HOME    PRIVILEGIA NE IRROGANTO    di Mauro Novelli    

 

ARCHIVIO   DEL   DOSSIER “I COSTI DELLA POLITICA”  

 

Dal  DICEMBRE 2006 al 25 SETTEMBRE 2007

 

 

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INDICE GENERALE

 

INDICE

*        La Repubblica 25-9-2007 Palazzo Madama costa circa un miliardo Affitti e indennità, calze e corsi di lingua. Le 112 pagine del bilancio di previsione 2007 del Senato Nonostante gli sforzi, la camera alta aumenta del 2,77 per cento. Tagli fino al 75 per cento alle Commissioni di inchiesta. Ma restano 2 milioni e 800 mila per buvette e ristoranti. I questori: "Abbiamo mantenuto la spesa dentro il limite che ci eravamo posti, il 2,8%" di CLAUDIA FUSANI

*        Il Corriere della Sera 25-9-2007 «Costi Camera? Scenderanno nel 2008» La lettera di Gabriele Albonetti, questore anziano della camera.

*        Carissimi Rizzo e Stella, …. La replica.  Tanto tempo buttato via E ci vuole l'accetta, non la lima.  Ringraziamo Gabriele Albonetti per il tono cortese della sua replica.

*        Il Messaggero veneto 25-9-2007 La Casta difende gli stipendi "Due terzi vanno in spese" I parlamentari veneti disposti a ridurre i benefit, non le indennità "Uffici, portaborse, soldi al partito: di certo non diventiamo ricchi".  Francesca Visentin.

*        Il Secolo XIX 25-9-2007 L'inchiesta del secolo xix Malgrado le insistenze nessuna risposta da governo e mondo politico.  I 98 miliardi di euro che la Corte dei conti chiede alle società concessionarie delle slot machine e dei giochi da intrattenimento

*        Il Piccolo di Trieste 25-9-2007 Trieste La scala mobile esiste ancora lLa scala mobile non è morta.

*        Il Centro 25-9-2007 Chieti Comune, ecco i conti in tasca alla politica Spendono meno sindaco e giunta, ma è senza controllo il costo dei consiglieri FABIO CASMIRRO

*        Il Messaggero Veneto 25-9-2007 Regione Da Rifondazione comunista un no anche ai tagli alle Ass De Angelis accusa: si risparmierebbe solo lo 0,2% a scapito dei servizi

*        Il Messaggero Veneto 25-9-2007 Regione Ritossa (An): il Fvg non riesce a cedere immobili e s'indebita

*        Il Corriere della Sera 24-9-2007 La Casta promette e non mantiene. L'insofferenza dei cittadini, l'«antipolitica» e l'ascesa di Beppe Grillo. I costi della politica salgono ancora In soli tre anni i costi di Montecitorio saranno aumentati del 9,2% con un aggravio sulle casse pubbliche di 92 milioni di euro. Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella

*        Il Giornale di Brescia 24-9-2007FINESTRA SUL MONDO Il rigore e il senso di responsabilità pubblica fa parte della cultura del Paese: l'apparato burocratico ridotto del 32% in 15 anni Costi della politica: la Germania a dieta La Grande Cupola simbolo del nuovo Parlamento di Berlino

*        (23-9-2007) Panorama 27-7-2007  Ma quale austerità: nel 2008 più soldi ai politici  di Roberto Ormanni 11

*        Il Secolo XIX 23-9-2007 Pollio: "Troppi sprechi all'Acts,no al matrimonio con la Sar" margherita all'attacco  11

*        Il Corriere di Como 22-9-2007 Como Comunità montane.Nella nostra provincia hanno 278 consiglieri, 4 presidenti, 24 assessori e decine di dipendenti e consulenti. Molteni (Triangolo Lariano): cambiare o scomparire L'assessore del Comune di Como Sergio Gaddi: "Sono inutili. Io le eliminerei subito" 12

*        La Sicilia 22-9-2007"Sanità, non basta tagliare i costi" Incontro. Rita Borsellino critica il piano di rientro e annuncia disegno di legge all'Ars 5

*        Il Corriere di Como 22-9-2007 Nel pieno del dibattito sui costi e sulla crisi della politica, a Palazzo Cernezzi si moltiplicano le commissioni consiliari. 13

*        Da brindisisera.it 20-9-2007 Costi della politica. De Santis: la sinistra faccia cose diverse e l'antipolitica rientrerà   Una cosa è dire: riduciamo i costi della politica per tacitare l'opinione pubblica;  altra cosa sarebbe dire, per esempio: decidiamo di risparmiare una cifra e con questa stabilizziamo un certo numero di precari. 13

*        Il Secolo XIX 21-9-2007 Liguria. Le spese della Regione I costi del sistema sanitario superano i costi della macchina amministrativa dell'ente: 3 miliardi e 100 milioni di euro 21/09/2007  7

*        La Stampa 21-9-2007 Aumentano le spese della Camera Per il 2007 un incremento del 3% AMEDEO LA MATTINA  14

*        La Stampa 20-9-2007 ROMA Il fenomeno Beppe Grillo ha lasciato il segno, e ieri fra maggioranza e opposizione è stata una competizione di fantasia e inventiva per sforbiciare il bilancio di Montecitorio. 9

*        La Repubblica 20-9-2007 La Camera costa 1 miliardo e mezzo. Il 2,9 per cento in più rispetto al 2006. oce per voce i costi per il 2007. Aumentano affitti, indennità e rimborsi. Otto milioni solo per la stampa degli atti parlamentari  Il finanziamento pubblico dei partiti costa 150 milioni di euro. Ai 19 gruppi parlamentari 34 milioni I questori: "Le spese crescono meno rispetto all'anno scorso. Ma dobbiamo fare di più" di CLAUDIA FUSANI 15

*        Il Giornale del Mezzogiorno 20-9-2007. Bari.  Comunità montane, il Polo insorge Vendola: "Tagli, lavoriamo insieme" Il centrodestra all'attacco: "Rinunci agli assessori tecnici. Fumo negli occhi per nascondere fallimenti" Il governatore: "Sembra una gara a chi è più moralizzatore. Allora dico coalizziamoci e moralizziamo" 13

*        La Repubblica 19-9-2007 IL DOCUMENTO. Con 200 milioni di euro siamo in testa anche per il finanziamento pubblico: "Il Palazzo più caro del mondo" 15

*        Un dossier di Confindustria accusa: "La politica incapace costa troppo" di CARMELO LOPAPA  15

*        Il Corriere della Sera 20-9-2007 La trasferta deliberata a luglio. Le toghe della Procura generale presso la Cassazione tengono in media 6 udienze l'anno  18

*        Giudici militari, viaggio premio dopo 2 mesi di ferie. Un terzo dei magistrati in Spagna per un convegno. Prevista anche una diaria di 80 euro          Gian Antonio Stella  18

*        Il Sole 24 Ore 16-9-2007 Giustizia militare. Confermati gli investimenti hi-tech anche se manca il lavoro Un piano da 600mila euro per i tribunali senza cause "è urgente aggiornare l'elenco detenuti": l'unico è Priebke PAGINA A CURA DI Alessandro Milan  19

*        Il Sole 24 Ore  17-9-2007 La spesa e il consenso Così scrive, Salvatore Rossi, direttore centrale per la ricerca economica della Banca d'Italia dopo aver esaminato il caso delle municipalizzate nel suo ultimo libro sui quarant'anni di politica economica italiana. 19

*        Il Cittadino 20-9-2007 Casale, dove la politica costa poco. Nelle infuocate riunioni di consiglio comunale si è dibattuto su tutto: le opposizioni hanno fatto la voce grossa, criticato le scelte della giunta e gli investimenti in alcuni casi ritenuti sbagliati. 20

*        Il Mattino di Padova 20-9-2007 Regione "Tre sanitari ogni posto letto" Dubbio esubero di personale nel Libro verde sulla spesa pubblica  20

*        Italia Oggi 19-9-2007  La p.a. ha tagliato le consulenze Incarichi ridotti del 10%. Il costo medio è 5 mila euro Diminuiscono di circa il 10% i consulenti esterni alla pubblica amministrazione. Ma è ancora notevole il loro peso per le casse dello stato. Nel 2005, infatti, la pubblica amministrazione ha speso oltre 1,2 milioni di euro, dato questo che segna un misero 0,1% rispetto al 2004. 20

*        La Gazzetta di Modena 19-9-2007 Tensione in consiglio comunale su gettoni e ordini del giorno Consigli comunali ad hoc per gli ordini del giorno. 21

*        Italia Oggi 19-9-2007 Ora l'On. vuole pure il lampeggiante Nuove richieste nel dibattito sul taglio ai costi della politica Altro che taglio ai costi della politica di Claudia Morelli e Alessandra Ricciardi 21

*        BresciaOggi 18-9-2007 COSTI DELLA POLITICA Lo Stato elefantiaco La mia memoria politica abbraccia gli ultimi 50 anni, durante i quali sono stato testimone di meccanismi occulti e della logica di chi è chiamato a governare. Angelo Facchi 22

*        La Stampa 18-9-2007 Intervista Tiziano Treu "Perché non si toccano i costi della politica?" ROBERTO GIOVANNINI 22

*        Libero 18-9-2007 Una nuova fondazione con poltrone per gli amici di NATALIA ALBENSI 23

*        Corriere Alto Adige 18-9-2007 I COSTI DELLA POLITICA L'OFFENSIVA DEGLI AMBIENTALISTI "Pensioni dei consiglieri, basta privilegi" Proposta dei Verdi in Regione. Dello Sbarba: stop alla cumulabilità  23

*        Il Manifesto 17-9-2007 Per ridurre "i costi della politica", il principio di minima partecipazione Francesco R. Frieri - Giovanni Allegretti 24

