Il Consiglio n° 44
Sentenza della Cassazione n° 18555/2013.
Il cliente bancario ha diritto di ricevere le
notizie richieste alla propria banca in merito al proprio rapporto bancario,
entro 15 giorni dalla richiesta stessa.
Di Mauro Novelli 2-10-2013
La sentenza della
Corte di Cassazione (I sezione civile) n° 18555/2013, rivede la previsione
dell’art. 119 del Testo unico delle leggi in materia bancaria, che prevede 90
giorni per la consegna della documentazione, parlando espressamente di “senza
ritardo”, per cui il termine di 15 giorni, previsto dal codice privacy (art.
146) deve ritenersi congruo.
La sentenza di
fatto innova l’articolo della legge bancaria riducendo da 90 a 15 giorni il
tempo di risposta e di consegna dei documenti.
Le informazioni
possono essere richieste ai sensi del testo unico bancario (art.119) e del codice
della privacy (art. 146).
Da Altalex. Accesso ai dati
personali in banca: comunicazione entro 15 giorni!
Cassazione civile , sez. I, sentenza 02.08.2013 n° 18555
(Gianluca Bozzelli)
Gli interessati
al trattamento dei propri dati personali in ambito bancario, come è noto
possono richiedere agli intermediari tutte le informazioni sulla quantità,
qualità, finalità e logica adottata al trattamento, in relazione ai propri
dati, così come previsto dagli artt. 7, 8 e 10 D.Lgs. 196/2003
.
Trattandosi in particolare di dati relativi ai
rapporti bancari, i diritti degli interessati sono regolati e garantiti anche
dall'articolo 119 comma 4 TUB: i clienti possono ottenere a proprie spese
entro congruo termine e comunque non oltre 90 giorni dalla richiesta, copia
della documentazione relativa ad una o più operazioni effettuate dalla banca.
Oltretutto, il diritto all’acquisizione della
documentazione relativa al rapporto bancario, trova fondamento nel principio
di buona fede, che è clausola generale di interpretazione e di
esecuzione del contratto e fonte di integrazione della regolamentazione
negoziale, ai sensi degli artt. 1366, 1375, 1374 c.c. e
dall'obbligo di solidarietà (principio costituzionalizzato, art. 2
Costituzione), che è accessorio ad ogni prestazione dedotta in negozio
e consente alle parti di conseguire ogni utilità
programmata, anche oltre quelle riferibili alle prestazioni convenute,
comportando esso stesso l'esecuzione di una prestazione cui ognuno è
tenuto, in quanto imposta direttamente dalla legge (art. 1374 c.c.).
Il termine congruo (e
comunque non superiore a 90 giorni) al quale fa riferimento l'art. 119 TUB
non va però confuso con il termine entro il quale i titolari del trattamento
dei dati personali devono fornire riscontro alla richiesta da parte degli
interessati, ai sensi degli artt. 7, 8 e 146 D.lgs. 196/2003.
Con la pronuncia 2 agosto
2013, n. 18555 la Cassazione ha confermato che il riscontro alla richiesta
dell'interessato ai sensi dell'art. 7, Legge privacy deve
essere fornito con la massima tempestività. Nel caso trattato dalla S.C., il
soggetto aveva inoltrato nell'ottobre 2006 un' istanza di accesso ai propri
dati personali temendo di essere stato segnalato alla Centrale Rischi della
Banca d'Italia; non ricevendo riscontro, aveva chiesto al Tribunale di Milano
nel gennaio 2007 (con il rito al tempo previsto dall'art. 152 Legge privacy)
che fosse ordinato alle banche di dare immediato riscontro alle proprie
istanze.
Gli istituti si erano
difesi sostenendo che la richiesta non atteneva strettamente alla
comunicazione di dati personali dell'interessato, quanto piuttosto
l'andamento dei pagamenti eseguiti nel corso del rapporto contrattuale e che
quindi tempi di riscontro erano stati influenzati da attività relative alla
chiusura dell'anno finanziario ed alle festività. Ovviamente, secondo gli
intermediari, ogni segnalazione era stata eseguita con doveroso scrupolo; in
ogni caso era stato dato riscontro alle richieste dell'interessato in tempi
ragionevoli (visto il rapporto bancario ancora in essere), dovendosi
considerare quello stabilito dagli artt. 7, 8 e 146 D.Lgs. 196/2003 un
obbligo previsto come condizione di procedibilità in vista della
presentazione del ricorso al Garante e mai come termine perentorio. Avrebbe
dovuto - ancora secondo gli istituti bancari - tenersi conto anche della
qualità dei dati o informazioni richieste (ovvero se quelli risultino già
precedentemente e correttamente comunicati nel corso del rapporto
all'interessato), dovendo il giudice di merito penetrare nell'analisi circa
la qualità dei dati che il richiedente vuole acquisire.
