregiudizio è
destinato a passare in secondo piano, quando si tratti di notizie (nonché di
intercettazioni) aventi rilevanza per il processo penale. Quando, invece, una
simile rilevanza non sussista, dovrebbe assolutamente escludersi che tali
intercettazioni possano venire pubblicate, e prima ancora che le relative
registrazioni vengano poste nella piena disponibilità delle parti. Così sarà, se
verranno approvate le norme previste sul punto, dal progetto Mastella. Tuttavia
lo stesso potrebbe verificarsi anche oggi (mentre così non è avvenuto a Napoli,
almeno per alcuni colloqui di Berlusconi, certo imbarazzanti, ma estranei al
tema delle indagini), se la magistratura seguisse sempre la specifica
procedura, che prescrive lo svolgimento di un'apposita udienza proprio per lo
stralcio delle intercettazioni irrilevanti, prima della loro acquisizione al
processo. Quanto al merito delle intercettazioni, a parte
gli evidenti riflessi riferibili al tema del conflitto di interessi, sembra chiaro che da alcune di esse (soprattutto da quelle tra
Saccà e Berlusconi) emergano elementi idonei a giustificare una richiesta di
rinvio a giudizio per il delitto di corruzione, essendo piuttosto evidente il
perfezionarsi tra i due interlocutori di un patto corruttivo. C'è da
dire, tuttavia, che nei confronti di Berlusconi, in quanto deputato, una
richiesta del genere (comportando l'"utilizzazione" delle suddette
intercettazioni occasionali) potrà effettuarsi soltanto dopo che l'autorità
giudiziaria di Napoli avrà ottenuto la prescritta autorizzazione dalla Camera.
( da "Corriere della
Sera" del 22-12-2007)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Spettacoli TV
- data: 2007-12-22 num: - pag: 61 categoria: REDAZIONALE A fil di rete di Aldo
Grasso Tutti quelli che... e la fiction Rai A gostino Saccà, the day after.
Quelli che Saccà io l'avevo sempre detto, ma non lo hanno mai detto, né
scritto. Quelli che fino a ieri Saccà era un dio e adesso è solo qualcosa di
ingombrante da dimenticare. Quelli che per anni hanno scritto libri dicendo ogni
bene della fiction prodotta da Saccà. Quelli che, a onor del vero, hanno sempre
difeso Saccà e continueranno a difenderlo. Quelli che in Rai si fa così e così
fan tutti. Quelli che, molto di sinistra e molto impegnati contro la tv,
tessono l'elogio di Saccà ai convegni sulla fiction. Quelli che nei loro talk
non mostreranno mai il plastico del settimo piano di Viale Mazzini perché si è
persa la dignità. Quelli che non metteranno mai in scena la telefonata fra
Berlusconi e Saccà perché sono più interessanti quelle di Moggi. Quelli che il
"Barbarossa", inteso come fiction, è già un capolavoro, a
prescindere. Quelli che il conflitto d'interessi. Quelli che c'erano e non hanno visto nulla. Quella che non
c'erano, perché sempre fuori ufficio. Quelli che non sparano su Saccà solo
perché è già un uomo morto. Quelli che trovano scandaloso e allucinante
l'utilizzo illegale di un'intercettazione riservata. Quelli che trovano
scandaloso e allucinate quello che si sente nelle intercettazioni. Quelli che
ieri Agostino e oggi Saccà. Quelli che pensano che fare la spia alla
concorrenza sia solo un tassello di un grande complotto per frenare il dialogo
fra Veltroni e Berlusconi. Quelli che una volta erano amiconi di Saccà e adesso
fanno sentire in trasmissione la telefonata con Berlusconi, con qualche bip di
pudore. Quelli che faccio il regista e non il politico. Quelli che non faccio
più il giornalista ma il politico. Quelli che gridano al regime perché
Berlusconi è stato intercettato. Quelli che gridano al regime perché Berlusconi
traffica con la Rai. Quelli che... Vincitori e vinti Tom Welling Il giovane
Superman batte la veggente detective. Nella guerra fra serie televisive ha la
meglio "Smallville", con protagonista Tom Welling, seguito da
2.012.000 spettatori, 8% share. Patricia Arquette La veggente battuta dal
giovane Superman. Non decolla invece un'altra serie televisiva,
"Medium", con protagonista Patricia Arquette, seguito su Raitre da
1.475.000, 6% share.
( da "Manifesto, Il" del
22-12-2007)
I "decreti di attuazione" della legge del
cinema regionale e la nuova finanziaria stanno annullando le speranze di
rilanciare il cinema nell'isola, restituendo il potere ai privati e ai
potentati. I registi insorgono Davide Zanza Cagliari Con recente delibera
regionale sono state pubblicate, dopo oltre un anno di attesa, le direttive di
attuazione della legge sul cinema. I registi sardi, però, uniti più che mai, le
hanno criticate: "i criteri approvati disattendono ogni aspettativa e
falsano lo spirito della legge, fino a rendere la stessa impraticabile e
inefficace rispetto alle finalità per cui è stata emanata: fare cinema in
Sardegna". I problemi sono molti e non si rivolgono solo alle norme di
attuazione, ma a un percorso legislativo travagliato, iniziato con la
bocciatura (dicembre 2005) del primo testo in consiglio regionale e con la
successiva approvazione l'anno dopo. Tra queste due date il dibattito si è
fatto sempre più aspro, soprattutto sul ruolo che la Film Commission avrebbe
dovuto avere all'interno della legge. In origine un organismo avente,
paradossalmente, scopo di lucro, affidato quindi ai privati (cinematografici)
che fino a quel momento avevano spadroneggiato in Sardegna. Ma la mattina del
11 settembre 2006, pochi minuti prima dell'approvazione, a impedirlo, un
emendamento lungimirante sembrò chiudere il discorso: "la Film Commission
è gestita da un organismo associativo senza fini di lucro cui partecipano la
Regione, come socio di maggioranza, gli enti locali e altri soggetti pubblici e
privati senza fini di lucro". Ma nell'attuale legge finanziaria regionale,
in fase di discussione, l'art. 4, comma 13, lettera a, indirizza il discorso su
un piano strategico ben preciso: affidare la Film Commission in mano ai
suddetti privati: "nel comma 2 dell'articolo 2 sono soppresse le parole
associativo senza fini di lucro, e come socio di maggioranza". Nel
silenzio generale è stato introdotto un dispositivo che se passasse creerebbe
in Italia la prima Film Commission con fini di lucro anziché essere
l'emanazione di una struttura che dovrebbe portare all'esterno e attrarre
all'interno, produzioni cinematografiche e audiovisive, aiutando a diffondere
l'immagine dell'isola nel resto del mondo. Ma ritorniamo a un altra anomalia
passata inosservata. Appena due mesi dopo l'approvazione della legge (inattiva
fino alla pubblicazione dei decreti di attuazione) la Regione, sulla base di un
bando pubblicato nei primi di settembre ha appaltato alcuni servizi di
competenza della Film Commission. L'appalto è stato vinto dalla società
ArteVideo scrl di Marco Benoni per un importo di 87.500 euro per un anno,
rinnovabili. L'importo era inizialmente di 108 mila euro. Il dato rilevante è
che si sono appaltati servizi a un un privato che, con
palese conflitto d'interessi, lavora proprio nel settore cinema/audiovisivo come casa di
produzione. Perché? Ritorniamo così all'appello dei registi sardi che non entra
solo nel merito delle direttive di attuazione ma fa riferimento anche alle
ultime modifiche apportate alla legge regionale nella scorsa finanziaria e che
ne ha profondamente intaccato l'impianto originario. Infatti nel testo
approvato nel settembre 2006, all'art. 26 comma 2 sulla "Norma
finanziaria" è scritto: "le risorse a favore della presente legge
sono destinate prioritariamente, per una quota non inferiore al 70% agli
interventi ai capi II e III", cioè alla produzione. Nella modifica del
marzo scorso viene cancellata la parola inferiore e sostituita con non
superiore. Mentre prima veniva garantita una soglia privilegiata alla
produzione (motore del sistema), ora chiunque può decidere che in un X anno
alla produzione vada, mettiamo, il 10% delle risorse. Gli autori chiedono che
la finanziaria ripristini la precedente formulazione e di eliminare il
farraginoso fondo di rotazione (meglio costruire un Film Fund) destinare le
somme alla coproduzione di opere d'interesse regionale. Le direttive
d'attuazione si riferiscono a: contributi dati alle sceneggiature, alla
produzione di corti di interesse regionale, ai lunghi; alla distribuzione per
la diffusione e il lancio delle opere prodotte; al sostegno di rassegne
circuiti, festival, premi, seminari e convegni; contributi all'università e gli
istituti pubblici e privati per l'incremento e l'innovazione della didattica
del cinema; borse di studio per l'alta formazione; studi e ricerche per
progetti di sperimentazione sui nuovi linguaggi audiovisivi. Secondo gli autori
i decreti attuano, rigidamente, meccanismi poco innovativi o inadatti alla
Sardegna. Si chiede di eliminare lo spoil system (fallito anche
nazionalemente); e il requisito anagrafico per almeno un potenziale
beneficiario del fondo di sviluppo sceneggiature riservato (nel testo della
legge) agli esordienti (e che le direttive di attuazione vogliono dai 16 ai 29
anni invece che interpretare quel passaggio della legge come riferito all'opera
prima e non all'età). Chiedono di temperare i vincoli relativi alla
costituzione delle società di produzione. E cancellare la richiesta, per
l'ammissibilità ai contributi, di aver realizzato almeno 1 lungo (anche se si
tratta di finanziare corti, ammazzando sul nascere identità produttive nuove)
distribuito nazionalmente. Si chiede inoltre di notificare urgentemente all'Ue
la legge, così da ottenerne ratifica e operatività.
( da "Messaggero, Il" del
22-12-2007)
Di FULVIO CAMMARANO TALVOLTA il titolo di un libro non
rende merito al suo contenuto. È sicuramente il caso di Quando Mussolini
rischiò di morire. La malattia del duce tra biografia e politica 1924-1926
scritto da Paolo Cacace per Fazi editore. Grazie anche a documenti inediti
provenienti dall'Archivio di Luigi Federzoni, l'autore confeziona con stile
vivace un bel saggio di storia a tutto tondo in cui le crisi provocate
dall'ulcera duodenale di Mussolini sembrano quasi una metafora di altre più
gravi crisi che attraversano il corpo politico e sociale del paese in quel
triennio. Probabilmente gli attacchi di ulcera, iniziati nel febbraio del 1925,
che sembrano mettere in pericolo la carriera se non la vita del duce mostrano
il lato fisico dell'impasse politica provocata dal delitto Matteotti. Non c'è
però dubbio che esiste una connessione tra la crisi del Paese e quella di
Mussolini. Il termine "crisi", non a caso, ha origine nel vocabolario
medico per indicare il punto di svolta di una malattia, il bivio tra morte e
guarigione, e solo successivamente verrà importato, inflazionandolo,
nell'ambito politico-sociale. Per tale ragione impressiona constatare come
questi anni, decisivi per le sorti del Paese, siano stati caratterizzati da una
serie di crisi: quella fisica relativa all'incolumità di Mussolini (attentati
compresi) e quella politica del sistema parlamentare. Sappiamo che l'evoluzione
in senso positivo della prima è stata accompagnata da una prognosi infausta per
la seconda. Cacace delinea efficacemente, grazie anche ad un attento utilizzo
di fonti d'archivio e bibliografiche, la tensione di una fase in cui l'impresa
mussoliniana non si è ancora consolidata e rischia di andare in frantumi. In
questo senso alcuni documenti e in particolare la corrispondenza tra Margherita
Sarfatti, amante del duce in quei primi anni di governo, e il ministro degli
Interni Luigi Federzoni, mostrano i dubbi, le ansie e la fragilità del nuovo
sistema che, come tutti i sistemi, si fonda anche sulle umane debolezze. Le trame del conflitto di potere che si sviluppano, "tra
malori e congiure" in particolare nel "duello" tra Farinacci e
Federzoni rendono appieno il senso di quello che diventerà il refrain del
regime, cioè il conflitto tra apparati dello stato e fascismo, tra nazionalisti
e squadristi, tra lealisti monarchici e mussoliniani, tra fascismo
moderato e "rassismo": un conflitto che Mussolini talvolta alimenterà
e che comunque riuscirà abilmente a governare in funzione della stabilizzazione
del sistema. Una ricostruzione dunque ricca e puntuale che attraverso
l'intreccio di vicende biografiche mostra i passaggi decisivi del
consolidamento, anche ideologico e culturale, del fascismo di Mussolini.
( da "Messaggero, Il" del
22-12-2007)
Di CLAUDIA TERRACINA ROMA Indignato e offeso dopo le intercettazioni
delle sue conversazioni con il direttore di Rai fiction, Agostino Saccà, nelle
quali raccomandava due attrici e si interessava di uno sceneggiato sul
Barbarossa, Silvio Berlusconi sale al Quirinale, accompagnato da Gianni Letta e
resta a colloquio con Napolitano per più di un'ora. Oggetto, il dialogo,
"mai così necessario, per fare fronte comune contro la criminale invasione
della privacy". Su questi argomenti, sui quali il leader forzista è
convinto che "si debba avere un atteggiamento bipartisan perchè tutti sono
stati intercettati, anche esponenti della maggioranza, e le loro conversazioni
sono state sbattute sui media", si è concentrato il colloquio con il Capo
dello Stato, che da sempre predica "un clima costruttivo tra i poli".
A Napolitano il Cavaliere ha ripetuto quanto anticipato ai senatori forzisti,
durante la cena di giovedì scorso. E cioè che, "dopo l'ennesima fuga di
notizie", è intenzionato a sollevare la questione dell'uso delle
intercettazioni in Parlamento con un discorso che pronuncerà lui stesso
nell'aula di Montecitorio "perchè questa vicenda è fondamentale per
garantire la libertà a tutti i cittadini, che non si sentono più sicuri quando
fanno una telefonata perchè c'è un clima da grande fratello". Da palazzo Chigi,
e quindi da Prodi, filtra la "contrarietà a provvedimenti d'impulso, anche
se il tema c'è e si può discutere di provvedimenti che garantiscano i diritti
delle persone, salvaguardando la libertà d'informazione e il rispetto del corso
delle indagini della magistratura, temi che, data la loro sensibilità- si
sottolinea- sono da valutare con estrema attenzione". Anche il presidente
della Camera, Fausto Bertinotti, denuncia "la violazione dei diritti del
cittadino e delle persone", sottolineando però "un degrado del costume
del Paese" che emerge da quella telefonata. "Non credo che si debbano
fare processi sommari, ma occorre fare chiarezza perchè
viene fuori un quadro che conferma le peggiori preoccupazioni sul conflitto di interessi e affiora un quadro collusivo tra dirigenti Rai e politici che
hanno un rapporto con la tv commerciale", dice il ministro delle
Comunicazioni, Paolo Gentiloni. E il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini,
definisce "uno squallore" la vicenda delle intercettazioni tra Berlusconi
e Saccà, ma precisa che "è un grande squallore anche che il
principale telegiornale italiano del servizio pubblico, il Tg1, le abbia
riportate integralmente, con nessun riguardo alle persone e alla loro
privacy". Reazioni che non tranquillizzano Berlusconi, che, in serata,
torna con veemenza sul ruolo di alcune procure nella fuga di notizie.
"Vedo una volontà di gogna e di gettare fango su chi parla al telefono-
denuncia- e credo che chi ha avuto la disgrazia di finire in un'aula di
giustizia per dire di no ai teoremi dei Pm deve essere un eroe".
( da "Messaggero, Il" del
22-12-2007)
"No ai processi sommari, ma si
confermano le peggiori preoccupazioni sul conflitto di interessi,
con collusioni tra dirigenti e politici che hanno un rapporto con l e
televisioni commerciali".
( da "Giornale.it, Il" del
22-12-2007)
Di Marianna Bartoccelli - sabato 22 dicembre 2007, 07:00
da Roma Ancora la pubblicazione delle intercettazioni sul banco degli imputati
e ancora una volta il ministro Mastella torna a parlare della necessità di una
legge. Ma stavolta la situazione è aggravata dall'aver messo on line la
registrazione per intero di una telefonata privata tra l'ex premier Silvio
Berlusconi e il responsabile Rai delle fiction Agostino Saccà. "Uno
squallore" per dirla con Pier Ferdinando Casini che mette sotto accusa
anche il Tg1 per averle riportate integralmente. "Un conto - sottolinea il
leader dell'Udc - è il contenuto delle intercettazioni, un conto è la loro
divulgazione in diretta senza tener conto che la privacy è un diritto
costituzionale". Più o meno allo stesso modo la pensa il presidente della
Camera, Fausto Bertinotti per il quale le intercettazioni rese pubbliche
"sono una violazione dei diritti individuali di tutti i cittadini e delle
persone. Dobbiamo uscire da questa condizione, non ci sono intercettazioni
buone o cattive. Sono tutte cattive" ribadisce il presidente della Camera
che comunque individua nella vicenda emersa dalle intercettazioni "elementi
di degrado del costume" e segnali di un "degrado del sistema". E
invoca una riforma del servizio pubblico "non più rinviabile". Il
ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni alza il tiro e più che di riforma
torna a parlare "di conflitto di interessi", visto che dalle intercettazioni "affiora un quadro
collusivo tra dirigenti e personalità politiche che hanno un rapporto con la
televisione commerciale, un quadro molto negativo su cui bisogna fare
chiarezza". E se c'è chi come Lorenzo Del Boca, presidente dell'Ordine
nazionale dei giornalisti difende il diritto a pubblicare le intercettazioni,
c'è chi invece, come Sandro Bondi (Fi) considera la pubblicazione delle
intercettazioni "una barbarie". Molto criticata è stata anche la
trasmissione della telefonata da parte di Raiuno. In particolare il presidente
della commissione di vigilanza Mario Landolfi chiede al direttore generale Rai
Claudio Cappon di intervenire su quella che più che essere "libera
informazione" appare "una gogna mediatica". Da parte sua il
direttore Rai annuncia che "in questi giorni, prima di Natale, partirà una
contestazione disciplinare nei confronti di Saccà", mentre il Garante
della Privacy apre un'inchiesta chiedendo elementi di valutazione alla Procura
di Napoli. Anche Claudio Petruccioli condanna senza appello Saccà e conferma
che verranno prese misure a carico del funzionario. Il presidente della Rai
lancia anche l'allarme sul futuro del servizio pubblico: "Il problema è la
disarticolazione progressiva che viene da elementi del sistema delle comunicazioni".
( da "Giornale.it, Il" del
22-12-2007)
Ma Bertinotti condanna solo a metà di Marianna Bartoccelli
- sabato 22 dicembre 2007, 07:00 da Roma Ancora la pubblicazione delle
intercettazioni sul banco degli imputati e ancora una volta il ministro
Mastella torna a parlare della necessità di una legge. Ma stavolta la
situazione è aggravata dall'aver messo on line la registrazione per intero di
una telefonata privata tra l'ex premier Silvio Berlusconi e il responsabile Rai
delle fiction Agostino Saccà. "Uno squallore" per dirla con Pier
Ferdinando Casini che mette sotto accusa anche il Tg1 per averle riportate
integralmente. "Un conto - sottolinea il leader dell'Udc - è il contenuto
delle intercettazioni, un conto è la loro divulgazione in diretta senza tener
conto che la privacy è un diritto costituzionale". Più o meno allo stesso
modo la pensa il presidente della Camera, Fausto Bertinotti per il quale le
intercettazioni rese pubbliche "sono una violazione dei diritti
individuali di tutti i cittadini e delle persone. Dobbiamo uscire da questa
condizione, non ci sono intercettazioni buone o cattive. Sono tutte
cattive" ribadisce il presidente della Camera che comunque individua nella
vicenda emersa dalle intercettazioni "elementi di degrado del
costume" e segnali di un "degrado del sistema". E invoca una
riforma del servizio pubblico "non più rinviabile". Il ministro delle
Comunicazioni Paolo Gentiloni alza il tiro e più che di riforma torna a parlare
"di conflitto di interessi",
visto che dalle intercettazioni "affiora un quadro collusivo tra dirigenti
e personalità politiche che hanno un rapporto con la televisione commerciale,
un quadro molto negativo su cui bisogna fare chiarezza". E se c'è chi come
Lorenzo Del Boca, presidente dell'Ordine nazionale dei giornalisti difende il
diritto a pubblicare le intercettazioni, c'è chi invece, come Sandro
Bondi (Fi) considera la pubblicazione delle intercettazioni "una
barbarie". Molto criticata è stata anche la trasmissione della telefonata
da parte di Raiuno. In particolare il presidente della commissione di vigilanza
Mario Landolfi chiede al direttore generale Rai Claudio Cappon di intervenire
su quella che più che essere "libera informazione" appare "una
gogna mediatica". Da parte sua il direttore Rai annuncia che "in
questi giorni, prima di Natale, partirà una contestazione disciplinare nei
confronti di Saccà", mentre il Garante della Privacy apre un'inchiesta
chiedendo elementi di valutazione alla Procura di Napoli. Anche Claudio
Petruccioli condanna senza appello Saccà e conferma che verranno prese misure a
carico del funzionario. Il presidente della Rai lancia anche l'allarme sul
futuro del servizio pubblico: "Il problema è la disarticolazione
progressiva che viene da elementi del sistema delle comunicazioni".
( da "Tempo, Il" del
22-12-2007)
La scelta del Tg1 di mandare giovedì sera l'audio della
telefonata tra Silvio Berlusconi e Agostino Saccà ha scatenato una durissima polemica
da parte degli esponenti del centrodestra. Il presidente della commissione di
vigilanza Rai Mario Landolfi ha spedito una lettera al direttore generale di
viale Mazzini Claudio Cappon nella quale scrive che "la decisione di
diffondere in sonoro non la mera notizia, ma il contenuto testuale di una
conversazione privata lede palesemente l'articolo 15 della Costituzione, in
base al quale "la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni
altra forma di comunicazione sono inviolabili"". Home Politica prec
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mostra Visti da Pizzi: Palazzo Wedekind, incontro tra Fini e Veltroni per le
riforme La sorella di Britney Spears incinta a 16 anni Sexy, lesbiche,
aggressive ad ogni costo Via libera al Senato decisivo il voto dei senatori a
vita Giuliani influenzato, perde nei sondaggi Pier Ferdinando Casini parla
invece di "squallore, grande squallore". "Questo è quel che
penso rivedendo le immagini del Tg1 che riporta integralmente senza alcun
riguardo alla privacy una privata conversazione". A Landolfi hanno
risposto Roberto Cuillo e Beppe Giulietti del Pd. "Perché il TG1 avrebbe
dovuto nascondere le telefonate tra Berlusconi e Saccà? La
verità è che la destra risulta garantista a corrente alternata e a seconda
delle convenienze del momento. La questione dell'uso delle intercettazioni
telefoniche e quella dell'autonomia della Rai e del conflitto d'interessi sono questioni diverse e vanno affrontate in modo
separato". 22/12/2007.
( da "Resto del Carlino,
Il (Nazionale)" del 22-12-2007)
Pubblicato anche in: (Nazione, La (Nazionale)) (Giorno, Il
(Nazionale))
Di ELENA G. POLIDORI ? ROMA ? L'ENNESIMA fuga di notizie
lo ha mandato su tutte le furie. Tant'è che ieri mattina, nel corso di un
colloquio con il presidente Napolitano, durato quasi un'ora e mezza, Berlusconi
si è più volte lamentato del clima creato dalle continue "fughe di notizie
che non vengono mai accertate e denunciate", al punto da creare una
situazione do intimidazione collettiva che "riguarda tutti i cittadini,
che ormai non si sentono più liberi di fare una telefonata". E, d'altra
parte, il Cavaliere più tardi lo ha ripetuto pubblicamente: "E' gravissimo
che una conversazione fra due privati venga messa sui giornali con la volontà
di gogna e con lo scopo di gettare fango su chi parla al telefono, violando il
suo diritto alla privacy". NAPOLITANO ha suggerito a Berlusconi di
proseguire nel solco del dialogo con la maggioranza, perchè le riforme non si
fanno da una parte sola, ma questa storia delle telefonate è un pungolo da cui
il Cavaliere vuole liberarsi al più presto: del "clima da grande
fratello" lui non ne può più, ma a sinistra stanno un po' nelle stesse
condizioni. E non è detto che, poi, alla fine, dal comune disagio ? o dal
comune timore ? ne esca un accordo bipartisan per superare l'emergenza.
"DEVONO capire ? ha detto il Cavaliere ai suoi più stretti collaboratori,
citando i casi dei pm Luigi De Magistris e Clementina Forleo ? che è
un'emergenza che riguarda tutti, anche loro". Ecco perchè "durante le
vacanze lavorerò ad un discorso da pronunciare in aula (di Montecitorio, ndr)
sul tema della giustizia, perchè è troppo importante per la libertà dei
cittadini". E per i politici, soprattutto. Il Palazzo, insomma, intende
difendersi da chi ne mina la credibilità diffondendo conversazioni private. Su
sollecitazione di Berlusconi, ieri si è mosso anche il garante per la Privacy
che ha chiesto alla Procura di Napoli ulteriori informazioni per
"verificare se le registrazioni diffuse figurino tra il materiale
depositato e messo a disposizione delle parti". Ci vorrà tempo per
saperlo, ma intanto la politica vuole mettere al più presto un tappo ad un vaso
di Pandora ogni volta più devastante. Al punto di far scalpitare Mastella:
"In materia di intercettazioni si può fare anche un decreto legge",
ha detto ieri durante l'ennesimo intervento per sollecitare la rapida
approvazione del provvedimento che punta a regolamentare l'uso delle stesse
intercettazioni "purchè si rispetti l'attività investigativa dei
magistrati e la privacy dei cittadini, di tutti i cittadini, non solo dei
parlamentari". Palazzo Chigi, però, non è affatto d'accordo: i
provvedimenti d'impulso non hanno mai portato a nulla di buono. "Il tema
c'è ? dicono in Presidenza del Consiglio ? ma un decreto al momento non è
all'esame; però si può discutere di provvedimenti che garantiscano i diritti
delle persone, salvaguardando la libertà di informazione". C'è emergenza
ed emergenza, in fondo. MA PER CASINI così non si può certo andare avanti.
"Quelle intercettazioni sono uno squallore ? ha commentato il leader Udc ?
e debbo dire che è un grande squallore che il principale telegiornale della Rai
le debba riportare integralmente". In verità il Tg1 ha riportato solo le
frasi di Saccà, non quelle di Berlusconi. Da Santoro, invece, è andata in onda
la versione integrale, fatto che non è piaciuto al direttore generale Rai.
Resta il dato che quella che il presidente della Vigilanza Rai, Mario Landolfi,
ha chiamato "gogna mediatica" rischia di avvelenare ancora di più il
già rovente clima politico. Ne è convinto anche il presidente della Camera,
Fausto Bertinotti. "L'uso politico delle intercettazioni va bandito ? ha
detto ? perchè le intercettazioni rese pubbliche sono una violazione dei
diritti individuali di tutti i cittadini e delle persone; dobbiamo uscire da
questa condizione, non c'è intercettazione buona o cattiva, sono tutte
cattive". Secondo Bertinotti, nella vicenda Saccà-Berlusconi emergono
"elementi di degrado del costume e il riemergere di fenomeni di
trasformismo che sono stati tanta parte della storia italiana". "Non
credo che si debbano fare processi sommari ? è invece il parere del ministro
delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni ? ma viene fuori un quadro che conferma le
maggiori preoccupazioni sul conflitto d'interessi, un
quadro molto negativo su cui occorre fare chiarezza". - -->.
( da "Resto del Carlino,
Il (Nazionale)" del 22-12-2007)
Pubblicato anche in: (Nazione, La (Nazionale)) (Giorno, Il
(Nazionale))
L'ira di Berlusconi: "C'è voglia Intercettazioni,
dubbi di Palazzo Chigi. Il garante chiede di ELENA G. POLIDORI ? ROMA ?
L'ENNESIMA fuga di notizie lo ha mandato su tutte le furie. Tant'è che ieri
mattina, nel corso di un colloquio con il presidente Napolitano, durato quasi
un'ora e mezza, Berlusconi si è più volte lamentato del clima creato dalle
continue "fughe di notizie che non vengono mai accertate e
denunciate", al punto da creare una situazione do intimidazione collettiva
che "riguarda tutti i cittadini, che ormai non si sentono più liberi di
fare una telefonata". E, d'altra parte, il Cavaliere più tardi lo ha
ripetuto pubblicamente: "E' gravissimo che una conversazione fra due
privati venga messa sui giornali con la volontà di gogna e con lo scopo di
gettare fango su chi parla al telefono, violando il suo diritto alla
privacy". NAPOLITANO ha suggerito a Berlusconi di proseguire nel solco del
dialogo con la maggioranza, perchè le riforme non si fanno da una parte sola,
ma questa storia delle telefonate è un pungolo da cui il Cavaliere vuole
liberarsi al più presto: del "clima da grande fratello" lui non ne
può più, ma a sinistra stanno un po' nelle stesse condizioni. E non è detto
che, poi, alla fine, dal comune disagio ? o dal comune timore ? ne esca un
accordo bipartisan per superare l'emergenza. "DEVONO capire ? ha detto il
Cavaliere ai suoi più stretti collaboratori, citando i casi dei pm Luigi De Magistris
e Clementina Forleo ? che è un'emergenza che riguarda tutti, anche loro".
Ecco perchè "durante le vacanze lavorerò ad un discorso da pronunciare in
aula (di Montecitorio, ndr) sul tema della giustizia, perchè è troppo
importante per la libertà dei cittadini". E per i politici, soprattutto.
Il Palazzo, insomma, intende difendersi da chi ne mina la credibilità
diffondendo conversazioni private. Su sollecitazione di Berlusconi, ieri si è
mosso anche il garante per la Privacy che ha chiesto alla Procura di Napoli
ulteriori informazioni per "verificare se le registrazioni diffuse
figurino tra il materiale depositato e messo a disposizione delle parti".
Ci vorrà tempo per saperlo, ma intanto la politica vuole mettere al più presto
un tappo ad un vaso di Pandora ogni volta più devastante. Al punto di far
scalpitare Mastella: "In materia di intercettazioni si può fare anche un
decreto legge", ha detto ieri durante l'ennesimo intervento per
sollecitare la rapida approvazione del provvedimento che punta a regolamentare
l'uso delle stesse intercettazioni "purchè si rispetti l'attività
investigativa dei magistrati e la privacy dei cittadini, di tutti i cittadini,
non solo dei parlamentari". Palazzo Chigi, però, non è affatto d'accordo:
i provvedimenti d'impulso non hanno mai portato a nulla di buono. "Il tema
c'è ? dicono in Presidenza del Consiglio ? ma un decreto al momento non è
all'esame; però si può discutere di provvedimenti che garantiscano i diritti
delle persone, salvaguardando la libertà di informazione". C'è emergenza
ed emergenza, in fondo. MA PER CASINI così non si può certo andare avanti.
"Quelle intercettazioni sono uno squallore ? ha commentato il leader Udc ?
e debbo dire che è un grande squallore che il principale telegiornale della Rai
le debba riportare integralmente". In verità il Tg1 ha riportato solo le
frasi di Saccà, non quelle di Berlusconi. Da Santoro, invece, è andata in onda
la versione integrale, fatto che non è piaciuto al direttore generale Rai.
Resta il dato che quella che il presidente della Vigilanza Rai, Mario Landolfi,
ha chiamato "gogna mediatica" rischia di avvelenare ancora di più il
già rovente clima politico. Ne è convinto anche il presidente della Camera,
Fausto Bertinotti. "L'uso politico delle intercettazioni va bandito ? ha
detto ? perchè le intercettazioni rese pubbliche sono una violazione dei
diritti individuali di tutti i cittadini e delle persone; dobbiamo uscire da
questa condizione, non c'è intercettazione buona o cattiva, sono tutte
cattive". Secondo Bertinotti, nella vicenda Saccà-Berlusconi emergono
"elementi di degrado del costume e il riemergere di fenomeni di
trasformismo che sono stati tanta parte della storia italiana". "Non
credo che si debbano fare processi sommari ? è invece il parere del ministro
delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni ? ma viene fuori un quadro che conferma le
maggiori preoccupazioni sul conflitto d'interessi, un
quadro molto negativo su cui occorre fare chiarezza". - -->.
( da "EUROPA.it" del
22-12-2007)
Partito democratico/2: non sarà che certe regole vengono
scritte con un po' troppa ideologia? Questo no, quello no... E non rimase nessuno
DONATA LENZI Partito nuovo, si discutono le regole per definire il profilo del
candidato ideale. Quando ne sento parlare mi viene in mente il più famoso
romanzo di Agatha Christie, Dieci piccoli indiani, che è intitolato anche ...e
poi non rimase nessuno. Provo a elencare. No ai funzionari di partito, anzi a
tutti quelli che fanno della politica un mestiere. Questo nel passato avrebbe
escluso anche Berlinguer, ma si sa che non ci sono più i leader di una volta.
No agli imprenditori per il noto problema del conflitto di interessi (che ancora non riusciamo a regolamentare). C'è tanta gente che
lavora e ha famiglia, fa una vita normale e può avvicinarsi alla politica. Per
incoraggiarli, nell'ultima finanziaria, abbiamo provveduto a tagliare
indiscriminatamente i gettoni di presenza (di ben 16 euro lordi a seduta nei
comuni più piccoli del mio collegio) e ridotto le possibilità di
mettersi in aspettativa. Con un datore di lavoro privato fare politica a
livello comunale diventa arduo, aggiungiamo gli orari notturni, i tempi della
politica e una compagna poco paziente e diventa impossibile; se si è donna e si
ha un marito? occorre un miracolo. Meglio un ragazzo giovane allora, il tempo e
l'entusiasmo non gli mancano: peccato che si allontanerà nel momento in cui
dovrà cercarsi un lavoro (perché "politico di professione no", vedi
regola numero 1). Rivolgiamoci allora al vasto mondo delle professioni. Non è
proprio una novità, in parlamento avvocati e medici sono in testa alle
graduatorie delle categorie più rappresentate. Anche nei consigli comunali sono
ben piazzati. Nessuno si chiede mai perché: perché i clienti ti aiutano a
essere eletto e, dopo, raddoppiano di numero. Si entra nel giro, le pratiche
del professionista politico vanno più in fretta, a fine mandato ci sono le
nomine nei cda o come revisore. Insomma la politica può essere un buon
investimento. Per molto tempo i professionisti dei media sono stati molto
attenti a non farsi coinvolgere in nome dell'imparzialità; adesso, nell'era
della politica spettacolo, sembrano più disponibili a entrare in campo. Certo
partono avvantaggiati, in potenza possono vincere tutte le primarie! Chi
oserebbe sfidarli? Dovremmo poi assegnargli un incarico a vita, infatti hanno
la tendenza. una volta rientrati nei ranghi, a rifarsi una verginità a spese di
chi li ha candidati . Rimangono i pensionati, benestanti però (bisogna pur
pagarsi le campagne elettorali!). Dev'essere per questo che gli asili nido non
sono mai una priorità! Se guardiamo le cose senza gli occhiali del furore
ideologico, ci accorgiamo che le scelte da fare sono poche. Vogliamo persone
che si dedichino alla politica totalmente, senza curare altri interessi sia pure per un fase della loro vita? Allora
riconosciamo che vanno pagati (il giusto !), proibiamo loro di fare qualsiasi
altra cosa e smettiamo di demonizzare chi fa politica di professione (è anche
questo il sistema spagnolo). Vogliamo favorire la rappresentanza di realtà
professionali e di lavoro auspicando una più facile rotazione nelle cariche? Allora
dobbiamo sapere che i problemi sono due: il primo consiste nel definire i
confini tra le attività professionali, gli interessi
imprenditoriali e l'incarico pubblico sapendo che più questo è rilevante più l'
attività personale va ridotta, limitata e in alcuni casi impedita. Il secondo è
garantire la "par condicio" nell'agone politico, accesso ai media e
risorse finanziarie fanno la differenza, già sono spariti gli operai ora
rischia di sparire la rappresentanza del lavoro dipendente. Fare politica non
può essere un lusso. Scegliamo una strada e seguiamola coerentemente,
consapevoli che comunque il primo vero controllo lo fanno gli elettori e che
nessuna regola risolve i problemi conseguenti all'assenza di una coscienza
civica, quella che ci spinge a selezionare non il politico che farà un favore a
me ma quello che governerà meglio per tutti.