*        Il Giornale 14-9-2007 Gli aerei «blu» ci costano 180mila euro al giorno di Antonio Signorini - 24

*        L’Espresso 14-9-2007  1 - PORTE A PORTE… Emilio Fittipaldi e Marco Lillo  25

*        Alto Adige Trento 12-9-2007 Qui la casta è limitata I consiglieri provinciali altoatesini stanno bene ma mai quanto i pugliesi. fra.gio. 27

*        Il Tirreno 12-9-2007 Pisa Consorzio di bonifica, quanti soldi buttati Le elezioni costano più di 100mila euro ma a votare non ci va quasi nessuno Tra un mese saranno chiamati alle urne 108mila cittadini, due anni fa l'affluenza fu del 2.5%.  Chiara Sillicani. 27

*        Il Secolo XIX 10-9-2007 Partiti, tassa da 226 milioni Massimiliano Lenzi 28

*        Italia Oggi 8-9-2007 Confronto (con il trucco) con gli altri parlamenti Ue da parte di Montecitorio. La casta si ribella, ci pagano poco e lavoriamo più degli altri di Franco Adriano e Alessandra Ricciardi. 29

*        La Repubblica 5-9-2007 IL CASO Il parco vetture rientra nel piano di risparmi. Ma Santagata minimizza: "Sono meno di cinquecento" Al ministero tutti con l'autista l'infinita giungla delle auto blu. (l. i.). 30

*        L’Unità 5-9-2007 "Sui costi della politica andiamo fino in fondo" Santagata: il provvedimento dei tagli lo metteremo in Finanziaria di Simone Collini 30

*        L’Opinione 4-9-2007 Sprechi e dintorni La burocrazia che ci meritiamo di Romano Bracalini 31

*        Italia Oggi 4-9-2007 Signori, ecco Mutuopoli Rate oltre gli 80 anni, tassi di favore. Così i politici hanno comprato casa.  di Franco Bechis 31

*        Dagospia 30-8-2007 Marco Lillo per “L’espresso” in edicola domani (ha collaborato Laura Venuti) - DA AFFITTOPOLI A COMPROPOLI, LO SCHIFO E’ BREVE: CASE REGALATE ALLA CASTA. VELTRONI: 190 METRI IN CENTRO PER 377 MILA EURO - A CASINI-MOGLIE UNA PALAZZINA - A MARINI DUE PIANI DI UNA PALAZZINA AI PARIOLI – MASTELLA HA BEN 5 APPARTAMENTI. 32

*        Italia Oggi 31-8-2007  Intervista al politologo che tuttavia non vede una società civile all'altezza della grave situazione. Pasquino, un taglio netto al Palazzo Attuali leader irrecuperabili, riduciamogli almeno le poltrone. Stefano Sansonetti 37

*        Il Secolo XIX 30-8-2007 Slot, il banco perde. La Corte dei Conti contesta un danno erariale che vale tre-quattro manovre finanziarie MARCO MENDUNI FERRUCCIO SANSA  37

*        Da QN.quotidiano.net 12-8-2007 EVASIONE FISCALE "Visco, dove sono i 98 miliardi di imposte non pagate?" Tra imposte non pagate e multe non riscosse, le società concessionarie delle slot machine dovrebbero allo Stato 98 miliardi di euro: sarebbe una delle più grandi evasioni della storia d’Italia. Due giornalisti del Secolo XIX hanno scritto al direttore dei Monopoli di Stato e al vice-ministro dell'Economia, ma non hanno ricevuto alcuna risposta. 38

*        Italia Oggi 29-8-2007 Consiglieri regionali sempre più ricchi In arrivo per loro un aumento di 1,5 milioni di euro all'anno. è l'effetto a cascata dell'atteso incremento del 2,5% delle indennità dei parlamentari nazionali. Stefano Sansonetti. 39

*        La Repubblica 28-8-2007 Napoli Un assessore ritira incarichi per 5 milioni 40

*        L’Espresso 24-8-07 PRIMO PIANO CONSULENTI D'ORO di Marco Lillo  40

*        Il Sole 24 Ore 28-7-2007 Taglio dei costi al Quirinale: bilancio più trasparente e stop agli automatismi per le retribuzioni dei dipendenti 43

*        La Repubblica 26-7-2007 Palermo I PUNTI IL CASO Indagine della Corte dei conti: in Sicilia 132 Comuni e sei Province hanno violato il patto di stabilità La finanza allegra degli enti locali un terzo di bilanci fuori controllo 132 26,38 1.755 6 ANTONIO FRASCHILLA  43

*        Cuneocronaca.it LETTERE AL DIRETTORE/ L’ex deputato leghista Rossi: “Ho fatto parte della “casta’’ per questo la metto sotto accusa’’ 44

*        Primadanoi.it 23-7-2007 Costi della politica, «2mila euro per una firma poi me la squaglio»  44

*        Il Corriere della sera 24-7-2007 POLITICA E TAGLI Quanto costa la commissione anti-sprechi? Di SERGIO RIZZO e GIAN ANTONIO STELLA  45

*        La Repubblica 20-7-2007 IL CASO Questi i costi degli uffici dello Stato. Il piano di tagli dei ministri Lanzillotta e Santagata Telefoni e posta per 500 milioni, il web può dimezzare le spese CARMELO LOPAPA  45

*        Il Sole 24 Ore 19-7-2007 I costi della politica. Accordo Camera-Senato Dal 2011 tagliati i vitalizi dei parlamentari Andrea Marini 46

*        L’Unità 19-7-2007 Comunità montane in riva al mare Costi della politica, anche Sperlonga e Terracina tra le località "d'altura". Viaggio tra i 22 enti e tra i consigli da cento dirigenti che la Regione voleva tagliare e ora propone di far "autoridurre" di Alessandra Rubenni Tra le onde. 46

*        Il Tempo 17-7-2007 Doveva essere il giorno dei tagli dei costi della politica. Niente da fare, tutto rimandato. Fab. Per. 47

*        Da cdt.ch 15-7-2007 COMMENTO – Italia Quali sono i veri costi della politica? Piero Ostellino  47

*        Il Messaggero 15-7-2007  Per gli enti locali umbri è un terremoto. Se passasse, così come è stato presentato da uno stock di ministri, il disegno di legge del Governo sui costi della politica, cambierebbe radicalmente il panorama dell'Umbria. MARCO BRUNACCI 48

*        Il Giornale di Vicenza 15-7-2007 Il centrodestra berico diserta il summit veneto per lo stallo sulla nuova giunta Protesta delle Province "I tagli servono altrove" di Federico Ballardin Le province costano troppo? Per tagliare i costi della politica si cominci altrove e intanto si realizzi quel decentramento delle competenze e il federalismo fiscale che consentirebbero il funzionamento migliore dell'ente pubblico. 49

*        Trentino 15-7-2007 Lo statuto speciale mette al riparo il Trentino dall'iniziativa di riduzione degli sprechi voluta dal governo Politica: niente tagli a Trento La scure di Palazzo Chigi risparmierà Dellai e colleghi 49

*        La Repubblica 15-7-2007 Tagli alle indennità, Consigli in rivolta la proposta il seminario "Prendiamo quattro soldi, i deputati regionali riducano i loro stipendi" Il forzista Cascio promette ritocchi, ma è un coro di proteste No pure da Bufardeci presidente dell'Anci "Una grande ipocrisia" Caputo di An: "è vero anche noi parlamentari dobbiamo risparmiare" SARA SCARAFIA  50

*        La Repubblica 13-7-2007 l Consiglio dei ministri rinvia l'approvazione alla prossima riunione previsti tagli agli enti locali, riduzione di consulenti e consigli circoscrizionali Ecco il ddl sui costi della politica Saranno risparmiati 500 milioni 50.I provvedimenti per ora non riguardano Camera e Senato Trasparenza dei bilanci pubblici, tutto sarà documentato sul web di CLAUDIA FUSANI 50

*        Da effedieffe.com 12-7-2007    LA RIFORMA CHE NON VOGLIONO FARE di Maurizio Blondet 51

*        L’Opinione.it 11-7-2007 Il risparmio della nuova legge sui tagli della politica è nulla rispetto ai buchi occulti. Il debito “rinviato”  54

*        Nella sanità le Regioni hanno accumulato un deficit di 45 miliardi, ma nessun governo ha il coraggio di tagliare le spese. di Giancarlo Pagliarini 54

*        Il Resto del carlino 12-7-2007 Di MATTEO SPICUGLIAOLTRE 32 milioni in affitti, circa 3 milioni per i trasporti degli ex deputati, 132 milioni per i vitalizi, quasi 170 milioni per le indennità. 55

*        Il Campanile 11-7-2007  Costi della politica, interventi seri. Barbato: "Bisogna agire sugli sprechi" 55

*        Il Meridiano.info 10-7-2007 I senatori andranno sì in pensione ma solo alla fine della legislatura  56

*        Il Meridiano.info 10-7-2007 La Camera prevede aumenti 56

*        La Repubblica 6-7-2007 I deputati si "regalano" il ristorante: pagano 9 euro per pranzi che costano 90. Appalto a una ditta privata per risparmiare Divario di uno a dieci tra gli incassi e le spese di gestione della buvette di Montecitorio. La "mensa" sul bilancio della Camera pesa per 5 milioni l'anno. di CARMELO LOPAPA  56

*        Altravoce.net 2-7-2007 Clamoroso: il Consiglio sardo costa il doppio e anche il triplo di quelli del ricco Nord. E ai nostri onorevoli meno tasse - 2-7-07 di Giorgio Melis – 57

*        Il Centro 2-7-2007   Aptr, in giunta la manovra azzera tutto - Maurizio Piccinino  59

