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IRROGANTO di Mauro Novelli
ARCHIVIO DEL
DOSSIER “I COSTI DELLA POLITICA”
Dal DICEMBRE 2006 al 25 SETTEMBRE 2007
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all’Archivio Generale del Dossier
INDICE GENERALE INDICE
Il Corriere della
Sera 25-9-2007 «Costi Camera? Scenderanno nel 2008» La lettera di Gabriele
Albonetti, questore anziano della camera.
Carissimi Rizzo e
Stella, …. La replica. Tanto tempo
buttato via E ci vuole l'accetta, non la lima. Ringraziamo Gabriele Albonetti per il tono
cortese della sua replica.
Il Piccolo di Trieste 25-9-2007 Trieste La scala
mobile esiste ancora lLa scala mobile non è morta.
Il Giornale di Brescia 24-9-2007FINESTRA SUL MONDO
Il rigore e il senso di responsabilità pubblica fa parte della cultura
del Paese: l'apparato burocratico ridotto del 32% in 15 anni Costi della
politica: la Germania a dieta La Grande Cupola simbolo del nuovo Parlamento
di Berlino
(23-9-2007) Panorama 27-7-2007 Ma quale austerità: nel 2008
più soldi ai politici di
Roberto Ormanni
Un dossier di Confindustria accusa: "La politica
incapace costa troppo" di CARMELO LOPAPA
Libero 18-9-2007 Una nuova fondazione con poltrone per
gli amici di NATALIA ALBENSI
Il Giornale 14-9-2007 Gli aerei «blu» ci costano
180mila euro al giorno di Antonio Signorini -
L’Espresso 14-9-2007
1 - PORTE A PORTE… Emilio Fittipaldi e Marco Lillo
Il Secolo XIX 10-9-2007 Partiti, tassa da 226 milioni
Massimiliano Lenzi
L’Opinione 4-9-2007 Sprechi e dintorni La burocrazia
che ci meritiamo di Romano Bracalini
La Repubblica 28-8-2007 Napoli Un assessore ritira
incarichi per 5 milioni
L’Espresso 24-8-07 PRIMO PIANO CONSULENTI D'ORO di
Marco Lillo
Primadanoi.it 23-7-2007 Costi della politica, «2mila
euro per una firma poi me la squaglio»
Da cdt.ch 15-7-2007 COMMENTO – Italia Quali sono i veri
costi della politica? Piero Ostellino
La Repubblica 13-7-2007 l Consiglio dei ministri rinvia
l'approvazione alla prossima riunione previsti tagli agli enti locali,
riduzione di consulenti e consigli circoscrizionali Ecco il ddl sui costi
della politica Saranno risparmiati 500 milioni.I provvedimenti
per ora non riguardano Camera e Senato Trasparenza dei bilanci pubblici,
tutto sarà documentato sul web di CLAUDIA FUSANI
Da effedieffe.com 12-7-2007 LA RIFORMA CHE NON VOGLIONO FARE di
Maurizio Blondet
Il Campanile 11-7-2007
Costi della politica, interventi seri. Barbato: "Bisogna agire
sugli sprechi"
Il Meridiano.info 10-7-2007 I senatori andranno
sì in pensione ma solo alla fine della legislatura
Il Meridiano.info 10-7-2007 La Camera prevede aumenti
Il Centro 2-7-2007
Aptr, in giunta la manovra azzera tutto - Maurizio Piccinino
La Repubblica 4-6-2007 LINEA DI CONFINE MARIO PIRANI
- La Repubblica
1-6-2007 Interrogazioni contro Iorio, governatore del Molise. (g.
cap.).
L’Unità 1-6-2007 Gli impuniti Marco Travaglio
- La Stampa 28-5-2007
Montagna, oh cara... E ora arrivano i tagli
L’Unità 26-5-2007 Io, la casta e il Pd Gianni Cuperlo
Il Riformista 21-5-2007
Perché si materializzano i fantasmi del ’92
Da Altrenotizie.org 21-5-2007 IL SISTEMA CROLLA, LA
POLITICA ACCONSENTE di Sara Nicoli
L’Unità 19-5-2007 Raipolitik di Marco Travaglio
La Stampa 18-5-2007 "E' l'ora di tagliare i
costi". Degli altri Paolo Baroni
Italia Oggi 10-5-2007
Stipendi giù e salta Sviluppo Italia di Giampiero Di santo
Italia Oggi 10-5-2007 Quel parlamentone costa 1
miliardo di Stefano Sansonetti
L’Unità 9-5-2007
I costi della Politica Roberto Roscani
La Repubblica 6-5-2007 L'odio per i politici Pietro
Citati
Il Tempo 5-5-2007 Traffico di rifiuti, dieci arresti
Il Tirreno 21-4-2007 Troppi enti, troppi stipendi a
politici
Il Sole 24 Ore 19-4-2007 Un sistema frenato dai costi
della politica di Valerio Castronovo
L’Unità 19-4-2007 Di cosa vivono i partiti Paolo
Borioni
La Republlica 14-4-2007 Sicilia al top, qui gli
assessori guadagnano più dei ministri
L’Espresso 13-4-2007 PRIMO PIANO europeccati capitali
di Fabrizio Gatti
La Stampa 11-4-2007 NON SOLO POLITICI: ECCO I CASI PIU'
CLAMOROSI Quando lo Stato diventa Pantalone
La Repubblica 3-4-2007 Il vero costo della formazione
MARIO CENTORRINO
La Repubblica 28-3-2007 Tre italiani arrestati a
Bruxelles per corruzione in appalti Ue.
L’Unità 28-3-2007 I soldi e i partiti un'odissea democratica
Sergio Boccadutri*
Gazzetta del Sud 28-3-2007 Corruzione Ue, coinvolto
l'assistente di un eurodeputato italiano
AGI 27-3-2007 Gina Spallone, proprietaria di una
clinica privata romana, e' stata arrestata
La Padania 25-3-2007 PARLA FULVIO MARTUSCIELLO. «La
politica clientelare sta rovinando questa terra»
La Repubblica 24-3-2007
"Da Fininvest soldi al giudice Metta" Emilio Randacio Milano
Da Primadanoi 22-3-2007 Spese superflue. Pio
Rapagnà, il digiuno va avanti, l'indifferenza anche
Da La Stampa 18-3-2007
IL CASO Là dove fioriscono le tessere Antonella Rampino
Dal Corriere Economia 19-3-2007 Mani pulite, mani
globali. di Giulio Sapelli
La Stampa 17-3-2007 Parrini colpevole ecco tutti i perché Giulio Gavino
Il Messaggero Veneto 15-3-2007 Triete. De Anna: costi
troppo elevati, ridurre i consiglieri
Il Quotidiano.it 10-3-2007 Ascoli Piceno. Gruppo
AN:"Rossi predica bene ma razzola molto male"
La Stampa 12-3-2007 Vitalizi dei politici l'ennesimo
scandalo Guido Bodrato.
Da liberaliperlitalia.it 5-3-2007 Il costo della politica
Da Altrenotizie.org 6-3-2007 I WEBMOSTRI E I SOLDI PUBBLICI di mazzetta
Da Ilmeridiano.info (1-3-2007) La politica costa troppo
«Ora una riforma seria»
Da il meridiano.info (24-2-2007) Pdci: «Impuniti i casi di
mala-amministrazione dell’Asl»
Da La Stampa 18-2-2007 La truffa dell'ospedale
fantasma. Antonio Massari
Da teramonews.com 17-2-2007 Comunicazione: ma quanto mi
costi? Daniele Tempera
Da L’Espresso (16-2-2007) Suite con tangenti di P. Gomez e M. Lillo
Da aipsimed 11-2-2007 La sanità campana.
Sprechi, clientelismo, illegalità, inefficienza 119
Da primadinoi.it 5-2-2007 Acqua. La riforma degli enti:
«entro febbraio cancellati 2 Ato»
Da L’Espresso Le pensioni degli onorevoli (Att.ne: 2,2
MegaB)
Da La Stampa 25/1/2007 (8:4) - INCHIESTA Non fare nulla
può valere 750 mila euro RAPHAEL ZANOTTI
Da napoli.com (19-1-2007). Incredibile, una enoteca per
regalo di Mario Caruso ARCHIVIO 2006 DEL DOSSIER I COSTI
DELLA POLITICA |
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La Repubblica 25-9-2007 Palazzo Madama costa circa un miliardo Affitti e indennità, calze e corsi di lingua. Le 112 pagine del bilancio di previsione 2007 del Senato Nonostante gli sforzi, la camera alta aumenta del 2,77 per cento. Tagli fino al 75 per cento alle Commissioni di inchiesta. Ma restano 2 milioni e 800 mila per buvette e ristoranti. I questori: "Abbiamo mantenuto la spesa dentro il limite che ci eravamo posti, il 2,8%" di CLAUDIA FUSANI
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Sardegna parsimoniosa. Risparmiosa. Sobria. Non
è Sud profondo, scialacquatore di soldi pubblici, borbonico e
dissoluto. Siamo sardi, fate largo ai virtuosi. Non è questa
l'immagine e l'idea che gli altri italiani e noi stessi abbiamo dei nostri
costumi? Certo che lo è: distinti e distanti dai meridionali, come
sempre ci ritengono al Centro-Nord. E allora? Un falso clamoroso, la
verità è l'opposto. Uno scandaloso primato: incredibile da
credere, amaro ma doveroso da denunciare. |
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La politica sarda è la più dissipatrice,
spendacciona fino all'esagerazione: molto più, fatte le debite
proporzioni, di quelle siciliana e campana. Quasi da non credere ai propri
occhi e ai numeri. Premessa troppo lunga ma indispensabile per dar conto
di un'emozione negativa quando si credeva di averle viste tutte. Subito un
esempio. Il Consiglio regionale della Sardegna, per una popolazione di un
milione e 600 mila abitanti, 85 consiglieri e 160 dipendenti,
costerà nel 2007 quasi 103 milioni di euro. La Lombardia - la
regione più sviluppata, ricca e popolosa, con quasi nove milioni e
mezzo di abitanti, 90 consiglieri e 283 dipendenti - spenderà per il
suo Consiglio appena 71 milioni di euro: il 30 per cento in meno della
Sardegna. Semplicemente incredibile.
Dopo aver frugato per settimane nelle pieghe del
bilancio sardo, scoprendo e disvelando una realtà pazzesca, con
picchi vertiginosi (la buonuscita di 700 mila euro al segretario generale
andato in pensione), credevamo di aver toccato il fondo. Con una temeraria
convinzione: sarà dappertutto così, più o meno, il
costo della politica è altissimo ovunque: la Sardegna non può
essere il peggio, starà nell'aurea medianità e
mediocrità. E abbiamo deciso di confortare questa presunzione
andando a cercare, con fatica e decine di telefonate, fax ed email, il
riscontro nelle altre regioni. Dopo i primi accertamenti, si è pensato a un
errore. E giù altre verifiche. Fino a doversi arrendere a
un'evidenza oltraggiosa per il livello di reddito, le condizioni sociali,
l'economia disastrata dell'isola. Solo nella politica, nel costo del
Consiglio regionale, la Sardegna straccia tutte le altre regioni. Una
realtà sfuggita perfino alle lente ustoria di quanti (i senatori
Salvi e Villone in un libro-inchiesta micidiale, i giornalisti Gian Antonio
Stella e Sergio Rizzo che spopolano col loro bestseller “La casta”) hanno
scandagliato a 360 gradi il sottobosco della politica istituzionale e
partitica. Non hanno pensato di fare il raffronto realizzato da noi, con
risultati davvero sconvolgenti. Oggi lo proponiamo con le regioni del Nord
popoloso, sviluppato e produttivo. Nei prossimi giorni lo estenderemo alle
regioni del Centro-Sud e infine alle altre a statuto speciale come la
Sardegna. A ogni lombardo il Consiglio
costa 9 euro, ciascun sardo ne deve spendere 64 Ma è un dato assolutamente omogeneo: ogni
confronto vede la nostra assemblea largamente in testa nella disonorevole
corsa allo scialo, allo sperpero da nababbi di soldi pubblici in una terra
sottosviluppata. La comparazione con la Lombardia dice di tutto e di
peggio. Con una popolazione sei volte superiore a quella sarda, il suo
Consiglio spende due terzi del bilancio sardo: appunto 71 milioni contro i
nostri (scusate: i loro , di onorevoli e dipendenti) 103 milioni. Neanche
nove euro di costo per ogni lombardo, contro i 64 euro che il
“parlamentino” isolano costa annualmente a ciascuno di noi. Ma se questo è il paragone più eclatante,
rispetto al ricco Nord ci sono altri cinque esempi che propongono
un'immagine intollerabile della Sardegna povera, ma che offre ai propri
onorevoli trattamenti da sceicchi. Il Piemonte ha appena 63 consiglieri
(contro i nostri 85) con quattromilioni e passa di abitanti e 300
dipendenti (contro i nostri 160). Ebbene, il Consiglio regionale di Torino
costa appena 71 milioni di euro, 17 euro annui per ogni abitante.
L'opulento Veneto (oltre quattro milioni e mezzo di abitanti) ha appena 60
consiglieri e 150 dipendenti ma un bilancio consiliare di appena 50 milioni
di euro: meno della metà della Sardegna, con una “tassa” annua pro
capite di dieci euro per ogni residente. Vogliamo continuare? La ricca Emilia-Romagna (quattro
milioni e 151 mila abitanti, appena 50 consiglieri e 200 dipendenti) spende
40 milioni di euro all'anno, contro i 103 del Consiglio sardo. L'austera
Liguria, con un milione 609mila abitanti (come la Sardegna) ha limitato i
consiglieri a 40 e i dipendenti a meno di 130: spesa annuale, 28 milioni di
euro, appena il 36,7 per cento di quanto si spende nel palazzaccio
platinato di via Roma a Cagliari. Meno consiglieri, stesso
personale e spesa ridotta nel virtuoso Nord Sono cifre che si commentano da sole, gettando un
fascio di luce abbagliante sulla munificenza senza paragoni che la
Sardegna, con centinaia di migliaia di poveri e disoccupati, offre alla
propria impunita classe politica. Un'immagine devastante, insopportabile,
che muove allo sconforto e a una reazione furente contro un divario tanto
enorme quanto inaccettabile. Forse che a Milano, Torino, Genova, Venezia e
Bologna fare politica costa meno? E perché mai dobbiamo pagare tanto per un Consiglio
spesso al di sotto di ogni sospetto e decenza, di fronte all'efficienza,
alla serietà e operosità di altre assemblee regionali, che
hanno tutte meno (tranne Lombardia e Sicilia) e perfino la metà dei
nostri eletti? Il teatrino del vaniloquio, logorroico, nullafacente,
rissoso di via Roma, non è lontanamente paragonabile ai Consigli del
Nord. Eppure costa dal 30 per cento in più fino al doppio e al
triplo di quelli settentrionali. Ma non si sente una parola di autocritica, un atto per
riequilibrare una spesa astronomica rispetto agli altri. Anzi, chi la evoca
viene tacciato di qualunquismo, demagogia e scandalismo antipolitico. Chi
sono i veri qualunquisti che screditano il mandato parlamentare incassando
e facendo spendere il doppio e il triplo dei colleghi che, poniamo a
Bologna, da sempre hanno garantito ben altra efficienza e trasparenza
all'amministrazione pubblica? Non sono mancati e non mancano, sul versante del
governo, scandali e sprechi in Veneto e in Lombardia. Ma, vuoto per pieno,
la resa politica è infinitamente superiore a quella sarda, come il
rapporto spesa-beneficio dei Consigli. Che diranno oggi i nostri onorevoli,
l'imperturbabile presidente Spissu, i pasdaran improbabili moralisti
all'Artizzu e al Sanjust-Robespierre, i campioni della sinistra radicale e
della destra già incorruttibile ex missina? Davanti a un confronto
che dovrebbe indurli a vergognarsi e nascondersi, diranno ancora che non
sono ultraprivilegiati e costosissimi perfino di fronte ai colleghi
lombardi, veneti, emiliani? I consiglieri sardi pagano
meno tasse di tutti, rivalutando anche la Sicilia e la Campania Ora le carte e le cifre sono sul tavolo, le altre le
daremo nei prossimi giorni: ancora da soli. Servirebbe una battaglia morale
dei cittadini e degli altri e ben più potenti ma silenti organi
d'informazione: si limitano a riprendere i risultati delle nostre inchieste
senza alzare un dito per rilanciare, aprire un fronte di denuncia e d'attacco
e imporre una svolta moralizzatrice. Perché c'è ancora tanto da
portare alla luce. Lo faremo ancora con i nostri deboli mezzi, visto che
non vengono messi in campo quelli di chi ha ben altra potenza di fuoco. Ma la nostra battaglia si allarga, coinvolge un numero
crescente di lettori e cittadini giustamente indignati. E il passaparola ci
aiuta a suscitare una mobilitazione che dovrebbe essere generale.
Intollerabile l'accettazione rassegnata di troppi, il silenzio che a questo
punto diventa connivenza. Come sul fatto, documentato dal Sole24Ore , che la
media delle trattenute fiscali degli onorevoli sardi è la
metà di quella media nelle altre regioni. Ingrassano senza pudore e
si smarcano dal fisco che ad ogni contribuente a reddito fisso chiede fino
all'ultimo centesimo. Dopo questa e altre puntate, si vedrà che
dovremmo chiedere scusa ai politici di Napoli e Palermo, considerati sempre
dissipatori a man salva. Lo sono invece, e da Guinness dei primati, i
nostri. Altro che austeri, risparmiosi e virtuosi: sono uno scandalo
nazionale che tracimerà fuori della Sardegna. Ristabilendo una
verità da arrossire al cospetto degli altri italiani. da www.altravoce.net |
Dopo
le polemiche tra Ds e Margherita questa mattina l'esecutivo deciderà
di riformare radicalmente l'Ente Aptr, in giunta la manovra azzera tutto Costi
della politica, la scure di Del Turco sul Cda dell'Agenzia per il
turismo MAURIZIO PICCININO PESCARA. Una nuova decisione, a sorpresa,
segnerà il futuro dell'Aptr (Agenzia di promozione turistica). Oggi
nella giunta regionale, a cui parteciperà il presidente Ottaviano Del
Turco, sarà presentato un ordine del giorno che prevede l'azzeramento
del consiglio di amministrazione e la nomina di un solo direttore generale.
Il taglio riguarderà sette componenti del Cda e la poltrona del
presidente. La decisione è sorta dopo le polemiche scaturite tra
Margherita e Ds. I primi rivendicano la nomina di un componente nel Cda,
nella persona di Bruno Di Masci, mentre il vice presidente della giunta, il
diessino, Enrico Paolini, punta sulla "mini riforma", con la
riduzione dei componenti del Cda e il risparmio di 162 mila euro l'anno.
Nell'ultimo Consiglio regionale, complice anche la mancanza del numero
legale, la mini riforma è saltata ma, nel contempo, il presidente del
Consiglio, Marino Roselli ha dato il via libera alla nomina di Di Masci,
(settimo componente nel Cda) rivendicando alla Margherita quel posto. Negli
ambienti della presidenza della giunta, invece, è emersa la
volontà di dare un taglio netto a tutto: ai costi e al Cda. Il
presidente Del Turco, infatti, ha seguito la vicenda, in particolare le
decisioni della Margherita e di Roselli, con una certa irritazione, ed abbia
sollecitato il provvedimento azzera tutto. La riforma è stata scritta
da Lamberto Quarta, responsabile della segreteria politica di Del
Turco. L'Odg, infatti, che questa mattina sarà sul tavolo della giunta
segue il progetto di riforma degli enti regionali. In particolare degli enti
più grandi come le Agenzie regionali e le Società per azioni.
L'Aptr che rientra nel novero delle agenzie, dovrà essere gestita da
un direttore generale. Solo in alcuni casi il direttore generale potrà
essere affiancato un direttore tecnico e uno amministrativo. Sarà
comunque abolito il Cda e il colleggio sindacale che verrà sostituito
da un revisore unico dei conti. Per le Spa, ossia per le aziende di
trasporto: Arpa, Gtm e Sangritana; sarà fissato un altro criterio: il
numero del Cda oscillerà da tre a cinque e sarà deciso in base
al fatturato. Oggi quindi gli assessori di centrosinistra si troveranno di
fronte un ordine del giorno che rimette in discussione il ruolo degli enti
regionali. Poltrone pubbliche spesso usate dai partiti per creare
carrozzoni e sistemare esponenti politici non eletti. L'ultima parola
spetterà agli assessori che avranno 90 giorni di tempo per allestire
una legge di riforma delle agenzie delle Spa. Sull'Aptr si registra anche una
spaccatura nella Margherita, il consigliere regionale Antonio Verini, si
schiera con Paolini e giudica un errore l'aver rinviato la riforma.
"Sono per l'approvazione immediata della legge di riforma dell'Aptr,
perché non possiamo predicare tanto e poi non dare attuazione alle
cose", commenta Verini, "e questo dei costi della politica
è un problema serio". Verini è anche contro la decisione
di Roselli. "Roselli ha sbagliato a fare la nomina", osserva
anccora Verini, "dopo sei mesi e mezzo dalle dimissioni di Carlo
Costantini dalla presidenza dell'Aptr non c'era proprio la necessità
d'urgenza per nominare un sostituto. Il 10 luglio invece bisognerà
andare in aula con la massima determinazione e approvare la riforma".
INDICE GENNAIO- GIUGNO
2007
La
Repubblica 28-3-2007 Tre italiani arrestati a Bruxelles per corruzione in
appalti Ue.
L’Unità
28-3-2007 I soldi e i partiti un'odissea
democratica Sergio Boccadutri*
La Repubblica
28-3-2007 La proposta del professore per ridurre i costi della politica: basta
eliminare i doppioni Giunta, la ricetta di Vandelli "Via gli assessori
inutili"
Gazzetta
del Sud 28-3-2007 Corruzione Ue, coinvolto l'assistente di un eurodeputato
italiano
AGI
27-3-2007 Gina Spallone, proprietaria di una clinica privata romana, e' stata
arrestata
La Padania 25-3-2007 PARLA FULVIO MARTUSCIELLO. «La politica clientelare sta rovinando questa terra»
La
Repubblica 24-3-2007 "Da Fininvest
soldi al giudice Metta" Emilio Randacio Milano
Da
Primadanoi 22-3-2007 Spese superflue. Pio Rapagnà, il digiuno va avanti,
l'indifferenza anche
Da La Stampa
18-3-2007 IL CASO Là dove
fioriscono le tessere Antonella Rampino
Dal Corriere Economia 19-3-2007 Mani pulite, mani globali. di Giulio Sapelli
La
Stampa 17-3-2007 Parrini colpevole ecco tutti i perché Giulio Gavino
15-3-2007 RaiTre Pane e politica 1^. Di Riccardo Iacona.
Il video
Il Messaggero Veneto 15-3-2007 Triete. De Anna: costi troppo elevati, ridurre i consiglieri
Il
Tirreno 14-3-2007 Tangenti e truffa ai danni della Ue a giudizio ex
eurodeputato Paolo Bartolozzi (Forza Italia): "Estraneo a tutto"
Megachip.info
12-3-2007 I parlamentari italiani sono i più pagati d'Europa - di
Elisabetta Povoledo, da International Herald Tribune - traduzione per Megachip
di Eleonora Iacono
Primonumero.it
12-3-2007 Sanità tra vizi e sprechi/2 Due capi per il reparto fantasma
di Monica Vignale
Il
Quotidiano.it 10-3-2007 Ascoli Piceno. Gruppo AN:"Rossi predica bene ma
razzola molto male"
La
Stampa 12-3-2007 Vitalizi dei politici l'ennesimo scandalo Guido Bodrato.
La Stampa 10-3-2007
Regione Val D’aosta. Bocciata la mozione dell'Arcobaleno "No" dei
consiglieri regionali all'autoriduzione di stipendio. Alessandro Camera
Da liberaliperlitalia.it
5-3-2007 Il costo della
politica
Da
Altrenotizie.org 6-3-2007 I WEBMOSTRI E
I SOLDI PUBBLICI di mazzetta
Da Ilmeridiano.info (1-3-2007) La politica costa troppo«Ora una riforma
seria»
Da il meridiano.info
(24-2-2007) Pdci: «Impuniti i casi di
mala-amministrazione dell’Asl»
Da La Stampa
18-2-2007 La truffa dell'ospedale fantasma. Antonio Massari
Da teramonews.com 17-2-2007 Comunicazione: ma quanto mi
costi? Daniele Tempera
Da L’Espresso
16-2-2007 Suite con tangenti di P. Gomez
e M. Lillo
Da aipsimed 11-2-2007
La sanità campana. Sprechi, clientelismo, illegalità,
inefficienza
Da caserta24ore.it 6-2-2007
Il commento: i parlamentari si crogiolano nelle loro pensioni d’oro
Da primadinoi.it
5-2-2007 Acqua. La riforma degli enti: «entro febbraio cancellati 2 Ato»
Da
altromolise.it (3-2-2007) Leva: 'Sottosegretario, una spesa in più che
non serve al Molise'
Da L’espresso Le pensioni degli onorevoli (Att: 2,2 MegaB)
Da La
Stampa 26-1-2007. I costi della politica torinese 34 milioni 150 mila! Di Tropeano, Mondo,
Borghesan, Minucci
Da provincialatina.tv 28-1-2007 La Cisl chiede la mutazione
degli assetti aziendali contro la crisi."La Multiservizi diventi Spa"
Da bologna2000.com (27.1.2007) Modena: una 'nuova' Provincia
con la carta delle autonomie
Da La Stampa 25/1/2007 (8:4) -
INCHIESTA Non fare nulla può valere 750 mila euro Raphael Zanotti
Da napoli.com (19-1-2007). Incredibile, una enoteca per regalo di Mario Caruso
Da
ilmeridiano.info 13-1-2007 “Bazar
ministeriali”, interrogazione di Costa
9-1-2007 Confartigianato UAPI denuncia: Nuovi oneri
burocratici per le imprese
Da
primadinoi.it 9-1-2007 Che fine ha fatto la questione morale?
Etica
e politica : il comma Fuda e il commento di Mastella di Alessandro Balducci
Da
epistemes.org 8-1-2007 Aboliamo i sussidi ai quotidiani italiani
Da
altromolise (2-1-2007) Le bugie del centrodestra hanno le gambe corte di
GIUSEPPE ASTORE*
INDICE 2006
Da adnkronos.com
(30-12-06) Calabria, commissioni sul tartufo:
scoppia la polemica
Regalo per l'Ulivo e i Consumatori. Pagano i piemontesi:
300 mila euro Di Maurizio Tropeano
(POL) Villone (Ds): Chi non vuol ridurre i costi della
politica?
Sanità, è di scena la vergogna di Mario Caruso
Imprese: per il 66,7% ricetta governo su sprechi non
funziona
La Confapi non ci sta: «La politica rilanci il binomio
Energia-Sviluppo»
La Regione aumenta Irap e Irpef, bagarre in Assemblea
Sen. Claudio Grassi: “Potremmo far mancare la maggioranza
al Senato. E poi sugli inceneritori..."
I prefetti ad Amato: vanno ridotti i costi della politica
Province addio, al via le città metropolitane
La Regione taglia gli stipendi
La politica in Abruzzo si deve "ripulire"
Pesca miracolosa - a cura di Paolo Forcellini
Ainis: la politica costa troppo ma l’illegalità
è nella società
Da Vivi Enna – 11-12-2006 - La Favola di Enna
Viterbo - Provincia : Politica. Bigiotti (Udc) :
"Troppi soldi sprecati alla Provincia"
Enti regionali, giro di vite su costi e dirigenti – di Berardino Santilli
Regione, tagli a geometria variabile - di Antonella
Aldrighetti -
Il Cavaliere, la piazza e il governo di LUCA RICOLFI
Da www.lamescolanza.com 4-12-2006 L'Espresso 1-12-06 - La
giungla dei privilegi
- La Stampa 28-5-2007 Montagna, oh
cara... E ora arrivano i tagli
INCHIESTA SUI
COSTI DELLA POLITICA Lo scandalo delle
comunità al livello del mare convince tutti a cambiare. Sono troppi i
355 centri di potere locale, costano 72 milioni l 'anno PAOLO BARONI IL caso di
Palagiano e della Murgia Tarantina, la comunità montana pugliese che
sta praticamente al livello del mare e conta cinque Comuni «non montani» su
nove e ha dato il «là» al pamphlet di Sergio Rizzo e Gianantonio
Stella sugli sprechi della politica, è stata la goccia che ha fatto
traboccare il vaso. La riconferma che non si può più andare
avanti così: troppe le 335 comunità montane, troppi enti
inutili, troppe poltrone e troppe spese a fronte di pochi (per non dire
nulli) vantaggi per i cittadini. Da tempo sotto osservazione, attaccate e
criticate da ogni parte come summa massima dello spreco e della
mala-amministrazione all’italiana, per le Comunità montane è
arrivata l’ora della verità. «Che sia scoppiato questo “scandalo”
forse è un bene - ammette il presidente dell’Uncem, l’Unione delle
comunità montane,il Dl Enrico Borghi - perché ci consente di uscire
dal cono d’ombra e affrontare la questione. Ma attenti a scadere nel
giacobinismo, a cercare capri espiatori. I costi della politica sono
oggettivamente esorbitanti, sono convinto che vadano ridotti. Ma non in
questo modo». |
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ricorso. |
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Da napoli.com (19-1-2007). Incredibile, una enoteca per regalo di Mario CarusoCi sono giornalisti che collaborano con
le Asl ? Ci sono medici che pagati dalle Asl vengono smistati all’assessorato
della Sanità? Vi sono altre clientele? Una sola risposta: “Tirate
fuori i bilanci”. Da ifatti.com 18-1-2007. Gettonopoli"
napoletana, Capodanno: «Cinque milioni di euro per presidenti, assessori e
consiglieri delle inutili Municipalità»
Napoli
(AnDiFi) - "Gettonopoli", così è stata denominata
l'indagine che vede inquisiti consiglieri comunali e circoscrizionali di
Napoli della passata consiliatura. Sul tema interviene Gennaro Capodanno,
presidente del Comitato Valori Collinari di Napoli, che da alcuni anni si
batte per la buona amministrazione e per il ritorno alla Politica con la p
maiuscola. Quella fatta con passione e nell'interesse degli amministrati. Cioè
i cittadini. Capodanno insiste anche sull'inutilità delle
Municipalità del Comune di Napoli, guidato dalla sindaca Rosa
Iervolino Russo, che - a suo avviso - rappresentano un ennesimo spreco di
denaro pubblico. Da
ilmeridiano.info 13-1-2007 “Bazar
ministeriali”, interrogazione di Costa Roma Buon sangue non mente. Tale padre,
tale figlio. Ricordate l’ex-ministro della sanità, il liberale
Raffaele Costa, fustigatore degli sprechi statali (ha scritto anche un libro
in proposito)? Oggi vive nella sua Cuneo (è il Presidente della
Provincia) ed ha lasciato il “testimone” romano al figlio Enrico. Poteva il
giovane Enrico lasciare l’Ufficio di Presidenza della Regione Piemonte e
finire nell’anonimato della politica di Montecitorio? Nemmeno per idea. Dopo
essersi ambientato nelle sale ovattate del Parlamento, lavorando nell’ombra,
ha incominciato ad indagare sui “bazar” improvvisati nei vari ministeri dove
si può comprare di tutto ovviamente in orario di ufficio. «Pensate solo
se in un Municipio italiano – esordisce Enrico Costa (Forza Italia) – alcune
stanze fossero adibite a negozietti o mercatini, dove nel corso
dell’orario di lavoro, i dipendenti comunali potessero fare la spesa. Cosa
accadrebbe? Il Sindaco dovrebbe come minimo rassegnare le dimissioni. Nei
ministeri, invece, non accade nulla». Nei “bazar ministeriali” avviene la
compra-vendita di prodotti di vario genere (scarpe, vestiti, bigiotteria,
profumeria e cosmesi, benessere del corpo, sino alla biancheria intima,alle
stoviglie e in alcuni casi, anche generi alimentari). Costa, visto l’andazzo,
ha preso carta e penna ed ha presentato un’interrogazione scritta al
Presidente del Consiglio «per sapere cosa intenda fare di fronte a questa
realtà ormai inaccettabile». Dalle informazioni raccolte, che hanno
trovato fondamento, è emerso che i ministeri che ospitano spazi
commerciali, sono parecchi: Riforma e Innovazione nella Pubblica
Amministrazione, Sviluppo Economico, Beni e Attività Culturali, Politiche
Agricole, Pubblica Istruzione, Università e Ricerca, Economia e
Finanze, Lavoro e Previdenza Sociale, Salute. Insomma un grande ipermercato
ministeriale! «Si tratta di veri e propri negozi – prosegue il parlamentare
piemontese – riservati ai dipendenti che vi accedono senza neppure segnalare
l’allontanamento dall’ufficio, in orario di lavoro». Ogni giorno i
commercianti si alternano all’interno dei vari ministeri, secondo un
calendario a rotazione. Per esporre e vendere la merce, occorre essere
iscritti alla Camera di Commercio o possedere la partita iva, presentare
richiesta ai responsabili dei Cral (i centri ricreativi ministeriali) e se la
mrce è considerata interessante, attendere il proprio turno nelle
liste di attesa. In alcuni casi, i commercianti, sono tenuti ad un pagamento,
a titolo di contributo al dopolavoro, di una quota giornaliera che varia dai
16 ai 31 euro per l’occupazione dello “spazio espositivo-commerciale”. La mia
interrogazione – conferma Enrico Costa – oltre a sollecitare il Presidente
del Consiglio a porre fine a questa inaccettabile abitudine, va oltre. Quali
sono gli accordi sindacali che permettono agli impiegati di lasciare il posto
di lavoro per fare acquisti? I cittadini già tartassati dalla
Finanziaria, non capiscono, non accettano e non tollerano»!
