PRIVILEGIA
NE IRROGANTO |
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Documento inserito: 9-5-2019 Il ConsigliO n°
99 Da Il
Sole 24 Ore dell’8 maggio 2019
Semaforo
verde per i nuovi Pir: è
arrivato il decreto attuativo. Bankitalia: aumentano i rischi per i
risparmiatori. – di Isabella Della Valle 08 maggio
2019
Semaforo verde alla normativa sui
nuovi Pir. Alla fine il tanto sospirato decreto attuativo è arrivato.
Non ci sono grandi modifiche rispetto alla normativa primaria. Come previsto,
i Pir 2.0 sono vincolati a investire una
percentuale minima sull’Aim e sul Venture capital.
Le Pmi oggetto dell’investimento saranno quelle
che, nell’accezione comunitaria (e non del Tuf per
evitare il rischio di infrazione sugli aiuti di Stato) arrivano ad avere 250
dipendenti, un fatturato massimo di 50 milioni oppure un totale di bilancio
annuo che non superi i 43 milioni. Inoltre queste società non devono aver
ricevuto risorse finanziarie per una somma superiore a 15 milioni, non devono
essere quotate sui mercati regolamentati e non devono essere operative sul
mercato da più di 7 anni. Pubblicato in Gazzetta Il decreto 30 aprile 2019 sui piani
individuali di risparmio è stato pubblicato in Gazzetta il 7 maggio scorso
confermando quindi la soglia del 3,5% (che equivale al 5% del 70%) della
raccolta da investire per i nuovi Pir (quelli cioè
nati dopo il 1 gennaio 2019) rispettivamente sull’Aim
e sul Venture capital. Viene così confermato lo schema normativo stabilito
nella legge di Bilancio 2019 che modifica la legge 632 del dicembre 2016 e
che tanto ha fatto discutere gli addetti ai lavori. Diffusa la delusione tra
i gestori di fondi secondi i quali la legge così come è stata concepita è
destinata a mettere la parola fine ai Pir di nuova
generazione. Se questo fosse vero, il mercato sarebbe destinato a fermarsi ai
72 prodotti attualmente offerti. Il Ministero dello Sviluppo economico tra
sei mesi rivaluterà comunque la situazione, come spiegato nell’articolo 6 del
decreto «al fine di valutare opportunità di interventi normativi ulteriori».
Una speranza di molti. Bankitalia mette in guardia sul rischio perdite Una forte critica arriva alla
normativa arriva da Banca d’Italia, secondo la quale le nuove regole sui Pir «aumentano il profilo di rischio dei Pir, strumenti di risparmio rivolti alle famiglie. Le
nuove regole inoltre - scrive via Nazionale nel Rapporto sulla stabilità
finanziaria - possono rendere più difficile il rispetto dei requisiti
prudenziali di diversificazione e di liquidità previsti per i fondi Pir esistenti, tutti costituiti nella forma di fondi
aperti». Inoltre la banca centrale italiana sottolinea l’aumento del rischio
che «i fondi registrino perdite derivanti da vendite di attività in mercati
poco liquidi a fronte di episodi di forte volatilità dei corsi che inducano i
sottoscrittori a liquidare l'investimento prima di conseguire il beneficio
fiscale. Tali perdite potrebbero riflettersi negativamente sui risultati dei Pir e sulla reputazione degli intermediari che li
promuovono. Proprio al fine di limitare questi rischi gli investimenti dei
fondi aperti italiani in titoli di Pmi italiane e
in fondi di venture capital sono attualmente pressoché nulli». Dal
Corriere della Sera dell’8-5-2019
Pir, scontro sulle nuove regole: il 3,5%
dell’investimento andrà a startup e venture capital. Bankitalia: «Più rischi
di perdite» di Alessandra Puato08 mag 2019
Sui nuovi Pir
la legge è fatta, ora si accende lo scontro istituzionale: il governo da una
parte, con l’associazione dei fondi di private equity
e venture capital (Aifi), a favore; la Banca
d’Italia e Assogestioni, l’associazione dei gestori
dei fondi d’investimento, dall’altra, che sollevano dubbi. Il decreto
attuativo sui nuovi Piani individuali di risparmio a lungo termine - i
prodotti finanziari per convogliare sulle piccole e medie imprese i soldi dei
