1-8-2012
Il Corriere della Sera
Il paracadute di Francoforte. Farcela da
soli si può
La crescita sta di nuovo rallentando un po'
dovunque. Negli Stati Uniti dal 3,8% del 2010, al 2,3 del 2011, all'1,5 nel
secondo trimestre di quest'anno. Anche Cina e Brasile frenano, seppur
continuino a crescere a tassi elevati. I dati europei saranno pubblicati la
prossima settimana: nonostante le grandi differenze fra il Nord e il Sud
dell'Europa, temiamo saranno deludenti. Le ultime previsioni per l'Italia
indicano che quest'anno perderemo oltre due punti di reddito. Compito delle
banche centrali è attenuare queste fluttuazioni. Lo possono fare riducendo i
tassi di interesse ai quali prestano denaro alle banche. Quando i tassi, come
accade oggi, sono vicini a zero, possono cercare altri modi per far affluire
credito alle imprese: ad esempio finanziandole direttamente senza
l'intermediazione del sistema bancario, oppure facendo pagare un costo alle
banche se esse decidono di depositare la loro liquidità presso la banca
centrale anziché usarla per dare credito a famiglie e imprese.
La Federal Reserve annuncerà
qualcosa di simile oggi e probabilmente l'istituzione di Francoforte la
seguirà. Ma il compito delle banche centrali si ferma qui. Sarebbe un errore
se esse si sostituissero ai governi acquistando titoli pubblici per motivi di
bilancio. Politica di bilancio e politica monetaria devono restare separate.
I nostri spread sono tanto elevati perché gli investitori internazionali che
acquistano titoli pubblici italiani sono preoccupati. Pensano che il nostro
modello sociale non sia più sostenibile perché richiede una pressione fiscale
che è diventata incompatibile con la crescita. Se questo è il dubbio, qualche
acquisto da parte della Bce non basta a risolverlo.
Una via d'uscita vi sarebbe: riacquistarci tutto il debito. In teoria
l'Italia potrebbe farlo perché ha ricchezza privata in abbondanza, la Spagna
no. In parte sta già accadendo: in pochi mesi la quota di debito italiano
detenuta da investitori internazionali è scesa dal 60 a meno del 37%.
Potremmo addirittura obbligare famiglie e banche a vendere titoli esteri e
acquistare Btp a tassi regolamentati, come accadeva negli anni Settanta. A
quel punto diventeremmo come il Giappone: un Paese con un debito quasi il
doppio del nostro, tutto detenuto all'interno e a tassi molto bassi. Ma anche
un Paese che da vent'anni ha smesso di crescere. Non certo un esempio da
seguire.
Il presidente della Bce non
ha certo scordato la lezione dell'agosto scorso, quando l'Istituto iniziò ad
acquistare Btp: lo spread crollò e i buoni propositi che Berlusconi aveva
annunciato l'8 agosto, dopo la lettera di Draghi e Trichet,
svanirono al sole. Purtroppo accadde qualcosa di simile anche la scorsa
primavera, quando la Bce inondò le banche di liquidità e queste la usarono
per acquistare titoli pubblici. Come raccontava in modo efficace Sergio Rizzo
domenica su queste colonne, spread e riforme sono come la fatica di Sisifo:
non appena lo spread flette, le riforme rallentano.
È probabile che ormai l'unico modo per salvare
l'euro sia consentire alla Bce di acquistare. Ma la lezione dell'agosto
scorso è che questi acquisti non potranno essere senza condizioni, o basati
su semplici dichiarazioni di intenti. Per ottenere l'aiuto della Bce si
rischia di dover accettare, e sarebbe una sconfitta, una limitazione della
propria autonomia di bilancio. L'alternativa è riuscirci da soli: non è
impossibile. Possiamo ancora farcela. Ma richiede una determinazione che,
anche in questi ultimi mesi di legislatura, il Parlamento e le forze
politiche devono dimostrare di possedere.
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