9-1-2007
Confartigianato UAPI denuncia: Nuovi oneri burocratici per le imprese ASCOLI PICENO - Il Decreto Visco-Bersani
costa alle aziende 740 milioni nel 2007.
martedì 09 gennaio 2007, ore
19:03 Da
primadinoi.it 9-1-2007 Che fine ha fatto la questione morale? Inviato da Redazione
ABRUZZO. «Il 2006 ci lascia un’immagine di un Abruzzo che fatica ad uscire
dal guado dove si è cacciato e dove rischia di impantanarsi. Ha
difficoltà a raggiungere l’altra sponda e riprendere con vigore la
strada dello sviluppo stabile e duraturo, attento alle mutate esigenze
sociali della comunità regionale, agli effetti della globalizzazione
sulla nostra economia e alle responsabilità derivanti dal Federalismo
che delega compiti e funzioni alla Regione, ma che richiede capacità
di gestione e progettualità». Da osservatoriosullalegalità.org 8-1-2007 Etica e politica : il comma Fuda e il
commento di Mastella di Alessandro Calducci
Certi ministri della Repubblica
dovrebbero riflettere un po' prima di rilasciare dichiarazioni: le
conseguenze delle loro parole non sono paragonabili alle conseguenze che
seguono i discorsi da bar fatti dai comuni cittadini. Mi voglio riferire alle incredibili
frasi del ministro Mastella (1) sulla difesa del comma Fuda sulla prescrizione
dei reati contabili. Se il Guardasigilli - che avrebbe il compito di
assicurare il buon funzionamento della macchina giudiziaria e di essere in
primo luogo esempio di corretto comportamento di fronte ai cittadini - si
mette a difendere gli amministratori locali colpevoli di reati contro la
pubblica amministrazione, allora forse occorre rinfrescare la memoria. Nei soli anni '80 i costi diretti delle
tangenti sono stati stimati in "15 mila miliardi l'anno con una
incidenza sul PIL dell'1% e dell'8,9% sul deficit di bilancio. Somma che
corrisponde al doppio degli utili realizzati nel 1992 dalle aziende italiane.
A questo costo bisogna aggiungere i costi indiretti: migliaia di opere
pubbliche inutili, costruite con materiali scadenti, inutilizzate; distruzione
del territorio; inquinamento della pubblica amministrazione. Nel 1996 i dipendenti pubblici inquisiti
erano il 3% del totale e cioè 90 mila circa, dei quali, metà
per corruzione" (fonte: democrazialegalita, 28.11.2004). Poiche' non
abbiamo motivo di ritenere che nel frattempo i governi succedutisi - dagli
anni di tangentopoli ad oggi - abbiano approntato quelle misure necessarie a
prevenire, o quantomeno a limitare, lo spreco delle risorse costituito dalla
mala amministrazione del denaro pubblico e dalla corruzione, c'e' da credere
che la situazione attuale sia paragonabile a quella pre-tangentopoli se non
addirittura peggiorata. Questo significa che mentre il governo
(di cui anche Mastella fa parte... o se ne e' scordato?) appronta una serie
di misure impopolari e in qualche caso discutibili per far fronte alle
esigenze improcrastinabili di risanamento del bilancio, dall'altra si
permette che decine o centinaia di amministratori locali sperperino i soldi
pubblici provenienti dalla tassazione. Non solo: si pretende anche che, una
volta scoperti con le mani nel sacco, sia garantita loro l'impunita'! Scriveva nel 2002 (decennale di Mani
Pulite) Giuseppe D'Avanzo su Repubblica: "Non si può rievocare il
decennio senza indicare le responsabilità della Politica sopravvissuta
a (o nata da) Mani Pulite. Sarebbe stato primo compito della Politica, dopo
gli anni del lavacro, rilegittimare se stessa e le istituzioni pubbliche con
un sistema di riforme capaci di prevenire la corruzione. A rileggere queste cose scritte 5 anni
fa, viene spontaneo chiedersi perche', invece di difendere i disonesti, il ministro
in questione, insieme ai suoi colleghi, non inizi a fare almeno una parte
delle cose descritte sopra. Perseguire il risanamento dei conti pubblici e'
una missione doverosa, non solo per gli impegni presi nei confronti degli
altri paesi europei, ma anche per assicurare un avvenire alle future
generazioni. Una missione che richiede pero' un
comportamento da parte della classe politica che sia all'altezza del compito
che si e' prefissa di portare avanti. Altrimenti si rischia di perdere
credibilita' e di gettare nella sfiducia gli stessi cittadini che vengono
chiamati a contribuire al risanamento. (1) "Basta criminalizzare il comma
Fuda". Pietro Fuda... "ha ideato questo comma solo per evitare una
via crucis a tanti amministratori locali, cosa che ho anche tentato di
spiegare a Prodi. Ma oramai si era scatenata la gazzarra su Fuda, visto come
il diavolo tentatore e diventato famoso per una cosa che infame non
è"... ed e' "il vendicatore di tanti amministratori pubblici
costretti da una legge iniqua a non beneficiare di una prescrizione per un
reato contabile. I ladri sì e i sindaci no! Cose da pazzi. Tantissimi
amministratori pubblici ci chiedono il riequilibrio di questa ingiustizia.
Non si può essere rei a vita". Da epistemes.org 8-1-2007 Aboliamo i
sussidi ai quotidiani italiani January
8th, 2007 by editor di
Andrea Gilli L’Italia è un paese di profonde
contraddizioni. La sua carta stampata non fa eccezione. I giornali italiani
vengono letti da poche persone. E quelle poche, nel tempo, diminuiscono.
Dunque, agli italiani i giornali piacciono poco, e, soprattutto, piacciono
sempre meno: prova ne sia il fatto che il numero di copie vendute è in
rapida discesa. Ciò significa, in altri termini,
che i privati cittadini sono sempre meno disposti a spendere i loro soldi per
comprare un prodotto che, per varie ragioni, non è di loro gradimento.
In un Paese normale, con una normale economia di mercato, si assisterebbe ad
un processo di ristrutturazione interna del settore. Alcuni giornali
chiuderebbero, altri si fonderebbero, altri ancora si trasformerebbero, con
il risultato finale che agli italiani verrebbe offerto un prodotto di loro
gradimento, e che quindi rinizierebbero a comprare. Questo, appunto, in un Paese normale.
Non nel nostro, dove, invece, nonostante la disaffezione verso la carta
stampata, i quotidiani continuano a restare uguali a se stessi anche se la
gente non li acquista. Infatti, proprio dove i consumatori (o gli introiti
pubblicitari, che sono proporzionati alla diffusione dei giornali) si
fermano, arrivano i sussidi statali. I quotidiani italiani sono infatti
(tutti) sussidiati dallo Stato (caso probabilmente unico nel mondo
civilizzato). In altre parole, i soldi che i giornali non riescono a
raccogliere tramite la vendita delle singole edizioni o degli spazi
pubblicitari, vengono loro offerti dalla classe politica. Gli effetti di questo sistema sono, come
appare ovvio di primo acchito, nefasti. Di qui, a nostro giudizio, la
necessità di abolire i sussidi alla carta stampata italiana, senza
alcuna eccezione. Il suo finanziamento pubblico permette infatti il
mantenimento in vita di un prodotto che i lettori non apprezzano; la
costruzione di un rapporto simbiotico tra stampa e politica; e, infine, lo
sviluppo di ripercussioni negative sul dibattito politico culturale italiano
e quindi più in generale, sulla politica italiana. Un servizio che è considerato non
all’altezza del suo prezzo. Che la qualità media dei
quotidiani italiani sia bassa, molto bassa, è cosa assai risaputa.
Chiunque sfogli le maggiori testate (ma anche le minori) se ne rende
facilmente conto. Le analisi proposte sono spesso di scarso livello, poco
ingegnose e molto ideologiche. I resoconti sono scarni e soprattutto, unico
caso al mondo, il giornalismo italiano sembra essere rivolto più ai
giornalisti che al pubblico. Non si riesce altrimenti a spiegare (tanto per fare
un esempio) la frequente propensione dei giornalisti a riportare i dibattiti
che avvengono sugli altri fogli (qualcuno si immagina il New York Times
riportare ripetutamente le diatribe che avvengono sul Washingon Post?). Eppure, come detto, malgrado il trend
decrescente delle vendite, i quotidiani italiani non cambiano: essi rimangono
passivi di fronte a questo trend (salvo l’introduzione del formato “a colori”
da parte di alcuni di loro; e l’aumento sproporzionato di allegati, libri,
enciclopedie, santini). E addirittura qualcuno va fiero dell’attuale sistema
(Giuliano Ferrara - ma non è il solo, purtroppo - alcuni mesi fa
giustificò i contributi pubblici al suo quotidiano con il fatto che
quest’ultimo alimenterebbe il dibattito pubblico italiano. Nessuno ha mai
informato Ferrara che il compito dello Stato non e’ quello di alimentare un
dibattito pubblico - quello spetta ai privati cittadini - ma più
semplicemente quello di fornire beni pubblici?). Il ruolo della politica Il giornalismo italiano non è solo
rivolto a se stesso, ma è anche fortemente legato al mondo della
politica. Come è evidente, se la politica sussidia i quotidiani,
questi finiscono per avere tanti piccoli clienti senza voce (i lettori) e un
lettore importante che nei loro confronti gode quasi di un potere monopsonico
(la politica, appunto). Le conseguenze sono evidenti: in primo
luogo vi è una certa timidezza della carta stampata verso la classe
politica. Ma ancora più importante è il rapporto simbiotico che
si sviluppa con quest’ultima, tant’è che, mentre negli Stati Uniti si
passa per la Columbia School of Journalism per andare al Washington Post, in
Italia si passa dalle stanze del Parlamento per finire nelle redazioni dei
giornali (anche per via dell’esistenza di testate politiche che di fatto,
grazie ai sussidi pubblici, rappresentano primari canali di informazione:
anche questo è un caso abbastanza anomalo se si eccettua la Cina). Non è un caso, d’altronde, che
una quota rilevante dei nostri giornalisti abbia un passato da politico, e
che una quota altrettanto rilevante dei nostri politici abbia un passato da
giornalista. Tra i molteplici dubbi che possono
sorgere da questo sistema, vogliamo rivolgere la nostra attenzione verso
quello che a noi pare chiaramente un mercimonio tra politica e quotidiani: da
una parte, la politica inonda le casse della carta stampata italiana,
dall’altra pretende un’influenza nella loro conduzione. Alcune volte in modo
palese (si ricorderà l’ambigua e ancora oscura uscita di scena di
Ferruccio De Bortoli da Direttore del Corriere della Sera), ma molto
più spesso (e in maniera più subdola) in modo meno palese,
infiltrando alcuni dei suoi adepti nel mondo del giornalismo - obiettivo
facilitato dall’esistenza dei giornali di partito di cui sopra. Da ciò
risulta dunque una classe giornalistica molto spesso ideologizzata e attenta
più agli interessi dei propri sponsor che ai fatti - con un
conseguente abbassamento generale della qualità della carta stampata. La politica guadagna così un
giornalismo meno aggressivo, e soprattutto degli ottimi insider nel mondo
dell’informazione che lavorano più per aiutare i loro sponsor che per
acquisire notizie e compiere analisi. Si pensi per esempio al famigerato
“buco di bilancio” che il governo di centro-sinistra avrebbe lasciato nel A proposito viene solo da chiedersi a
cosa serva l’Ordine del giornalisti e soprattutto quali sarebbero le garanzie
di professionalità e serietà che esso dovrebbe assicurare. Senza entrare nel contesto delle
drammatiche inefficienze economiche che questo sistema di sussidi produce sul
sistema economico italiano (quello stesso sistema economico italiano che i
quotidiani italiani vogliono contribuire, con i loro editoriali, a
rinnovare), possiamo facilmente affermare che da questa situazione deriva un
abbassamento della qualità del dibattito politico italiano. In primo
luogo, come detto, si ha un giornalismo chiuso e autoreferenziale e che
scrive per se stesso. Questo stesso giornalismo, inoltre, è in buona
parte composto di gente impreparata o comunque non rintracciabile tra i
“migliori” (vedi quanto si diceva prima sulla Columbia School of Journalism).
Infine, si ha una politica che sa di avere un certo controllo sulla carta
stampata, una sorta di potere di deterrenza nei suoi confronti, e che quindi
si sente molto più legittimata ad agire come ha sempre agito (male)
piuttosto che obbligata ad essere responsabile e lungimirante (una stampa
seria dovrebbe costringerla, invece, ad agire in questa maniera). Insomma, i sussidi ai quotidiani hanno
delle conseguenze nefaste sull’economia del Paese, sulla qualità del
dibattito politico italiano e su quella della politica. I sussidi, secondo noi, andrebbero dunque
eliminati, in modo che sia il mercato a determinare la qualità e i
volumi dell’offerta giornalistica. Avremmo in questa maniera un mercato
meritocratico del lavoro giornalistico: mercato che attualmente non esiste.
Avremmo un significativo risparmio di risorse, e, soprattutto avremmo un
dibattito politico degno di un Paese del G8 e non di un Paese appena uscito
da una guerra etnica. Poichè è la politica che
decide l’elargizione di questi sussidi, e poichè è essa che
trae i principali benefici da questo sistema di prebende, dubitiamo che
questa abolizione possa realmente avvenire, almeno in tempi rapidi. Non per questo motivo, però, il
tema non è meritorio di attenzione, soprattutto in ragione dei
continui richiami al taglio agli “sprechi” che però, puntualmente, non
arrivano. Da ilTempo.it (3-1-2007) Il deficit sanitario per i Diesse causa
aumenti dei tributi di ALDO CIARAMELLA Mobilità dei cittadini e la
proposizione di un progetto alternativo di semplificazione e di efficienza
all’interno di un efficiente riordino istituzionale. I rappresentanti dei
Democratici di sinistra cavalcano la valanga della protesta dopo
l’approvazione della proposta di legge sulle misure di contenimento della
spesa pubblica regionale e sugli aumenti dei tributi ficcando dita pungenti
nella piaga del provvedimento e denunciando soprattutto, senza risparmiare
alcuno, le ragioni che hanno portato all’adozione dell’inasprimento fiscale.
Ieri mattina il sen. Massa, i due consiglieri regionali Petraroia e Leva e il
segretario della direzione provinciale dei Campobasso Donato Pozzuto hanno
sottolineato tutti i passaggi di una «stagione di sprechi e di sperperi del
governo Iorio che hanno contribuito alla formulazione e quindi
all’approvazione della legge sul rincaro di alcuni beni e consumi e di
aliquote». Gli esponenti dei Diesse e soprattutto il sen. Massa ha tenuto a
sottolineare che «è falso legare gli aumenti alla Finanziaria
nazionale, è corretto e onesto dire, invece, che gli aumenti sono
stati necessari per il deficit regionale accumulato in particolare nella
sanità». I consiglieri regionali Leva e Petraroia hanno sottolineato
come la Regione manchi di un riordino complessivo istituzionale che riporti
equlibrio finanzario e quindi un ridimensionamento obbligatorio dell’apparato
amministrativo e politico e come gli avvertimenti a Iorio e al suo governo
risalgano a prima delle elezioni a quando il governo Berlusconi
avvertì il Molise affinchè si rimettesse in carreggiata con i
conti soprattutto nel dimagrimento dei conti nella sanità per arrivare
tranquillo alla perequazione delle risorse del fondo sanitario nazionale. I
rincari dei tributi secondo i Diesse sono stati causati dalle «spese
eccessive nella sanità e dal costo della politica diventati
insostenibili e sempre in aumento per una serie di costi a consulenti
assunzioni e sprechi di ogni genere». Da Altromolise.it 2-1-2007 Le bugie del centrodestra hanno le gambe corte di
GIUSEPPE ASTORE* 2007-01-02 03:14:23 - Michele Iorio, forte del consenso
elettorale, può difendere allo stremo il suo modo di amministrare
spregiudicato, clientelare, dissipatore di risorse. Non si può accettare, invece, la
maniera subdola, scorretta moralmente e politicamente, furbesca e menzognera
di addebitare le sue scelte in materia fiscale allo Stato ed in particolare
al governo Prodi. Veniamo fuori da un quinquennio che la storia di questa
regione dovrà cancellare per indegnità, dove Michele Iorio e la
sua corte non si sono fatti mancare niente: viaggi intorno al mondo, centinaia
di consulenti super pagati, macchine blu da 170 mila euro, costi della
politica alle stelle, macchina burocratica sovra dimensionata per le nostre
esigenze, appalti di servizi inutili e pagati a peso d’oro di cui diremo nei
prossimi giorni, spesa sanitaria impazzita per accontentare parenti e amici
anche di Iorio, finanziamenti di iniziative inutili in America (200 mila euro
per la serata del Niaf ) e in Italia (200 euro per la mostra Convivio del
marito di Daniela Santanchè), assunzioni a gogo negli enti sub regionali,
finanziamenti di avventurosi progetti come la facoltà di medicina.
L’elenco, la cui lunghezza si può immaginare, da l’idea di come si
sono dissipati e si vuole continuare a dissipare i soldi dei molisani e
quelli della solidarietà nazionale, senza ottenere il fine pubblico:
lo sviluppo del Molise. La stangata fiscale parte da lontano. E’ scritta
nella relazione programmatica di insediamento di Iorio: “In molte regioni –
aveva affermato il Presidente - sono in corso le revisioni del sistema
impositivo in vista delle nuove sfide e, soprattutto, delle esigenze
finanziarie di servizi primari come la sanità ed i trasporti. Anche
noi dovremo fare, da subito, la nostra parte. Non è più
pensabile conservare la partecipazione al riequilibrio perequativo nazionale,
alimentato dalle Regioni che hanno esaurito la disponibilità
impositiva, conservando, all’interno della regione, margini non più
giustificati sul piano della contribuzione. E’ prima di tutto dovere civico
da italiani, poi dovere politico regionale”. Quindi Iorio sapeva che la cassa
nazionale da lui ampiamente saccheggiata era chiusa e quindi si preparava al
nobile alibi dell’aumento dell’imposizione fiscale. Il Molise ha dovuto
imporre nuove tasse per sanare la spesa corrente fuori controllo di ogni settore,
in primis della sanità. Prodi e la Finanziaria non c’entrano nulla, al
contrario essa prevede all’art.1 comma 796 lett. B un Fondo transitorio di
1.000 milioni di euro per aiutare le regioni, come la nostra, a rientrare dal
forte disavanzo, oltre ad un considerevole aumento del Fondo Sanitario
Nazionale. Iorio e la sua giunta aveva sottoscritto, nel 2005, con il Governo
amico di Berlusconi il patto di stabilità per la sanità,
impegnandosi a contenere la spesa entro determinati parametri. Il nostro
Presidente non solo non ha rispettato gli impegni presentando un piano di
rientro credibile ai sensi dell’art. 1 comma 180 della Legge 30 dicembre
2004, n. 311 (finanziaria Tremonti-Berlusconi) ma si lamenta che lo Stato ci
richiama alle nostre responsabilità. E allora, prima di dissanguare i
cittadini e costringere le imprese a chiudere o a delocalizzare Iorio ha il
dovere di ridurre le spese e tagliare i mille sprechi, perché una tassazione
così non è compatibile con il nostro assetto socio-economico.
La benzina più cara d’Italia, l’Irap al massimo, le addizionali su
gas, Ici, pensioni, stipendi redditi d’impresa ecc. rappresentano il colpo
finale per la nostra Regione, perché saranno uno straordinario incentivo
all’emigrazione. *deputato - coordinatore regionale Italia dei Valori |
Da adnkronos.com (30-12-06)
La Regione propone l'istituzione di 2
organismi che si dovranno occupare del prezioso tubero
Calabria,
commissioni sul tartufo: scoppia la polemica
Pirillo: "Le impone la legge".
Bruno (Dl): "Serve Authority". Galan: "Scelte stravaganti da
reprimere''. Cota (Lega): "Una follia"
Roma, 30 dic. (Adnkronos/Ign) - Calabresi
estimatori di tartufo. E' proprio il caso di dirlo visto che la Regione
Calabria tra 60 nuovi organismi proposti con legge, conta anche una
"Commissione nominata dal comitato tecnico per l'accertamento della specie
di tartufi'' e una ''Commissione per valutare l'idoneità dei raccoglitori
di tartufi''. Iniziative politiche bacchettate, peraltro, dalla Corte dei conti
che denuncia la mancanza di copertura finanziaria. Un caso 'al tartufo',
dunque, che suscita curiosità e polemiche.
E sulla questione delle commissioni sui tartufi interviene l'assessore
all'Agricoltura della Calabria Mario Pirillo. ''Stiamo parlando di proposte di
legge che, come tali - dice all'
In ogni caso, sottolinea Pirillo, le commissioni ''dovranno essere istituite. E
non perché amiamo la politica tartufesca, ma perché ce lo impone la legge
nazionale, la numero 752 del 1985, che affida alle Regioni il compito di
disciplinare la raccolta e la commercializzazione dei funghi epigei anche
attraverso l'istituzione di una Commissione per l'accertamento delle specie di
tartufi e di una Commissione per la valutazione dei raccoglitori".
Secondo il coordinatore della Margherita della Calabria, Franco Bruno serve
l'authority di controllo. "La struttura che proponiamo come Ulivo
-commenta all'
Per il presidente del Veneto Giancarlo Galan ''bisogna fare una scelta e
puntare sulle priorità, nel senso della necessità e della
qualità. Poi se ci sono delle cose, delle scelte, stravaganti
indubbiamente penso che queste andrebbero represse. Francamente se gli altri si
divertono col tartufo noi abbiamo altri problemi più importanti da
risolvere, non avendo il federalismo fiscale. In Veneto siamo i primi per
accoglienza turistica, per integrazione verso i lavoratori straneri e nel campo
sanitario. Noi spendiamo per ottenere queste cose ma non avendo il federalismo
fiscale, e neppure i tartufi, soffriamo''.
Dal canto suo Roberto Cota, segretario della Lega in Piemonte e vice capogruppo
del Carroccio alla Camera dei deputati, ironizza sulle 'originali' decisioni
degli amministratori calabresi. ''Il tartufo piemontese è inarrivabile
-dice all'
E chi si intende da sempre di tartufi che ne pensa? ''Niente guerra del
tartufo, Alba sarà sempre la capitale del Tuber magnatum Pico''. Parola
di Mauro Carbone, direttore del Centro Nazionale Studi Tartufo con sede ad Alba
e direttore dell'Ente Turismo Langhe e Roero, sorpreso dell'iniziativa
calabrese. ''Di certo non siamo preoccupati del tartufo bianco della Calabria
-commenta Carbone- non è una regione molto nota per la produzione di
questo prodotto. Se, invece, si parla di tartufo nero, allora penso che ci
siano ampi spazi per la valorizzazione: molte zone d'Italia dovrebbero fare di
più''.
Da laprovinciadicremona.it (30-12-2006)
Comune. Corada difende la decisione:
giusto cancellare il taglio degli emolumenti voluto dal governo Berlusconi
La giunta si regala compensi più alti. Per
sindaco e assessori aumento del 10 per cento. di Gilberto Bazoli
La giunta comunale si fa un regalo di fine
anno con la decisione, presa nell’ultima seduta del 2006, di aumentare del
dieci per cento i propri compensi. Tutto fa pensare che sarà così
anche per il gettone di presenza dei consiglieri. L’ultima Finanziaria del
governo Berlusconi ha tagliato quest’anno di un decimo, in nome della
necessità di ridurre i costi della politica, le indennità degli
amministratori locali. La prima Finanziaria del governo Prodi, nella versione
licenziata dal Senato, «non indica - afferma il sindaco Corada - come bisogna
regolarsi in proposito. C’è un periodo di ‘vacatio’», di vuoto
legislativo.
In attesa che la nuova Finanziaria chiarisca — ma non è detto che
succeda — come comportarsi e se quel taglio è confermato o annullato,
sindaco e assessori avevano due possibilità: continuare a percepire lo
stipendio decurtato o tornare alla situazione precedente. Hanno scelto per la
seconda opzione. «Abbiamo fatto la cosa più semplice: richiamare
l’ultima legge, risalente al 2000, che stabiliva i compensi minimi degli
amministratori pubblici (a seconda della grandezza delle città, ndr) e
applicarli», continua Corada. In pratica le indennità torneranno ad
essere quelle del
Da La Stampa 27-12-2006
Regalo
per l'Ulivo e i Consumatori. Pagano i piemontesi: 300 mila euro Di Maurizio Tropeano
TORINO
Il Consiglio regionale, a larghissima maggioranza (i consiglieri di Prc e uno
dei Verdi si sono astenuti o non hanno partecipato al voto e la forzista
Mariangela Cotto ha votato contro), ha deciso di fare un regalo di Natale ai
gruppi consiliari dei partiti. A spese dei piemontesi. Il via libera all’unificazione
di Ds e Margherita e alla nascita del gruppo unico dell’Ulivo costerà
circa 170 mila euro l’anno di mancati risparmi. L’autorizzazione alla nascita
di un gruppo autonomo a favore del consigliere dei Consumatori, Michele
Giovine, costerà 125 mila euro l’anno.
Da qui alla fine della legislatura - 2010 - l’operazione costerà
complessivamente 680 mila euro di mancati risparmi e mezzo miliardo di costi
aggiuntivi. L’operazione Ulivo è stata presentata dai capigruppo ds,
Rocchino Muliere, e della Margherita, Stefano Lepri, come strumento per
superare la frammentazione della politica. Ma visto che la politica costa era,
ed è, necessario, garantire a chi sceglie di unificarsi di non subire
perdite economiche. Da qui la necessità di modificare le attuali leggi
di funzionamento del Consiglio regionale per evitare di vedersi tagliare la
dote matrimoniale. Le vecchie norme, infatti, assegnano una quota fissa di
funzionamento e per il personale e non prevedono «premi» per la fusione. La
nascita del nuovo gruppo con le regole in vigore dagli anni Settanta costerebbe
ai partiti circa 75 mila euro di spese di funzionamento e più o meno 95
mila euro per il personale. Da qui l’idea, poi diventata emendamento, di
introdurre misure per incentivare le fusioni e dunque permettere ai gruppi che
scelgono di unirsi di portarsi dietro la dote piena. Sulla carta un’operazione
a costo zero visto che non comporta un esborso di nuove risorse. A leggere bene
i numeri, però, si tratta di mancati risparmi per i piemontesi.
Il via libera alla nascita del gruppo autonomo dei Consumatori, invece, costa
ai piemontesi mezzo miliardo di risorse aggiuntive. Con la modifica
dell’articolo 13 del regolamento si consente di fare gruppo a chi ha presentato
una lista nella metà più uno delle circoscrizioni piemontesi. E’
il caso della lista di centrodestra che ha eletto con 120 preferenze Michele
Giovine. Il consigliere, che rischia il rinvio a giudizio per la vicenda delle
firme false raccolte in occasione delle scorse regionali, è riuscito ad
ottenere il via libera dell’Unione dopo un lungo ostruzionismo in aula. La
copertura finanziaria delle due modifiche è contenuta nel bilancio di
previsione del 2007 del Consiglio regionale approvato nell’ultima seduta
dell’anno. In quella riunione è stato anche votato l’esercizio
provvisorio 2007 della giunta regionale.
L’accordo tra Unione e Cdl ha permesso anche l’approvazione del «piano Casa»
presentato dall’assessore Sergio Conti che permetterà la costruzione di
10 mila nuovi alloggi di edilizia popolare nei prossimi anni. Intanto i
consiglieri Luca Robotti (Pdci) e Giampiero Leo (Forza Italia) hanno lanciato
un appello congiunto al sindaco di Torino per sostenere il «progetto Beleville
di riqualificazione urbana e di aggregazione giovanile».
Da Il velino.it (27-12-2006)
(POL)
Villone (Ds): Chi non vuol ridurre i costi della politica?
Roma, 27 dic (Velino) - “Aspettiamo di
scoprire chi non vuole ridurre i costi della democrazia nel governo Prodi”. Il
senatore Massimo Villone (Ulivo) critica l’atteggiamento del governo Prodi
sull’ordine del giorno, discusso durante la Finanziaria, che chiedeva la
riduzione degli sprechi della Pubblica amministrazione.. “Credo che il governo
abbia sbagliato a non accettare l’odg di alcuni parlamentari della maggioranza
che chiedeva la riduzione dei costi della politica denuncia il parlamentare
diessino - . Devo ricordare che la vicenda è nata in Senato dove io e
Cesare Salvi e altri avevamo presentato un nutrito pacchetto di emendamenti che
riguardavano il tema dei costi impropri della politica nei quali chiedevamo,
tra l’altro, un limite alla nascita delle ‘ambasciate’ delle Regioni
all’estero; l’abolizione degli enti inutili; la fine delle società miste
e un tetto agli emolumenti pubblici. L’obiettivo di queste misure era quello di
risparmiare denaro pubblico”.
Come sono andate le cose al Senato? “A Palazzo Madama avevamo una cabina di
regia con tutte le forze della maggioranza che ha dato l’ok ad alcuni di questi
emendamenti. Ma la notte prima del maxiemendamento al Senato è accaduto
qualcosa che ci ha sorpreso”. (segue)
Hanno fatto sparire le vostre proposte? “Sui tetti agli emolumenti pubblici
è successo che il limite che avevamo fissato per un gran numero di
funzionari pubblici è stato limitato a pochi casi. Mentre per i casi dei
manager delle società partecipate, per i quali volevamo mettere un
tetto, è stato inserito un limite di 500 mila euro, aumentabile di altri
250 mila euro. E su questa cifra è stato anche riconosciuto un adeguamento
Istat annuale. L’unica categoria che beneficia della scala mobile in Italia
guadagna 750 mila euro! Ai dirigenti pubblici di prima classe è stato
riconosciuto il diritto di viaggiare in prima classe sui voli
intercontinentali. Inoltre, al Senato è stata inserita a sorpresa la
proposta di sanatoria contabile di fronte alla Corte dei conti per danno
all’erario che la maggioranza aveva respinto con l’accordo del Governo. A
Palazzo Chigi ‘una mano’ ha inserito degli emendamenti che erano stati bocciati
da maggioranza e Governo”.
Da questa situazione però è nato l’odg sui costi della politica.
“Abbiamo chiesto al governo di impegnarsi per ripristinare una situazione per
un giusto utilizzo delle risorse pubbliche”.
Il governo cosa ha fatto? “Invece di dichiarare il suo impegno, il governo ha
respinto l’Odg per voce del sottosegretario all’Economia Nicola Sartor. Alla
fine è giunto il voto dell’aula in cui il governo è stato battuto
in aula”.
Sartor dipende dal ministro dell’Economia Padoa-Schioppa? “Non so cosa è
avvenuto. Potrebbe esserci stato un intervento di alte burocrazie e non dei
politici. Aspetto di sapere chi è stato a dire di no al nostro odg”.
(pal)
27 dic 10:26
Da www.napoli.com (12-12-2006)
Sanità,
è di scena la vergogna di Mario Caruso
Intanto è stato approvato il Piano
Ospedaliero
L’assessore alla Sanità della Regione Campania,
nominato per concessione del “Dio d’Irpinia”, è ritornato sulla Terra
dopo un lungo viaggio nel Cosmo.
Il “professore” che sa tutto sugli sprechi della sanità, personaggio a
conoscenza dei fatti, è abituato per il raggiungimento di uno stupido
artifizio che spesso è per lui un boomerang, a rispondere con domande
alle domande di chi gliele formula.
Con coerenza a questa sua consuetudine ha aggredito gli intervistatori,
asserendo: “Serve chiarezza su ciò che sta accadendo? Lo chiederemo alla
Soresa”.
I giornali editi a Napoli sono pieni di questa storia, che rimane purtroppo
circoscritta per volere editoriale alla sola Campania, ma che senz’altro
meriterebbe un’attenzione da “Striscia” e dalle “Iene”.
La Soresa è una società voluta dalla politica bassoliniana
costituita nel dicembre del 2003 con legge regionale a capitale sociale di
500mila euro.
Era stata “inventata” per accollarsi e restituire l’intero ammontare del
pesante debito maturato nei confronti dei creditori della sanità, se ne
parla “al passato” dato l'evidente fallimento, sul quale non c’è alcuna
chiarezza perché mai nessuno, in special modo l’Assessorato, ha esercitato il
sacrosanto controllo sull’operato svolto.
Come fare soldi per pagare i creditori? Attraverso mutui con tre istituti
bancari e con somme provenienti da “condoni” ricevuti solo in parte dal governo
amico (si sa che in Campania la coalizione politica è di centrosinistra)
e da aumenti di tasse locali su Irpef, Irap e servizi vari ad appannaggio delle
istituzioni.
I fuochi di artificio sono esplosi quando è stato scoperto che per far
funzionare la Società Soresa è stata costituita ad hoc, perché
nata nel 2005, un’ altra società con compiti di consulenza.
Nella prima società il presidente è di area diessina, nella
seconda a capo vi è un dirigente di area margherita.
Nelle composizioni viene rispettata la spartizione tra bassoliniani e
demitiani. Una sola nota stonata, ma riconducibile ad una delle due aree, la
presenza nel CDA della Soresa di una consigliera di area Emily, l’Associazione
creata e presieduta dalla consorte di Bassolino. Una sola donna, per rispettare
una ”pari importunità”.
Le tre banche che dovrebbero accendere i mutui sono: Lehman, Credit Suisse e
Cavlon. Dalle loro tasche la soluzione per sanare il buco di cinque miliardi di
euro.
Ma che cosa è accaduto se a tutt’oggi (12 dicembre 2006) le tre banche
mettono a disposizione solo 143 milioni di euro (su oltre 5 miliardi...) per
tappare la bocca ai creditori? Vuol dire che forse i banchieri prendono le
dovute, per loro, distanze e che quindi non vogliono rimetterci altre somme?
La Regione Campania si muove con lo stesso criterio del Governo Prodi,
cioè le entrate sono solo virtuali (certo quelle previste provenienti da
evasori) e quindi le banche non rischiano. Anche considerando che altri debiti,
sanati con mutui o semplici prestiti, galleggiano da anni nel mare malato delle
amministrazioni locali.
Nel gioco della presenza della Soresa nel mercatino regionale è entrata
a far parte la società di consulenza, pare di origine tutta irpina, alla
quale sono stati già pagati oneri per diciotto milioni di euro.