*        Altromolise.it 30-6-2007 L'INTERVENTO - Costi della politica, niente di nuovo sotto il sole  di MICHELE PETRAROIA* 65

*        Italia Oggi 21-6-2007 P.a., manager sui banchi Commissioni esterne valuteranno le capacità. Lo prevede il disegno di legge sui costi della politica, ormai in dirittura . Di Ilaria De Bonis 66

*        Il Mattino di Padova 21-6-2007 Regali e regalie, dalle valigie ai superstipendi a consiglieri e dirigenti regionali, ecco i costi della politica veneta Il vero scandalo sono gli appalti Gettoni da principi, premi ai manager ed elusioni per tutti Le istituzioni venete e gli amministratori collegati e premiati RENZO MAZZARO  66

*        Il Tirreno 20-6-2007Massa - Carrara Cgil attacca gli sprechi della politica "Necessarie tre società per i rifiuti?" Nel mirino anche Massa Servizi "Forse quelle aziende esistono per garantire posti nei Cda". Bernieri chiede la re-internalizzazione dei servizi e ribadisce il no alla manovra fiscale  67

*        Il Tirreno 18-6-2007 I COSTI DELLA POLITICA I piccoli Comuni sono vittime, non cause Sprechi e privilegi vanno cercati altrove Il sindaco di Cinigiano "Il problema esiste ma è a livello centrale" 68

*        Il Resto del Carlino 15-6-2007 "Cara politica? Guardate altrove" Viaggio tra gli amministratori: quello di Aguzzi lo stipendio più alto STIPENDI troppo alti o adeguati agli impegni e alle responsabilità? Enti inutili o indispensabili per l'erogazione al cittadino di importanti servizi? 68

*        Corriere della Sera 6-6-2007 Costi della politica, tagli ai giornali di partito. Il ddl di riordino della materia dovrebbe essere pronto entro giugno. Mario Sensini 69

*        La Repubblica 4-6-2007 I COSTI DELLA POLITICA Premi natalità e contratti d'oro così si spende in Lombardia E in comuni e province dilagano le consulenze Ai consiglieri regionali incentivo del 2% ogni milione di abitanti ETTORE LIVINI 70

*        La Stampa 4-6-2007 I COSTI DELLA POLITICA IERI L'ATTACCO DELLA MARGHERITA SUGLI SPRECHI DI CHI GESTISCE I QUARTIERI Per le Circoscrizioni è l'ora dei tagli EMANUELA MINUCCI 71

*        Il Giornale 4-6-2007 Di Pierangelo Maurizio - Tagliare i costi della politica: una parola. Chi glielo dice per esempio al consigliere abruzzese Vito Domenici? Al parlamentino regionale ha fondato il Gruppo Misto. Da solo. È capogruppo di se stesso. Ben altri cinque partiti hanno un solo consigliere-capogruppo: l'Unione, Comunisti italiani, Verdi, Udc, Dc e Italia dei valori. 71

*        La Repubblica 4-6-2007 LINEA DI CONFINE MARIO PIRANI 72

*        Il Messaggero veneto 4-6-2007 Udine Come abolire i privilegi della classe politica DIBATTITO di CLAUDIO CALLIGARIS e GUERRINO CECOTTI 73

*        Il Centro 4-6-2007 Avezzano Zulli: politica? Costi stratosferici La proposta: riduciamo il numero di assessori e consiglieri 73

*        Il Mattino di Padova 3-6-2007 L'ITALIA E I COSTI DELLA POLITICA Ma il cittadino è complice della Casta  73

*        Trentino 2-6-2007 Prandi sui costi della politica "Diecimila euro di spese telefoniche è una vergogna" 74

*        Il Piccolo di Trieste 2-6-2007 Monfalcone La Cdl all'attacco: controllare che non ci siano incompatibilità  75

*        Il Corriere Veneto 1-6-2007  I costi della politica, Venezia al quinto posto in Italia per le spese dei parlamentini. Mognato: " Ragioniamo sulle competenze " Amministratori, un esercito da 3 milioni l'anno Il governo taglia gli enti locali. " Pura demagogia, gli sprechi sono altri " 75

*        - La Repubblica  1-6-2007 Interrogazioni contro Iorio, governatore del Molise. (g. cap.). 76

*        L’Unità 1-6-2007 Gli impuniti Marco Travaglio  76

*        L’Unità 1-6-2007 Cuffaro: i miei 11.700 euro al mese non si tagliano Costi della politica, l'Unione attacca. E Il governatore siciliano: 500 euro di multa agli assenteisti 77

*        Il Giorno 1-6-2007 I tagli uguali per tutti non ci stanno bene. Massima inefficienza a Roma Formigoni difende i costi della politica lombarda di ROSSELLA MINOTTI 77

*        L’Unità 1-6-2007 I costi della politica? Noi abbiamo fatto così Gian Mario Spacca (Presidente della Giunta regionale Marche.) 77

*        - La Stampa 28-5-2007  Montagna, oh cara... E ora arrivano i tagli 78

*        L’Unità 26-5-2007  Io, la casta e il Pd Gianni Cuperlo  79

*        Il Riformista 26-5-2007 Basta con la crociata tecno-populista Sono per gli sprechi, sprechi democratici di Francesco Cossiga  80

*        Il Corriere della Sera 21-5-2007 "Rischio anni 90 per la politica? C'è insofferenza, il limite è vicino" D'Ambrosio: bene D'Alema, ora reagire. Macaluso: il dissenso cresce. Paolo Conti 80

*        Il Messaggero 21-5-2007Di MARIO AJELLO ROMA Ora come allora? I professionisti del partitismo, di cui Craxi diceva "il più stupido di loro sa suonare il violino con i piedi", sono di nuovo a rischio di vedersi gettare addosso le monetine dell'anti-politica  81

*        Il Riformista 21-5-2007  Perché si materializzano i fantasmi del ’92  82

*        L’Unità 21-5-2007  "Troppi gli sprechi, cresce un'ondata di insofferenza" Berselli: qualcuno potrebbe cavalcarla. Mussi: facciamo le riforme possibili, tagliamo i costi della politica di Wanda Marra  82

*        Da Altrenotizie.org 21-5-2007 IL SISTEMA CROLLA, LA POLITICA ACCONSENTE di Sara Nicoli 83

*        La Repubblica  21-5-2007LE SCELTE DEI PARTITI Gli italiani bocciano la politica Due su tre non hanno fiducia. Prodi: tagliamo i costi Il presidente del Consiglio: i cittadini hanno bisogno di trasparenza L'allarme lanciato dal Capo dello Stato nel messaggio di fine anno ALBERTO CUSTODERO  84

*        L’Unità 20-5-2007  Tutti parenti, alla Rai? Ma anche Mediaset tiene famiglia Una valanga di parenti al Biscione. E in viale Mazzini l'ex Premier ha imposto molti dei suoi: dirigenti, conduttori, giornalisti di Marco Travaglio  84

*        L’Unità 19-5-2007 Raipolitik di Marco Travaglio  85

*        La Repubblica 19-5-2007 IL RETROSCENA Lunghe telefonate di Napolitano a Bertinotti e Prodi per evitare il corto circuito istituzionale E il Quirinale lancia l'allarme "Attenti ai costi della politica" CLAUDIO TITO  85

*        La Repubblica 19-5-2007Veltroni: "Mercoledì l'approvazione in giunta comunale delle delibera che stabilisce nuovi criteri legati ai risultati" Stipendi dei manager, ecco i tagli Causi: "Ridotti del 18,9 per cento i costi della politica" Le novità valgono 500 mila euro di risparmi all'anno GABRIELE ISMAN  86

*        L’Espresso 18-5-2007 Ma il debito non è democratico di Francesco Bonazzi Il passivo dei Ds. Il valore dei contributi. Il problema delle sedi. Ecco i conti in tasca a Margherita e Quercia  87

*        La Stampa 18-5-2007 "E' l'ora di tagliare i costi". Degli altri Paolo Baroni 87

*        Il Sole 24 Ore 18-5-2007  Dai municipi alle Comunità montane sono circa 195mila le cariche elettive Ai politici locali 746 milioni l'anno Gianni Trovati La politica locale costa oggi 746 milioni all'anno e "produce" 195mila cariche tra consiglieri, assessori e Giunte di Comuni, Province e Comunità montane. 88

*        Da asgmedia.it  17-5-2007 Alla Camera indagine conoscitiva sui "costi della politica". Lo ha deciso la commissione Affari costituzionali 89

*        Il Tirreno 12-5-2007 Massa - Carrara Rifiuti, 700mila euro l'anno solo per le poltrone Cinque aziende per servire 200mila abitanti, tre nei 15 chilometri di costa.  Claudio Figaia. 89

*        La Repubblica 12-5-2007Nuovo provvedimento sui costi della politica: Palazzo Chigi prevede un risparmio di 18 milioni Comitati inutili nei ministeri colpo di scure per 110 su 512 Ma resta quello del Giubileo finito 7 anni fa CARMELO LOPAPA  90

*        Il Giornale di Brescia 11-5-2007  Già nel prossimo Dpef in programma corposi tagli alle istituzioni territoriali Spesa pubblica, Enti locali nel mirino  90

*        Italia Oggi 10-5-2007    Stipendi giù e salta Sviluppo Italia di Giampiero Di santo  91

*        Italia Oggi 10-5-2007 Quel parlamentone costa 1 miliardo di Stefano Sansonetti 91

*        Italia Oggi 10-5-2007 I parlamenti regionali mettono in bilancio cifre elevate per le voci più varie. Con sorprese grottesche. di Stefano Sansonetti 92

*        L’Unità 9-5-2007  I costi della Politica Roberto Roscani 93

*        Italia Oggi 9-5-2007 Ai politici 200 milioni in più Finita in nulla la promessa di Prodi di ridurre i costi del sistema. di Franco Bechis 93