risparmiatori e delle famiglie, attraverso i gestori dei fondi comuni e delle
polizze, che in cambio ne hanno un beneficio fiscale - è stato pubblicato il
7 maggio in Gazzetta Ufficiale e firmato da Luigi Di Maio, ministro dello
Sviluppo economico e vicepremier, di concerto con Giovanni Tria, ministro del
Tesoro. Era atteso. La svolta sulle startup fa scattare le polemiche. Le novità I fondi d’investimento
specializzati nei Pir e attivi dal primo gennaio
scorso dovranno i nfatti ora avere una «fetta» del
3,5% del capitale vincolata al venture capital, il capitale per le piccole
imprese innovative e le startup, aziende appena nate o con meno di sette anni
di vita (l’investimento avviene attraverso quote o azioni di fondi di venture
capital, o fondi di fondi di venture capital). Soddisfatta l’Aifi, l’associazione dei fondi di private equity e venture capital presieduta dall’economista Innocenzo
Cipolletta, perché sono state accolte le sue richieste: «Un’occasione per
promuovere il venture capital e l’innovazione nel nostro Paese», dicono. «Aifi è a disposizione per l’apertura immediata di un
tavolo di confronto e lavoro — ha dichiarato Cipolletta —. L’associazione
vuole supportare l’attività dei gestori Pir nel
lancio di nuovi prodotti che potranno essere di supporto alla crescita
dell’innovazione in Italia».
Critici i gestori e via Nazionale Sono invece scettici i gestori dei
fondi d’investimento (non di private equity e
venture capital, quindi) che, come già espresso anche dal presidente di Assogestioni, Tommaso Corcos,
chiedono regole diverse, con la costituzione di veicoli specifici (fondi
chiusi) per gli investimenti nelle startup. Il loro timore è che vincolare il
3,5% degli investimenti dei fondi aperti per i Pir
in un bene illiquido (è difficile venderlo in fretta) come il venture capital
penalizzi sia l’industria del risparmio gestito sia il risparmiatore. Critica
anche la Banca d’Italia: «Le nuove regole aumentano il profilo di rischio dei
Pir, strumenti di risparmio rivolti alle famiglie,
e possono rendere più difficile il rispetto dei requisiti prudenziali di
diversificazione e liquidità». I risultati Nella fase precedente i Pir, lanciati nel 2017 e senza questi ultimi vincoli,
hanno avuto successo con una raccolta di oltre 15 miliardi al dicembre scorso
(più nel 2017 che nel 2018, anche per la frenata generale della Borsa). Ora
cambiano le regole, c’è chi prospetta un flop. Da startupitalia.eu
Al via i
nuovi PIR: il 3,5% dell’investimento andrà alle startup. Di Gabriella Rocco. 9 maggio 2019
Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il
decreto attuativo che rende pienamente operativi i nuovi PIR. La novità,
introdotta dalla Legge di Bilancio 2019, è legata al fatto che le
agevolazioni fiscali sono collegate a una quota d’investimenti dedicati a
startup e PMI innovative E’ stato pubblicato in Gazzetta
Ufficiale il decreto attuativo firmato dal Ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio, di concerto con il
Ministro dell’Economia e delle Finanze, che rende pienamente operativi i
nuovi PIR: Piani Individuali di
Risparmio. La novità, introdotta dalla Legge
di Bilancio 2019, è legata al fatto che le agevolazioni fiscali sono
collegate a una quota d’investimenti dedicati a startup e PMI innovative. Leggi anche: Cosa sono i Pir
e alcuni rischi da cui guardarsi, spiegati da MoneyFarm Con questo provvedimento, pertanto,
si regolamentano le modalità e i criteri di investimento in PMI che dovranno essere
effettuati in parte in strumenti finanziari ammessi alle negoziazioni nei
sistemi multilaterali e in parte in quote o azioni di fondi per il venture
capital, ovvero organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) che
investono almeno il 70 per cento dell’attivo nelle predette imprese. A tal
fine, sono stati considerati ammissibili gli investimenti in equity e quasi-equity. Le nuove disposizioni si