La Banca che deve fungere da consulenza è la Carrington & Cross, che
ha a sua volta come socio al 50 per cento la Harley & Dikkinson, che poi
è controllata da un privato per il 20% e per l’80 da Consulfiduciaria
Spa.
In proposito che cosa sta perdendo, e forse sottovalutando se ne è
conoscenza, Marco Travaglio!
Ma il giornalista di Repubblica perderebbe mai un pò di tempo per
raccontare una delle vergognose commedie che si recitano nella casa del
centrosinistra in Campania?
Perché i creditori devono andare a Lugano per incassare parte delle somme a
loro dovute? C’è anche un’Agenzia che organizza i viaggi? Cioè
che fa parte del busines. Oppure perché in Svizzera si pagano meno tasse per
cessioni di credito?
Ricordiamo ancora un pò di numeri: il debito maturato con l’assistenza
privata fino al 2005 è di 4,7 miliardi, due sono coperti dagli arretrati
che la Regione pretende dallo Stato, 2,7 miliardi che dovrebbero essere mesi in
circolo dalle banche in cambio di mutui, 170 i miliardi per il rateo annuale di
mutuo.
I pignoramenti dei creditori subiti dalle Asl ammontano a 450 milioni di
euro e si susseguono a ritmo di circa cento milioni al mese. Si tratta di
cliniche e laboratori che non sono caduti nelle reti di “creduloni sindacati” e
quindi hanno deciso in proprio per i decreti ingiuntivi nei confronti delle Asl
di competenza.
“Necessario diradare le ombre”, dice l’assessore. Anche se non è l’unico
ad oscurare la sanità ma, certo, un suo definitivo allontanamento
consentirebbe qualche spiraglio di luce.
Intanto nel corso del Consiglio Regionale, dove è stato approvato in un
osannante clima spaventosamente provinciale il chiacchierato nuovo Piano
Ospedaliero, è stata nominata una commissione di inchiesta che
dovrà indagare sulla Soresa e su ciò che è accaduto e sta
accadendo intorno a questa società di affari. E’ formata da tutti i
capigruppo politici presenti nella coalizione bassoliniana e presieduta dalla
signora Sandra Lonardo Mastella, come è noto presidente del Consiglio
regionale.
Fuori i balconi degli uffici del governatore il pavese della grande
soddisfazione. Tra le dichiarazioni quella di Bassolino: “Ne parlai con Prodi,
con Amato e Padoa Schioppa”.
Insomma anche dagli ospedali si leva alto il grido dannunziano: “Contro
l’illegalità e cuori al vento verso la speranza”.
12/12/2006
Da agi.it 26-12-2006
IMPRESE: PER IL 66,7%
RICETTA GOVERNO SU SPRECHI NON FUNZIONA
(
261244 DIC 06
Da www.Modena2000.it Inserito il
20-12-2006 ~ 18:30 da Redazione
Cgil, Cisl e Uil
criticano scelta aumento Irpef a Carpi
Le organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil della zona di Carpi criticano
fortemente l'intenzione espressa dal Sindaco e dalla Giunta comunale di
aumentare l'addizionale Irpef del Comune di Carpi dallo 0,2 allo 0,5%.
La dichiarazione di ieri a mezzo stampa
quantomeno ci sorprende. Non più tardi del 12 dicembre in un incontro
con le Organizzazioni Sindacali l'intera Giunta della Unione dei Comuni Terre
d'Argine (fra cui i sindaci dei quattro Comuni) ha espresso sì
preoccupazioni per la finanza locale, ma ha unanimemente dichiarato di
rimandare l'approvazione dei quattro bilanci e dello stesso bilancio
dell'Unione a fine gennaio.
Questo sia per verificare con maggiore puntualità i risvolti a livello
locale della Finanziaria 2007 (che tra l'altro ha mantenuto invariata la
possibilità di inserire gli oneri di urbanizzazione, elemento di
maggiore preoccupazione a detta dei Sindaci), ma anche per poter dar luogo,
così come richiesto da parte sindacale, ad un confronto concertativo
sostanziale e non formale sul tema dei bilanci. Confronto previsto peraltro da
un protocollo di relazioni siglato dallo stesso Comune di Carpi e che rischia
di essere smentito dalle dichiarazioni di ieri. Ribadiamo la richiesta di
invarianza delle pressione fiscale, sia a Carpi che nell'intera Unione, per
praticare una reale difesa dei redditi da lavoro e da pensione e non vanificare
i vantaggi fiscali che derivano dalla Finanziaria alle famiglie e ai
pensionati.
Rispetto ai bilanci di previsione 2007 vogliamo entrare nel merito delle scelte
e discutere di possibili maggiori entrate (dalla lotta all'evasione fiscale e
dalla gestione del catasto, nonché da una valutazione degli effetti della
Finanziaria
Nelle prossime settimane ci confronteremo con i nostri iscritti, con i
lavoratori e i pensionati, e non escludiamo il ricorso a iniziative di protesta
se le dichiarazioni di ieri si tradurranno in una delibera del Consiglio
Comunale.
(Cgil, Cisl e Uil zona di Carpi)
Da www.ilmeridiano.info 20.12.2006 ore 12:30:00.
La Confapi non ci
sta: «La politica rilanci il binomio Energia-Sviluppo»
«Il legame Energia-Sviluppo non è
un semplice enunciato teorico, ma, in termini reali, la maggiore o minore
disponibilità di energia rappresenta la potenzialità produttiva
di un territorio, in grado di creare sviluppo». Il commento di Giovanni Longo,
presidente del centro studi della Confapi, sembra una bocciatura della
posizione della Regione che ha di fatto arenato il progetto della «Foggia
Energia» e nel contempo dell’atteggiamento tenuto dal territorio e da una larga
parte della sua classe dirigente. «Vogliamo smentire gli allarmismi di queste
settimane - afferma Longo - perché questo insediamento rappresenta un concreto
esempio di “Sviluppo Sostenibile”, compatibile con l’ambiente e il territorio
circostante e, inoltre, foriero di benefici per il comparto agricolo, al quale,
oltre all’elettricità a costi ridotti, può fornire anche vapore e
acqua calda, in quantità necessarie per alimentare attività
terricole e di trasformazione dei prodotti». Un’analisi circostanziata, quella
della Confapi, che considera «più strumentali che sostanziali» gli
allarmismi arrivati nelle ultime settimane perché «è evidente che una
centrale elettrica non può che sorgere su un’Area di Sviluppo
Industriale, così come prescrivono le vigenti norme in materia».
Sull’impatto ambientale dell’impianto, inoltre, Longo ricorda «i numerosi
pareri espressi positivamente da tutti gli Enti preposti al controllo e alla
tutela tecnico-ambientale, non dimenticando che esiste una Via (Valutazione
d’Impatto Ambientale) favorevole e, soprattutto, la positiva Autorizzazione Integrata
Ambientale, che recepisce tutte le direttive dell’Unione Europea emanate in
materia». «La Centrale proposta da “Foggia Energia” che, prevede solo
alimentazione a gas metano - aggiunge Longo - non è, come qualcuno
vorrebbe far credere una “bomba ecologica”, ma una iniziativa industriale non
inquinante che nasce nel sito giusto e che offre concrete possibilità di
sviluppo al nostro territorio che, afflitto dal drammatico fenomeno della
deindustrializzazione, non dovrebbe assolutamente lasciarsi sfuggire». Le
questioni energetiche, con particolare riferimento al dibattito sul ricorso
alle fonti rinnovabili, meritano «approfondimenti e precise scelte di campo,
anche e soprattutto da parte della politica». Longo, nel sostenere la
validità del progetto, ribadisce i vantaggi che la centrale porterebbbe
al territorio ed ai cittadini: «Oltre all’aspetto occupazionale (circa 380
unità lavorative) e all’investimento finanziario dei privati, si rileva
che c’è anche quello di natura ambientale connesso ad un progetto di
recupero e riqualificazione territoriale e, in più, quello di tipo
economico che, per 9 anni, porterà nelle casse comunali un contributo di
circa un milione e 500mila euro all’anno. Una somma che potrebbe attivare
investimenti e mutui per diversi milioni di euro, da destinare alla
realizzazione di opere pubbliche necessarie per migliorare sia le
infrastrutture dell’Asi, che la stessa qualità della vita dei cittadini
di Foggia». Quasi un invito alla Regione a rivedere il suo parere negativo.
r.p.n.
Di Stefano(An): «Tutte le spese del
Presidente»
L’AQU
LE SPESE DELL'ARSSA
AUMENTANO IRAP E IRPEF
TUTTE LE SPESE DEL BILANCIO
«Il presidente Del Turco è solito annunciare tagli ai costi della
politica, l’ha fatto anche oggi dalle pagine di un importante quotidiano: dia
un’occhiata a queste cifre e intervenga, se ai proclami vuol far seguire
veramente fatti concreti», ha detto Di Stefano.
In un altro incontro An aveva già parlato di alcune spese quali, ad
esempio, quelle per l’organizzazione della Conferenza Generale dell’Agricoltura
– costo complessivo € 250.000 – in cui spiccavano cifre per l’acquisto di penne
per € 8.920 o spese postali per € 29.000 «che la dicono lunga sulla
razionalità nell’utilizzo dei fondi pubblici da parte della Giunta
Regionale» ha premesso Di Stefano.
Lo stesso Di Stefano ha proseguito sottolineando che «quello che segue è
solo un secondo elenco destinato all’allungarsi ulteriormente nei prossimi
mesi».
SEGRETARIATO GENERALE DEL PRESIDENTE
Si tratta della famosa struttura politico-amministativa di cui si è
dotato il presidente Del Turco e di cui è responsabile Lamberto Quarta.
Sono fioccate le polemiche nei mesi scorsi per la perseveranza con la quale Del
Turco ha tentato a più riprese di sistemare l’amico e compagno di
partito (anche dopo la mancata vittoria per la corsa al Parlamento).
Il compenso delle due unità lavorative assegnate alla struttura è
“pari al più alto del trattamento economico corrisposto ai Dirigenti di
Servizio della Giunta Regionale”, oltre all’indennità annua di
risultato.
Il costo complessivo della struttura, per il momento, compreso il
“Sottosegretario” Lamberto Quarta, è di circa € 250.000.
ASSESSORATO ALL’AGRICOLTURA
In data 04.09.2006, nell’ambito del programma comunitario Leader+, veniva
conferito ad una professionista un incarico di co.co.co. di € 31.500 annui.
La stessa persona risulta essere amministratore unico della società
Kalumet srl vincitrice di due bandi emanati dall’Assessorato all’Agricoltura:
a)fornitura del servizio di progettazione ed organizzazione della formazione
del personale nella sede di Bruxelles con un ribasso d’asta di € 100. Compenso
per la società: € 35.880;
b)assistenza tecnica Docup Pesca 2000/2006 con un ribasso d’asta di € 84.
Compenso per la società: € 39.635.
ARSSA
Con la riforma dell’Agenzia Regionale di Sviluppo Agricolo è stato
abolito il consiglio di amministrazione, nel contempo – però – è
stato nominato il direttore generale (costo circa € 120.000), il direttore
tecnico (circa € 100.000) ed è in itinere la nomina del direttore
amministrativo (circa € 100.000), per un totale di circa € 320.000.
Avevamo già riferito della sede di Bruxelles dell’Arssa: 43 mq in piazza
Schuman alla modica cifra di € 5.020,29 al mese.
È stato prorogato l’incarico di “ambasciatore” dell’Arssa a Bruxelles
per Antonio Falconio, la somma stanziata per 6 mesi è di € 45.000.
SANGRITANA
Il presidente della Sangritana SpA, come noto, si è dotata di un
assistente dal costo di € 7.500 mensili; lo stesso assistente – quando era
direttore di Abruzzo Lavoro – aveva affidato all’attuale presidente della
Sangritana e a sua figlia varie consulenze.
Inoltre, la Sangritana ha nominato – individuando figure professionali esterne,
cosa mai accaduta finora – un Direttore ed un Vicedirettore generale.
Da segnalare anche i numerosi incarichi di assistenza legale assegnati a
professionisti di fiducia.
Costo complessivo annuo solo delle consulenze: circa € 270.000, cui vanno
aggiunti i maggiori oneri per Direttore e Vicedirettore.
CO.CO.CO.
Ad oggi la Regione conta circa 200 persone assunte con contratti di
collaborazione coordinata e continuativa. Dopo le polemiche dei giorni scorsi
per i bandi con scadenza a cinque giorni i cui termini sono stati riaperti in
seguito alle polemiche sollevate dai consiglieri di centro-destra, la Direzione
Attività Produttive ha risposto pubblicando un avviso per ulteriori 15
co.co.co. con compensi che variano da un minimo di € 22.000 ad un massimo di €
35.000.
Se stimassimo il compenso per ogni co.co.co. in euro 15.000, avremmo un totale
di € 3.000.000 circa.
CONFERENZA NAZIONALE SUL TURISMO
La 3° Conferenza Nazionale sul Turismo che si è svolta a Montesilvano
nei giorni 30 settembre - 1° ottobre scorsi ha avuto un costo di € 350.000.
Per l’organizzazione della stessa sono stati conferiti due incarichi di
consulenza, della durata di due mesi, di € 13.890 ognuno (quindi € 6.945
mensili) per un totale di € 27.780.
20/12/06 15.55.21
Da romagnaoggi.it (19-12-2006)
sei in news/Prima pagina, data 19.12.2006,
orario 15:08.
La
Regione aumenta Irap e Irpef, bagarre in Assemblea
BOLOGNA - L'Assemblea legislativa dell'Emilia-Romagna
ha iniziato questa mattina l'esame del progetto di legge della Giunta regionale
intitolato "Disposizioni in materia tributaria". Hanno aperto i
lavori antimeridiani le due relazioni, di maggioranza e minoranza, illustrate
rispettivamente da Gian Luca Rivi (ds) e Antonio Nervegna (fi).
Il relatore Gian Luca Rivi (ds) ha spiegato che il progetto disciplina in
"maniera innovativa" le aliquote dei principali tributi regionali,
IRAP e addizionale regionale sull'IRPEF, per reperire un congruo finanziamento,
circa 240 milioni di euro, da utilizzarsi nell'ambito della manovra di bilancio
della Regione per il 2007 per sostenere il fondo regionale per la non
autosufficienza (100 milioni), per garantire la salvaguardia degli equilibri
economico-finanziari del sistema sanitario regionale (100 milioni) e per
alimentare i programmi regionali di investimento per la promozione dello
sviluppo economico e della coesione sociale (40 milioni).
Rivi ha ricordato che la Regione non si era avvalsa finora della potestà
di aumentare questi tributi e che dal 1999 è la prima volta che sceglie
di aumentare la propria pressione fiscale. Questa manovra tributaria -
evidenzia ancora Rivi - è resa possibile dal fatto che l'attuale
Governo, nell'ambito della legge finanziaria
Rivi ha poi evidenziato che si è cercato di porre una "specifica
attenzione" nell'individuare i soggetti e le categorie economiche a cui
richiedere un maggiore sforzo tributario, in particolare per l'IRAP la scelta
è caduta sulle imprese del comparto bancario ed assicurativo,
dell'energia e delle poste e telecomunicazioni, settori meno esposti alle
pressioni competitive.
Dall'IRAP, modificando l'aliquota di un punto dal 4,25% al 5,25%, ci
sarà un maggiore introito di circa 60 milioni di euro. Per quanto
riguarda l'IRPEF, non sono interessati alla manovra i contribuenti della
attuale "no tax area", redditi fino a 7.500 euro e pensionati fino a
7.000 euro. Tali limiti si innalzano in presenza di famigliari a carico di
oneri deducibili e detraibili.
La manovra inoltre segue il criterio di gradualità delle aliquote in
relazione alle fasce di reddito imponibile: su una popolazione residente in
Emilia-Romagna di oltre 4 milioni e 100mila abitanti, per l'anno di imposta
2004 i soggetti passivi dell'addizionale regionale sono stati poco più
di 2 milioni e 566mila, il 62% del totale. Il restante 38% non risulta quindi
toccato dall'addizionale vigente (0,9%), né da questa variazione.
L'aumento massimo dell'addizionale del 5 per 1000 verrà invece a gravare
su poco più del 14% della popolazione, nonché su circa il 23,5% dei
contribuenti.
Queste le nuove aliquote dell'addizionale regionale secondo la legge approvata:
1,1 per cento per i contribuenti con reddito imponibile ai fini
dell'addizionale stessa non superiore a 15.000 euro; 1,2 per cento per i
redditi tra 15.001 ed i 20.000 euro; 1,3 per cento per i redditi tra i 20.001
ed i 25.000 euro; 1,4 per cento per i redditi superiori a 25.000 euro.
Dall'addizionale IRPEF - sottolinea infine Rivi - la Regione si prefigge
l'obiettivo di un maggior gettito pari a circa 180 milioni di euro.
Di opposto tenore l'intervento del relatore di minoranza Antonio Nervegna
(Forza Italia), che ha immediatamente stigmatizzato il fatto che la Regione
Emilia-Romagna sia intervenuta sulle aliquote dei tributi regionali "a
differenza di altre Regioni che hanno deciso di non incidere sulla leva fiscale
regionale".
Di fronte alla riduzione dei trasferimenti
attuata dal Governo Prodi, questa Regione non ha quindi provveduto ad
"incidere seriamente sulla spesa, attuando una politica di lotta agli
sprechi", producendo al contrario questo provvedimento, collegato al
bilancio regionale 2007, che è "una finanziaria nella finanziaria
nazionale", con maggiorazioni che vanno a sommarsi a quelle nazionali ed
agli aumenti che introdurranno Comuni e Province.
"Ma quel che più sconcerta - evidenzia Nervegna - è che la
relazione di maggioranza non chiarisce affatto che non c'è
gradualità in questo incremento dell'addizionale IRPEF regionale, ma il
prelevo è globale per ogni fascia, con un ulteriore aggravio per i
contribuenti che si troveranno di fronte ad una sequela di tassazioni, dirette,
indirette e nascoste di cui ancora non si riesce a quantificare l'entità
(oltre alla tassazione nazionale, l'addizionale IRPEF regionale, quella
comunale, poi le tasse di scopo, i ticket sanitari, l'aumento ICI, il bollo
auto, l'accisa sul gasolio e così via)".
"Così gli emiliano-romagnoli - sottolinea Nervegna - potranno a
ragione mantenere il loro primato di contribuenti più tartassati
d'Europa. Dall'inasprimento fiscale, infatti, saranno colpiti tutti i redditi
ed in particolare quella grande fascia, composta da lavoratori dipendenti,
pensionati, piccoli artigiani che rientrano nei 15.000 euro di reddito lordo,
che sarà soggetta a maggiore prelievo per effetto dell'aumento della
base imponibile".
E' lecito a questo punto chiedersi - conclude il relatore di minoranza - se la
logica dell'equa ridistribuzione delle ricchezze, sostenuta da Prodi e dal suo
Governo di sinistra, sia veramente questa.
IL DIBATTITO
Un giudizio "fortemente
negativo" sulla manovra tributaria è stato espresso da Gioenzo
Renzi (an), che ha accusato la Regione di "troppa fretta nell'applicare
queste nuove tasse, senza prima intervenire sulla propria organizzazione con
tagli e razionalizzazioni". A meno che - evidenzia - non ci siano
situazioni debitorie, per esempio nella sanità, di cui non siamo a
conoscenza. Il dato è che anche la scelta un po' demagogica di aumentare
l'IRAP nei settori che tirano ricadrà poi sulle spalle dei cittadini
contribuenti attraverso l'inasprimento dei costi di servizi e tariffe. Renzi ha
contestato le modalità dell'aggravio dell'addizionale IRPEF che
consistono in una cedolare secca che punisce in modo contraddittorio ed iniquo
i redditi appena superiori ai limiti minimi di ciascuna fascia e che va a
pesare soprattutto sui redditi inferiori.
Contrarietà sul provvedimento sono
state espresse anche da Carlo Monaco (per l'e-r), che ha stigmatizzato il fatto
che nella relazione di presentazione non ci sia stato un riconoscimento critico
sulla Finanziaria nazionale, "una delle vicende più tristi della
storia italiana" che ha sollevato distinguo anche da ambienti vicini alla
sinistra. Una Finanziaria - ha aggiunto - che è stata come uno tsunami
nella politica italiana, con i sondaggi sul Governo in caduta libera ed i
fischi ai suoi rappresentanti, e che alla prova dei fatti disattende le tre
parole chiave su cui diceva di basarsi: crescita, risanamento,
solidarietà. Monaco ha poi contestato che la manovra tributaria regionale
sia in linea con il federalismo fiscale. Regione e Comuni sono stati trattati
dal Governo come Ent esecutori marginali, a cui si è data la
libertà di imporre tasse aggiuntive e non sostitutive.
"Così proprio non va: questa manovra è pesante per i
cittadini e devastante per le imprese". Lo ha detto Ubaldo Salomoni (fi)
che ha parlato dell'errore compiutto dal Governo di autorizzare l'aumento della
tassazione locale dando vita ad un meccanismo che sfuggirà ad ogni
controllo, anche a causa delle tassazioni indirette. Per Salomoni "Rivi
gioca anche con i numeri". L'esempio è quello dell'IRAP, dal cui
aumento la Regione si aspetta 60 milioni di euro, ma alla voce sviluppo ne
alloca solo 40. Sul fronte del welfare, Salomoni ha criticato la Regione che
prima bastonava il Governo Berlusconi perché a suo dire limitava i fondi del
sociale, mentre oggi, di fronte ai tagli effettivi sul sociale del Governo di
centro-sinistra, non solo tace, ma fa ricadere sulle spalle dei contribuenti le
trascuratezze e le falle dell'esecutivo nazionale.
Questa legge tributaria non era
necessaria, soprattutto a fronte al lascito positivo del Governo Berlusconi,
provato dai numeri ufficiali "e non da quelli della propaganda" (per
esempio il gettito delle entrate di novembre aumentato a 34 miliardi rispetto
al 2005 ed il rapporto deficit/PIL del 2006 che si attesta sul 3,2%) che
avrebbero consentito manovre di ben più leggera entità. Lo ha
detto Luca Bartolini (an), evidenziando che la Regione, per far quadrare i
conti, ha scelto la strada più semplice dell'introduzione di nuove
tasse, anziché rimodulare le priorità di spesa o tagliare gli sprechi.
Addizionali regionali che si sommeranno agli incrementi nazionali ed a quelli
locali ed alle tassazioni indirette. Una manovra "ingiusta" che
"smentisce le promesse di Prodi di non aumentare ed anzi di diminuire le
tasse", che colpisce tutti i redditi e che "farà piangere chi
è stato illuso dalla sinistra".
Per Gianni Varani (FI) questa manovra consente di trarre valutazioni sullo
stato di salute della Giunta e sul peso specifico di alcuni assessorati; a
differenza dello scorso mandato, un anno e mezzo dopo l'insediamento, secondo
Varani si è già esaurita la spinta propulsiva della nuova Giunta
Errani. Il pesantissimo deficit della sanità viene affrontato
mascherando come razionalizzazioni i numerosi tagli alle prestazioni. È
poi paradossale che, dopo aver accusato per cinque anni il governo Berlusconi
di presentare le peggiori Finanziarie del dopoguerra senza tuttavia aumentare
le tasse regionali, oggi che c'è un governo amico, questa Giunta si
trovi costretta a farlo.
Lamentando la disattenzione degli organi di informazione locali su questa
manovra della Giunta, Marco Lombardi (FI) ha sottolineato come si stia
procedendo verso significativi aumenti della pressione fiscale in
Emilia-Romagna: in alcuni casi con una pericolosa discrezionalità
(IRAP), mentre l'addizionale IRPEF viene applicata anche su fasce di reddito
risparmiate da altre Regioni. È particolarmente grave che i primi, timidi
segnali di ripresa dell'economia vengano accompagnati da un incremento delle
tasse; è tipico delle sinistre approfittare delle fasi di crescita
economica per aumentare la spesa pubblica, e anche l'imprevisto introito di 34
miliardi di euro di maggiori entrate fiscali servirà a costruire un
fondo-cassa finalizzato a questo.
Il consigliere Ugo Mazza (DS) ha identificato un primo difetto di comunicazione
del governo Prodi: era opportuno inviare una lettera agli italiani per rendere
conto della situazione economica e patrimoniale ereditata. Non aver evidenziato
questo punto di partenza, può aver indebolito il senso di alcune scelte.
Ora, i difficili rapporti di forza parlamentari impongono al governo di
indicare priorità realistiche, e le Regioni devono contribuire a definire
questa agenda. Va innanzitutto tenuto fermo il concetto di equità
fiscale, come fattore cruciale del patto fra cittadini e Stato, con le sue
componenti di giustizia e di lotta all'illegalità. Al centrodestra
chiede un pronunciamento chiaro sulla lotta all'evasione, fenomeno molto
diffuso anche in questo territorio.
Per Alberto Vecchi (an) "si tratta di una manovra politico-ideologica,
finalizzata ad aumentare le tasse per pagare l'aumento della spesa pubblica.
Noi - ha sottolineato - avevamo sollecitato una proposta alternativa che mirava
a tagliare le spese nella pubblica amministrazione per coprire, con un
correttivo dello 0,6%, il fabbisogno. La risposta è stata quantificata
in un aumento che risulta tre volte superiore alle necessità". Per
quanto riguarda la finanziaria nazionale, l'esponente di an ha criticato il
Governo su tutte le scelte, in particolare, "l'aver scordato di tutelare i
2500 precari della Croce Rossa che, alla scadenza dell'anno, non potranno
più esercitare il loro importante lavoro".
Un giudizio positivo sulla proposta della Giunta, viene, invece, da Paolo Nanni
(idv). "Una manovra che dispiacerà, ma, va detto, - ha sottolineato
il consigliere - che si tratta di una pressione fiscale minima (erano anni che
non si interveniva sul prelievo fiscale) finalizzata a sostenere (e ciò
è meritevole) la non autosufficienza, oltre ai programmi di sviluppo
economico per la nostra realtà regionale".
Da www.dilloadalice.it (20-12-2006)
Sen.
Claudio Grassi: “Potremmo far mancare la maggioranza al Senato. E poi sugli
inceneritori..."
Alice intervista il Sen. Claudio Grassi
(PRC), leader nazionale della seconda componente di Rifondazione, l’Ernesto:
“Quelle “misteriose” modifiche di testi all’interno del maxi-emendamento alla
finanziaria. Fatti svilenti per la Democrazia".
DilloAdAlice.it n. 134 del 20/12/2006
Il senatore Claudio Grassi (PRC) spiega i
misteriosi “blitz” avvenuti in questi giorni negli Uffici di Palazzo e annuncia
che Rifondazione -insieme ai Verdi- è pronta a non presentarsi al Senato
facendo mancare la maggioranza se non si ritornerà ai testi concordati
in Commissione.
Senatore Grassi iniziamo dalla questione
Cip6, i finanziamenti in bolletta Enel (voce A3) che dovevano andare alle fonti
rinnovabili e invece, dal '92 ad oggi, sono andati prevalentemente a petrolieri
ed ex municipalizzate con inceneritori, causando guadagni milionari in Borsa a
queste società e un procedimento d'infrazione da parte dell'Unione
Europea che non considera tali fonti "rinnovabili". Il tutto con i
nostri soldi. Un giro d'affari da 3 miliardi di euro l'anno che invece che
finire al solare e l'eolico finiva in rifiuti bruciati, carbone, petrolio,
'drogando' tra l'altro il mercato e andando contro le leggi UE. Cosa è
successo in corso di stesura di finanziaria?
I nuovi impianti dal
Come andrà a finire?
Sui Cip6 come sulla depenalizzazione dei
reati contabili, contestata da noi e da Di Pietro ho visto che c'è
l'impegno di tornare al testo originario. Ci dovrà essere un apposito
decreto entro fine anno. Il Governo lo dovrà affrontare nella prossima
riunione del Consiglio dei Ministri.
Sono successi altri 'scherzetti' del
genere durante il maxi-emendamento della finanziaria?
Sì. Ho avuto la sorpresa nella
partita sui costi della politica e sugli “stipendi tetto” ai super manager
delle aziende municipalizzate e di Stato dei quale si era discusso in
commissione affari costituzionali. Avevamo concordato un tetto per gli stipendi
di 250.000 euro. E' successo che ci siamo ritrovati scritto: 500.000
prorogabili a 750.000 euro...Su questo punto sia noi che Salvi e Villone della
sinistra Ds stiamo dando battaglia.
Come possono succedere cose del genere?
Purtroppo il Parlamento, dovendo operare
di gran fretta, delega al Governo la scrittura finale dei testi che vengono
redatti da dei tecnici funzionari del Parlamento (ndr: non eletti). Dal momento
che sul maxi-emendamento della finanziaria c'era la fiducia il testo presentato
diventa immodificabile in quella sede. A quel punto noi senatori sul Cip6 come
sul tetto manager non possiamo che votare se no ne va del Governo..E dobbiamo
porre successivamente la questione.
In tutto questo non ci rimette la
democrazia del Paese?
Da un punto vista politico sono state
fatte modifiche che ci hanno molto allarmato su questi due punti. E' totalmente
svilente per i Parlamentari e per la democrazia. Tutti dicono che
bisognerà rivedere come si costruisce la legge finanziaria. Sono
d'accordo.
Ma come possono succedere fatti come
questi con tecnici che cambiano testi già decisi da parlamentari?
Queste vicende ci dimostrano quanto i
cosiddetti poteri forti contano in Italia. Sono lobby e gruppi organizzati con uomini
giusti al posto giusto che al momento buono agiscono. Poi bisogna avere la
forza per aggiustare le cose.
Matteo Incerti
Da IL Giornale 19-12-2006
I prefetti ad Amato:
vanno ridotti i costi della politica
da Roma
Se la missione era quella di convincere i prefetti che i tagli della
finanziaria sono una cosa buona, il ministro dell'Interno Giuliano Amato non
è riuscito nel suo intento. Il responsabile del Viminale ha parlato come
previsto alla cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico della Scuola
superiore dell'amministrazione dell'Interno. I sindacati prefettizi, che lo
aspettavano al varco sui tagli alle Prefetture, hanno preso per la prima volta
la parola alla cerimonia. E hanno spiegato le ragioni del dissenso a proposito
della chiusura di alcune prefetture, decisa - questa una delle accuse - «senza
sentire i sindacati». Amato nel suo intervento ha invitato i prefetti a uscire
dalla logica della «esclusività delle competenze» indicando nella
«cultura del coordinamento» la versa sfida. Il titolare del Viminale poi ha
cercato di sdrammatizzare la prevista riduzione degli uffici territoriali di
governo nelle zone meno popolate del Paese (con meno di 200mila abitanti):
«Esistono - ha detto il ministro - aree ricche del Paese dove ci sono mucche
che danno buon latte. Il fatto che si inventino mucche-Stato per mungere
stipendi e posti inutili io la trovo una cosa al di là della vergogna.
Un prefetto - ha continuato Amato - è offeso nella sua dignità se
viene inviato in una cittadina di provincia a esercitare la sua funzione di
coordinamento dove ci sono poche decine di migliaia di abitanti. È un
po' come una Ferrari che viene fatta correre in un circuito di un chilometro e
150 metri».
L'intervento non ha convinto i rappresentanti dei sindacati. Claudio Palomba,
presidente di Sinpref, ha osservato che «il problema è il costo della
politica». D'accordo con le tesi dei prefetti il centrodestra. Secondo Jole
Santelli di Forza Italia «l'abolizione di alcune prefetture, così come
delle questure e dei comandi provinciali dei vigili del fuoco, in base a un
mero criterio quantitativo è una scelta scellerata visto che si vanno a
cancellare importanti presidi dello Stato in città come Crotone e Vibo
Valentia, cioè in aree dove l'incidenza della criminalità
è elevatissima».
Da Il Corriere della sera 18-12-2006
Provvedimento riguarderà anche i
capoluoghi regioni a statuto speciale
Province
addio, al via le città metropolitane
ddl governo: Milano, Roma, Venezia, Bari,
Bologna, Napoli, Torino, Genova e Firenze ingloberanno le relative province
Presto alcune province italiane potrebbero
sparire. Per far posto alle città metropolitane. Che potrebbero
inglobare anche i territori di alcune province nascenti, che quindi non vedrebbero
mai la luce. Il pre-consiglio dei ministri di martedì, esaminerà
infatti il testo del Codice delle autonomie, che dovrebbe essere approvato nel
consiglio dei ministri di venerdì prossimo. Si tratta di un
provvedimento di 7 articoli con la delega al governo a emanare, entro un anno
dall'approvazione in Parlamento, i decreti legislativi delegati con la riforma
degli enti locali. Nascono 9 città metropolitane (Torino, Milano,
Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari) nelle Regioni a statuto ordinario,
ma il provvedimento prevede che lo stesso status giuridico possa essere
conferito dalle Regioni a statuto speciale ai rispettivi Comuni capoluogo. Per
un totale, dunque, di 14 città metropolitane nelle quali rimane il
Comune capoluogo ma sparisce la Provincia e, in qualche caso, anche le province
confinanti verrebbero riassorbite nel nuovo livello di governo.
IL DISEGNO DI LEGGE - Il provvedimento non
entra sulle questioni ordinamentali, che saranno oggetto dei decreti delegati:
nessun riferimento, quindi, alla riduzione del numero dei Consiglieri o degli
assessori. È previsto, invece, per contenere i costi della politica, che
le associazioni di piccoli Comuni saranno governate da sindaci e consiglieri
dei singoli Comuni senza dar vita a nuovi organismi di governo. Il ddl delega
all'esame del governo contiene anche un primo embrione di federalismo. Non
attua l'articolo 119 della costituzione, ma prevede norme transitorie verso un
riassetto federalista dello Stato. Saranno infatti assicurate risorse autonome
e stabili ai Comuni in relazione al trasferimento delle competenze.
18 dicembre 2006
Da Il Tempo 18-12-2006
La
Regione taglia gli stipendi
Ai consiglieri trecento euro in meno.
