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1-8-2012 Il Corriere della Sera PENDING REVIEW| salta il
giro di vite sui farmaci «di marca» nelle ricette. Università,
tasse in aumento per (quasi ) tutti Di Lorenzo Salvia Nel decreto
approvato a Palazzo Madama gli interventi di risparmio dagli enti locali al
pubblico impiego
Non si parla più di «soppressione
a accorpamento» ma di «riordino». La sostanza, però, resta la stessa così
come i requisiti fissati dal governo. Per sopravvivere anche nel 2013 una
Provincia dovrà soddisfare due requisiti, avere almeno 350 mila abitanti e
una superfice superiore ai 2.500 chilometri quadrati. Ne dovrebbero scomparire
la metà, una cinquantina. E tra queste ci saranno anche Sondrio e Belluno,
che nella prima formulazione erano salve perché «interamente montuose»,
formula saltata nel testo approvato alla fine dal Senato. In ogni regione
sarà il consiglio delle autonomie a inviare, entro settanta giorni,
un’ipotesi di riordino al governatore e alla giunta. La Regione stessa avrà
altri 20 giorni di tempo per trasmettere il progetto al governo, dopo averlo
eventualmente modificato. Solo a quel punto si procederà alla definizione
delle nuove maxi Province con un’apposita legge. È lo stesso decreto a
stabilire che si dovrà tener conto delle «eventuali iniziative comunali volte
a modificare le circoscrizioni provinciali esistenti», cioè dei passaggi dei
Comuni da una Provincia all’altra. Tra gli ultimi ritocchi un altro punto
importante: nelle nuove Province frutto della fusione il ruolo di capoluogo
toccherà al comune con più abitanti, anche se considerando l’intera provincia
al primo posto c’è un’altra città. Alla fine non è passato il tentativo di
salvare le piccole Terni, Isernia e Matera. L’emendamento che doveva salvare
almeno due Province in ogni regione, studiato e caldeggiato da più parti, non
è stato presentato.
È stato il nodo più difficile da
sciogliere, con una trattativa andata avanti fino all’ultimo minuto: farmaco
generico oppure griffato, cioè di marca? Il ministero dell’Economia ha
smentito ufficialmente che la soluzione indicata nel maxi emendamento sia una
«marcia indietro». Ma il giorno dopo tutti continuano a protestare e questo
dimostra come l’approdo finale sia un compromesso che in sostanza mette la
decisione nelle mani del medico. Viene confermata la regola generale inserita
nel testo approvato dalla commissione Bilancio del Senato: il medico che ha
per la prima volta in cura un paziente cronico o con una nuova patologia non
cronica per la quale sono in commercio più farmaci equivalenti deve indicare
sulla ricetta soltanto il principio attivo. Lo stesso medico, però, ha la
«facoltà» di indicare il nome del farmaco di marca. E la sua indicazione
diventa vincolante per il farmacista se accompagnata con una «sintetica
motivazione» della cosiddetta «clausola di non sostituibilità» del prodotto
prescritto. Il medico decide per una strada o per l’altra, insomma, e il
farmacista esegue. L’emendamento originario —che vincolava maggiormente il
medico a prescrivere il generico e che aveva scatenato la protesta delle
aziende del settore—porta la firma dell’udc Claudio
Gustavino, ginecologo genovese. Il senatore
conferma che quella proposta era stata «sostanzialmente concordata» con il
ministro della Salute Renato Balduzzi. La stessa norma era stata studiata per
il primo decreto del governo Monti, il decreto salva Italia del dicembre
scorso. Ma poi cancellata nella versione approvata in Consiglio dei ministri.
I fondi in arrivo dallo Stato sono
in calo da anni. E alla fine, per non chiudere bottega, le università
potranno aumentare le tasse agli studenti. Il rincaro non riguarderà solo i
fuori corso, come previsto dal testo uscito dalla commissione Bilancio del
Senato. Certo, su di loro si dovrebbero concentrare gli interventi più forti,
con la possibilità di un raddoppio per i pochissimi che hanno un reddito
familiare Isee superiore ai 150 mila euro. Ma
l’ultima modifica voluta dal governo estende gli aumenti anche agli studenti
in regola con gli esami. Si salveranno, fino al 2016, solo quelli che hanno
un reddito familiare al di sotto dei 40 mila euro l’anno. Un intervento del
genere era nell’aria da tempo. Questa soluzione era stata già studiata dal
precedente governo Berlusconi che però aveva deciso di archiviare il dossier
perché il mondo della scuola e dell’università era già in guerra con l’allora
ministro Gelmini e non era il caso di cercare lo scontro. Adesso ci risiamo,
senza troppe proteste forse perché nel frattempo la crisi è precipitata e ci
siamo quasi abituati a tasse e tagli. Nello stesso decreto c’è una norma che
aiuta a restare in sella i rettori che si sono visti prorogare il loro
mandato. L’ultima riforma dell’università ha messo un limite di sei anni alla
durata del loro incarico che prima era in teoria illimitato e diceva che
avrebbero dovuto lasciare la poltrona nell’anno successivo all’adozione del
nuovo statuto. Il decreto sulla spending review stabilisce che per adozione va intesa non quella
da parte dell’ateneo ma quella, successiva, fatta dal ministero. Molti
rettori guadagneranno un anno e potranno restare fino al 2013. PUBBLICO IMPIEGO Prepensionamenti e mobilità,
dipendenti da ridurre Sulla scia di quanto fatto
all’inizio di giugno da Palazzo Chigi e dal ministero dell’Economia anche il
resto della Pubblica amministrazione dovrà dare una sforbiciata alla propria
pianta |
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