( da "EUROPA.it" del
22-12-2007)
IL MONITO DI NAPOLITANO Il Quirinale: "Troppe ducie
e scarsa qualità delle leggi. Basta interdizioni, presto le riforme" La
campana del Colle "apre" la veri ca "Sento già parlare di nuove
altre ducie...". Sotto Natale, il senatore Fisichella le vota: "Ma è
l'ultima volta". Sempre più a rischio tre "diniani", Bordon e
Rossi. Il 10 gennaio si pro la un dif cile vertice di maggioranza per Prodi:
sulla legge elettorale e molti altri nodi. Mastella: "È inutile, meglio il
voto subito". FRANCESCO LO SARDO Non è la prima volta che Giorgio
Napolitano richiama il governo Prodi sulle troppe "cadute" nei
rapporti esecutivo-parlamento e nella "qualità delle leggi" (un
implicito riferimento al decreto sicurezza), con "abnormi"
accorpamenti e "conseguenti voti di fiducia". Potrebbe però essere
l'ultimo richiamo. Tutto dipenderà dal vertice di maggioranza del 10 gennaio,
cui sono legate le sorti del governo. Prodi ha allargato le braccia: "Il
presidente Napolitano ha ragione, ma se non cambiamo le procedure... ". Le
parole di Napolitano, pronunciate ieri in occasione dello scambio di auguri con
le alte cariche dello stato, sono rimbalzate in senato, dove si votavano due
delle ultime trenta fiducie poste dal governo Prodi. Poche ore dopo, il
senatore Fisichella comunicava all'aula il suo voto favorevole per evitare
l'esercizio provvisorio, "ma il rapporto di fiducia col governo per me è
esaurito". Anche Dini, D'Amico e Scalera dicono sì alla fiducia: "Ma
consideriamo conclusa una fase politica". Rossi resta un'incognita, mentre
Bordon annuncia: "Il 16 gennaio io mi dimetto". Così sono sei, a
palazzo Madama dove il governo si regge con due voti di scarto, i senatori che
hanno già la valigia al piede. "Avevo già preso la decisione, in
solitudine e meditata. Le parole del capo dello stato ? racconta Fisichella ?
mi hanno confermato nella mia scelta". Con aria grave l'ex vicepresidente
del senato spiega che "dopo qualche mese non puoi giudicare, ma dopo un
anno e mezzo di governo sì. C'è una crescente difficoltà a mettersi in una logica
di sistema e questo spaventa. Le leggi sono il prodotto delle spinte
contrapposte dei diversi segmenti della coalizione, ma ben oltre i limiti
accettabili...". Perciò lui tira i remi in barca. "Il paese ? ragiona
Fisichella ? ha bisogno di una guida robusta. Il dialogo tra i due maggiori
partiti sulle riforme è positivo ma c'è un'antinomia tra azione del governo e
quel che le grandi forze politiche stanno cercando di realizzare". Questo,
insomma, è il teorema di Fisichella: "C'è un dialogo che ha una sua
consistenza e serietà, rispetto al quale si percepisce un'attività chiara di
contrasto. Siamo ad un passaggio stretto: certo, la situazione non può
continuare a deteriorarsi così...". La legge elettorale, che Rifondazione
? favorevole alle intese con Berlusconi ? non vuole sia il fulcro del vertice
chiesto dai "nanetti" che vogliono una posizione comune dell'Unione,
è un detonatore. Ieri il presidente della Repubblica è stato nettissimo: il
dialogo maggioranza-opposizione "deve proseguire" e condurre
"rapidamente a risultati concreti". Perciò Napolitano dice che
"nei prossimi mesi" vanno superati "paralizzanti sospetti
reciproci e giochi d'interdizione ", altrimenti "si correrebbero
rischi". Non spetta a me, suggerire soluzioni "ma insistere ? avverte
il Capo dello stato facendo intravedere scenari di voto anticipato ? sulle
gravi conseguenze che avrebbe un nuovo nulla di fatto". Mastella, da
guascone, ieri andava ripetendo ai suoi che "se la maggioranza non c'è
più, allora fare il vertice è inutile perchè servirebbe solo a prendere atto
che non ci sono più i numeri al senato. Allora è meglio andare a
votare...". In attesa del vertice di maggioranza, anche i calendari dei
lavori parlamentari attendono. Riforma elettorale in primis
ma anche sicurezza, servizi pubblici locali, ddl Bersani, riforma del fisco,
conflitto d'interessi, legge Gentiloni. L'elenco è lungo, ma il come procedere è
ancora tutto da decidere. E il 22 gennaio, a palazzo Madama, incombe già la
mozione di sfiducia per Padoa-Schioppa sul "caso" Speciale.
( da "Liberazione" del
22-12-2007)
Le ricerche sulle "tumorali" ricevono grande attenzione
sui media e dividono gli scienziati Sono solo all'inizio, ma ci sarebbe già un
farmaco che non funzionava per l'Alzheimer ma... Sabina Morandi La notizia
campeggiava ieri sulla prima pagina del New York Times : gli scienziati
avrebbero individuato l'esistenza di cellule staminali tumorali che potrebbero
essere responsabili della "ricrescita" di tumori dati per debellati.
"In pochi mesi" sostiene l'autrice dell'articolo "i ricercatori
di tre centri medici potrebbero essere in grado di effettuare i primi test sui
pazienti di una delle più promettenti - e controverse - idee sulla causa e sul
trattamento del cancro". Ora, a parte che è difficile immaginare come si
possa "sperimentare un'idea" di qui a "pochi mesi", chi
avesse la pazienza di continuare la lettura dell'articolo scoprirebbe che siamo
davvero all'inizio del vaglio di un'ipotesi nuova e ancora tutta da dimostrare.
La nuova idea di cui parla Gina Kolata sul NYT mette in discussione il vecchio
assunto - per altro già sorpassato dagli studi sul suicidio cellulare - sul
fatto che le cellule tumorali siano tutte immortali cioè in grado di dividersi
e crescere indiscriminatamente. Secondo gli studi condotti da Max S. Wicha
dell'Università del Michigan esisterebbero delle cellule staminali tumorali in
grado di produrre nuove linee cellulari malate dopo che quelle originarie sono
state debellate con le normali terapie. Se l'ipotesi si rivelasse corretta
bisognerebbe quindi trovare il modo di concentrarsi su questo tipo di cellule
che invece, secondo il dottor Wicha, sono particolarmente resistenti ai
trattamenti normalmente impiegati per aggredire i tumori, come la chemioterapia
e le radiazioni. Insomma, le cellule progenitrici che prima si pensava fossero
presenti soltanto nell'embrione e che poi sono state trovate, anche se in
percentuali molto più piccole, in parecchi altri organi (per il sollievo del
Papa e di Bush) adesso sarebbero anche nei tumori dove, disgraziatamente, sono
in grado di continuare a riprodurre le cellule impazzite che sono all'origine
del male. Le staminali tumorali sarebbero insomma "le radici del
cancro" che se non vengono estirpate "possono farlo ricrescere".
Per questo motivo, scrive l'autrice, i laboratori che stanno lavorando a questa
ipotesi hanno ricevuto fondi per milioni di dollari. A questo punto urge una
spiegazione perché, dalla lettura distratta dell'articolo, sembrerebbe che di
qui a pochi mesi sarà disponibile una nuova terapia, ma purtroppo non è così. A
parte il fatto che secondo alcuni ricercatori come Scott E. Kern, esperto di
tumore al pancreas della Johns Hopkins University, quella delle staminali
tumorali "è un'ipotesi più vicina alla religione che alla scienza",
gli esperimenti previsti riguardano, per ora, soltanto la possibilità di
isolare questo tipo di cellule anche nei pazienti umani. Siamo insomma ancora
al primo stadio, quello in cui bisogna verificare se gli esperimenti condotti
sui topi, nei quali sono state evidenziate questo tipo di cellule, sono validi
anche per gli esseri umani. Va sottolineato anche il fatto che alcuni
ricercatori - per esempio Kornelia Polyak del Dana-Farber Cancer Institute -
contestano anche i risultati degli esperimenti condotti sui modelli animali.
Secondo la dottoressa Polyak le cellule tumorali sono soggette a trasformazioni
inaspettate anche nei topi e quindi "dire che basta uccidere le cellule
staminali tumorali è una semplificazione che rischia di dare false
speranze". Da dove viene allora tutto questo entusiasmo? Prima di tutto
scopriamo che non ci saranno ancora certezze sul nuovo obiettivo della guerra
al cancro (le staminali tumorali) ma è già pronta la medicina. Si tratta di un
farmaco prodotto dalla Merk per trattare l'Alzheimer che però non funzionava.
Ma visto che, come racconta il dottor Wicha, "test di laboratorio hanno
mostrato che il farmaco è efficace nell'uccidere le cellule staminali tumorali
presenti nel cancro al seno", ecco pronta la cura da sperimentare su una
trentina di donne in stadio avanzato della malattia. La nuova ipotesi nasce
insomma, guarda caso, come spiegazione per lo strano funzionamento di un
prodotto che era stato confezionato con tutt'altro scopo - ma che bisogna
"piazzare" in qualche modo. Il fatto che nel presentare il suo
rivoluzionario studio il dottor Wicha spenda qualche parola sui "cattivi
modelli" utilizzati da chi autorizza la commercializzazione dei farmaci,
fa presagire che ci siano già contenziosi aperti con le autorità di controllo.
Insomma, la notizia potrebbe anche essere vera - è anzi plausibile che, nel
concorrere alla formazione dei tumori particolarmente ostici da trattare
entrino in gioco svariati meccanismi, dall'immortalità delle cellule tumorali
al fallimento dei meccanismi di suicidio cellulare (che regolano il ricambio
cellulare negli organi sani) passando per le staminali - ma è sbagliato e
crudele presentarla come una svolta risolutiva. Infine, per smontare
ulteriormente la notizia, bisogna dare un'occhiata alla firma. Gina Kolata è
una brillantissima giornalista scientifica che è stata per anni una potenza al
NYT , per poi finire ridimensionata come altri protagonisti della bolla
biotecnologica. Alla fine degli anni 90 il boom delle "start up"
biotech - ovvero delle piccole società, povere ma creative - aveva attirato
l'attenzione degli investitori e dei ricercatori delusi dalle lungaggini (e
dagli stipendi) del mondo accademico. I ricercatori fondavano queste piccole
società con l'obiettivo di fare il grande salto: quotarsi sul mercato azionario
e smettere di sudare sulle provette per passare all'incasso. Fondamentale, in
quel gioco, era avere un canale diretto con i media che potesse far salire le
quotazioni dell'azienda produttrice di un farmaco senza nemmeno bisogno di
aspettare il suo arrivo sul mercato. Da questo punto di vista Gina Kolata,
responsabile della pagina scientifica del quotidiano, era nel posto giusto e
poteva spedire le quotazioni di una sconosciuta società in cima al mercato
azionario. Ed è quello che ha fatto. Nel 2001, Kolata è riuscita a trasformare
una storia di esperimenti sui topi nella rivelazione scientifica dell'anno, e
le azioni di una piccola società, la Entremed, sono passate da
( da "Secolo XIX, Il" del 23-12-2007)
Caso berlusconi-Rai Critica sulla proposta del
Guardasigilli larga parte della maggioranza. Casson: "Disegno di legge
pronto a febbraio" 23/12/2007 Roma. Anche Clemente Mastella, ministro
della Giustizia, concorda con Silvio Berlusconi: "Sulle intercettazioni
telefoniche è emergenza civile". Il Guardasigilli sembra intenzionato a
proporre, in una delle prossime riunioni del Consiglio dei Ministri, la
trasformazione del disegno di legge sulle intercettazioni, in un decreto, in
modo da renderlo immediatamente efficace. Ma buona parte della maggioranza non
ci sta: "Vogliamo ripetere gli errori che abbiamo commesso, quando si
trasformò in decreto il Ddl sulla sicurezza?", avverte Cesare Salvi,
sinistra democratica. E non basta: dal Senato arriva una piccata risposta al
ministro. Non è vero, si sostiene, che il disegno di legge
è"arenato": sta, al contrario, per approdare in aula per essere
votato entro febbraio. Non solo: il testo firmato da Mastella (già approvato
dalla Camera) è stato profondamente modificato e, quindi, sarebbe difficile un
provvedimento d'urgenza. Una questione è, però, la pubblicazione dei colloqui
tra l'ex premier, Berlusconi, ed un altissimo dirigente della Rai, Agostino
Saccà; altra è il contenuto di quei discorsi: raccomandazioni finalizzate ad
ottenere la caduta del governo. "Stiamo molto attenti - ammonisce Giorgio
Merlo, esponente del Pd - possiamo discutere di riforme con lui?".
Mastella ha sostenuto che è ora di accelerare l'iter del disegno di legge sulle
intercettazioni: "Prodi spiega che non bisogna agire d'impulso? Bene, il
politico dovrebbe fare lo psicologo, ma se lo psicologo è più agitato del
paziente?". Il Guardasigilli non accetta la reazione di Berlusconi alla
pubblicazione delle sue telefonate ("Lui è padrone di quei media che hanno
commesso identiche violazioni della privacy ai miei danni, di Fini e di
D'Alema, per esempio"), ma spiega che il suo testo "giace da tempo in
Senato". E' un'accusa che Felice Casson (Pd), relatore di quel disegno di
legge, respinge al mittente: "E' male informato. Possiamo votarlo entro
febbraio". La cosa più rilevante è che il testo licenziato da Montecitorio
(con una maggioranza bipartisan) è stato sensibilmente modificato proprio negli
articoli che dovrebbero regolamentare la pubblicazione da parte dei media:
"Il testo originario prevedeva che si potessero pubblicare solo dopo
l'udienza preliminare, e, quindi, dopo anni. Ora si è preferito che gli atti
siano pubblicabili non appena le parti interessate ne siano venute a conoscenza".
"Quel che è grave - così Merlo ha introdotto la discussione sull'altra
faccia del problema -è che dal centrodestra si sia risposto con un silenzio
agghiacciante alla considerazione che Berlusconi ha del servizio pubblico e
della informazione pluralista del nostro paese. Mi riferisco al presidente
della Commissione di Vigilanza, Landolfi (An n.d.r.), la cui posizione anticipa
che l'opposizione continuerà ad impedire qualsiasi riforma, non solo del
sistema radiotelevisivo, ma anche del conflitto di
interesse". "Ma ora, in Rai, Berlusconi non interferisce più con la
vita dell'azienda -è la tesi del presidente dell'azienda, Claudio Petruccioli -
Prima era diverso. Ma da quando ci siamo noi il clima è cambiato. Ho molti
amici che, di fronte a lui, si amputano delle proprie qualità: questo è un
prezzo negativo per il paese". La reazione dell'azienda dovrebbe
iniziare proprio dall'avvicendamento del direttore di Rai Fiction, Saccà: ieri,
il Corriere della sera, ha pubblicato stralci di un suo interrogatorio nel quale
aveva ammesso di aver subito (ed accettato) pressioni da parte del leader di
Fi. "Ricordo che mi ha segnalato - ha detto ai giudici, durante
l'interrogatorio del 4 dicembre - solo nell'ultimo anno, due... no, tre
persone. Se ci aggiungiamo anche gli attori maschi arriviamo a quattro o
cinque". Ma poi, quando il magistrato gli chiede di fare i nomi, di sole
attrici, Saccà ne elenca cinque. A. M. B. 23/12/2007.
( da "Unita, L'" del
23-12-2007)
Stai consultando l'edizione del "Intercettazioni:
la barbarie è nei contenuti" "Ci si è concentrati sulla barbarie
della divulgazione invece che sulla barbarie di quello che le telefonate
raccontano". Vittorio Grevi, giurista, professore di procedura penale
all'Università di Pavia, commenta così il caso Berlusconi-Saccà. E anche le
ipotesi di reato al vaglio della procura di Napoli. "In quelle
conversazioni ci sono elementi significativi che fanno pensare che tra i due
interlocutori ci sia stata una promessa di vantaggi che è stata accettata. E questo intreccio tra promessa e accettazione costituisce di per
sé corruzione". Sullo sfondo, sottolinea il giurista, "c'è il tema
del conflitto di interessi. Si avverte un tentativo di gestione dei programmi Rai da parte
del titolare di Mediaset".Carugati a pagina 8.
( da "Unita, L'" del
23-12-2007)
Stai consultando l'edizione del ROBERTO CUILLOAzienda
paralizzata, serve un decreto che faccia del direttore generale un
amministratore unico "Più poteri a Cappon, solo così salviamo la Rai"
di Natalia Lombardo/ Roma La Rai va "rifondata" o perderà
competitività. La cura d'emergenza, secondo Roberto Cuillo, già responsabile
informazione dei Ds, è un "decreto governativo che assegni più poteri al
direttore generale, come a un amministratore unico". Crede che gli
intrecci di favori non appartengano alla attuale Rai, come sostiene il
presidente Petruccioli? "Queste vicende appartengono al passato, tranne la
telefonata Saccà-Berlusconi. Ma in questi anni ci sono state due fasi: la prima
ha visto la gestione della Rai durante il governo Berlusconi, con un
consolidamento del potere interno. E nell'anno di vuoto fra le dimissioni di
Lucia Annunziata e l'elezione di Petruccioli, tra il 2004 e il 2005, il
direttore generale Cattaneo era solo a gestire la tv pubblica. Allora si
consolidò il regime "RaiSet", con le telefonate della Bergamini a
Mediaset. Nella seconda fase, Petruccioli e il Dg Cappon hanno tentato di
risollevare la Rai, ma la maggioranza di centrodestra nel Cda ha cercato di
bloccare tutto. Ora i nodi vengono al pettine". Qual è la cosa più grave?
"Che venga utilizzata la Rai e un suo alto dirigente per acquistare
senatori ai fini del rovesciamento della maggioranza. È il
conflitto d'interessi e la mancanza di autonomia del servizio pubblico, sancita con la
Legge Gasparri. Problemi che la maggioranza non può far finta di non
vedere". I ddl Gentiloni sul sistema tv e sulla riforma Rai, quello sul
conflitto d'interessi ci sono, ma vanno a rilento. C'è una priorità?
"Bisogna accelerarne l'iter, ma la Rai è un'industria che ha bisogno di
stabilità e di un'azione per rifondarla". Rifondarla come? "Il
governo deve farsi coraggio e varare un decreto semplice che estenda i poteri
del direttore generale, anche l'attuale, facendolo diventare amministratore unico.
Estendere i poteri di firma sui contratti fino a 20 milioni di euro e sulla
nomina delle prime linee di dirigenza Rai. Potrebbe esserci anche il consenso
del centrodestra". Non si accentra troppo il potere? "Siamo alla
paralisi: se il governo e la maggioranza non hanno uno scatto di reni, la Rai
perde competitività". Non si affossa il ddl Gentiloni che cambia la
"governance" Rai? "Dev'essere approvato presto, ma urge una
figura che abbia potere di firma sui contratti e sulle nomine: ora tutte le
decisioni passano dal Cda e questo dà ai partiti l'arma di gestire contratti e
quindi i palinsesti. È il servizio pubblico ad essere in discussione. Lo dice
persino Berlusconi: "che ne sapevo io che stavo parlando con un pubblico
ufficiale? Per me il servizio pubblico non c'è più". Noi, invece, vogliamo
rilanciarlo. E la Rai deve fare pulizia al suo interno, valorizzare le risorse
migliori, non penalizzare dirigenti leali come Loris Mazzetti". Così lei
rilancia la proposta di Veltroni per l'amministratore unico? "È
un'iniziativa che nasce dalla proposta di Veltroni: una fase d'emergenza esige
un'iniziativa straordinaria".
( da "Tempo, Il" del
23-12-2007)
"Vorrei sapere cosa ne pensa Veltroni".
Antonio Polito, ... "Vorrei sapere cosa ne pensa Veltroni". Antonio
Polito, senatore del Pd, mette il dito nella piaga. Nel gran palvore suscitato sul
caso delle intercettazioni con Berlusconi che continua a dire che dietro c'è
una manovra per far fallire il dialogo sulla riforma elettorale, spicca il
silenzio di Veltroni. Home Politica prec succ Contenuti correlati Visti da
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An: ripensateci Fabrizio Fabbri Pensare che ... Da quindici anni ho una
curiosità che vorrei soddisfare: ... Elezioni, la sinistra già pensa alla
spallata Pensare la città che verrà Il leader del Pd che è l'altro protagonista
del dialogo con il Cavaliere, finora è rimasto silente. Non solo. Nessun
commento è venuto nemmeno a seguito del colloquio di Berlusconi con il
presidente Napolitano e dopo le accuse che il Cavaliere ha fatto in piazza di
essere sottoposto a una gogna mediatica. A questo punto sono in molti dentro
Forza Italia a chiedersi quanto possa durare l'asse Veltroni-Berlusconi sulla
riforma elettorale e l'attenzione è puntata sul pronunciamento della Corte
Costituzionale sull'ammissibilità del referendum. A fronte di questo silenzio
Polito ha chiamato direttamente in causa Veltroni. "Non si tratta di
difendere Berlusconi o Saccà. Qui si tratta di capire se l'intero sistema di
garanzie processuali in Italia è saltato. Vorrei sapere che cosa ne pensa il
Pd, che pare non abbia niente da dire su quanto sta accadendo. Ai tempi di Ds e
Margherita, almeno un paio di comunicati li avremmo letti, una posizione
sarebbe emersa. Oggi niente". Il senatore usa toni incalzanti fino
all'ironia: "Nell'esecutivo del loft non c'è un responsabile giustizia, o
un responsabile informazione, o qualcuno che faccia il turno di presenza
natalizia? E che cosa intende fare il gruppo al Senato del Pd per tirar fuori
dal cassetto dove è finito il disegno di legge Mastella? O pensa che sia
preferibile un decreto legge?" Dal Pd invece c'è solo una dichiarazione,
laconica, del vice di Veltroni, Dario Franceschini. In un colloquio con Il
Riformista si limita a dire che "la pubblicazione delle intercettazioni è
inammissibile. E non si può denunciarne l'uso quando creano un problema e
strofinarsi le mani quando danno un vantaggio". La soluzione per il numero
due del Pd è di "andare avanti sulla riforma del sistema radio-televisivo e sul conflitto di interessi" ma
tenendo "distini questi piani dal tavolo delle riforme". Franceschini
non aggiunge nulla di più. Polito invece va oltre e se la prende con quelle
procure che sembrano diventate dei "dei megafoni. Sui giornaliabbiamo
letto non dei brogliacci, non delle intercettazioni, ma addirittura dei verbali
di interrogatorio quasi in tempo reale, resi neanche venti giorni fa,
come in un vero processo in piazza. Si tratta dell'interrogatorio di Saccà
davanti al pubblico ministero di Napoli". A fronte di questa situazione il
silenzio del leader del Pd appare grave. Polito ricorda che "a Milano, nel
suo discorso di insediamento, Veltroni pronunciò tre volte di seguito la
fatidica frase, basta odio, promettendo anche atti unilateralì per riportare il
conflitto politico in Italia nell'alveo che gli è proprio e per separarlo dalle
indagini della magistratura. Qui -conclude Polito- non solo non si vedono gli
atti, nè unilaterali nè multilaterali, ma non si odono nemmeno le parole".
Infine il senatore del Pd rimarca che "l'interrogatorio pubblicato sui
giornali si conclude con la decisione del Pm di secretare il verbale e con il
rifiuto a rilasciarne copia all'indagato. Tanto, tempo un paio di settimane,
l'indagato avrebbe potuto leggerlo sulla stampa". 23/12/2007.
( da "Tempo, Il" del
23-12-2007)
"Vorrei sapere cosa ne pensa Veltroni".
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sull'ammissibilità del referendum. A fronte di questo silenzio Polito ha
chiamato direttamente in causa Veltroni. "Non si tratta di difendere
Berlusconi o Saccà. Qui si tratta di capire se l'intero sistema di garanzie
processuali in Italia è saltato. Vorrei sapere che cosa ne pensa il Pd, che
pare non abbia niente da dire su quanto sta accadendo. Ai tempi di Ds e
Margherita, almeno un paio di comunicati li avremmo letti, una posizione
sarebbe emersa. Oggi niente". Il senatore usa toni incalzanti fino
all'ironia: "Nell'esecutivo del loft non c'è un responsabile giustizia, o
un responsabile informazione, o qualcuno che faccia il turno di presenza
natalizia? E che cosa intende fare il gruppo al Senato del Pd per tirar fuori
dal cassetto dove è finito il disegno di legge Mastella? O pensa che sia
preferibile un decreto legge?" Dal Pd invece c'è solo una dichiarazione,
laconica, del vice di Veltroni, Dario Franceschini. In un colloquio con Il
Riformista si limita a dire che "la pubblicazione delle intercettazioni è
inammissibile. E non si può denunciarne l'uso quando creano un problema e
strofinarsi le mani quando danno un vantaggio". La soluzione per il numero
due del Pd è di "andare avanti sulla riforma del sistema radio-televisivo e sul conflitto di interessi" ma
tenendo "distini questi piani dal tavolo delle riforme". Franceschini
non aggiunge nulla di più. Polito invece va oltre e se la prende con quelle
procure che sembrano diventate dei "dei megafoni. Sui giornaliabbiamo
letto non dei brogliacci, non delle intercettazioni, ma addirittura dei verbali
di interrogatorio quasi in tempo reale, resi neanche venti giorni fa,
come in un vero processo in piazza. Si tratta dell'interrogatorio di Saccà
davanti al pubblico ministero di Napoli". A fronte di questa situazione il
silenzio del leader del Pd appare grave. Polito ricorda che "a Milano, nel
suo discorso di insediamento, Veltroni pronunciò tre volte di seguito la
fatidica frase, basta odio, promettendo anche atti unilateralì per riportare il
conflitto politico in Italia nell'alveo che gli è proprio e per separarlo dalle
indagini della magistratura. Qui -conclude Polito- non solo non si vedono gli
atti, nè unilaterali nè multilaterali, ma non si odono nemmeno le parole".
Infine il senatore del Pd rimarca che "l'interrogatorio pubblicato sui giornali
si conclude con la decisione del Pm di secretare il verbale e con il rifiuto a
rilasciarne copia all'indagato. Tanto, tempo un paio di settimane, l'indagato
avrebbe potuto leggerlo sulla stampa". 23/12/2007.
( da "EUROPA.it" del
23-12-2007)
BANGKOK I fedelissimi del magnate Thaksin, deposto dai
militari nel 2006, sono i favoriti per il voto di domani Il Silvio in salsa thai
colpisce ancora DANIELE CASTELLANI PERELLI Nel capitolo "Asia e
democrazia", la Thailandia scriverà domenica una pagina molto importante.
Il paese del sud-est asiatico andrà alle elezioni generali quindici mesi dopo
il colpo di stato militare che ha rovesciato il governo del discusso tycoon
Thaksin Shinawatra, il cosiddetto "Berlusconi d'Asia", che aveva
stravinto le elezioni del 2001 e del
( da "Voce d'Italia, La" del
23-12-2007)
La Voce d'Italia - nuova edizione anno II n.97 del
23/12/2007 Home Cronaca Politica Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura
Sport Focus Economia Fonti alternative Il centrodestra ed il nucleare Dalla
padella alla brace. Abbiamo visto che nel centrosinistra ci sono personaggi
assai discutibili; nel centrodestra, se possibile, riescono a superarli. In
peggio... Rimini, 23 dic. - è nata una nuova sintonia fra Fini e Casini
caratterizzata dalla risoluzione definitiva del problema energetico (1).
Facciamo finta che la fissione nucleare sia economicamente vantaggiosa (2).
Facciamo finta che il nostro paese sia ricchissimo di uranio e che comunque nel
tempo il suo costo si mantenga competitivo. Facciamo finta che il problema
delle scorie sia risolto. Facciamo finta che una centrale nucleare si possa
realizzare in pochi anni. Facciamo finta che il nostro paese disponga di un
congruo numero di tecnici del settore. Facciamo finta che le grandi società private che dovrebbero occuparsi di questa vicenda
improvvisamente diventino tutte filantrope e pongano gli interessi della collettività prima dei loro. Facciamo finta che i due
personaggi siano pienamente affidabili; che Fini non abbia votato per abrogare
una legge da Lui stesso effettuata e che Casini non abbia conflitti di interessi per i Suoi legami con importanti palazzinari. Non
possiamo fare finta però di due fattori: 1) la presenza di reali alternative;
2) la filosofia generale che deve informare la risoluzione del problema
energetico. Circa il primo va sottolineato che fin da subito si possono
effettuare moltissime attività: - miglioramento dei rendimenti dei sistemi
esistenti; nelle centrali termoelettriche tradizionali, ad esempio, si spreca
troppo; - piena valorizzazione delle risorse rinnovabili, non inquinanti, ecocompatibili
ed autosufficienti economicamente (con severa censura del fotovoltaico acefalo
(3) ed incentivazione alla geotermia); - incentivazione del condizionamento
estivo mediante irraggiamento da pannelli radianti, riducendo così
drasticamente il consumo di energia elettrica rispetto agli attuali
super-obsoleti e ridicoli condizionatori piccoli e grandi; - incentivazione dei
gruppi frigoriferi ad assorbimento; - introduzione dei sistemi CHP fino
all'ambito domestico (4). Bruciare del gas per produrre acqua calda è un atto
irresponsabile; il gas si brucia per produrre elettricità da mettere in rete e
l'acqua calda si ottiene come scarto; presto questi sistemi potranno essere
integrati dai pannelli solari termici e da altri combustibili rinnovabili quali
la legna o il pellet; - finanziamento della ricerca sulla fusione fredda (5).
Chi la nega o è un ignorante o è un truffaldino. è facile a questo punto
scoprire il secondo fattore. La risoluzione del problema energetico deve essere
informata dal “gigantismo” centralizzatore del XX° secolo o deve essere il più
possibile di tipo “distribuito” ed a misura d'uomo? Non c'è dubbio che la
scelta politica deve essere ferrea sulla seconda opzione. Bisogna ammettere che
su questo punto il centrosinistra è più avanti, pur fra mille contraddizioni.
Se invece si vuole fare la fissione nucleare perché anche noi vogliamo la bomba
atomica, bisogna subito verificare la presenza di posti liberi in manicomio. La
“sicurezza” va giocata in ambito europeo, magari nell'Europa dei Popoli. Fini e
Casini ed i loro portaborse hanno perso un'occasione per stare zitti... Lino
Rossi ___________________________________________________ (1)
http://www.ansa.it/ambiente/notizie/
notiziari/energia/20071220162634544230.html (2) http://www.ansa.it/ambiente/notizie/
notiziari/energia/20071220175734544491.html (3)
http://www.voceditalia.it/articolo.asp?id=3903 (4)
http://www.rinnovabili.it/cogenerazione (5)
http://lenr-canr.org/acrobat/DeNinnoAexperiment.pdf.
( da "Liberazione" del
23-12-2007)
Salvati dalle colonne del "Corriere" chiede un
"benevolent dictator" "Democrazia inefficiente, meglio la
dittatura" Uno dei fondatori del Pd lancia l'idea-choc Rina Gagliardi
Esaurita, anzi obsoleta, anzi pericolosa ogni vocazione ad intervenire sugli
squilibri della società, in senso perequativo e redistributivo, allo Stato (e
alla politica) spetta in realtà un unico compito: la repressione. Sia del "disordine" e del conflitto sociale,
eventualmente della criminalità che disturba il business, e degli "interessi particolari": che poi sono tutti quelli che, a loro volta,
infastidiscono il libero dispiegarsi della logica d'impresa - corporazioni, ma
anche e soprattutto lavoratori, e lavoratori organizzati in specie. Una
società così modellata può ancora pensarsi come democratica? Sia pure con tutti
i limiti della nostra acciaccatissima democrazia rappresentativa? Certo che no.
Per quanto forti siano gli attuali poteri forti, per quanto grande (enorme) sia
il loro potere di condizionamento, l'Italia dispone pur sempre di alcuni e
rilevanti anticorpi all'ipotesi di ridurla ad una società-azienda, ed a uno
Stato che funziona esclusivamente come "comitato d'affari della
borghesia". Tra questi anticorpi c'è, giust'appunto, un sistema politico
democratico, anch'esso certo in crisi galoppante, che però resta fondato sulla
libertà di voto, sul consenso necessario per governare, al centro e nei
territori, sul ruolo di controllo e sorveglianza delle istituzioni
parlamentari, insomma su alcuni poteri della politica, per altro sempre più
deboli, inestricabilmente connessi con alcuni diritti fondamentali dei
cittadini. Ma è proprio su questo che Salvati eccepisce: "ci sono
problemi" scrive testualmente "difficilmente trattabili in
democrazia". E sono i problemi più importanti, che richiedono soluzioni
"impopolari" e di "lunga lena": il governo che le
adottasse, uscirebbe sicuramente bocciato dagli elettori, tutti egoisti, tutti
miopi, o tutti incapaci (il classico "popolo bue") di capire davvero
in che cosa consiste l'interesse superiore - il bene vero del paese. E quindi?