*        La Repubblica 9-5-2007 L'EVENTO Il magistrato, protagonista della stagione di Mani Pulite e oggi consigliere di Cassazione, torna nel suo Ateneo Davigo in cattedra, lezione di legalità  94

*        La Repubblica 8-5-2007 Palermo VERSO LE ELEZIONI "Voti comprati nei quartieri" L'Unione si appella al ministro MASSIMO LORELLO  94

*        La Stampaweb.it 8-5-2007 Messina, nove arresti per tangenti Tra gli indagati il presidente della Regione Sicilia Totò Cuffaro Coinvolti politici e imprenditori. 95

*        La Gazzetta del Mezzogiorno 7-5-2007 Partiti, più diminuiscono gli iscritti più aumentano i costi per i contribuenti Mario Caligiuri 95

*        RadioRadicale.it 4-45-2007   I politici italiani sono una casta”, parla Gianantonio Stella. Dimitri Buffa  96

*        Teatronaturale.it 6-5-2007  LA CASTA, OVVERO QUANDO I POLITICI ITALIANI DIVENTANO DEGLI INTOCCABILI di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, edito da Rizzoli 97

*        La Repubblica 6-5-2007 L'odio per i politici Pietro Citati 98

*        Il Tempo 5-5-2007 Traffico di rifiuti, dieci arresti 99

*        La Repubblica 24-4-2007 Popolare di Matera, scandalo mutui "Una vera associazione a delinquere" La Finanza: tassi stracciati e garanzie finte a giudici e industriali FRANCESCO VIVIANO. In attesa che la pm di Matera decida se chiedere il rinvio a giudizio dei 35 indagati (tra questi il presidente Donato Masciandaro, il direttore generale Giampiero Marruggi, il vice Antonio Scalcione e l'amministratore delegato Guido Leoni) 100

*        Il Tirreno 21-4-2007 Troppi enti, troppi stipendi a politici 100

*        Il Sole 24 Ore 19-4-2007 Un sistema frenato dai costi della politica di Valerio Castronovo  101

*        L’Unità 19-4-2007 Di cosa vivono i partiti Paolo Borioni 102

*        Il Meridiano.info  16-4-2007 Fax politici da un reparto ospedaliero Ed ora è polemica sul caso del “Riuniti”.  Francesco Quitadamo  103

*        La Repubblica 14-4-2007 Mezzo milione di italiani vive di politica Spesi 3 miliardi l'anno, stretta in arrivo su consiglieri, incarichi e consulenze i costi dello Stato  103

*        La Republlica 14-4-2007 Sicilia al top, qui gli assessori guadagnano più dei ministri 104

*        L’Espresso 13-4-2007 PRIMO PIANO europeccati capitali di Fabrizio Gatti 104

*        La Stampa 11-4-2007 - INCHIESTA L'onorevole va due volte in pensione. Vitalizio irrinunciabile a duemila exparlamentari; molti lo cumulano con l'assegno di vecchiaia. PIERLUIGI FRANZ  106

*        La Stampa 11-4-2007 NON SOLO POLITICI: ECCO I CASI PIU' CLAMOROSI Quando lo Stato diventa Pantalone  107

*        Europa 10-4-2007 Mafia e tangenti a Trapani: chi ha trasferito il prefetto che aveva denunciato il mercimonio? FEDERICO ORLANDO RISPONDE  108

*        L’Unità 5-4-2007 Asl del Lazio, la grande macchina delle tangenti Emerge il meccanismo che negli anni di Storace ha divorato appalti, convenzioni: un rapporto stretto tra affari e centrodestra di Angela Camuso  108

*        La Repubblica 3-4-2007 Il vero costo della formazione MARIO CENTORRINO  109

*        Il Trentino 1-4-2007"Esistono ambasciate della California?" Salvi: "No, ma ad esempio la Lombardia ne mantiene una a Cuba" "Le spese si possono tagliare, ma non c'è la volontà di farlo". (Gabriele Rizzardi). 110

*        L’Unità 1-4-2007 ASSOCIAZIONE a delinquere finalizzata alla turbativa di aste pubbliche, falso, truffa ai danni dello Stato, corruzione. di Francesco Sangermano  110

*        Il Corriere delle Alpi 1-4-2007 I politici costano una fortuna I deputati italiani guadagnano il doppio dei francesi GABRIELE RIZZARDI 111

*        Il Sole 24 Ore 30-3-2007 Illegalità, l'handicap che frena l'Italia Da corruzione e continui scandali un costo eccessivo per l'immagine internazionale del Paese di Mario Margiocco  111

*        Il Giornale di Brescia 30-3-2007 Corruzione Ue, l'indagine punta in alto Il "giro" sarebbe stato quasi impossibile senza la connivenza di organismi di vertice  112

*        La Repubblica 28-3-2007 Tre italiani arrestati a Bruxelles per corruzione in appalti Ue. 113

*        Incriminati un funzionario della Commissione, l'assistente di un eurodeputato e un imprenditore L'inchiesta è cominciata tre anni fa e riguarda la gestione di gare d'appalto  113

*        L’Unità 28-3-2007  I soldi e i partiti un'odissea democratica Sergio Boccadutri* 113

*        La Repubblica 28-3-2007 La proposta del professore per ridurre i costi della politica: basta eliminare i doppioni Giunta, la ricetta di Vandelli "Via gli assessori inutili" 114

*        Gazzetta del Sud 28-3-2007 Corruzione Ue, coinvolto l'assistente di un eurodeputato italiano  115

*        AGI 27-3-2007 Gina Spallone, proprietaria di una clinica privata romana, e' stata arrestata  115

*        La Nazione 27-3-2007  Cantieri, appalti truccati Raffica di arresti a Firenze In manette dipendenti comunali e imprenditori edili Di AMADORE AGOSTINI 115

*        La Padania 25-3-2007 PARLA FULVIO MARTUSCIELLO. «La politica clientelare sta rovinando questa terra»  116

*        La Repubblica 24-3-2007  "Da Fininvest soldi al giudice Metta" Emilio Randacio Milano  116

*        La Stampa 23-3-2007- TELECOM . "Berlusconi comprò la fedeltà di Bossi"I dossier illegali: dal Cavaliere settanta miliardi di lire Paolo Colonnello  119

*        Da Primadanoi 22-3-2007 Spese superflue. Pio Rapagnà, il digiuno va avanti, l'indifferenza anche  119

*        Da Orvietonews.it 20-3-2007 Palazzo Bazzani: sull'indennità di mandato dei parlamentari è contrasto tra Pdci e resto della maggioranza  119

*        Da La Stampa 18-3-2007  IL CASO Là dove fioriscono le tessere Antonella Rampino  119

*        Dal Corriere Economia 19-3-2007 Mani pulite, mani globali. di Giulio Sapelli 119

*        Il Giornale di Vicenza 18-3-2007 I costi della politica Se diventa fonte di finanziamento di Giulio Antonacci 119

*        La Stampa 17-3-2007 Parrini colpevole ecco tutti i perché  Giulio Gavino  119

*        Il Messaggero Veneto 15-3-2007 Triete. De Anna: costi troppo elevati, ridurre i consiglieri 119

*        Il Tirreno 14-3-2007 Tangenti e truffa ai danni della Ue a giudizio ex eurodeputato Paolo Bartolozzi (Forza Italia): "Estraneo a tutto" 119

*        Megachip.info 12-3-2007 I parlamentari italiani sono i più pagati d'Europa -         di Elisabetta Povoledo, da International Herald Tribune - traduzione per Megachip di Eleonora Iacono  119

*        Primonumero.it 12-3-2007 Sanità tra vizi e sprechi/2 Due capi per il reparto fantasma di Monica Vignale  119

*        Il Quotidiano.it 10-3-2007 Ascoli Piceno. Gruppo AN:"Rossi predica bene ma razzola molto male" 119

*        La Stampa 12-3-2007 Vitalizi dei politici l'ennesimo scandalo  Guido Bodrato. 119

*        Sardegna Oggi 10-3-2007 Gli stipendi dei Consiglieri regionali sono stati al centro di una riflessione del Presidente Soru e dell'Assessore Dadea durante un incontro sulla Statutaria  119

*        La Stampa 10-3-2007 Regione Val D’aosta. Bocciata la mozione dell'Arcobaleno "No" dei consiglieri regionali all'autoriduzione di stipendio. Alessandro Camera  119

*        Il Sole 24 Ore 10-3-2007 La Calabria e la 'ndrangheta, storie di criminalità e appalti di Roberto Galullo  119

*        La Stampa 8-3-2007 8/3/2007 (8:26) - INCHIESTA  Calabria, la cupola delle  raccomandazioni ANTONIO MASSARI 119

*        Da La Stampa 6-3-2007 Il Parlamento del lavoro nero Denuncia delle Iene: oltre il 90 per cento dei portaborse pagato in forme irregolari Francesco Grignetti 119

*        Da liberaliperlitalia.it 5-3-2007    Il costo della politica  119

*        Da Altrenotizie.org 6-3-2007  I WEBMOSTRI E I SOLDI PUBBLICI di mazzetta  119

*        Da Ilmeridiano.info (1-3-2007) La politica costa troppo «Ora una riforma seria»  119

*        Il Secolo XIX 2-3-2007. CONVEGNO SULLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE. Il presidente di Erg:"La corruzione in certe zone del Paese sta pericolosamente ritornando e raggiungendo livelli insopportabili". 119

*        Da La Stampa 28-2-2007 VIBO VALENTIA INCHIESTA "Per l'Ospedale mai nato, tangenti all'Udc". Di Antonio Massari 119

*        Da il meridiano.info (24-2-2007)  Pdci: «Impuniti i casi di mala-amministrazione dell’Asl»  119