applicheranno ai PIR costituiti a decorrere dal 1° gennaio 2019, mentre per i PIR costituiti fino al 2018
continuerà invece ad applicarsi la disciplina pre-vigente
con la possibilità di adeguamento del portafoglio di investimento alla nuova
disciplina. Leggi anche: Startup e innovazione. La
strategia del Ministro Di Maio La soglia del 3,5% andrà a startup e venture capital Il decreto 30 aprile 2019 sui piani
individuali di risparmio è stato pubblicato in Gazzetta il 7 maggio
confermando la soglia del 3,5% (che
equivale al 5% del 70%) della raccolta da investire per i nuovi Pir (quelli cioè nati dopo il 1 gennaio 2019)
rispettivamente sull’Aim e sul Venture capital. Soddisfatta l’Aifi, l’associazione dei fondi di private equity e venture capital presieduta dall’economista Innocenzo Cipolletta, perché sono
state accolte le sue richieste: “un’occasione per promuovere il venture
capital e l’innovazione nel nostro Paese”. I fondi d’investimento
specializzati nei Pir e attivi dal primo gennaio
scorso dovranno infatti avere una
fetta del 3,5% del capitale vincolata al venture capital, il capitale
per le piccole imprese innovative e le startup, aziende appena nate o con meno di sette anni di vita
(l’investimento avviene attraverso quote o azioni di fondi di venture
capital, o fondi di fondi di venture capital). “Aifi
è a disposizione per l’apertura immediata di un tavolo di confronto e lavoro
— ha dichiarato al Corriere della Sera Cipolletta —. L’associazione vuole
supportare l’attività dei gestori Pir nel lancio di
nuovi prodotti che potranno essere di supporto alla crescita dell’innovazione in Italia”. Nella fase precedente i Pir, lanciati nel 2017, hanno avuto successo con una
raccolta di oltre 15 miliardi al dicembre scorso (più nel 2017 che nel 2018,
anche per la frenata generale della Borsa). Leggi anche: Cosa
dice la Legge di Bilancio 2019 sulle startup Dal Rapporto sulla stabilità finanziaria n. 1 Aprile 2019 di Bankitalia [….] L’IMPATTO
DELLE RECENTI MODIFICHE NORMATIVE SUI FONDI PIR (1)
L’introduzione all’inizio del 2017 dei piani individuali di
risparmio (PIR) (2) ha favorito l’avvio di fondi di investimento
specializzati nei mercati azionari e obbligazionari italiani. In virtù dei
vincoli imposti dalla normativa, oltre il 50 per cento delle risorse gestite
dai fondi PIR di diritto italiano sono investite in titoli di imprese non
finanziarie residenti (a fronte di una media di circa il 2 per cento per gli
altri fondi; tavola); ciò ha aumentato la liquidità del mercato mobiliare
italiano, favorendo la quotazione di nuove imprese (cfr. il riquadro: Gli
investimenti dei fondi comuni italiani conformi alla normativa sui PIR, in
Rapporto sulla stabilità finanziaria, 1, 2018). La legge di bilancio per il
2019 (L. 145/2018), nell’ambito di un programma di iniziative per lo sviluppo
delle piccole e medie imprese (PMI), ha modificato la normativa sui PIR
vincolando tali fondi a investire una quota del portafoglio in strumenti
finanziari emessi da PMI italiane e in fondi di venture capital (3) . Questi investimenti risultano relativamente rischiosi e
caratterizzati da un basso grado di liquidità, anche in ragione delle
dimensioni contenute dei mercati dei titoli emessi dalle imprese di minore
dimensione. Alla fine del 2018 all’Alternative Investment
Market (AIM) di Borsa italiana erano quotati poco più di 60 titoli emessi da
PMI italiane non finanziarie, con una capitalizzazione complessiva di circa 3
miliardi e un flottante (4) medio del 30 per cento. Lo scorso anno quasi la
metà di questi titoli non ha registrato scambi per almeno un quarto dei
giorni di contrattazione. In Italia operano inoltre poco più di 30 fondi di
venture capital di diritto italiano con un patrimonio complessivo di circa
500 milioni e solo alcuni di questi hanno caratteristiche in linea con i