Quindi, l'unica soluzione possibile dell'aporia è il vecchio nodo gordiano: se
interesse del paese (cioè della borghesia) e pratica della democrazia non
coincidono e anzi confliggono, basta tagliare uno dei corni dilemmatici - il
secondo. Eliminarlo, o lobotomizzarlo, o sterilizzarlo. Altro che proporzionale
o maggioritario, altro che riforma elettorale. L'unica buona riforma
elettorale, secondo Salvati, è quella che inibisce le elezioni ("gli
slogan populistici e delegittimanti") e consegna tutto il potere politico
alle "élites politiche" (?) illuminate: ovvero, l'incarnazione
attuale del benevolent dictator. Amen. Se il vero atto di nascita del Partito
Democratico, a detta del suo leader Walter Veltroni, è stato il decreto di
espulsione dei romeni, questa scoperta della bontà della dittatura getta
un'ulteriore luce sull'identità effettiva - a torto considerata generica ed
ecumenica - del nuovo ircocervo. *** Il fatto è che, contrariamente a quel che
fu detto nel corso della "grande ubriacatura" dell'89, capitalismo e
democrazia non costituiscono, nient'affatto, una coppia organica, e men che mai
indissolubile. "Fra sviluppo capitalistico e democrazia" ebbe a
scrivere Rosa Luxemburg nel lontano 1898, nel pieno della così detta prima
globalizzazione dell'economia "non può esser stabilito alcun rapporto
generale assoluto?Il liberalismo è diventato superfluo, nella sua essenza, per
la società borghese in quanto tale, ed oggi, sotto altri aspetti, esso è
diventato addirittura un impedimento?a causa di due fattori, la politica
mondiale e il movimento operaio?". Oggi, la globalizzazione capitalistica
(e la sua crisi) inducono effetti analoghi a quelli di cui parlava Rosa: la
corsa al riarmo, la guerra, la competizione mondiale sempre più sfrenata. Con
una conseguenza quasi identica: l'insofferenza borghese per i "costi"
della democrazia e della politica, il divorzio ormai celebrato tra borghesia e
liberalismo. Come allora, una parte ampia, anzi maggioritaria, della sinistra
si lasciò abbacinare dalle sirene della nuova fase di sviluppo. Ma come allora,
"il movimento operaio e socialista è e può essere l'unico punto di
appoggio della democrazia. Non i destini del movimento socialista sono legati
alla democrazia borghese, ma piuttosto i destini dello sviluppo democratico
sono legati al movimento socialista" (Rosa Luxemburg, 1898). Non è anche
per questo che una nuova sinistra è diventata una necessità irrinviabile?
23/12/2007.
La crisi della
Rai raccontata da dentro A proposito della situazione
della Rai durante l&# ( da "Stampa, La"
del 15-12-2007)
Libertà e giustizia: che brutto paese colpisce il silenzio del
centrosinistra (
da "Repubblica, La" del 15-12-2007)
Tre poteri separati e ben squilibrati ( da "Corriere della Sera"
del 15-12-2007)
Trattare con
Silvio? Sì, è imbarazzante ( da "Manifesto, Il"
del 15-12-2007)
Consulenze
d'oro, risultati zero ( da "Libero"
del 15-12-2007)
Porto, la
ferita aperta (
da "Giornale.it, Il" del 15-12-2007)
Profumo accusa:
troppi conflitti d'interesse nei giornali (
da "Unita, L'" del 16-12-2007)
Due consigli
per le banche ( da "Unita, L'"
del 16-12-2007)
"Un
conflitto d'interessi Non c'è stata trasparenza ma
solo scelte clientelari" ( da "Stampa, La"
del 16-12-2007)
Perché alla regione il tempo si è fermato - nino alongi ( da "Repubblica, La"
del 16-12-2007)
Il dramma torinese e le multinazionali ( da "Corriere della Sera"
del 16-12-2007)
In una intervista alla Stampa teorizza di tornare alla ricetta
dell'editore puro ( da "Liberazione"
del 16-12-2007)
Lunedì il Csm
decide la sorte di De Magistris ( da "Opinione, L'"
del 17-12-2007)
"Il 2008?
Sarà l'anno delle mie riforme" (
da "Opinione, L'" del 17-12-2007)
Malapolitica,
ne parliamo con Antonello Caporale (
da "Voce d'Italia, La" del 17-12-2007)
"Voglio i
soldi per la scorta a Tronchetti" (
da "Stampa, La" del 18-12-2007)
Convivere con
la censura ( da "Unita, L'"
del 18-12-2007)
MILANO -
Unicredit assume con l'Antitrust lo stesso tipo di impegno
preso da ( da "Messaggero, Il"
del 18-12-2007)
A gennaio, la Sinistra e i nodi di governo ( da "Liberazione"
del 18-12-2007)
( da "Stampa, La" del
15-12-2007)
La crisi della Rai raccontata da dentro A proposito
della situazione della Rai durante l'ultimo governo di centrodestra, finalmente
sta emergendo che l'ostracismo a Biagi, Santoro e Luttazzi era solo la punta
dell'iceberg, fatto in sé gravissimo ma anche un chiaro avvertimento a quanti
non intendevano accettare il nuovo corso. In quel periodo il vero controllo fu
esercitato a livello industriale, sulle strutture operative in grado
d'intervenire sulla competitività dell'azienda e i dirigenti che non si allineavano
venivano emarginati; ne so qualcosa io che dirigevo la struttura industriale
più grande della Rai - la produzione - e che fui immediatamente rimosso
dall'incarico, sebbene nella delibera del Consiglio d'amministrazione che mi
defenestrava mi si riconoscesse una grande professionalità. Saccà, che mi
giubilò, mi confessò anni dopo che fu una delle decisioni più "dolorose e
sgradite" della sua carriera. Peccato che la decisione spettasse solo a
lui, in qualità di direttore generale e che sopra di lui, teoricamente, non ci
fosse nessuno. L'allora presidente Baldassarre mi spiegò che contro di me non
c'era nulla di personale né di professionale, in quanto le mie capacità erano
unanimemente riconosciute dall'azienda, e soprattutto nulla di politico. Resta,
mi pare, ma non vorrei fare il processo alle intenzioni, la mia ferrea volontà
di difendere il servizio pubblico anche nei suoi interessi
materiali. Il controllo industriale ha consentito, tra l'altro, l'avvio di un
digitale terrestre più mirato forse a salvare Rete4 che a modernizzare il
Paese, ma questa è una storia lunga. Quando tu eri presidente Rai e io uno dei
tuoi assistenti abbiamo cercato di ripristinare un minimo di garanzie sulla
gestione dell'azienda e sulla sua organizzazione, ma i numeri nel Cda erano
contro di noi e abbiamo fallito. Avremmo potuto ottenere di più? E se è così,
dove abbiamo sbagliato? MAURIZIO ARDITO TORINO Questa
lettera contiene un evidente conflitto d'interesse per me, che del resto è
stato chiaramente esposto anche da chi scrive: dopo essere stato giubilato,
come lui racconta, Ardito fu ripreso in presidenza Rai dal 2003 al 2004. Non
risponderò dunque alle sue domande, perché significherebbe rubare spazio al
giornale per un dialogo a due. Ma pubblico ugualmente la lettera: Ardito,
infatti, ben prima di lavorare con me pochi mesi, ha trascorso una vita in Rai.
Ingegnere, è stato direttore del Centro produzione ed è insomma uno di quei
tanti dirigenti che, senza nessuna visibilità, costituiscono l'"oro"
della Rai. Ardito è anche un torinese e ha diretto a lungo anche il Centro
produzione di questa città. Oggi è in pensione, un prepensionamento da lui
stesso voluto per sganciarsi da una situazione irrisolvibile. Per questo
pubblico: Maurizio Ardito è uno dei molti esempi di cosa significhi la crisi di
un'azienda.
( da "Repubblica, La" del
15-12-2007)
La polemica Libertà e Giustizia: che brutto paese
colpisce il silenzio del centrosinistra ROMA - "Che brutto paese che siamo
diventati". è quanto scrive Sandra Bonsanti sul sito di Libertà e
Giustizia dopo aver letto gli articoli di D'Avanzo sull'inchiesta napoletana. "Quello
che impressiona non è tanto l'ennesima conferma di quanto sia caduta in basso
la cultura politica italiana - dice - quanto il silenzio e l'imbarazzo del
centrosinistra e del governo rispetto alla possibilità che esistano le prove
sia del tentativo di corruzione di senatori, sia di quanto
sia profondo il marcio costituito dalla mancata soluzione del conflitto di interessi e di adeguate leggi sulla tv pubblica". L'esponente di
L&G è convinta che il dialogo sulle riforme "non deve ritardare
l'approvazione di quelle regole invocate ormai dal '93-'94".
"Vogliamo esser normali, ma non lo siamo. E non basta un incontro
con Berlusconi a cambiare la situazione". Resta, quindi, "da capire
quanta voglia ci sia nel nuovo partito che guarda al domani di non fare orecchi
da mercante".
( da "Corriere della
Sera" del 15-12-2007)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Opinioni - data:
2007-12-15 num: - pag: 48 categoria: BREVI Tre poteri separati e ben
squilibrati S ilvio Berlusconi è nuovamente indagato, mentre i due magistrati
(Clementina Forleo e Luigi de Magistris) che indagavano su personalità del
centrosinistra sono stati censurati dal Consiglio superiore della magistratura.
Ma non penso - a differenza di Berlusconi - sia il (supposto) colore politico
delle toghe a motivare le indagini nei suoi confronti. Anche questa indagine,
ne sono convinto, si risolverà secondo Giustizia. Sono, invece, dell'opinione
sia un tacito "patto di non aggressione" fra la corporazione dei
magistrati e i partiti della sinistra a spiegare i casi Forleo e de Magistris.
La sinistra non farà mai una seria riforma del sistema giudiziario e la
magistratura avrà sempre per essa un occhio di riguardo. In Italia, c'è
separazione ma non equilibrio fra i tre poteri dello Stato: Parlamento,
governo, ordine giudiziario. La separazione sta nella Costituzione;
l'equilibrio dipende dalla contrattazione fra i poteri. Il meccanismo di pesi e
contrappesi - ciascun potere fa da contrappeso all'altro - è saltato. Ogni
potere è una monade, all'interno della quale fa quello che gli pare. Parlamento
e governo ricorrono alla legislazione per farsi le leggi che più convengono
alla maggioranza del momento, contro i principi universali del Diritto. La
Corte costituzionale - che avrebbe il compito di valutarne la legittimità - ne
asseconda, secondo i suoi critici, le posizioni politiche. La corporazione dei
magistrati difende i propri interessi negoziandoli con Parlamento e governo. L'ordine giudiziario ne
diventa lo strumento di pressione quando entra in conflitto con gli altri due
poteri. A molti osservatori era parso inspiegabile il richiamo del presidente
della Repubblica, e del Consiglio superiore della magistratura, "a non
inserire in atti processuali valutazioni e riferimenti non pertinenti e
chiaramente eccedenti rispetto alle finalità dei provvedimenti ".
La richiesta della Forleo al Parlamento di poter utilizzare le intercettazioni
telefoniche di Fassino, D'Alema e Latorre era - a giudizio di molti giuristi -
ineccepibile sotto il profilo formale. Non credo di mancare di rispetto alla
figura istituzionale del presidente della Repubblica - che a me pare farisaico
continuare a ritenere, chiunque egli sia, una sorta di Immacolata Concezione al
di sopra delle parti politiche - se dico che, più di una giusta raccomandazione
tecnica, le sue parole, a me (e non solo a me) sono parse un messaggio
politico. L'accusa successiva del Procuratore generale della Cassazione alla
Forleo di comportamento "abnorme " e la decisione del Csm di avviare
una procedura per il suo trasferimento avvalorano l'impressione che la vera
colpa della Forleo - a parte le sue comparsate televisive, queste, sì, da
censurare - sia di non essere stata ai patti. Lei e de Magistris avrebbero
creduto di essere dei magistrati; erano solo le pedine di un gioco politico. I
media avevano massacrato i Ds. Il Csm li ha difesi. Giustizia - " famola
strana ", direbbe il personaggio di Carlo Verdone - è fatta. La domanda, a
questo punto, è: siamo ancora uno Stato di diritto? postellino@corriere.it \\
Sono saltati pesi e contrappesi tra Parlamento, governo e sistema giudiziario.
( da "Manifesto, Il" del
15-12-2007)
Ferrero "Proporzionale per ricostruire la
sinistra" Il ministro: "Recuperare la dimensione di classe"
Trattare con Silvio? Sì, è imbarazzante Vicenza? Non mi basta Napolitano. Il
governo ha fallito. Pronto a dimissioni se la verifica va male Andrea Fabozzi
E' ancora dei morti della Thyssen, dei funerali "di classe" ai quali
ha partecipato a Torino che il ministro della solidarietà sociale Paolo
Ferrero, Rifondazione, vorrebbe parlare. Ha ricavato la convinzione che la
sinistra politica ormai "galleggia sulle dinamiche sociali".
"Operai senza politica", dice il ministro, preoccupato che la
"Cosa rossa" finisca con l'essere "solo un processo di
unificazione della rappresentanza" mentre il problema è "se riesce a
ricostruirsi dentro la condizione proletaria". Ma riuscirci dal governo, o
almeno da questo governo, sembra una sfida impossibile. E' difficile perché
dagli operai ci viene una domanda di efficacia, non solo una domanda di stare
dalla loro parte. Vogliono vedere cosa si porta a casa su sul salario. E'
un'esigenza anche nostra per tornare ad essere interni a quella composizione di
classe. Oggi siamo troppo attenti, e lo dice un ministro, al meccanismo della
rappresentanza, ma la politica avviene almeno ad un altro livello: la
costruzione di una soggettività autonoma di classe. Qui siamo drammaticamente
in ritardo. L'efficacia, non è lo stesso problema che avete con i movimenti?
Voi ministri della sinistra avete scritto una lettera chiedendo la moratoria
rispetto alla base di Ederle, vi ha risposto picche Napolitano da Washington. E
oggi a Vicenza rischiate i fischi. Non è la stessa cosa perché con i movimenti
c'è una dinamica politica, e banalmente se noi fossimo all'opposizione questo
problema non ci sarebbe. Invece il rapporto con con il proletariato è più
complicato, anche se fossimo all'opposizione avremmo il problema esattamente
identico. Proprio perché siamo una sinistra, siamo un partito che rischia di
rimanere esterno alle dinamiche della classe in quanto tale. Il raddoppio della
base di Vicenza continuo a giudicarlo un errore grave del governo e la risposta
di Napolitano non è quella che mi interessa, abbiamo scritto a Prodi e deve
risponderci lui. Basterà la verifica di governo che chiedete a gennaio per
rimettere la sinistra sulla strada della sua base sociale? Quella verifica avrà
al centro le questioni sociali, il reddito, il fisco, la sicurezza sul posto di
lavoro, gli orari. E l'immigrazione che rappresenta un altro pezzo di
proletariato, molto diverso e con ulteriori elementi di separatezza. E se la
verifica va male è pronto a dimettersi? E' evidente che non si può stare in un
governo che fa le cose sotto dettatura di Dini. Non è per quello che abbiamo
preso i voti e devo dire nemmeno l'Unione. A proposito, che fine ha fatto la
consultazione dei militanti alla quale avevate deciso di affidare la permanenza
di Rifondazione al governo? Rimane e i dirigenti del partito ci stanno
lavorando, puntiamo a farla se possibile come consultazione di tutte le forze
di sinistra. Ma con il resto della sinistra arcobaleno proprio Rifondazione sta
rompendo avendo scelto di seguire Veltroni e Berlusconi sulla strada della riforma
elettorale. Non è così, sono molto d'accordo con il segretario del mio partito
Giordano che ha spiegato l'importanza di far partire la discussione, altrimenti
si finisce al referendum. E' una valutazione che può essere discutibile ma al
momento noi diciamo solo: 'bene che si sia cominciato a discutere'. Vogliamo
andare a un modello di tipo tedesco, per cui la bozza Bianco così com'è non è
votabile. Servono due modifiche pregiudiziali: il doppio voto e il recupero
nazionale dei resti. Dunque penso che gli elementi di contrasto a sinistra, che
effettivamente oggi sono molto forti, si possano ridurre. Perché la nostra è
una posizione politica, non dettata da egoismo di partito. Scegliamo il
proporzionale dentro un processo unitario, non ci stiamo preoccupando solo di
piazzare l'asticella dove va bene a Rifondazione. L'obiezione è che con lo
sbarramento sareste in condizioni di imporre l'unità, non di offrirla. Chi ha
spinto per il processo unitario siamo noi, non abbiamo mai fatto i furbi.
Rendiamoci conto che il sistema bipolare non ci mette in condizione di
rispondere ai drammi sociali con la forza e la rapidità che servirebbero.
L'abbiamo verificato e io toccato con mano in questo anno e mezzo. La
ricostruzione della sinistra in termini strategici oggi deve passare per un
grado di autonomia elettorale che il proporzionale assicura, altrimenti quando
vai a governare assieme alla sinistra moderata non fai altro che costruire le
condizioni perché ritornino le destre non riuscendo a fare quello che devi.
Stai parlando dunque di ritorno all'opposizione, è a questo che serve il
sistema proporzionale più che alla autonomia elettorale? Non necessariamente.
Anzi sarebbe auspicabile riuscire a trovare un'intesa con il Pd. Ma bisogna
mettersi in condizione di poter scegliere. No all'accordo obbligato in nome del
pericolo di destra, no al governo coatto. Oggi la situazione richiederebbe
scelte profonde e radicali che questa coalizione non è in grado di fare, anche
al di là di Dini. La ricostruzione della sinistra, che per me è l'aspetto
politico del problema della ricostruzione del movimento operaio, passa dal
sistema proporzionale. E' il "fallimento del centrosinistra" di cui
ha parlato Bertinotti? Rispetto alle aspettative che aveva suscitato è evidente
che questo governo ha fallito. Ma non imbarazza avere Berlusconi come
interlocutore privilegiato? Trattare con Berlusconi mi imbarazzerebbe
moltissimo. Ma la legge elettorale è una questione di stretta competenza del
parlamento, e in parlamento c'è anche Berlusconi con il suo conflitto di interessi e la sua capacità corruttiva di cui stiamo avendo
prova. Il conflitto di interessi c'è e resterà visto
che il centrosinistra ha dimenticato la legge. E' uno dei problemi di questa
maggioranza.
( da "Libero" del
15-12-2007)
Roma 15-12-2007 Consulenze d'oro, risultati zero M.
Maselli NATALIA ALBENSI Settecento mila euro di consulenze pagate, ma nessun risultato
raggiunto. È questa la storia della vendita del patrimonio immobiliare delle
Asl. Infatti, nonostante una legge votata lo scorso anno nella Finanziaria
regionale stabilisse la vendita degli immobili appartenenti alla Comunione
delle Asl "al fine di pervenire all'azzera mento del disavanzo
sanitario", fino ad oggi, in questo senso, non è stato fatto nulla. Gli
immobili non sono stati venduti, e, di conseguenza, la regione non ha
incassato. Nel frattempo, però, la Comunione delle Asl, che gestisce il
patrimonio immobiliare delle aziende sanitarie, ha deciso di affidare a
professionisti esterni consulenze per centinaia di migliaia di euro. Ben 150
mila euro all'anno destinate a un avvocato del Foro di Bologna e a una
commercialista, sempre con studio a Bologna, per consulenze stragiudiziali di
assistenza e per la revisione e la ristrutturazione contabile. A chiedere
immediata chiarezza sulla situazione inerente la mancata vendita degli immobili
appartenenti alle Asl e sugli incarichi di consulenza professionali affidati
all'ester no, è stato il capogruppo dell'Udc alla Pisana, Massimiliano Maselli.
Il consigliere chiede spiegazioni innanzitutto sul perché siano state scelte
due consulenti che lavorano in un'altra città piuttosto che due professionisti
della nostra regione. E non solo. "È stato dato un incarico all' avvocato
Maria Rosaria Russo Valentini, che gode di varie consulenze
nelle singole aziende sanitarie e sembra avere anche un conflitto di interessi, visto che lavora sia per le aziende che per la Comunione, e nel
frattempo difende anche alcuni soggetti che sono in causa proprio con le
aziende sanitarie", spiega Maselli. Che fa poi riferimento a una società
regionale, la RisorSa s.r.l., deputata alla gestione dei patrimoni
immobiliari, e sopravvissuta, tra l'altro, al taglio delle società partecipate
avviato la scorsa estate, che di fatto sembra essere stata esclusa dalla questa
vicenda. "Perché Nieri sta mettendo da parte RisorSa s.r.l.? A chi vuole
fare gestire queste vendite? A questo punto", conclude Maselli, "mi
chiedo dove siano il risparmio e la trasparenza di cui parla tanto da quando si
è insediato". Salvo per uso personale è vietato qualunque tipo di
riproduzione delle notizie senza autorizzazione.
( da "Giornale.it, Il" del
15-12-2007)
Di Redazione - sabato 15 dicembre 2007, 07:00 (...) al
Partito Democratico) abbiano quella comprovata esperienza nella materia marittima
logistico portuale richiesta come presupposto essenziale dalla legge. La città
vuole vedere i curricula, conoscere i programmi e le competenze specifiche, non
è disponibile ad accettare che si decida tutto nelle segrete stanze di un
partito. Ci domandiamo inoltre perché nessuno abbia fatto un bilancio della
stagione dei presidenti nominati dal centro-destra, in cui hanno prevalso il
profilo manageriale aziendalistico operativo sul profilo politico burocratico.
Siamo proprio sicuri che le presidenze Zacchello, Montanari, Moscherini, Novi,
Bonicciolli e Canavese, alcune delle quali ancora in piena attività, siano
tutte da buttare? È l'ora di sottolineare la necessità di una riforma
legislativa in quanto i compiti richiesti al Presidente dell'Autorità Portuale
sono troppo vasti e difficilmente concentrabili in un'unica persona (non si può
essere Buffon e Totti nello stesso giocatore) e, quel che è peggio, il
Presidente deve attenersi a normative che fanno a pugni con il bisogno di
decisioni veloci ed efficienti (prima fra tutte l'impossibilità di gestire un
comitato portuale di trenta persone la cui metà è in palese
conflitto di interessi con una politica portuale a vantaggio della Città e del Paese).
È certamente importante ricordare che il Giappone, che ha una struttura
economica simile alla nostra (importazione di materie prime e esportazione di
prodotti finiti), ha completamente liberalizzato tutto il sistema portuale per
rispondere ai cambiamenti della globalizzazione. Allora si decida alla
luce del giorno e si spieghi perché si vuole tornare indietro alla nomina
politico-burocratica e non si preferisce, in una logica di continuità,
correggere gli aspetti nei quali, i predecessori, avessero eventualmente
deluso. In tal senso, il mondo delle categorie imprenditoriali genovesi, se non
vuole essere corresponsabile di tale situazione, deve compiere un atto di
coraggio ed uscire dal vecchio sistema. Non perdiamo, però, quest'altra e forse
ultima occasione. I genovesi non sentono nessun bisogno di investire su un
veneziano (e ci auguriamo che in futuro non dimenticheranno lo schiaffo
ricevuto dal sindaco Vincenzi che non ha trovato, tra i propri concittadini,
nessuna candidatura all'altezza); investiamo su un nostro concittadino che
abbia il centro della sua attività (produttiva e realmente professionale) e -
perché no? - anche dei suoi affetti, in città così ad essa sarà più legato ed
anche più impegnato nell'esercizio del suo lavoro.
( da "Unita, L'" del
16-12-2007)
Stai consultando l'edizione del EDITORIAL'amministratore
delegato di Unicredit: "L'azionista ideale di una società di media è chi
fa solo quel mestiere" Profumo accusa: troppi
conflitti d'interesse nei giornali Marco Tedeschi "Andrebbero tagliati i
rapporti tra chiunque svolge attività economica e l'editoria". È quanto
afferma in un'intervista a La Stampa, l'ad di Unicredit Alessandro Profumo. Una
dichiarazione che arriva proprio nel momento in cui la banca ha annunciato la
propria disponibilità a uscire da Rcs. "Noi siamo un soggetto
economico - spiega Profumo nell'intervista -. L'azionariato ideale di una
società di media è composto da soggetti che fanno solo quel mestiere. Penso che
un giornale debba avere il massimo dell'indipendenza ed essere fatto per i
lettori, così da avere il massimo successo economico". Una dichiarazione
che, con inevitabili venature polemiche, sembra guardare al "resto"
del patto di sindacato che governa Rcs nel quale prosperano bei nomi
dell'imprenditoria: dall'ultimo padrone di Milano, Salvatore Ligresti,
l'immobiliarista, a Mediobanca. Partendo proprio dal 9,37% di Mediobanca
ereditato dalla fusione con Capitalia, come peraltro annunciato da tempo,
Unicredit ha avviato una campagna di dismissioni rilevanti. Il perfezionamento
dell'operazione è atteso per domani e Piazza Cordusio potrà mettere in cascina
una plusvalenza di 549 milioni di euro. Quanto agli altri dossier, entro l'anno
si dovrebbe chiudere il capitolo Fiat, con una nuova ricca plusvalenza,
nonostante i capricci del titolo in Piazza Affari nelle ultime settimane,
rispetto alla sottoscrizione avvenuta in epoca pre-Marchionne con il
prestito-ponte che aveva consentito il salvataggio del Lingotto. Con il nuovo
anno, invece, sarà la volta di Rcs. In questo caso è scattata la procedura di
prelazione da parte dei soci aderenti al patto di sindacato e, come ha spiegato
Giuseppe Lucchini, che all'interno del salotto di via Rizzoli rappresenta
Sinpar, non vi sono dubbi che la risposta da parte dei pattisti sarà
collegiale. A chi gli chiedeva se Sinpar fosse interessata a rilevare la
propria quota di pertinenza in Rcs, Lucchini ha infatti replicato di ritenere
che "lo faranno tutti". Diverso è il discorso per Fiat. Qui Piazza
Cordusio era entrata nel settembre del
( da "Unita, L'" del
16-12-2007)
Stai consultando l'edizione del Due consigli per le banche
Angelo De Mattia Mediobanca, come altre banche, ha all'esame la risposta alla
consultazione pubblica promossa dalla Banca d'Italia sulla bozza di
disposizioni di vigilanza in materia di governo societario degli istituti di
credito. Con la fine di novembre è scattato il termine, che però non è
perentorio, di conclusione della consultazione. Le progettate disposizioni,
conseguenti alla riforma del diritto societario, riguardano la governance delle
banche, con particolare riferimento al modello duale, cioè l'assetto di vertice
composto di due organi, consiglio di sorveglianza e consiglio di gestione.
Questa materia non è solo destinata agli addetti ai lavori. Riguardando
innanzitutto la funzionalità degli organi, il bilanciamento dei relativi
poteri, il contraddittorio dialettico tra i rispettivi titolari, la prevenzione delle commistioni e dei conflitti d'interesse, il
corretto rapporto tra proprietà, gestione e manager, è materia che si riflette,
in ultima analisi, sul modo di decidere e di operare della banca, sulle sue
strategie, sulle sue relazioni con la clientela: insomma, su tutto ciò che
dell'azienda di credito vede il normale cittadino; più in generale,
sulla tutela del risparmio. La governance duale - con il consiglio di
sorveglianza preposto al controllo e alla supervisione strategica, e il
consiglio di gestione, cui spetta l'operatività - è stata adottata da diverse
banche, in luogo della governance monistica (il solo consiglio di
amministrazione); ha consentito di affrontare bene la costruzione delle nuove
entità a seguito delle aggregazioni che hanno interessato diversi istituti, e
di definire in maniera equilibrata il rapporto tra azionisti, loro presenza nel
consiglio di sorveglianza, e il consiglio di gestione, con funzioni separate e
distinte. Il duale deve comunque ritenersi ancora in fase sperimentale. Intanto
tra correzioni, messe a punto e prescrizioni interviene l'ipotesi, che si
estende anche al sistema monistico, di istruzioni Bankitalia. Esse mirano ad
esaltare la funzione dialettica dei due organi del duale, a impedire
commistioni per esempio nella gestione delle partecipazioni, a limitare la
proliferazione di cariche affini nelle banche minori, a disciplinare il sistema
delle deleghe conferibili, nonché la nomina dei consiglieri indipendenti, la
materia dei controlli, i tetti per la remunerazione di alcune cariche. In
questo quadro sono fissate linee applicative distinte per il monistico e per il
duale. Fra queste ultime, il divieto per il presidente del consiglio di
sorveglianza di partecipare alle riunioni del consiglio di gestione o di
presiedere il comitato di controllo interno ovvero, ancora, di ricoprire
cariche nel consiglio di amministrazione o nel consiglio di gestione di società
controllate o collegate. È poi fissata una serie di limitazioni e di
specificazioni sia per il duale sia per il monistico (per esempio sui
componenti degli organi a seconda che siano "esecutivi" o no). Poiché
lo scopo di una consultazione pubblica, in armonia con gli indirizzi europei e
con la legge sulla tutela del risparmio, è quello di esaminare le reazioni
innanzitutto dei soggetti interessati, eventuali osservazioni e pareri difformi
su determinati aspetti non dovrebbero suscitare alcuna apprensione. Tanto più
perché si tratta, nel caso di specie, di una materia nuova e complessa che si
caratterizza per il fatto che il duale, dopo i primi tentativi degli anni
Ottanta poi abortiti, è entrato per la prima volta nel sistema bancario solo
nel 2006. Del resto, nella tradizione della Banca d'Italia vi è sempre stato un
ampio coinvolgimento di esperti, come è avvenuto più volte con il fior fiore
della cultura giuridica, in occasione per esempio delle riflessioni
sull'ordinamento della banca pubblica, sulla predisposizione del testo unico
bancario etc. Il documento dell'Istituto di via Nazionale ha il merito di
affrontare compiutamente tutte le diverse problematiche che possono insorgere
nel funzionamento degli organi societari. E si segnala così l'attenzione forte
che su questo punto nodale della vita delle banche - il governo societario
appunto - l'Istituto è venuto via via concentrando, quasi a fargli prendere il
posto, ai fini della stabilità e della sana e prudente gestione, che nei
lontani anni avevano i procedimenti autorizzativi relativi all'operatività. Una
vigilanza che, insomma, sposta progressivamente la sua ottica concentrandola
nei momenti chiave della capacità decisionale delle banche, senza naturalmente
ingerirsi o supergestire. Si stabiliscono, dunque, dei binari perché i
banchieri governino in modo corretto, trasparente, scevro di conflitti
d'interesse e di incompatibilità. Detto ciò, va pure rilevato che sarebbero
preferibili disposizioni più incisive, secondo una più comprensibile tecnica
normativa che separi motivazioni e presupposti da prescrizioni e sollecitazioni
(espungendo "il troppo e 'l vano", come dice il Poeta). Ma, quel che
più conta, vi è una domanda da formulare: quanto è possibile disporre attivando
i poteri regolamentari - fonte normativa subordinata - derivanti dal testo unico
bancario per derogare, in alcuni casi, alle norme primarie del diritto
societario? Per esempio, per limitare la partecipazione dei membri del
consiglio di sorveglianza alle sedute del consiglio di gestione, considerato
che la legge conferisce questa facoltà a tutti indistintamente i membri
costituenti il primo consiglio? Alcune prescrizioni risalgono chiaramente ai
poteri di vigilanza regolamentare: si ritiene che sia possibile derogare alle
fonti primarie quando il consiglio di sorveglianza, oltre ad avere compiti di
controllo, ha anche attribuzioni in materia strategica? Basta, a tal fine,
ricollegarsi al generale principio della sana e prudente gestione per
legittimare le limitazioni? Che, per esempio, non sono previste per il collegio
sindacale versus il consiglio di amministrazione. Non è qui in questione tanto
il merito delle disposizioni - anche se in alcuni i casi i perché di una scelta
potrebbero essere fondatamente avanzati, come per i limiti alle presenze negli
organi delle imprese partecipate da banche - quanto il poter conseguire la
certezza della copertura della norma superiore, in difetto di che anche le più
sagge istruzioni potrebbero soffrirne. E, poi, sussistono sempre
proporzionalità e adeguatezza per le limitazioni e i controlli posti a carico
della governance delle banche minori? Infine, è da escludere che il
funzionamento del duale, che finora ha presentato anche dei problemi, come
accennato prima, sia ancora sotto osservazione, prima di trarne definitivamente
tutte le conclusioni? Ciò non toglie nulla all'importanza e all'efficacia del
lavoro di predisposizione normativa svolto e a quelle che certamente avranno
gli ulteriori interventi, una volta vagliati i risultati della consultazione.
( da "Stampa, La" del
16-12-2007)
L'accusa: il senatore Malan "Un
conflitto d'interessi Non c'è stata trasparenza ma solo scelte clientelari" Il
senatore Lucio Malan ha inviato al ministro dell'Interno e per le riforme e le
innovazioni nella Pubblica Amministrazione un'interpellanza con la quale lo
sollecita ad intervenire e fermare questo modus operandi. Come ha preso
il via questa sua azione? "Sono stato informato dai consiglieri Alida
Revel e Stefano Drago, mi sembra che siamo davanti ad un comportamento che
provoca un grave danno alle casse del Comune di Pinerolo e per questo è
necessario un intervento". Nella sua interpellanza lei solleva anche il
problema che ad amministrare questa società voluta dal Comune sia stato messo
un dirigente del Comune stesso. "L'amministratore unico si trova in una
posizione di conflitto di interessi, essendo
responsabile dell'ufficio le cui carenze rendono necessario avvalersi di una
società esterna. Nella mia interrogazione ho scritto che è evidente che meno
l'Ufficio Entrate è stato efficiente nel riscuotere i tributi, più la Sistemi
Territoriali incassa, senza alcun rischio di impresa e senza dover svolgere il
più piccolo lavoro, una volta affidato il tutto ad una società di fiducia
(Azienda Sviluppo Multiservizi) e di pari orientamento politico". Oltre
all'interpellanza lei come pensa di affrontare la questione? "So che se ne
parlerà anche nell'ambito del programma di Rai 3, "Ballarò", ma nello
stesso tempo intendiamo organizzare a Pinerolo degli incontri per rispondere a
tutte le domande". Sono molti i Comuni che non potendo gestire in proprio
il problema dell'evasione fiscale, a causa della finanziaria che blocca le
assunzioni, si affidano a società esterne: il caso di Pinerolo non rientra fra
questi? "Qui la vicenda è diversa, si sono adottati escamotage per evitare
le gare d'appalto. E' mancata la trasparenza, anche se queste cose sono state affrontate
in Consiglio comunale. Come cittadino, prima ancora che come politico, trovo
inaccettabile il meccanismo messo in atto dal comune di Pinerolo". \.
( da "Repubblica, La" del
16-12-2007)
Pagina XIII - Palermo Perché alla Regione il tempo si è
fermato NINO ALONGI (segue dalla prima di cronaca) La cronaca, come si
evidenzia da questo piccolo spaccato del Paese, ci offre ogni giorno notizie
più o meno interessanti e più o meno allarmanti, ma che hanno tuttavia una
comune matrice: da anni sono sempre le stesse. Mutano in alcuni casi i luoghi e
i protagonisti, ma la sostanza non cambia. è come se il tempo, in Italia e
nell'Isola, si fosse fermato. Gli scenari in sequenza, che scorrono sui mezzi
d'informazione, si ripetono come gli spot pubblicitari. Colpisce il generale
adattamento delle persone. Una intera nazione vive e si comporta ormai come se
avesse perduto la memoria. è una situazione allucinante. Ma forse è bene che
sia così. Se provassimo a riflettere sul fascio di informazioni che si
ricevono, ci sarebbe da stare poco allegri. Si scoprirebbe facilmente, ad
esempio, che il clima di generale sospensione che si respira in questo periodo
alla Regione, non è poi così diverso dall'atmosfera che si viveva negli stessi
luoghi quando nel Paese iniziò, nel 1992, la stagione inquieta di "Mani
pulite". Lo stesso discorso potremmo fare per quanto riguarda le riforme.