*        Da La Stampa 18-2-2007 La truffa dell'ospedale fantasma. Antonio Massari 119

*        Da teramonews.com 17-2-2007 Comunicazione: ma quanto mi costi? Daniele Tempera  119

*        Da L’Espresso (16-2-2007)  Suite con tangenti di P. Gomez e M. Lillo  119

*        Da Il Tirreno 15-2-2007 Enti inutili, i tagli non decollano. La Regione: abbiamo la mappa. La Cdl: non farete nulla  di Mario Lancisi 119

*        Da aipsimed 11-2-2007 La sanità campana. Sprechi, clientelismo, illegalità, inefficienza  119

*        Da caserta24ore.it 6-2-2007 IL COMMENTO: I PARLAMENTARI SI CROGIOLANO NELLE LORO PENSIONI D’ORO Mario Caligiuri - 06/02/2007  119

*        Da primadinoi.it 5-2-2007 Acqua. La riforma degli enti: «entro febbraio cancellati 2 Ato»  119

*        Da L’Espresso Le pensioni degli onorevoli (Att.ne: 2,2 MegaB) 119

*        Da La Stampa 25/1/2007 (8:4) - INCHIESTA Non fare nulla può valere 750 mila euro RAPHAEL ZANOTTI 119

*        Da napoli.com (19-1-2007). Incredibile, una enoteca per regalo di Mario Caruso 119

*        Da osservatoriosullalegalità.org   8-1-2007  Etica e politica : il comma Fuda e il commento di Mastella di Alessandro Calducci 119

 

*    ARCHIVIO 2006 DEL DOSSIER I COSTI DELLA POLITICA 120

 

 

 

 


La Repubblica 25-9-2007 Palazzo Madama costa circa un miliardo Affitti e indennità, calze e corsi di lingua. Le 112 pagine del bilancio di previsione 2007 del Senato Nonostante gli sforzi, la camera alta aumenta del 2,77 per cento. Tagli fino al 75 per cento alle Commissioni di inchiesta. Ma restano 2 milioni e 800 mila per buvette e ristoranti. I questori: "Abbiamo mantenuto la spesa dentro il limite che ci eravamo posti, il 2,8%" di CLAUDIA FUSANI


ROMA - Bravi ma non troppo. Per quanto si siano sforzati a seguire linee guida risparmiose e rigorose, alla fine anche al Senato i conti non tornano. O meglio, tornano, ma con una spesa superiore del 2,77 rispetto all'anno scorso e un costo finale di quasi un miliardo di euro. Per l'esattezza nel 2007 Palazzo Madama con i suoi 315 senatori, sette senatori a vita e 1.096 dipendenti ci costerà 948 milioni, 689 mila e 447 euro mettendo insieme il titolo delle spese e quelle delle partite di giro, comunque costi vivi della camera alta della nostra Repubblica. Volendo fare un paragone con Montecitorio, i bilanci dei due rami del Parlamento sono in linea: la camera bassa, infatti, ci costa circa un miliardo e mezzo ma ha il doppio dei deputati e ottocento dipendenti in più.

Il testo di legge con il "Progetto di bilancio interno del Senato per l'anno finanziario 2007" è stato approvato il 4 aprile scorso dall'aula del Senato,
centododici pagine, comprensive di quattro allegati.

Si sono sforzati, i questori Gianni Nieddu, Romano Comincioli e Helga Thaler Ausserhofer, a perseguire "risparmio, trasparenza, contenimento della spesa e risanamento della finanza pubblica". A sentir loro ci sono anche riusciti visto che "la manovra di spesa ipotizzata nel 2007 registra, nel suo complesso, un incremento del 2,77
sulle analoghe previsioni del 2006, nel rispetto quindi del citato limite del 2,8 per cento previsto per il Pil nominale di quest'anno".
In sintesi, era stato deciso che l'aumento delle spese non doveva in alcun modo andare al di là della percentuale prevista per il prodotto interno lordo. E così, in effetti, è andata. Bravi, ad esempio, sono stati al Senato a ridurre le spese delle varie Commissioni d'inchiesta con tagli che arrivano fino al 75 per cento (al 67% quello della Commissione di vigilanza sulla Rai). E però, come si spiegano gli aumenti degli stipendi-indennità dei senatori (4,34%)? E dei senatori in pensione (3,31%)? O il 2,21 per cento in più della voce "trasferimento di contributi ai gruppi parlamentari"? E lasciamo perdere altre chicche del tipo i 60 mila euro della voce "medagliette parlamentari", i 200 mila euro per i corsi di lingua straniera dei senatori o i 62 mila euro per posate e stoviglie. Tutte queste cifre sono da intendere nell'arco temporale di un anno. E che fine fanno tutte quelle posate e stoviglie? Forse anche tra la buvette e i ristoranti del Senato si aggira qualche collezionista feticista. Di seguito una traccia delle spese e dei costi del Senato della Repubblica.

Stipendi, rimborsi e pensioni. Se le indennità crescono del 4,34 per cento per un valore assoluto pari a 50 milioni e 940 mila euro, va detto che i rimborsi - diarie, spese dei viaggi e costi vivi di telefoni e computer - calano del 3,3 per cento (quasi 26 milioni). Aumenta invece la spesa per i senatori "cessati dal mandato" (77 milioni e 500 mila). Il personale di palazzo Madama, commessi, biliotecari, archivisti costano circa 217 milioni di euro, tra quelli in servizio e quelli in pensione.

Gruppi parlamentari e partiti. Sono undici i gruppi al Senato e sette microgruppi all'interno del Gruppo Misto. La loro vita - il funzionamento, gli uffici, il personale, le attività di supporto ai senatori - costa circa 40 milioni di euro, il 2,21 per cento in più rispetto al 2006. La voce più cara è "contributo per le attività di supporto ai senatori", 18 milioni di euro. Altri 50 milioni di euro se ne vanno come rimborsi delle spese elettorali ai partiti e ai movimenti politici.

Commissioni d'inchiesta e parlamentari, le più virtuose. E' il capitolo in cui i senatori sono stati più attenti, scrupolosi e risparmiosi. Le Commissioni d'inchiesta hanno tagliato del 75 per cento. Le Commissioni permanenti delle giunte e dei comitati parlamentari hanno ridotto del 37%, quella di vigilanza sulla Rai addirittura del 67 per cento. "E' doveroso sottolineare - scrivono i questori - la portata dei tagli operati sulle risorse a disposizione delle Commissioni per le spese di funzionamento e sono stati fissati limiti rigorosi alle spese che le stesse possono impegnare per il loro funzionamento".

Cerimoniale, corsi di lingua e computer, medagliette. Nonostante curiosi aggiornamenti culturali come il corso per sommelier riservato ai senatori, va detto che tanti piccoli privilegi sono stati tagliati. Il capitolo "cerimoniale e rappresentanza" è stato decurtato del 14, 23 per cento anche se la spesa per il 2007 resta alta (3 milioni e mezzo di euro) di cui due milioni e mezzo solo per rappresentanza e 60 mila per delle fantomatiche "medagliette parlamentari". Per ristoranti e buvette se ne vanno due milioni e ottocentomila euro, un aumento del 3,31 per cento rispetto al 2006.

Una curiosità: per nutrire gli oltre mille dipendenti servono 1 milione e 379 mila euro; per sostenere i 320 senatori e collaboratori, la metà dei commessi, servono qualche decina di euro in più (1.400.000). Per i corsi di lingue i senatori spendono 200 mila euro e per gli accertamenti sanitari 40 mila. In generale il capitolo "Servizi di supporto funzionale" cresce del 21,2 per cento, tutta colpa delle gare di appalto il cui svolgimento costa 225mila euro. Costa di più anche tener pulito e luccicante il palazzo: pulizie, traslochi e facchinaggi si bevono quattro milioni di euro (1% in più).

Lavori in corso, quasi una fabbrica di San Pietro. Nel senso che c'è sempre un cantiere aperto da qualche parte nei palazzi del Senato. L'attività di manutenzione e restauro è ininterrotta, quasi cinque milioni di euro per le spese ordinarie (-5%) e oltre 17 per quella straordinaria (+14%). Solo per "arredi fissi e tappezzerie" se ne andranno, nel 2007, 377 mila euro per la manutenzione ordinaria e 870 mila per quella straordinaria. Ora, va bene che palazzo Madama e palazzo Giustiniani e le altre dependances sono cariche di velluti e boiseries, arazzi e tessuti, ovunque puoi ammirare tessuti e rivestimenti pregiati, però più di un milione di costi vivi in un anno...

Consoliamoci: altri 500 mila se ne vanno per la manutenzione degli ascensori; trecentomila per quella degli impianti anticincendio. Servono diciotto capitoli del bilancio, scrivono i questori, "per rendere un panorama completo delle concrete e complesse esigenze di funzionamento dell'Istituzione".

Affitti. Sono otto gli immobili in affitto, il più importante quello in via di S. Chiara, a seguire quello di via tempio del Dia, per un totale di spesa nel 2007 di 4 milioni e 343 mila euro (molto meglio rispetto alla Camera). I contratti scadranno tra il 2009 e il 2015. Da notare che quattro contratti di affitto sono con l'Empam, gli altri con privati: Casada, Immobilfin, Isma, Smom. Un altro privato - Condom - intasca circa 40 mila euro di spese condominiali per gli stabili di via e piazza delle Coppelle.

Stampa degli atti e giornali. Alla Camera erano otto. Qui sono sei milioni. Costa sempre tantissimo la stampa degli atti parlamentari. Tutto il capitolo "Comunicazione istituzionale" che comprende le pubblicazioni, le convenzioni con la Rai (satellite Rai Way per le dirette dal Senato), l'attività di promozione e comunicazione impegna per quasi undici milioni di euro. E sono stati bravi: è il 17 per cento in meno rispetto al 2006.