Addio alle missioni all’estero
di ALBERTO DI MAJO
LA COMMISSIONE bilancio della Regione taglia gli stipendi dei consiglieri e le
missioni all’estero. Ci sono volute dodici ore di discussione ma alla fine,
alle 3 del mattino di ieri, è stata approvata la finanziaria regionale.
I rappresentanti eletti alla Pisana non avranno più l’indennità
di carica, pari a trecento euro al mese. Nel 2007, inoltre, assessori e
consiglieri non potranno chiedere rimborsi per i viaggi all’estero. Esclusi da
quest’ultimo provvedimento il presidente della Regione, quello del Consiglio e
i rappresentanti che dovranno recarsi a Bruxelles. Ma non è tutto. Sono
stati dimezzati i fondi per i quaranta osservatori: da quello sui prezzi a
quelli sull’agricoltura e sul lavoro. In tutto i tagli alla spesa ammonteranno
a 200 milioni di euro. «È una scelta di austerità istituzionale -
commenta Daniele Fichera, capogruppo della Lista Marrazzo e membro della
Commissione - resa possibile anche dalla collaborazione dell’opposizione. Siamo
partiti dalla consapevolezza che un debito di dieci miliardi non è un problema
soltanto della maggioranza ma dell’intera istituzione». Le tasse resteranno
invariate ma, precisa ancora Fichera, «l’azzeramento del deficit entro il 2009
ci darà la possibilità di abbassare Irap e Irpef nel 2010». Il
confronto alla Pisana prenderà il via oggi stesso e prima di Natale
dovrebbe essere licenziata la legge. «La manovra - spiegano gli altri membri di
centrosinistra della Commissione, Mario Di Carlo, Enrico Fontana e Claudio
Mancini - comprende la valorizzazione del patrimonio Gepra anche attraverso
intese con Comuni e Province e un congelamento del 25% di tutti i capitoli di
spesa non inderogabili». Saranno anche cancellati gli enti inutili e accorpati
gli altri. Si cambia pure nella sanità. Si tornerà al sistema di
finanziamento per prestazioni delle strutture ospedaliere pubbliche, che
prevederà pure un fondo integrativo. Via libera a un piano regionale
triennale di investimenti di oltre cento milioni, cofinanziato con fondi
europei per l’innovazione tecnologica e la ricerca. In più saranno
adottate misure di risparmio energetico. Inoltre, nelle Asl ci saranno dei
responsabili dei bilanci: dirigenti già assunti dalle aziende che si
occuperanno di controllare i documenti economici per evitare, come negli ultimi
anni, che la spesa sia fuori controllo. L’assessore al Bilancio Luigi Nieri
precisa: «Con questa manovra finanziaria si procede ad operare un taglio agli
sprechi e ai costi della politica, si rafforzano le norme che puntano al
potenziamento del welfare e al rilancio dello sviluppo, si affronta in maniera
completa la questione della sanità del Lazio». Soddisfatto il presidente
Marrazzo: «La maggioranza della Regione si è dimostrata coesa nel
ribadire gli obiettivi principali di questa finanziaria: risanamento, equità
e sviluppo». L’opposizione tende la mano: «La riduzione degli stipendi è
un atto dovuto e un segnale anche al governo - sottolinea il capogruppo di
Forza Italia Alfredo Pallone - Nel dibattito in aula, tuttavia, dovremo
discutere su come s’intende ridurre la spesa farmaceutica, che si è
impennata negli ultimi due anni, e su come si può coprire il debito
della sanità. Penso comunque che se la maggioranza metterà da
parte questioni di carattere propagandistico riusciremo ad approvare il
documento prima di Natale».
La politica in
Abruzzo si deve "ripulire"
La "politica" in Abruzzo
è diventata un monopolio di una aristocrazia di politici di professione e
funzionari di partito che occupano tutti i posti di potere nei Comuni, nelle
Provincie e in Regione.
Questi hanno assunto la "gestione diretta" di beni e servizi primari
come l'acqua, la sanità, i rifiuti, i trasporti, l'edilizia privata,
pubblica e popolare, attraverso una pletora di Commissioni, Consorzi, Agenzie,
"Enti strumentali", "Società miste pubblico-private"
e Comitati di gestione: ASL, ATO, ACA, ACQUEDOTTO DEL RUZZO, CIRSU, CORSU,
AGENA, ARTA, ARPA, GTM, SANGRITANA, SAGA, APTR, ATR, ATER (ex IACP), ARET, FIRA
(Finanziaria Regionale), CIAPI, ADSU, COMUNITA' MONTANE, CONSORZI DI BONIFICA,
CONSORZI AGRARI, CONSORZI PER L'INDUSTRIALIZZAZIONE, AGENZIE DI SVILUPPO ecc.
ecc. ecc.
Interminabile è l'elenco di incarichi e consulenze, con stipendi, gettoni
di presenza, rimborsi, diarie e contributi a pioggia agli "amici degli
amici": i costi per i cittadini sono altissimi e non più
tollerabili, anche alla luce delle attuali vicende giudiziarie legate al
cosiddetto "modello Montesilvano", alla FIRA, al fallimento del
Pastificio Delverde, all'aumento delle tariffe autostradali, mentre galoppa
indisturbata l'aggressione all'ambiente e continua (con puntuali sanatorie
degli abusi e condoni edilizi) lo spreco di risorse a danno delle future
generazioni.
In tale situazione di totale assenza di controllo politico e amministrativo,
grave sul piano dei costi e della facile corruttibilità, si deve
affrontare concretamente la "questione morale", il funzionamento
degli Uffici Giudiziari, delle Procure e dei Tribunali, per una più
rapida, efficiente ed efficace Amministrazione della Giustizia, della
prevenzione e delle repressione dei reati, i quali (come sembra purtroppo
emergere dal rapporto dell'EURISPES sulla criminalità) non sono soltanto
quelli legati alla "cronaca nera" o alla criminalità comune,
ma anche quelli "non censiti e non denunciati" di carattere
amministrativo, edilizio, urbanistico e ambientale, quelli conseguenti ad abusi
di ufficio e di potere da parte di pubblici funzionari e ad omissioni di atti
di ufficio, associazione per delinquere in ambito della politica, del sistema e
del "sottobosco" dei partiti e dei loro satelliti.
Bisogna ripulire la politica, mettendo prima di tutto da parte quanti non siano
stati all'altezza della situazione, fallendo sul piano strategico e
dell'efficienza, senza mai assumersi la responsabilità del proprio
cattivo operato.
Pio Rapagnà
Da www.romagnaoggi.it (15-12-2006)
sei in news/Ravenna, data 15.12.2006,
orario 16:33.
RAVENNA
- Fronzoni (Lpr) punta il dito su consulenze, cda e collegi sindacati delle
società pubbliche
RAVENNA – “Ridurre i costi della politica:
da tanto se ne parla, ma poi le tentazioni politiche prevalgono sul risanamento
etico e degli eccessi di spesa e nonostante le costanti denunce di Corte dei
Conti e Ragioneria Generale dello Stato”. Lo afferma Federico Fronzoni,
consigliere comunale della Lista per Ravenna.
“Propongo allora un Codice Etico/Politico
di autoregolamentazione – prosegue Fronzoni -, un segnale concreto e
possibilmente condiviso nell’opera di risanamento dei costi della politica
applicata. Lo scenario in oggetto vede
il numero complessivo degli Amministratori di CdA e dei membri del Collegio
Sindacale in 86 (65 Amministratori + 21 Sindaci), delle società a
maggioranza pubblica dove Ravenna partecipa attivamente”.
“Il costo totale, comprensivo dei
consiglieri delle controllate di Hera (circa 60 società e per i quali
per pudore e sforzo immane non abbiamo il numero), ammonta a circa 5,6 milioni
di Euro per i CdA ed i Collegi Sindacali – spiega ancora il consigliere -. Solo
in Hera le Consulenze siano passate da 13.059.000 Euro nel
“Romagna Acque ha liquidità per
circa 90,5 milioni di Euro (circa i 2/3 del Bilancio del Comune di Ravenna),
investita in Titoli di Stato e altri titoli, per 77,8 milioni – prosegue
l’analisi del consigliere di Lpr -, e Depositi Bancari per 11,7 milioni. Tale
liquidità frutta alla società 3,5 milioni di proventi finanziari,
per poi andare a pagare 2,6 milioni di tasse, principalmente allo stesso Stato
al quale presta il denaro. In più la società riceve ogni anno
circa 4,6 milioni di Contributi Governativi Statali. Ha poi ottenuto il 2
Gennaio 2006 un finanziamento ventennale
di 20 milioni di Euro dalla Banca OPI Spa di Roma. E Sapir non è
da meno, con circa 10 milioni di Euro di liquidità investita, che
producono proventi finanziari a beneficio del bilancio”.
Da L’Espresso http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Pesca%20miracolosa/1438350
Pesca
miracolosa - a cura di Paolo Forcellini
La Regione Siciliana moltiplica i consorzi
per il ripopolamento ittico.
Sono scatole vuote senza uffici propri.
In compenso proliferano i commissari
straordinari e le relative indennità
Un mare di risorse
Ognuno dei 12 presidenti intasca 1.650
euro in più al mese, oltre allo stipendio di consigliere regionale
(circa 7 mila euro). Ogni vicepresidente ne riceve 770, ogni segretario 440.
Poi ci sono le spese di rappresentanza (in media 400 euro mensili) e quelle per
il personale distaccato (9.550 euro al mese per un massimo di sei dipendenti a
organismo): totale, 180 mila euro. Sono i conti delle 12 Commissioni speciali
della Regione Campania, mai abrogate benché tutti i partiti si dicano
scandalizzati per lo sperpero e un presidente Sdi e un vicepresidente della
Margherita si siano dimessi per sollecitarne la riorganizzazione. I dibattiti
sulla Risorsa Mare, sul Mediterraneo, sulla Condizione giovanile, costano 2,2
milioni all'anno. I componenti delle 12 Commissioni speciali (in pratica tutti
i consiglieri regionali) si sono riuniti in totale 315,8 ore.
M. F.
Per riuscire nel miracolo di moltiplicare
i pesci, la Regione siciliana sta intanto moltiplicando i consorzi per il
ripopolamento ittico. Fino all'anno scorso ne esistevano solamente tre: i primi
due nati nel lontano 1976, il terzo nel 1997. Finché, nel 2005, al governo presieduto
da Totò Cuffaro (Udc), non è venuto improvvisamente un colpo di
genio: consentire l'adesione ai consorzi non solo ai comuni costieri ma anche a
quelli dell'entroterra. Risultato: in pochi mesi ne sono stati costituiti altri
sette. I nuovi consorzi sono scatole vuote, senza neppure uffici propri. Al
momento hanno a disposizione giusto una scrivania e un telefono e vengono
ospitati alla meglio presso l'assessorato regionale alla Pesca. In compenso
sono stati nominati, con tanto di indennità, i relativi commissari
straordinari. Anzi, sono stati nominati due volte: una prima volta a marzo, una
seconda a settembre, quando in gran parte sono stati sostituiti. Tra le
eccezioni, tra coloro che hanno resistito sulla poltrona, spicca quella di
Silvio Marcello Cuffaro, guarda caso fratello del governatore Totò,
riconfermato alla guida del consorzio di ripopolamento ittico Agrigento 1. I
pesci, come l'intendenza, seguiranno.
A. Mo.
Quotidiani
locali su L'espresso
Da Il Centro http://www.ilcentro.quotidianiespresso.it/giornalilocali/index.jsp?s=ilcentro&l=primapagina
Ainis:
la politica costa troppo ma l’illegalità è nella società
Giuliana di Tanna
PESCARA. Per tagliare il nodo perverso che
lega la politica agli affari è necessario ridurre i costi della prima.
Ma per farlo è indispensabile ridurre il numero dei partiti con una
riforma della legge elettorale. E’ la ricetta di Michele Ainis.
Messinese, 51 anni, titolare della cattedra di istituzioni di diritto pubblico
all’università di Teramo, Ainis è anche un apprezzato
editorialista della Stampa. Il più recente dei suoi libri è «Vita
e morte di una costituzione. Una storia italiana» (Laterza), ma quello che,
forse, meglio sintetizza la sua posizione rispetto all’arbitrio nell’esercizio
dei poteri pubblici è «Se 50000 leggi vi sembran poche», edito da
Mondadori nel 1999. Ainis ha accettato di parlare con Il Centro del problema
della commistione dell’interessse privato nella gestione della cosa pubblica.
Professor Ainis, alla luce anche delle inchieste sulla Fira e
sull’amministrazione comunale di Montesilvano, qual è lo stato dell’arte
in Italia del rapporto fra politica e affari?
«L’etica pubblica è il fantasma della nostra vita collettiva.
L’atteggiamento generale è quello dell’indignazione rispetto agli affari
altrui senza, però, posare gli occhi sul proprio giardino. Invece, il
rapporto fra politica e affari è cosa che ci riguarda tutti e ci
costringe tutti a guardarci allo specchio. Poi, certo, ci sono problemi
strutturali. Ma il rapporto tra politica e affari dipende principalmente dai
costi della politica. E la politica, oggi in Italia, tende a costare sempre di
più, e ha bisogno di instaurare rapporti spesso opachi con chi scuce i
quattrini».
E’ quantificabile questo rapporto, in qualche maniera?
«Ho qui dei dati interessanti, molti dei quali si trovano nel prezioso libro di
Salvi e Villone, “Il costo della democrazia”, che è stato pubblicato
l’anno scorso. Ebbene, questi dati ci dicono che la politica in senso lato -
quindi, non solo il costo degli eletti ma anche quello dei loro consulenti e
familii - sfiora i 4 miliardi di euro, che è una tombola. E, sempre
secondo questi dati, la politica dà lavoro, oggi in Italia, a più
di 400 mila persone. Questo, dunque, è il costo della politica
italiana».
Qual è la causa principale di questa ipertrofia della politica?
«A quei dati aggiungerei una mia personale analisi. Il costo della politica
lievita perché abbiamo un numero eccessivo di partiti. Faccio un esempio: se
invito a cena tre amici, questi, anche se sono di appetito robusto, non mi
ripuliranno la dispensa, così come succederebbe se di amici ne invitassi
21, tanti quanti sono i partiti presenti oggi in Parlamento. Sicché, per
ridimensionare quei costi sono necessarie la semplificazione del sistema
politico e la riduzione del numero dei partiti: il Partito della
libertà, o come si chiama, da un lato; e il Partito democratico
dall’altro. Più un altro paio di formazioni minori. Ciò che
voglio dire è questo: la riduzione del numero dei partiti è una
condizione necessaria, ancorché non sufficiente, per tagliare il costo della
politica e, quindi, il nesso fra affari e politica».
Ci sono in Italia le condizioni storiche e culturali per pensare che questa
riduzione si possa attuare?
«Ci sono fattori culturali e storici che - è vero - lo rendono
difficile. Veniamo, comunque, sempre dall’Italia dei Comuni, dei Municipi. Ma
questa situazione è incentivata da una legge elettorale che favorisce la
proliferazione dei partiti. Tra i paradossi italiani c’è anche quello
che siamo un Paese che ha ben due partiti comunisti. Allora, siccome questi due
partiti devono pur trovare dei voti sono costretti a fare delle polemiche
furibonde fra di loro per marcare le loro identità politiche. Quel che
ci servirebbe, quindi, sarebbe una legge elettorale con una soglia di
sbarramento effettiva e con un premio di maggioranza da attribuire non alla
coalizione ma al partito più votato. Prendiamo l’esempio della legge
finanziaria attualmente in discussione alle Camere. E’ una finanziaria fatta da
una coalizione di nove partiti che vanno accontentati tutti e nove. E
così lievita la spesa. Si parla ogni tanto di tagliare gli enti inutili.
Ma questi enti sono utilissimi ai partiti che ci piazzano le loro persone.
Insomma, da questo problema non se ne esce senza ridurre il numero dei partiti.
E il primo passo da fare è cambiare la legge elettorale».
C’è chi davanti all’insorgenza di nuovi scandali invoca la
necessità di nuove norme, di altre regole: è un rimedio utile?
«Il fatto che abbiamo circa 50 mila leggi in vigore, di molte delle quali non
sospettiamo neppure l’esistenza, dovrebbe consigliare prudenza su questa
materia. Questo eccesso di regole, in realtà, rende sregolata l’azione
pubblica. Chi ha il potere di decidere troverà sempre un pezzo di norma
a cui appoggiarsi rispetto a una cosa che ha fatto oppure non ha fatto. E’ fisiologico
che un giudice debba interpretare una legge e che per farlo abbia una sua
discrezionalità che non si può sopprimere. Ma il paradosso
italiano è che la discrezionalità dei giudici non si esprime solo
nell’interpretazione della norma ma anche nel decidere quale norma applicare.
L’eccesso di norme, infatti, porta a un eccesso di discrezionalità del
giudice e di chi detiene un potere. Manzoni diceva: le grida son tante e il
dottore non è un oca. Fra tutte queste norme che abbiamo - per lo
più inutili - ne manca una importantissima che c’è invece negli
Stati Uniti e che potrebbe rendere più trasparente il rapporto tra
politica e affari».
Quale?
«E’ la legge sulle lobby. In Italia non abbiamo alcuna disciplina delle lobby.
In America i lobbisti sono presenti a Washington e hanno anche dei distintivi,
per cui si capisce quali sono gli interessi che rappresentano. Qui da noi tutto
avviene nei corridoi, in maniera clandestina».
E a chi invoca l’esigenza di una rinascita morale della classe politica cosa
risponde? E’ un rimedio utile, praticabile?
«Rispondo che la tensione etica, così come la tensione erotica, non
può durare a lungo (ride). Anche i Girotondi sono passati dopo l’onda
montante, e ora siamo in una fase di riflusso. Ma è normale che sia
così. E’ un errore accreditare l’immagine di una società virtuosa
contrapposta a un Palazzo vizioso. I fenomeni di illegalità, infatti,
attraversano la società italiana. Se è vero che il “sommerso”
copre un terzo del nostro Pil; se è vero che le case abusive sono
diffusissime (nel Lazio ne sono state calcolate un paio per ogni chilometro
sulla costa); se è vero, come risulta da una denuncia di Legambiente,
che nei parchi abruzzesi la caccia di frodo ha avuto un’impennata negli ultimi
anni; se è vero che l’ultimo rapporto di Transparency International ci
mette nella penultima posizione in Europa nella classifica a rovescio della
corruzione pubblica e privata e al 45º posto nel mondo: si capisce,
quindi, che il problema della corruzione non riguarda solo la politica ma la
società italiana nel suo complesso».
(14 dicembre 2006)
Dal Corriere
della Sera 12 dic 19:20 Finanziaria: Rame, "Grave se tolto emendamento su
costi politica"
ROMA - ''Sarebbe grave se gli emendamenti riguardanti
la riduzione dei costi della politica non fossero inseriti nel maxi
emendamento''. Lo ha dichiarato la senatrice Franca Rame dell'Italia dei Valori
commentando la Finanziaria. ''Abbiamo raccolto voci - spiega la senatrice
moglie del premio nobel Dario Fo - che il Governo sarebbe intenzionato a non
includere nel maxi emendamento le proposte presentati dall'Italia dei Valori.
Una battaglia intrapresa con determinazione e che non intendiamo mollare
poiche', siamo certi, la moralizzazione di tutta la politica italiana passa,
innanzitutto, da una sostanziale riduzione e razionalizzazione delle spese
della politica''. (Agr)
Da Vivi Enna – 11-12-2006 - La Favola di
Enna
Enna 11/12/06 – Riceviamo la seguente
lettera, di cui la redazione conosce il mittente, e avendola trovata
“simpatica” si è deciso di pubblicarne il contenuto:
“C’era una volta, molti anni fa, un paese incantato, nascosto tra le nuvole,
dove la gente viveva felice, un paese pulito, pieno di fiori, dove tutti
lavoravano. Il Castellano organizzava delle splendide feste per i suoi sudditi
all’interno del castello e la gente arrivava da ogni dove, ammirata da tanta
bellezza, partecipando con gioia a tutti gli eventi; gli abitanti erano felici
che chiunque arrivasse restava incantato dalle bellezze del loro paese e, si
fermava per giorni, durante il periodo estivo, per respirare quell’aria fresca
che nella calura circostante rappresentava un’oasi di pace e di
serenità.
Ai piedi di questo paese vi era un lago splendido dove si poteva bagnarsi,
andare in giro sulle barche e, in autunno, anche cacciare; intorno vi era un
anello dove splendide auto potevano correre ed i loro piloti, uomini pieni di
fascino, facevano sognare le giovani donne durante lunghe serate in cui si
danzava.
Ma tanta bellezza, non poteva essere accettata dagli uomini malvagi che
vivevano nascosti nelle grotte intorno al paese; questi, un giorno, si
riunirono e decisero distruggere il paese, così cominciarono con
l’abbattere i palazzi più belli, costruendo al loro posto fabbricati
senza senso dalle forme e dai colori più orribili, le ricche miniere che
permettevano agli abitanti di lavorare furono chiuse e (forse) riempite di
materiale radioattivo che ha portato morte tra gli uomini.
Non fecero più correre sulla pista del lago quei corridori che tanto
avevano fatto sognare tutte le donne. Lo stesso lago decise di ritirarsi perché
gli uomini malvagi cominciarono a bere le sue acque e, non ci furono più
barche a solcarlo, niente più bagnanti sulle sue spiagge. Intorno fu eretto
un grande casermone di cemento per limitarne la splendida vista.
Niente più fiori nel belvedere e lungo le vie del paese, i giardinieri
sparirono dalle ville, i turisti indignati dal traffico e dalla sporcizia non
si fermarono più ad ammirare i monumenti del paese, così gli
uomini malvagi erano sempre più soddisfatti.
Il povero Castellano non riusciva a darsi pace, anche le sue splendide feste
furono bloccate ed al posto del palcoscenico dove i migliori artisti si erano
esibiti, vi furono soltanto macerie, il bosco all’interno del castello fu
invaso da immondizie e solo i cani randagi potevano aggirarsi.
Ma nonostante tanta distruzione, gli uomini malvagi non erano ancora
completamente soddisfatti, e così, senza alcuno scrupolo, decisero di
spartirsi, terreni, palazzi, alberghi e tutto quanto potevano, impoverendo
sempre di più i cittadini.
L’ultimo dei Castellani, cercò di arginare tanto male, controllava tutte
le spese per evitare che il suo popolo diventasse sempre più povero,
cercò di ricostruire quello che era stato distrutto.
Nel lontano 1999 limitò anche i costi della politica, fissandoli in
219.000 euro e, chi fra i suoi cavalieri osava ribellarsi veniva subito
scacciato dal suo castello.
Ma gli uomini malvagi non potevano accettare che vi fosse ancora un castellano
innamorato del suo paese e, così lo scacciarono dal castello con la
forza, aumentarono tutte le spese ed impoverirono sempre di più il
popolo che si ritrovò a non avere più nulla, niente servizi
pubblici, niente TELECOM, niente ENEL, niente POSTA, niente più feste,
niente teatro, niente cinema, niente di niente. Neanche più l’aria pura
!.
Anche il costo della politica, nel giro di pochi anni, aumentò
vertiginosamente e raggiunse i 731.000 euro; tutti i nuovi cavalieri al
servizio degli uomini malvagi che si erano impossessati del paese, chiedevano
sempre di più e sempre di più gli veniva dato per tenerli buoni e
permettere agli uomini malvagi di impossessarsi di quanto restava ancora di
buono.
I cavalieri costruirono parchi gioco inutili, sotto le rocce dove nessun
bambino vi avrebbe mai giocato, ma il cui costo era così elevato da
interessarne la realizzazione, rifecero vie e piazze con la sabbia in modo che
si distruggessero subito, bloccarono qualsiasi attività dei privati.
Realizzarono un’Università che invece di allocarla al centro del paese
per farlo rivivere, la ubicarono nei luoghi ove avevano acquistato palazzi e
terreni, per arricchirsi sempre di più; ed il CONTROLLO fu TOTALE.
Oggi i cittadini di quel paese, obbligati a viverci, non hanno più
niente, gli anziani possono vivere solo di ricordi i giovani neanche di quelli,
ma tutti sono costretti a pagare solo TASSE e non avere niente in cambio.
Inserita il
11/12/2006 alle 14:37:46
Da www.viterbocitta.it (5-12-06)
Viterbo
- Provincia : Politica. Bigiotti (Udc) : "Troppi soldi sprecati alla
Provincia"
Ho voluto investire un po’ di tempo per
fare dei calcoli e, con non troppo sorpresa, ho verificato quanto, ormai da
tempo, vado ipotizzando. I costi della politica, per l’amministrazione Mazzoli,
non sono evidentemente un problema. Si spendono Ottocentocinquantamila euro
ogni anno in più rispetto al passato, solo per i costi che derivano
dall’istituzione dei due nuovi assessorati e dall’incarico DG ! Veramente
intollerabile!
Questa dissennata politica amministrativa rende ancora più difficile il
raggiungimento dello stato di virtuosismo che dovrebbe sancire il rientro
all’interno dei parametri del Patto di Stabilità, disastro su disastro!
Non finisce qui, invece di contenere le spese, è stato aumentato anche
il numero delle commissioni consiliari ed ora sono otto ed ognuna di queste
commissioni costa, costa molto cara; anche in considerazione del fatto che il
lavoro che queste svolgono potrebbe essere tranquillamente sostenuto da quattro
al massimo sei commissioni. Il risparmio è una cosa che non si vuole
prendere in considerazione. Potrei tranquillamente ricordare decine di
provvedimenti “sperpera soldi” (esternalizzazione servizio riscossione evasione
Tosap, incarico all’Università per la formazione, pagamento cena CGIL
per 30 milioni, studi di fattibilità per progetti che, già si sa,
non si potranno mai realizzare, etc. etc.). Chi più ne ha più ne
metta, potremmo andare avanti per ore.
Credo che sia importante informare i cittadini di dove vanno i loro soldi, per
questo ogni qualvolta avrò consapevolezza di “spese evitabili”, da oggi
in poi, ne darò informazione alla stampa e questo per doveroso e proficuo
spirito d’informazione.
Un’ultima considerazione mi sembra doverosa, poiché non dobbiamo scordarci che
18 cantieristi stanno per perdere il lavoro, per mancanza di risorse
finanziarie, anche a causa di questa politica di “sperpero”.
Tutti noi vogliamo la “Pace”, ci mancherebbe altro, ma se riuscissimo a
tagliare un po’ di soldi che vengono spesi per i viaggi e le manifestazioni per
la “Pace”, sicuramente riusciremo ad assicurare, anche ai nostri lavoratori dei
cantieri scuola, un dignitoso Natale di “Pace”!!
Francesco Bigiotti Capogruppo UDC
Da L’Espresso – Repubblica Locale
4-12-2006
Enti
regionali, giro di vite su costi e dirigenti – di Berardino Santilli
La giunta chiede nuovi tagli. Quelli
già fatti hanno fruttato 1 milione di euro
L’AQU
L’iniziativa prevede una profonda riforma degli enti, a partire dalla
Finanziaria regionale (Fira), al centro del grave caso giudiziario che ha
portato all’arresto dell’ex presidente, Giancarlo Masciarelli, e di altre 10
persone; riforma che proseguirà con altri enti strumentali: le agenzie
per l’edilizia pubblica Ater e Aret, l’agenzia di promozione turistica Aptr, l’agenzia
regionale per l’ambiente Arta ed anche per le Asl. Per queste ultime potrebbe
esserci una riduzione da sei a quattro Asl, in concomitanza con l’entrata un
funzione delle due aziende ospedaliero universitarie dell’Aquila e di Chieti,
dove sono in funzione i due poli universitari.
Ed ancora le aziende di trasporto Gtm, Arpa e Sangritana, per le quali
c’è un progetto di accorpamento. Il ridimensionamento riguarderà
anche enti ed aziende minori, anche poco conosciute. Per alcuni Cda potrebbe
esserci anche la cancellazione totale, non solo il ridimensionamento del numero
dei componenti.
L’acquisizione dei documenti è cominciata da tempo e l’analisi
porterà a stabilire la portata del risparmio che al momento non è
ipotizzabile. Sulla lente di ingrandimento però ci saranno sprechi e
doppioni. L’annuncio è stato fatto dal presidente della giunta
regionale, Ottaviano del Turco, nel corso di una riunione di concertazione con
sindacati e forze sociali sul Bilancio e la Finanziaria regionale 2007. «Entro
90 giorni», ha detto Del Turco, «taglieremo ancora le spese degli enti
strumentali, il recupero non inciderà sul bilancio regionale, ma
comunque sarà un messaggio politico straordinario». Per il segretario
generale della presidenza della Giunta, Lamberto Quarta, si tratta della
prosecuzione di un discorso già avviato con il risparmio di circa un
milione di euro ottenuto con il taglio dei compensi per i componenti dei Cda
«che abbiamo parametrato a criteri omogenei in relazione alla valenza
territoriale, provinciale e regionale». «Abbiamo iniziato la ricognizione che
ci darà un quadro per attuare una riforma che prevede riduzioni di
costi, tagli ed eliminazione di strutture e di Cda», spiega Lamberto Quarta,
«sarà un segnale di rigore e serietà. Le Asl? Superata questa
fase legata al piano di rientro, alla razionalizzazione delle rete ospedaliera,
con l’entrata in funzione delle due aziende ospedaliero universitarie
dell’Aquila e Chieti, il numero potrebbe essere ridotto a quattro».
(04 dicembre 2006)
Da Il Giornale 4-12-2006
Regione, tagli a geometria variabile -
di Antonella Aldrighetti -
La manovra laziale stringe la cinghia ai
cittadini ma regala 60 milioni di euro in più alla presidenza di giunta
La messa in moto della macchina amministrativa regionale nel 2007
costerà 60 milioni di euro in più rispetto al 2006: le
attività complessive della presidenza di giunta lievitano da
Le anticipazioni all'economo di giunta
invece passano da 450mila a 615mila euro. Ma la fetta più consistente
del budget dedicato alle attività della presidenza se la guadagna il
fattore comunicazione. Le attività di promozione e comunicazione della
Regione praticamente raddoppiano: da quattro milioni e 300mila euro del 2006
passano a otto milioni e 79mila. E il pallino della divulgazione di notizie investe
pure l'Ufficio relazioni con il pubblico e la comunicazione interna agli uffici
per i quali la giunta di centrosinistra sceglie di investire per il prossimo
anno sette milioni e 286mila euro a fronte dei quattro milioni e 315mila
dell'anno in corso. Insomma a occhio e croce le cifre fin qui sciorinate hanno
totalizzato 20 milioni e 225mila euro quando invece nel 2006 si attestavano a
«soli» undici milioni e 550mila euro. Certo è che, a rimpinguare
l'ammontare 2007, hanno dato una bella mano anche le risorse impegnate per il
monitoraggio della spesa sanitaria, il cosiddetto «cruscotto» voluto dal
governatore Marrazzo come strumento principe della razionalizzazione sanitaria
che per due milioni di euro avrebbe dovuto funzionare da «dissuasore degli sprechi».
Quei due milioni però non sono stati spesi perché spulciando i capitoli
di bilancio si ritrovano nei residui. Cosicché si impone la scelta di
impegnarli di nuovo per il medesimo motivo: per il 2007 il «cruscotto»
costerà 4milioni. Tra le voci di spesa deputate alla presidenza Marrazzo
vanno annoverate pure quelle della «parsimonia» destinate al consiglio
regionale dove i costi, tra l'anno in corso e il prossimo non subiscono grossi
scostamenti: si mantengono infatti sui 63milioni di euro. Qualche incremento si
nota nel budget per le indennità di carica e di missione destinato ai
consiglieri regionali e agli assessori non componenti il consiglio che passa da
Da La Stampa 2-12-2006
Il Cavaliere, la piazza e il governo di LUCA
RICOLFI
Oggi i partiti di centro-destra, con la
sola eccezione dell’Udc, scendono in piazza contro la Finanziaria e la politica
del governo. I motivi di protesta non mancano, e molti di essi sono tutt’altro
che peregrini: la Finanziaria 2007 non solo è impopolare (come tutte le
Finanziarie che aumentano le tasse) ma è oggetto di severe critiche da
parte della maggior parte degli studiosi indipendenti, che a Prodi e ai suoi
ministri rivolgono soprattutto tre imbarazzanti domande: perché, anziché
avviare subito le riforme strutturali che contano, avete deciso di infierire
sui contribuenti? Che cosa vi fa pensare che il giro di vite fiscale non
finirà - come al solito - per gravare sui ceti e le regioni che
già pagano troppe tasse? Siete sicuri che la stangata fiscale non
azzopperà il già incerto cavallo della crescita?
La protesta di oggi ha dunque i suoi motivi, e molti di essi sono più
che ragionevoli. E tuttavia... Tuttavia c’è una domanda che
richiederebbe una risposta chiara da parte di Berlusconi e degli altri leader
che oggi guideranno la protesta di piazza. La domanda è questa: se oggi,
domani, o dopodomani al governo ci foste voi, che cosa fareste? Non faccio
questa domanda per ricordare la solita verità, ossia che è
più facile protestare che governare, ma per due ragioni di tutt’altro
genere. La prima è che, a meno di un prodigioso cambiamento del clima
d’opinione, al prossimo giro il governo ritoccherà alla destra: ci
farebbe quindi piacere sapere quel che ci attende.
La seconda ragione è che, se non ci sono idee nuove, se la politica
economica e sociale della destra sarà quella cui abbiamo assistito in
questi anni, quel che realisticamente possiamo attenderci è destinato a
somigliare molto a quel che Prodi sta facendo. Ecco qualche esempio. Spesa
pubblica. Il suo peso rispetto al Pil è sempre aumentato, dai tempi del
governo Amato (2000-2001) sino ad oggi. Negli ultimi tempi c’è un modesto
sforzo di contenimento delle spese delle amministrazioni centrali, ma si tratta
di qualcosa che accomuna le ultime due finanziarie, quella del 2006 (Tremonti)
e quella del 2007 (Padoa-Schioppa). Chi ci dice che, tornando al governo, la
destra sarà meno spendacciona di quanto è stata negli anni in cui
ha governato? Tasse. La pressione fiscale è lievemente diminuita nei
primi quattro anni della scorsa legislatura, ma nel 2006 - ultimo anno in
carico al governo di centro-destra - è tornata ai livelli cui Berlusconi
l’aveva trovata. La promessa di «abbattere la pressione fiscale» non è
stata mantenuta.