Lo ricordano i più anziani. Si è iniziato a parlare di questi argomenti con il
primo governo Craxi, nel lontano 1983. Da allora non abbiamo smesso, si sono
elette commissioni parlamentari ad hoc, si sono pronunciati discorsi
impegnativi, costruite alleanze e presentati estesi programmi, ma senza mai
fare un passo avanti. E ancora: imperterriti ci scandalizziamo ogni volta che
parliamo del mancato sviluppo del Mezzogiorno o ci commuoviamo per il
quotidiano stillicidio di morti sul lavoro. Sappiamo benissimo che non abbiamo
mai provato a rimuovere le cause vere che nel secondo Dopoguerra hanno
ritardato lo sviluppo del Sud e sappiamo altrettanto bene che, esaltando il
profitto, deliberatamente abbiamo messo a rischio buona parte del lavoro nei
cantieri e nelle fabbriche. Le stesse diatribe tra l'ex presidente del
Consiglio e i giudici, come dovremmo ricordare, non hanno niente di
estemporaneo. Sono legate alla crisi della giustizia e al
conflitto di interessi che non si sono voluti o non si sono saputi affrontare
seriamente in tutti questi anni. E, infine, le targhe alterne a Palermo. Che
cosa rappresentano se non il segno di un'immobilità amministrativa che inchioda
la città a vivere nell'eterna precarietà? "Tutto il mondo ama
l'Italia", ha scritto in questi giorni Ian Fisher sul New York Times, ma
ha subito aggiunto che il Paese, che nel 1987 festeggiava la conquistata parità
economica con l'Inghilterra, oggi è in forte declino. La situazione è
probabilmente anche peggiore di quella che viene descritta all'estero. Il
Paese, in verità, non solo sta perdendo la memoria, sta perdendo anche
l'identità. In queste condizioni ci si muove per tribù contrapposte, e il
denaro e l'inganno sopravanzano il sapere e il saper fare. Avanza anche
l'antipolitica. Essa - rivela Ilvo Diamanti - più che "rifiuto" evoca
"domanda" di politica. Nostalgia di futuro. La nazione vista dalla
Sicilia e attraverso la Sicilia non invita purtroppo all'ottimismo. Al palazzo
di giustizia il procuratore aggiunto Roberto Scarpinato, nel corso di una
conferenza stampa, parlando delle ultime inchieste di mafia nel Trapanese, ha
colto l'occasione per raccomandare agli elettori di quella provincia di essere
più accorti al momento del voto per evitare l'elezione di personaggi scomodi.
Si tratta, come ben comprende il lettore, di una pia illusione. Gli elettori
trapanesi (e non solo gli elettori trapanesi) continueranno a votare come hanno
sempre votano nel passato, e lo faranno fino a quando il Paese resterà fermo e
sarà rappresentato da uomini senza illusioni, solo carichi di anni, e fino a
quando la scala dei valori non tornerà a essere quella di un Paese civile.
( da "Corriere della
Sera" del 16-12-2007)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Opinioni -
data: 2007-12-16 num: - pag: 34 categoria: REDAZIONALE A conti fatti di Massimo
Mucchetti Il dramma torinese e le multinazionali I l minuto di silenzio,
osservato dall'assemblea dei soci ThyssenKrupp in memoria dei 4 operai morti a
Torino, è un segno di rispetto, ma non può nascondere un'ambiguità amara: la
crescita dei profitti, che l'assemblea celebra, ha qualcosa a che fare con il
sangue versato. Del resto, oggi sono azionisti i padroni delle ferriere quanto
i fondi pensione dei dipendenti. Globalizzazione, flessibilità, massimo ritorno
sul capitale: la tragedia svela di che lacrime grondino e di che sangue quando
diventino feticci di un nuovo integralismo anziché fenomeni inevitabili e
obiettivi legittimi, e però governabili con il senso del limite. La
ThyssenKrupp, allora soltanto Krupp, acquisì lo stabilimento piemontese
dall'Iri nel 1994. Ebbene, in 13 anni i tedeschi non hanno trovato il tempo e i
soldi per applicare alla linea 5 di Torino la barriera d'azoto della gemella di
Essen, che, dice La Stampa, avrebbe potuto evitare la strage. Dei 9 operai
coinvolti nell'incidente, 3 stavano facendo 4 ore di straordinario in aggiunta
alle normali
( da "Liberazione" del
16-12-2007)
Editoria, Profumo (Unicredit) "Via i legami tra
banche e giornali" Fabio Sebastiani Taglio netto ai rapporti tra economia ed
editoria. Non un pericoloso estremista ma l'amministratore delegato Alessandro
Profumo, ieri dalle colonne della "Stampa" ha dettato la ricetta per
imass media italiani. Profumo, che nello specifico parla del percorso di
Unicredit in Rcs e della relativa cessione delle quote azionarie, non ha
nessuna paura di passare da naif. Anzi, indica nella "massima
indipendenza" dei giornali l'unico orizzonte possibile. Solo così i
giornali saranno in grado "di essere fatti per i lettori". In Italia,
molte testate, anche dei blasonati giornali di informazione, sono legate a
istituti bancari, gruppi finanziari o imprese. Non esiste, in sostanza, quello
che viene chiamato "l'editore puro". "L'azionariato ideale di
una società di media è composta da soggetti che fanno solo quel mestiere",
sottolinea Profumo. La cessione della quota detenuta in Rcs? "In linea con
il comportamento che abbiamo già avuto qualche anno fa", risponde.
"Non è il caso che Unicredit faccia, anche se con una piccola quota, anche
l'editore", conclude Profumo. Tra i primi a rispondere positivamente
all'amministratore delegato di Unicredit, il capogruppo di Rifondazione alla
Camera Gennaro Migliore. "Mi sembra - commenta - una voce fuori dal coro
in un Paese come l'Italia dove i grandi centri di potere, anche quelli che
riguardano la comunicazione di massa, sono nelle mani di pochi. La formazione
di organismi indipendenti anche in questo campo - aggiunge - farabbe guadagnare
autonomia e prestigio a tutti". "Non credo - insiste Migliore - che
questa possa essere vista come un'utopia. Certo, è indispensabile, per compiere
questo passo, che vi sia una reale volontà politica e soggettiva. Credo
comunque che tutte le forze politiche debbano e possano essere interessate ad
una più equilibrata divisione dei compiti nella società, che una scelta di
questo tipo certamente contribuirebbe a realizzare". Per Pietro Folena,
parlamentare del Prc, "l'Italia non è una repubblica fondata sul lavoro,
ma sulle banche. L'interventismo dei gruppi bancari è una delle anomalie italiane".
"Ringrazio Profumo prosegue Folena - se è lui che lo dice è una cosa
importante". Folena però chiarisce: "Certo, se la disponibilità a
cedere la quota in Rcs è una copertura per cedere la stessa quota a chi sa chi,
questo non va bene". Secondo il presidente della commissione Cultura,
"ci vogliono regole e principi per dare al sistema bancario meno incidenza
sul corso di tutte le vicende economiche, politiche e del Paese in generale.
Bisogna mettere un limite allo strapotere delle banche, e questo anche
nell'interesse delle banche. Io poi, da uomo di sinistra, dico che è anche una
cosa a favore dell'economia". Per Beppe Giulietti, portavoce di
"Articolo 21" e parlamentare del Pd, la decisione di Profumo "è
apprezzabile", "anche se temo che non troverà molti imitatori, dal
momeno che non ci sono molte tracce di editori puri e non solo in Italia. Forse alla politica spetterebbe il compito di definire una
rigorosa legge sui conflitti di interesse e una riforma complessiva del settore
dei media e dell'editoria con l'obiettivo di favorire una maggiore autonomia
rendendo l'Italia più simile ad altri Paesi europei". D'accordo con
l'amministratore delegato di Unicredit anche Forza Italia.
"Concordo pienamente con quanto affermato dall'amministratore delegato di
Unicredit - dice Giampiero Cantoni vicepresidente del gruppo in Senato - sono
anche favorevole a che i grandi gruppi non detengano partecipazioni nelle
testate giornalistiche. Comprendo però che pretendere di avere un 'editore purò
diventa sempre più difficile, quindi se le partecipazioni si mantengono sia
fatto a condizione di non praticare nessuna ingerenza o partecipazione politica
nella gestione". Per quanto riguarda la vicenda dell'Unità, infine, in
procinto di essere acquisita dal gruppo Angelucci, editrice di Libero e del
Riformista, ieri si è tenuto un incontro in Campidoglio tra il Comitato di
Redazione dell'Unità e il leader del partito Democratico Walter Veltroni.
Precedentemente il Cdr aveva incontrato Piero Fassino. "Abbiamo spiegato il
senso delle nostre proposte: quelle del Comitato dei Garanti e della Carta dei
Valori e dei Diritti. Da parte nostra c'e una valutazione positiva dei
colloqui". La Carta dei Valori e dei Diritti è già pronta ed è stata messa
a punto da Furio Colombo, da Alfredo Reichlin e da Clara Sereni. L'accordo che
dovrà invece portare gli Angelucci al controllo del pacchetto azionario
dovrebbe essere perfezionato a giorni, prima di Natale, probabilmente il 20
dicembre. 16/12/2007.
( da "Opinione, L'" del
17-12-2007)
Oggi è Lun, 17 Dic 2007 Edizione 275 del 15-12-2007 Si
pronuncerà sulla richiesta di Mastella di allontanare il pm che ha indagato su
di lui Lunedì il Csm decide la sorte di De Magistris Aperto anche un
procedimento disciplinare nei confronti del magistrato di Dimitri Buffa Lunedì,
con possibilità di arrivare fino all'11 e al 14 gennaio, si deciderà la sorte
di Luigi De Magistris. Martedì quella di Clementina Forleo. In poco più di un
mese, a cavallo delle feste di Natale, la sinistra di governo si toglierà due
spine nel fianco. Con la complice approvazione del partito dei giudici che non
difenderà questi due suoi campioni di giustizia mediatica. Perché con Mastella,
Prodi e D'Alema, il gioco non vale la candela. E "passata la festa sarà
gabbato lo santo", come dicono al centro sud. Avessero condotto inchieste
sulle frequenze televisive, sulle vallette raccomandate da Berlusconi, sul caso
Sme, sui diritti Mediaset, sul passaggio del giocatore Lentini dal Torino al
Milan, avrebbero avuto la solidarietà della casta. Così invece sia Forleo sia
de Magistris si sono dovuti accontentare di fare da fenomeni da baraccone
dell'anti politica per risollevare l'audience di Santoro, sempre a rischio
quando si gioca sul filo. Così ieri il presidente della sezione disciplinare
del Csm, Nicola Mancino, su richiesta del Procuratore Generale presso la
Suprema Corte di Cassazione, depositata ieri, ha fissato la discussione di
merito del procedimento disciplinare promosso nei confronti del pm Luigi De
Magistris, per l'udienza straordinaria dell'11 gennaio prossimo, alle 15. Con
eventuali udienze straordinarie ulteriori nei giorni di sabato 12 gennaio e
lunedì 14 gennaio 2008. Ci manca che lavorino anche di domenica. Resta anche
confermata, come premurosamente ci informa il Csm, la data di lunedì 17
dicembre, alle 9.30, per la discussione e la decisione relativa alla richiesta
di trasferimento cautelare urgente avanzata dal Ministro della Giustizia. Cosa
che potrebbe fare chiudere le due pratiche, De Magistris e Forleo, anche prima
di Natale con un po' di buona volontà. Senza nemmeno la necessità di usare per
il pm della procura di Catanzaro l'arma in più della richiesta avanzata ieri
dal Pg della Cassazione Mario dell Priscoli. Magistrato che ha ovviamente il
dente avvelenato anche con la Forleo visto che la stessa lo tirò in ballo nelle
proprie denuncie sulle pressioni relative all'inchiesta Unipol-Bnl. In questo
caso la serenità d'animo e il non essere in conflitto di interessi da parte di taluni membri del Csm è un optional. Basta vedere il
capo di incolpazione per rendersene conto: è lunghissimo e composto da ben
undici rilievi considerati gravi. Peraltro la documentazione è stata consegnata
al Csm dallo stesso Delli Priscoli, a sua volta sollecitato ad occuparsi del
magistrato in questione dal Guardasigilli Mastella. De Magistris, che
sarà difeso dal presidente della sesta sezione penale della Cassazione,
Alessandro Criscuolo, attende anche il responso della prima commissione del Csm
che nei giorni scorsi ha deciso di proseguire l'istruttoria sul suo caso e che
dovrà anch'essa decidere se aprire nei suoi confronti una procedura di
trasferimento d'ufficio per incompatibilità ambientale. Una decisione, quella
di proseguire nell'istruttoria, tutt'altro che unanime. Presa mercoledì scorso
dopo che la Commissione si era spaccata in due davanti all'interrogativo se
aprire subito o meno una pratica di trasferimento. Ma al di là di tutte queste
schermaglie procedurali cosa si rimprovera a De Magistris usando i soliti due
pesi e due misure? Solo un pugno di frasi banali, fra cui "lo Stato in
Calabria è poco presente", "la magistratura non è adeguata alla
sfida", "c'è una magistratura troppo vicina al potere politico,
soprattutto ora che guida il governo Prodi", frase quest'ultima che De
Magistris aveva pronunciato a Strasburgo partecipando a un'iniziativa insieme
al comico Beppe Grillo. Se fossero state proferite in inchieste riguardanti
Berlusconi non avrebbero dato il via a nessuna iniziativa disciplinare.
( da "Opinione, L'" del 17-12-2007)
Oggi è Lun, 17 Dic 2007 Edizione 275 del 15-12-
( da "Voce d'Italia, La" del
17-12-2007)
La Voce d'Italia - nuova edizione anno II n.91 del
17/12/2007 Home Cronaca Politica Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura
Sport Focus Politica Malapolitica, ne parliamo con Antonello Caporale
"Impuniti : storie di un sistema incapace, sprecone e felice" Milano
15 dic. - Antonello Caporale, scrittore, è cronista politico di Repubblica dal
1989. Dopo il precedente libro "La ciurma" dei politici, si è
avventurato in un viaggio tra fatti e misfatti italiani, sprechi di risorse
pubbliche trasformate in clientelismi. Un viaggio inchiesta raccontato nel
saggio "Impuniti : storie di un sistema incapace, sprecone e felice
", edito da Baldini Castoldi Dalai. Dottor Caporale, cavalcare il modello
dell'antipolitica non è un pò comodo, adesso che la nascita di due nuove
formazioni, tende a modernizzare l'aspetto politico del paese ? <<
L'antipolitica oggi è di moda, capisco. Ma cosa si intende per antipolitica ?
Un moto greve, un urlo, lo sberleffo. L'antipolitica viene denigrata se si
esibisce in queste forme. Ma antipolitica intesa come opposizione alla
malapolitica è indignazione, vigilanza attiva, capacità di denuncia e
assunzione di responsabilità. E' un attodi passione civile. Per quel che mi
riguarda ho tentato di individuare anche i luoghi dove l'antipolitica, intesa
nell'idea comune, è al potere. Perchè esistono già città dove i politici
vestono i panni dei demagoghi, usano linguaggi grevi, barattono l'efficienza
con i riti della democrazia, che saranno anche polverosi e lenti, ma
indispensabili a regolare la vita della società moderna >>. Secondo lei,
il grillismo ed il castismo ( dal libro di Stella ), quanto possono indirizzare
ed influenzare i programmi politici di Veltroni e Berlusconi ? << Libri
di successo, come quello di Stella, o fenomeni di massa nati su internet grazie
ad un comico, sono segni di uno stato di insofferenza diffuso, di crisi
profonda nella relazione tra governanti e cittadini. Segnali che devono far
riflettere e che dovrebbero far interrogare tutti sullo stato della nostra
democrazia, sul senso del bene comune >>. Berlusconi si presenta come
l'uomo nuovo dell'antipolitica. Veltroni come il nuovo in assoluto. Quanto
possono essere credibili ? << Vestire l'antipolitica come se fosse una
sfilata di moda, è il tratto caratteristico dei funanboli, è il trasformismo più
acuto ed insidioso. E' il modello che dovremmo rifiutare >>. Il suo libro
è paragonabile ad un viaggio tra gli sprechi, grandi scempi e clientelismi. La
sua impressione è che si tratti di un viaggio di sola andata ? << Il mio
non è un viaggio disperato, è un atto di accusa, un segno di passione civile,
l'idea che si può essere anche non sopraffatti dalla malapolitica. Basta
individuarla, scansarla e lottare per sostenere la buona politica. Che esiste,
per fortuna nostra >>. Il suo pensiero sul silenzio dell'opposizione
circa le vicende che hanno coinvolto Forleo e De Magistris. << Con i
magistrati la politica è sempre in conflitto d'interesse. Permette sacche
clamorose di nullafacenza e nel mio libro vi è qualche esempio luminoso, ma
strilla ogni qualvolta viene insidiato il suo potere. Questo permette alleanze
e solidarietà trasversali >>. I fischi a Bertinotti durante la
manifestazione per le vittime della strage all'acciaieria ThyssenKrupp. Il
malessere della gente che non arriva a fine mese mentre nei palazzi si disserta
sulla legge elettorale. Siamo ad un punto di non ritorno riguardo alla
disaffezione, o meglio all'astio, dei cittadini nei confronti di questa
politica ? << Cosa lega la società civile e la classe dirigente ? La
generale mancanza di senso del bene comune. La politica è lo specchio
frantumato della nostra società, non dispieghiamo ogni energia per recuperarla
alla resa del conto, non vigiliamo, non denunciamo, non ci scandalizziamo.
Urliamo a volte, ma solo a tratti. E quest'urlo, inteso come antipolitica,
assomiglia alla pioggia : la politica apre l'ombrello e aspetta che spiova. Per
poi richiuderlo >>. Riccardo Castagneri politica@voceditalia.it.
( da "Stampa, La" del
18-12-2007)
LA BATTAGLIA IN TRIBUNALE DELL'INVESTIGATORE AMICO DI
TAVAROLI "Voglio i soldi per la scorta a Tronchetti" [FIRMA]PAOLO COLONNELLO
MILANO La lite tra i due contendenti è, tutto sommato, per una somma modesta:
526 mila e 553 euro. Modesta se si pensa ai 20 e passa milioni di euro che in
pochi anni Telecom ha versato all'agenzia d'investigazioni private Polis
d'Istinto di Emanuele Cipriani per l'incredibile numero di dossier illegali
commissionati per spiare mezz'Italia. Eppure per quella somma, i legali di
Cipriani e di Telecom da più di un anno stanno combattendo, davanti al
tribunale civile di Firenze, una battaglia senza esclusione di colpi. A fare la
prima mossa è stato l'ex investigatore fiorentino quando ancora si trovava agli
arresti domiciliari per le indagini milanesi, chiedendo ai giudici fiorentini
di ordinare con un decreto ingiuntivo alla società di Tronchetti Provera il
pagamento di alcune fatture rimaste in sospeso e che inutilmente aveva tentato
di recuperare per alcuni "servizi" resi direttamente al
"presidente". Piccatissima la risposta dei legali di Telecom che
parlano di "non meglio precisate attività di security asseritamente svolte
per conto di Telecom" e contrattaccano chiedendo addirittura la
restituzione di almeno una parte dei soldi "indebitamente" versati a
Cipriani "dalla direzione Security di Telecom quale corrispettivo di illecita
attività d'investigazione". Quasi la precostituzione di una difesa che
eviti, stando almeno a una recente relazione della Gdf, la possibile
contestazione da parte della Procura milanese della legge 231 sulla
responsabilità oggettiva delle società, che implica pesanti sanzioni. Ma non è
finita: Telecom sostiene che la Polis d'Istinto non può avere diritto al
pagamento di quel mezzo milione di euro perché non esisterebbro prove di
fatture regolari per dimostrare gli incarichi ricevuti: "E' evidente che
gli importi delle fatture azionate sono stati determinati in modo arbitrario e
sproporzionato e senza alcun accordo o pattuizione con Telecom". Alla fine
scaricano tutto sull'ex capo della Security Giuliano Tavaroli, definito nelle
memorie "in palese conflitto d'interessi con la società rappresentata". Perché, scrivono i legali il
18 maggio scorso, "i rapporti tra Polis d'Istinto e Telecom non si basano
sulla stipula di contratti aventi per oggetto prestazioni di sicurezza a tutela
del patrimonio aziendale, bensì esclusivamente sulla "collusione" tra
Tavaroli e Cipriani per prestazioni mai svolte o in ogni caso illecite",
all'insegna di un "pactum sceleris" ordito dall'ex capo della
Security, dell'"abuso di potere" e "degli interessi
personali" di Tavaroli accusato perfino di aver spartito con Cipriani il
frutto delle commissioni pagate all'estero: "Per altro la stessa prassi di
fatturare con ricarico la dice lunga sul disegno criminoso di Cipriani e
Tavaroli e sull'intenzione di drenare quante più risorse possibili dalle casse
Telecom...". Cipriani non si arrende e in una memoria del 28 maggio
sostiene che i pagamenti sono dovuti per la sicurezza garantita a Tronchetti
Provera e ai suoi famigliari e per le "bonifiche ambientali" di suoi
uffici e abitazioni, nonché per attività minori d'investigazione. Ricorda che
con i suoi uomini garantì perfino la sicurezza in Iraq a un giornalista di La7,
la scorta "al Presidente e ai suoi famigliari e amici" per il
Festival di Ravenna in Siria, per i viaggi in Turchia e per "la bonifica"
dell'abitazione parigina. "Va sottolineato - scrivono i legali della Polis
- che il lavoro svolto dalla Polis era così apprezzato dalla Presidenza che il
dottor Tronchetti Provera richiese l'intervento dei collaboratori di Polis
anche in occasione del matrimonio della figlia Giada (ovviamente sostenendo le
spese con propri fondi personali)". E, dulcis in fundo, citano Tronchetti
perfino come testimone a favore. A presto una decisione.
( da "Unita, L'" del
18-12-2007)
Stai consultando l'edizione del Convivere con la censura
Marco Travaglio Non ho scritto nulla sull'ennesima censura subita da Luttazzi a
La7, per una sorta di conflitto d'interessi emotivo.
Un po' per l'amicizia che ci lega, un po' per il senso di colpa che mi deriva
dall'aver contribuito al suo lungo esilio televisivo. Non scriverò della
censura di La7 nemmeno ora, anche perché mi mancano le parole: le ho già spese
tutte a proposito dell'editto bulgaro. Vorrei dire due cose su quel che è
accaduto dopo la censura: nessuno (a parte un paio di attori satirici e un paio
di giornali "estremisti") l'ha chiamata censura, nessuno ha scritto
che è illegale, tutti l'han trovata normale. E anziché concentrarsi sul fatto
hanno preferito parlar d'altro. Della presunta volgarità di Decameron (Adriano
Sofri, noto autore satirico, intimo di Giuliano Ferrara, vi ha dedicato qualche
migliaia di righe su Repubblica). Del cosiddetto "attacco a Ferrara".
Di Luttazzi che "non fa ridere". Della vittima della censura che
"fa la vittima", anzi "se l'è cercata". Fin qui nulla di
nuovo sotto il sole. Dai casi Fo, Grillo, Biagi, Santoro, Satyricon e Raiot, i
fornitori di alibi ai censori di regime han dato vita in trent'anni a una vasta
letteratura di paraculaggini assortite, nel solco della tradizione di servaggio
dell'intellighenzia italiota alle greppie del potere. Il simbolo
dell'intellettuale nostrano, che trent'anni fa faceva la rivoluzione in salotto
e oggi si proclama "liberale" e "riformista", è il
professor Ludovico Cerchiobot ideato da Sabina Guzzanti e interpretato da
Roberto Herlitzka: quello che "agli italiani piace la frusta". Ma
ora, sul caso Decameron, i servi furbi hanno sperimentato due nuove, sopraffine
tecniche di fiancheggiamento alla censura. La prima è il modello "larghe
intese": consiste nel solidarizzare contemporaneamente col censore e col
censurato. L'hanno fatto Ferrara, che ha riconosciuto il valore satirico dello
sketch che lo riguardava, ma subito dopo ha difeso La7 che ha chiuso il
programma (La7, per la cronaca, è la rete che gli paga un lauto stipendio e lo
manda in onda tutte le sere all'insaputa dei più), poi ha invitato Luttazzi a
"Otto e mezzo" (nella speranza di ereditare qualche briciola del suo
pubblico); e Daria Bignardi, secondo cui ha ragione Luttazzi ma anche La7 (che,
per la cronaca, manda in onda le sue Invasioni barbariche). La seconda tecnica
è il modello Maramaldo: consiste nel picchiare a sangue il censurato, nella
speranza di finirlo per sempre. È quella adottata da "Il Giornale" e
da "Libero", che fanno a gara a chi manganella di più.
"Libero", nell'apposita rubrica "Telemeno", titolava:
"La caduta di Luttazzi. Han fatto bene, era solo volgare". Bene,
bravi, bis. Ma, nello speciale campionato dei randellatori, "Il
Giornale" vince ai punti grazie a un paio di titoli memorabili
("Luttazzi cacciato da La7 fa ancora la vittima", "Quei
"martiri" che hanno stufato anche la sinistra") e a due commenti
da antologia di Filippo Facci. All'indomani della censura, Facci s'è sperticato
in elogi ai censori: "La verità su Luttazzi, licenziato da La7: non lo
vuole nessuno". E questo non perché abbia toccato chi non doveva (tipo
Ferrara, il Vaticano, Berlusconi, la "sinistra" guerrafondaia), ma
perché è "sopravvalutatissimo", anzi è matto: "la sua infanzia
dovrebbe dar lavoro al suo psicanalista"; e, soprattutto, "non è
neanche un comico". Tant'è che "scopiazza David Letterman"
("a cui ha plagiato persino le iniziali") e la sua battuta su Ferrara
"è ispirata a una del comico americano Bill Hicks" (che però,
guardacaso, non venne censurato). Anche "Libero" dedica al presunto
plagio di Hicks un'intera pagina. Naturalmente non c'è nessun plagio: quella di
Letterman è una citazione dichiarata, mentre la battuta su Ferrara riprende una
lunga tradizione letteraria, da Ruzante a Rabelais, in cui pescano a piene mani
tutti coloro che la satira non si limitano a farla, ma prima la studiano. E
naturalmente Luttazzi non è stato censurato dalla Rai e ricensurato da La7 per
le sue citazioni, altrimenti Benigni che nel celebratissimo show su Rai1 ha
copiato paro paro una battuta di Crozza e una di Luttazzi non lavorerebbe
più. Ma questo passa il convento: abbiamo imparato a convivere con la censura,
tant'è che i cosiddetti liberali se la prendono coi censurati. Cioè con i pochi
"uomini liberi in questo paese di merda" (prima che qualcuno mi
rinfacci il plagio, confesso: questa non è mia, è di Luttazzi). Uliwood party.
( da "Messaggero, Il" del
18-12-2007)
Di GIULIA LEONI MILANO - Unicredit assume con l'Antitrust
lo stesso tipo di impegno preso da Telecom con Anatel. Prevede cioè un doppio
ordine del giorno del consiglio ogni volta che sul tavolo figureranno materie
"sensibili". Ieri - secondo quanto risulta a Il Messaggero - la banca
guidata da Alessandro Profumo avrebbe depositato all'Autorità, in anticipo di
un giorno sulla scadenza, la relazione informativa sull'esecuzione degli
impegni concordati per la fusione con Capitalia. Relazione di cui oggi prenderà
atto il cda di piazza Cordusio (cui farà seguito la cena di Natale) e che il
consiglio dell'Autorità, giovedì, quasi certamente recepirà. E tra gli impegni
spicca dunque l'introduzione di un meccanismo "speciale" nella
gestione delle decisioni sulle materie individuate dall'Antitrust - investment
banking e assicurazioni - per le quali potrebbe profilarsi
un conflitto di interesse. Al punto 3 (Impegno ad evitare cumuli di incarichi e
di ruoli) del paragrafo XI (La prospettazione degli impegni) si legge che i
membri del cda di Uci "con un ruolo nella governance di Mediobanca e/o
Generali, non parteciperanno alla discussione nè alla votazione delle delibere
aventi ad oggetto i mercati dell'investment banking e delle
assicurazioni in Italia". I destinatari di queste limitazioni sono il
presidente di Unicredit Dieter Rampl e il vicepresidente Fabrizio Palenzona che
sono anche rispettivamente vicepresidente del consiglio di sorveglianza e
consigliere di sorveglianza di Mediobanca. Nella relazione depositata ieri con
l'ausilio dello studio legale Grimaldi e associati sarebbe prevista
l'introduzione di uno strumento di governance assolutamente innovativo nel
mondo bancario italiano: il duplice ordine del giorno. In altri termini ogni
volta in cui il board di piazza Cordusio dovrà affrontare delibere sulle due materie
individuate dall'Antitrust sarà obbligato a compilare un doppio ordine del
giorno: uno sugli argomenti ordinari, l'altro sulle decisioni che sono off
limit per Rampl e Palenzona. Che pertanto non dovranno partecipare per evitare
commistione di ruoli. Esattamente come concordato da Telecom con Anatel,
l'Authority di controllo delle tlc brasiliane. Per garantire che i
rappresentanti espressione di Telefonica nel board di Telecom - Cesar Alierta e
Julio Linares - non partecipino alle decisioni sul Brasile. Nella relazione
depositata ieri inoltre Unicredit ricorda tutti gli altri impegni: dalla
cessione di 186 sportelli che dovrebbe concludersi entro febbraio all'impegno a
cedere l'intera quota detenuta in Generali e in società del gruppo di Trieste.
Quanto all'impegno di ridurre la quota in Mediobanca, Unicredit ha già ceduto
il 7,37% a Fininvest, Benetton, Sal Oppenheim, Mediolanum, Bollorè, Groupama e
Santusa Holding. Un ulteriore 2% è andato a Barclays. La banca di Profumo
detiene ora l'8,67% del capitale di piazzetta Cuccia.
( da "Liberazione" del
18-12-2007)
Conferenza operaia da tenersi al più presto, costruzione
del soggetto de "la Sinistra, l'Arcobaleno", verifica di governo,
riforma elettorale e consultazione di massa su governo e percorso unitario.
Sono i primi obiettivi e appuntamenti del Prc nel 2008 che suggeriscono il
rinvio del congresso Franco Giordano Il 20 ottobre, inoltre, ha fatto emergere
una grande rivendicazione politico-sociale, una critica nei confronti del
governo Prodi che non siamo riusciti a far passare sulla vicenda del protocollo
sul welfare e che, oggi, depositiamo sulla prossima verifica. Ma il 20 ottobre
ha evidenziato anche una fortissima vocazione unitaria. In entrambe le
occasioni, 20 ottobre e 8-9 dicembre, il Prc ha investito tutte le sue energie
ed il grande risultato ottenuto è dipeso dalla capacità organizzativa e dalla
ricchezza del nostro partito: v'è stata, inoltre, una presenza diffusa di aree
di movimento, di associazioni e di espressioni sindacali, fondamentali per
ancorare socialmente il nuovo soggetto unitario. C'è chi ha osteggiato la
manifestazione "da sinistra" dicendo che essa non era critica verso
il governo e c'è chi l'ha osteggiata "da destra" temendo una
conflittualità eccessiva con le altre forze del soggetto unitario e plurale:
niente di tutto ciò! Anzi, all'indomani di essa si è finalmente sbloccato il
processo unitario. Ora dobbiamo proseguire ed accelerare questo processo, dando
continuità ed investendo sulla soggettività nuova. Penso sia utile presentarci
alle prossime amministrative unitariamente anche facendo ricorso a una
battaglia politica con quelle forze che sembrano non condividere questa scelta.
Si deve tenere insieme la ricchezza emersa l'8 e 9 dicembre con tutte le
potenzialità che essa contiene: guai ad immaginare solo una sommatoria federata
di partiti, perché ciò distruggerebbe ogni aspettativa. Vanno aggregate le
realtà sociali, territoriali, di movimento e quelle critiche del capitalismo e
farle contare e decidere: per questo, a gennaio, proporremo un seminario aperto
per far vivere un processo democratico di costruzione del nuovo soggetto che
sia autonomo ed inclusivo. Bisogna costruire un'unità forte sui contenuti e
vanno lanciate alcune campagne: proponiamo per il 23 e 24 gennaio l'avvio di un
iter partecipativo con un pronunciamento effettivo, quindi modificativo, sulla
carta dei valori. Insisto sulla necessità di valorizzazione delle soggettività
esterne ai partiti e per questo vorrei proporre un meccanismo binario di
costruzione della nuova soggettività in cui esse siano attive nelle decisioni e
non mere parti accessorie del processo. Il tesseramento potrebbe avvenire
tramite l'iscrizione alle singole forze politiche, valido anche per il soggetto
unitario, ed autonomamente per chi non si sente interno ai partiti. Trovo che
la concezione mediatica sul leader e sulla direzione sia sbagliata e pericolosa
per il soggetto unitario e plurale perchè produce tensioni con le altre
soggettività aderenti, esula dalla democrazia di genere, desertifica le forme
di partecipazione, intacca il rapporto con culture nuove, snatura il senso del
percorso in atto distruggendo l'anomalia democratica che stiamo attivando.
Ricordiamoci del congresso di Venezia in cui abbiamo puntato tutto sul rapporto
con i movimenti, sulle esperienze di innovazione, sulla rottura con le forme
del leaderismo. La collocazione politica del nuovo soggetto è dirimente: nella
carta si dice che esso può collocarsi al governo o all'opposizione, senza che
questa sia un disvalore e sempre dietro una libera scelta priva di vincolo, nel
rispetto della sua autonomia ed a seconda delle convenienze politiche e sociali
a cui fa riferimento. La carta d'intenti non è chiusa, ma aperta e potrà essere
modificata e migliorata dopo un dibattito ampio: essa rappresenta solo un punto
di partenza. Penso che sia chiaro anche nella carta d'intenti che si apre una
sfida sul terreno dell'egemonia col Pd, altro che interlocutore privilegiato!