Calze e collant. Nell'allegato relativo ai contratti pluriennali tra luce, acqua, gas, posta e telefoni, spicca - non certo per la spesa- quello relativo al vestiario di servizio: la ditta Di Porto ha un contratto di 32.700 euro per rifornire, solo nel 2007, calze per i commessi e collant per la commesse. Il contratto scade nell'agosto 2008. Chissà, forse se ne potrebbe fare a meno.

(25 settembre 2007)

 


  Il Corriere della Sera 25-9-2007 «Costi Camera? Scenderanno nel 2008» La lettera di Gabriele Albonetti, questore anziano della camera.

Carissimi Rizzo e Stella, ….

La replica.  Tanto tempo buttato via E ci vuole l'accetta, non la lima.  Ringraziamo Gabriele Albonetti per il tono cortese della sua replica.

 


ci sono molte cose da cambiare nella vita delle istituzioni parlamentari e molte voci di spesa che è possibile progressivamente contenere e ridurre. Molte di queste, le più importanti, abbisognano di riforme legislative e costituzionali, altre sono possibili in via amministrativa e regolamentare, a legislazione e Costituzione vigente. Io e i miei colleghi Questori, perché questo è il nostro compito, ci stiamo attivamente occupando di queste ultime e abbiamo assunto delle decisioni (non delle «dichiarazioni di buona volontà» o «pensosi inviti») e altre ne assumeremo nei prossimi mesi che, però, cominceranno ad avere i loro effetti sul bilancio del 2008. Considerare il bilancio del 2007 come la cartina di tornasole che dimostrerebbe l'immobilismo degli organi di direzione e governo della Camera è operazione non corretta che alimenta l'idea che nulla si stia facendo e nulla si possa fare.

Il bilancio 2007 è stato predisposto a fine 2006 e approvato dall'Ufficio di presidenza della Camera nei primi mesi dell'anno e non poteva contenere, neanche nella sua proiezione triennale, i risultati di atti che sono successivi. Non chiediamo di essere assolti a priori o fiducie precostituite, anzi l'attenzione critica della stampa è sempre di stimolo ai riformatori veri. A quelli falsi basta cavalcar l'onda senza preoccuparsi delle contraddizioni. Tuttavia vorrei che ci dessimo appuntamento alla presentazione del bilancio preventivo 2008 per verificare insieme se quanto ho detto nella relazione introduttiva che ho tenuto in aula nel luglio scorso, che tutti, anche nel dibattito in aula, hanno bellamente ignorato, potrà essere mantenuto: e cioè che l'insieme dei provvedimenti presi in questo scorcio d'anno, e quelli che ancora prenderemo di qui a fine 2007, porteranno a una diminuzione del 10% della spesa per beni e servizi in termini economici e consentiranno di ridurre ulteriormente, rispetto a quella preventivata, di 110 milioni, da qui al 2010, la dotazione richiesta al ministero dell'Economia.

Elenco i principali di questi provvedimenti e delle decisioni assunte o in corso, poiché temo sia necessario esser puntigliosi e non vaghi.
1. Esternalizzazione del ristorante interno per deputati e giornalisti con un risparmio di 3.700.000 euro.
2. Riconsiderazione dei contratti nel settore informatico con un risparmio annuo di 2.500.000 (per un totale di 7.500.000 al 2010).
3. Passaggio ovunque possibile dal cartaceo all'on line con un risparmio di 1.000.000 di euro.
4. Eliminazione dal primo gennaio 2008 dei rimborsi spese per i viaggi di studio all'estero dei deputati per un risparmio secco di 2.000.000 già sul primo bilancio.
5. Sospensione e congelamento degli aumenti automatici, legati agli stipendi dei magistrati, per quanto riguarda le indennità dei deputati con un risparmio già per il 2007 di circa 1.500.000 euro (non si vede nel bilancio 2007 perché la legge del 1965 ci fa obbligo di prevederli, tuttavia non li abbiamo erogati).
6. Blocco selettivo del turn over dei dipendenti (che vuol dire assumere solo in casi motivati e palesi), con l'avvio di una nuova fase di contrattazione con i sindacati che porti fin dal prossimo contratto ad introdurre meccanismi di controllo sulla crescita delle retribuzioni e a rivedere da subito per i nuovi assunti le curve retributive portandole a livelli competitivi ma comparabili con il resto del pubblico impiego e facendo partire dal 2001 il nuovo regime pensionistico fondato sul sistema contributivo. In questo caso non è semplice indicare la cifra del risparmio, poiché gli effetti si vedranno in piccola parte subito e in gran parte sul medio periodo.
7. Riforma dei vitalizi dei parlamentari, già deliberata nel luglio scorso, con eliminazione dell'istituto del riscatto (non sarà più possibile percepire il beneficio dopo soli 2 anni e mezzo ma ce ne vorranno almeno cinque e anche in questo caso ci sarà una riduzione al 20% dell'indennità), blocco fino a un massimo del 60% anche per chi farà più legislature, estensione delle non cumulabilità del vitalizio con altre indennità pubbliche nazionali, regionali e locali. Già qualcosa si vedrà sul bilancio 2008, ma molto - circa 40.000.000 di euro - si risparmierà quando il nuovo sistema andrà completamente a regime.
8. Revisione degli affitti con la richiesta già inoltrata al ministero dell'Economia per ottenere dall'Agenzia del Demanio una sede in cui collocare molti degli uffici e servizi oggi operanti in sedi in affitto, con un risparmio quando l'operazione sarà completata, di circa 2.500.000 euro.

Capisco che nel grande mare della spesa pubblica questi obiettivi possano sembrare poca cosa e certo molto di più, sia in termini di efficienza della democrazia che in termini di minori oneri, si potrebbe ottenere da riforme che riducano significativamente il numero dei parlamentari e cambino la funzione di una delle due Camere. Ma qui i deputati Questori possono far poco se non auspicare che si realizzi presto un'intesa su queste riforme. Tuttavia l'elenco dei provvedimenti che ho minuziosamente riepilogato e altri che, nei prossimi mesi intendiamo mettere in cantiere, come per esempio l'adeguamento ai prezzi di mercato di tutti i servizi interni (dal ristorante, al bar, alla barberia, ecc.) rappresentano un tentativo concreto di ricondurre l'attività parlamentare all'essenziale e di tagliare privilegi e sprechi. Molti in questi mesi hanno parlato, annunciato, proposto; nessuno ha fatto in poco tempo così tanto di concreto, fra mille difficoltà di navigazione in mezzo allo Scilla di chi non vuol cambiare e al Cariddi di chi vorrebbe di più. Ma questo è il destino faticoso di chi, per modificare le cose, deve ottenere il consenso degli organi di autogoverno del Parlamento.

On Gabriele Albonetti
Questore anziano della Camera dei Deputati
Deputato dell'Ulivo

25 settembre 2007

 

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La replica.  Tanto tempo buttato via E ci vuole l'accetta, non la lima.

Ringraziamo Gabriele Albonetti per il tono cortese della sua replica.


Gli diamo atto di essere uno dei pochi che a ridurre le spese del Palazzo ci stanno almeno provando. Ci rallegriamo per il fatto che non rettifichi neppure una delle nostre cifre, peraltro contenute nel bilancio ufficiale di Montecitorio. Prendiamo per buone le sue rassicurazioni circa il fatto che i lodevoli impegni assunti dalla Camera possano produrre effetti concreti nel futuro prossimo. Ma ce lo lasci dire: in nemmeno un anno e mezzo, il tempo già trascorso dall'inizio di questa quindicesima legislatura, l'Assemblea costituente riuscì a stendere la carta fondamentale della Repubblica. Allora forze politiche che pure si combattevano aspramente e che erano divise da alti steccati ideologici avvertirono l'urgenza e la necessità di risollevare il Paese dopo una sanguinosa guerra civile. E in tempi straordinariamente brevi scrissero il patto costituzionale. Lo stesso senso di urgenza non sembra sia avvertito oggi, quasi che la classe politica nel suo complesso non si renda conto fino in fondo di quanto sta accadendo.

Eppure proprio su questo giornale un esponente di primo piano della maggioranza ora al governo, come il presidente dei Ds Massimo D'Alema, aveva ammesso allarmato il 20 maggio: «È in atto una crisi della credibilità della politica che tornerà a travolgere il Paese con sentimenti come quelli che negli anni 90 segnarono la fine della prima Repubblica». Da allora i segnali che la situazione si stia facendo sempre più seria e che il fossato fra il Paese reale e la politica (accusata di aver smarrito il senso dell'interesse generale e di non saper dare risposte adeguate) si vada approfondendo sempre di più, si sono moltiplicati. Nemmeno l'estate, cui forse qualcuno aveva affidato le speranze che la marea montante evaporasse sotto il solleone, ne ha attenuato l'impeto, mentre dal Palazzo non arrivavano che reazioni deboli. Contraddittorie. Impalpabili. Un taglietto qua, un aggiustamento là. Si andava dalle alzate di spalle all'annuncio di provvedimenti che poi non riuscivano nemmeno a superare i veti politici degli enti locali, rimanendo sepolti (e lo sono ancora) nei cassetti del governo. Al punto che i pur lodevoli impegni assunti dal Parlamento sui vitalizi e altre marginali voci di spesa (impegni previsti come sempre «dalla prossima legislatura») sono stati spacciati addirittura come svolte epocali. Ci si deve accontentare? No. Tanto più che la loro portata è ancora tutta da valutare. E il Parlamento che li dovrà digerire è lo stesso che il 17 maggio 2006, mentre il governo Prodi prestava giuramento, prendeva come prima decisione (prima!) della nuova legislatura quella di aumentare molto generosamente i contributi per i gruppi parlamentari. Ha detto Fausto Bertinotti, cercando di menar vanto dei ritocchi: «Abbiamo lavorato di lima». Questo è il punto: la gravità della situazione, come è nella convinzione anche dei lettori che hanno scritto ieri al «Corriere» un diluvio di lettere, imporrebbe di lavorare di accetta.