requisiti della nuova normativa sui PIR (5) . Le
norme recentemente introdotte possono favorire l’emissione di titoli da parte
delle imprese di minore dimensione e la diversificazione delle loro fonti di
finanziamento. Per contro va considerato che tali norme aumentano il profilo
di rischio dei PIR, strumenti di risparmio rivolti alle famiglie. Le nuove
regole inoltre possono rendere più difficile il rispetto dei requisiti
prudenziali di diversificazione e di liquidità previsti per i fondi PIR
esistenti, tutti costituiti nella forma di fondi aperti (6). Aumenta il
rischio che i fondi registrino perdite derivanti da vendite di attività in
mercati poco liquidi a fronte di episodi di forte volatilità dei corsi che
inducano i sottoscrittori a liquidare l’investimento prima di conseguire il
beneficio fiscale. Tali perdite potrebbero riflettersi negativamente sui
risultati dei PIR e sulla reputazione degli intermediari che li promuovono.
Proprio al fine di limitare questi rischi gli investimenti dei fondi aperti
italiani in titoli di PMI italiane e in fondi di venture capital sono attualmente
pressoché nulli. NOTE 1 A cura di Mario Cappabianca e
Giovanni Guazzarotti. 2 Legge di bilancio per il 2017
(L. 232/2016). 3 A fronte dei benefici fiscali
la normativa preesistente prevedeva un obbligo di investimento minimo del 70
per cento del valore complessivo degli attivi in strumenti finanziari, anche
non quotati, emessi da imprese residenti in Italia oppure in Stati membri
dell’Unione europea (UE) o dello Spazio economico europeo (SEE) con una
stabile organizzazione nel nostro paese, di cui almeno il 30 per cento in
strumenti finanziari emessi da imprese diverse da quelle facenti parte
dell’indice FTSE MIB di Borsa italiana o di equivalenti indici di mercati
regolamentati esteri (cfr. il riquadro: I piani individuali di risparmio, in
Rapporto sulla stabilità finanziaria, 2, 2017). La nuova normativa richiede
che il 70 per cento indicato dalla legge originaria debba essere costituito,
oltre che dalla quota del 30 per cento sopra indicata: (a) per almeno il 5
per cento da strumenti finanziari ammessi alla negoziazione sui sistemi
multilaterali di negoziazione emessi da PMI; (b) per un ulteriore 5 per cento
da fondi di venture capital domiciliati in Italia o nella UE e nell’SEE. A
loro volta, questi fondi devono investire almeno il 70 per cento dei capitali
raccolti a favore di PMI non quotate italiane o estere con stabile
organizzazione nel nostro paese. L’avvio dei nuovi PIR richiede l’emanazione
di un decreto ministeriale che ne definisca le modalità e i criteri
attuativi, secondo i limiti e le condizioni di compatibilità con le norme
comunitarie in tema di aiuti alle PMI. 4 Quantità delle azioni
disponibili per la negoziazione in borsa. 5 Anche i fondi di venture
capital sono strumenti sostanzialmente illiquidi. Di norma riservati a
clientela professionale, sono istituiti obbligatoriamente in forma chiusa e
non ammettono pertanto la possibilità di rimborsi anticipati; la valutazione
del loro portafoglio avviene di norma solo semestralmente. Per i fondi aperti
armonizzati, che investono in attività più liquide e possono essere
commercializzati anche alla clientela al dettaglio, è prescritta invece una
periodicità almeno quindicinale sia del calcolo del patrimonio netto, sia del
rimborso delle quote ai sottoscrittori. 6 La normativa impone ai fondi aperti
che rientrano nell’ambito della direttiva UCITS (fondi aperti armonizzati,
ossia organismi di investimento collettivo in valori mobiliari) un limite del
10 per cento alla quota di portafoglio che è possibile investire in titoli
non negoziati in un mercato regolamentato. Ulteriori limiti prudenziali,
differenti a seconda della tipologia di investimento, assicurano un’opportuna
diversificazione del portafoglio. DECRETO
30 aprile 2019 . Disciplina attuativa dei piani di risparmio
a lungo termine.