Una sfida sul modello alternativo di società: si può lealmente costruire un
governo insieme, ma si può, altrettanto, restare su posizioni politiche
difformi. L'assemblea della sinistra e degli ecologisti si è svolta in un
momento sociale drammatico per il paese in cui la vicenda di Torino ha
determinato uno spartiacque nella storia sociale del paese: quella tragedia,
quegli omicidi hanno determinato una rottura sociale, oltre che politica, che
investe anche il sindacato, con una rabbia operaia che non tiene più e che noi
dobbiamo guardare in faccia. I fischi di Torino hanno travolto anche chi,
socialmente, è prossimo a quella condizione. Penso che quel malessere sia
concentrato sulle condizioni materiali drammatiche che riguardano anche, ma non
solo, il tema della sicurezza. Essa è solo la metafora, non il paradigma, del
modello produttivo e dell'organizzazione del lavoro del nostro paese. Al tema
della sicurezza dobbiamo aggiungere quello dei salari, sempre più
insostenibili. Noi abbiamo avanzato proposte sul terreno dei salari e delle
retribuzioni che riguardano l'intervento fiscale a partire dalla detassazione
degli aumenti contrattuali che allevierebbe la pressione del fisco sul lavoro
dipendente, incentivando anche il rinnovo contrattuale. C'è anche il tema della
precarietà, quello dei tempi e ritmi di lavoro, il tema degli straordinari ne è
un esempio, e quello dell'usura psico-fisica di tanta parte del lavoro
dipendente, specie quello operaio. Questi sono gli effetti della rincorsa alla
forza lavoro al suo costo più basso: oramai nessuna tutela e nessun diritto
sono più al riparo. Per questo oggi dobbiamo rimettere al centro del dibattito
questo punto, iniziando dall'analisi che vede negli ultimi decenni una potente
svalorizzazione del lavoro nel nostro paese. Non parlo assolutamente di
gerarchie fra diritti sociali e civili, ma ritengo che non possiamo ignorare
questa drammatica condizione materiale, altrimenti non potremmo neanche declinare
la parola "sinistra". Il lavoro ha perso politicità: è invisibile,
derubricato dall'agenda politica e dalla scena del paese e penso che se il
soggetto unitario non si confronta con questo tema, non può esistere. Per
questo propongo che la prima iniziativa del soggetto unitario sia una
conferenza operaia da tenersi a Torino, fra fine gennaio e gli inizi di
febbraio, al fine di far emergere la condizione operaia, invisibile nel paese,
ed al fine di far nascere una cultura nuova che riparta proprio da qui. Uno
degli operai superstiti che ho incontrato a Torino ha chiesto di non calare il
sipario su di loro: non possiamo eludere questa richiesta. Al contrario, la
proposta del Pd sulla conferenza operaia mi sembra tutta incentrata sul modello
di Confindustria che vorrebbe legare inscindibilmente i salari alla
produttività. Queste sono le questioni da porre per prime sul tavolo della
verifica di gennaio: salari prezzi, condizioni di lavoro. Alla verifica va
posto anche il tema dell'inflazione che in Italia si attesta al 2,6% e che
rischia, come negli Usa, di trasformarsi in stagflazione. Perciò penso che
bisogna intervenire sia sul terreno della distribuzione, sia su quello dei
prezzi, sia su quello della rendita finanziaria. A gennaio discuteremo anche dei
diritti civili, quelli dei migranti, il rapporto pace/guerra
e l'alternativa ai conflitti in atto, il disarmo, la moratoria sul Dal Molin,
l'innovazione e ricerca ed il nuovo paradigma economico: Bali indica
un'inversione di tendenza, anche se da verificare nel concreto, dove la
pressione del mondo sugli Usa è stata determinante per un cambiamento nelle
politiche ambientali. Ultima, ma non per importanza, è la richiesta di
istituzione della commissione d'inchiesta sul G8. Colgo l'occasione per dire
pubblicamente a Gasparri che non deve permettersi in alcun modo di insultare
quella bella persona che è Haidi Giuliani! Chiederemo un mandato conseguente ad
un'ampia discussione politica, che spero riusciremo ad estendere anche alle
altre forze della sinistra, che ci permetta di effettuare una trattativa vera
ed aperta col governo: a ciò seguirà un giudizio politico del partito, del suo
gruppo dirigente da sottoporre, subito dopo, ad una consultazione referendaria
del nostro popolo che determinerà la nostra collocazione politica. Gennaio è un
mese cruciale: c'è la verifica, ma anche il dibattito sulla legge elettorale.
Le due cose s'intrecciano e la legge elettorale è decisiva per noi: dobbiamo
battere le tendenze referendarie che creano frammentazione. Ci giochiamo una
partita decisiva e non abbiamo altre chance: il referendum non solo
determinerebbe la scomparsa della nostra rappresentanza, ma soprattutto
limiterebbe la nostra autonomia. Si avrebbero, probabilmente, due sole liste:
una di destra ed un'altra contro la destra, all'interno della quale non
potrebbe vivere alcuna soggettività politica autonoma. Non possiamo chiedere il
sistema tedesco o niente, perché, lo ripeto, l'alternativa sarebbe il
referendum. Se qualcuno è tentato dalla partecipazione al listone di sinistra
per una mera autorappresentazione di sé, sempre che sia accettato nel listone,
a noi ciò non interessa, perché abbiamo una cultura politica segnata da
percorsi di autonomia. Non capisco le critiche interne: non potevamo fare altro
se non estendere il dialogo a tutti su questa materia e siamo stati sempre
coerenti con il nostro obiettivo di ottenere il sistema tedesco. Il testo
Bianco propone 32 circoscrizioni e tiene aperta la possibilità del voto
disgiunto: non si tratta del tedesco, ma nemmeno dello spagnolo ed avvia,
comunque, un percorso decisivo. Il riparto nazionale ed il voto disgiunto sono
alla nostra portata, al di fuori di questo schema c'è il referendum. Ci sono
due questioni su cui dobbiamo insistere: voto non unico e riparto nazionale.
Infatti, il voto unico nel collegio causerebbe una forte pressione bipolare,
cioè si vota destra contro sinistra e prevarrebbe la logica del voto utile. Il
vertice del 10 gennaio è paradossale, non si è fatto sul welfare, e si fa sulla
legge elettorale che, in realtà, è delegata al dibattito parlamentare fra tutti
i partiti. Conferenza operaia, costruzione del soggetto unitario, verifica di
governo e consultazione di massa sono i motivi che ci spingono a rinviare, di
pochi mesi, il congresso. A gennaio si concentra tutto, per questo proponiamo
un rinvio del congresso, per discutere alla fine di un periodo lungo e
difficile. Inoltre, resta in piedi la costruzione del soggetto unitario e
plurale da effettuare dal basso nei territori: ciò, lo ripeto ancora, non mette
a rischio l'esistenza del Prc. Sul terreno identitario tornano i timori
infondati del rischio di scioglimento. La nostra battaglia politica va verso
liste unitarie comuni e verso la modifica del rapporto fra partito e movimenti:
abbiamo rotto il meccanismo pedagogico, per entrare in un'ottica di internità e
proponiamo una sfida per l'egemonia e l'idea di trasformazione della società.
Il soggetto unitario e plurale non risolve queste contraddizioni, v'è un
problema di utilità sociale ed una dimensione di massa da costruire per una
verifica sociale. La nostra utilità sociale è indispensabile: la verifica può
essere fondamentale, specie insieme alla successiva consultazione di massa.
Dobbiamo ricostruire il nesso fra la spendibilità dell'iniziativa politica oggi
e l'idea del domani. Penso che qui si giochi la differenza fra chi propone e
predica una società che verrà e chi ha come bussola quella che Antonio Gramsci
chiamava "la trasformazione molecolare della società". 18/12/2007.
Il Grande Fratello di GIUSEPPE D'AVANZO La Repubblica del
14-12-2007
"Dialogo
col Cavaliere? Soltanto un sogno" ( da "Stampa, La" del 14-12-2007)
"E' un
fallimento annunciato" ( da "Stampa, La"
del 14-12-2007)
Mediobanca,
stop a Popolare Vicenza ( da "Stampa, La"
del 14-12-2007)
Vicenza resta
fuori ( da "Unita, L'"
del 14-12-2007)
Premiata ditta
Berlusconi-Saccà ( da "Unita, L'"
del 14-12-2007)
Ecco una legge
per tutti ( da "Unita, L'"
del 14-12-2007)
Primo: l'autonomia.
Con ogni azionista ( da "Unita, L'"
del 14-12-2007)
Geronzi non
entra in consiglio Rcs ( da "Giornale.it, Il"
del 14-12-2007)
Cliniche, carte ai raggi x - gabriella de matteis ( da "Repubblica, La"
del 14-12-2007)
Nella rete di
Berlusconi ( da "Manifesto, Il"
del 14-12-2007)
ROMA - Il
sistema di governo degli atenei cambierà. Lo ha annunciato il ministro Fabio
Mussi du ( da "Messaggero, Il"
del 14-12-2007)
A Napoli farà
come a Catanzaro? ( da "Libero"
del 14-12-2007)
Per Capanna
trovano i soldi, per la ricerca no (
da "Libero" del 14-12-2007)
"ho
sbagliato ha ragione huntington" - (segue dalla prima pagina) (
da "Repubblica, La" del 14-12-2007)
Angela Mauro (
da "Liberazione" del 14-12-2007)
Servizi locali, chi rema contro ( da "EUROPA.it" del 14-12-2007)
LE BIZZARRIE d'Italia ci hanno abituato a molto, e di più.
Alla stupefacente scena mancava il Berlusconi che denuncia la minaccia di un
Grande Fratello così pericolosa da rendere necessario l'allarme per una
"un'emergenza nazionale". Al Cavaliere l'interpretazione spericolata
della Vittima Unica riesce in modo memorabile. È un grande comunicatore, si sa.
Lo accompagna una claque assordante di turiferi e flabellieri che eccepiscono,
protestano, ringhiano a comando e cronacanti di attenzione cerimoniosa che
hanno la generosa tendenza a nascondere o minimizzare ciò che accade a
vantaggio di ciò che si dice (e naturalmente non c'è limite a quel che si può
legittimamente dire, se non si tiene conto dei fatti). Quando la necessità lo
impone, il lavoro incrociato di questa orchestra con coro, al servizio della
Vittima Unica, produce un catalogo di verità rovesciate che confonde l'opinione
pubblica; istupidisce gli avversari politici; lascia senza bussola anche gli
osservatori più attenti e avvertiti.
C'è forse un Grande Fratello come va dicendo il Cavaliere, dunque? E se c'è,
dov'è? Una memoria appena mediocre aiuta a venire a capo del quesito. Nei
cinque anni del governo di Silvio Berlusconi, è nato all'ombra di Palazzo Chigi
un intreccio spionistico illegale e clandestino che ha associato l'intelligence
politico-militare di Nicolò Pollari, l'ufficio Informazioni della Guardia di
Finanza del generale Roberto Speciale, la Security di Giuliano Tavaroli e
alcune società di investigazioni private, pagate dagli azionisti della
Telecom-Pirelli di Marco Tronchetti Provera.
Questa cosa, che non si sa nemmeno come definire, ha spiato senza
alcun controllo gli avversari politici del governo del Cavaliere, imprenditori,
finanzieri, banchieri, magistrati, editori, giornali e giornalisti. Ha raccolto
illegalmente migliaia di fascicoli con informazioni riservate violando al di là
di ogni legge la privacy dei poveri malcapitati.
Ha progettato operazioni per "neutralizzare e disarticolare anche con
azioni traumatiche" tutti coloro che erano - a torto o a ragione -
"potenzialmente in grado di "creare problemi" all'attività
dell'esecutivo di centrodestra". Ha ingaggiato contro la legge giornalisti
spioni per affidare loro il pedinamento di qualche pubblico ministero che
pericolosamente si stava avvicinando ai pasticci organizzati da Palazzo Chigi
nella fantasmagorica "guerra al terrore" all'italiana.
Per non parlare di Telekom Serbia, Mitrokhin e i falsi dossier contro Prodi.
Alla luce di tutto quel che è accaduto nella scorsa legislatura, se si deve
parlare di Grande Fratello, si può sostenere documenti alla mano che, è vero,
il Grande Fratello ha fatto capolino in Italia negli anni in cui il Cavaliere
governava il Paese.
Quel che è accaduto nel passato può, però, non aiutarci a capire l'oggi. C'è un
Grande Fratello al lavoro in questi giorni? Un Grande Fratello uguale a quello
della scorsa legislatura, ma contrario nei suoi obiettivi visto che ha nel
mirino il povero Berlusconi? È frutto di quel lavoro storto l'inchiesta sulla
corruzione dei dirigenti Rai e nel mercato della politica? Anche se l'orchestra
con coro, al servizio della Vittima Unica, lo dimentica, l'istruttoria di
Napoli ha il vantaggio di essere "formalizzata" dal codice di
procedura penale.
Può essere ricostruita negli atti e nelle decisioni, quando diventerà pubblica.
Ci potranno lavorare gli avvocati delle difese, gli ispettori del ministero di
Giustizia, il consiglio superiore della magistratura, le giunte parlamentari
qualora dovessero essere chiamate ad autorizzare l'uso processuale di fonti di
prova che coinvolgono eletti del popolo. Se qualcuno ha sbagliato, sarà punito.
Nulla a che fare, per farla breve, con il lavoro sporco della cosa nata durante
il governo Berlusconi, che spiava illegalmente - dunque, al di là di ogni
formalità - e riferiva non si sa bene a chi e in quale Palazzo del Potere.
E comunque non si può ridurre ogni controverso evento pubblico ad affare
giudiziario, a meno di non voler davvero assegnare alla magistratura la
custodia della salute pubblica. Anche una testa fina come Massimo Cacciari sembra
non comprenderlo. Questa storia appare al filosofo soltanto "una
cafonata", per di più una volgarità che "piace agli italiani", e
allora che dobbiamo farci?
La stravagante furia inconoclastica del sindaco di Venezia dimentica una
questione essenziale: che cosa sanno gli italiani del Cavaliere? È lecito o
addirittura doveroso per l'informazione raccontare agli italiani qualcosa di
Berlusconi? Se non conoscono Berlusconi, quella passione degli italiani la si
può giudicare autentica, genuina, consapevole?
Noi pensiamo che la libertà di stampa debba avere la responsabilità di rendere
informato chi vota e decide pubblicando notizie di interesse pubblico, anche
coperte da segreto, perché la stampa serve i governati non i governanti. Le
notizie pubblicate da Repubblica possono essere utili a comprendere meglio la
realtà italiana e i comportamenti di un suo decisivo attore.
Non spinge la sua curiosità nella privacy di Berlusconi. Dà conto di due
questioni pubbliche. Berlusconi, tycoon televisivo, promette di ricompensare a
tempo debito un alto dirigente della Rai pubblica. Come pensava di
ricompensarlo? E lo avrebbe ricompensato soltanto per l'ingaggio di qualche
attrice o questa promessa poteva, se necessario, ampliarsi e deformare in
chiave privata altre decisioni pubbliche del dirigente Rai?
Berlusconi, leader dell'opposizione, incontra un senatore della maggioranza per
convincerlo a votare contro il governo che egli sostiene. Gli dice che
l'accordo potrebbe essere "garantito" da "un contratto".
Gli ripete che "il contratto è pronto e (il senatore) deve solo passare a
firmarlo". Di quale "contratto" si tratta? Che cosa prevedeva il
"contratto" approntato? Queste mosse - contratti, promesse di
ricompense - non appaiono soltanto sconvenienti o "volgari". Sono iniziative
che meritano dal protagonista un chiarimento e non il petulante piagnisteo da
Vittima Unica che si nasconde nella nebbia di un grottesco complotto contro le
riforme. Noi pensiamo che, al di là di quel potrà e non potrà accertare la
magistratura, le due questioni meritino da oggi una spiegazione pubblica. Anche
nell'interesse di chi vuole votare consapevolmente Silvio Berlusconi.
(14 dicembre 2007)
( da "Stampa, La" del
14-12-2007)
Ministro Bindi, i "nanetti" del centrosinistra
sono in rivolta e minacciano la crisi di governo. Ora è venuta fuori
un'inchiesta della Procura di Napoli su un presunto "mercato" dei
senatori del centrosinistra per far cadere il governo. Secondo lei, Berlusconi
è un interlocutore credibile per le riforme? "Se Berlusconi sia
interlocutore credibile o meno, lo si sa sempre dopo, mai prima. Con lui il
dialogo non si è mai concluso bene. La sua credibilità si valuta sempre dopo, e
anche per questo non si può costruire il percorso delle riforme solo con
Berlusconi. E' evidente che non si può prescindere da Fi, ma non si possono
prevedere corsie preferenziali. Per quanto riguarda la vicenda emersa a Napoli,
così come il contenuto dei dialoghi tra dirigenti Rai e Mediaset, emerge una
situazione molto grave. Ho visto che Berlusconi cerca di spostare il problema
sul fatto che in questo Paese non c'è più la privacy, siamo al Grande Fratello,
ma la gravità è ciò che accade, non che si rende noto. E' gravissimo solo che
si pensi alla compravendita del parlamentari". Insomma, lei dice no al
dialogo con il "diavolo"? "Qualcuno può sognare di avere come
interlocutore una persona diversa da quella che è Berlusconi, con una storia
diversa dalla sua. Ma non è possibile. Può provare a immaginarselo e
desiderarlo ma la realtà è un'altra, e a me interessa il risultato. Tutti
auspichiamo che il 2008 sia l'anno delle riforme ma le condizioni perché questo
avvenga sono molte. Prima di tutto il rispetto della coalizione di governo. Poi
l'apertura del confronto con tutto il centrodestra perché lì ci sono posizioni
diverse che non possono essere ignorate. Infine una vera e seria consultazione
dentro il Pd. Il cambiamento delle idee di Veltroni non è avvenuto per le
esigenze manifestate al tavolo del dialogo ma si è attivato il dialogo su
contenuti che sono in assoluta discontinuità con tutto il percorso fatto in
questi anni dal centrosinistra e in maniera particolare dall'Ulivo. Si è aperto
il confronto sul proporzionale, ma abbiamo fatto una campagna elettorale non
indicando mai questo modello, e nessuno può affermare che è stato votato
Veltroni segretario del Pd su questo preciso contenuto di riforma elettorale.
Anzi. Poi c'è una quarta condizione...". Quale? "Ogni volta che
tentiamo di uscire dalle difficoltà del Paese, ci troviamo
sempre in mezzo il grande macigno del conflitto di interesse. Non si può
pensare, ancora una volta, che questo problema venga archiviato". Ma
allora lei vuole proprio far saltare il tavolo? "Qualcuno mi spiega perché
le ragioni dei piccoli partiti sarebbero di impedimento al dialogo, mentre le
ragioni di Berlusconi vengono preventivamente accolte?". Ora c'è in
campo la proposta Bianco: che ne pensa? "Ci fa tornare indietro rispetto a
quelle che abbiamo considerato le grandi e fondamentali conquiste di questi
anni. In particolare al bipolarismo, all'alternanza e alla possibilità che
siano i cittadini a scegliere chi va in Parlamento, ma anche chi governa e
quale coalizione sostiene il governo. Lo scettro non può passare dalle mani dei
cittadini alle segreterie dei partiti, anche se sono grandi partiti".
Meglio il ritorno al Mattarellum? "Il Mattarellum lo considero ancora una
base di ripartenza. La bozza Bianco affronta doverosamente il problema della
frammentazione ma con una logica che va tutta a vantaggio dei partiti
principali". Lei è del Pd e dovrebbe essere contenta, no? "No, perché
i grandi partiti a vocazione maggioritaria sono anche partiti a vocazione
coalizionale, che non sono mossi da una tentazione di cannibalismo e annessione
degli alleati. Anzi, si fanno carico degli alleati. Invece con la proposta di
Bianco, i due maggiori partiti si ingrossano a spese degli altri". Cosa
deve fare Prodi? "Prodi è persona di grande prudenza: l'ultima cosa che si
può permettere è quella di mettere a rischio il governo del Paese. Non è
pensabile che ci possa essere una sorta di strategia parallela tra governo e
Pd: il principale partito della coalizione non può non collaborare con il
premier che è anche il presidente del Pd. Prima di adottare la proposta Bianco
come testo base, è necessario aspettare la riunione di tutto il centrosinistra
e aprire le consultazioni nel Pd. E' inutile che si continui a smentire che ci
sia un rapporto privilegiato con Berlusconi, se non si fa la fatica di trovare
prima un punto di incontro nel centrosinistra.
( da "Stampa, La" del
14-12-2007)
Preso atto che il dottor Marone (nuovo amministratore
unico di Tubor, ndr) l'11 dicembre ha revocato l'istanza di dissequestro dei
conti correnti presentata dall'avvocato Russo il 6 dicembre su delega dello
stesso Marone e che quindi ha indotto l'avvocato a ritenere che non vi fossero
più le condizioni per assistere Radiatori Tubor, e premesso che sono colpevole
a prescindere, chiedo: perché è stata revocata la richiesta di dissequestro dei
conti? Perché, così facendo, è stata ottenuta la revoca della rappresentanza
dell'avv.Russo a due giorni dalla discussione istanza di fallimento? Che logica
ha? Chi rappresenterà l'azienda e come? Il processo potrà essere ritenuto equo
in questa situazione? Perché i sindacati dicono che non ci sono soldi per le
paghe quando invece ci sarebbero ma che visto il blocco dei conti e la revoca
dell'istanza di dissequestro non è possibile effettuarle? Perché insieme alla
notizia con la quale il dr. Marone ha dichiarato che ci sono imprenditori pronti
ad intervenire solo dopo il fallimento è stato revocato il mandato al legale e
revocata la richiesta di sblocco dei conti? Perché i conti sono ancora bloccati
quando le somme a garanzia sono abbondantemente oltre i famosi 3 milioni?
Perché l'istanza di fallimento fa riferimento ad una consulenza esterna
presentata in sede di Riesame e presa per buona anche se di parte? Perché
questa consulenza parla più volte di un piano di salvataggio formulato anni fa
che Tubor non ha mai messo in pratica ma che era stato preparato da ex
consulenti Parmalat (prima del crack) e che prevedeva di effettuare le stesse
operazioni che oggi la Procura contesta? Come mai la stessa consulenza parla
solo di passività e viene presa per buona dal Tribunale del Riesame (prima
istanza di dissequestro conti) ma solo in questi giorni viene mandato lo
Spresal ad effettuare un controllo sugli impianti? A tre giorni dall'istanza di
fallimento e senza considerare che Tubor aveva affidato proprio a consulenti
Spresal (gli stessi che sono venuti in azienda) l'attività di sistemazione
impianti - iniziata 3 anni fa - e cadenziata da un piano che doveva far
collimare sicurezza, produzione e aspetto economico? Come è possibile pensare
che domani (oggi, ndr) non sia dichiarato il fallimento? Solo nel caso che l'ex
proprietà arrivi con garanzie.... ma quali garanzie? E allora quale sarebbe il
senso di comunicare a tutti i dipendenti che l'azienda rimarrà chiusa (per
sciopero generale) mentre lunedì "si invitano le persone ad entrare,
almeno la mattina, in quanto si daranno disposizioni su come organizzare la
settimana (non venire più o far entrare solo alcune persone)"? Se questa
non è una dichiarazione anticipata di fallimento e chiusura... Avrei altre
domande ma le tengo per quando sarò di nuovo carcerato (dopo questa è sicuro).
Chiedete e riceverete risposte, o meglio alibi. A proposito del legale diranno
che c'è conflitto di interessi
(assurdità, devono dimostrarmi il contrario con le prove) anche quando abbiamo
chiaramente detto che avremmo fatto a meno a livello personale dell'avv. Russo
perché si impegnasse alla salvaguardia dell'azienda circa il dissequestro,
perché nel caso l'avessero fatto le banche si sarebbero riprese le somme.
Altra assurdità perché i conti sono intestati al Tribunale, e comunque se fanno
riferimento alle successive somme che andranno a maturare ecco un'altra
domanda: se il buco complessivo accertato è di 14 milioni che però porta il
capitale a meno 7 milioni (e quindi va ricostituita quella somma e non i 14 che
tutti indicano erroneamente), posto che sono sequestrati 3 milioni sui conti,
più azioni delle società, piu immobili personali, beni mobili personali,
marchio, impianti ed attrezzature, 700 mila euro di fatturazione a disposizione
(che indicavo per le paghe), 500 mila euro circa di un bonifico leasing
bloccato e 250 mila euro di un anticipo leasing da far rientrare e 3 milioni di
plusvalenze sugli immobili aziendali non superiamo la somma? E se viene superata
ma non utilizzata a chi andrà questo "vantaggio"? Ho solo la sindrome
da colpevole vero?.
( da "Stampa, La" del
14-12-2007)
MILANO Popolare Vicenza non supera lo sbarramento
dell'Antitrust. La banca non potrà rilevare il 2% sindacato del capitale
Mediobanca che fa parte della quota messa in vendita da Unicredit. Questo
perché non ha offerto all'Autorità una soluzione atta a risolvere
il conflitto d'interessi che sarebbe derivato dalla contemporanea presenza in piazzetta
Cuccia, nella Cattolica Assicurazioni e in Nord Est Merchant. Come in ogni
telenovela che si rispetti - e quella del collocamento del 9,39% di Mediobanca
da parte dell'Unicredit ormai lo è - non poteva mancare il colpo di scena
finale, proprio mentre questa mattina il patto di sindacato di piazzetta
Cuccia - sotto la presidenza di Cesare Geronzi - si appresta a varare la
sistemazione delle azioni. Unicredit, però, non si fa fermare dal
"no" dell'Antitrust. Il patto darà così il via libera al collocamento
tra i soci già prenotati - Benetton prende il 2%, Mediolanum l'1,5% che
aggiunge al 2% in portafoglio, Fininvest un 1% che si aggiunge a un'altra quota
simile che già possiede, la tedesca Sal Oppenheim l'1,7% e i soci stranieri
l'1% - mentre il 2% che sarebbe dovuto andare alla Vicenza verrà vincolato in
uno strumento finanziario, un "equity swap", e parcheggiare le azioni
nel portafoglio di una banca d'investimento fino a fine
( da "Unita, L'" del
14-12-2007)
Stai consultando l'edizione del Vicenza resta fuori La
Popolare Vicenza non ha ottenuto il via libera dell'Antitrust all'acquisto del
2% di Mediobanca nell'ambito del collocamento della quota Unicredit. La banca
guidata da Gianni Zonin non ha fornito impegni all'Antitrust
tali da superare i dubbi dell'authority sui possibili conflitti di interesse
con Piazzetta Cuccia. I paletti posti dall'Authority per il via libera alla
fusione con Capitalia impediscono infatti a Unicredit di cedere il 9,39% a
"società attive sui mercati nei quali Mediobanca operi principalmente,
direttamente o indirettamente tramite partecipate". I nodi che non
sono stati sciolti riguardano l'attività di banca di investimento svolta dalla
popolare veneta attraverso la controllata all'80% Nord Est Merchant, attiva
nell'advisory per le Pmi, e la partecipazione al 12% nella Cattolica, compagnia
assicurativa di cui Zonin è vicepresidente e il condirettore generale della
Vicenza, Samuele Sorato, consigliere di amministrazione. Mediobanca.
( da "Unita, L'" del
14-12-2007)
Stai consultando l'edizione del Premiata ditta
Berlusconi-Saccà Furio Colombo Segue dalla Prima C onosco l'India, conosco il
cinema indiano e l'ho fatto volentieri. Fa piacere occuparsi di accordi che non
hanno niente a che fare con le armi. Poi leggo, il 12 dicembre, l'articolo di
Giuseppe D'Avanzo su Repubblica (tema, la corruzione di Berlusconi, la sua
operazione di acquisto dei senatori del centrosinistra) e apprendo di avere
lavorato per il "socio" di Berlusconi, Agostino Saccà. Da una sua
posizione chiave nel cuore dell'azienda pubblica Rai, l'ex direttore generale
(ora capo di Rai Fiction) lavora a un suo (suo e di Berlusconi) progetto di
impresa privata. Trascrivo da D'Avanzo: "Nonostante i suoi doveri di
incaricato del servizio pubblico ha un privatissimo proposito di farsi
imprenditore di se stesso, creatore della "Città della fiction" di
Lamezia, architetto di "Pegasus", un nascente consorzio di produttori
televisivi sollecitato da alcuni produttori indiani. Qualcosa non va in questa
storia, e non solo dal punto di vista etico", conclude D'Avanzo. Qualcosa
non va anche dal punto di vista politico. La mucillagine dilagante (per usare
le parole del Censis) degli interessi privati invade e
contamina la vita politica e gli impegni istituzionali al punto da far agire
nell'interesse dell'impresa infetta (Berlusconi e soci) anche chi si batte in
tutti i modi contro di essa. La mattina del 13 dicembre, mentre parlavo di
questa vicenda nel corso del programma "Omnibus" de La 7 , coordinato
da una indomita conduttrice decisa a non lasciarsi intimidire dagli urli, mi
sono accorto di far parte di una esigua minoranza che considera uno scandalo
grave il tentativo esplicito e provato di comprare senatori. Mi sono ricordato
che - in coincidenza con i fatti rilevati da Repubblica sulla base di
intercettazioni telefoniche in cui Berlusconi entra per caso (intercettazioni
della magistratura di Napoli che riguardavano il non irreprensibile ex
direttore generale della Rai) - il vivace e attivo capo della opposizione e
(come si constata ancora una volta) della illegalità italiana aveva indicato il
giorno preciso della caduta del governo, il 14 novembre. Era infatti il giorno
in cui un imprenditore italiano residente in Australia si era assunto il
compito di concludere "l'affare" se il sen. Randazzo - eletto dagli
emigrati italiani in quel continente - si fosse prestato al convenientissimo
evento del passaggio incentivato da una parte all'altra del Parlamento.
Randazzo ha detto e ripetuto il suo no sia a Berlusconi in persona sia ai suoi
mandatari (stando sempre alle intercettazioni e alla de-codificazione di esse
da parte dei giornalisti di Repubblica). E Berlusconi ha subito lanciato il
progetto dal nome maoista di "Partito della Libertà del popolo" per
colmare la sconfitta e il vuoto. Ma provate a parlarne con uno schieramento di
liberi giornalisti italiani nell'era di Arcore, nel corso di una diretta tv
come quella di "Omnibus". La squadra di firme invitate (Paolo Liguori
di Mediaset, Carlo Puca di Panorama e persino il celebre Minzolini, ottimo e
intraprendente giornalista che ha l'esclusiva delle frasi confidenziali e
virgolettate di Berlusconi) hanno risolutamente preteso di essere al di sopra
delle parti. E contestualmente si sono impegnati a dimostrare che "vendere
e comprare" senatori è un normale fatto politico. Forse che Follini non
era stato comprato dal centro-sinistra? Invano ho fatto notare che un partito
impegnato a tassare i suoi parlamentari del nuovo Pd (1500 euro a testa ogni
mese) solo per pagare il "loft" di poche stanze in cui hanno sede, in
tre o quattro vani, i nuovi uffici, difficilmente avrebbe potuto
"acquistare" l'ex vice presidente del Consiglio della Casa delle
libertà. Ma l'offesa priva di fondamento dedicata a Follini dalla viva voce di
giornalisti che dovrebbero narrare la realtà, era solo una parte della loro
fiera esibizione super partes. Tutto il loro impegno era dedicato a spiegare -
con qualche urlo in più - al pubblico che tutto nella politica italiana è
basato su continue compra-vendite. E che dunque, se c'è un intollerabile
scandalo, è quello delle intercettazioni. Soltanto Gianni Barbacetto (coautore
con Marco Travaglio di testi su Berlusconi visti di malocchio dai politici di
ogni parte, ma best-seller presso il pubblico italiano) e io abbiamo tentato di
dire che quando le manovre che cambiano la politica italiana sono segrete,
illegali e pericolose, il venirle a sapere in modo inconfutabile è sempre un
atto di difesa della democrazia. Purtroppo sulla questione intercettazioni lo
schieramento dei super partes berlusconiano non è isolato. Il presidente della
Camera Bertinotti: "Ho detto che Silvio Berlusconi è un animale politico e
che sulle riforme è un interlocutore indispensabile". "Ma - scrive il
Corriere della Sera del 13 dicembre - c'è di più. Il garantista Bertinotti si è
appellato al Procuratore di Napoli per verificare se c'è stato il vulnus che
sembra appalesarsi nella intercettazione del deputato Berlusconi. Dice
Bertinotti al Corriere: "Le regole sono l'essenza della democrazia. E qui
mi fermo. È un rito (la pubblicazione delle intercettazioni, N.d.R.) che
danneggia anche la magistratura"". Dice il senatore-avvocato Guido
Calvi del Pd: "Diciamo che ho sempre paura che qualche magistrato, come
dire, possa deviare dall'esercizio delle sue funzioni. Il controllo del Csm
deve ormai diventare estremamente rigoroso. È urgente mettere mano al problema
delle intercettazioni che non siano finalizzate all'accertamento del reato
perseguito e impedire la fuga prima del legittimo uso processuale". Ma la
pattuglia di coloro che guardano corrucciati alla presunta irregolarità dei
giudici di Napoli (che appare infondata perché - come afferma il Procuratore di
quella città - la parte investigativa dell'indagine è giunta a compimento e non
sembra ci sia stata una fuga di carte segrete) non è affatto isolata. Da una
parte si sente (si è sentita nella puntata di Omnibus di cui ho parlato) la
voce esasperata di un giornalista come Liguori che sbotta: "Ma con tutti i
delitti che ci sono a Napoli proprio di Berlusconi e Saccà si dovevano occupare
quei giudici!". Dall'altra, c'è il desiderio di partecipare alla vasta
indifferenza verso il clamoroso attentato alla democrazia. Perché è vero che il
deputato Berlusconi è stato intercettato e questo viola le regole. Ma questa
violazione - che è apparente, perché gli investigatori stavano seguendo e
ascoltando un alto dirigente della Rai circondato di molti sospetti - non è
colpa dei giudici. Infatti Saccà e Berlusconi discutevano tutto il tempo non solo
di ragazze da piazzare alla Rai per "levarcele dalle balle", ma anche
di richieste di Berlusconi a Saccà di "far felice il capo"
procurandogli, con i mezzi che si sanno, i senatori che gli mancano affinché
Prodi cada quel magico 14 novembre che "il capo" aveva profetizzato.
In fondo a sinistra, profondo silenzio. E quando non è silenzio è
preoccupazione. Tutto questo disordine non interromperà il dialogo? Non è
meglio, come suggeriscono i senatori-avvocati, separare la giustizia dalla
politica? Il ragionamento ricorda le tante altre volte in cui ci ammonivano a
non parlare dei processi di Berlusconi, per una sorta di cavalleresca
sospensione che avrebbe reso meno aspri i rapporti. Come si ricorderà, ha
sempre provveduto Berlusconi, di sua iniziativa, a riaccendere la miccia ora
accusando i comunisti di occupare l'Italia, ora facendo descrivere Prodi come
"un mascalzone bavoso". Questa volta è diverso. Nel pieno della
politica, Berlusconi compie un delitto politico, oltre che di corruzione: vuole
comprarsi alcuni senatori. Un senatore conferma, comprese sorveglianze,
pedinamenti, fotografi pronti allo scatto, strani intermediari. Non è
"un'altra storia" come ci dicevano (sbagliando) per
il conflitto di interessi. È il cuore dell'unica storia: la politica italiana inquinata da
Berlusconi. Il tentativo, illegale e disonesto, di abbattere la maggioranza per
dissanguamento. Non si può e non si deve far finta di niente perché ormai siamo
in compagnia degli italiani che sanno tutto attraverso un percorso che non viola
alcuna legge. Certo che il tentativo di trovare un minimo di accordo per
una decente legge elettorale deve continuare, non è stato il centro-sinistra a
volere una legge elettorale indecente, giustamente definita da loro stessi
"porcata" . Certo che tale tentativo va fatto con loro, gli autori
della "porcata" (che non hanno mai neppure tentato di giustificare o
spiegare, solo un sabotaggio della delicata macchina elettorale che genera ogni
volta la democrazia). Meglio se "loro" sono una tavola larga, senza
preclusioni, senza esclusi. Difficile? Difficile. Ma dalla parte della
maggioranza l'esperienza e la conoscenza di queste cose non manca. Ma non
possiamo farci carico di Saccà. Non possiamo far finta di non sapere ciò che
tutta l'Italia sa. Non possiamo isolare e lasciare sola la preda che avevamo
puntato, il senatore "da comprare" dopo che avevamo fatto una
meticolosa ispezione del suo stato patrimoniale. Il grande teatro insegna che
la vittima diventa patetica se viene lasciata sola, se non diventa simbolo
vantato ed esibito da chi ha scoperto l'inganno. Non credo si debba confondere
la necessità urgente (e finora bene impostata da Veltroni) dell'accordo su un
punto, la legge elettorale, con una sorta di indulto-distrazione-amnistia
generale. O che sia consigliabile aggiungere sdegno per il gesto di rivelare
invece che per la rivelazione. La storia, adesso, parte da quella rivelazione.
colombo_f@posta.senato.it.