Conti pubblici. Complessivamente li ha governati meglio il centro-sinistra dal
1996 al 2001 che il centro-destra dal 2001 al 2006, ma negli ultimi due anni
Tremonti e Padoa-Schioppa hanno entrambi aumentato sia le tasse sia la spesa.
Forse quest’anno Tremonti avrebbe avuto la mano un po’ più leggera del
suo successore, ma è pura propaganda raccontare che l’aggiustamento
sarebbe stato di soli 10 o 15 miliardi di euro: se c’è un filo conduttore
nella politica economica del governo di centro-destra è che le «risorse»
per infrastrutture e partito della spesa sono sempre state trovate.
Liberalizzazioni. Non è chiaro se il centro-destra ce l’ha con Prodi
perché sta liberalizzando troppo poco, o perché lo sta facendo fin troppo. A
giudicare dalla scorsa legislatura le liberalizzazioni non sono una
priorità del centro-destra, e a giudicare da questo scorcio della nuova
legislatura non lo sono nemmeno per il centro-sinistra.
Riforme strutturali. Se si eccettua la riforma del mercato del lavoro (su cui
dal
Differenze ce ne sono. Ad esempio, per molti aspetti la destra ha meno rispetto
per le istituzioni (leggi ad personam), la sinistra per i cittadini
(onnipresenza della regolazione statale). Ma il punto è che, con le
informazioni attuali, non è realistico prevedere che, una volta tornata
al governo, la destra cambierebbe rotta e avvierebbe quella stagione di riforme
coraggiose di cui tanti invocano la necessità. Non ha avuto la
volontà o la capacità o la forza di farlo nella scorsa
legislatura, non si vede perché dovremmo credere che l'avrebbe nella prossima.
Astenendosi da qualsiasi autocritica sul suo recente passato, la destra non
fornisce alcun motivo razionale per pensare che, tornando al governo (magari
senza Berlusconi), riuscirebbe a fare quel che la sinistra - per ora - si
mostra incapace di fare, ossia liberalizzazioni, riforme e riduzione delle
aliquote. E non lo fornisce perché l’unico motivo che risulterebbe credibile di
fronte agli elettori sarebbe un’analisi spietata delle ragioni per cui nessuno,
in questo paese, riesce a fare quel che (quasi) tutti dicono che andrebbe
fatto.
Da www.lamescolanza.com 4-12-2006 L'Espresso 1-12-06 - La
giungla dei privilegi
Stipendi folli, auto blu, biglietti
gratis, poltrone assicurate, bonus faraonici. Dai politici ai manager, dai
religiosi ai sindacalisti, tutti i benefici-scandalo. Che gli italiani vedono
crescere sempre di più
Ancora di più. Le caste dei diritti
acquisiti non si arrendono e continuano a fare incetta di nuovi privilegi.
C'è chi si muove personalmente, con modi tra il piratesco e
l'autoritario. E chi marcia compatto nei ranghi delle corporazioni, unica
istituzione che sopravvive allo sfascio di partiti e pubblica moralità.
Ma tutti puntano a un solo obiettivo: ritagliarsi quell'orticello di vantaggi
protetti, svincolati da meriti e risultati. Un po' per interesse, spinti dalla
brama di guadagni sicuri; un po' per la voglia di emergere ostentando status
symbol come l'auto blu; un po' per una mai sopita vocazione da hidalgo che fa
sentire superiori ai comuni mortali e all'obbligo di pagare biglietti. Certo:
il vizio è atavico. Ed è sopravvissuto a ogni rivoluzione egualitaria,
a ogni processo di razionalizzazione, a ogni ondata di modernità e
moralità: particolarismo, egoismo e protezionismo; la sacra
trinità di una passione italica immortale. Che nessuna crisi e nessuna
stretta riesce a sconfiggere. Anzi, come dimostra il sondaggio Swg realizzato
per conto de 'L'espresso', la maggioranza degli italiani è convinta che
il fronte dei 'lei non sa chi sono io' stia costantemente crescendo. E non si
illude di sconfiggerli: per la metà degli intervistati nessuno
può far arretrare i sistemisti del benefit a spese altrui. Solo un terzo
ritiene che il premier Romano Prodi possa scendere in campo con successo contro
il dilagare dei cavalieri dell'indennità facile e ancora meno (il 14 per
cento) ripone fiducia nelle capacità del suo predecessore Silvio
Berlusconi: insomma, per il 49 per cento entrambi sono impotenti.
Intanto però il bestiario si arricchisce di nuove figure: di baroni del
posto nepotista che assieme alle università colonizzano anche il futuro
del Paese, di procacciatori di prebende federaliste che proliferano nelle
regioni, di speculatori squattrinati che vivono da nababbi sulle spalle del
risparmiatore. Ne studiano tante e così velocemente da spiazzare la
popolazione. Perché le indennità record dei parlamentari, le lunghe
vacanze di molti magistrati, i posti prioritari dei figli di boiardi sono
vantaggi che tutti comprendono e tutti indignano. Mentre il top manager che con
un investimento minimo sale al timone di una holding quotata a piazza Affari e
si riempie le tasche di stock option riesce a sottrarsi all'ira delle masse.
Come fa? Sfrutta l'ignoranza e la diffidenza per la Borsa: il sondaggio
realizzato da 'L'espresso' dimostra che quattro italiani su dieci non sanno
cosa siano le stock option e quindi non le vivono come un privilegio. Forse se
si rendessero conto che con questo escamotage finanziario una pattuglia di
capitani d'industria porta a casa milioni di euro extra, allora rivedrebbero le
loro hit parade. Che oggi restano molto convenzionali. Al primo posto tra i
benefici che provocano irritazione ci sono gli stipendi dei politici: detestati
dall'83 per cento degli italiani, con una quota che sale fino al 94 tra gli
elettori del centrodestra e scende all'80 tra quelli dell'Unione. Seguono le
paghe dei manager pubblici, da sempre sospettati di inefficenza e
lottizzazione, invisi al 73 per cento del campione. Infine i vantaggi diretti,
la Bengodi delle auto di servizio, dei passaggi gratis in aereo e dei pranzi a
ufo di cui approfittano tante categorie tra il pubblico e il privato: il 72 per
cento li vorrebbe cancellare. Molte volte ci sono anche luoghi comuni,
difficili da sfatare: l'ondata di baby pensionati nelle amministrazioni statali
ha creato una massa di invidia e malcontento consolidati nel 58 per cento. La
stessa premessa vale per le ferie lunghe che vengono attribuite a insegnanti e
magistrati, il segno di una scarsa considerazione nella produttività
delle due categorie. Quello che invece finisce nel conto di manager privati non
sorprende più di tanto e non sembra scatenare sentimenti particolarmente
negativi.
In generale, il disgusto per questa corsa al tesserino e al piedistallo lascia
spazio a una grande rassegnazione. No, la speranza non viene né dai politici,
né dai sindacati, percepiti anzi come alfieri del beneficio garantito:
c'è il sogno della rivolta di base, animata dalle associazioni dei
cittadini (31 per cento) e magari mobilitata da un ruolo più pungente
dei mass media (28). Perché il privilegio si allarga e contagia nuove
categorie, tutte avide di ritagliarsi una fettina di onnipotenza. Pubblico,
privato; laici e cattolici; guardie e ladri; tutti uniti nel difendere la loro
isoletta dorata.
Camere a cinque stelle
Stipendi smisurati e una vita spesata, questo è il bello del
rappresentare i cittadini. Forse troppo, tanto che, come dimostra il sondaggio
Swg per 'L'espresso', gli italiani sarebbero felici di limare questo
montepremi. Già, perché deputati e senatori incassano ogni mese
più di 14 mila euro tra indennità, diaria e rimborsi vari. Allo
stipendio di 5 mila e 500 euro bisogna aggiungere il rimborso di 4 mila euro
per il soggiorno a Roma e altre 4 mila e 200 euro per 'le spese inerenti il
rapporto tra il deputato e l'elettore'. Al Senato questa voce è
aumentata di circa 500 euro al mese. Poi c'è il capitolo trasporti: il
parlamentare si muove come l'aria nel territorio nazionale. Infila la porta del
telepass in autostrada senza ricevere nessun estratto conto, al check-in prende
posto in business senza mettere mano al portafoglio e all'imbarco del traghetto
non fa fila né biglietto. E i taxi? Niente paura. È previsto un rimborso
trimestrale pari a 3 mila e 300 euro. Mentre per i deputati che abitano a
più di cento chilometri dall'aeroporto più vicino, il rimborso
sale a 4 mila euro. L'angelo custode del bonus non abbandona il parlamentare
nemmeno quando varca i confini nazionali per 'ragioni di studio o connesse alla
sua attività': gli spettano fino a 3.100 euro all'anno. Per avere
un'idea del costo degli 'onorevoli viaggi' basti un dato: i soli deputati nel
2005 sono costati alla collettività 40 milioni. Non paga nemmeno il
telefono, fisso o mobile, fino a una bolletta massima di 3.100 euro. E ha
diritto a un computer portatile e alla fine della legislatura (per tutelare la
riservatezza dei dati) può tenerselo.
Di tutti i privilegi, però quello che costa di più è il
dopo. Ossia il trattamento pensionistico. Deputati e senatori, anche se in
carica per una sola legislatura, maturano il diritto a una pensione
straordinaria. Si chiama vitalizio e dovrebbe maturare al compimento
dell'età di 65 anni. In realtà, se ha fatto più
legislature il deputato, come un lavoratore usurato, può andare in
pensione a 60 anni (che scendono a 50 per quelli delle precedenti legislature).
Il vitalizio varia da un minimo del 25 per cento dell'indennità (2.500
euro circa) per chi ha versato solo i canonici cinque anni di contributi della
singola legislatura. Ma arriva fino a un massimo dell'80 per cento
dell'indennità per chi ha più legislature alle spalle. Comunque,
per maturare il diritto alla pensione non è necessario restare in carica
cinque anni. In passato bastavano pochi giorni. Ora ci vogliono due anni, sei
mesi e un giorno. E gli eletti dal popolo contano doppio: possono sommare la
pensione dovuta per la loro attività professionale a quella ottenuta per
rappresentare i cittadini. La liquidazione parlamentare, poi, non è meno
regale: 80 per cento dell'indennità moltiplicato per gli anni della
legislatura, ossia minimo 35 mila euro.
Ottimi Consiglieri
Evviva il federalismo, evviva le regioni: ogni capoluogo si sente capitale,
ogni assemblea vuole imitare Montecitorio. Ma che bel mestiere fare il
consigliere: Lombardia, Lazio, Abruzzo, Emilia Romagna, Calabria gli
elargiscono il 65 per cento del compenso riconosciuto al deputato. E più
si sentono autonomi, più si premiano. I sardi, infatti portano a casa
l'80 per cento dell'indennità nazionale a cui vanno aggiunte tutte le
voci previste alla Camera: la diaria, i rimborsi, la segreteria. A conti fatti
si superano i 10 mila euro. E non è finita qui. I consiglieri isolani
hanno inventato anche i fondi per i gruppi: 2 mila e 500 euro per ogni
consigliere più altri 5 mila al gruppo di almeno cinque persone.
Inoltre, quando sono a Roma, hanno diritto a un auto blu con autista.
In passato la Sardegna si distingueva anche per le sue generose buonuscite: 117
mila euro per consigliere. La chiamavano 'indennità di reinserimento',
come si fa con i tossici usciti da San Patrignano. Ora è stata ridotta a
48 mila euro, speriamo che non ricadano nel vizio. Quella del reinserimento
è una moda diffusa. Il Molise ha appena varato un sostanzioso
"premio di reinserimento nelle proprie attività di lavoro" a
tutti i consiglieri trombati o non ricandidati: così l'onorevole Aldo
Patricello dell'Udc, dimessosi per diventare europarlamentare, si prende
più di 72.700 euro ed è primo della speciale classifica, al pari
dei diessini Nicolino D'Ascanio (attuale presidente della Provincia di
Campobasso) e Antonio D'Ambrosio e a Italo Di Sabato di Rifondazione. Ai
privilegi infatti ci si affeziona. L'ex governatore pugliese Raffaele Fitto di
Forza Italia aveva ottenuto l'auto blu per alleviare i primi cinque anni senza
carica. La delibera è stata cambiata dopo le contestazioni, ma la giunta
di sinistra non si è dimenticata degli ex: le pensioni sono state
ritoccate. Al rialzo. Perché in Puglia il benefit è ecumenico: anche
alcune delle 19 Lancia Thesis noleggiate dalla Regione sono a disposizione dei
12 assessori uscenti.
Le strade del bonus sono infinite. Un'altra veste giuridica per coprire
l'ennesima erogazione va sotto il nome di indennità di funzione per i
vertici di giunte e commissioni su misura. Per questo ogni giorno ne nasce una
nuova. La Campania deteneva il record nazionale: l'anno scorso le commissioni
erano 18. Ognuno dei presidenti intasca 1.650 euro in più al mese, oltre
allo stipendio di consigliere regionale (circa 7 mila euro). Poi ci sono le
spese di rappresentanza (in media 400 euro mensili) e quelle per il personale
distaccato (9.550 euro al mese per un massimo di sei dipendenti a organismo):
totale, 180 mila euro. La settimana scorsa, dopo un'ondata di indignazione, la
Regione ne ha abrogate sei. Ma dal 2000 al 2005 le indennità dei
consiglieri sono passate da 18 milioni a 30 milioni di euro all'anno mentre i
benefit sono saliti da
Vizi privati
I bilanci aziendali grondano utili e il titolo vola in Borsa? Complimenti ai
manager: si meritano un bell'aumento di stipendio. Profitti in calo e
quotazioni in ribasso? La musica non cambia: i compensi di amministratori
delegati e direttori generali crescono comunque. In Italia, quasi sempre,
funziona così. Le retribuzioni dei massimi dirigenti delle
società quotate in Borsa si muovono a senso unico: verso l'alto. Stock
option, bonus o incentivi vari corrono a gran velocità se l'azienda fa
faville. In caso contrario aumentano più lentamente, ma aumentano
comunque. Prendiamo l'esempio di Mediaset. L'anno scorso il titolo ha perso lo
0,3 per cento e gli utili sono aumentati del 9 per cento. Difficile definirla
una performance brillante. Eppure il presidente Fedele Confalonieri ha visto
raddoppiare il suo compenso a 4,7 milioni grazie anche a un bonus di 2 milioni.
Telecom Italia, che ha chiuso l'ultimo esercizio con utili di gruppo in aumento
del 77 per cento, ha invece deluso in Borsa con un calo del 17,6 per cento tra
gennaio e dicembre del 2005. Insomma, per i soci c'è poco da
festeggiare, ma i compensi del presidente (dimissionario dal 15 settembre
scorso) Marco Tronchetti Provera sono comunque aumentati del 66 per cento: da
Se non bastassero premi e incentivi vari, i manager italiani sono riusciti a
cavalcare alla grande anche il gran rialzo di Borsa che dura ormai da quasi tre
anni. Come? Grazie alle stock option, cioè le azioni a prezzi di favore
assegnate ai manager come forma di retribuzione. Con la riforma fiscale varata
dal governo in piena estate questo strumento è diventato molto meno
conveniente per i dirigenti, obbligati a inserire nella dichiarazione dei
redditi i guadagni derivanti dall'esercizio delle opzioni. Nel frattempo,
però, qualcuno era già passato alla cassa. Ai primi posti nella
speciale classifica dei super compensi da stock option troviamo così un
paio di banchieri protagonisti di grandi operazioni societarie varate in questi
mesi. Corrado Passera di Banca Intesa, prossima sposa di Sanpaolo Imi, ha
guadagnato 9,9 milioni e poi li ha reinvestiti in titoli del suo istituto.
Scelta quanto mai azzeccata, visto che dall'inizio del 2006 le quotazioni di
Banca Intesa sono cresciute del 25 per cento. Anche Giampiero Auletta Armenise
numero uno di Bpu (Banche Popolari Unite) si prepara alla prossima fusione con
Banca Lombarda forte di un guadagno extra di 7,5 milioni realizzato nel 2005
grazie alle sue stock option.
Il gran rialzo del listino azionario ha finito per creare anche un altro gruppo
di privilegiati. Banchieri, avvocati, consulenti d'immagine e pubblicitari:
sono loro i veri vincitori della grande lotteria delle matricole di Borsa. Una
febbre da quotazione che ha portato sul listino una ventina di nuove
società negli ultimi mesi, coinvolgendo migliaia e migliaia di
risparmiatori. Solo che gli investitori si sono presi il rischio di bidoni e
ribassi. I banchieri invece guadagnano comunque. Come è puntualmente
successo anche per lo sbarco in Borsa della Saras, l'azienda petrolifera della
famiglia Moratti. L'operazione ha fruttato circa 2 miliardi alla famiglia di
industriali milanesi. Ai risparmiatori è andata molto peggio, visto che
in meno di sei mesi dalla quotazione il titolo ha perso quasi il 30 per cento.
Un disastro, ma i banchieri del consorzio di collocamento guidato dalla banca
d'affari americana Jp Morgan, affiancata da Caboto (Banca Intesa), hanno
comunque incassato la loro provvigione: quasi 40 milioni di euro. A cui vanno
aggiunti altri 12 milioni da dividere tra consulenti legali, d'immagine e altri
ancora. Mica male per un flop.
Servizi extra
Il 16 dicembre, quando lasceranno i vertici dell'intelligence, avranno
già distrutto molti segreti. Qualche carta, invece, la porteranno con sé
a futura memoria. Niente di strano: funziona così in tutto il mondo.
Emilio Del Mese, Nicolò Pollari e Mario Mori stanno facendo le valigie e
si preparano al passaggio di consegne con i loro successori. Ma i conteggi
della loro pensione, con relativa buonuscita, sono già pronti.
Così, secondo quanto risulta a 'L'espresso', ai tre illustri pensionandi
il governo avrebbe riconosciuto una liquidazione che sfiora quota un milione e
800 mila euro. Una somma che forse farà alzare qualche sopracciglio, ma
che sarà certamente stata costruita nel pieno rispetto di leggi e
contratti e che, in ogni caso, riguarda tre persone che hanno servito lo Stato
ad alto livello per oltre 40 anni. Più anomala l'entità della
pensione: ogni mese 31 mila euro lordi. A questo importo-monstre si è
arrivati cumulando lo stipendio con l'indennità di funzione, che nei
servizi chiamano 'indennità di silenzio'. Chi presta servizio al Sisde o
al Sismi, infatti, di solito guadagna il doppio rispetto al parigrado che
è rimasto in divisa. E l'avanzamento nei servizi è molto
discrezionale e rapido. Quando la barba finta va in pensione, però, non
si porta dietro quella ricca indennità: il privilegio dei privilegi
riconosciuto solo ai capi. Per il resto, chi fa il militare o il poliziotto, di
privilegi veri ne ha pochi. Gli stipendi sono bassi e spesso poco rispettosi
dell'alto grado di rischio o di stress. Con il tesserino si può
viaggiare gratis sui mezzi pubblici e, spesso, godersi gratis la partita di
calcio. Ma definirli privilegi sarebbe un po' ardito.
La via Nazionale
Non ci sono più gli affitti agevolati negli immobili di proprietà
della banca. Né il caro-legna, un sussidio alle spese per il riscaldamento, o
la speciale indennità per gli autisti della sede di Venezia, che guidano
il motoscafo invece dell'auto blu. Così come sono un ricordo del passato
gli straordinari benefici pensionistici di quando si poteva andare a casa con
20 anni di servizio e un assegno che restava ancorato alle retribuzioni. Anche
nell'era di Mario Draghi la Banca d'Italia continua però a dispensare un
trattamento ultra-privilegiato ai suoi dipendenti. Basta pensare che gli
stipendi dei magnifici quattro del Direttorio di palazzo Koch (il governatore,
il direttore generale e i due vice) sono segreti. Scavando un po' si può
scoprire che oggi i funzionari generali hanno un lordo annuo di 110 mila euro.
Gli oltre 200 direttori di filiale stanno a quota 64 mila; i funzionari di
prima a 49 mila e 200. Ma allo stipendio-base si aggiunge una giungla di altre
voci che arrotonda la cifra finale. Siccome lavorare stanca, c'è per
esempio uno stravagante premio di presenza: chi va in ufficio per almeno 241
giorni in un anno si porta a casa una sorta di quattordicesima: il premio
Stachanov. A dicembre c'è la cosiddetta gratifica di bilancio: vale
circa 35 mila euro per i funzionari generali; 18 mila per i direttori e oltre 6
mila per i funzionari. Siccome poi la banca ha un suo decoro, i più alti
in grado incassano anche un'indennità di rappresentanza, una specie di
buono-sarto, che è semestrale, forse per rispettare il cambio di
stagione: poco meno di 8.500 euro per i funzionari generali; 4 mila per i
direttori; 1.200 per i funzionari.
Onorati baroni
In teoria i professori universitari non dovrebbero godere di chissà
quali privilegi, ma in realtà la loro posizione è unica. Perché
da noi i controlli di produttività non esistono e una volta conquistata
la cattedra i prof restano incollati ritardando pure la pensione. Per arrivare
sulla poltrona, poi, fanno di tutto; ma nell'immaginario collettivo e negli
atti di parecchie indagini penali domina la catena del nipotismo. Si ereditano
posti da ordinario o li si scambia, creando intrecci o addirittura facendo
nascere nuove facoltà per gemmazione. La summa del 'tengo famiglia'
viene registrata a Bari dove nell'ateneo prosperano tre clan principali: uno
vanta ben otto parenti-docenti, gli altri due si attestano a sei. Insomma,
l'ateneo è cosa nostra. Il discorso non cambia quando in cattedra sale
il medico, che di sicuro dovrà rispondere della sua produttività
clinica, ma che rappresenta anche la vetta di una categoria molto corteggiata.
Soprattutto dalle case farmaceutiche, prodighe di viaggi per convegni e
presentazioni di mirabolanti macchinari: prodotti che poi vengono pagati dalle
Asl. Una casta sono sempre stati considerati anche i giornalisti, soprattutto
quelli stipendiati per far poco o imbucati in qualche meandro della tv di
Stato. Il tesserino rosso, in realtà, si è molto scolorito. Gli
sconti delle Fs non sono più automatici, ma richiedono l'acquisto di
card annuali (60 euro per avere il 10 per cento in meno sui treni), Alitalia e
Airone invece tagliano del 25 per cento i biglietti a prezzo intero. L'unico
vero privilegio è l'ingresso gratuito nei musei statali e in numerose
gallerie comunali. È chiaro che le eccezioni non mancano. Alcune sono
frutto di operazioni di public relation: viaggi, show, vetture in prova,
riduzioni su acquisto di auto, sconti su alcuni noleggi. Altre sono concessioni
ad personam, come i cadeaux natalizi.
Partecipazioni interessate
Un vero e proprio Carnevale di privilegi è stato per anni il contratto
di lavoro dei dipendenti dell'Alitalia. In un'azienda dove la definizione di
giorno di riposo sembrava scritta da Totò & Peppino ("Deve
avere una durata di almeno 34 ore") e dove i dirigenti riuscivano a farsi
infilare nella mazzetta dei giornali i fumetti di Topolino per (si spera) i
pupi di casa, alla fine i soldi sono davvero finiti. I piloti hanno così
perso via via dei benefit, come il buono-sarto per farsi confezionare la divisa
su misura, il diritto all'autista da casa all'aeroporto, o la cosiddetta indennità
Bin Laden, istituita dopo l'11 settembre 2001 sulle tratte mediorientali. Sono
rimasti, però, i ricchi sconti al personale sui voli: i dipendenti (e i
pensionati) hanno diritto ad acquistare (anche per figli e coniugi o
conviventi) i biglietti con una riduzione del 90 per cento sulla tariffa piena
se rinunciano al diritto di prenotazione. Altro capolavoro di sindacalismo
all'italiana è il contratto dei ferrovieri. Quando un macchinista guida
un treno da solo come in tutto il resto del mondo, invece che in coppia secondo
la procedura made in Fs, ha diritto a incamerare anche la paga del compagno
assente. Tutti i dipendenti dispongono inoltre di una carta di libera
circolazione, che consente di viaggiare gratis (con coniugi e figli) su treni
regionali, interregionali e Intercity.
Carriere insindacabili
Sono decine di migliaia alla Cisl. Altrettanti alla Cgil. Un po' meno alla Uil.
Nel complesso, si parla di ben 200 mila persone a fronte di oltre 10 milioni di
iscritti: un folto esercito comunque di distaccati, delegati, quadri e
dirigenti che mantengono saldi nelle proprie mani privilegi e facilitazioni che
riguardano soprattutto la possibilità di contrattare direttamente
condizioni preferenziali con le controparti; di sedere nei consigli di amministrazione
di enti e banche e assicurazioni; di gestire le attività legali,
assistenziali e fiscali tramite patronati e sportelli di servizio; di curare un
patrimonio immobiliare di non poco conto. Privilegi e facilitazioni che, in
particolare, partono dalla fine della carriera. E soprattutto dalla garanzia di
arrivare all'età pensionabile con un buon livello economico. In tempi di
incertezze previdenziali, infatti, i sindacalisti si trovano in una botte di
ferro. Prima la legge Mosca del '74 e poi un provvedimento approvato dall'Ulivo
nel '96 (e promosso dall'ex ministro del Lavoro, Tiziano Treu, uomo di area
Cisl) prevedono una contribuzione che vale doppia e la possibilità di
beneficiare di un ulteriore versamento da parte del sindacato. Inoltre, nello statuto
dei lavoratori è previsto che ai dipendenti in aspettativa per lo
svolgimento di incarichi sindacali vengano riconosciuti e versati contributi
figurativi a carico dell'Inps, che sono calcolati sulla base dello stipendio
che non viene più versato dall'azienda o dell'ente di provenienza.
Stessa situazione viene riconosciuta ai sindacalisti che usufruiscono del
regime di distacco per attività sindacale e che percepiscono lo
stipendio di un'azienda privata o di un ente pubblico anche se lavorano a tempo
pieno solo per il sindacato. Secondo alcuni dati, sono diverse migliaia di
persone a godere di questo regime speciale di doppia contribuzione. Tra
distacchi, diarie e rimborsi, un sindacalista di medio profilo porta a casa
circa 2.500 euro al mese, ma per i dirigenti la retribuzione supera i 5 mila.
In piedi entra la Corte
Per i semplici componenti, 370 mila euro l'anno; oltre 444 mila per i
presidenti. Questo il tetto massimo delle retribuzioni lorde di quasi tutte le
Authority: telecomunicazioni, energia, antitrust e Consob. I compensi sono
fissati per legge e sono identici agli stipendi di giudici e presidente della
Corte costituzionale, a loro volta legati agli andamenti della retribuzione del
primo presidente della Cassazione. Il calcolo dei compensi è semplice.
Il primo presidente della Cassazione può arrivare a guadagnare fino a
246 mila 800 euro lordi l'anno, come (unica eccezione tra le autorità di
garanzia) il Garante della privacy, il cui stipendio nel 2006 sarà in
totale di 216 mila euro. I giudici della Corte costituzionale hanno diritto
invece a uno stipendio superiore del 50 per cento all'appannaggio del primo
presidente di Cassazione, cioè 370 mila euro. Mentre il presidente della
Consulta incassa la stessa cifra (370 mila) maggiorata del 20 per cento.
Totale: 444 mila euro lordi l'anno. Tutti i membri della Consulta hanno diritto
all'auto blu e a una struttura di segreteria. Il presidente ha diritto anche ad
utilizzare i voli di Stato. Gran parte dei membri della Consulta ne diventano
prima o poi presidenti, poiché la scelta ricade ormai sempre sul giudice in
carica da più tempo, magari per pochi mesi (negli ultimi sette anni sono
stati dieci). I presidenti emeriti sono attualmente 16: ciascuno di loro ha
diritto vita natural durante a un'auto blu con autista. Ma anche da defunti
possono contare su un particolare onore: una delibera del Comune di Roma
stabilisce che a tutti gli ex presidenti della Corte trapassati sia dedicata
una strada nel quartiere Aurelio.
I magistrati italiani hanno stipendi in media con l'Europa. Il meccanismo
più discusso, in ogni caso, è quello degli scatti automatici. In
parte tutela la toga coraggiosa dagli ingranaggi più odiosi del potere e
della politica, ma non sfugge a nessuno che consenta anche carriere garantite e
spesso sganciate dal merito. E paradossalmente a guadagnare di più sono
quelli sospettati dai colleghi di lavorare di meno, ovvero i magistrati
amministrativi. Ci sono poi i doppi canali: il Csm poi può autorizzare
incarichi remunerati come le docenze. E un malcostume più volte
denunciato riguarda il numero crescente di magistrati che lasciano sguarniti
uffici di periferia delicati per assieparsi al ministero con ricche diarie. La
vera variabile poi è il prestigio. In Italia, il magistrato, specie se
maneggia inchieste penali, è un vero vip; all'estero non lo conosce
nessuno. Tutto qui? Alla fine, il privilegio forse più vistoso è
quello delle ferie: due mesi e mezzo ogni estate. I pm che hanno in mano le
inchieste più scottanti lavorano lo stesso, con pc e cellulare sempre
acceso. Ma se un avvocato prova a cercare un magistrato della fallimentare a
metà giugno, è facile che lo trovi intorno alla fine di
settembre. La legge è uguale per tutti, i privilegi invece no. n
L'isola del tesoro In
Sicilia la Regione paga un'armata di 2.200 dirigenti. E riserva ai politici
stipendi e benefit da sogno
In cima alla lista dei privilegi 'made in
Sicily' c'è il nome di Felice Crosta. Dirigente delle Regione in
pensione, è stato chiamato dal governatore Totò Cuffaro alla
guida dell'agenzia regionale per l'Acqua e i Rifiuti. La sua indennità
annua ammonta a più di 567 mila euro.
In pratica più di 1.500 euro al giorno. È seguito a ruota da
Patrizia Bitetti, sulle cui spalle poggia il peso della sanità
siciliana. Per tentare di far quadrare i conti della salute (a giudicare dal
deficit di un miliardo, andrebbe escluso che sia riuscita ad assolvere il suo
compito), il compenso previsto arriva quasi al mezzo milione. Al loro livello
si colloca anche la retribuzione di Gabriella Palocci, capo dipartimento della
Programmazione. Sono loro, tutti e tre dirigenti 'esterni' e quindi liberi di
contrattare il loro onorario, la punta apicale di una macchina regionale da 16
mila dipendenti. Duemila e 200 di loro hanno la qualifica di dirigente con
compensi annui che possono variare dai 50 mila euro sino ai 200 mila assegnati
ai responsabili dei 32 dipartimenti dell'amministrazione regionale.
L'area dirigenziale della Regione siciliana è un'idrovora che costa ai
contribuenti 162 milioni di euro l'anno: per capire, la Lombardia spende poco
meno di 19 milioni. Ma di privilegi si può parlare anche per i 90
inquilini di Palazzo dei Normanni, la sede del parlamento siciliano. In nome
dell'Autonomia - l'assemblea regionale è nei fatti equiparata al Senato
- i consiglieri possono fregiarsi del titolo di deputato. L'Ars costa quasi 400
mila euro al giorno, nonostante una paralisi legislativa che ha prodotto una
stasi di nove mesi. Ogni deputato percepisce uno stipendio annuo di 145 mila
euro. A questa somma vanno aggiunti alcuni benefit: viaggi e trasferte
contribuiscono a far lievitare il costo della politica in Sicilia per quasi 3
milioni, mentre sono 5 i milioni a disposizione dei deputati per 'studio,
ricerca, consulenza e documentazione'. E siccome ogni deputato vuole i suoi
privilegi (auto blu, come minimo), uno dei primi atti di questa quattordicesima
legislatura regionale ha assicurato ulteriori prebende per tutti. Così,
le poltrone delle commissioni parlamentari sono aumentate da
in vitalizi. E per i trombati? Mamma Regione quasi sempre non li dimentica. Come
nel caso di Alberto Acierno, fedelissimo di Gianfranco Miccichè (ex
viceministro oggi presidente dell'Assemblea regionale). Acierno è stato
deputato nazionale e regionale. Per non intralciare la corsa di Miccichè
gli è stato chiesto di non candidarsi all'Ars. Sacrificio ben
ricompensato: oggi Acierno dirige la Fondazione Federico II, braccio operativo
delle attività culturali del parlamento siciliano. Ma un'agenzia non si
nega a nessun ex: c'è una poltrona per tutti, destra e sinistra, con una
pioggia di gettoni di presenza. Magari la si crea apposta: come si sospetta nel
caso dell'agenzia per le Politiche mediterranee: affidata a Fabio Granata, ex
deputato di An e già presidente della commissione regionale antimafia.
Stipendi doppi per gli insegnanti, grazie
alla provincia autonoma
Sarà anche una delle città
italiane più care, ma gli insegnanti a Bolzano non possono certo
lamentarsi. Nella loro busta paga si ritrovano una considerevole gratifica in
euro per effetto del contratto integrativo provinciale, che aggiunge
un'indennità allo stipendio.
Se un professore nel resto d'Italia riceve per contratto ad inizio carriera
1.174 euro netti al mese, a Bolzano ne riceve 1.500, sempre netti, che aumenta
fino a 1.624 con l'indennità di bilinguismo. Dopo dieci anni di servizio
un insegnante altoatesino si ritrova in busta paga 1.793 euro netti al mese:
Antonio Di Pietro lancia l'allarme. E
critica i colleghi
"In Italia il culto della
personalità rasenta la follia. E credo di poterlo dire perché sono tra
quelli che non fa mettere sulla macchina neppure il lampeggiante". Parola
di Antonio Di Pietro, l'ex magistrato più famoso d'Italia, oggi ministro
delle Infrastrutture.