IL MINISTRO DELLO SVILUPPO ECONOMICO DI CONCERTO CON IL
MINISTRO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE Visto l’art. 1, commi da 211 a 215, della legge 30 dicembre
2018, n. 145, che disciplina gli investimenti nei piani di risparmio a lungo
termine, di cui all’art. 1, commi da 100 a 114, della legge 11 dicembre 2016,
n. 232, costituiti a decorrere dal 1° gennaio 2019; Visto, in particolare, il comma 214 del medesimo art. 1 che
prevede che le disposizioni di cui ai precedenti commi da 211 a 213 sono
attuate nel rispetto dei limiti e delle condizioni previsti dal regolamento
(UE) n. 651/2014 della Commissione europea, del 17 giugno 2014, che dichiara
alcune categorie di aiuto compatibili con il mercato interno in applicazione
degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea; Visto il successivo comma 215 che prevede che con decreto
del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro
dell’economia e delle finanze, sono stabiliti le modalità e i criteri per
l’attuazione delle disposizioni di cui ai precedenti commi da 211 a 214;
Visto l’art. 1, commi da 100 a 114, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, e
successive modificazioni, che disciplina i piani di risparmio a lungo
termine; Visto il testo unico delle imposte sui redditi di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e
successive modificazioni; Visto il regolamento della Commissione 17 giugno
2014, n. 651/2014/UE, che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con
il mercato interno in applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato, e
che si applica fino al 31 dicembre 2020; Visto, in particolare, l’art. 21 del
medesimo regolamento che disciplina gli aiuti al finanziamento del rischio; Visto il successivo art. 23, paragrafo 2, ultimo periodo,
del medesimo regolamento che disciplina gli aiuti alle piattaforme
alternative di negoziazione specializzate nelle PMI concessi nella forma di
incentivi fiscali a investitori privati dipendenti che sono persone fisiche;
Visto l’allegato I al medesimo regolamento n. 651/2014/ UE che contiene la
definizione di PMI; Vista la raccomandazione 2003/361/CE della Commissione, del
6 maggio 2003, relativa alla definizione delle microimprese, piccole e medie
imprese; Visto l’art. 4, paragrafo 1, numeri 21) e 22), della direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, n. 2014/65/UE,
relativa ai mercati degli strumenti finanziari e che modifica la direttiva n.
2002/92/CE e la direttiva n. 2011/61/UE, concernenti le definizioni di
mercato regolamentato e di sistema multilaterale di negoziazione; Decreta: Art. 1. Definizioni 1. Ai fini del presente decreto si intende per: a)
«piccola o media impresa (PMI)»: l’impresa che occupa meno di 250 persone, il
cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro e/o il cui totale di bilancio
annuo non supera i 43 milioni di euro ai sensi dell’allegato I, art. 2,
paragrafo 1, al regolamento n. 651/2014/UE; b) «PMI non quotata»: la PMI, le
cui azioni o quote, al momento dell’investimento, non sono negoziate in un
mercato regolamentato di cui all’art. 4, paragrafo 1, numero 21), della
direttiva n. 2014/65/UE; c) «PMI ammissibile»: la PMI non quotata, residente
nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 73 del testo unico delle
imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22
dicembre 1986, n. 917, o in uno Stato membro dell’Unione europea o in uno
Stato aderente all’Accordo sullo Spazio economico europeo con stabile
organizzazione nel territorio dello Stato, che non ha ricevuto risorse
finanziarie per un ammontare complessivo superiore a 15 milioni di euro a
titolo di aiuto al finanziamento del rischio in conformità all’art. 21,
paragrafo 9, del regolamento (UE) n. 651/2014/UE e che soddisfa almeno una
delle seguenti condizioni: i) non ha operato in alcun mercato; ii) opera in
un mercato qualsiasi da meno di sette anni dalla prima vendita commerciale;
iii) necessita di un investimento iniziale per il finanziamento del rischio
che, sulla base di un piano aziendale elaborato per il lancio di un nuovo
prodotto o l’ingresso su un nuovo mercato geografico, è superiore al 50 per
cento del suo fatturato medio annuo registrato negli ultimi cinque anni; d)
«sistema multilaterale di negoziazione»: il sistema multilaterale di
negoziazione di cui all’art. 4, paragrafo 1, n. 22), della direttiva n.