Il tribunale, accertando la
cessazione della materia del contendere (in quanto le informazioni erano
state conferite corso di causa), aveva condannato alle spese legali le banche,
in forza del principio della soccombenza virtuale. La cassazione della
sentenza veniva pertanto richiesta dalle banche.
Con la pronuncia esaminata,
la Corte, richiamando un recente precedente della stessa 1' sezione (sent.
349/2013) ha confermato che la richiesta di
accesso ai propri dati personali deve essere soddisfatta "senza
ritardo" da parte del soggetto destinatario, titolare del trattamento.
Costituisce quindi un congruo "spatium deliberandi" il termine di 15 giorni, previsto
dall'art. 146, Legge Privacy con riguardo l'interpello preventivo da parte
del Garante, ma evidentemente non limitato a quell'ipotesi.
La Cassazione ha inoltre precisato che in caso
di interpello da parte dell'interessato, il titolare non può limitarsi a dare
una mera conferma dell'esistenza dei dati, ma deve estrarli dai documenti in
proprio possesso ponendoli a disposizione dell'interessato. Con tale
precisazione, la Corte consente di ritenere che il termine di 15 giorni sia
congruo anche per la consegna della documentazione bancaria, contenente le
informazioni che l'interessato richiede: il che a sua volta consentirebbe
un'interpretazione diversa, e più restrittiva, dell'Intervallo temporale
indicato dall'articolo 119 TUB.
La pronuncia infatti si conclude con la conferma
della decisione del giudice di merito, che ha fatto riferimento al termine di
15 giorni previsto dall'articolo 146, D.lgs. 196/2003 come
perentorio siccome congruo "spatium deliberandi" per l'elaborazione delle informazioni
da comunicare al destinatario della richiesta, precisando che lo scopo della
norma invocata è quello di "garantire, a tutela della dignità e
riservatezza del soggetto interessato, la verifica dell'avvenuto inserimento,
della permanenza, ovvero della rimozione" di dati personali, e ciò
indipendentemente dalla circostanza che tali eventi fossero già stati portati
in altro modo a conoscenza dell'interessato. Tale verifica - conclude la
Suprema Corte - può essere attuata "mediante l'accesso ai dati raccolti
sulla propria persona in ogni e qualsiasi momento della propria vita
relazionale".
SUPREMA CORTE DI
CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Sentenza 19 giugno - 2 agosto
2013, n. 18555
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME' Giuseppe -
Presidente -
Dott. DOGLIOTTI Massimo -
Consigliere -
Dott. DIDONE Antonio - rel. Consigliere -
Dott. BISOGNI Giacinto -
Consigliere -
Dott. ACIERNO Maria -
Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 894-2009 proposto
da:
COMPASS S.P.A. (c.f./p.i. (OMISSIS)), in persona dei procuratori speciali
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DI VILLA PAMPHILI 33,
presso l'avvocato DE SANTIS LUIGI, rappresentata e difesa dagli avvocati
MARTINEZ ANTONELLO, NOVEBACI CLAUDIO, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
DEUTSCHE BANK S.P.A. (p.i./c.f. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SAVOIA 33, presso l'avvocato
VESCUSO GIUSEPPE, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato MULE'
GIUSEPPE, giusta procura in calce al controricorso;
- controricorrente -
contro
B.D.;
- intimata -
avverso la sentenza n.
11570/2007 del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 15/01/2008;
udita la relazione della
causa svolta nella pubblica udienza del 19/06/2013 dal Consigliere Dott.
ANTONIO DIDONE;
udito, per la ricorrente,
l'Avvocato MARCO CALLORI, con delega in atti, che ha chiesto l'accoglimento
del ricorso;
udito, per la
controricorrente, l'Avvocato GIUSEPPE VESCUSO che ha chiesto il rigetto del
ricorso;
udito il P.M., in persona del
Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso
per la manifesta infondatezza dei due ricorsi.