Ecco, a proposito di lampeggianti, pare che al suo ministero ce ne fosse una
miniera."Ne ho trovati alcune decine. E anche a palette non si scherzava.
Ma in pochi giorni ho deciso di far piazza pulita. La gente guarda e ci
giudica".Parliamo di scorte. Sono troppe?
"C'è un sistema quasi infallibile per capire se una scorta è
mera esibizione di potere. Quando si vede un codazzo di macchine scure con
sirene varie e uomini vestiti come i bodyguard dei film, la scorta di solito
non serve a un cavolo. Perché chi rischia la vita deve spostarsi senza dare
nell'occhio".
Lei ce l'ha?
"Ridotta al minimo, appunto".
E quando faceva il magistrato?
"Ho avuto paura solo dopo la morte di Falcone e Borsellino, quando
all'inizio di Mani pulite venni indicato come possibile obiettivo. Proprio in
quel periodo ho imparato a essere anonimo".
Codazzo di autisti al ristorante?
"Orrendo. Il potente seduto a tavola nel posto di grido, e la scorta fuori
in macchina ad aspettare. Si vede solo in Italia".
Accoglienze da re per comizi in provincia?
"Un conto è la simpatia della gente, se te la meriti. Un conto
è paralizzare un'intera zona. Come ho visto qualche giorno fa".
Racconti, racconti...
"Dovevo andare in Puglia a parlare. Arrivato vicino al posto vedo una
parata di vigili, poliziotti, carabinieri. Mancavano solo
i pompieri. E c'era pure un elicottero che volteggiava. Sembrava l'Iraq".
Tutto per lei.
"No, per un collega che non sapevo fosse stato invitato insieme a
me".
Fuori il nome.
"Per una volta sarò omertoso. Per carità di patria, diciamo.
Ma rispetto al governo precedente sembriamo svedesi, quanto a
sobrietà".
Prodi che viaggia in treno?
"Splendido messaggio, appunto. Altro che Berlusconi".
Parliamo di soldi. La politica costa...
"Costa troppo".
Stipendi da urlo.
"Ecco, andiamo al sodo. Gli stipendi dei politici sono parametrati per
legge a quello del primo presidente di Cassazione".
Saranno almeno 14 mila euro lordi al mese.
"Ma stiamo parlando del più anziano e importante magistrato
d'Italia. Le pare giusto che un neo deputato di 29 anni guadagni quella cifra?
O il consigliere di una regione a statuto speciale? E poi il trucco sta nelle
indennità aggiuntive".
Ossia?
"Il primo presidente di Cassazione guadagna quella cifra e basta. I
politici hanno rimborsi spese di ogni tipo, mutue, facilitazioni
pensionistiche, diarie giornaliere impressionanti".
Che fare?
"Basterebbe dire che quel parametro illustre dev'essere il massimale
onnicomprensivo. E non una rampa di lancio potenzialmente illimitata. Ma poi
mica ci siamo solo noi politici nazionali. Vogliamo parlare di enti locali,
authority, società miste? Bisogna mettere un freno alla proliferazione
locale di società miste e agenzie che duplicano gli assessorati".
Clientela pura, spesso.
"È la nuova Tangentopoli. Anzi, peggio.
Perché è legalizzata. Formalmente è tutto in regola. Ma sono voti
scambiati con assunzioni e prebende".
E gli stipendi d'oro nel parastato?
"Immorali, infatti in sede di Finanziaria si è provato a mettere un
tetto al numero dei consiglieri nei cda e agli stipendi".
Sul tetto agli stipendi, però, c'è chi dice che così
facendo nessun bravo manager si concederà più al pubblico.
"Scemenza grossa come una casa. Abbiamo pagato per anni stipendi
miliardari a manager che venivano dal privato. Ora li stiamo mandando a casa
con buonuscite favolose. Ebbene, questi 'super-eroi' come hanno amministrato
treni, aerei, strade?".
Lei era il simbolo dell'italiano che s'indigna per sprechi e ruberie. Adesso
che le dice la gente per strada?
"C'è chi magari ancora mi abbraccia, ma poi mi dice all'orecchio:
era meglio quando facevi il magistrato. È una cosa che mi addolora
tantissimo. Penso ai senatori che lavorano 20 ore al giorno sulla Finanziaria o
a certi sindaci che per pochi soldi rischiano la vita. E penso che non è
giusto fare di ogni erba un fascio. Però se tutti ci dicono le stesse
cose, a noi politici, significa che in generale il sistema non va.
E che dobbiamo cambiarlo".
Indennità lorda (per 12 mesi)
11.190,89
Indennità netta 5.419,46
Diaria (ridotta di 206,58 euro per ogni giorno
di assenza dalle sedute con votazioni) 4.003,11
Spese per rapporto con gli elettori 4.190,00
(inclusi eventuali portaborse)
Assegno di fine mandato (80 per cento
dell'importo mensile lordo dell'indennità per ogni anno di mandato o
frazione non inferiore a sei mesi)
Assegno vitalizio (a 65 anni riducibili a 60
in base al numero di anni del mandato) tra il
25 e l'80 per cento dell'indennità parlamentare
Inoltre
Nessun pedaggio su autostrade italiane
Libera circolazione sui treni, in Italia
Libera circolazione marittima, in Italia
Voli aerei nazionali gratis
Trasferimenti dal luogo di residenza all'aeroporto
più vicino e tra Fiumicino e Montecitorio:
forfait trimestrale (dimezzato per gli eletti
nel collegio di Lazio 1) 3.323,70
(per chi dista dall'aeroporto più di
Rimborso annuale per viaggi all'estero (per
studio o attività connesse a quella parlamentare) 3.100,00
Rimborso annuo per spese telefoniche 3.098,74
Assistenza sanitaria integrativa
Barberia a prezzi scontati
Buvette a prezzi scontati
Ristorante interno alla Camera
Sconti per l'acquisto di automobili, apparecchi telefonici e altro (offerti da
produttori e negozi di loro iniziativa)
Libero ingresso nei cinema e nei teatri
(offerto dai gestori delle sale)
Scuole. Servizi. Ici. Radio. Parrocchie.
Ecco tutti i privilegi che lo Stato italiano riserva alla Chiesa
Il più noto è l'8 per mille più antico,
l'extraterritorialità, garantita a tutte le proprietà della Santa
Sede fuori dalle mura vaticane. I privilegi della Chiesa, codificati specie nei
due Patti lateranensi, il Trattato e il Concordato, si nascondono più
spesso tra le pieghe delle Finanziarie e nel corpus della normativa di casa
nostra. Non tutti sanno che la manovra 2005 finanzia con 15 milioni il Centro
San Raffaele del Monte Tabor di don Luigi Verzè. O che la stessa legge
fissa a un milione il finanziamento per "l'aggiornamento della tecnologia
impiegata nel settore della radiofonia", limitandolo però a due
emittenti: Radio Padania Libera, la radio della Lega Nord, e Radio Maria. Dal
Come un diritto extradoganale ha reso
d'oro la montagna
Della vecchia Livigno, il Tibet d'Italia
isolato dal mondo per molti mesi l'anno, resta solo la cornice. Uno scenario
mozzafiato con le montagne e gli sterminati prati verdi che d'inverno diventano
un paradiso per lo sci da fondo. Tutto il resto è stato travolto dai
segni del benessere portato dal turismo: decine di insegne, dall'abbigliamento
alle profumerie, vetrine scintillanti di telefonini e videocamere, vecchie
baite trasformate in hotel e ristoranti. A Livigno tutto è davvero
cambiato dai tempi in cui la gente viveva di emigrazione, pastorizia e
contrabbando con la Svizzera. Tutto è cambiato, salvo il privilegio che
ha fatto da motore alla trasformazione. Nel 1910, infatti, il paese lombardo (4
mila residenti) dell'Alta Valtellina è diventato zona extradoganale.
Niente Iva, quindi, né dazi. Il Comune si limita a incassare un balzello, i
cosiddetti diritti speciali doganali, sui generi esentasse. Così la
benzina costa il 30 per cento in meno. E i turisti vanno a caccia anche di
sigarette, liquori, prodotti elettronici. Tutto a prezzi scontati. Un
successone, che però provoca giganteschi ingorghi di auto nei periodi di
punta. Mentre i Comuni vicini protestano per la concorrenza sleale. Ciascun
turista non può fare acquisti per un valore superiore a 175 euro, ma i
controlli in un'apposita dogana non sembrano scoraggiare l'esercito dei visitatori,
spesso semplici turisti mordi e fuggi. "Che senso ha un privilegio simile
per pochi residenti?", si chiedono i critici. Senza però riuscire a
espugnare il Tibet della Valtellina.
L'Espresso 1-12-06
Link fondamentale: http://www.societalibera.org/iniziative/20051103_costipolitica/iniziativa20051103.htm
Da Il Sole 24 Ore 1 dicembre 2006
L'inchiesta
/ Debiti e assegni scoperti del senatore Sergio De Gregorio
di Claudio Gatti
L' obiettivo è ambizioso: passare
da un singolo voto al Senato a una federazione di movimenti che rappresenti
svariate realtà regionali. E con essa andare alla conquista di
quell'appetitosa massa elettorale centrista insoddisfatta sia di Romano Prodi
che di Silvio Berlusconi. C'è già l'embrione di una struttura
nazionale, a sentire il senatore Sergio De Gregorio, 46 anni,eletto a Palazzo
Madama con la lista di Di Pietro, passato al Gruppo misto dopo essere stato
eletto presidente della Commissione Difesa del Senato con i voti del centro
destra.«Presidiamo 10 regioni in Italia,con un grande numero di consiglieri
comunali, provinciali e regionali», spiega al Sole 24 Ore. Ci sono anche i
soldi. O perlomeno sono in arrivo. A versarli sarà soprattutto il
Niapac, ovvero il National Italian American Political Action Committee,una
lobby politica statunitense, il cui presidente, Amato Berardi, 48 anni,è
presentato come uno dei maggiori sostenitori della nuova entità
politica.
«Il Niapac è di gran lunga il nostro maggior finanziatore — spiega De
Gregorio —.Si è impegnato a contribuire con 5 milioni di euro all'anno».
Una bella somma senza dubbio. Ma, sempre a detta di De Gregorio, è solo
un tassello di una partnership strategica. Il piano di marcia prevede un primo
passo il 16 dicembre, quando al Teatro Tenda di Napoli si terrà la festa
del Movimento Italiani nel mondo e il Niapac sarà presente in forze.
Poi, a febbraio, è prevista la prima convention del Movimento. A
Filadelfia, la città di Berardi e del Niapac.«Ci sarà una
manifestazione di fusione delle due esperienze »,anticipa De Gregorio.
«Significa che celebreremo la firma del protocollo d'intesa». Quell'intesa ha
due obiettivi primari:uno politico e uno economico. Quello politico è di
far crescere il movimento sia in Italia che in Nord America. Quello economico
è di usare il network del Niapac per favorire investimenti americani in
Italia. In particolare nel Mezzogiorno.
«Col Niapac stiamo strutturando un'ipotesi di un fondo previdenziale che
investa in piccole e medie industrie italiane». Ma che c'entrano gli
investimenti americani in Italia con la politica? «Con la penuria di
prospettive che cista inItalia —spiega De Gregorio —un movimento politico che
si proponga di operare nel concreto e di dimostrare che gli italiani nel mondo
possono essere un importantissimo punto di riferimento per il finanziamento
della libera intrapresa non si pone un obiettivo politico? La politica
significa anche concretezza di orientamenti e simbologia concreta delle cose
che si dicono».
È evidente che De Gregorio punta molto sul Niapac e sul suo presidente e
fondatore, Amato Berardi, presentato come un uomo di grossissima caratura,
«presidente di un fondo pensioni da 60 miliardi». Ma, dall'inchiesta del Sole
24 Ore,risulta essere un semplice agente assicurativo, con una storia di
dispute per tasse non pagate sia con lo Stato della Pennsylvania che con
l'erario federale («Il Sole 24 Ore» ha ripetutamente ma invano contattato
l'ufficio di Berardi).
Il Niapac ha una storia di contabilità irregolare e non ha mai avuto a
disposizione fondi per più di un paio di centinaia di migliaia di
dollari all'anno. Possibile che una persona scaltra come il senatore De
Gregorio non sappia che il suo principale finanziatore e partner strategico non
ha a propria disposizione neppure un venticinquesimo dei soldi che gli ha
promesso? È certamente possibile. Dire infatti che lo stesso senatore ha
un passato di contabilità difettosa sarebbe un eufemismo, vista la
montagna di assegni scoperti e debiti non pagati da lui accumulati nell'ultimo
paio d'anni. Nel corso della sua inchiesta, tra De Gregorio e società da
lui controllate, «Il Sole24 Ore» ha trovato evidenze di buchi per circa un
milione di euro. Su questo né il senatore né il suo addetto stampa hanno voluto
rilasciare commenti.
L'agiografia dedicatagli dalla rivista «Dossier Magazine» (da lui stesso edita)
presenta De Gregorio come«un giornalista prestato alla politica», ed
effettivamente il suo curriculum è ricco di esperienze di ogni genere,
dalla televisione alla carta stampata. Ma non gli è mai bastato avere un
piede in una scarpa sola. Prima di diventare giornalista politico è
stato giornalista editore imprenditore. Tra le sue iniziative, due agenzie fotovideogiornalistiche,
Alfa Press Service e Bvp Broadcast Video Press,società editrice
dell'edizione napoletana de «Il Giornale»e quella di«Dossier Magazine», prima
quindicinale cartaceo poi giornale online, e ora anche tre società
televisive legate a Italiani nel Mondo.
«Il Sole24 Ore» ha inoltre saputo che una grande banca nazionale ha
recentemente dato mandato a uno studio legale napoletano di avviare
un'iniziativa legale per recuperare circa 600mila euro prestati alla Broadcast
Video Press, di cui De Gregorio detiene il 98%,e mai restituiti. Dalle visure
camerali sulla Broadcast Video Press risulta inoltre che quella società
ha emesso assegni scoperti per 82mila euro mentre la socia di minoranza ne ha
emessi altri per 25.560 euro.
Altri assegni scoperti sono segnalati in una visura camerale sulla Aria Nagel
Associati Srl, società pubblicitaria oggi in liquidazione di cui negli
ultimi anni De Gregorio ha avuto la maggioranza assoluta. In questo caso
è risultato che De Gregorio ha emesso assegni scoperti per un totale di
87.240euro, la Aria Nagel per 127.806 euro e l'amministratore unico al quale De
Gregorio ha lasciato il timone della società altri 67.044 euro.
All'inizio di quest'anno la sua situazione debitoria è stata ritenuta
così grave dai soci di De Gregorio nella cooperativa International Press
da spingerli a chiedere — e ottenere —le sue dimissioni per non compromettere
la reputazione di quella cooperativa e del giornale da esso editato,l'Avanti.
Peccato, perché nei panni di consigliere delegato, direttore editoriale e firma
di punta,De Gregorio era stato uno dei responsabili del rilancio della storica
testata socialista dopo il crollo del Psi di Bettino Craxi.
Non era stata cosa facile, avendo il giornale perso sia il partito di
riferimento che le sovvenzioni statali. Ma De Gregorio aveva fatto tutto il
possibile perché il giornale potesse farsi notare. Passata alla storia è
stata la serie di durissimi articoli inchiesta sull'Alitalia partita il 23
gennaio 2002. Per giorni «l'Avanti» pubblicò un pezzo più duro e
sferzante dell'altro. Tutti a firma di De Gregorio. E tutti con la preoccupante
(per l'Alitalia) parolina «segue» in calce. Fino alla quarta puntata. Poi
apparve una bella pubblicità della compagnia di bandiera nazionale.
Da www.primadinoi.it 30/11/2006 10.24
Costo del consiglio regionale: «5 milioni
di euro in più in soli 3 anni»
Inviato da Redazione
ABRUZZO. Dal consuntivo 2004 al previsionale
2007 le spese del consiglio regionale sono aumentate in maniera vertiginosa: da
A denunciare una situazione che
«evidentemente è sfuggita di mano a qualcuno» è il capogruppo di
An in consiglio regionale, Alfredo Castiglione, che ieri mattina in prima
commissione ha ribadito il suo no al bilancio previsionale del consiglio per il
2007.
Un dettaglio, quelle delle spese, che potrebbe provocare qualche fastidioso mal
di stomaco a quanti in questi giorni hanno appreso la necessità di dover
pagare più tasse…
A cosa sono da addebitare questi 5 milioni extra che hanno fatto crescere le
spese e far toccare la soglia dei 30 milioni di euro? Difficile stabilirla
anche per chi, in teoria, dovrebbe tenere sotto controllo il bilancio della
grande famiglia Abruzzo.
La commissione, precedentemente rinviata proprio su richiesta dell'esponente di
An, ieri ha ascoltato il presidente Roselli, ma lo stesso, conferma Castiglione
«nonostante fosse supportato da due dirigenti regionali, non ha voluto o saputo
fornire il dettaglio delle singole voci previste per spese, come quelle di
amministrazione (3.345.000,00) che hanno subito incrementi più
significativi (di oltre 500.000,00), limitandosi a fornire un elenco generico
di spese, come pulizia, fitti, manutenzione, noleggio, quotidiani, vestiario,
cancelleria., etc».
Uno degli aspetti «più incredibili di questa pantomima», come la
definisce Castiglione « è che, malgrado rispetto al previsionale dello
scorso anno il costo per la gestione del personale sia aumentato di un milione
e messo di euro, a tal riguardo non siano state ascoltate neanche le rappresentanze
sindacali, né in sede di redazione del documento né in audizione successiva,
come da me richiesto».
Altra voce consistente riguarda le spese di supporto alla rappresentanza e le
spese di rappresentanza, di appannaggio esclusivo della presidenza, che insieme
hanno superato i 700.000,00 euro.
«Cos'altro esprimere se non il nostro sconcerto», conclude Castiglione, « se da
parte della Giunta si annuncia una politica di rigore (ben lungi dall'essere
messa in pratica) e l'aumento delle imposte non per pareggiare i bilanci delle
ASL ma per coprire spese che D'Amico non vuole diminuire, in Consiglio si parla
un'altra lingua e soprattutto si razzola molto diversamente: spese pazze e
incontrollate, in spregio della più volte richiamata – anche dal
presidente Marini - necessità del contenimento dei costi della
politica».
Castiglione chiede al presidente Roselli «uno stile più parco e consono
ai difficili tempi che la regione sta attraversando».
Ci costano 4 miliardi di euro l’anno i
quasi 428 mila consulenti e portaborse degli eletti.
Diventa un’emergenza nazionale la modifica della legge
MICHELE AINIS
L’onda dell'illegalità in Italia
è diventata uno tsunami. Lo attesta il rapporto di Transparency
International, appena pubblicato: siamo penultimi in Europa per grado di
corruzione pubblica e privata, precipitiamo dal 40° al 45° posto su scala
planetaria, peggio della Giordania o del Botswana. Intanto lievita il conto che
ci presenta la politica: secondo un'indagine di Salvi e Villone sfiora i 4
miliardi di euro, che impinguano le tasche di 427.889 addetti a tale redditizia
professione. C’è un nesso tra questi fenomeni? Sì, e chiama in
causa la struttura dei partiti e il cancro che vi si è annidato.
Anche a scapito della legalità Intendiamoci: la democrazia ha un costo
che non è possibile azzerare. I partiti sono pur sempre l'«ossatura
politica» del popolo, come diceva Montesquieu. Ma soffrono d'una malattia
degenerativa indicata già nel 1949 da Giuseppe Maranini: la
partitocrazia, la presa dei partiti su ogni ganglio della vita sociale, la loro
trasformazione in corpi burocratici, impermeabili per chi non ne sia cliente.
Nel passaggio alla Seconda Repubblica questo morbo si è aggravato. I
vecchi partiti di massa hanno ceduto spazio a un nugolo di partiti personali,
dalla Lista Bonino a Di Pietro, a varie altre che spesso durano il tempo d'un
fiammifero. Le sedi sono vuote di militanti, rimpiazzati tuttavia dall'esercito
dei consulenti, dei portaborse, dei famigli degli eletti. Si è svuotata
pure la fiducia degli italiani nei partiti: ci crede ancora solo il 4,4% della
popolazione, secondo una rilevazione Censis 2000. Ma in compenso ne è
cresciuto a dismisura il numero, a ogni elezione troviamo sulla scheda verdi di
destra e di sinistra, cattolici doc in varie sigle, o il paradosso di due partiti
comunisti l'un contro l'altro armati.
Affonda qui la radice del problema. E’ il numero dei partiti che gonfia la
nostra spesa pubblica, anche a scapito della legalità. Se invito tre o
quattro commensali, di pur robusto appetito, non mi ripuliranno la dispensa
come se ne avessi invitati una ventina, quanti sono i partiti oggi in
Parlamento. E infatti la misura dei contributi pubblici ai partiti si è
impennata del 968% in un decennio. Il costo di Camera e Senato è
cresciuto del 15% e del 39% nell'ultima legislatura, ben oltre l’inflazione. Il
governo Prodi ha battuto ogni precedente record quanto a scranni di ministri,
viceministri, sottosegretari:
Tagliare quell’idra a cento teste D’altra parte se ti tocca governare con una
coalizione di 9 partiti, ciascuno dei quali ha potere di vita e di morte sul
tuo esecutivo, devi soddisfarne ogni pretesa. Non puoi sbaraccare per esempio
gli enti inutili, giacché ai partiti sono utili per distribuire prebende. E
allora non ti resta che imporre nuove tasse. Ma una pressione fiscale
intollerabile stimola di fatto l'evasione: secondo un'indagine Eures del 2004,
per il 60% degli italiani ne è la prima causa. La questione partitica si
converte dunque in questione morale, l'illegalità si propaga dal Palazzo
ai cittadini. Da qui l’urgenza di ridisegnare questa scena politica sin troppo
affollata d’attori e comprimari. Da qui, in breve, la modifica della legge
elettorale come autentica emergenza nazionale. Ma è possibile un
suicidio di massa dei partiti? Quando il riformatore coincide con il riformato,
l’esperienza insegna che la riforma non vedrà mai la luce. Sennonché
c'è un referendum già depositato in Cassazione, e il suo primo
effetto è di tagliare quell'idra a cento teste che è ormai il
nostro sistema dei partiti. Forse il partito democratico, o quello delle
libertà nel centro-destra, nasceranno sulla scia d'un referendum.
(Dal quotidiano Roma del 17/11/2006 )
17/11/2006 - Gli scandalosi costi della
politica di Gerardo Mazziotti
Il libro “Il costo della democrazia” di
Cesare Salvi e Massimo Villone, edito da Mondadori nel dicembre 2005, tre mesi
dopo il mio “L’assalto alla diligenza”, contiene un’analisi dei costi della
politica italiana con alcune generiche proposte di soluzione. I due senatori
diessini sono convinti che “questi fenomeni sono causati da una caduta di
tensione ideale e di rigore morale”. E Fassino, di fronte alla moltiplicazione
delle commissioni consiliari di alcune Regioni rosse, pronunciò nel
luglio dell’anno scorso una frase lapidaria: «Guai a dimenticare che il fiume
della politica deve scorrere nel letto dell’etica e della morale”». Aggiungo
che, dopo aver letto il mio libro, il senatore Salvi mi ha scritto il 27
ottobre 2005 per complimentarsi “dell’eccellente lavoro di ricognizione e anche
propositivo, anche se, com’è naturale, per questo secondo aspetto
c’è qualche divergenza rispetto all’impostazione che ho svolto insieme a
Massimo Villone nel nostro libro, che le invierò per avere un suo
giudizio”. Le loro proposte puntano sulla modifica del finanziamento pubblico
dei partiti perché diano garanzie di democraticità, su una generica
riduzione dei parlamentari, sulla non proliferazione delle Province e delle
Comunità montane, su una legge elettorale che riduca i costi della
politica, sul rilancio dei referendum per coinvolgere maggiormente i cittadini,
sullo stop (è scritto proprio così) alla spartizione e alla
moltiplicazione di incarichi e consulenze, su una sanità non più
lottizzata, su un ripensamento del federalismo, sulla ricerca della
responsabilità perduta (una specie di viaggio prustiano) e, infine, su
trasparenza, trasparenza, trasparenza, (ripetuta borrellianamente tre volte per
dire basta a una “gestione oscura della cosa pubblica all’interno di certi
studi professionali”, contestata recentemente dal sempiterno De Mita al
governatore Bassolino). Nei giorni scorsi abbiamo appreso che i due senatori
diessini, con l’aiuto del deputato Valdo Spini, hanno deciso di presentare tre
disegni di legge per fare risparmiare a questo disastrato paese almeno 6
milioni di euro l’anno grazie alla riduzione degli attuali 945 parlamentari a
600 (400 deputati e 200 senatori), alla soppressione delle Province, al
contenimento entro 40 del numero dei ministri e dei sottosegretari (gli Usa e
la Germania hanno governo composti da 15 ministri e altrettanti sottosegretari),
alla soppressione di una serie di enti inutili (ne elencano solo sei
lasciandone in vita diecine di migliaia come le società miste) e,
infine, alla profonda riorganizzazione delle formazioni politiche con sanzioni
per quelle che non rispettano il metodo democratico (una legge alla tedesca,
per intenderci). Mi è facile osservare: a) che la riduzione dei
parlamentari a 600 è esattamente quella contenuta nella Devolution del
centrodestra, contestata anche da Salvi e Villone e bocciata dal referendum,
perché è senza una convincente ragione il fatto che un paese di 56
milioni di abitanti abbia un Parlamento superiore a quello degli Usa, la
potenza mondiale di 300 milioni di abitanti, costituito da 435 deputati e da
100 senatori; b) che hanno votato la fiducia a un governo composto da ben 103
tra ministri, vice e sottosegretari e che, volendolo ridurre a 40 componenti,
basterebbe invitare Prodi a farlo subito senza bisogno di una legge
costituzionale visto che la nostra Costituzione, all’art. 92 , non fissa alcun
numero; c) che per eliminare i mille sprechi della politica occorre ridurre a
150 deputati e 50 senatori il numero dei parlamentari (metà di quelli
Usa), eletti al massimo due volte e senza gli attuali inverecondi privilegi,
istituire tre macroregioni, sopprimere tutti gli enti inutili, dalle Province
alle Comunità montane e alle società miste. E affidare a
citymanagers l’amministrazione degli ottomila Comuni, come suggeriscono
esperienza e buon senso..
Da Il Corriere
della Sera (14-11-2006).
I partiti e il business
dei rimborsi elettorali.
Nel 2006 le forze politiche hanno ricevuto
oltre 200 milioni. Di Sergio Rizzo Gian Antonio Stella
Il caso dei Pensionati, che per le ultime
Europee hanno ottenuto centottanta volte quello che avevano investito.
L’eccezione dei radicali. Spesi 16 mila euro, incassati tre milioni
Il radiotelegrafista Fatuzzo Carlo, giunto
alla veneranda età di 43 anni, intercettò sulle onde
elettromagnetiche un’ispirazione: datti alla politica. Detto fatto,
fondò il partito dei pensionati. Il più redditizio del mondo.
Basti dire che nella campagna per le ultime europee investì 16.435 euro
ottenendo un rimborso centottanta volte più alto: quasi tre milioni. Un
affare mai visto neanche nelle fiammate borsistiche della corsa all’oro di
internet. Eppure, il suo è solo il caso più plateale. Perché,
fatta eccezione per i radicali, quei rimborsi sono sempre spropositati rispetto
alle somme realmente spese. E dimostrano in modo abbagliante come i partiti,
negli ultimi anni, abbiano davvero esagerato. Il referendum del 18 aprile ’93
era stato chiarissimo: il 90,3% delle persone voleva abolire il finanziamento
pubblico dei partiti. Giuliano Amato, a capo del governo, ne aveva preso atto
con parole nette: «Cerchiamo di essere consapevoli: l’abolizione del
finanziamento statale non è fine a se stessa, esprime qualcosa di
più, il ripudio del partito parificato agli organi pubblici e collocato
tra essi».
Certo, il voto era stato influenzato dal
vento impetuoso della rivolta morale contro gli abusi della Prima Repubblica,
travolta da mille scandali. E magari è vero che conteneva una certa dose
di antiparlamentarismo, trascinato da mugghianti mandrie di torelli
giustizialisti che presto si sarebbero trasformati in pensosi bovi garantisti.
Di più: forse era solo una illusione velleitaria l’idea che una
democrazia complessa potesse reggersi sulla forza di partiti dalle opinioni forti
e dai corpi leggeri come piume. Maanche chi da anni teorizza la
necessità che la società si faccia carico di mantenere i partiti
quali strumenti di democrazia, dovrà ammettere che la deriva fa
spavento. Ve lo ricordate perché nacquero, i rimborsi elettorali? Per aggirare,
senza dar nell’occhio, quel referendum del ’93. E sulle prime l’obolo imposto
era contenuto: 800 lire per ogni cittadino residente e per ognuna delle due
Camere. Totale: 1.600 lire. Pari, fatta la tara all’inflazione, a un euro e 10
centesimi di oggi. Erano troppo pochi? Può darsi. Certo è che,
via via che l’ondata del biennio ’92/’93 si quietava nella risacca, i partiti
si sono ripresi tutto. Diventando sempre più ingordi. Fino a divorare
oggi, nelle sole elezioni politiche, dieci volte più di dieci anni fa.
Eppure, la prima svolta sembrò già esagerata. Era il 1999. L’idea
transitoria del 4 per mille (volontario) sul quale i partiti prendevano degli
anticipi, si era rivelata un fallimento.
A marzo, con un pezzo della destra che
denunciava l’ingordigia dei «rossi», passarono l’abolizione delle agevolazioni
postali in campagna elettorale e l’eliminazione dell’anticipo: i partiti
avrebbero dovuto restituire in 5 anni, nella misura del 20% annuo del totale,
le somme «eventualmente ricevute in eccesso». Macché. Non solo la restituzione
fu svuotata dalla scelta di non varare mai (mai) il decreto di conguaglio. Ma
due mesi dopo, col voto favorevole d’una maggioranza larghissima e il plauso
anche della Lega («Questa legge ci avvicina all’Europa», disse Maurizio
Balocchi, coordinatore dei tesorieri dei partiti) passò un ritocco assai
vistoso: da
Finché presentarono insieme una leggina,
firmata praticamente da un rappresentante di ciascun partito perché nessuno
gridasse allo scandalo (Deodato, Ballaman, GiovanniBianchi, Biondi, Buontempo,
Colucci, Alberta De Simone, Luciano Dussin, Fiori, Manzini, Mastella,
Mazzocchi, Mussi, Pistone, Rotondi, Tarditi, Trupia, Valpiana) che portava i
rimborsi addirittura a 5 euro per ogni iscritto alle liste elettorali e per
ciascuna delle due Camere. Una scelta discutibile con l’aggiunta di una
indecente furberia: anche il calcolo dei rimborsi per il Senato andava fatto sulla
base degli elettori della Camera. I quali sono, senza calcolare gli italiani
all’estero, 47.160.244. Contro i 43.062.020 degli aventi diritto a votare per
Palazzo Madama:
Confronti: i partiti assorbono oggi oltre
il doppio (quasi 201 milioni contro quasi 93) di quanto assorbivano cinque anni
fa. Il balzello è passato dal 1993 ad oggi, con l’appoggio, la
complicità o il tacito consenso di tutti (salvo le eccezioni di cui
dicevamo e un po’ di distinguo) da
Sergio Rizzo Gian Antonio Stella
14 novembre 2006
No alla riduzione dei costi della politica
Bocciato dal Consiglio Comunale l’atto di
indirizzo presentato da Manneschi (città aperta democratici per arezzo)
sulla riduzione dei costi della politica.
“Nonostante le modifiche da me apportate recependo alcune proposte dei
consiglieri intervenuti nel dibattito l’atto è stato votato solo da 2
consiglieri oltre al sottoscritto (Pelini della Rosa nel Pugno e Domini della
Margherita)”– dichiara Manneschi –“sono dispiaciuto per una occasione persa per
il centro sinistra di affrontare con coraggio una questione sinora
sottovalutata e che genera distacco e sfiducia da parte dei cittadini”.
“La politica non deve avere paura di affrontare il tema ma deve essere
consapevole che negli ultimi anni i suoi costi, anche nella nostra piccola
realtà, ed anche grazie al centro destra che ha deciso di aumentare
significativamente alcune indennità, sono aumentati.
Mi aspettavo dal centro sinistra maggiore lungimiranza ma, evidentemente, i
tempi non sono ancora maturi per invertire realmente la rotta ed evitare che la
politica venga percepita come arrivismo e carrierismo (vi sono ormai decine di
incarichi negli enti partecipati retribuiti alla stregua di un vero e proprio
lavoro per espletare i quali sono sufficienti poche ore settimanali di
impegno).
Mi sono astenuto sull’atto alternativo presentato da Gasperini, Nicotra e
Arcangioli perché troppo generico e sostanzialmente dilatorio.
Nessuna delusione per l’atteggiamento del centro destra che appena 1 anno fa
innalzò i gettoni di presenza della Fraternità a 150 euro e
creò (dopo oltre otto secoli di volontariato) l’indennità di
carica per il primo rettore.
Allora il centro sinistra si oppose…
L’impegno perché i cittadini si sentano più coinvolti nelle istituzioni
continuerà senza farsi scoraggiare da questi deludenti risultati.”
redazione@arezzonotizie.it - u.s.