Sergio Rizzo - Gian Antonio Stella

25 settembre 2007

 


Il Messaggero veneto 25-9-2007 La Casta difende gli stipendi "Due terzi vanno in spese" I parlamentari veneti disposti a ridurre i benefit, non le indennità "Uffici, portaborse, soldi al partito: di certo non diventiamo ricchi".  Francesca Visentin.

 

VENEZIA - I costi della politica salgono ancora. Così sembra dal bilancio della Camera dei deputati, da cui emerge che in tre anni le spese di Montecitorio aumenteranno del 9,2 per cento, con un aggravio sulle casse pubbliche di 92 milioni di euro. E gli stipendi dei parlamentari costeranno il 2,77 per cento in più. Crescono le polemiche roventi su sperperi e privilegi, soffia il vento della rabbia popolare delle piazze infervorate dal verbo di Beppe Grillo, ma la "macchina" della politica continua a correre come se nulla fosse. Come reagiscono i parlamentari eletti dai veneti al bilancio di previsione varato dalla Camera? "Basta con gli aumenti di stipendio - tuona il senatore della Margherita Paolo Giaretta - ho appena scritto una lettera alla presidenza del Senato per chiedere che non venga applicato il nuovo scatto previsto. Voglio un "contratto di legislatura", con una cifra di retribuzione che resti quella. Non possiamo affrontare il dibattito sul welfare senza prima risolvere il nodo dei privilegi dei parlamentari ". Giaretta precisa: "Sommando le varie indennità io prendo circa 14 mila euro, ma va distinto ciò che entra nel reddito famigliare e quanto invece va a finanziare il partito o convegni: l'anno scorso ho versato 50 mila euro al partito. Tolte tutte le varie detrazioni guadagno meno dello stipendio che avevo come vicesegretario della Camera di Commercio di Padova". Luca Bellotti, parlamentare di An, punta il dito contro il governo di centrosinistra: "Predica all'altrui coscienza e poi non mantiene le promesse. Ma per la qualità della politica di oggi, secondo i cittadini è buttato anche un solo euro destinato ai politici". Bellotti snocciola le cifre che lo riguardano: "Prendo circa 15 mila euro, 3000 li spendo in telefono, poi ho segretaria e portaborse da stipendiare ". Su un punto Giaretta e Bellotti concordano, tagliare i privilegi: viaggi in business class, poi barbiere e ristorante riservati ai parlamentari. Il viceministro Cesare De Piccoli (Ds) non ha dubbi: "Ogni cittadino che ricopre incarichi pubblici dovrebbe dimostrare che non si arricchisce con la politica". E fa sapere: "Io rispondo per quello che mi riguarda, giro con il 740 e lo stato patrimoniale in tasca, pronto ad esibirlo in nome della massima trasparenza. Dei 14 mila euro che prendo me ne restano cinquemila, conta quello che porto a casa, non l'imponibile lordo. I privilegi? Li eliminerei tutti, a iniziare dal ristorante e il barbiere di Montecitorio, vecchi e inutili status symbol". "Ma quale crescita degli stipendi - s'infervora Mauro Fabris, Udeur - gli aumenti sono congelati da gennaio. Se maggiorazioni ci sono state, sono scatti automatici, derivano da impegni pregressi. Il bilancio di quest'anno ha cercato di sforbiciare tutto quello che poteva". Fabris fa i conti: "Guadagno 5000 euro al mese, più le indennità per pagare due uffici, uno a Roma e uno a Vicenza e quattro persone che lavorano per me. Altro che stipendi d'oro, se uno fa politica come la faccio io, è il minimo per andare avanti. A meno che l'obiettivo non sia passare dalla "casta" al "censo" in modo che possa fare politica solo chi è ricco di famiglia. Sono in Parlamento da dieci anni, non ho mai visto arricchirsi chi fa il proprio dovere". Contesta l'aumento Alessandro Naccarato, Ds. "E' un bilancio di previsione e c'è il congelamento sulle indennità dei parlamentari - spiega - , c'è l'intenzione di ridurre sprechi e privilegi. Alla Camera in Commissione Affari Cosituzionali stiamo facendo un'indagine conoscitiva sui costi della politica. L'obiettivo è arrivare a incidere su vitalizio e sistema pensionistico e tagliare i costi dei viaggi all'estero, io ad esempio non ne ho mai fatto uno". I conti di Naccarato? "Ho un indennità netta di 5000 euro, più 4000 per i rapporti con il territorio e 4000 per la diaria per Roma, di questi soldi ogni mese verso 7200 euro al partito". Niccolò Ghedini, Forza Italia, sostiene che "il problema non è il costo della politica, ma la resa: costiamo, ma non funzioniamo. E la gente si allontana proprio a causa dell'inefficenza della macchina politica". Cosa tagliare? "I viaggi e gli affitti dei palazzi: molte sedi potrebbero essere dismesse, è eccessivo che tutti i parlamentari abbiano un ufficio a Roma, io ad esempio non me lo sono mai fatto dare". Filippo Ascierto, An, propone: "Metto il mio stipendio di un mese in mano a chi vuole gestirlo per me, vediamo cosa riesce a fare". E spiega: "Quello che percepisco lo ridistribuisco tra cinque dipendenti e due uffici, poi finanzio incontri, cene con gli iscritti, dò il mio contributo a An. Ho chiuso l'attività di carabiniere con 50 mila euro in banca, adesso sul conto ne ho 20 mila, di sicuro non mi sono arricchito. La casta? E' chi pensa solo ai propri interessi. Gli stipendi andrebbero tagliati del 10 per cento ". "Se uno rinuncia a un incarico professionale per entrare in politica è giusto che sia retribuito - sostiene Aldo Brancher, Forza Italia - Certo, i costi della politica vanno ridotti, ad esempio iniziando a diminuire i gruppi in Parlamento. E poi barbiere e ristorante di Montecitorio, mai entrato in 5 anni di governo, ho sempre pranzato con un panino". "Io prendo 4900 euro di indennità parlamentare, il resto sono rimborsi spese - dice Elisabetta Alberti Casellati, Forza Italia -. Ma questo governo ha fatto lievitare tutta la "macchina", ci sono più sottosegretari e ministeri, con più auto e personale. Vogliamo chiedere una drastica riduzione di tutte le spese. La ribellione di piazza della gente è forte perchè non hanno risposte dal governo. Se ci fosse un buon governo si disinteresserebbero dei nostri stipendi".

 


Il Secolo XIX 25-9-2007 L'inchiesta del secolo xix Malgrado le insistenze nessuna risposta da governo e mondo politico.  I 98 miliardi di euro che la Corte dei conti chiede alle società concessionarie delle slot machine e dei giochi da intrattenimento.

 

MILANO. I 98 miliardi di euro che la Corte dei conti chiede alle società concessionarie delle slot machine e dei giochi da intrattenimento. Uno dei più grandi casi mai accaduti in Italia. L'inchiesta che il Secolo XIX sta conducendo dallo scorso maggio è stata "protagonista" ieri sera della prima puntata della nuova serie di Striscia la notizia, il tg satirico di Antonio Ricci in onda su Canale 5. Il servizio di apertura, infatti, è stato dedicato interamente al "caso slot". L'inviato di Striscia, Moreno Morello, collegato con la sede del nostro quotidiano, ha illustrato le puntate dell'inchiesta e ha testimoniato dell'impossibilità di ottenere risposte da chi dovrebbe darle: il governo e il mondo politico. Il caso scatenato dal Secolo XIX è stato innescato dalla relazione di una commissione parlamentare, presieduta dal sottosegretario all'Economia Alfiero Grandi, che ha lanciato dure accuse e indicato responsabilità dei Monopoli di Stato sulla vicenda. Poi è arrivata l'indagine della Guardia di Finanza, che ha lavorato d'intesa con la Corte dei conti che, alla fine, ha quantificato l'entità del danno patito dallo Stato: 98 milioni di euro, per l'appunto. La Corte ha quindi inviato alle concessionarie (ma anche al direttore dei Monopoli Giorgio Tino, nominato dal governo di centrodestra e riconfermato da quello di centrosinistra nonostante il suo nome fosse già finito agli atti di un'inchiesta della procura di Potenza) gli "inviti a dedurre", ovvero l'avviso di garanzia della giustizia contabile. Il Secolo XIX ha correttamente riportato anche la versione delle società concessionarie delle slot machine. Ma tutti i protagonisti della vicenda hanno lo stesso problema: l'impossibilità di ottenere risposte dal governo su uno dei casi più clamorosi mai accaduti in Italia. Così Striscia la notizia ha mandato in onda le immagini dell'incontro tra i due inviati del Secolo XIX autori dell'inchiesta, Marco Menduni e Ferruccio Sansa, e il viceministro Vincenzo Visco nel corso della sua visita a Genova. Ai due giornalisti che volevano porgli domande e ottenere chiarimenti, Visco ha risposto seccamente: "Come sapete con voi non parlo. Non mi state simpatici, va bene?". Silenzio dai Monopoli di Stato, silenzio dal ministro dell'Economia Tommaso Padoa Schioppa, silenzio dal premier Romano Prodi. Eppure sono stati persino gli stessi concessionari (cioè chi dovrebbe versare la supermulta da 98 miliardi) a sollecitare un intervento del governo: "Tutto il settore potrebbe crollare, con danni incalcolabili per le entrate dello Stato e per migliaia di lavoratori". Nessuna risposta. Sul sito www.ilsecoloxix.it è apparso un appello per chiedere direttamente spiegazioni sulla vicenda al presidente del Consiglio. E migliaia di mail sono state inviate dai cittadini dopo che la notizia è stata ripresa dal sito di Beppe Grillo. Striscia ha mostrato le pagine del Secolo XIX scandendo così un riassunto dell'intera inchiesta. Passata dal mondo delle concessionarie ai risultati (nell'inchiesta delle Fiamme Gialle) sulle pesanti infiltrazioni mafiose che ancora oggi gravano sul settore per arrivare all'"interesse" diretto dei partiti politici nella gestione dei giochi "da intrattenimento" in Italia, in maniera assolutamente bipartizan. R. I. 25/09/2007.