( da "Unita, L'" del
14-12-2007)
Stai consultando l'edizione del Ecco una legge per tutti
Gianfranco Pasquino Segue dalla Prima Per superare le resistenze e per non
frustrare le speranze, sarebbe necessaria una proposta che non consenta a
nessuno di potere valutare immediatamente, con un margine di errore minimo,
vantaggi e svantaggi, propri e altrui. La ragione dell'impasse va trovata, a
mio modo di vedere, nella difficoltà di conciliare il mantenimento del
bipolarismo con una legge elettorale proporzionale senza incidere sulla
auspicabile proporzionalità e, forse, senza neppure distorcerla. Cosicché, da
un lato, protestano, a ragione, i bipolaristi, alcuni dei quali, non tutti in
verità, sono anche favorevoli ad una legge effettivamente maggioritaria;
dall'altro, si sollevano i proporzionalisti che non vedono perché i partiti già
grandi debbano essere ancora più premiati. So perfettamente che, in definitiva,
la legge elettorale costituisce proprio il terreno sul quale i politici
valutano non soltanto il loro consenso, ma anche il loro potere e che, di
conseguenza, un'opinione tecnica, per quanto accuratamente formulata (come la
mia...), è destinata ad incidere poco. Però, vorrei cimentarmi con una proposta
non bizzarra, mettendo comunque in guardia tutti: la mia preferenza prima
continua ad essere per il sistema maggioritario a doppio turno, francese,
appena ritoccato. Ciò detto, poiché appare accertato che nel Parlamento attuale,
qualora fossero lasciati soli a decidere, i parlamentari opterebbero per una
legge proporzionale, ne prendo atto e suggerisco quanto segue. Il sistema
elettorale dovrebbe essere a doppio turno. Nel primo turno, vengono assegnati
quattrocento seggi con metodo proporzionale in quaranta/cinquanta
circoscrizioni equilibrate, eventualmente con l'inserimento di una clausola di
esclusione del quattro/cinque per cento. Le liste sarebbero composte da non più
di otto, dieci candidature. All'assenza del voto di preferenza, che giustifico
per evitare lotte, scontri, conflitti dentro ciascuna lista
e probabile formazione di correnti, si potrebbe ovviare sancendo il principio
di primarie facoltative, a richiesta di un certo numero di elettori. Al secondo
turno, verranno assegnati 75 seggi al partito o alla coalizione che ottiene più
voti e 25 seggi al partito o alla coalizione giunti secondi (per
incoraggiare la formazione di una opposizione e darle rilevanza e consistenza).
È probabile, ma non ne farei un vincolo, che i partiti o le coalizioni avranno
tutto l'interesse a pre-designare il loro candidato alla carica di Presidente
del Consiglio. L'esistenza di un premio di maggioranza assegnato al partito o
alla coalizione che ottiene più voti al secondo turno spingerà verso il
bipolarismo ovvero lo preserverà. Inoltre, il voto espresso al primo turno
consentirebbe tanto ai partiti quanto agli elettori di avere una idea
abbastanza chiara dei rapporti di forza intercorrenti e quindi, li incoraggerà
a scegliere se e quali coalizioni formare (i partiti) e se e quali coalizioni
votare (gli elettori). La semplice esistenza del doppio turno consente di fare
circolare molte utili, persino decisive informazioni politiche. Infine, il
partito o la coalizione vincente potrebbero vantare una legittimazione
elettorale esplicitamente espressa. Il bipolarismo costruito in questo modo non
sarebbe né rigido, in quanto il partito o la coalizione vincente potrebbero
decidere se e come aprirsi ad altri apporti parlamentari, né feroce, nella consapevolezza
che le coalizioni durano lo spazio di una legislatura (ovvero, eventualmente,
ma non molto probabilmente, anche meno, se si volesse introdurre il voto di
sfiducia costruttivo). Questo sistema elettorale ha alcuni pregi rispetto alle
proposte circolanti. Anzitutto, è facile da capire nei suoi meccanismi e
persino da valutare nelle sue probabili conseguenze, senza in alcun modo
ridurre l'incertezza sull'esito. In secondo luogo, grazie al doppio voto, che
può anche essere disgiunto, conferisce grande potere agli elettori. In terzo
luogo, minimizza gli svantaggi prevedibili per i piccoli partiti che, grazie
alla ampia componente proporzionale, avranno sicuramente rappresentanza in
Parlamento, e conferisce un vantaggio (il premio di maggioranza) ai grandi, ma
soltanto se sapranno conquistarselo visibilmente nella competizione del secondo
turno. Ricordo che al doppio turno e al premio di maggioranza l'elettorato
italiano si è ormai positivamente abituato grazie ai sistemi elettorali usati
per l'elezione dei sindaci, senza nessun inconveniente. Non andrei fino a
sostenere che il sistema che propongo possa essere definito con la terminologia
un po' fuorviante che fa riferimento all'elezione del "sindaco
d'Italia", ma, insomma, ci va abbastanza vicino. Comunque, mi auguro che
costituisca la mossa che spariglia alcune carte dei politici e restituisce
molto potere agli elettori. Questo, alla fine della ballata, è il criterio che
merita di contare più di tutti gli altri.
( da "Unita, L'" del
14-12-2007)
Stai consultando l'edizione del ROBERTO NATALEIl
neopresidente della Fnsi a fianco della redazione: sì alla carta dei valori e
al comitato dei garanti "Primo: l'autonomia. Con ogni azionista"
Roberto Natale è da pochi giorni il nuovo presidente della Federazione
nazionale della stampa. "Inizio con un ringraziamento a voi per la scelta
di posticipare di ventiquattro ore lo sciopero per non oscurare i funerali
delle vittime di Torino: anche noi giornalisti ci sentiamo in questo momento
tutti parte del lutto di una nazione". Il problema che la redazione de
l'Unità pone, con questo sciopero, è anche quello della dell'autonomia del giornale...
"È un tema di valore assolutamente generale. Ieri al Congresso
dell'Associazione stampa romana è stata approvata a larghissima maggioranza una
mozione che esprime solidarietà ai colleghi dell'Unità, facendo suo l'auspicio
che si raggiunga la massima articolazione nella composizione azionaria del
giornale. Lo abbiamo fatto non perché la maggioranza della platea sia sulle
posizioni de l'Unità, ma perché quasi tutti i giornalisti, qualsivoglia sia il
loro orientamento politico, vedono il pericolo generale di questa
vicenda". Ci sono cose che non si possono comprare, come dice un spot...
"La logica di mercato non può essere la sola quando si parla di un tema
sensibile come l'informazione. Un esempio. Se la famiglia Sensi, proprietaria
della Roma, decidesse di comprare anche la Lazio non solo ci sarebbe la
protesta dei tifosi ma certamente avremmo decine di editorialisti pronti a
spiegarci che non tutti i valori possono essere ridotti al solo principio
finanziario. Chiediamo che anche i valori di idee, di cultura e di passione
civili possano godere dello stesso rispetto. Ovviamente il discorso vale per
tutti i giornali di opinione: forti delle loro idee, ma deboli in una logica di
mercato viziata che impedisce loro di avere il sostegno pubblicitario che
meriterebbero". Che strumenti possono darsi i giornalisti per difendere la
qualità dell'informazione? "Nel caso degli Angelucci, appare abbastanza
evidente come il loro interesse editoriale sia legato ai loro interessi imprenditoriali. È un problema che non riguarda
solo gli Angelucci, ma in modo diverso tutti gli editori in Italia, che sono
tutt'altro che "puri": quello che diciamo noi è
semplicemente che questo tipo di conflitto di interessi venga
alla luce e che i lettori sappiano perché si prendono certe posizioni piuttosto
che altre. Noi da anni parliamo di statuto di impresa editoriale, un tema che
riproponiamo al governo e al parlamento. In questo senso è utilissima la
proposta dei redattori de l'Unità di una carta dei valori e di un comitato di
garanti: discuterne significa discutere anche della qualità della nostra
democrazia oggi, vista la rilevanza che la comunicazione ha oggi nei meccanismi
di formazione del consenso e delle decisioni". ro.bru.
( da "Giornale.it, Il" del
14-12-2007)
Di Nicola Porro - venerdì 14 dicembre 2007, 07:00 da
Milano Qualche piccola considerazione su due-tre pezzi del nostro capitalismo
che conta e sui regolatori del sistema. Antitrust e peanuts. L'authority ha
fatto intendere, attraverso la sua moral suasion e senza alcun atto formale,
che la Banca Popolare di Vicenza non può portarsi a casa una piccola fetta (il
2%) di Mediobanca. Poiché la Popolare veneta ha una partecipazione in
un'assicurazione cooperativa, la Cattolica, si creerebbe un conflitto di interessi. Mediobanca, infatti,
controlla di fatto le Generali. Giusto, bene, avanti così. Certo che però
vedere la totale assenza di moral suasion da parte della medesima Autorità sul
caso Alitalia stupisce. Ma come, sulla piccola pagliuzza di Vicenza in
Mediobanca, si è intransigenti e sulla trave di Air One che si pappa Alitalia e
che crea di fatto un monopolio in Italia, si glissa? Boh. Generali e
dintorni. La storia è un po' noiosa, ma tratta di stipendi e di grandi manager
francesi. Per settimane si è discusso della corporate governance delle Generali
e del ruolo del suo presidente. È finito tutto in un sospiro, ma con pagine e
pagine di commenti. Il motivo è semplice Antoine Bernheim è sostituibile in
concomitanza con il giro di nomine e poltrone delle ex partecipazioni statali
(Finmeccanica, Eni ed Enel su tutte) e gli appetiti romani crescono. Ma la sua
posizione non si tocca, se le pedine dei grand commis romani debbono muoversi,
lo facciano nel loro ambito e non tocchino la finanza che conta. Geronzi è uno,
ma non è trino. Il presidente di Mediobanca non sostituirà Gabriele Galateri
nel consiglio di amministrazione di Rcs. Galateri ne è vicepresidente, ma il
suo sostituto né oggi né in futuro sarà il banchiere romano. Geronzi, a cui
alcuni attribuiscono anche i misfatti di Belzebù, ha una caratteristica, che
molti nostri manager e capitalisti non hanno neanche dipinta: non cumula
cariche operative. Non lo ha mai fatto e non sembra che ne abbia intenzione
neanche a questo giro. Confindustria senza Bombassei. È il più tosto dei
potenziali successori di Montezemolo. Eppure lascia la corsa: per ora in
solitaria Emma Marcegaglia. Poco tempo per trovare un concorrente temibile.
( da "Repubblica, La" del
14-12-2007)
Pagina V - Bari L'INCHIESTA Le indagini per accertare se
ci sono reati negli accreditamenti. L'assessore Tedesco: interrogatemi
Cliniche, carte ai raggi X Blitz della Finanza, acquisiti nuovi documenti
GABRIELLA DE MATTEIS Dall'assessorato alla Sanità alle sedi delle società che
gestiscono le due cliniche accreditate dalla giunta di centrosinistra. Gli
uomini della guardia di finanza che indagano sul presunto
conflitto di interessi di Alberto Tedesco, ieri mattina, hanno condotto nuove
acquisizioni. Hanno portato via altri documenti. Alle prime ore del mattino i militari
del nucleo di polizia tributaria, coordinati dal procuratore aggiunto Marco
Dinapoli, sono arrivati negli uffici delle società proprietarie delle due
strutture sanitarie convenzionate con la Regione Puglia. E hanno
acquisito la documentazione che ora fa parte degli atti dell'inchiesta.
Allegate al fascicolo ci sono anche le carte che i militari delle fiamme gialle
hanno portato via, martedì mattina, dalla sede dell'assessorato alla Sanità.
Quello sugli accreditamenti è solo un aspetto dell'indagine aperta per capire
se vi sia un conflitto di interessi di Alberto Tedesco
e soprattutto se la presunta incompatibilità dell'esponente della giunta
Vendola con la carica di assessore alla Sanità si traduca in comportamenti penalmente
rilevanti. Il fascicolo è stato aperto all'indomani delle polemiche politiche
che infuocato il dibattito alla Regione nel mese di ottobre. A sollevare il
caso è stato il consigliere regionale dell'Italia dei Valori Pierfelice
Zazzera. "Le aziende sanitarie del figlio di Alberto Tedesco - ha spiegato
- da quando è assessore hanno incrementato il fatturato del cento per
cento". Una posizione fatta propria dal vicepresidente della commissione
Giustizia Luigi Vitali che ha scritto una lettera al procuratore Emilio
Marzano, allegando il comunicato stampa del rappresentante dipietrista e
sollecitando alcune verifiche. E così il capo degli uffici giudiziari di via
Nazariantz ha aperto un'inchiesta, assegnandola all'aggiunto Marco Dinapoli che
ha già coordinato altri fascicoli sulla sanità pugliese. Indagando sul presunto
conflitto di interessi, gli uomini delle fiamme gialle
vogliono accertare se le società dei figli dell'assessore che commercializzano
prodotti medicali siano stati beneficiati e in modo irregolare dalla politica
sanitaria della giunta Vendola. Per questo l'inchiesta è partita dalle
verifiche sugli accreditamenti. In provincia di Bari, in particolare, due
cliniche che operano nel campo della fisioterapia e della radiodiagnostica,
sono state accreditate dall'amministrazione di centrosinistra. La procura vuole
capire prima di tutto se le strutture sanitarie, al centro dei controlli,
avessero i requisiti per essere convenzionate con il sistema sanitario
pubblico. E se la decisione della giunta di stipulare un contratto con i due
centri clinici sia stata dettata da reali e concrete necessità. Analizzando la
documentazione acquisita nella sede dell'assessorato nel quartiere Japigia e
negli uffici delle società, gli uomini delle fiamme gialle vogliono anche
accertare se le società dei figli di Alberto Tedesco abbiano venduto prodotti
medicali alle cliniche accreditate. "Chiederò al procuratore di essere
ascoltato ma non c'è un documento prelevato dall'assessorato che riguardi in
qualche modo l'attività dei miei figli" ha spiegato l'assessore alla
Sanità (che non è indagato), all'indomani delle prime acquisizioni. Gli uomini
del nucleo di polizia tributaria hanno portato via la documentazione che
riguarda due cliniche della provincia di Bari, ma nei prossimi giorni i
controlli si estenderanno anche alle altre strutture sanitarie della Puglia che
sono state accreditate dall'amministrazione regionale di centrosinistra. Anche
in questo caso la procura verificherà se, per l'acquisto di prodotti medicali,
si siano rivolti alle società dei figli di Alberto Tedesco.
( da "Manifesto, Il" del
14-12-2007)
Andrea Fabozzi Se qualcuno nel centrosinistra si
permette di questionare le riforme immaginate da Veltroni, il primo a
preoccuparsi e a dirsi solidale con il segretario del Pd è ormai Berlusconi. Se
Fini litiga con Berlusconi, Veltroni subito litiga con Fini. Se Berlusconi
finisce indagato per corruzione, Veltroni non dice una parola e l'intero Pd
perde la voce. La trattativa sulla legge elettorale prima di tutto. Ma a che
prezzo? Quel po' di concordia che restava nell'Unione è stato sacrificato con
la leggerezza con cui si butta via qualcosa di inutile e sorpassato. Nel
centrosinistra sono tutti contro tutti, la sinistra arcobaleno scolora nella
più classica delle guerre civili: quella per la sopravvivenza. Non solo. Il
dialogo esige i suoi sacrifici. La legge di riforma dell'emittenza può attendere,
quella sul conflitto di interessi è
parcheggiata sul binario morto. E attenzione. Si tratta delle due riforme
mancate dallo scorso governo di centrosinistra per le quali sia Prodi che
Veltroni che tutti gli altri hanno chiesto scusa e perdono agli elettori, i due
massimi impegni per la nuova legislatura. La ragione per la quale molti
indecisi hanno deciso di votare ancora il centrosinistra, a questo punto
sbagliando. E invece. Veltroni preferisce glissare su quei provvedimenti che
anche lui all'opposizione e in campagna elettorale riteneva fondamentali. Prodi
se ne ricorda a giorni alterni e solo quando si preoccupa che l'intesa tra
Walter e Silvio finisca per scavargli la fossa. Il risultato non cambia. Conflitto di interessi e riforma
delle tv non si fanno e sono considerati meno urgenti di una modifica dei
regolamenti parlamentari. "L'anomalia" Berlusconi è più che mai al
centro della scena politica. Ma è giusto dialogare con il cavaliere sulla
riforma della legge elettorale? Non si tratta con Berlusconi, si tratta di
Berlusconi. È ridicolo scoprirne oggi la biografia, dopo quarant'anni di
attività imprenditoriale e quindici di politica. Non sono certo le ultime
inchieste ad aprire gli occhi sugli intrecci Rai-Mediaset o sulle attività
mercantili del cavaliere con le attrici e i senatori. Semmai quelle inchieste
sono enfatizzate proprio dal contorno politico: quel Berlusconi è tornato ad
essere uno statista con il quale si sta cercando un dialogo privilegiato. Un
brutto errore. La riforma elettorale va certamente fatta anche con il leader
del primo partito dell'opposizione, ma senza per questo scontargli il fatto di
aver imposto lui, solo due anni fa, l'attuale legge porcata. Buon senso e buona
politica vorrebbero che la maggioranza o quel che ne resta cercasse prima di
tutto al suo interno un'intesa. Sembrerebbe persino il compito del segretario
del partito più grande dell'Unione. Aver fatto di Berlusconi l'architrave di
tutto è più di quanto Berlusconi potesse desiderare. Per farlo il
centrosinistra deve sacrificare le riforme promesse e nascondere la faccia ogni
volta che la cronaca ricorda chi sia Silvio Berlusconi. Con il rischio,
sottovalutato da Veltroni, che alla fine al cavaliere rimesso in sella convenga
far saltare tutto. Ancora una volta.
( da "Messaggero, Il" del
14-12-2007)
Di ANNA MARIA SERSALE ROMA - Il sistema di governo degli
atenei cambierà. Lo ha annunciato il ministro Fabio Mussi durante l'ultima
seduta della Conferenza dei rettori. Meno burocrazia e una rigorosa valutazione
del merito dovranno accompagnare il rilancio dell'autonomia universitaria e il
nuovo sistema di governance. Una riforma attesa da anni. Attualmente, infatti,
l'autonomia degli atenei pubblici è caratterizzata da un
grave conflitto di interessi, quelli personali e corporativi dei docenti, e quelli di
carattere generale dell'università. Ma per rendere più trasparente la gestione
delle università Mussi inserisce una norma chiave: "I rettori potranno
avere al massimo un mandato di sei anni, non rinnovabile negli ulteriori
sei". I rettori in carica, dunque, non potranno essere rieletti. La
regola varrà anche per gli altri componenti degli organi di governo accademico.
C'è una novità anche per gli studenti. Viene dal ministro per le Politiche
giovanili Giovanna Melandri. Il prestito d'onore che non era mai decollato,
diventerà operante. Per pagare master, gli scambi Erasmus, computer, e affitto
ci sarà una convenzione che verrà stipulata mercoledì prossimo tra il ministero
e l'Abi, l'Associazione delle banche italiane, e che prevede uno stanziamento
di 660 milioni nel triennio 2007-2009 da destinare agli studenti tra i 18 e i
35 anni. Il prestito va da un minimo di mille ad un massimo di seimila euro. Ma
torniamo alla riforma Mussi. Nel disegno di legge in preparazione si prevede
tra l'altro "la separazione delle competenze di politica e di strategia,
assegnate al senato accademico, da quelle amministrative e di pianificazione
finanziaria, attribuite al consiglio di amministrazione, riducendo ove
necessario il numero degli organi e dei loro componenti". Altro punto
centrale sarà quello che riguarda le sedi decentrate. Per determinare maggiore
efficienza della spesa, e una migliore qualità complessiva del sistema, il
ministro prevede la "chiusura delle sedi universitarie decentrate, non
sufficientemente sostenute dagli enti locali; o non inserite in processi
federativi. Il problema riguarda soprattutto i mega-atenei che hanno dato vita
a sedi che soffrono di localismo, e che talvolta hanno strutture inadeguate e
mancanza di laboratori. I rettori hanno detto di essere d'accordo, in
particolare Guido Trombetti, presidente della Crui, ha ammesso la necessità di
un intervento di regolazione. Per favorire la diffusione delle "buone
pratiche", inoltre, il ministro ha detto che convocherà ogni anno una
conferenza nazionale sul processo autonomistico degli atenei. Ma c'è un'altra
novità importante. Riguarda le università telematiche. E' stato varato un
decreto interministeriale (tra il ministero dell'Università e quello
dell'Innovazione) per definire quali devono essere i requisiti dei corsi
on-line, in merito a tutoring, numero di docenti e infrastrutture.
( da "Libero" del
14-12-2007)
Attualità 14-12-
( da "Libero" del
14-12-2007)
Italia 14-12-2007 Per Capanna trovano i soldi, per la
ricerca no di ROBERTO DEFEZ* Nel gran baccano finale che sempre accompagna
l'approvazione di una legge finanziaria, il ministro Paolo De Castro ha trovato
il modo di tenere fede ad un impegno contratto mesi fa con l'ex leader
sessantottino Mario Capanna. Pochi giorni fa, infatti, nel testo è comparso un
articolo che stanzia 2 milioni di euro per promuovere "filiere produttive
agricole esenti da contaminazioni da Ogm". Fantomatiche fondazioni Potrebbero
persino diventare 5 milioni, se il ministero della Ricerca non gestirà con
rigore e trasparenza l'altro fondo, di 3 milioni, previsto in Finanziaria.
L'articolo specifica che queste somme saranno gestite da "Fondazioni che
operano in campo scientifico", anche se con la ricerca scientifica, quella
vera, non hanno nulla a che fare. Insomma, siamo il fanalino di coda per
l'investimento in ricerca tra i Paesi più sviluppati, non possiamo pagare gli
stipendi ai giovani ricercatori, li facciamo scappare a gambe levate
all'estero, ma poi troviamo il modo di finanziare fondazioni come quella
presieduta da Capanna. E lasciamo che su un tema controverso come le
biotecnologie sia lui ad informare i cittadini, nonostante il
palese conflitto di interessi dei soggetti con cui è alleato. La campagna mediatica Ai lettori
potrà apparire una somma esigua, ma per chi come noi vive dei finanziamenti
alla ricerca pubblica, la posta in gioco è molto consistente. Credo sia il caso
di far notare che non uno solo dei più prestigiosi scienziati italiani ha
aderito alla campagna mediatica orchestrata da Capanna, mentre si sono
detti fiduciosi nei riguardi degli Ogm ricercatori come Garattini, Veronesi,
Boncinelli, Cattaneo, Cossu, Hack, Ballabio, Regge, il presidente
dell'Accademia delle Scienze Scarascia Mugnozza e molti altri. La comunità
scientifica di questo paese ha tante colpe, ma non si può certo rimproverarle
di non aver parlato chiaro sugli alimenti geneticamente migliorati. Le società
scientifiche italiane hanno prodotto almeno tre inequivocabili documenti sul
tema, disponibili sul sito http://www.salmone.org. Ma, paradossalmente, quando
la comunità scientifica cerca di uscire dalla torre d'avorio, a sbarrarle il
passo sono i vari ministri delle Politiche Agricole e una parte della filiera
della distribuzione, che ha identificato nel rifiuto degli Ogm un comodo slogan
pubblicitario. In molti supermercati è ormai difficile trovare alimenti che non
siano etichettati come "No-Ogm". Il governo, invece di assecondare le
lobby più rumorose, avrebbe il dovere di rispondere onestamente a una domanda:
i prodotti Ogmfree sono più o meno sicuri degli altri? Nel corso di una recente
polemica tra SAgRi ed il ministro De Castro, è emerso che il mais Bt (l'unico
Ogm che sia coltivato oggi in Francia, Spagna e Germania) è molto più sicuro
per la salute umana del mais tradizionale. Con e senza "fumosine" La
ragione sta in alcune pericolose tossine prodotte da alcuni funghi (fumonisine)
che si annidano nel mais convenzionale e non in quello transgenico. Il ministro
è stato chiamato in causa per non aver dato rilievo a questi dati, confermati
tra l'altro da uno studio dell'Istituto nazionale per la Nutrizione, da cui è
emerso che il mais convenzionale presentava un contenuto di fumonisine
superiore dell'81% rispetto al mais Bt. Questi dati sono di certo molto scomodi
per chi ha investito tanti soldi per creare filiere senza Ogm e sta cercando di
convincere i consumatori che è ragionevole pagare di più un alimento se ha il
marchio "No-Ogm". E allora chi dovrebbe informare i cittadini: la
ricerca scientifica pubblica del nostro paese o i rappresentanti di
organizzazioni di categoria, commerciali e sindacali? *COORDINATORE SAGRI
(SALUTE, AGRICOLTURA, RICERCA) POLITICO NON OGM L'ex leader sessantottino Mario
Capanna, fondatore di Democrazia Proletaria, da tempo di batte contro i
prodotti Ogm, Organismi geneticamente modificati. Per l'anno 2008 il governo ha
stanziato 2 milioni di euro destinati a un fondo apposito creato per finanziare
la battaglia contro gli Ogm Con trasto Salvo per uso personale è vietato
qualunque tipo di riproduzione delle notizie senza autorizzazione.
( da "Repubblica, La" del
14-12-2007)
Cultura "ho sbagliato ha ragione Huntington"
Lo scrittore riscrive un suo celebre articolo e ammette che lo scontro di
civiltà esiste La maggioranza silenziosa dei musulmani si è alleata con gli
estremisti è evidente che ogni storia religiosa sul come siamo arrivati qui è
di fatto sbagliata (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Molte di queste storie ti
colpiranno per la loro straordinaria bellezza, e dunque per la loro capacità di
seduzione. Malauguratamente, però, non sarà una reazione puramente letteraria
che chiederanno da te. Solo le storie delle religioni "morte" possono
essere apprezzate per la loro bellezza. Le religioni vive ti chiedono molto di
più. E ti diranno dunque che credere nelle "tue" storie, e aderire ai
rituali di culto sviluppatisi intorno a esse, dovrà diventare una parte
fondamentale della tua esistenza in questo mondo affollato. Le chiameranno il
cuore della tua cultura, della tua identità individuale, perfino. è possibile
che a un certo punto arriveranno a sembrarti qualcosa a cui non si può
sfuggire, non come non si può sfuggire alla verità, ma come non si può sfuggire
a una prigione. Forse, a un certo punto, smetteranno di apparirti come i testi
in cui degli esseri umani hanno cercato di risolvere un grande mistero, e ti
appariranno invece come i pretesti per consentire ad altri esseri umani,
consacrati all'uopo, di tiranneggiarti. Ed è vero che la storia umana è piena
di pubblica oppressione inferta dagli aurighi degli dei. Ma le persone religiose
ritengono che il conforto privato che la religione dà è più che sufficiente a
compensare il male fatto in suo nome. Con lo svilupparsi della conoscenza
umana, è diventato anche evidente che ogni storia religiosa mai raccontata sul
come siamo arrivati qui è, semplicemente, sbagliata. è questo, in definitiva,
che accomuna tutte le religioni. Non c'hanno indovinato. Niente rimestìo
celeste, niente danza del creatore, niente vomitìo di galassie, niente
progenitori canguri o serpenti, niente Valhalla, niente Olimpo, niente sei
giorni di giochi di prestigio seguiti da un giorno di riposo. Sbagliato,
sbagliato, sbagliato. Qui, però, accade qualcosa di davvero strano. L'erratezza
delle storie sacre non ha sminuito neanche un po' lo zelo del credente devoto.
Anzi: la pura e semplice, anacronistica assurdità della religione spinge il
religioso a insistere con ancor più fervore sull'importanza della fede cieca.
Per effetto di questa fede, tra l'altro, si è rivelato impossibile, in molte
parti del mondo, impedire che i numeri della razza umana si gonfiassero fino a
proporzioni allarmanti. La colpa del sovraffollamento del pianeta, almeno in
parte, dàlla alla sventatezza delle guide spirituali della razza. Nell'arco
della tua vita, potresti tranquillamente arrivare a vedere la nascita del
novemiliardesimo cittadino del mondo. Se sei indiano o indiana (e c'è una
possibilità su sei che tu lo sia) sarai vivo (o viva) quando, grazie al
fallimento dei programmi di pianificazione delle nascite in questa terra povera
e oppressa da Dio, la popolazione del tuo Paese supererà quella della Cina. E
se troppe persone stanno nascendo, anche per effetto dell'ostilità delle
religioni al controllo delle nascite, troppe persone stanno anche morendo,
perché la cultura religiosa, rifiutando di affrontare le realtà della
sessualità umana, rifiuta anche di combattere la diffusione di malattie
sessualmente trasmissibili. Ci sono quelli che dicono che le grandi guerre del
nuovo secolo saranno ancora una volta guerre di religione, jihad e crociate,
come furono nel Medioevo. Anche se ormai da anni l'aria risuona delle grida di
battaglia di fedeli che trasformano i loro corpi in bombe del Signore, e anche
delle urla delle loro vittime, non ho voluto credere a questa teoria, o
quantomeno non nel modo in cui la maggior parte delle persone la concepiscono.
Ho sostenuto per molto tempo che lo "scontro di civiltà" di Samuel
Huntington è un'ipersemplificazione. Che la maggior parte
dei musulmani non ha alcun interesse a prendere parte a guerre religiose. Che
le divisioni nel mondo islamico sono altrettanto profonde delle cose che lo
uniscono. (Basta dare uno sguardo al conflitto tra sunniti e sciiti in Iraq, se
si ha qualche dubbio.) è alquanto difficile trovare qualcosa che assomigli a un
obbiettivo comune di tutto l'islam. Perfino dopo che la non islamica
Nato combatté una guerra per i kosovari, albanesi e musulmani, il mondo
islamico fu lento a farsi avanti con gli aiuti umanitari tanto necessari. Le
vere guerre di religione, sostengo io, sono le guerre che le religioni
scatenano contro i comuni cittadini che rientrano nella loro "sfera di
influenza". Sono guerre dei devoti contro gli indifesi (in gran parte):
fondamentalisti americani contro medici abortisti, mullah iraniani contro la minoranza
ebraica nel loro Paese, i talebani contro il popolo afghano, i fondamentalisti
indù di Bombay contro i residenti musulmani, sempre più impauriti, di quella
città. E le vere guerre di religione sono anche le guerre che le religioni
scatenano contro i non credenti, la cui non tollerabile nonfede viene
reinterpretata come un delitto, come ragione sufficiente per eliminarli. Col
passare del tempo, però, sono stato obbligato a riconoscere una cruda verità,
che le masse dei cosiddetti "musulmani comuni" sembrano aver comprato
le fantasie paranoidi degli estremisti, e sembrano spendere più energie a
mobilitarsi contro vignettisti, romanzieri o il papa, che a condannare,
emarginare ed espellere gli assassini fascisti presenti tra loro. Se questa
maggioranza silenziosa consente che una guerra venga condotta in suo nome,
allora, in definitiva, in quella guerra diventa complice. E forse allora, dopo
tutto, sta effettivamente iniziando una guerra di religione, perché ai peggiori
tra noi viene concesso di dettare l'agenda al resto di noi, e perché i
fanatici, che fanno sul serio, non incontrano un'opposizione sufficientemente
forte da parte della "loro gente". E se è così, allora i vincitori di
una simile guerra non devono essere gli ottusi, quelli che marciano in battaglia,
come sempre, con Dio al loro fianco. Scegliere la nonfede è scegliere la
ragione contro il dogma, fidarsi della nostra umanità invece di tutte queste
pericolose divinità. E dunque, come siamo arrivati qui? Non cercare la risposta
nei libri di storia "sacri". L'imperfetta conoscenza umana magari
sarà una via accidentata e piena di insidie, ma è la sola strada alla saggezza
che valga la pena imboccare. Virgilio, che credeva che l'apicoltore Aristeo
potesse generare spontaneamente nuove api dalla carcassa putrefatta di una
mucca, era più vicino alla verità sulle origini di tutti i venerati libri
antichi. Le saggezze antiche sono sciocchezze moderne. Vivi nel tuo tempo, usa
quello che conosci e quando sarai diventato adulto, forse finalmente la razza
umana sarà diventata adulta con te e avrà messo da parte le cose da bambini.
Come dice la canzone, It's easy if you try: se ci provi è facile. Quanto alla
moralità, il secondo grande interrogativo ? come dobbiamo vivere? Quali sono le
cose giuste da fare, e quali quelle sbagliate? ? dipenderà se sarai disposto, o
disposta, a pensare con la tua testa. Solo tu puoi decidere se vuoi che siano i
preti a elargirti la legge, e accettare che il bene e il male siano, in qualche
modo, esterni a noi stessi. A mio parere, la religione, anche nella sua
versione più sofisticata, essenzialmente infantilizza il nostro io etico
fissando infallibili Arbitri morali e irredimibili Tentatori immorali al di
sopra di noi; i genitori eterni, bene e male, luce e ombra del regno
ultraterreno. Come potremo, dunque, compiere scelte etiche senza un regolamento
o un giudice divino? La nonfede è solo il primo passo della lunga deriva verso
la morte cerebrale del relativismo culturale, in base al quale molte cose
insopportabili ? la circoncisione femminile, per nominarne soltanto una ?
possono essere giustificate con la specificità culturale, e può essere ignorata
anche l'universalità dei diritti umani? (Quest'ultimo capolavoro di
disfacimento morale trova sostenitori in alcuni tra i regimi più autoritari del
pianeta, e anche, ed è inquietante, sugli editoriali del Daily Telegraph). No,
non è il primo passo verso il relativismo culturale, ma le ragioni per
sostenere questa tesi non sono così chiare e distinte. Solo l'ideologia
radicale è chiara e distinta. La libertà, che è la parola che uso per definire
la posizione etico-laica, è inevitabilmente più confusa. Sì, la libertà è
quello spazio in cui può regnare la contraddizione, è un dibattito infinito.
Non è, in sé, la risposta all'interrogativo morale, è la conversazione su
quell'interrogativo. Ed è molto di più di semplice relativismo, perché non è
semplicemente un chiacchiericcio senza fine, ma un luogo in cui si compiono le
scelte e si definiscono e difendono i valori. La libertà intellettuale, nella storia
europea, ha significato principalmente libertà dai vincoli della Chiesa, non
dai vincoli dello Stato. Questa è la battaglia che combatteva Voltaire, ed è
anche quello che tutti i sei miliardi di noi potremmo fare per noi stessi, la
rivoluzione in cui ognuno di noi potrebbe giocare la sua piccola,
seimiliardesima parte: potremmo, una volta per tutte, rifiutare di permettere
ai preti e alle storie immaginarie in nome delle quali essi pretendono di
parlare, di essere i poliziotti delle nostre libertà e del nostro
comportamento. Potremmo, una volta per tutte, rimettere le storie nei libri,
rimettere i libri sugli scaffali e vedere il mondo semplice e sdogmatizzato.