Da www.parlamento.toscana.it
09/11/2006
Istituzioni, Nencini interviene sui costi
della politica
Il presidente del Consiglio: “Torniamo
volentieri sull’argomento con cifre puntuali fornite dai nostri uffici”. “I
costi complessivi della politica istituzionale in Toscana - ha sottolineato
Nencini - sono decisamente più contenuti che altrove”
Firenze –“Già lo scorso anno
tenemmo in Consiglio regionale un incontro con la stampa per spiegare le voci
di bilancio relative al costo complessivo sostenuto dall’istituzione per i
consiglieri regionali, e già in quell’occasione apparve chiaro come il
Consiglio regionale toscano fosse tra i più virtuosi nel panorama
nazionale. Torniamo volentieri sull’argomento con cifre fornite dai nostri
Uffici per evitare che vi siano incerte ricostruzioni”. Così Riccardo
Nencini, presidente del Consiglio regionale, interviene sui ricenti passaggi di
cronaca, relativi ai costi della politica in Toscana. “Il Consiglio regionale,
per numero di sedute consiliari, per attività delle commissioni, e per
qualità e quantità delle iniziative politico -istituzionali –
Festa della Toscana, Pianeta Galileo, Parlamento degli Studenti, Angeli del
Fango, costituzione della Pinacoteca di arte contemporanea, iniziative nelle
scuole, etc - è considerato un’esperienza all’avanguardia e un esempio
da ripetere in Italia. A dirlo, è il Rapporto sulla legislazione 2005
discusso dalle assemblee regionali a Montecitorio nel giugno dello scorso
anno”. Nencini continua: “Il nostro bilancio appena due anni fa è stato
preso a modello dal parlamento irlandese, e siamo a tutt’oggi tra i
protagonisti – riconosciuti per metodo elettivo – dei consessi istituzionali ed
assembleari in ambito comunitario”. “I costi complessivi della politica
istituzionale in Toscana sono decisamente più contenuti che altrove”,
afferma il presidente (si veda Allegato 1, ndr), che chiarisce: “Il costo
annuale per quindici consiglieri, come da dati forniti dai nostri uffici,
è pari a 2.088.734,4 euro”. Sulla questione delle indennità e dei
benefit dei consiglieri, argomento anch’esso venuto al centro delle cronache
correnti, Nencini ricorda che “la Toscana si colloca agli ultimi posti in
Italia”, e che “I controlli, a garanzia piena della trasparenza
dell’attività di tutti i consiglieri regionali, sono esercitati
sistematicamente e da tempo: disciplina delle presenze, disciplina del
comportamento in aula, disciplina sull’utilizzo dell’autovettura di servizio,
disciplina delle missioni, taglio di alcune voci dell’indennità in caso
di assenza”. “Nonostante questo il nostro bilancio è costantemente sotto
controllo, e pensiamo ad un ulteriore contenimento della spesa – annuncia
Nencini: in un momento in cui vengono richiesti sacrifici all’intera
società, dobbiamo dare il primo esempio. Stiamo lavorando ad una
revisione degli enti nominati dalla Regione”. Conclude Nencini: “Il parlamento
regionale è una Istituzione seria, che rappresenta tutti i toscani, che
ha in capo funzioni di controllo e che, lo ricordo, approva le leggi che
interessano la nostra comunità: funzioni che il governo della Regione
è tenuto a ripettare come sovrane, a cominciare dal vicepresidente della
Giunta regionale”. (Cam)
Dal Corriere della sera del 7-11-2006
Le regioni. Stipendi
dei consiglieri, il taglio diventa finto
Dalla Toscana al Veneto alla Sicilia, le
leggine regionali per «limitare» il sacrificio
Gian Antonio Stella
Ricordate la riduzione del 10% degli
stipendi dei politici, dai parlamentari ai consiglieri circoscrizionali? Doveva
essere un taglio, è diventato un taglietto. Meglio: un tagliettino.
Doveva dimostrare che quanti governano, in questi anni di magra, danno il buon
esempio. E' diventato la prova, l'ennesima, che le sforbiciate non passano mai,
nei palazzi del potere. Doveva far risparmiare un piccolo tesoro da distribuire
«a fini di solidarietà».
E invece offre nuovi spunti a chi dice, sfidando l'accusa di qualunquismo, che
su certe cose (eccezioni a parte) sono tutti uguali. Una delle furbate messe a
punto per aggirare il taglio del 10% degli stipendi è finita in
Consiglio dei ministri non più tardi di quattro settimane fa, il 6
ottobre. Quando il governo, reduce dal varo di una manovra pesantissima
motivata con la necessità di far quadrare i conti, è stato chiamato
a dir la sua su una legge della Toscana (la 36/2006) che interpretava in modo
«elastico» il taglio deciso da Giulio Tremonti nella sua ultima Finanziaria. E
poiché non ha trovato motivi per opporsi e impugnare tutto, le nuove norme sono
state pubblicate sulla Gazzetta ufficiale del 28 ottobre. Diventando operative,
sconti compresi.
Diceva il comma 54 dell'articolo 1 della Finanziaria tremontiana: «Per esigenze
di coordinamento della finanza pubblica, sono rideterminati in riduzione nella
misura del 10 per cento rispetto all'ammontare risultante alla data del 30
settembre 2005 i seguenti emolumenti: a) le indennità di funzione
spettanti ai sindaci, ai presidenti delle province e delle regioni, ai
presidenti delle comunità montane, ai presidenti dei consigli
circoscrizionali, comunali, provinciali e regionali, ai componenti degli organi
esecutivi e degli uffici di presidenza dei consigli dei citati enti; b) le
indennità e i gettoni di presenza spettanti ai consiglieri
circoscrizionali, comunali, provinciali, regionali e delle comunità montane».
E per non lasciare spazio ai dubbi dei maghi del cavillo («per indennità
di funzione intendesi forsanco...») il punto «c» precisava che andavano
tagliate «le utilità comunque denominate spettanti per la partecipazione
ad organi collegiali». Insomma: tutto. Tanto più che gli stipendi dei
politici, dai deputati ai consiglieri regionali, sono composti sempre da
più voci (rimborsi viaggi, indennità di missione, assunzione di
assistenti...) tradizionalmente usate per aggirare questo o quel problema. A partire,
per dirla tutta, dalle imposte.
Tutto chiaro? Chiarissimo. Eppure, avute tra le mani le norme, il consigliere
regionale toscano Jacopo Maria Ferri ha levato il ditino: eh no, così
non va. E ha cominciato a cercare, uno per uno, i punti in cui la legge poteva
essere aggiustata. Chi sia il giovanotto è presto detto: un idealista.
Figlio di Enrico Ferri, il leggendario ministro socialdemocratico dei Lavori
pubblici ricordato per la barbetta risorgimentale e il tentativo di obbligare
gli italiani a non superare i 110 all'ora, il giovanotto succhia politica da
quando gli diedero il primo biberon. E ha continuato a succhiare. Eletto due
volte consigliere regionale per Forza Italia, il giorno in cui il babbo (due
volte eurodeputato berlusconiano) decise di lasciare gli azzurri alla vigilia
delle elezioni del 9 aprile per passare all'Udeur, si trovò davanti a un
dilemma: scegliere il papà o il Cavaliere? Scelse il papà, con
allegato Mastella. Restando imbullonato al seggio regionale e insieme a quello
di consigliere del «Consorzio per lo sviluppo della ricerca geofisica mineraria
applicata e ambientale».
Chi presiede il Consorzio? Papà Enrico. Chi sono i soci? Uno è il
«Centro lunigianese di studi giuridici», guidato da sempre da papà
Enrico. L'altro il Comune di Pontremoli, del quale (dopo una complicata vicenda
di ineleggibilità, ricorsi, sospensive del Tar che non staremo a
riassumere) fa oggi le funzioni di sindaco, dopo essere stato podestà
quattro volte dal giurassico al proterozoico, sempre lui: papà Enrico.
Se sia stato il babbo a suggerirgli gli aggiustamenti non si sa. Certo è
che Jacopo, con l'appoggio di un collega di An, l'aretino Maurizio Bianconi,
presenta a giugno una leggina. La quale interpreta a modo suo il comma 54. E
dice che no, le percentuali del rimborso spese mensile vanno calcolate «senza
tenere conto della riduzione del 10%». Che questa riduzione «non si applica
alla diaria mensile». Che i gettoni di presenza devono continuare ad essere
distribuiti come prima in base alla consuetudine che «si considera presente il
Consigliere che facendo parte di più organi collegiali, abbia
partecipato nella giornata alla riunione di uno degli organi». Che la
«determinazione dell'ammontare dell'assegno vitalizio spettante ai consiglieri
cessati dal mandato» va calcolata anche quella «senza tenere conto della
riduzione del 10% dell'indennità mensile» e così pure la
«determinazione dell'ammontare dell'indennità di fine mandato».
A farla corta: la leggina regionale, su cui Francesco Storace sta per presentare
una scandalizzata interrogazione parlamentare, riduce il taglio al minimo del
minimo. E chi la vota, in aula? I Ds si chiamano fuori. E votano contro: «Ci
pareva assurdo, in un momento come questo, esporci all'accusa di farci gli
affari nostri», spiega il presidente della giunta regionale Claudio Martini.
Tutti gli altri, a favore. Compresi quelli che si rifiutano perfino di andare
insieme in piazza contro il terrorismo. Da An a Rifondazione, da Forza Italia
ai comunisti italiani, dall'Udc alla Margherita ai Verdi. Tutti uniti nella
Grosse Koalition del Rimborson. Un caso isolato? Ma niente affatto.
La scappatoia alla sforbiciata l'hanno data in tanti. Scegliendo, qua e
là, soluzioni diverse. Il Veneto, roccaforte della destra, ha optato per
l'escamotage della Toscana, roccaforte della sinistra: solo taglietto alla voce
indennità con l'esclusione delle altre. Fine. La Sicilia ha battuto
altre strade. Ce le dicono due buste paga (aprile 2005 e agosto 2006) di
Salvatore Centola, un deputato udc dell'Ars cui va riconosciuto avere il
coraggio di rendere pubblici i suoi stipendi. Da cui si vede che
l'indennità è stata un po' tagliata (non del 10%: del 7,3%) ma in
compenso è stata più che raddoppiata (da
Del resto è così anche a Roma. I primi a venir tagliati non
dovevano essere gli stipendi di deputati e senatori? Bene, i bilanci del Senato
(dato ufficiale) dicono che non è andata così. Lo stanziamento
del capitolo 1.2.1. (indennità parlamentare) parla infatti di un taglio
del 5,51% per l'effetto combinato, parole testuali, «della decurtazione del 10%
delle competenze in questione e del successivo incremento delle stesse,
ipotizzato nell'ordine del 4,5%, che verrà applicato quando sarà
disponibile il tasso di incremento delle retribuzioni della magistratura».
Da Il Corriere della Sera (1-11-2006).
«Collaboratori» e
«cancelleria»: Palazzo Chigi costa il 69% in più. Di Sergio Rizzo - Gian
Antonio Stella
Spese per lo staff del premier cresciute
del 186%
«Dobbiamo tagliare», diceva Berlusconi. E
le spese di funzionamento di Palazzo Chigi sono passate in pochi anni, nei
«suoi» bilanci, da
«Dobbiamo tagliare», dice Romano Prodi. Ma per le stesse spese prevede di tirar
fuori nel 2007, nella «sua» Finanziaria, 17 milioni in più. Fino ad
arrivare a 391. Pari a 757 miliardi di lire.
Per carità: è più cara la bolletta del riscaldamento, sono
più cari i pieni di benzina, è più cara
l'elettricità. Ma capire come le spese vive del «cuore» dello Stato si
siano impennate del 69% oltre l'inflazione (13% complessivo) è arduo.
Tanto più che i bilanci, come capita nelle società di quei
faccendieri che non vogliono curiosi nei dintorni, sono tutt'altro che
cristallini.
Una struttura pubblica trasparente deve avere bilanci trasparenti? Qui no.
Prendiamo un capitolo: «Spese per acquisto di cancelleria, stampati speciali e
ogni altro bene di consumo e/o strumentale necessario al funzionamento degli
uffici, per il noleggio e la manutenzione di apparecchiature, attrezzature e
restauro di mobili». Cosa vuol dire? Che ci fa il «restauro di mobili» con le
matite e le gomme? E di quali «apparecchiature» si tratta? Computer? No,
c'è una voce a parte. Anzi, nel bilancio 2005 addirittura tre. Capitolo
213: «Spese per l'installazione, la gestione e la manutenzione degli apparati
tecnologici delle reti informatiche e di telecomunicazione»: 4.913.737 euro.
Capitolo 913: «Spese per l'acquisto di beni e servizi informatici e
telecomunicazioni durevoli»: 1.770.000. Capitolo 909: «Spese per lo sviluppo
del sistema informatico e delle infrastrutture di rete»:10.693.383. Qual
è la differenza? Boh... L'unica cosa certa è il totale:
17.377.120 euro. Quanto alle «spese di cancelleria», nel 2001 ammontavano a
1.043.242 euro, nel 2005 erano a 2.598.721.
Sono aumentati i dipendenti, quindi la necessità di penne e calamai? Nel
faccia a faccia prima del voto, in polemica col Cavaliere, il Professore disse
di sì: «Aveva detto che c'erano troppi dipendenti a palazzo Chigi. Erano
4.000 persone, oggi sono 4.200». In realtà, i numeri a bilancio sembrano
dare torto a tutti e due. Non erano quattromila ma 3.548 (sulla carta) nel
2001, non sono 4.200 ma 2.974 (sulla carta) alla fine del 2005. Sulla carta,
però. Perché esiste da sempre una tale girandola di «comandati»,
consulenti, provvisori vari da perdere la testa. La riprova? La spesa per il
personale, che in base ai numeri appena dati avrebbe dovuto calare di circa un
sesto (anche se i dirigenti con le destre al governo sono passati da
Il fatto è che tutto è molto complicato da decifrare. E che a
Palazzo Chigi i consulenti (61 nel 2001, 136 nel 2005) e i collaboratori presi
in prestito possono essere un esercito. Come quello a guardia di Berlusconi: vi
sembrano tanti i 31 agenti che lui stesso si assegnò per quando non
sarebbe più stato capo del governo? Allora ne aveva 81. Dei quali 11
(sei dipendenti del gruppo Mediaset, stando alle denunce della sinistra) erano
stati assunti dal Cesis per chiamata diretta, scavalcando le regole che permetterebbero
l'accesso ai «servizi» solo a chi è già poliziotto o carabiniere.
Quanto allo staff, ricordate cosa scrisse un cronista entusiasta dell'attivismo
del Cavaliere? «Segreterie e collaboratori si alternano, con diversi turni,
mentre il Cavaliere sembra l'omino delle pile Duracell. Chi scrive riesce a
stento a girare lo zucchero nella tazzina del caffè, nello stesso tempo
in cui il presidente fa almeno tre cose». Pareva una lisciatina: era un
programma. Lo dicono i bilanci: nel 2001 le spese per pagare «gli addetti alle
segreterie particolari del presidente, del vicepresidente e dei sottosegretari
di Stato estranei alla pubblica amministrazione» (le persone portate da fuori)
ammontarono a 1.882.248 euro. Ai quali andavano aggiunti altri 1.846.333 euro per
il «trattamento economico accessorio per gli addetti agli uffici di diretta
collaborazione del presidente, dei vicepresidenti e dei sottosegretari».
Totale: 3.728.581. Cosa significhino esattamente queste voci (cos'è il
trattamento «accessorio»?) non è chiarissimo. È però
chiaro che le stesse voci si sono impennate nel 2005 fino a 11.154.000 euro: 21
miliardi e mezzo di lire. Un aumento reale, al di là dell'inflazione,
del 186%. Né è andata peggio al segretario generale e ai suoi vice: nel
2001 i loro stipendi pesavano per 320 mila euro, nel 2005 per 584 mila.
Per le altre curiosità, c'è da cogliere fior da fiore. Tutto
legittimo, per carità. Ma colpisce, in questi anni di ristrettezze, che
la Protezione Civile abbia speso nel 2005 solo 6 milioni per lo Tsunami (280
mila morti) e 15, quasi tre volte tanto, per «oneri connessi alle esequie del
Papa e alla nomina del nuovo Pontefice». O che la stessa protezione civile
abbia tirato fuori un milione di euro per «il grande evento relativo alla
Conferenza episcopale di Bari».
Per non dire della magica stagione della società televisiva «Euroscena».
Fondata venti anni fa «su imprescindibili valori cristiani» (così
è scritto nel sito, dove si vanta insieme il quiz «Distraction» dove chi
rispondeva bene aveva diritto a smutandarsi), fino al 2000 fatturava 2 milioni
e mezzo di euro. Dal 2001 ad oggi è passata a 16.164.414. Wow! Merito
del «genio» dell'amministratore unico, Davide Medici, un ignoto ragazzo di 22
anni? No, della Provvidenza, spiega in un'intervista il socio di maggioranza
Luigi Sciò: «Ho tanta fede nella Provvidenza». Che nel suo caso, dicono
i maligni, è bassina, ha i capelli trapiantati e la pelle liftata.
Berlusconi, per Sciò, è «una persona amica», uno «che ha dato moltissimo
alla televisione», un «grandissimo imprenditore», un «uomo veramente
straordinario con una famiglia straordinaria». Una stima agiografica ma
ricambiata.
Convinto che «Euroscena» sia il top, il Cavaliere le ha infatti delegato non
solo la confezione dei filmati propri (dal vertice di Pratica di Mare al
decennale di Forza Italia, poi girati alla Rai con relative polemiche) ma anche
quelli di Prodi. Dopo una gara «informale» («motivi di segretezza»: sic) fatta
poco prima di sgomberare da Palazzo Chigi ma con un contratto che sarebbe
scattato il 19 maggio e cioè 40 giorni dopo le elezioni, ha affidato
infatti alla società una serie di appalti a partire dal confezionamento
tivù dei grandi eventi di palazzo Chigi anche per tre anni a venire.
Cosa che al nuovo governo non è piaciuta tanto. Tanto più che,
appena insediato, il Professore bolognese si è visto arrivare le fatture
per tre avvenimenti «extra-canone» che avevano celebrato il predecessore.
1) La cerimonia per l'anniversario del volontariato civile.
2) L'udienza agli atleti paraolimpici a Villa Madama.
3) La cena a Villa Miani con gli esponenti del Partito Popolare Europeo venuti
alla vigilia delle elezioni a spalleggiare il centrodestra. «Perché dobbiamo
pagare noi, coi soldi dei cittadini, uno spot promozionale privato e partitico?»,
si sono chiesti gli attuali inquilini di palazzo Chigi.
Tanto più che la fattura, per i tre servizi, era di 334.316 euro.
Più di duecento milioni a botta.
Sergio Rizzo
Gian Antonio Stella
01 novembre 2006
Il Corriere della Sera del 27.10.2006
I costi della politica. E il Cavaliere
ereditò auto blu e superscorta. Di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella
115 auto blu nell'autoparco di Palazzo Chigi che sono costate negli ultimi 5
anni 7 milioni di euro. 31 agenti di scorta per l'ex Presidente del Consiglio e
il boom dei voli.
I costi della politica in tempi di
tagli...
M
Un po' troppo, secondo i nuovi inquilini
della Presidenza del consiglio. Che sulla questione, a partire da Enrico
Micheli, avrebbero aperto un (discreto) braccio di ferro con l'ex-premier.
Guadagnando finora, pare, solo una riduzione del manipolo: da
Né val la pena di ricordare che, ai tempi in cui le Br ammazzavano la gente per
la strada e i politici erano esposti come mai prima, il presidente del
consiglio Giulio Andreotti viaggiava con scorte assai più contenute:
«Mia moglie a Natale faceva un regalino a tutti, e certo non erano molti». E'
vero: è cambiato tutto. E la scelta di ridurre drasticamente le spese
per proteggere gli ex-capi del governo fatta da Giorgio Napolitano quando stava
al Viminale, appare lontana anni luce. Berlusconi è stato il premier che
ha appoggiato fino in fondo Bush, ha schierato l'Italia nelle missioni in
Afghanistan e in Iraq, si è battuto in difesa della sua idea di
Occidente con una veemenza (si ricordi la polemica sulla
"superiorità sull'Islam") che lo ha esposto non solo ai
fanatici come quel Roberto Dal Bosco che gli tirò in testa un treppiede
ma all'odio di tanti assassini legati ad Al Qaida. Garantirgli la massima
tutela è un dovere assoluto. Punto e fine. Il modo in cui si sarebbe
auto-confezionato questa tutela, invece, qualche perplessità la solleva.
Il 27 aprile, cioè diciassette
giorni dopo il voto e prima che Romano Prodi si insediasse, la presidenza del
consiglio stabiliva che i capi del governo "cessati dalle funzioni"
avessero diritto a conservare la scorta su il tutto il territorio nazionale nel
massimo dispiegamento. Altri dettagli? Zero: il decreto non fu pubblicato sulla
«Gazzetta Ufficiale» e non sarebbe stato neppure protocollato. Si sa solo che
gli uomini di fiducia "trattenuti" erano 31. Quelli che con un altro
provvedimento il Cavaliere aveva già trasferito dagli organici dei
carabinieri o della polizia a quelli del Cesis. Trasferimento che l'allora
presidente del Comitato di controllo sui servizi Enzo Bianco, appoggiato dal
diessino Massimo Brutti, aveva bollato come "illegittimo". Scoperta
la cosa all'atto di insediarsi come sottosegretario con delega ai
"servizi" al posto di Gianni Letta, Enrico Micheli avrebbe espresso
sulla faccenda l'irritazione del nuovo governo. E dopo una lunga trattativa
sarebbe riuscito a farsi restituire, come dicevamo, sei persone.
Quanto alle auto, quelle
"prenotate" dall'allora presidente sarebbero come detto 16, delle
quali 13 blindate. Quasi tutte tedesche. Resta la curiosità di sapere se
vanno o meno contate tra quelle del parco macchine di Palazzo Chigi. Così
stracarico di autoblu che il grande cortile interno non può ospitarne
che una piccola parte. Il resto sta in via Pozzo Pantaleo 52/E, una strada
fuori mano alle spalle di Trastevere, nel quartiere portuense. Serve una
macchina? Telefonano: "Mandate un'auto, per favore". Se non
c'è traffico, una mezz'oretta. I ministri sparpagliati qua e là
che fanno riferimento a Palazzo Chigi, non sono pochi: Linda Lanzillotta
(Affari Regionali), Giulio Santagata (Attuazione del programma), Luigi Nicolais
(Riforme e Innovazioni nella pubblica amministrazione), Barbara Pollastrini
(Pari opportunità), Emma Bonino (Politiche europee), Vannino Chiti
(Rapporti con il Parlamento) Rosy Bindi (Politiche per la famiglia) e Giovanna
Melandri (Politiche Giovanili e Sport). Ma le autoblu a disposizione, comprese
le due Maserati in dotazione a Prodi e Micheli, sono una marea: 115. E il bello
è che sono già calate: fino al 17 maggio erano 124.
Costi? Una tombola. Nel solo 2005, per
"acquisto, manutenzione, noleggio ed esercizio dei mezzi di trasporto nonché
installazione di accessori, pagamento dei premi assicurativi e copertura rischi
del conducente e dei trasportati, spese per permessi comunali di accesso a zone
a traffico limitato", quel parco di autoblu ci è costato 2 milioni
e 152 mila euro, 400 mila in più rispetto alle previsioni. Ai quali
vanno sommati gli stipendi degli autisti, presumibilmente gravidi di
straordinari. Un anno eccezionale? Niente affatto: la fine di una rincorsa. Nel
2001, per le stesse cose, erano stati spesi 940 mila euro. Nel 2002 un milione
e 389 mila. Nel 2003 un milione e 322 mila. Nel 2004 un milione e 800 mila. Una
progressione inarrestabile. Fatte le somme, dal 2001 al 2005 dalle casse di
palazzo Chigi sono usciti per le autoblu 7 milioni 603 mila euro. Pari a 14
miliardi e 721 milioni di lire. Eppure, per i viaggi appena più lunghi,
devono aver anche volato. Lo dicono i bilanci: per "noleggio di aeromobili
per esigenze di Stato, di governo e per ragioni umanitarie e spese connesse
all'utilizzo dell'aereo presidenziale" sono stati spesi nel solo 2005 due
milioni e 150 mila euro. Il quadruplo del 2002, quando i voli della presidenza
ci erano costati 577.810 euro. Sarà stata colpa del caro petrolio...
Da http://www.liberaliperlitalia.it/ Dossier
Costi della Politica
Noi liberali siamo proprio
"pazzi": questo dossier sui costi della politica dell' Assemblea
regionale siciliana può avere l'effetto di un terremoto in tanti altri
ambienti lavorativi pubblici italiani . La Premessa è che oggi la
politica si finanzia tramite Assemblee parlamentari. Nelle Assemblee
parlamentari i decisori sono sostanzialmente irresponsabili per le decisioni di
spesa adottate. Mentre invece il popolo deve essere puntualmente informato
sulle principali decisioni adottate e sulle loro conseguenze finanziarie, per
avere, a propria volta, la possibilità di giudicare. (Livio Ghersi)
18/03/2006
Questo dossier è il Contributo per
il programma di Rita Borsellino Presidente, in occasione della riunione del
Cantiere tematico “Assetti istituzionali ed organizzativi e riforma della P. A.
regionale” - Palermo.
Buongiorno,
dall’agosto del 1981 sono dipendente
dell’Amministrazione dell’Assemblea regionale siciliana, dopo aver superato un
concorso pubblico per esami per la qualifica di “referendario parlamentare”
(posizione iniziale della carriera direttiva).
In questo intervento svolgo una serie di
considerazioni che sono frutto della mia diretta esperienza. L’intervento
è scritto affinché chi è interessato possa leggerlo con calma. In
questa sede lo do per letto, per non rubare tempo.
Si tratta di un contributo di analisi,
articolato nei seguenti tre paragrafi:
Autonomia ed Arcana Imperii
La struttura burocratica dell’Assemblea
regionale siciliana: i costi
La struttura burocratica dell’Assemblea
regionale siciliana: ciò che dovrebbe fare
Le conclusioni impegnano soltanto me
stesso. Ciascuno potrà liberamente valutare il testo e ritengo anche
possibile che alcuni possano non condividerlo, quanto meno nella sua
ispirazione generale.
A coloro che saranno chiamati a fare la
sintesi politica, lascio il compito di verificare se ci sono spunti utili anche
dal loro punto di vista.
1. Autonomia ed Arcana Imperii
Ricordo, prima di tutto a me stesso, due
princìpi fondamentali da mettere al centro di un programma di riordino
delle istituzioni della Regione siciliana:
1) il denaro pubblico, che proviene dalla
generalità dei contribuenti, non deve essere sprecato, ma va utilizzato
al meglio, per finalità di interesse generale;
2) le pubbliche amministrazioni, proprio
perché sono finanziate con denaro pubblico, devono fornire utilità e
servizi alla collettività. Se servono soltanto ad elargire stipendi, e
poi pensioni, ad un numero più o meno vasto di beneficiari, tradiscono
il loro scopo.
I predetti princìpi, in sè
considerati, potrebbero apparire ovvii, quasi la scoperta dell’acqua calda.
Assumono però altro significato, ed una portata quasi eversiva, se messi
in relazione con l’esigenza di riconsiderare il modo in cui storicamente
è stata interpretata la speciale autonomia della Sicilia, con
l’autonomia regolamentare dell’Assemblea regionale siciliana che dall’autonomia
statutaria discende.
Non è che l’autonomia sia sbagliata
in sé, al contrario! Il fatto è che l’autonomia è
un’opportunità, una possibilità di fare, di per sé né buona né
cattiva: tutto dipende dall’uso che in concreto se ne fa.
Lo Statuto garantisce l’autonomia
dell’Assemblea regionale per quanto attiene al procedimento di esame e di
approvazione delle leggi regionali. Tale procedimento deve essere disciplinato
dal Regolamento interno dell’Assemblea medesima. In materia c’è una
riserva di regolamento parlamentare, nel senso che la stessa materia non
potrebbe essere disciplinata con una legge regionale. Riserva di regolamento
parlamentare che ha il medesimo contenuto di quella che è solennemente
affermata nell’articolo 72 della Costituzione.
Secondo le norme del proprio Regolamento,
spetta all’Assemblea eleggere i propri organi interni (Presidente, Commissioni,
eccetera), così come l’Assemblea ha il potere di auto-organizzarsi, per
l’esercizio delle funzioni ad essa spettanti (articolo 4 dello Statuto).
I singoli deputati hanno il potere di
iniziativa legislativa (articolo 12 dello Statuto) ed il diritto di presentare
interpellanze ed interrogazioni (atti cosiddetti di controllo ispettivo), e
mozioni (atti di indirizzo politico) in seno all’Assemblea (articolo 7 dello
Statuto). Non possono essere chiamati a rispondere per i voti dati e le
opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni (articolo 6 dello
Statuto).
Tutto queste garanzie servono per
assicurare la libertà e l’indipendenza, tanto dell’Istituzione
parlamentare nel suo insieme, quanto dei singoli deputati. Si tratta di garanzie
che ormai si sono consolidate da secoli e che traggono origine da quella fase
storica in cui la libertà dei Parlamenti era minacciata dal potere del
Re.
Con legge regionale 30 dicembre 1965, n.
44, si è stabilito che ai deputati regionali si applica la legge 31
ottobre 1965, n. 1261, recante “Determinazione dell’indennità spettante
ai membri del Parlamento”. Il concetto di indennità parlamentare,
nell’applicazione pratica, si è via via esteso, in una completa
equiparazione del trattamento economico dei deputati dell’ARS a quello
complessivamente fruito dai senatori. Fino a qui tutto pacifico, o quasi.
La tendenza a realizzare la stessa
equiparazione in altri settori (ad esempio, per quanto riguarda i limiti alla
giurisdizione), non è invece riuscita, perché la Corte Costituzionale,
in ripetute pronunce, ha sempre riaffermato questo principio: “l’analogia tra
le attribuzioni delle assemblee regionali e quelle parlamentari non significa
identità: le prime si svolgono a livello di autonomia, anche se costituzionalmente
garantite, le seconde a livello di sovranità; e, dunque, non sono
autonomamente applicabili agli organismi assembleari delle regioni le
prerogative riservate agli organi supremi dello Stato e le speciali norme
derogatorie che vi si riconnettono” (così sentenza del 13 giugno 1995,
n. 245; sono ivi richiamate le precedenti sentenze n. 66 del 1964, n. 110 del
1970 e n. 209 del 1994). Sono investiti del potere sovrano dello Stato soltanto
questi organi: le due Camere del Parlamento, la Presidenza della Repubblica e
la Corte Costituzionale.
Il Regolamento interno dell’Assemblea, cui
finora si è fatto riferimento, rientra nella tipologia definita dagli
studiosi “regolamento parlamentare generale”. Ma, oltre al Regolamento
parlamentare "generale", nel senso sopra chiarito, che attua norme
costituzionali o che comunque — come ha scritto un insigne costituzionalista
siciliano purtroppo scomparso, Temistocle Martines — contribuisce con le
proprie disposizioni «a comporre la struttura politico-costituzionale dello
Stato», esistono i cosiddetti regolamenti parlamentari "minori", che
sono relativi ad un settore dell’attività della Camera o della sua
organizzazione interna (si veda Martines, Diritto Costituzionale,
Giuffrè, Milano, 1978, pp. 282-283).
Per rendersi conto della diversa valenza
delle norme regolamentari generali, rispetto a quelle contenute nei regolamenti
"minori", si pensi soltanto alla diversa procedura stabilita per la
loro approvazione: nel primo caso sono approvate dall’Assemblea parlamentare
con una maggioranza qualificata (nel senso di più ampia) dei suoi
componenti; nel secondo caso si tratta di norme approvate dall’Ufficio di
Presidenza.
Si tende sempre a riportare le norme
contenute nei regolamenti "minori" sotto lo stesso regime di garanzie
previste per il regolamento parlamentare generale. Tale assimilazione
generalizzata, tuttavia, in taluni casi costituisce una forzatura quando le
norme regolamentari minori disciplinano quelle che Di Ciolo definisce
"funzioni accessorie", cioè funzioni che non attengono
direttamente all’attività parlamentare, ma hanno un valore meramente
strumentale (si veda Vittorio Di Ciolo, Il Diritto parlamentare nella
teoria e nella pratica, Giuffrè, Milano, 1980, pag. 376).
Il problema ha risvolti molto concreti.
Sappiamo, ad esempio, che la parte prevalente di denaro pubblico destinato ai
partiti politici proviene dalle Assemblee parlamentari (Camera e Senato, ma lo
stesso discorso si può fare per le Assemblee regionali). La politica
oggi si finanzia per il tramite dei Parlamenti.
Al riguardo, la prima cosa che viene in
mente è il “rimborso” pubblico alle liste che concorrono alle elezioni.
La materia è disciplinata dalla legge 3 giugno 1999, n. 157, la quale –
all’articolo 1 – stabilisce che presso la Camera dei deputati, ed a carico del
bilancio interno della Camera medesima, sono istituiti dei fondi per i rimborsi
delle spese sostenute dai movimenti o partiti politici che partecipano alle
elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati, del Parlamento europeo, dei
consigli regionali, nonché per le spese sostenute dai comitati promotori dei
referendum. L'erogazione dei rimborsi delle spese sostenute dai movimenti o
partiti politici che partecipano alle elezioni per il rinnovo del Senato della
Repubblica, invece, è a carico del bilancio interno del Senato.
Una cosa sono i rimborsi da dare ai
partiti che partecipano alle elezioni, altra cosa sono i contributi che, per
tutta la durata di ogni legislatura, sono erogati ai Gruppi parlamentari, in
proporzione al numero dei parlamentari che aderisce a ciascun gruppo. Stiamo
parlando di contributi per le spese di funzionamento dei Gruppi, per il
personale dipendente, eccetera. Le indennità corrisposte ai
parlamentari sono a parte.
Ma ci sono tante altre decisioni adottate
dagli Uffici di Presidenza di Camera, o Senato (lo stesso discorso vale per le
decisioni del Consiglio di Presidenza dell’Assemblea regionale siciliana) che
si traducono in ulteriore destinazione di risorse per il finanziamento della
politica.
Ad esempio, se gli Uffici di Presidenza di
Camera, o Senato, decidono di autorizzare la costituzione di Gruppi
parlamentari in deroga rispetto ai requisiti normalmente previsti, assumono
decisioni rilevanti dal punto di vista delle conseguenze finanziarie. Quando
stabiliscono quanti collaboratori possano essere utilizzati dai Gruppi
parlamentari, con oneri a carico dei bilanci interni di Camera, o Senato,
assumono decisioni rilevanti dal punto di vista delle conseguenze finanziarie.
