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Il Corriere della Sera 28-4-2009 L’inchiesta Caso
derivati, banche sotto sequestro Nel mirino Deutsche Bank, Jp Morgan, Depfa Bank e Ubs. L’azione replicabile in tutta Italia. Sigilli a
sedi, quote e conti dopo il «buco» al Comune di Milano Luigi Ferrarella MILANO — Fossero dotati di humour, adesso in Procura potrebbero parodiare
una delle proverbiali intercettazioni captate anni fa in tutt’altre indagini
economiche: «Abbiamo una banca!». Perché da ieri, in senso quasi letterale,
la Procura di Milano ha davvero una banca (il 25% della spa italiana della
tedesca Deutsche Bank), e
anche la sede di una banca (quella dell’americana Jp
Morgan nel Palazzo Hoepli), e cespiti di una banca (conti per 8 milioni nella
tedesca Depfa Bank, altre
attività nella svizzera Ubs). Tutti beni che il giudice Giuseppe Vanore
ha autorizzato il pm Alfredo Robledo a
sequestrare, per la prima volta in Italia, fino a un tetto di 92 milioni di
euro per Jp Morgan e Depfa
Bank, di 84 per Deutsche Bank, di 75 per Ubs: istituti
indagati per truffa aggravata ai danni del Comune di Milano nella rinegoziazione
del debito di Palazzo Marino con prodotti finanziari «derivati», cioè
contratti per gestire il rischio di tasso d’interesse. Il sequestro preventivo, che raccoglie il lavoro del Nucleo di polizia
tributaria della Gdf, poggia su una novità
che, se reggerà al Tribunale del Riesame, potrebbe essere replicata
in tutta Italia indipendentemente dall’aleatorio andamento del mercato di
questi prodotti finanziari piazzati a iosa dalle
banche (per 35 miliardi di euro) a 18 Regioni, 44 Province e 447 Comuni, con
passività per lo Stato in 2 miliardi. L’idea di fondo, infatti,
è che il primo raggiro delle banche al Comune sia avvenuto quando,
nella veste di consulenti, avrebbero violato la legge 448 del 2001 che
subordina queste operazioni alla riduzione del valore finanziario delle
passività totali a carico dell’ente: al contrario, le banche avrebbero
rinegoziato il debito tacendo l’esistenza di un «derivato» stipulato dal
Comune nel 2002 con Unicredito, che non poteva essere ignorato perché
onerosamente collegato a mutui rinegoziati. A ruota, le banche avrebbero praticato un secondo raggiro, stavolta nella
struttura scelta per ammortare il debito del Comune sia nel 2005 (giunta Albertini)
sia nel contratto dell’ottobre 2007 (già sotto la giunta Moratti). La
regola è che, quando due parti stipulano un contratto derivato,
devono essere nelle medesime condizioni e dunque il valore delle prestazioni deve essere pari a zero; se così non
è, chi è in vantaggio deve ricostituire in partenza
l’equilibrio dando a chi è in svantaggio un pagamento pari alla
differenza. Invece, nel rapporto banche-Comune la struttura del contratto —
secondo quanto calcolato dal consulente del pm,
Gianluca Fusai — determinava già in
partenza uno squilibrio tra i due contraenti, e cioè 52 milioni di
euro di perdita finanziaria a carico del Comune, dovuta a condizioni contrattuali
che avvantaggiavano già in partenza le banche: esattamente il
contrario del vantaggio di 55 milioni di euro che le banche rappresentavano
invece al Comune. E qui c’è la base del sequestro: la Procura assume infatti che questa perdita del Comune costituisca di
per sé e subito un profitto per le banche talmente concreto e attuale che
gli istituti lo iscrivono a bilancio come valore effettivo, lo possono
vendere e comprare, lo pongono a base di mutui. Alle banche è addebitato un terzo raggiro: aver violato i doveri
di correttezza imposti loro proprio dalla legge inglese «Fsa»
che esse avevano voluto regolasse i contratti con il Comune, e in
particolare aver manovrato per spingerlo a rinunciare (senza che se ne avvedesse) a tutta una serie di preziose protezioni
contrattuali di cui avrebbe in teoria dovuto e potuto godere nella sua veste
di ente pubblico territoriale. Il Comune è parte lesa, ma le 4 banche e i loro 12 manager
già da mesi sotto inchiesta sono indagati in concorso con due ex
manager comunali: il direttore generale nell’era Albertini, Giorgio Porta,
al quale sono sequestrate (fino a teorici 81 milioni) una casa a Milano e una
a Courmayeur, e l’allora componente della Commissione
tecnica Mauro Mauri, che vede sotto sigilli (per teorici 52 milioni) la sua
quota di una casa in Lomellina. |