2014/65/UE, nel quale la maggioranza degli strumenti finanziari ammessi alla
negoziazione sono emessi da PMI di cui al citato allegato I al regolamento n.
651/2014/UE; e) «fondo per il venture capital »: l’organismo di investimento
collettivo del risparmio, residente nel territorio dello Stato ai sensi
dell’art. 73 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, o in uno Stato membro
dell’Unione europea o in uno degli Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio
economico europeo, che destina almeno il 70 per cento dei capitali raccolti
in investimenti in favore di PMI ammissibili; f) «fondo di fondi per il
venture capital »: l’organismo di investimento collettivo del risparmio,
residente nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 73 del testo unico
delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica
22 dicembre 1986, n. 917, o in uno Stato membro dell’Unione europea o in uno
degli Stati aderenti all’accordo sullo Spazio economico europeo, che destina
l’intero patrimonio raccolto all’investimento in quote o azioni di fondi per
il venture capital di cui alla precedente lettera e) ; g) «investimenti per
il finanziamento del rischio»: gli investimenti in equity
e quasi-equity ; h) «investimento in equity »: il conferimento di capitale a un’impresa quale
corrispettivo di una quota del capitale di rischio dell’impresa anche
attraverso la sottoscrizione di strumenti finanziari partecipativi; i)
«investimento in quasi-equity »: un tipo di
finanziamento che si colloca tra e quity e debito e
ha un rischio più elevato del debito di primo rango ( senior ) e un rischio
inferiore rispetto al capitale primario ( common equity
), il cui rendimento per colui che lo detiene si basa principalmente sui
profitti o sulle perdite dell’impresa destinataria e non è garantito in caso
di cattivo andamento dell’impresa. Gli investimenti in quasi-equity possono essere strutturati come debito, non
garantito e subordinato, compreso il debito mezzanino e convertibile in equity o come capitale privilegiato ( preferred
equity ); l) «investitore privato indipendente»:
l’investitore privato che non è azionista dell’impresa ammissibile in cui
investe; m) «investimenti ulteriori»: gli investimenti supplementari per
finanziare il rischio di una società, realizzato in seguito a una o più serie
di investimenti per il finanziamento del rischio; n) «impresa collegata»: le
imprese fra le quali esiste una delle relazioni seguenti: i) un’impresa detiene
la maggioranza dei diritti di voto degli azionisti o soci di un’altra
impresa; ii) un’impresa ha il diritto di nominare o revocare la maggioranza
dei membri del consiglio di amministrazione, direzione o sorveglianza di
un’altra impresa; iii) un’impresa ha il diritto di esercitare un’influenza
dominante su un’altra impresa in virtù di un contratto concluso con
quest’ultima oppure in virtù di una clausola dello statuto di quest’ultima;
iv) un’impresa azionista o socia di un’altra impresa che controlla da sola,
in virtù di un Accordo stipulato con altri azionisti o soci dell’altra
impresa, la maggioranza dei diritti di voto degli azionisti o soci di
quest’ultima. Art. 2. Aiuti alle PMI erogati tramite sistemi multilaterali di negoziazione
e fondi per il venture capital 1. La quota del 70 per cento del valore
complessivo del piano di risparmio a lungo termine, disciplinato dall’art. 1,
commi da 100 a 114, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, costituito
dall’investitore privato indipendente, deve essere investita: a) per almeno