Immagina che non ci sia nessun regno dei cieli, mio caro seimiliardesimo, e
improvvisamente il cielo cesserà di avere limiti. Copyright Salman Rushdie 2007
(Traduzione di Fabio Galimberti).
( da "Liberazione" del
14-12-2007)
Allo studio modifiche sulla soglia di sbarramento
circoscrizionale della nuova legge Bozza Bianco, si lavora per ricucire con i
piccoli Ma resta la spaccatura nella Sinistra-Arcobaleno Angela Mauro Ieri
hanno dimostrato che fanno sul serio. I piccoli dell'Unione si sono iscritti in
massa per intervenire al dibattito sulla bozza Bianco della nuova legge
elettorale in Commissione Affari Costituzionali al Senato. Ostruzionismo,
puntato contro il frutto del dialogo tra Veltroni e Forza Italia, sul quale ci
sta anche Rifondazione che pure chiede modifiche al testo base (voto disgiunto
collegio-lista e ripartizione dei resti su base nazionale). Tattica da fuoco
amico per fermare la macchina delle riforme fino al vertice dell'Unione fissato
per il 10 gennaio e pazienza se alla fine l'avrà vinta il referendum: per
Udeur, Verdi, Pdci non sarebbe un dramma, a questo punto, anzi potrebbe
risultare un'ancora di salvezza maggioritaria per autopreservarsi.
L'ostruzionismo contiene una richiesta specifica: rinviare il voto sulla bozza
Bianco previsto per il 19 dicembre. "Sarebbe saggio", dice pure
Cesare Salvi di Sinistra Democratica, "precipitare il voto sul testo base
potrebbe essere dirompente per il governo: la gatta frettolosa fa i gattini
ciechi e l'Aula di palazzo Madama si appresta a votare quattro fiducie".
Più che una minaccia, è un invito alla riflessione. E infatti a Palazzo è già
iniziato il lavorìo per ricucire con chi è recuperabile. Malgrado strepitino
per fare tabula rasa della bozza Bianco, Udeur, Lega, Udc e anche Sd potrebbero
accontentarsi di alcune modifiche sulla soglia di sbarramento prevista al 7 per
cento in almeno cinque circoscrizioni. Si lavora per renderla più bassa e in un
numero minore di circoscrizioni, sperando che la pausa natalizia porti giudizio.
Perchè, nonostante che il presidente della Commissione Affari Costituzionali
Enzo Bianco insista sull'opportunità di adottare il testo base al più presto
per evitare il referendum, non è escluso che in presenza di un barlume di
accordo si rinvii la discussione ad anno nuovo. Dal quadro di riconciliazione
però resterebbero esclusi Verdi e Pdci, dati per irrecuperabili nella
trattativa. Insomma, sulla legge elettorale il bilancio della sinistra unitaria
resta in rosso. "La bozza Bianco è peggio della legge truffa del
'53", sbotta Manuela Palermi dei Comunisti Italiani che manda a dire a
Rifondazione che "così l'unità a sinistra si rompe". Da qui, le
insistenze sul vertice dell'Unione del 10 gennaio. "Veltroni è il capo di
un partito - dice Pino Sgobio - Prodi è il garante della coalizione e deve
allontanare le nubi che si addensano sul suo governo". "Bene il
vertice di gennaio, ma la bozza Bianco è il ritorno alla Prima
Repubblica", ribadisce Angelo Bonelli dei Verdi che avverte: "No allo
scambio tra il dialogo sulle riforme e il sacrificio della
legge sul conflitto di interessi". L'inchiesta della procura di Napoli su Berlusconi,
indagato per corruzione, non c'entra, insiste il Prc. Una cosa sono le persone
singole, altra è il fatto che le leggi elettorali si fanno "insieme,
maggioranza e opposizione, con una discussione in Parlamento", ribatte
Giovanni Russo Spena, tornando a puntualizzare che il vertice di gennaio
non deve aggirare "la verifica programmatica" chiesta dal Prc (e da
tutta la sinistra, tranne il Pdci) dopo il voto di fiducia sul welfare alla
Camera. Decisamente più morbida invece la linea di Sd, aperta a ricucire.
"I partiti della Sinistra Arcobaleno non smentiscano oggi la promessa di
unità che hanno lanciato pochi giorni fa agli stati generali", sostiene
Titti Di Salvo, esortando al "confronto e alla ricerca di una posizione
unitaria per cambiare il Calderolum, in quanto il referendum non risolve i suoi
limiti". In tutto il bailamme, il ministro Paolo Ferrero ne approfitta per
rilanciare la sua proposta: "Facciamo i conti con la realtà. L'unico
obiettivo possibile a sinistra è la federazione". Se l'unità a sinistra
scricchiola a livello nazionale, il patto d'azione comune tra Prc, Sd, Verdi e
Pdci regge in Campidoglio. A Roma i quattro partiti - insieme ai socialisti di
Boselli - hanno annunciato compatti che non voteranno l'ordine del giorno del
Partito Democratico sulle unioni civili. "E' offensivo - spiega Adriana
Spera del Prc dopo l'incontro della sinistra con Veltroni - giudica negativamente
le nostre proposte di delibera sul registro delle unioni civili, istituito in
ben 70 comuni italiani. Lunedì, quando si voteranno le delibere, faremo un
nuovo "contro Family Day" in Piazza del Campidoglio".
14/12/2007.
( da "EUROPA.it" del
14-12-2007)
LIBERALIZZAZIONI Perché dà fastidio il ddl Lanzillotta?
I comuni e i bilanci delle ex municipalizzate Servizi locali, chi rema contro
EMILIO BARUCCI FEDERICO PIEROBON Il tema della liberalizzazione dei servizi
pubblici locali oramai tiene banco da più di un anno nell'agenda politica del
governo Prodi: il ddl Lanzillotta si è arenato malamente sulle secche del
senato, e dopo un lungo tira e molla la riforma non è stata inserita in
Finanziaria. A ben guardare, le misure di cui oggi si discute sono annacquate
rispetto ai propositi iniziali (l'obbligatorietà della gara è accompagnata da
significative deroghe in favore dell'affidamento diretto a società in house,
miste, esercizio in economia) ma pur sempre di un tentativo di liberalizzazione
si tratta. Le opposizioni, da parte della sinistra radicale ma soprattutto dei
piccoli (e forse anche grandi) comuni, hanno avuto buon gioco nella loro opera
di contrasto. Il dibattito è stato condizionato da una contrapposizione in gran
parte artificiosa: servizi pubblici locali come esempio dei costi della
politica (mal gestiti e con una pletora di consiglieri di amministrazione di
nomina politica) contro salvaguardia degli interessi
degli utenti. In tutto questo alcuni dati di fatto sono passati inosservati. Il
tema dei servizi pubblici locali deve essere letto all'interno di quello più
ampio del ruolo che lo stato svolge nell'economia, un ruolo mutato
profondamente negli ultimi quindici anni. Lo stato imprenditore ha lasciato
spazio allo stato regolatore (autorità di settore e a tutela della concorrenza)
e il suo intervento è ormai teorizzato soltanto negli ambiti di
"fallimento del mercato" che non siano regolabili in modo efficace.
Questo riposizionamento in realtà è stato disordinato: alcuni asset (come le
reti e le infrastrutture) sono stati privatizzati/regolati in modo non oculato,
in altri casi lo stato è rimasto azionista di imprese per lucrare dividendi
elevati giocando un doppio ruolo (proprietario-regolatore) in
evidente conflitto di interessi. I servizi pubblici locali ripropongono questo "stato di
confusione" e lo accentuano: non essendo sotto il controllo di una
autorità centrale e risentendo in misura meno stringente del vincolo del debito
pubblico, sono stati coinvolti dal processo di privatizzazione in misura
limitata, solo una piccola parte è stata quotata in borsa, le
aggregazioni sono state comunque limitate, i tentativi di liberalizzare il
settore hanno avuto natura settoriale e risalgono al quinquennio d'oro delle
liberalizzazioni in Italia (1995-2000), in alcuni casi i comuni traggono dalle
municipalizzate dividendi significativi (Milano il 4% delle entrate). Le grandi
guadagnano di più L'analisi dei bilanci delle municipalizzate mostra in modo
inequivocabile alcuni dati che reclamano una riforma e una liberalizzazione: a)
la performance delle imprese varia in misura sostanziale a seconda del settore
di appartenenza. Un po' come lo stato centrale, che riesce a fare bene
l'imprenditore con Eni ed Enel e male con Alitalia e Ferrovie, le imprese
municipalizzate vanno bene nel settore dell'energia elettrica/ gas (comprese le
multiutility) con una remunerazione del capitale mediamente superiore al 10%
per le società quotate e comunque generalmente superiore al 6%, una
remunerazione che scende al 3-4% nei servizi ambientali ed idrici, mentre i
trasporti locali vengono gestiti generalmente in perdita. A questa differenza
corrispondono tariffe basse e contributi pubblici di ripianamento delle perdite
quasi esclusivamente nel settore dei trasporti locali. b) il settore è
attraversato da profonde differenziazioni a livello regionale e dimensionale.
Innanzitutto al centro-nord abbiamo il maggior numero di imprese
municipalizzate, essendo stato maggiore il ricorso alla
"societarizzazione" delle ex-aziende speciali. La maggiore diffusione
del fenomeno nel nord Italia non si accompagna con differenze sostanziali
rispetto alla dimensione media delle imprese in termini di numero di
dipendenti, mentre la differenza si fa sentire riguardo al giro di affari;
questa sperequazione si riflette sulla diversa profittabilità: nel 2005, il
rapporto del margine operativo lordo sui ricavi delle municipalizzate del nord
è stato in media doppio rispetto a quello delle stesse società del meridione.
Le imprese di maggiore dimensione sono, generalmente, più profittevoli: nel
campione che abbiamo analizzato, tra il 2000 e il 2005, risulta che le prime
cinque imprese per valore dell'attivo hanno operato con una media di 10 punti
percentuali in più, in termini di margini, rispetto alle cinque più piccole. c)
le società municipalizzate nel loro complesso non hanno attraversato un
processo di ristrutturazione intenso quale quello che ha coinvolto il settore
privato negli ultimi anni: il peso dei costi del personale sul fatturato rimane
mediamente più elevato rispetto alle società del settore privato. Il dato
diventa patologico in alcune realtà del trasporto locale: esistono ancora casi
in cui le spese per il personale sono superiori ai ricavi, con punte del 120-
130%. d) le società municipalizzate quotate e quelle in cui il privato è
entrato come socio di minoranza hanno conosciuto negli ultimi anni un recupero
di efficienza: se da un lato è vero che solo le imprese più
"virtuose" erano in grado di attrarre investimenti dal settore
privato, è possibile sostenere che queste società hanno beneficiato dalla
trasparenza e dal monitoraggio dei mercati per perseguire aggregazioni volte ad
abbattere i costi fissi. Il caso dell'assegnazione del ruolo di socio di
minoranza nella società per il trasporto pubblico del comune di Genova ha
mostrato come l'ingresso del socio privato possa coincidere con un forte
impulso alla ristrutturazione della società piuttosto che essere motivato dalla
ricerca di rendite. e) al di là dei (fondati) argomenti sui "costi della
politica", gli enti locali hanno tratto in molti casi lauti profitti dalla
partecipazione al capitale di queste società: tra il 2002 e il 2005 il comune
di Brescia ha ricevuto il 20% delle proprie entrate attraverso i dividendi
erogati dalle controllate, mediamente quasi tre volte quanto trasferito
dall'intero settore pubblico nel periodo. Anche i comuni di Milano e di Roma si
trovano ad incassare circa 50-60 milioni l'anno in termini di dividendi. Se è
vero che questi dati corrispondono alle realtà "di punta", non va
dimenticato che essi potrebbero costituire un punto di riferimento per molti
comuni attenti alla valorizzazione dei propri attivi. Il controllore coincide
con il controllato Questi dati di fatto ci costringono a fissare tre
conclusioni di natura politica: a) se si esclude quelle quotate, il mondo delle
municipalizzate presenta segni di inefficienza gestionale o quantomeno di non
recupero di efficienza. b) siamo in presenza di fatto di scelte discutibili in
materia distributiva: alcuni utenti (dei trasporti pubblici) sono avvantaggiati
rispetto ad altri (si pensi agli anziani che subiscono il caro bolletta ma non
usano mezzi pubblici); in molte città del nord le municipalizzate si stanno
aggregando e hanno conosciuto un recupero significativo di efficienza, mentre
al sud le municipalizzate o vengono acquisite o continuano a sostenere costi
elevati nella gestione con finalità difficilmente giustificabili in termini
redistributivi. c) gli enti locali ripropongono il connubio perverso
imprenditore-regolatore che si osserva a livello centrale. Per ovviare a questi
problemi urge una riforma nella direzione del ddl Lanzillotta. L'ingresso dei
privati, che non è un obbligo ma può avvenire solo tramite una gara,
rappresenta una soluzione a questi tre problemi: garantirebbe un recupero di
efficienza; scioglierebbe il conflitto di interessi in
capo all'ente pubblico; eliminerebbe le distorsioni distributive nord-sud e tra
utenti. Su questa strada esistono dei rischi e la liberalizzazione non basta.
Occorre agire in tre direzioni: rendere più efficace la regolamentazione al
fine di impedire che la liberalizzazione si traduca in un trasferimento di
rendita dal pubblico al privato; compiere scelte trasparenti e chiare nella
definizione dei contratti di servizio (soprattutto in materia di trasporti),
tenendo ben presenti le implicazioni redistributive; aprire all'innovazione in
materia di fornitura di servizi in territori particolari (zone montane, isole,
ecc.) che rischiano di essere tagliati fuori da questo processo di
ristrutturazione. La liberalizzazione rappresenta il primo passo e fa parte di un
disegno più ampio. Ma attenzione a non nascondersi dietro una foglia di fico:
avere ben presenti i rischi e l'esigenza di altre misure non può tradursi in
una difesa dello status quo che lascerebbe tutti i gravi problemi irrisolti.
"non
lavoro per conto di berlusconi" - niccolo zancan (
da "Repubblica, La" del 13-12-2007)
L'anno nero delle concessioni e l'intrigo del multipurpose - marco preve ( da "Repubblica, La"
del 13-12-2007)
Pd, due
assessori nel mirino - (segue dalla prima pagina) (
da "Repubblica, La" del 13-12-2007)
ROMA - Passa al
contrattacco Silvio Berlusconi: i fatti non sono assolutamente di rilievo pena (
da "Messaggero, Il" del 13-12-2007)
O no esistito all'origine (e sussista tuttora) un conflitto (
da "Tempo, Il" del 13-12-2007)
Di Pietro dal palco: <Sul caso Mastella conflitto d'interessi> ( da "Libero" del 13-12-2007)
Uggè: <Un
patto debole Rischiamo altre proteste> (
da "Corriere della Sera" del 13-12-2007)
Saccà ammette.
E si difende: a Berlusconi ho anche detto tanti no Alle attrici furono fatti
provini, ma nessun contratto. Il direttore di Raifiction rischia la sospensione (
da "Unita, L'" del 13-12-2007)
E i forzisti in
dismissione recitano il mantra antigiudici (
da "Unita, L'" del 13-12-2007)
Scioperi e
clima, l'Italia è sempre in ritardo Cara Unità, il blocco del (
da "Unita, L'" del 13-12-2007)
Uggè, il forzista che accende la protesta ( da "Unita, L'" del 13-12-2007)
Il Governo ai
magistrati Rispetto per le Camere Nell'inchiesta Berlusconi c'è chi vede un siluro
al dialogo ( da "Giorno, Il (Nazionale)"
del 13-12-2007) + 2 altre fonti
Prodi getta acqua sul fuoco: Aperti al dialogo (
da "Tempo, Il" del 13-12-2007)
Evitare il
conflitto di interesse dei magistrati (
da "Opinione, L'" del 13-12-2007)
RIFORME, RISSA
NELL'UNIONE: VERTICE IL 10 GENNAIO (
da "Mattino, Il (Nazionale)" del 13-12-2007)
( da "Repubblica, La" del
13-12-2007)
Cronaca Ex sottosegretario nel governo del Cavaliere e
presidente del sindacato Fai: chi mi accusa è in malafede "Non lavoro per conto
di Berlusconi" Uggè, rivoltoso e deputato di Fi: nessun conflitto d'interessi Non cerco la paralisi è Prodi che ha trascurato il
problema e poi ha fatto la Bella Addormentata NICCOLO ZANCAN NICCOLò ZANCAN
TORINO - Dica la verità, ha sentito Berlusconi? "Purtroppo è una vita che
non sento il presidente". Secondo lei è contento del lavoro che sta
facendo? "Questo dovete chiederlo a lui. Ma sappia che qui nessuno ha mai
fatto il tifo per la paralisi del paese". Chi lo dice: il sindacalista o
il politico? "Credo che questa risposta non interessi a nessuno. Chi mi accusa è in malafede. Non esiste conflitto di
interesse in quello che faccio: sono deputato di Forza Italia e presidente di
un'importante associazione di autotrasportatori. Non sarà mica reato...".
Se è per questo l'onorevole Paolo Uggè, 60 anni, è stato anche sottosegretario
ai Trasporti nel governo Berlusconi. E ha svolto l'incarico con indubbio
ascendete sulla categoria: durante il suo mandato, mai un blocco. "Il
motivo è banale - spiega - il dottor Letta, intendo zio Gianni, conduceva
trattative che finivano all'alba. Così riusciva ad evitare gli scioperi. In
questi giorni le cose sono andate diversamente". Come sono andate?
"Ero a Palazzo Chigi. Si sono presentati Enrico Letta, il ministro Bianchi
e il sottosegretario Annunziata. Hanno distribuito un documento per lo sviluppo
dell'autotrasporto che a grandi linee ricalca il protocollo di intesa siglato a
febbraio. Noti bene: protocollo mai attuato. Hanno detto: valutate e fateci
sapere. Prendere o lasciare. A me sembra un modo strano di trattare". Il
suo sindacato è l'unico che non ha firmato l'accordo. Cosa farete?
"Intanto, prendiamo atto. Invitiamo le aziende a riprendere i trasporti. I
nostri organismi esprimeranno un giudizio. Ma io penso che il Governo invece di
un generico impegno fumoso, avrebbe dovuto presentare un emendamento alla
finanziaria". Palazzo Chigi dice che la sua presenza al tavolo della
trattativa era incongruente. Cosa risponde? "Ero lì in veste esclusiva di
sindacalista". è sicuro? "Guardi, l'ultimo blocco di cinque giorni
risale al 1990. Nel 2000 ce n'è stato uno durato un giorno e mezzo. Ma allora
c'era un ministro che costrinse la parti a confrontarsi, quel ministro si
chiamava Bersani. Vede che non c'entra la politica?". Nel
( da "Repubblica, La" del
13-12-2007)
Pagina IX - Genova L'INDAGINE Svolta nell'inchiesta del
pm Cotugno, spuntano nuove e più gravi accuse L'anno nero delle concessioni e
l'intrigo del Multipurpose l'inchiesta Una vicenda che si trascina da anni e che
ora sembra arrivare a un punto di svolta i colpi di scena Emergono le prime
indiscrezioni dagli interrogatori non secretati sulle aree demaniali MARCO
PREVE Con una serie di nuovi colpi di scena e le prime indiscrezioni dagli
interrogatori non secretati, si stanno per concludere i dodici mesi che hanno
sconvolto il porto di Genova. Si chiude l'anno ma non l'inchiesta del pm Walter
Cotugno sulle concessioni demaniali che, iniziata con un blitz e uno sgombero
delle baracche abusive dei pescatori della fascia di rispetto a Prà, si è via
via addentrata all'interno delle banchine, fino a toccare i punti nevralgici
del sistema portuale genovese. E' stato così possibile portare a galla una
gestione perlomeno negligente delle varie concessioni, con aree assegnate in
via informale ed altre affittate per canoni irrisori, come aveva spesso
denunciato il presidente dell'Autorità Giovanni Novi. Centinaia i denunciati,
che eviteranno guai penali attraverso la regolarizzazione della propria
posizione oltre al pagamento di multe salate. L'ultimo capitolo, che è poi
quello più delicato, riguarda l'assegnazione del terminal Multipurpose. E in
questa vicenda compaiono come indagati alcuni personaggi chiave. C'è quel Sandro Carena ex segretario dell'Autorità Portuale che
entra in aperto conflitto con il presidente Giovanni Novi, e poi c'è il
professor Sergio Maria Carbone, docente di diritto e consulente legale
dell'Authority. Fino ad oggi si era saputo che i tre, assieme all'armatore Aldo
Grimaldi erano indagati per turbativa d'asta. In realtà Novi e Carbone
(difesi dagli avvocati Cesare Manzitti e Corrado Pagano) sarebbero accusati
anche di concussione, truffa e falso. I loro legali spiegano che a loro
"non risulta", aggiungendo che "gli unici atti che ci sono stati
notificati parlano di turbativa d'asta". Per Carena (difeso dall'avvocato
Sabrina Franzone) e Grimaldi resta, al momento, la sola accusa della turbativa.
Nella vicenda, molto complessa, del Multipurpose, la procura ha approfondito la
fase dell'assegnazione gestita da Novi. Il terminal, nei primi mesi del 2004
viene assegnato alla Msc dell'armatore Aponte che però successivamente
rinuncia. A quel punto il neo presidente Novi sfrutta la possibilità concessa
dalla legge 84/94 che, per evitare le formalità della gara, consente
all'Autorithy di accettare accordi costitutivi presentati dai soggetti privati
interessati: nel caso in questione il gruppo Spinelli, Messina, Clerici e Gavio
- Scerni. Ma quando a settembre Ignazio Messina, in un'intervista, riferendosi
all'accordo parla di "condizioni ricattatorie" il pm Cotugno lo
convoca e lo interroga. Quindi iscrive a registro Novi e Carbone. Novi, negli
interrogatori, spiega di aver voluto risolvere fin dal suo insediamento il
problema Multipurpose. Ricorda un incontro con Aldo Grimaldi e poi di aver
ricevuto una lettera con cui l'armatore gli forniva i termini del possibile
accordo, spiegando che ne aveva parlato con gli altri terminalisti interessati
ma aggiungendo di tenere la cosa riservata. La procura contesterebbe quindi a
Novi la non originalità dell'accordo. Altro motivo di scontro è la presenza,
nel progetto di spartizione, della Tirrenia. Novi ricorda di averne sempre
parlato pubblicamente, senza nascondersi. La procura però intravede una
forzatura nell'inserimento di Tirrenia. Messina e gli altri spiegano poi di
essersi ritrovati di fronte ad un aut aut del presidente il primo di aprile
2004: o accettate questo accordo (che secondo la legge dovrebbe essere invece
frutto dei privati) oppure si rifà la gara e perdete la possibilità che oggi vi
sono offerte. Novi, però, ribatte e parla di un piano regolare, proveniente dai
terminalisti e che all'epoca non trovò alcuna opposizione da parte degli
interessati. Un accordo, prosegue il presidente, che ebbe anche l'assenso di Carbone
e di Giuseppe Pericu (membro del comitato portuale, anche lui sentito dagli
inquirenti). Un altro aspetto oggetto dell'indagine è la modalità con cui si
invitarono a rinunciare all'assegnazione tre società minori: Angelo Pastorino,
Thermocar, Stc, i cui tre titolari sono stati interrogati. In questo caso, Novi
e Carbone da un parte e Carena dall'altra, si rimpallano la primogenitura nella
scelta del metodo. Per altro, tutti - i primi due in una cena al Tunnel -
Carena nel suo ufficio, ammettono di aver parlato con i titolari delle aziende,
ma solo per sottolineare l'assenza dei requisiti necessari e senza promettere
nulla in cambio.
( da "Repubblica, La" del
13-12-2007)
Pagina V - Bari RETROSCENA I responsabili del Bilancio e
della Sanità sotto tiro da parte del centrosinistra. "Ma restano, per
ora" Pd, due assessori nel mirino Il partito processa Saponaro e Tedesco:
"Hanno sbagliato" (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) (segue dalla prima di
cronaca) E qualcuno, infatti, gli ha ricordato che la sua crociata contro i
costi della politica, inserita nella bozza di relazione al bilancio, dovrebbe
portare dritto alle sue dimissioni perché quei costi sono cresciuti di 10
milioni di euro in quattro anni per pagare i 10 consiglieri regionali in più di
via Capruzzi ma anche assessori esterni come lui. Un modo elegante per chiedere
di togliere il disturbo? Forse. Certo è - fanno notare nel centrosinistra - che
"dopo le batoste alla riunione del Pd e le mazzate al vertice di
centrosinistra, avrebbe dovuto almeno fare il gesto di rimettere il
mandato". Probabilmente se la caverà modificando la relazione fatta in
fretta per consegnarla in tempo al Consiglio. E la prima voce a cadere sarà la
parte "programmatica" sui costi della politica. Più articolata la
posizione di Tedesco. La visita della guardia di finanza negli uffici del suo assessorato per prelevare documenti sugli accreditamenti recenti
nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul suo presunto conflitto d'interessi (i figli dell'assessore sono titolari di azienda che
commercializza materiale sanitario) indebolisce l'assessore alla vigilia di una
sessione di bilancio che introdurrà le tasse per coprire i deficit che si
riconduce alle politiche della salute. "Chiederò al procuratore di
essere ascoltato ma non c'è un documento prelevato dall'assessorato che
riguardi in qualche modo l'attività dei miei figli", ha detto prima di entrare
in commissione sanità e visibilmente infastidito dall'idea di vedere riportare
l'orologio della polemica sulle accuse dei "dipietristi" sugli affari
di famiglia indietro di due mesi, quando il Consiglio regionale si trasformò in
un processo sul suo presunto conflitto d'interessi dal
quale uscì assolto. Ora che la procura comincia a mettere documenti in quel
fascicolo conoscitivo, la sua posizione non fa che uscirne indebolita. Tanto
più se il deficit delle asl ha fatto tremare i polsi anche al governatore che -
dicono - s'aspettava cifre ben diverse non da capogiro come quelle che
circolano tra presidenza, bilancio e sanità. Ma Tedesco sa come vendere cara la
pelle. Ha già cominciato a farlo nel vertice di centrosinistra, quando ha
consegnato il suo dossier ed ha indicato comune per comune i servizi
territoriali garantiti, e ospedale per ospedale i reparti nuovi e quelli
riaperti che sono costati da soli non meno di 150 milioni di euro. All'elenco
mancava solo il nome e il cognome dei consiglieri di riferimento in quei
comuni. Ma chi doveva capire ha capito. L'altra sera dalle sedie occupati dai
consiglieri della "Cosa rossa" qualcuno ha cominciato ad alzare la
voce contro Tedesco. Forse per bilanciare il silenzio di Michele Emiliano che,
come primo atto da segretario regionale del Pd, non vuole mettere la sua firma
sull'aumento delle tasse se non alla fine e comunque dopo Vendola. Forse per
chiedergli di dire qualche "no" all'esercito di questuanti sempre in
agguato, di avere il fiato sul collo dei direttori generali. Tedesco è uscito
dall'angolo per dire a tutti che i manager non rispondono a lui ma alla giunta
perché è la giunta che li ha nominati. Ma il colpo del ko per lui, resta in
agguato e potrebbe arrivare a marzo quando ci saranno i consuntivi delle asl.
(p. r.).
( da "Messaggero, Il" del
13-12-2007)
Di PAOLA OREFICE ROMA - Passa al contrattacco Silvio
Berlusconi: i fatti "non sono assolutamente di rilievo penale". E
ancora: "C'è odore di elezioni e l'armata rossa della magistratura si
rimette in moto". Il leader di Forza Italia è ospite di Michela Vittoria
Brambilla alla Tv della Libertà. Per nulla impensierito Berlusconi ricorda di
aver fatto tutto "alla luce del sole" avendo colloqui con esponenti
del centrosinistra che si sfogavano contro il governo.E avendogli fatto la
corte per far cadere il governo. Ma queste cose sono già state scritte. Mentre
sulla presunta corruzione di Agostino Saccà, direttore di Raifiction,
Berlusconi ricorda di essere "amico di Saccà. Ho segnalato probabilmente
più uomini che donne, perchè in Rai se non sei di sinistra non lavori".
Mentre palazzo Chigi chiede che la magistratura sia rispettata ma sempre
osservando le prerogative parlamentari. E che "la nostra posizione
rispetto a queste vicende è sempre la stessa, al di là dei nomi: la
magistratura deve valutare se ci sono ipotesi che possano essere di interesse
giudiziario". E' solidarietà da parte del centro-destra. Sarà pure (ex)
Cdl ma nel momento del bisogno soprattutto An c'è. Tanto è vero che i
capigruppo di Camera e Senato, Ignazio La Russa, e Altero Matteoli, parlano di
"un deja vu. Tutte le volte che c'è una situazione politica particolare
interviene un provvedimento giudiziario" e di un nuovo atto di
"sequela di veleni". Anche il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini
parla. E' un po' freddino. Ma tant'è. E sostiene "mi sembra ci sia molto
fumo e poco arrosto. E comunque noi siamo garantisti da sempre, non come altri
che lo sono a seconda delle loro convenienze". Paolo Bonaiuti, portavoce
di Berlusconi, si chiede con amarezza "ci siamo svegliati a Roma oppure
nel Cile del generale Pinochet?". Intanto il presidente della Camera,
Fausto Bertinotti, ha scritto una lettera al procuratore di Napoli,
Giovandomenico Lepore, per avere lumi sulla questione. Questo dopo che il
presidente della Giunta delle autorizzazioni, Carlo Giovanardi, aveva fatto
presente a Bertinotti che occorrerebbe sapere "se vi siano state
violazioni nella presunta indagine a carico di Berlusconi". Come la
violazione dell'immunità parlamentare. E il ministro della Giustizia, Clemente
Mastella, ricorda che la tutela della riservatezza è un bene costituzionale da
garantire sempre. Prudente il centrosinistra. Questo non toglie che
nell'incontro di ieri mattina Walter Veltroni, Dario Franceschini e Anna
Finocchiaro ne abbiano parlato. Ma è solo Giuseppe Giulietti
a parlare di conflitto di interessi irrisolto. Mentre il
segretario del Pd, pur non commentando, ai suoi collaboratori pare che abbia
sottolineato la gravità del fatto che rappresenta la negazione di quella
"bella politica" in cui ha sempre creduto. Parla di "mercato
illecito" Massimo Brutti del Pd, di "scenario inquietante" Pino
Sgobio del Pdci. Ribattono a muso duro i diretti interessati. Il
senatore italoaustraliano Nino Randazzo ironizza: "Mi faccio un sacco di
risate". Mentre l'ex dipietrista passato a Forza Italia Sergio De Gregorio
tuona: "L'inchiesta è una comica ad orologeria, con FI c'è un accordo
pubblico. Il presidente Berlusconi dovrebbe appellarsi al capo dello Stato
perché si tenta in modo scorretto di pregiudicare la solennità e l'autonomia
della politica".
( da "Tempo, Il" del
13-12-2007)
O no esistito all'origine (e sussista tuttora) un conflitto ... o no esistito all'origine (e sussista tuttora)
un conflitto di interessi nell'assegnare un'agevolazione fiscale ad una organizzazione di
cui è stranoto il collegamento con l'ex partito comunista, poi variamente
rinominato. Alessandro Finzi (e-mai) FARMACI /2 Lo scandalo dei ricarichi In
farmacia ho pagato 1,10 un flacone d'acqua ossigenata da 250 millilitri.
Home prec succ Contenuti correlati più la norma sul conflitto di interessi, forse perché ... Il super euro è diventato una
star Chiesto stop alla vendita di videogame erotico Huckabee: un outsider tra
le file Repubblicane Benzina esaurita nelle grandi città Test universitari,
commissione fantasma In un minimarket ho trovato il medesimo articolo a euro
0,50. Ho telefonato al rappresentante pugliese della casa produttrice e ho
appreso che la benedetta acqua ossigenata è venduta all'ingrosso a euro 0,20:
tra 0,20 e 0,50 c'è un ricarico del 150%, tra 0,20 e 1,10 un ricarico del 450%.
Rocco Boccadamo (Lecce) PASTICCIO TEST /1 Sfuma il sogno di fare l'università
Mia figlia ha sostenuto i test di medicina all'università di Siena e nonostante
abbia ottenuto un 13/12/2007.
( da "Libero" del
13-12-2007)
Italia 13-12-2007 Di Pietro dal palco: "Sul caso Mastella conflitto d'interessi" di
ALESSANDRO TREVISANI MILANO Quando Pino Masciari, imprenditore perseguitato dalla
'ndrangheta, chiama sul palco Antonio Di Pietro, il pubblico del teatro Carcano
lo invoglia con un applauso. Soltanto allora il ministro, come una vera star,
cede alla lusinga della platea e sale gli scalini che separano la prima fila
dal palcoscenico. La serata si intitola Break the mafia: dovevano
esserci Clementina Forleo e Luigi de Magistris. Che invece sono assenti
giustificati. A prendersi la scena c'è allora Di Pietro, che rivolge un
pensiero ai due magistrati, e insieme al collega di governo Clemente Mastella.
"Vedete", esordisce il ministro, "non volevo salire sul palco,
ma il cuore è quello che è: stasera voglio dire da che parte sto, e voglio
dirlo da ministro". E poi: "Io credo che qualsiasi politico, quando
viene messo sotto indagine dalla magistratura, debba sentire il bisogno di
correre dal magistrato, perché solo in questo modo mette a posto le cose.
Ovviamente bisogna essere innocenti": così parla Di Pietro, e scatta
l'applauso dei circa mille presenti. Il pensiero di tutti vola a Clemente
Mastella, all'indagine che su di lui aveva aperto Luigi de Magistris, prima che
l'inchiesta Why not? gli venisse avocata per incompatibilità. "Ma dobbiamo
guardare alla forma o alla sostanza?", prorompe Di Pietro, "ci
interessa sapere se membri delle istituzioni hanno commesso dei reati, o
no?". Di Pietro non ce l'ha col Csm ("fa il suo dovere"), ma con
chi "cerca di fermare chi sta facendo il proprio dovere. Io non contesto
il Csm, contesto un conflitto d'interessi". A
Mastella fischieranno le orecchie. de Magistris, impegnato a Roma per il
procedimento disciplinare che lo riguarda, si fa sentire al telefono: "La
democrazia è anche partecipazione, chi ha paura di questo è nemico della
democrazia. La politica? Non mi interessa, io voglio fare il magistrato".