Quando quantificano l’entità di benefit per i singoli parlamentari (dal
trattamento di missione, alla dotazione per spese di viaggio, alle agevolazioni
per l’acquisto di una casa, fino alla cose più banali come la dotazione
di telefoni portatili), assumono decisioni rilevanti dal punto di vista delle
conseguenze finanziarie.
Gli esempi potrebbero continuare: si pensi
ai contributi che il Consiglio di Presidenza dell’Ars eroga per coprire in
parte le spese di organizzazione di convegni, congressi, mostre, manifestazioni
culturali e sportive, eccetera, che hanno quasi sempre promotori, o
sponsor, politici.
Tutte queste decisioni sono assunte
nell’esercizio dell’autonomia regolamentare propria delle Assemblee
parlamentari. Quindi, in nome dell’autonomia, i decisori politici pretendono di
essere e sono, nella sostanza, giuridicamente irresponsabili.
Gli Uffici di Presidenza di Camera e
Senato sono rappresentativi di tutti i Gruppi parlamentari (di maggioranza e di
opposizione). Quindi è naturale che le decisioni vengano adottate in una
logica consociativa: se tutti sono responsabili di una decisione potenzialmente
impopolare, nessuno è responsabile. E’ relativamente facile raggiungere
accordi in cui ciascun Gruppo abbia il proprio particolare tornaconto, quando
la possibilità di spesa è pressoché illimitata e gli oneri
finanziari sono sistematicamente scaricati sul bilancio pubblico.
Non vorremmo che l’Istituzione
parlamentare, presidio della democrazia, fosse travolta da un ciclo
degenerativo, finendo per trasformarsi nel primo centro di corruzione della
vita pubblica.
Questo discorso potrà risultare
sgradito. Ricordo allora che due autorevoli senatori del partito dei
Democratici di Sinistra, Cesare Salvi e Massimo Villone, nel novembre del 2005
hanno pubblicato un libro che non è passato inosservato ed anzi ha
riportato commenti favorevoli pure in settori di opinione pubblica orientati
politicamente in senso opposto a quello degli autori. Il titolo è “Il
costo della democrazia”; sottotitolo: “Eliminare sprechi, clientele e privilegi
per riformare la politica”. Arnoldo Mondadori, editore.
A mio avviso, Salvi e Villone non hanno
compiuto quella coraggiosa “operazione verità” che il fenomeno da loro
affrontato richiederebbe. Hanno però avuto il merito di fare emergere un
problema che la stragrande maggioranza dei politici di professione preferirebbe
rimuovere.
Anche la scelta del titolo è
significativa: non si parla di “costi della politica”, ma di “costi della
democrazia”. La logica implicita in questa scelta è che in un sistema
democratico è comunque inevitabile che una parte dei costi
dell’attività politica gravi sul bilancio dello Stato e sui bilanci
delle regioni e degli enti locali. Si tratta, quindi, di ragionare sui numeri.
Ciò che, dal mio punto di vista, è inaccettabile è che si
adoperi l’esigenza di “partecipazione democratica” come pretesto per
giustificare qualunque tipologia di spesa, per un numero sempre maggiore di
beneficiari.
Salvi e Villone scrivono che la “Politica
S.p.A.” è ormai diventata la più granze azienda pubblica italiana.
“Emerge, dall’insieme dei dati che abbiamo raccolto, che quasi 200 mila sono le
persone che in Italia sono retribuite per essere state elette o per avere un
incarico di governo” (si veda pag. 50).
Mentre l’articolo 69 della Costituzione
prevede soltanto una indennità per i parlamentari, Salvi e Villone
scrivono che “quello di eletto sta diventando un posto di lavoro di nuovo
genere, una carriera che assicura a un numero crescente di persone lo
stipendio, la pensione, la liquidazione, l’assistenza, i benefit e anche
privilegi non funzionali al mandato popolare. La rappresentanza elettiva
diventa attività professionale retribuita” (si veda pag. 51).
Mi è capitato, nel recente passato,
di essere considerato il più pericoloso degli eversori per avere sviluppato
pubblicamente il seguente ragionamento: non è possibile che chi assume
rilevanti decisioni di spesa – pur nell’esercizio di un’autonomia
statutariamente garantita – pretenda di essere irresponsabile circa le
decisioni assunte.
Ci deve essere un’Autorità, non mi
interessa se debba trattarsi di magistrati contabili in posizione di
“terzietà” come quelli della Corte dei Conti, oppure se debba trattarsi
di un collegio di Difensori civici, o se debba trattarsi di speciali organi di
garanzia al momento non previsti, comunque ci deve essere un’Autorità
che abbia il potere riconosciuto dall’ordinamento giuridico di pretendere di
conoscere i conti di qualsiasi Istituzione che si finanzia con pubblico denaro,
a cominciare dall’Istituzione parlamentare. Che dovrebbe essere una “casa di
vetro”, presidio della democrazia, eccetera.
Qualche politico, pure della coalizione
dell’Unione, ha esultato pubblicamente per recenti pronunce della Corte
Costituzionale che avrebbero “rintuzzato” le pretese della Procura Generale
dalla Corte dei Conti, e pienamente riaffermato le prerogative del Parlamento
regionale siciliano derivanti dallo speciale Statuto di autonomia. Quasi che il
problema fosse quello di difendere l’Istituzione “siciliana” nei confronti di
giudici “stranieri”.
La domanda che io personalmente ho
formulato, ma che non ho mai sentito riprendere da alcun politico, è la
seguente: scusate, se la Regione siciliana fosse uno Stato indipendente e
sovrano, con il suo regolare seggio nell’Organizzazione delle Nazioni Unite,
l’ordinamento statuale siciliano non dovrebbe comunque prevedere forme
istituzionali di controllo dell’uso del pubblico denaro? Infatti,
un’Istituzione rappresentativa può anche a buon diritto difendersi
dall’asserita invadenza dei magistrati, ma non ha alcun diritto di negare ai
cittadini, i quali la finanziano attraverso il prelievo fiscale, di conoscere
come i loro soldi vengono utilizzati. Conoscere nel dettaglio, non secondo
cifre aggregate a chiusura di rendiconto annuale.
Perché insisto nei riferimenti al
Parlamento regionale? Perché conquistata quella cittadella inespugnabile, le
stesse regole, a cascata, dovrebbero essere generalizzate nei confronti di
qualunque altra istituzione regionale. Nessuno avrebbe più titolo
legittimo per opporsi.
Per restare alle vicende di casa nostra,
il potere di autonomia regolamentare deve trovare un limite che nasce dalla
logica stessa della democrazia: non ci può essere autonomia decisionale
senza corrispondente assunzione di responsabilità. Innanzitutto responsabilità
politica, di fronte al corpo elettorale: il popolo deve essere puntualmente
informato sulle principali decisioni adottate e sulle loro refluenze
finanziarie, per avere, a propria volta, la possibilità di giudicare.
Che cosa conosce il popolo delle decisioni
del Consiglio di Presidenza dell’A.R.S., o delle decisioni di spesa del
Collegio dei Deputati Questori?
Conosce quanto riferisce la libera stampa
parlamentare. E la libera stampa parlamentare di quali fonti si avvale? Ha
forse accesso diretto agli atti? Devo ricordare il significato del termine
«velina»? C’è quindi un gigantesco problema di mancanza di trasparenza
amministrativa.
Ma c’è di più. C’è un
ancor più grave problema sotto il profilo della certezza del diritto. Vediamo
di rinfrescare i princìpi generali. Ricordo a me stesso che l’articolo
10 delle «Disposizioni sulla legge in generale» (regio decreto 16 marzo 1942,
n. 262), relativo all’inizio dell’obbligatorietà delle leggi e dei
regolamenti, recita: «Le leggi e i regolamenti divengono obbligatori nel
decimoquinto giorno successivo a quello della loro pubblicazione, salvo che sia
altrimenti disposto».
Nel nostro caso l’attenzione va rivolta
non al termine di entrata in vigore, ma al fatto che la «pubblicazione» costituisce
un necessario passaggio formale, senza il quale non si dà né legge, né
regolamento. Questo principio della pubblicazione, come condizione
necessaria affinché le disposizioni di legge abbiano vigenza, è
solennemente riaffermato all’articolo 73, comma 3, della Costituzione.
Risulta a qualcuno che le deliberazioni
del Consiglio del Presidenza che, di volta in volta, modificano, o integrano,
le disposizioni regolamentari interne dell’Amministrazione siano pubblicate da
qualche parte? La sensibilità di tanti raffinati giuristi non è
appena turbata dalla circostanza che il Consiglio di Presidenza, quando decide
di adottare un provvedimento di qualsiasi natura, non si limita ad operare in
conformità ad un corpo di disposizioni regolamentari «certo», «emanato
in precedenza» e da chiunque conoscibile, ma può mutare la disposizione
regolamentare un attimo prima di adottare il provvedimento, cosicché questo sia
sempre e comunque formalmente legittimo?
E per quanto riguarda altre eventuali
possibilità di controllo, il fatto che i verbali del Consiglio di
Presidenza ed i decreti del Presidente dell’Assemblea abbiano contenuto
riservato e siano accessibili solo da un ristrettissimo numero di persone
all’interno dell’Amministrazione, non ha mai fatto venire il sospetto che pure
nei casi eccezionali di richieste di esibizione di documenti, da parte di
Autorità esterne (ad esempio, l’Autorità giudiziaria), nulla
impedisce che gli atti che interessano possano essere rivisti, modificati ed
«aggiustati» al momento, secondo la bisogna? Sempre ragionando in linea
ipotetica.
Sto argomentando non una semplice lacuna,
ma un buco nero, che inghiotte la concezione dello Stato di Diritto e la
azzera.
Il bilancio interno dell’Assemblea
regionale siciliana di previsione per l’anno 2006, quantifica la spesa prevista
in 149.240.000 euro, corrispondenti circa a 289 miliardi di vecchie lire
(arrotondamento in eccesso). L’Assemblea ha una tradizione di approvazione dei
propri documenti contabili negli orari più insoliti (sedute convocate
alle 09,00 del mattino, che iniziano puntuali). Il 17 gennaio 2006, tuttavia,
c’è stata una innovazione procedurale: la convocazione “a sorpresa”. La
seduta dell’Assemblea era stata sospesa per consentire una riunione dei
capigruppo, nell’ufficio del Presidente, per stabilire come procedere nella
discussione dei disegni di legge di bilancio e finanziaria della Regione.
All’improvviso si sente un suono di campanello e si materializza un
vicepresidente dell’Assemblea che chiude la seduta in corso, e ne convoca
un’altra, da lì ad un minuto, con un nuovo ordine del giorno che
prevede, appunto, la discussione del bilancio interno dell’Assemblea regionale.
Bilancio interno (e rendiconto consuntivo delle spese dell’anno 2004) sono
stati formalmente approvati in meno di cinque minuti, in un’Aula semideserta.
Niente di male, diranno alcuni, perché
tanto l’approvazione dei documenti contabili interni della Assemblea regionale
si risolve in un fatto meramente tecnico ed i deputati ignari delle segrete
cose meno se ne occupano e meglio è.
I documenti contabili oggi sono sempre
distribuiti ai giornalisti e sono integralmente pubblicati nei Resoconti
parlamentari. Non è sempre stato così e se ora è
così consentitemi di attribuirmi una piccolissima parte di merito.
Mi sembra tuttavia che i giornalisti che
se ne occupano si appaghino di scrivere “pezzi di colore”, che si ripetono nel
tempo. Finora non c’è stato uno studioso serio che si sia mai preso la
briga di prendere i bilanci di previsione ed i rendiconti di un periodo di
tempo significativo, poniamo, quindici anni, per valutare le dinamiche della
spesa.
Nel mio piccolo, ho spesso utilmente
praticato questi raffronti. Alla fine del testo, allego informazioni relative
agli ultimi due rendiconti approvati, ponendo a confronto le medesime voci di
spesa nei due esercizi considerati. I rendiconti sono documenti più
attendibili dei bilanci di previsione. Infatti certificano quanto è
effettivamente avvenuto, laddove i bilanci di previsione contengono, il più
delle volte, indicazioni di massima destinate ad essere sensibilmente
modificate nella realtà.
2. La struttura burocratica
dell’Assemblea regionale siciliana: i costi.
Pochi sanno che l’apparato servente
dell’Assemblea regionale siciliana costituisce un corpo burocratico distinto
dall’Amministrazione regionale.
I dipendenti di ruolo dell’ARS dovrebbero
essere in tutto 296, secondo la pianta organica approvata nel marzo del 2003.
Tra questi, i consiglieri parlamentari (appartenenti a quella che prima si
chiamava carriera direttiva) dovrebbero essere 50, incluso il Segretario
Generale. In realtà oggi sono 39, cioè ci sono 11 posti scoperti
in organico.
L’organigramma del vertice burocratico
approvato dal Consiglio di Presidenza nel luglio del 2005 è “barocco” e
sovradimensionato. Le figure di vertice sono 18: 1 Segretario Generale, 2
Vicesegretari generali, 10 direttori di Servizio, 5 direttori con incarico
speciale.
Tanta abbondanza si spiega perché quando i
decisori politici (cioè il Presidente dell’Assemblea e gli altri nove
deputati che compongono il Consiglio di Presidenza) vogliono attribuire a nuovi
funzionari l’incarico di direttore, non procedono mai alla sostituzione di
almeno una parte delle persone che in precedenza ricoprivano questo incarico
(per definizione, un “incarico” è temporaneo) e nel contempo, per
ragioni di opportunità, rispettano sempre il criterio
dell’anzianità, che pure non è giuridicamente vincolante. La
conseguenza è che il vertice burocratico tende ad ampliarsi nel corso
del tempo, per successivi incrementi.
Tutto questo, naturalmente, non risponde a
reali esigenze funzionali e non ha niente a che vedere con il principio
costituzionale di buon andamento dell’amministrazione (articolo 97 Cost.).
Se i decisori politici avessero il
coraggio di nominare soltanto i loro cari, in una logica di spoil system
all’americana, dovrebbero assumersi la responsabilità politica delle
scelte compiute, nonché degli effetti di quelle scelte (in termini di
capacità gestionale dei nominati). Invece preferiscono non scontentare
nessuno – almeno in termini retributivi – scaricando gli oneri sui
contribuenti.
Formalmente, tutti i direttori hanno lo
stesso titolo, ma poi è ovvio che il loro potere reale dipende
dall’importanza della struttura burocratica cui sono preposti. Nel mio caso, ad
esempio, essere, “direttore”, si risolve in un fatto “cartaceo”: significa
dirigere una struttura composta da un terzo di funzionario (perché ha altre due
assegnazioni) e dal 50 per cento di un coadiutore dattilografo. Molto meno di
un qualunque Ufficio che si rispetti.
Così come il trattamento economico
dei deputati regionali è equiparato a quello dei senatori, i dipendenti
dell’ARS percepiscono la stessa retribuzione dei dipendenti del Senato della
Repubblica, ai corrispondenti livelli di qualifica e di anzianità.
Da tempo sostengo, anche pubblicamente
(con una certa risonanza il 30 novembre 2003), che la predetta equiparazione
(in gergo assembleare, si usa la locuzione “parametro con il Senato”) è
un lusso che le devastate finanze regionali sempre meno possono permettersi.
Per dare la dimensione del problema,
ricorro a qualche quantificazione, riportando i dati ufficiali dei rendiconti
degli anni 2003 e 2004. Meno di trecento persone (dipendenti di ruolo) sono
costati alla collettività:
€ 30.083.596,79 (corrispondenti a 58
miliardi e 250 milioni delle vecchie lire) nel 2003;
€ 30.794.620,91 (corrispondenti a 59
miliardi e 627 milioni delle vecchie lire) nel 2004.
Parliamo di spese effettive, rendicontate,
non di previsioni di spesa.
Ma il confronto fra i rendiconti degli
anni 2003 e 2004 fornisce un altro dato allarmante: per la prima volta, nel
2004, le pensioni per dipendenti in quiescenza costituiscono un onere superiore
al costo dei dipendenti in servizio:
retribuzioni al personale in servizio: €
30.794.620,91;
pensioni per dipendenti in quiescenza: €
32.137.616,92.
La normativa dell’ARS (mutuata da quella
del Senato) consente di andare in pensione quando si abbia un coefficiente
minimo di 109 come risultato della somma di tre parametri (anzianità di
servizio effettiva; anzianità contributiva; età anagrafica). A
conti fatti – e pur tenendo conto del regime transitorio – è possibile
andare in pensione prima di quanto previsto dalla riforma pensionistica
nazionale.
C’è modo di affrontare la situazione?
Certo che c’è.
Basterebbe prendere sul serio la riforma
dell’Amministrazione dell’ARS (mutuata da quella del Senato, definita nel
febbraio 2001) e da noi è entrata in vigore nell’aprile 2003. Detta
riforma contiene in sé degli elementi di grande interesse che, se adeguatamente
valorizzati, potrebbero rivoluzionare le modalità di determinazione del
trattamento economico dei dipendenti.
Infatti, mentre in precedenza i dipendenti
percepivano un trattamento economico unico, onnicomprensivo, con inclusa la
valutazione del disagiato orario, ora la riforma prevede tre distinte voci di
retribuzione:
a) la retribuzione tabellare (quella
finora percepita), pensionabile;
b) l’indennità di funzione
(commisurata per i dirigenti alla funzione disimpegnata, rispettivamente nella
direzione di un’Area, o di un Servizio, o di un Ufficio, o di una Unità
operativa, strutture elencate in senso decrescente, da maggiore a minore);
questa indennità non è pensionabile;
c) altre indennità e forme di
incentivazione (riconosciute secondo il sistema di valutazione del personale),
anche queste non pensionabili.
La riforma è stata percepita e
gestita nel senso che le indennità sub b) e sub c) sono in aggiunta a
quanto in precedenza percepito. Anche le unità operative sono state intese
come mero pretesto per aumentare la retribuzione; ed infatti sono state
istituite in numero abnorme: circa centoventi, in rapporto di una ogni due
dipendenti e qualcosa.
Il vertice burocratico è il primo a
ad affermare che il sistema di valutazione è di difficile applicazione,
per lasciare intendere che i rapporti di valutazione non possono risolversi
altrimenti che in una formalità.
Invece, secondo me, andrebbe perseguito
con gradualità l’obiettivo di fare sì che la retribuzione
tabellare costituisca non più del 75 – 80 per cento del trattamento
economico complessivo. Le altre due voci dovrebbero essere considerate non
aggiuntive, ma sostitutive, nel senso che, nel medio periodo, dovrebbero
sostituire quel 25 – 20 per cento che viene a mancare alla retribuzione
tabellare. Ciò significa che una parte consistente del trattamento
economico complessivo non verrebbe più erogata a tutti
indiscriminatamente, ma in considerazione degli incarichi effettivamente
ricoperti (cioè in relazione alle responsabilità che si
assumono), ed in base al rendimento (qualità del lavoro, diligenza e
puntualità nell’assolverlo). Questa impostazione richiederebbe dirigenti
capaci di dimensionare in modo razionale i servizi, gli uffici e le
unità operative che effettivamente servono, tenendo fede a quella legge
che in filosofia è nota come “Rasoio di Ockham”: Entia non sunt
multiplicanda praeter necessitatem (che significa che non bisogna aumentare il
numero degli enti, se non quando sono strettamente necessari). Richiederebbe
dirigenti che non hanno paura di assumersi la responsabilità di
scegliere e di dire “a te do l’incarico” e “a te non lo do”, e di essere pronti
a motivare tali scelte davanti a qualunque controllore esterno. Un imperatore
romano è noto per avere nominato senatore il proprio cavallo, con
l’intento di mortificare il Senato. Se si lascia al vertice burocratico piena
potestà decisionale, le decisioni del medesimo vertice potranno essere
giudicate poi sotto il profilo della culpa in eligendo. Si può ben
nominare un cavallo dirigente, ma allora i risultati saranno quelli che il
cavallo può determinare. La responsabilità dei dirigenti è
appunto una responsabilità di risultato. I risultati o ci sono, o non ci
sono.
Un mutamento delle logiche gestionali
delle pubbliche amministrazioni richiederebbe però anche giudici degni
di questo nome e che non diano ragione al dipendente per pregiudizio
ideologico, perché comunque lo considerano la parte debole del rapporto di
lavoro. La prima verifica dovrebbe sempre vertere sul fatto se quel dipendente
si guadagna lo stipendio che gli viene corrisposto.
La predetta impostazione è tanto
più importante proprio rispetto al problema della sostenibilità
economica del sistema pensionistico: infatti, indennità di funzioni e
premi di produttività (comunque denominati) non sono pensionabili.
Così si incentiverebbero le persone a continuare a lavorare. Pertanto,
secondo il mio modo di vedere, la stessa logica dovrebbe essere generalizzata
in ambito regionale, per ogni tipo di pubblica amministrazione i cui oneri
siano a carico del bilancio regionale.
Si deve aggiungere, sempre come discorso
di carattere generale valido per l’intera Regione, che è giusto che i
pensionati abbiano periodiche rivalutazioni delle loro pensioni, in modo che
queste siano adeguate agli eventuali aumenti del livello medio dei prezzi. Non
è invece più economicamente sostenibile che vengano estesi ai
pensionati i miglioramenti economici derivanti da rinnovi contrattuali di cui
fruiscono i lavoratori in servizio.
Veniamo ora ai rimedi specifici per
l’Amministrazione dell’Assemblea regionale siciliana.
In primo luogo – se anche si volesse
mantenere il parametro con il Senato, perché così preferiscono i
deputati regionali – è sempre possibile stabilire che, per il personale
dipendente, l’equiparazione non sia al 100 % del trattamento economico del
Senato, ma, poniamo, al 90 %. Basterebbe non recepire due rinnovi contrattuali
consecutivi, per portarsi nell’arco di un quinquennio alla predetta quota del
90 %.
In secondo luogo, è già
stata praticata in passato (al tempo in cui la carica di Presidente
dell’Assemblea fu ricoperta da Pancrazio De Pasquale e poi da Michelangelo
Russo), la soluzione di prevedere per il nuovo personale che si assume una
posizione economica pre-tabellare, sensibilmente più bassa rispetto alla
prima posizione tabellare contemplata dal Senato. Ciò comporta un
significativo rallentamento delle dinamiche di progressione economica nella
carriera. Naturalmente, occorre che la linea di rigore permanga nel tempo:
negli anni Ottanta, al tempo della presidenza Lauricella, invece, la posizione
pre-tabellare fu abolita, con conseguente ricostruzione della carriera e
liquidazione degli arretrati a tutti gli interessati!
Il trattamento economico, tuttavia,
è soltanto un aspetto del problema. Ci sono poi i benefits.
Alcuni dipendenti dell’ARS hanno percepito
nel corso del tempo: 1) cessione del quinto dello stipendio; 2) cessione del
doppio quinto; 3) anticipo della buonuscita; 4) mutuo per l’acquisto della casa
di abitazione, o, se già posseduta, per la ristrutturazione della
medesima; 5) ricalcolo della buonuscita secondo le modifiche intervenute nelle
tabelle economiche per effetto del parametro con il Senato; 6) effettiva
liquidazione della parte residua di buonuscita al momento del pensionamento; 7)
monetizzazione delle ferie residue non percepite.
In passato c’era pure un fondo per il
rimborso delle spese di viaggio sostenute (per vacanza, non per missioni).
Provvedimenti di favore, previsti da
disposizioni diverse. Che dire quando tutto ciò che astrattamente
è possibile, viene reclamato come "dovuto" a prescindere da
documentate esigenze che giustifichino l’adozione del provvedimento? Che dire
quando tante diverse misure di favore si cumulano in capo ad una stessa persona,
in aggiunta ad un trattamento economico di base che già è
parametrato a quello del Senato?
Certamente, si tratterà di
provvedimenti sempre formalmente legittimi. Ma la loro somma dà effetti
profondamente iniqui dal punto di vista sociale. Per questo ha fondamento
denunciare una inammissibile situazione di privilegio.
Si intende che non tutti i dipendenti, e
non tutti i dirigenti, vogliono approfittare del pubblico denaro. Ma finora non
c’è mai stato alcuno fra i responsabili politici (presidenti dell’Assemblea
pro tempore, o deputati Questori) che si sia preoccupato di verificare, carte
alla mano, che non tutti i dirigenti si sono comportati e si comportano allo
stesso modo e che il costo di un dirigente, in termini di denaro pubblico che
gli viene complessivamente corrisposto, può essere anche notevolmente
diverso.
Per quanto mi riguarda, ritengo comunque
sbagliata l’equiparazione del trattamento giuridico ed economico dei dipendenti
dell’Assemblea regionale siciliana al trattamento giuridico ed economico dei
dipendenti del Senato della Repubblica, per i seguenti motivi:
1) perché non ha alcuna giustificazione
razionale, trattandosi di Istituzioni che oggettivamente sono di diverso rango
costituzionale, ed hanno dimensioni (quantitative) fra loro non commensurabili;
2) perché si paga pesantemente in termini
di mancanza di certezza del diritto e di mancanza di trasparenza
amministrativa; la normativa, infatti, si fonda su atti interni
dell’Amministrazione del Senato, che possono avere anche contenuto riservato e
che comunque l’Amministrazione del Senato comprensibilmente non ha piacere che
diventino oggetto di discussione nelle pubbliche piazze e nelle sedi
giurisdizionali.
Non esiste (né potrebbe esistere) un
obbligo giuridico dell’Amministrazione del Senato a comunicare i propri
provvedimenti interni alla nostra dirigenza burocratica. Faccio riferimento, in
particolare, alle tabelle economiche, applicando le quali si quantificano gli
stipendi dei dipendenti.
In materia, i flussi di comunicazioni sono
attivati sulla base di rapporti personali. Ieri c’era un senatore Questore
siciliano, che si prestava; poi, per lungo tempo — sembra incredibile, ma
è la verità — le tabelle sono state fornite da un commesso del
Senato, membro della Rappresentanza permanente per i problemi del Personale del
Senato, il quale benevolmente le passava ad un suo amico commesso dell’ARS.
Questo è il livello di certezza del diritto!
In conclusione, la mia proposta è
quella di disciplinare con legge regionale le regole organizzative ed il
trattamento economico dei dipendenti dell’Assemblea regionale; per il regime
transitorio, i trattamenti attualmente corrisposti dovrebbero essere assunti
come un dato "storico", sul quale intervenire in modo programmato per
correggere, via via, le storture evidenti.
3. La struttura burocratica
dell’Assemblea regionale siciliana: ciò che dovrebbe fare.
A differenza dell’Amministrazione
regionale, l’apparato burocratico servente dell’Assemblea normalmente non fornisce
servizi ai cittadini genericamente intesi, ma opera perché il Parlamento
regionale, con i suoi organi interni (ad esempio, le Commissioni legislative),
possa svolgere le sue funzioni statutarie: legislativa, di indirizzo
politico, di controllo.
Ai deputati, titolari del mandato
rappresentativo, spetta in via esclusiva la decisione politico - legislativa.
Il ruolo dell’apparato burocratico servente deve consistere nel fornire
elementi di valutazione e di approfondimento, affinché si elevi il livello di
consapevolezza del decisore politico nel momento in cui assume le sue scelte.
A mio avviso, l’apparato burocratico
servente non deve ritrarsi rispetto ad argomenti sui quali più forte
è il contrasto politico, ma anche per quegli argomenti deve fare il
proprio mestiere: fornire un supporto di conoscenza che sarà tanto
più credibile ed efficace quanto più si baserà su dati
(norme di legge, pronunce della Corte Costituzionale, eccetera) precisamente
richiamati e da chiunque riscontrabili.
Un funzionario parlamentare non può
essere uno “yes man”, né un cameriere. Laddove ritiene, ad esempio, che ci
siano profili di legittimità costituzionale, o problemi di copertura
finanziaria, che ostano ad una norma che un deputato si ostina a voler presentare
ed approvare, il funzionario può anche formalizzare il suo dissenso con
un parere scritto, fermo restando che poi il parlamentare sarà sempre
libero di atteggiarsi come crede, ma assumendosene tutta la
responsabilità politica.
Certo è più comodo e facile
dire sempre “sì” al politico, ma questo comportamento è proprio
del cattivo funzionario.
In altri termini, i funzionari non devono
preoccuparsi più di tanto se le conclusioni cui, di volta in volta,
pervengono possono risultare sgradite a qualche parte politica. L’unica cosa
che importa è operare con onestà intellettuale ed assumersi la
responsabilità di quanto si attesta. Naturalmente, poi, sul piano
espositivo, occorrono doti di equilibrio, di prudenza, e senso della misura,
nella chiara distinzione dei ruoli.
A fronte della sempre maggiore
complessità del diritto, nei suoi livelli regionale, statale e
comunitario, una Assemblea parlamentare di una Regione importante qual è
la Sicilia dovrebbe in primo luogo dotarsi di un Servizio Studi ben strutturato
e numericamente adeguato. Tale Servizio dovrebbe supportare l’attività
delle Commissioni parlamentari, sia aiutando i deputati nella fase di
elaborazione dei disegni di legge più complessi, sia, in generale, nella
fase istruttoria di tutti i disegni di legge.
Si pensi che il Servizio Studi della
Camera dei Deputati – per fare una comparazione – dispone da solo di più
funzionari di quanti ne abbia l’intera Amministrazione dell’ARS.
Invece, per compensare la continua
crescita del bilancio interno, si tende a risparmiare sul personale in
servizio. Questa è la prima Legislatura in cui ancora non è stato
bandito alcun concorso pubblico, per nessuna carriera.
Senza organici adeguati non si possono
fornire servizi di qualità. Anzi, la qualità dei servizi offerti
è destinata a scadere progressivamente.
Si approvano riforme del Regolamento
interno in teoria molto promettenti. Ad esempio, si prevede l’istituzione di un
Comitato per la qualità della legislazione, che potrebbe consentire di
strutturare meglio la fase dell’istruttoria formale dei disegni di legge.
Per essere più precisi, ai sensi
del comma 1 dell’articolo 160 ter del Regolamento, il predetto Comitato esprime
parere “sulla qualità dei testi legislativi”, sulla base di quattro
parametri: a) omogeneità dei testi; b) semplicità; c) chiarezza;
d) proprietà della loro formulazione.
Il Comitato si pronuncia altresì
sulla “efficacia” dei testi legislativi, per quanto riguarda la loro attitudine
a perseguire gli obiettivi: a) della semplificazione; b) del riordinamento
della legislazione vigente.
Ma quale struttura burocratica
dovrà supportare il Comitato? Tutto resta sulla carta.
Altra struttura di importanza strategica
sarebbe quella denominata “Bilancio, fondi comunitari ed extraregionali”. Dopo
il mutamento della Forma di Governo regionale che vede rafforzato il ruolo del
Presidente della Regione eletto direttamente dal popolo, è
indispensabile che l’Assemblea legislativa si rafforzi a sua volta e disponga
di propri apparati strumentali per verificare e controllare – in autonomia dal
Governo regionale – la dinamica dei conti pubblici regionali. Ma qual è
l’attuale dotazione organica di questa struttura burocratica dell’ARS, pur
esistente sulla carta? Di quali specifiche professionalità dispone?
Sulla base dei numeri attuali siamo al
ridicolo, o alla farsa, o alla tragedia, secondo i punti di vista.
Quindi, da un lato si pagano troppo poche
persone. Dall’altra non si coprono gli organici che si dovrebbero coprire, non
si immettono energie nuove nell’Amministrazione, non si supportano le strutture
strategiche. Spendendo meglio gli stessi soldi si potrebbe fare tutto.
Palermo, 11 marzo 2006
Livio Ghersi (*)
(*) Direttore preposto all’incarico
speciale “Controllo parlamentare e testi unici” dell’Assemblea regionale
siciliana.
Confronto fra i rendiconti degli anni 2003
e 2004.
Rendiconto delle entrate e delle spese
dell’Assemblea regionale per l’anno finanziario 2003 (Documento n. 126),
approvato nella seduta n. 252 del 15 dicembre 2004.
Somme effettivamente spese, risultanti dal
rendiconto:
a) Indennità parlamentare e spese
varie per i deputati in carica (Capitolo II, articoli 5, 6, 7 e 9) = €
20.245.944,58.
b) Contributi ai Gruppi parlamentari
(Capitolo VI, articolo 26) = € 6.566.721,25.
c) Spese per i Gruppi parlamentari
(collaborazioni, etc.) (Capitolo VI, articolo 27) = € 5.225.467,68.
d) Assegni vitalizi a deputati cessati dal
mandato (Capitolo III, articolo 10) = € 18.513.913,66.
e) Retribuzioni al personale di ruolo
(Capitolo IV, articolo 17) = € 30.083.596,79.
f) Pensioni per dipendenti in quiescenza
(Capitolo V, articolo 21) = € 28.951.096,05.
g) Totale complessivo somme spese
nell’anno finanziario 2003 = € 138.102.869,41.
h) Partite di giro nell’anno finanziario
2003 = € 42.313.085,73.
Rendiconto delle entrate e delle spese
dell’Assemblea regionale per l’anno finanziario 2004 (Documento n. 128),
approvato nella seduta n. 349 del 17 gennaio 2006.
Somme effettivamente spese, risultanti dal
rendiconto:
a) Indennità parlamentare e spese
varie per i deputati in carica (Capitolo II, articoli 5, 6, 7 e 9) = €
20.487.076,49.
b) Contributi ai Gruppi parlamentari
(Capitolo VI, articolo 25) = € 7.360.910,70.
c) Spese per i Gruppi parlamentari
(collaborazioni, etc.) (Capitolo VI, articolo 26) = € 5.004.441,33.
d) Assegni vitalizi a deputati cessati dal
mandato (Capitolo III, articolo 10) = € 19.173.003,69.
e) Retribuzioni al personale di ruolo
(Capitolo IV, articolo 17) = € 30.794.620,91.
f) Pensioni per dipendenti in quiescenza
(Capitolo V, articolo 20) = € 32.137.616,92.
g) Totale complessivo somme spese
nell’anno finanziario 2003 = € 141.420.092,30.
h) Partite di giro nell’anno finanziario
2004 = € 37.501.161,44.