il 5 per cento del valore complessivo in strumenti finanziari, ammessi alle
negoziazioni sui sistemi multilaterali di negoziazione, emessi da PMI
ammissibili; b) per almeno il 5 per cento in quote o azioni di fondi per il
venture capital , o di fondi di fondi per il venture capital . 2. Al fine del
computo della quota del 5 per cento del valore complessivo degli investimenti
qualificati in strumenti finanziari ammessi alle negoziazioni sui sistemi
multilaterali di negoziazione emessi da PMI ammissibili, e della quota del 70
per cento dei capitali raccolti dai fondi per il venture capital
, si considerano ammissibili gli investimenti in equity
e quasi-equity . Art. 3. Limite agli
aiuti per il finanziamento del rischio 1. Ciascuna PMI emittente gli strumenti finanziari ammessi
alle negoziazioni sui sistemi multilaterali di negoziazione e ciascuna PMI i
cui strumenti finanziari sono oggetto di investimento da parte dei fondi per
il venture capital non può ricevere un ammontare complessivo di risorse
finanziarie a titolo di qualsiasi misura di aiuto per il finanziamento del
rischio superiore a 15 milioni di euro. Art. 4. Condizioni per l’accesso all’aiuto 1. I soggetti indicati al
comma 101 dell’art. 1 della legge 11 dicembre 2016, n. 232, presso i quali
sono costituiti i piani di risparmio a lungo termine di cui al presente
decreto, devono acquisire, dalle PMI emittenti gli strumenti finanziari
detenuti nei piani, una dichiarazione, sottoscritta dal legale rappresentante
dell’impresa, che attesti che la medesima PMI non ha ricevuto un ammontare
complessivo di risorse finanziarie a titolo di qualsiasi misura di aiuto per
il finanziamento del rischio superiore a 15 milioni di euro. 2. Nella
dichiarazione di cui al comma 1 deve risultare, altresì, che la PMI, al
momento dell’investimento iniziale: a) non è quotata; b) soddisfa una delle
seguenti condizioni: i) non ha operato in alcun mercato ii) opera in un
mercato qualsiasi da meno di sette anni dalla prima vendita commerciale; iii)
necessita di un investimento iniziale per il finanziamento del rischio che,
sulla base di un piano aziendale elaborato per il lancio di un nuovo prodotto
o l’ingresso su un nuovo mercato geografico, è superiore al 50 per cento del
suo fatturato medio annuo registrato negli ultimi cinque anni. 3. È possibile
effettuare investimenti ulteriori nelle imprese ammissibili, anche dopo il
periodo di sette anni di cui al comma 2, lettera b) ,
punto ii) , se sono soddisfatte le seguenti condizioni: a) non è superato
l’importo di cui al comma 1; b) il piano aziendale lo prevede; c) l’impresa
non è diventata collegata di un’altra impresa, ai sensi dell’art. 1, comma 1,
lettera n) , a meno che la nuova impresa risultante sia una PMI. 4. Ai fini
del presente articolo i soggetti di cui al comma 1 devono acquisire, al
momento dell’investimento iniziale, il piano aziendale della PMI oggetto di
investimento e, al momento di effettuare gli investimenti ulteriori, una
dichiarazione, sottoscritta dal legale rappresentante dell’impresa, che
attesti il rispetto delle condizioni di cui al comma 3, lettere a) e c) . 5. È possibile acquistare quote o azioni di una PMI
non quotata da un investitore precedente solo in combinazione con un apporto
di nuovo capitale pari almeno al 50 per cento dell’ammontare complessivo
dell’investimento. Art. 5. Condizioni per l’accesso all’aiuto tramite fondi per il venture
capital 1. Per gli investimenti in quote o azioni di fondi per il venture
capital , i soggetti indicati al comma 101 dell’art.