Clementina Forleo ha mandato una lettera per chiedere venia della sua assenza:
"Devo essere riservata in questo momento". A leggere è Sonia Alfano,
figlia di Beppe, giornalista ucciso dalla mafia nel 1993. Un'altra che non le
manda a dire: "Chi ha deciso la morte di mio padre siede in
Parlamento". E ancora: "Totò Riina si dispiace di dover vedere suo
figlio dietro a un vetro? Sapesse quanto me ne frega! Io mio padre non lo vedrò
mai più". Pino Masciari si consola: "Questo governo mi ha restituito
la scorta". Alfano ribatte sardonica: "A me l'ha tolta". Alla
fine uno spettatore si alza in piedi e grida: "Dobbiamo tutti fare
qualcosa! Basta parlare, svegliati Italia!". Sonia Alfano: "Giusto,
lunedì tutti sotto al Csm a manifestare per de Magistris". Ci sarà pure Di
Pietro? Salvo per uso personale è vietato qualunque tipo di riproduzione delle
notizie senza autorizzazione.
( da "Corriere della
Sera" del 13-12-2007)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Primo Piano -
data: 2007-12-13 num: - pag: 2 categoria: REDAZIONALE Il parlamentare di FI
Uggè: "Un patto debole Rischiamo altre proteste" ROMA - "Le
parole di Palazzo Chigi contro di me? Solo menzogne ": Paolo Uggè,
presidente Fai e responsabile di Conftrasporti, ma anche deputato di Forza
Italia ed ex sottosegretario ai Trasporti ai tempi di Berlusconi premier,
respinge le accuse. Dal governo nel pomeriggio era trapelata una dichiarazione
al vetriolo, contro il politico-sindacalista: "La sua è una presenza
incongruente, nella vertenza", avevano detto fonti dell'esecutivo. In serata, la replica: "Nessun conflitto di interessi. Non sono nemmeno andato a Palazzo Chigi per la
trattativa", dice Uggè. Però martedì era al tavolo? "Sì, ma non ho
parlato". Ma lei, parlamentare della Repubblica, ha dato sostegno a una
protesta che ha messo in ginocchio il Paese. Tutto normale? "Le
ragioni erano giuste. In ogni caso abbiamo solo aderito a un'iniziativa di
altre sigle". In questi giorni di emergenza, ha avuto modo di parlare con
Silvio Berlusconi? " E perché mai avrei dovuto?". Forse perché è il
leader del suo partito? "E che c'entra?". Non insistiamo. Ma non
sarebbe stato più responsabile dire "no" a questa manifestazione?
"Sono parlamentare, ma rappreDeputato Paolo Uggè, ex sottosegretario ai
Trasporti ai tempi di Berlusconi.
( da "Unita, L'" del
13-12-2007)
Stai consultando l'edizione del Saccà ammette. E si
difende: a Berlusconi ho anche detto tanti no Alle attrici furono fatti
provini, ma nessun contratto. Il direttore di Raifiction rischia la sospensione
di Natalia Lombardo / Roma CHE AGOSTINO SACCÀ, potente direttore di RaiFiction,
sia vicino a Silvio Berlusconi è cosa nota: lui stesso disse con orgoglio che
tutta la sua famiglia ha vo- tato da sempre Forza Italia. Ieri, dalle pagine di
Repubblica, è partita una vera "bomba"; se i contenuti venissero
confermati dalle carte processuali richieste dalla Rai, Saccà potrebbe essere
sospeso dal suo incarico come è avvenuto per Deborah Bergamini (sempre di conflitti d'interesse si tratta, di un dirottare
"l'attenzione verso un leader politico", dicono ai piani alti di
Viale Mazzini). Saccà non è indagato ma si ritiene, dicono negli ambienti a lui
vicini, "oggetto di tentata corruzione"; avrebbe però fatto da
tramite con "l'amico Fuda" per convincerlo a fare
"un'assenza" dall'aula di Palazzo Madama, a compiere una
distrazione fatale per il governo Prodi, con ampie promesse di ricompensa al
prossimo giro elettorale. Nelle stanze di RaiFiction in effetti non si
smentisce nulla, ma si tende a far prevalere la tesi dei "tanti no detti a
Berlusconi". Sull'aspetto meno rilevante delle raccomandazioni, l'eterno
peccato che a Viale Mazzini non fa troppa impressione. Quelle
"segnalazioni" che l'ex premier avrebbe fatto all'amico Agostino. I
"no" pronunciati dal direttore sarebbero quelli alle parti da
assegnare alle quattro attrici "segnalate" da Silvio: Elena Russo,
Evelina Manna, Antonella Troise, Camilla Ferranti (che sarebbe la figlia di un
medico molto vicino all'ex premier, secondo un testimone). Nomi che il
direttore Saccà avrebbe fatto vagliare con dei normali "provini"
dalle strutture adepte; poi, magari perché non adatte al ruolo, le ragazze non
hanno superato la prova. Nessun contratto alle attrici, precisa il legale di
Saccà "dopo le segnalazioni dell'on Berlusconi". Il quale, (come
conferma tra il serio e il faceto lui stesso) avrebbe segnalato anche tre o
quattro uomini, tutti bocciati ai provini... La Manni, secondo quanto scritto
dal quotidiano in base alle intercettazioni, "mi è stata segnalata da un
senatore del centrosinistra che mi può essere utile per far cadere il governo",
avrebbe detto il cavaliere a Saccà. La ragazza in questione avrebbe ottenuto
una parte grazie al produttore, dicono a Rai Fiction. Agostino Saccà è
calabrese come Pietro Fuda, il senatore corteggiato da Silvio. Il direttore di
RaiFiction non sembra nascondere neppure questo contatto (come se fosse la cosa
più normale del mondo per un dirigente Rai), in nome della libertà di pensiero
garantita dalla Costituzione. Fuda è amico del conterraneo Saccà, il quale lo
avrebbe sondato (per far piacere a Berlusconi). Il senatore, secondo
indiscrezioni uscite da RaiFiction, avrebbe detto quello che Repubblica ha
scritto: "il suo cuore batte a destra ma per ora non vuole tradire la
fiducia di Agazio Loiero", presidente della Calabria che sostiene il
centrosinistra. E poi la ricompensa di Berlusconi sarebbe stata a lungo termine
per Saccà. Quel "ti aiuterò quando diventerai imprenditore.". Troppo
vago per pretendere dei sì, sembrerebbe, quindi ecco che arriva
"l'infinità di no detti a Berlusconi", spiegano negli ambienti vicini
al direttore. Saccà, che è vicino al traguardo della pensione in Rai, sta già
ponendo le basi del "Progetto Pegasus", aggregando piccoli produttori
Tv ma anche pescando in Rai e Mediaset. Agostino l'affabulatore, alla sua terra
dedica da anni la fiction "Gente di mare" ma, avendo in mano un
potentissimo mezzo di persuasione culturale massificata, durante il governo
Berlusconi ha realizzato le ordinazioni delle varie forze della Cdl: così andò
in onda la fiction sulle foibe, richiesta al congresso di An da Maurizio
Gasparri, allora ministro della Comunicazione. E una fiction su Marinetti,
compensata, già che è a governo il centrosinistra, da una su Di Vittorio in
fase di realizzazione. Nelle telefonate Saccà avrebbe anche rassicurato
Berlusconi: presto andrà in onda in prima serata la fiction su Federico
Barbarossa, "pallino" di Bossi rilanciato dalla consigliera Bianchi
Clerici (assillando il cavaliere.).
( da "Unita, L'" del
13-12-2007)
Stai consultando l'edizione del IL RETROSCENAStorace
pianta il suo chiodo su An: naturale si aprano le inchieste giudiziarie se c'è
chi accusa Berlusconi di aver finanziato il nostro movimento... E i forzisti in
dismissione recitano il mantra antigiudici Federica Fantozzi "Credo che
Berlusconi e Veltroni proseguiranno sulla loro strada che porta a un
sostanziale bipartitismo. È l'unico modo di assicurare governabilità a questo Paese".
Alza le spalle il palermitano Antonio Verro, deputato forzista e amico del
Cavaliere, iscrivendosi al partito di quelli che "il dialogo andrà
avanti". Idem sentire per Guido Crosetto, imprenditore e coordinatore
regionale in Piemonte: "Questa storia non pregiudicherà i contatti sulla
legge elettorale". Tra gli uomini di Via dell'Umiltà, che già si sentono
un po' dismessi per via del Popolo della Libertà che avanza sotto l'egida
vistosa e rosseggiante della Michela Vittoria Brambilla, quella del "dialogo
privilegiato" è l'ultima trincea. Ai lividi dell'ennesima offensiva
targata "armata rossa" si oppone la speranza prendendosela, come ai
vecchi tempi, con l'Anm. Il sottotesto che passa di bocca in bocca come un
mantra beneaugurante è "Silvio e Walter hanno le spalle al muro: non
possono che continuare il percorso imboccato fino alla fine". Anche se le
asperità sono molte: i due maggiori partiti delle coalizioni, e i loro leader,
appaiono sempre più isolati. Presi di mira dal fuoco amico. Stretti in un abbraccio
che il tempo potrà o meno trasformare in morsa. Pomeriggio spaesato a
Montecitorio, dove ognuno ha i suoi guai e nessuno sa bene che pesci pigliare.
È più o meno il senso del dialogo tra il Guardasigilli Clemente Mastella e il
vispo Mario Pepe, il forzista lombardo che in tempi di "dalli alla
casta" raccontò di non aver esibito in treno il tesserino parlamentare che
consente il viaggio gratis per paura delle reazioni degli altri viaggiatori.
"Complimenti - si avvicina Pepe - Voi siete gli unici che hanno piegato i
magistrati". Il riferimento è al caso Verzaschi, il sottosegretario
dell'Udeur finito ai domiciliari per presunte tangenti pochi giorni dopo
essersi dimesso: "Se fosse capitato a uno di Forza Italia lo avrebbero
arrestato sulla sedia..." insiste Pepe. Mastella, impegnato ad elencare
tutti i difetti della bozza Bianco, lo stoppa: "Di cose serie si parla
seriamente". Pepe provoca: "Quelli di An fanno i sindacalisti,
difendono i tassisti. Noi andiamo più d'accordo con Veltroni". Il leader
del Campanile alza le spalle: "Bene, fate il governo con lui". Con
quelli di An ce l'ha anche Francesco Storace: "È normale un'indagine dopo
i veleni di un alleato". Il neo-leader della Destra scrive un altro
capitolo della sua querelle con Fini: "Quando si lanciano accuse infamanti
come quella che Berlusconi avrebbe finanziato la nascita del nostro movimento è
normale che saltino su qualche giornale e magistrato". E certe
dichiarazioni di solidarietà sono solo "ipocrite". È la bellezza del
tourbillon intorno alla riforma elettorale: coalizioni saltate, alleanze
trasversali, liberi tutti. Così nell'Udc a domanda Pier Ferdinando Casini
risponde: "Nella vicenda c'è molto fumo e poco arrosto, noi non siamo
garantisti a intermittenza", mentre il silenzio regna tra i suoi. Ad
eccezione degli uomini più vicini a Berlusconi. Buttiglione esprime solidarietà
all'ex premier: "C'è il sospetto di un ricatto politico. Un'inchiesta
mentre parte un tentativo di riforma vera basato sul dialogo sembra fatta
apposta per rilanciare un antiberlusconismo squallido e rendere tutto più
difficile". Giovanardi chiede a Bertinotti di valutare l'operato della
procura partenopea ottenendo promessa di una risposta. El senador Luigi
Pallaro, eletto all'estero anche lui come il presunto tentato acquisto
Randazzo, si premura di far sapere che con lui Berlusconi "è sempre stato
corretto" e pieno di "senso di responsabilità istituzionale". In
Transatlantico aleggia lo spirito del '94 e circola una battuta: "Napoli
batte Milan 2-0". Il centrosinistra maneggia con cautela la notizia.
Pochi, distanti commenti. Rapporti di "correttezza e cordialità" con
Berlusconi e Letta vengono dichiarati da Lamberto Dini, che ormai ha un piede
fuori dalla maggioranza. Willer Bordon non vede "condizionamenti"
sugli scenari in corso ma ritiene che di giustizia devono occuparsi i
magistrati, di politica i politici". Solo Beppe Giulietti batte un colpo
chiamando in causa prima l'"elegante silenzio" della Rai sulla storia
e poi l'Unione affinché risolva "la grandissima priorità democratica del
conflitto di interessi e dell'assetto dei media".
( da "Unita, L'" del
13-12-2007)
Stai consultando l'edizione del Scioperi e clima,
l'Italia è sempre in ritardo Cara Unità, il blocco del trasporto determinato in
questi giorni dallo sciopero dei "padroncini" è una buona occasione
per riflettere sui ritardi dell'Italia e sull'incapacità di reagire alle sfide
mondiali. L'economia di un paese è in ginocchio a causa di uno sciopero
corporativo - non è il solo e non sarà l'ultimo anche perché i tassisti di Roma
insegnano - ma è anche la dimostrazione dell'assenza di politiche strutturali
che, nel 2007, consentano di trasportare le merci non esclusivamente con tir
che viaggiano sulle autostrade. Non è solo un problema di politica fiscale, di
tassazione del carburante e di sostegni alle ditte di autotrasporto: è la
rappresentazione di un sistema economico basato sul trasporto su gomma,
sull'utilizzo dei veicoli privati, sul petrolio come unica fonte energetica.
Qual è la percentuale di trasporto di merci su ferrovia? Qual è la capacità di
trasporto pubblico nelle città e l'incidenza delle autovetture come unico mezzo
di trasporto? Queste sono alcune delle domande che consentirebbero, oggi, di
rispondere anche alle critiche rivolte all'Italia dalla Conferenza di Bali sul
Protocollo di Kyoto: i trasporti contribuiscono in misura significativa
all'incremento delle emissioni di CO² e proprio sull'assenza di misure in
questo settore si basa la Decisione della Commissione europea relativa al Piano
nazionale di allocazione delle quote di emissione (CE 15 mag 2007). Fino a oggi
sono state adottate politiche episodiche, legate soprattutto a strumenti di
incentivazione ma ben pochi sono gli interventi strutturali, capaci di avviare
un processo di innovazione e di competitività del sistema economico. Si
continua a considerare la sostenibilità un problema separato dall'economia e,
con il petrolio a 100 USD al barile, si continua a pensare allegramente di
basare il trasporto su tir e autovetture: siamo ben distanti da paesi come la
Germania, che hanno fatto della strategia 20-20-20 un fattore fondamentale per
il rilancio dell'economia e della competitività. Continuiamo ad avere città
senza una rete efficiente di trasporto pubblico, multimodale e integrato,
incrementando le emissioni anziché ridurle, facendo perdere competitività
all'economia, confidando speranze remote e illusorie nel ritorno all'energia
nucleare: un modo di governare con aspetti quasi grotteschi che ci allontana
dall'Europa. Andrea Ferraretto Se un Paese si consegna ai Tir Cara Unità, gli
autotrasportatori hanno bloccato per due giorni ogni attività del Paese. Non si
sono limitati a tener fermi i loro automezzi, come uno sciopero rispettoso
dell'autoregolamentazione e delle leggi vorrebbero, ma hanno bloccato strade e
autostrade mettendosi di traverso ed intasandole con i loro più o meno
mastodontici autoveicoli. È come se i conduttori di autobus e tram, quando
scattasse l'ora dello sciopero, anziché rientrare in rimessa abbandonassero i
mezzi per le vie delle città, come del resto abbiamo visto fare dai tassisti.
L'Italia fra le tante anomalie, e qui vale la pena di
ricordare il conflitto d'interessi, poiché il presidente di una forte federazione
d'autotrasportatori è anche deputato di Forza Italia ed ex sottosegretario ai
trasporti del "dottore", ha anche quella che l'80% delle merci d'ogni
genere viaggia su gomma. È il frutto di un'antica e sciagurata scelta politica
che è proseguita finora. Una scelta assurda che ha intasato il sistema
stradale e autostradale di Tir ed ha consegnato agli autotrasportatori un
potere che si trasforma in ricatto al Paese. Mario Sacchi, Milano Piccola
storia sulla bontà delle tasse Cara Unità, ho letto che Piero Citati si lamenta
delle tasse. Essendo uomo di cultura usa riferimenti dotti (da Omero ad Alice
Munro), ma io non sono per nulla d'accordo: io pago le tasse con orgoglio e
senza protestare. Le racconterò la breve storia di mio padre ma prima mi
permetta un piccolo travaso di bile: mi manda in bestia la demagogia contro
"lo stato che mette le mani nelle tasche degli italiani". Ma questi riccastri
piagnucolanti, chi chiamano se arrivano i ladri? La polizia. E se gli viene un
colpo? A chi telefonano i parenti? Al 118. Io allora domando: ma chi paga la
polizia? E gli insegnanti? I netturbini? Chi paga i deficit degli autobus e dei
trasporti pubblici? E le fognature? La manutenzione delle strade? E chi ha
pagato i medici e gli infermieri e l'ambulanza e le medicine e l'operazione e
la riabilitazione di mio padre che un anno e mezzo fa ha avuto due infarti e
nell'ospedale pubblico di Trieste ha subito un serissimo intervento chirurgico
(apertura del torace, tre by-pass e la sostituzione dell'aorta)? Se non ci
fossero le tasse chi avrebbe pagato tutto ciò? Se non ci fossero le tasse e un
sistema sanitario pubblico, mio padre sarebbe morto. Luciano Comida Noi lettori
vogliamo diventare azionisti de l'Unità Cara Unità, a tutta la redazione, a
tutti i lettori ed abbonati: salviamo il nostro giornale. Apriamo una
sottoscrizione per diventare azionisti del giornale. Da abbonato mi propongo
per aprire un conto presso una banca (che sia comoda per tutti) e versare i
primi 100 euro. Dobbiamo partecipare tutti nella misura delle nostre
possibilità, stabilire un valore di un'azione e creare una società con un
capitale tale da poter divenire azionisti di riferimento. A questo proposito,
propongo al senatore Furio Colombo, già direttore di questa testata di guidare
la cordata di azionisti. No so quanto possa servire, 1, 2 oppure 10 milioni di
euro, ma dobbiamo farcela. Dovete pubblicizzare l'iniziativa sul giornale e bisogna
farlo in fretta. Si è perso ormai troppo tempo. Umberto Dari Solidarietà al
teatro dei Sassi di Matera In un momento di grande vivacità del teatro italiano
è davvero incomprensibile apprendere che una delle realtà teatrali più
originali e interessanti della scena nazionale venga "sfrattata" dal
suo luogo di lavoro e di ricerca; e, colpevolmente, in controtendenza rispetto
ad una importante e diffusa peculiarità che vede le migliori compagnie del
teatro di ricerca, specialmente al Sud, di radicarsi sempre più in un
territorio di appartenenza, o d'elezione culturale. Per queste ragioni
l'Associazione Nazionale dei Critici di Teatro esprime grande rincrescimento e
forte preoccupazione per l'annunciato "sgombero" intimato al gruppo
del "Teatro dei Sassi" di Matera e afferma la piena solidarietà dei
critici italiani a Massimo Lanzetta e ai suoi collaboratori. Giuseppe Liotta
Presidente Associazione Nazionale dei Critici di Teatro Precisazione Per uno
spiacevolissimo errore redazionale, ieri è stata pubblicata una rubrica
"Sagome" di Fulvio Abbate già uscita in precedenza. Ce ne scusiamo
con l'autore e con i lettori.
( da "Unita, L'" del
13-12-2007)
Stai consultando l'edizione del RITRATTO Uggè, il
forzista che accende la protesta "Resistere, resistere, resistere":
questo l'invito-appello che il presidente della Fai-Conftrasporto Paolo Uggè ha
rivolto in questi giorni di tir selvaggio alla categoria. E chissà se lo sa che
a dirlo per primo fu l'ex magistrato Francesco Saverio Borrelli, e che con
questo si riferiva alla situazione della magistratura italiana così come si
stava trasformando col governo Berlusconi. Ovvero, col governo del suo capo, il
referente politico che lo chiamò a Roma come sottosegretario al ministero delle
Infrastrutture con delega ai trasporti. Un'esperienza politica di cui
evidentemente ha saputo far tesoro, visto che anche oggi resta deputato di
Forza Italia (ma non amava definirsi un "tecnico", ma non diceva che
lui la tessera azzurra non l'aveva mai avuta?). Comunque, un'esperienza che non
riesce a riempirgli la vita come dovrebbe, dato che ha voluto tornare anche ai
vertici della Fai, Federazione Autotrasportatori Italiani, carica che peraltro
ricopre da una trentina d'anni. Parentesi governative a parte. Del resto:
"Credo che agli italiani del mio conflitto d'interessi non gliene freghi proprio niente", ha dichiarato giusto
l'altro giorno a Repubblica tv. Paolo Uggè, 60 anni, milanese di nascita,
valtellinese d'adozione, è di sicuro un profondo conoscitore della materia ed
in particolare di ogni tematica che riguarda l'autotrasporto delle merci.
Ma è il gioco su più tavoli la sua vera passione. Nasce sindacalista della
Cisl. Poi, negli ultimi anni '
( da "Giorno, Il
(Nazionale)" del 13-12-2007)
Pubblicato anche in: (Resto del Carlino, Il (Nazionale))
(Nazione, La (Nazionale))
Il Governo ai magistrati "Rispetto per le
Camere" Nell'inchiesta Berlusconi c'è chi vede un siluro al dialogo di
ELENA G. POLIDORI ? ROMA ? UNA NUOVA "bomba di profondità" per far
saltare il tavolo delle riforme? Le nuove rivelazioni sulle commistioni tra
Berlusconi e gli ex vertici Rai (Agostino Saccà) e quei dettagli sulla
trattativa tra il Cavaliere e alcuni senatori dell'Unione (Randazzo, ma non
solo) per far cadere il governo Prodi sono piovute come macigni sulla via del
dialogo avviato sulla legge elettorale. Fatte salve le indignazioni di rito del
centrodestra, che legge nell'inchiesta l'ennesimo tentativo di demonizzare
Berlusconi, dietro la pubblicazione di queste intercettazioni qualcuno ? anche
nel centrosinistra ? vede antichi rancori e appetiti editoriali futuri del
gruppo "Repubblica-l'Espresso", appetiti legati all'approvazione del
ddl Gentiloni, che il proseguimento del dialogo metterebbe invece a rischio.
"Lo sanno tutti ? ci ha detto un parlamentare Pd ? che De Benedetti ha
bisogno della Gentiloni per far partire la sua tv". LA PUBBLICAZIONE delle
notizie sull'inchiesta napoletana ha comunque spinto prima Mastella ad
interveniere ("la tutela della riservatezza è un bene da garantire sempre"),
poi il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, su sollecitazione del
presidente della Giunta per le Autorizzazioni, Carlo Giovanardi, a chiedere
chiarimenti al Procuratore della Repubblica, presso il Tribunale di Napoli,
Giovandomenico Lepore, su eventuali intercettazioni di parlamentari. Nella
lettera, Bertinotti chiede di avere "notizie relative ad asserite
conversazioni tra membri del Parlamento". La richiesta non è solo un atto
formale, mirato a "tutelare le prerogative parlamentari di cui all'articolo
68 della Costituzione", ma soprattutto la volontà di vedere chiaro su
queste fughe di notizie che alimentano un clima di sospetto e di continui
veleni e che minano le fondamenta del dialogo aperto tra Veltroni il Cavaliere.
In serata è arrivato anche il commento di Palazzo Chigi, prudente. "La
magistratura deve valutare se ci sono ipotesi che possano essere di interesse
giudiziario, ma sempre nel rispetto delle prerogative dei parlamentari. La
nostra posizione rispetto a queste vicende ? ricordano le fonti della
presidenza del Consiglio ? è sempre la stessa, al di là dei nomi: non diamo mai
giudizi su fatti specifici". CHE L'ASSE Veltroni-Berlusconi stia creando
più di un malumore è ormai evidente. Ieri il capogruppo socialista della Rosa nel
Pugno, ha detto con chiarezza quanto altri non dicono o nascondono dietro
congetture e calcoli sulla "bozza Bianco" della nuova legge
lettorale. "Nessuno può far finta di non vedere ? ha detto Villetti ? che
si sta diffondendo un malessere politico interno alla maggioranza la cui
origine è dovuta all'accordo tra Pd e Pdl". "Chi pensa ad approvare
con una gravissima forzatura ? ha proseguito ? una legge elettorale basata su
un asse tra Berlusconi e Veltroni, con l'assenso di Bertinotti, deve però anche
mettere in conto che poi questa si possa trasfomare in una maggioranza di
governo in grado di sostituire quella che ancora esiste". E questo, allo
stato attuale, non è affatto detto. LO STATO MAGGIORE del Pd sembra tuttavia
ben convinto: il confronto sulle riforme ? è la tesi di Veltroni ? ha bisogno
della massima convergenza e deve andare avanti, la vicenda di Napoli non può
far saltare un dialogo a tutto campo che è nell'interesse del Paese. I dubbi
però non mancano. "Siamo in un momento delicato ? spiega un antico
navigatore come Beppe Giulietti del Pd ? ma è di tutta evidenza che c'è chi,
nel tavolo delle riforme, intravvede l'ennesimo momento della nostra storia in
cui, per far fronte all'emergenza della legge elettorale, si rimuove la
soluzione di problemi che costituiscono una cancrena della nostra vita politica
e sociale degli ultimi quindici anni; sto parlando,
ovviamente, della legge sul conflitto d'interessi e della
riforma del sistema televisivo". L'accordo sulla legge elettorale, dunque,
preluderebbe ad un nuovo allontanamento, da parte del centrosinistra, della
soluzione di questi problemi per ottenere il placet di Berlusconi? -
-->.
( da "Tempo, Il" del
13-12-2007)
Prodi getta acqua sul fuoco: "Aperti al
dialogo" "Il governo e il presidente del Consiglio hanno sempre
auspicato il massimo della convergenza e del dialogo. Quando si arriverà a una condivisione
ampia, ci sarà la riunione di maggioranza con il premier". Così da Palazzo
Chigi, terminato il briefing serale, commentano gli sviluppi del dibattito
sulla riforma della legge elettorale. Home Politica prec succ Contenuti
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"Dialogo solo se c'è rispetto" Finanziaria pesante Telecom, riparte
il dialogo con l'Authority delle tlc Le alleanze evaporano e Prodi galleggia
CREMONA Furioso scontro a fuoco per strada fra quattro ... Rispetto al malumore
dei piccoli partiti del centrosinistra per la bozza Bianco, fonti della
presidenza del Consiglio sottolineano: "C'è fermento che porta a una
dialettica anche molto forte, ma c'è comunque fermento. è importante che le
critiche abbiano una sintesi in positivo e non in negativo". Romano Prodi,
però, non ha avuto modo di vedere la bozza Bianco sulla legge elettorale, ma
"la posizione del governo è chiara: ogni contributo è utile al percorso
delle riforme, ma vanno visti tutti i contributi e sondate tutte le posizioni.
Venti giorni fa - spiegano dalla presidenza del Consiglio - dicemmo che a
gennaio ci sarebbe stato il punto sull'azione di governo e sul rilancio delle
sue politiche. Ci sembra che le cose collimino: le nostre parole sono però di
venti giorni fa. Le riforme vanno accelerate: non solo
legge elettorale ma anche riforme istituzionali, regolamenti parlamentari,
conflitto di interessi, riforma del sistema tv, federalismo fiscale". Soprattutto
sono "le questioni della povertà, dei salari, del potere d'acquisto delle
famiglie che vanno perseguite con la massima determinazione. Questi saranno tra
i temi di cui si parlerà a gennaio. Sono temi - ricordano le stesse
fonti - rispetto ai quali il premier non ha mai fatto mistero di essere
sensibile. Vanno affrontati seriamente e con provvedimenti concreti. Abbiamo
cominciato a farlo, con il decreto fiscale e con una Finanziaria che
redistribuisce, e però bisogna fare di più". 12/12/2007.
( da "Opinione, L'" del
13-12-2007)
Oggi è Gio, 13 Dic 2007 Edizione 273 del 13-12-2007 Ecco
la proposta di legge dei Radicali. E il commento di Di
Federico, ex membro laico del Csm Evitare il conflitto di interesse dei
magistrati di Dimitri Buffa Come evitare che il partito dei giudici faccia le
leggi che poi applicherà, vanificando quella che ormai (da loro) viene ritenuta
l'obsoleta distinzione tra potere lesislativo e potere giudiziario? E
magari un domani anche con quello esecutivo? L'antidoto crede di averlo trovato
un nutrito gruppo di avvocati, tra i quali spiccano il segretario delle Camere
penali italiane Renato Borzone e il presidente della sezione di Roma
Giandomenico Caiazza, che mercoledì prossimo parteciperanno a un convegno in
cui verrà presentato il progetto di legge dei Radicali italiani, primo
firmatario Marco Beltrandi, in materia. Questo progetto di legge ha dei punti
fermi che sicuramente provocheranno la reazione corporativa dei magistrati che
si riconoscono nell'Anm e nella sua politica. Il primo consiste nel limitare al
massimo questi inacarichi extra giudiziari e "consentire ai magistrati
ordinari e amministrativi di essere preposti esclusivamente agli incarichi dirigenziali
dei Dipartimenti del Ministero che si occupano di pura amministrazione, con
esclusione della possibilità di essere chiamati a ricoprire incarichi di
diretta collaborazione con il Ministro". Il secondo punto fermo stabilisce
che nell'ambito degli incarichi direttivi di cui sopra "sia riservata agli
stessi magistrati una quota non superiore alla metà delle 18 Direzioni Generali
in cui sono articolati i 4 Dipartimenti, con la espressa esclusione della
Direzione Generale del Contenzioso e dei diritti Umani e della Direzione
Generali dei Magistrati". Perché queste due esclusioni? Secondo gli
estensori del testo che sarà presentato mercoledì "si giustificano in
ragione delle competenze funzionali delle due Direzioni Generali atteso che la
prima, nell'ambito del Dipartimento per gli Affari di Giustizia, ha competenza
per il contenzioso in materia di responsabilità civile dei magistrati e la
seconda, nell'ambito del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria del
personale e dei servizi, ha competenza, tra l'altro, in ordine alle attività
preparatorie e preliminari relative all'esercizio dell'azione
disciplinare". In pratica trattandosi di competenze da cui possono
discendere conseguenze dirette sugli interessi
patrimoniali e/o professionali di singoli magistrati, "è necessario che i
delicati incarichi non siano ricoperti da soggetti legati da un vincolo di
colleganza". Fin qui la ratio del disegno di legge. Abbiamo chiesto a
Pietro Di Federico, ex membro laico del Csm, cosa ne pensi di questa iniziativa.
"E' lodevolissima sul piano della pura provocazione ? ha esordito il
giurista ? ma forse non basterà. Il problema con i magistrati si può risolvere
solo creando una nuova classe di burocati ministeriali che li sostituiscano
completamente man mano che vanno in pensione. In quel ministero non ci devono
stare più. E magari anche negli altri. Se sono magistrati facciano i
magistrati, non i politici". Per Di Federico "non basta escluderli da
alcuni compiti, finchè stanno lì, terranno in ostaggio gli inquilini di via
Arenula, non importa quale sia il colore del governo. Quando chiediamo all'ex
membro laico del Csm, se tutta l'Anm si riconosce in questa brama di potere,
risponde: "Certo, solo gli stolti possono credere che Magistratura
indipendente o Unicost siano differenti. La logica correntizia vale solo per i
posti nel Csm e negli uffici giudiziari italiani. Finite le elezioni e le
spartizioni nazionali e locali, l'Anm ritorna a rappresentare il partito dei
giudici e si ricompatta. Anche gli esponenti della Casa delle libertà a suo
tempo caddero nel trucco di appoggiare le nomine negli uffici a incarichi
direttivi dei cosiddetti moderati di Unicost e Magistratura indipendente ai
danni di Magistratura democratica. Ma non è servito a niente. Una volta
ottenute le poltrone i cosiddetti moderati si ribellano a chi li ha aiutati e
non mostrano alcuna gratitudine. Loro si considerano una casta a parte e
vogliono prendere il posto dei politici, chi crede di allearsi con una parte di
loro ne verrà fagocitato. Al Polo capitò proprio questo, quando io stavo al
Csm. Ormai il gioco lo ha capito anche la sinistra che dopo le ultime storie
note a tutti comincia a temerli, ma, per ora, non può farci niente".
( da "Mattino, Il
(Nazionale)" del 13-12-2007)
Riforme, rissa nell'Unione: vertice il 10 gennaio
Tensione alle stelle nell'Unione dopo i molti no alla bozza di legge elettorale
presentata in commissione Affari costituzionali del Senato dal presidente Enzo
Bianco. La paura dell'inciucio tra Veltroni e Berlusconi agita i partiti che un
tempo erano definiti i cespugli dell'Ulivo, siano essi di sinistra che di centro.
Fronte compatto, dai Verdi all'Udeur, che in mattinata abbandonano la riunione
della maggioranza sulla Finanziaria minacciando di non votarla se non ci sarà
un chiarimento con il premier. Avverrà, ma bisognerà attendere il 10 gennaio:
slitta quindi di circa un mese il vertice che doveva svolgersi questa
settimana. Dopo aver sentito Prodi e Veltroni, il capogruppo del Pd alla
Camera, Antonello Soro, spiega che la riunione verterà esclusivamente sulla
legge elettorale e di conseguenza gli emendamenti alla proposta della
maggioranza saranno dilazionati fino al 20 del prossimo mese in modo da
trasformare in proposte di modifica della bozza l'eventuale accordo raggiunto
nel centrosinistra. Coalizione che affronterà il nodo del sistema di voto
rinviando il rilancio del governo a data da destinarsi. Provvede Palazzo Chigi
a spiegare che "il 10 gennaio si parlerà di legge elettorale, riforme
istituzionali e regolamenti parlamentari", mentre per le altre questioni
sul tappeto "si vedrà". I piccoli partiti dell'Unione incassano
dunque la promessa di un futuro e parziale chiarimento, mentre Clemente
Mastella va di nuovo all'attacco e parla di "sistema catanese"
riferito all'ex sindaco di Catania Bianco. Poi il leader dell'Udeur avverte:
"Questo clima ci ammazza", insidia derivante dal "berlusconismo
che oltre che a destra si è diffuso pure a sinistra". Indice contro il Pd,
Francesco Rutelli non si sbilancia e confessa di non avere ancora letto la
proposta: "Voglio capire - dice - se è in grado di risolvere il problema
che ci siamo posti, cioè far funzionare meglio un sistema politico che oggi
obbiettivamente è bloccato". Appuntamento al prossimo anno per entrare nel
merito, ma il verde Angelo Bonelli critica il metodo seguito finora perché
"la bozza - dice - deve essere discussa in maggioranza prima di essere
presentata e per quanto ci riguarda le nostre priorità sono l'approvazione di
una legge sul conflitto d'interessi e sulla
riforma del sistema radiotelevisivo". Per il ministro Paolo Ferrero (nella
foto) in quota Rifondazione, "è comunque un bene che sia cominciato l'iter
della riforma altrimenti saremmo finiti - avverte - dritti nel referendum, ma
il testo è inaccettabile e va modificato nella direzione di un sistema con
sbarramento in modo da non favorire i grandi partiti". Il timore
dell'inciucio condiziona il confronto nel centrosinistra, così come nella ex
Cdl che torna a riunirsi confermando le divisioni. Il 15 gennaio è atteso
intanto il responso della Corte costituzionale su un referendum che
consegnerebbe al Paese il bipartitismo. L'Unione si riunirà appena cinque
giorni prima, vertice con la pistola alla tempia dell'imminente verdetto. p.
per.