Svolgimento del processo -
Motivi della decisione
1.- Con ricorso depositato il
18.1.2007 al Tribunale di Milano ai sensi del D.Lgs.
n. 196 del 2003, art. 152 B.A. espose di aver inoltrato nell'ottobre 2006 a Crif s.p.a. un'istanza di
accesso ai propri dati personali, a seguito della quale aveva appreso
dell'esistenza a suo carico di due segnalazioni negative, rispettivamente
eseguite da Deutsche Bank
s.p.a. e da Compass s.p.a.;
che in data 18.12.2006 aveva
inoltrato a dette società un'istanza di accesso ai propri dati personali; che
tuttavia dette richieste erano rimaste inevase. Chiese pertanto che fosse
ordinato alle società convenute di dare riscontro alle istanze da essa
avanzate e di comunicare i dati richiesti.
Si costituì nel giudizio Deutsche Bank s.p.a., affermando di avere dato riscontro alla richiesta
della ricorrente con lettera dell'11.1.2007; che la richiesta non atteneva
strettamente alla comunicazione dei suoi dati personali, quanto piuttosto
all'andamento dei pagamenti eseguiti nel corso del pregresso rapporto
contrattuale intercorso tra le parti, che i tempi di riscontro dell'istanza
erano stati influenzati dalle festività e dall'attività di chiusura dell'anno
finanziario; che in ogni caso all'epoca della trasmissione dell'istanza il
rapporto di finanziamento era ancora in corso e che tutte le segnalazioni di
legge erano state regolarmente eseguite, ivi compreso nell'agosto 2005
l'avviso alla controparte dell'imminente registrazione dei suoi dati in
sistemi di informazioni creditizie;
che nessun danno risultava
verificatosi a carico della ricorrente.
Si costituì altresì nel
giudizio Compass s.p.a.,
producendo tutte le comunicazioni eseguite nei confronti della ricorrente nel
corso del rapporto di finanziamento a suo tempo intercorso con essa, affermò
che il mancato riscontro all'istanza della ricorrente era dovuto al fatto che
essa ne aveva avuto conoscenza solo dalla lettura del ricorso introduttivo
della presente causa, che in ogni caso il termine stabilito dal D.Lgs. n. 196 del 2003 doveva ritenersi quale condizione
di procedibilità in vista della presentazione del ricorso al Garante, che
comunque tutte le informazioni richieste erano state da essa già puntualmente
fornite in corso di rapporto.
2.- Con sentenza depositata
il 15.1.2008 il Tribunale di Milano ha dichiarato cessata la materia del
contendere e, in forza del principio della soccombenza virtuale, ha
condannato le società convenute al pagamento delle spese processuali
all'attrice.
Ha osservato il giudice del
merito che era rimasto confermato in punto di fatto che la ricorrente al
momento del deposito del ricorso introduttivo della causa nessun riscontro
aveva ancora ottenuto alle sue istanze da parte delle società convenute e,
pur non avendo l'attrice contestato la correttezza del trattamento dei dati,
tuttavia era evidente l'inadempimento all'obbligo previsto dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 7 a carico dei soggetti che
hanno proceduto al trattamento dei dati personali o che ne siano detentori di
comunicare all'interessato l'esistenza dei dati stessi ed informazioni circa
le finalità e modalità del trattamento dei medesimi. Nè
il fatto che tali dati fossero stati regolarmente trasmessi alla controparte
nel corso del rapporto contrattuale assumeva rilievo al fine di giustificare
il mancato riscontro a tali istanze, posto che il potere attribuito dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 7 costituiva derivazione
diretta del diritto all'accesso riconosciuto in favore del singolo dal
rilievo costituzionale attribuito sotto il profilo dei diritti della
personalità alla riservatezza di ogni soggetto ed alla tutela della sua
identità personale. Invero, l'esercizio del detto diritto può essere rivolto
anche alla mera "conferma dell'esistenza o meno di dati
"personali" riguardanti l'interessato, dunque anche di quelli già
conosciuti dal medesimo. Al momento del deposito del ricorso - successivo di
un mese alla trasmissione delle istanze di parte ricorrente - le parti
convenute non avevano osservato il loro dovere di fornire all'interessata un
"idoneo riscontro senza ritardo" (D.Lgs.
n. 196 del 2003, art. 8, comma 1), non avendo evidentemente esse pienamente
osservato il dovere su di esse incombente di conformare a tal fine la propria
organizzazione in maniera efficiente, al fine cioè di "ridurre i tempi
per il riscontro al richiedente, anche nell'ambito di uffici o servizi
preposti alle relazioni con il pubblico" (D.Lgs.
n. 196 del 2003, art. 10, comma 1, lett. b).