1 della legge 11 dicembre 2016, n. 232, presso i quali sono costituiti i
piani di risparmio a lungo termine di cui al presente decreto, devono
acquisire, dagli stessi fondi per il venture capital , una dichiarazione,
sottoscritta dal legale rappresentante, che attesta che il fondo medesimo
soddisfa i requisiti previsti dall’art. 1, comma 213, della legge 30 dicembre
2018, n. 145. 2. Per gli investimenti in quote o azioni di fondi di fondi per
il venture capital , i predetti soggetti presso i
quali sono costituiti i piani devono acquisire dagli stessi fondi di fondi
una dichiarazione, sottoscritta dal legale rappresentante, che attesti che il
fondo medesimo soddisfa i requisiti previsti dall’art. 1, comma 1, lettera f)
, del presente decreto. I medesimi fondi di fondi acquisiscono dai fondi per
il venture capital una dichiarazione, sottoscritta dal legale rappresentante,
che attesta che il fondo medesimo soddisfa i requisiti previsti dall’art. 1,
comma 213, della legge 30 dicembre 2018, n. 145. 3. I fondi per il venture capital
devono acquisire, dalle PMI oggetto di investimento, una dichiarazione,
sottoscritta dal legale rappresentante dell’impresa, che attesti che la
medesima PMI non ha ricevuto un ammontare complessivo di risorse finanziarie
a titolo di qualsiasi misura di aiuto per il finanziamento del rischio
superiore a 15 milioni di euro. 4. Nella dichiarazione di cui al comma 3 deve
risultare, altresì, che la PMI, al momento dell’investimento iniziale: a) non
è quotata; b) soddisfa una delle seguenti condizioni: i) non ha operato in
alcun mercato; ii) opera in un mercato qualsiasi da meno di sette anni dalla
prima vendita commerciale; iii) necessita di un investimento iniziale per il
finanziamento del rischio che, sulla base di un piano aziendale elaborato per
il lancio di un nuovo prodotto o l’ingresso su un nuovo mercato geografico, è
superiore al 50 per cento del suo fatturato medio annuo registrato negli
ultimi cinque anni. 5. I fondi per il venture capital possono investire nelle
PMI ammissibili, anche dopo il periodo di sette anni di cui al comma 4,
lettera b) , punto ii) , se il piano aziendale
iniziale lo prevede e se sono soddisfatte le seguenti condizioni: a) non è
superato l’importo di cui al comma 3; b) l’impresa non è diventata collegata
di un’altra impresa, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lettera n) , a meno che
la nuova impresa risultante sia una PMI. 6. Ai fini del presente articolo i
predetti fondi, al momento dell’investimento iniziale, devono acquisire il
piano aziendale dalla PMI oggetto di investimento e, al momento di effettuare
gli investimenti ulteriori, una dichiarazione, sottoscritta dal legale
rappresentante dell’impresa, che attesti il rispetto delle condizioni di cui
al comma 5, alle lettere a) e b) . 7. I fondi per il
venture capital possono acquistare quote o azioni di una PMI ammissibile da
un investitore precedente solo in combinazione con un apporto di nuovo
capitale pari almeno al 50 per cento dell’ammontare complessivo
dell’investimento. Art. 6. Monitoraggio degli effetti 1. Il Ministero dello sviluppo
economico, decorsi sei mesi dalla data di pubblicazione del presente decreto,
provvederà al monitoraggio degli effetti prodotti dalla misura di cui
all’art. 1, commi da 211 a 215, della legge 31 dicembre 2018, n. 145, sull’entità
della raccolta e sul numero delle negoziazioni, anche al fine di valutare
l’opportunità di interventi normativi ulteriori. Art. 7. Decorrenza 1. Le disposizioni di cui al
presente decreto si applicano ai piani di risparmio a lungo termine
costituiti a decorrere dal 1° gennaio 2019. Roma, 30 aprile 2019 Il Ministro dello sviluppo economico DI MAIO Il Ministro dell’economia e delle finanze TRIA |
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