2.1.- Contro la sentenza del
Tribunale la s.p.a. Compass
ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, conclusi da idonei
quesiti ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c.,
applicabile ratione temporis.
La s.p.a.
Deutsche Bank ha
notificato controricorso con il quale ha aderito al ricorso della s.p.a. Compass. Ha formulato
ricorso incidentale adesivo affidato a un motivo.
Non ha svolto difese B.A..
Nel termine di cui all'art.
378 c.p.c. la società ricorrente ha depositato
memoria.
3.1.- Con il primo motivo la
società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di
diritto nonchè vizio di motivazione.
Deduce che il "diritto
di accesso" D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 7,
comma 1, non coincide, nell'ipotesi di inosservanza del "termine"
di risposta ad esso correlato, con un "diniego del diritto di
conoscenza".
Secondo la ricorrente la
lesione del diritto di conoscenza in relazione al "termine" di
risposta non si concreta unicamente nell'omissione e/o ritardo nel rapporto
con il "termine" di risposta di cui al D.Lgs.
n. 196 del 2003, artt. 8 e 146 dovendosi, per contro, tenere conto della
circostanza che i dati e/o le informazioni risultino già aprioristicamente e
correttamente comunicate nel rapporto contrattuale (anche conformemente alla
normativa sulla "trasparenza") da parte dell'Intermediario al quale
si chiede accesso. Talchè l'accertamento del
giudice del merito non può prescindere dall'esame degli elementi informativi
che mediante tale istanza il richiedente vuole acquisire.
3.2.- Con il secondo motivo
parte ricorrente denuncia "Errata applicazione e/o violazione di norme
di diritto in ordine all'accertamento e alla valutazione dell'inadempimento
all'istanza di accesso D.Lgs. n. 196 del 2003, art.
7 quale "infrazione" a disposto di Legge e non unicamente quale pre-requisito procedimentale per attivare il ricorso
avanti all'Autorità Garante in sede Amministrativa".
Deduce che il termine per l'adempimento
del diritto di "accesso ai dati" ha natura ordinatoria e
costituisce mera condizione di procedibilità per chiedere l'intervento del
Garante. Esso non può essere qualificato quale "termine
perentorio", con l'effetto che l'inosservanza e/o il ritardo
nell'adempiere a detto "termine" costituisca inosservanza a un
precetto di legge al quale ricondurre un inadempimento.
Analoga censura è contenuta
nell'unico motivo del ricorso incidentale adesivo.
4.- Osserva la Corte che le
questioni di diritto poste dalla ricorrente e dalla controricorrente sono
state già esaminate in occasione di ricorso proposto in fattispecie analoga a
quella oggetto del presente giudizio. Decisione (che il Collegio condivide e
alla quale intende dare continuità: cfr. Sez. 1, Sentenza n. 349 del 2013),
con la quale si è statuito che la richiesta di accesso ai propri dati
personali, di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196,
art. 8 deve essere soddisfatta "senza ritardo" da parte del
soggetto destinatario e titolare del trattamento: a tal fine, costituisce un
congruo "spatium deliberandi"
il termine di quindici giorni, previsto dall'art. 146 del citato decreto, con
riguardo all'interpello preventivo da parte del Garante.
Con la stessa pronuncia,
inoltre, questa Corte ha precisato che in caso di esercizio del diritto di
accesso da parte del titolare dei dati, ai sensi del D.Lgs.
30 giugno 2003, n. 196, artt. 7, 8 e 10 il titolare del trattamento, o il
responsabile se nominato, non possono limitarsi a dare una mera conferma
dell'esistenza dei dati, ma devono estrarli dai documenti in loro possesso,
ponendoli a disposizione dell'interessato.
Correttamente, dunque, il
giudice del merito ha fatto riferimento al termine previsto in relazione
all'interpello preventivo al fine di individuare un congruo spatium deliberandi al
destinatario della richiesta di accesso. Peraltro, lo scopo della norma
invocata da parte attrice è quello di garantire, a tutela della dignità e
riservatezza del soggetto interessato, la verifica dell'avvenuto inserimento,
della permanenza, ovvero della rimozione di dati e ciò indipendentemente
dalla circostanza che tali eventi fossero già stati portati per altra via a
conoscenza dell'interessato; verifica attuata mediante l'accesso ai dati
raccolti sulla propria persona in ogni e qualsiasi momento della propria vita
relazionale.
I ricorsi sono rigettati.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi.
Così deciso in Roma, nella
Camera di consiglio, il 19 giugno 2013.
Depositato in Cancelleria il
2 agosto 2013.
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