 


Il Piccolo di Trieste 25-9-2007 Trieste La scala mobile esiste ancora lLa scala mobile non è morta.

 

Ve la ricordate la scala mobile? Permetteva di adeguare automaticamente lo stipendio all'aumento del costo della vita. Ci convinsero che era inopportuna, dannosa, che favoriva l'inflazione. Ci fu un referendum. Votammo per il bene comune, per l'abolizione. Ora, con incredula sorpresa, veniamo a sapere che per qualcuno la scala mobile è viva e vegeta. Per le caste. I parlamentari e i magistrati. È di questi giorni un ulteriore aumento di 200 euro netti al mese più gli arretrati dal gennaio di quest'anno. Questa classe politica vive fuori della realtà, non si rende conto che la disaffezione, la sfiducia, l'indignazione stanno montando inarrestabilmente e che bisogna dare segnali forti di riduzione dei costi della politica, tagliare i privilegi, recuperare comportamenti trasparenti ed esemplarmente corretti. Invece ci si esercita, con prolisse analisi, sul perché del fenomeno Grillo. Siamo tutti Grillo quando ci prende lo scoramento per essere governati da una oligarchia intoccabile, autoreferenziale, insaziabile, irresponsabile. Ezio Pelino.

 


Il Centro 25-9-2007 Chieti Comune, ecco i conti in tasca alla politica Spendono meno sindaco e giunta, ma è senza controllo il costo dei consiglieri FABIO CASMIRRO

 

CHIETI. Circa 640mila euro, lira più lira meno un miliardo e 200milioni del vecchio conio. Tanto costa ogni anno ai teatini l'attività dell'amministrazione Ricci, secondo quanto risulta dal dato aggregato dei compensi spettanti a sindaco e giunta, oltre ai soldi spesi per l'attività dei 40 consiglieri comunali, ai quali viene liquidata un'indennità forfettizzata o un compenso a gettone, a seconda della scelta fatta da ciascun rappresentante del popolo. L'amministrazione Cucullo fissò, nel settembre 2001, un'indennità mensile di 465 euro a consigliere e 92 euro per ogni gettone di presenza ai lavori di commissione, assemblee civiche e ogni altro genere di attività. Comprese le riunioni dei capigruppo. Le ultime leggi finanziarie hanno stabilito che i 92 euro per gettone andavano ridotti del 10%, per cui oggi il compenso è di circa 80 euro. Scorrendo i dati della tabella, si comprende come i costi per sindaco e giunta sono sostanzialmente ridotti rispetto al periodo del centrodestra, nonostante l'attuale esecutivo abbia aumentato il numero degli assessori. Discorso diverso per i costi che l'attuale amministrazione si è caricata per pagare i consiglieri, in particolare chi riscuote il gettone. Difficile tirare a campare soltanto di politica, ma va detto che vi sono consiglieri che oltre al mandato in Comune sono eletti anche in Provincia e, sommando i compensi incassati nei due enti, possono arrivare a percepire oltre duemila euro al mese. Non male, se queste entrate si aggiungono ad altre attività lavorative. Velo pietoso sulla qualità del contributo offerto al dibattito politico: vi sono consiglieri dei quali non si conosce neppure il timbro della voce e, quanto alle competenze specifiche, nulla o quasi sono in grado di esprimere come valore aggiunto. A palazzo d'Achille, la questione è di grande attualità anche perché il vento della cosiddetta "antipolitica" rischia di spazzare via tutti come uno tsunami. Così, spulciando tra i verbali di convocazione delle otto commissioni consiliari, si scopre che la seconda commissione (lavori pubblici, trasporti, traffico e viabilità) è di gran lunga la più "operativa". Sono state infatti 72 le sedute convocate nel periodo giugno 2005-agosto 2007 dal presidente Gianluigi Moresco, giovane consigliere eletto nello Sdi ma che di fatto è stato messo alla porta dal suo stesso partito. Il Comune paga 12 consiglieri a gettone, i cui compensi costeranno entro il 2007 circa 152mila euro e altri 28 a indennità, che nello stesso periodo graveranno sui contribuenti per 110mila euro. Dato controverso anche questo, i consiglieri a gettone costano molto di più pur essendo meno della metà. La questione è diventata insomma di assoluta priorità. L'amministrazione sta studiando un nuovo regolamento che punta a ridurre se non proprio azzerare l'intollerabile malcostume di alcuni "eletti" interessati più a incassare gettoni che alla buona amministrazione della città.

 

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Consiglieri a gettone, costi alle stelle Senza controllo la spesa al Comune per le sedute delle commissioni CHIETI. In calo i costi per sindaco e giunta, senza controllo la spesa per pagare i consiglieri comunali a gettone. E' il quadro che emerge dai dati dell'amministrazione di centrosinistra a confronto con la maggioranza di centrodestra del sindaco Cucullo che ha governato in città fino al 2004. Circa 640mila euro, lira più lira meno un miliardo e 200milioni del vecchio conio: tanto costa ogni anno ai teatini l'attività del Comune sommando i compensi spettanti al sindaco e all'esecutivo in carica con undici assessori, ai soldi spesi per l'attività dei 40 consiglieri impegnati nei lavori di commissione, consiglio e conferenze dei capigruppo. (In Chieti).


 

Il Messaggero Veneto 25-9-2007 Regione Da Rifondazione comunista un no anche ai tagli alle Ass De Angelis accusa: si risparmierebbe solo lo 0,2% a scapito dei servizi

TRIESTE. Non c'è solo la contrarietà alla legge sul friulano per la parte che riguarda la maggioranza assoluta nei comuni che vorranno scegliere l'insegnamento della marilenghe. Rc dice irriducibilmente no anche al ridimensionamento delle Aziende sanitarie previsto dal piano Beltrame. L'attuale proposta di legge per la riforma del sistema sanitario regionale con la riduzione da sei a tre aziende sanitarie in Friuli Venezia Giulia è, secondo Rifondazione Comunista, "assolutamente insufficiente". Secondo il consigliere regionale di Rc, Pio De Angelis, questa soluzione "riduce la capacità di controllo da parte degli enti pubblici e in particolare dei piccoli Comuni, non prefigura un risparmio apprezzabile e finisce per depauperare la sanità della provincia di Gorizia centralizzando tutto a Trieste e per creare invece un "mostro" da 500 mila abitanti e 150 Comuni con l'unica azienda friulana". "La Regione - ha detto De Angelis in una conferenza tenuta ieri a Gorizia in cui ha illustrato la posizione del partito - pensa evidentemente di poter realizzare delle economie di scala sulla sanità a rischio di creare pesanti disservizi depauperando in particolare la sanità della provincia di Gorizia. Nella proposta di legge - ha aggiunto - non si affrontano il problema delle liste di attese nè quello degli ospedali di rete, i più piccoli che già oggi non rispettano i parametri di legge, e riteniamo improponibile l'idea di creare le fondazioni di ricerca. Inoltre - secondo De Angelis - non è accettabile che non venga presa in esame l'ipotesi di aumentare l'attuale periodo gratuito di degenza nelle Rsa, fermo a 30 giorni". "Così com'è - ha sottolineato Gianluca Pinto, coordinatore della commissione sanità del Prc regionale - questa proposta di legge non può ricevere il nostro consenso, a cominciare dal fatto che garantirebbe un risparmio esiguo, pari a 4 milioni di euro ovvero lo 0,2% sull'attuale bilancio di 2 miliardi l'anno".


 

Il Messaggero Veneto 25-9-2007 Regione Ritossa (An): il Fvg non riesce a cedere immobili e s'indebita

 

TRIESTE. Per Adriano Ritossa, consigliere regionale di An, "l'operazione di cartolarizzazione dei beni immobili della regione non sta dando i frutti sperati". In una nota il consigliere ha infatti precisato che "in dieci aste dal 2004 al 2006, i beni venduti ammontano a solo 34 milioni di euro contro i 56 stimati". "La società veicolo a responsabilità limitata Prima-FVG con capitale pari a 10.000 euro interamente sottoscritto dalla Regione - ha aggiunto Ritossa - ha già attirato la nostra attenzione tanto da meritare anche una segnalazione alla Procura regionale della Corte dei Conti sul suo operare. Oggi ci preoccupa il fatto che l'operazione di cartolarizzazione che riguarda beni immobili con prezzo complessivo stimato in oltre 56 milioni di euro si trascini nel tempo". Il ricorso a strumenti finanziari derivati mediante le forme contrattuali in uso prevalente nel mercato - ha proseguito Ritossa - non riesce a celare l'incidenza sui bilanci degli oneri da indebitamento. Tutti i tentativi adottati dalla Giunta Illy dalle cartolarizzazioni, al ricorso alla finanza derivata e all'allungamento nel tempo de debito, dimostrano un dato incontestabile: la cifra globale raggiunta al a fine 2006, è pari 1.617 milioni di euro di debito regionale, ovverosia, pari a 1.329,77 euro di debito per ogni abitante della Regione Fvg. Ecco perché - ha concluso Ritossa - è necessario e doveroso che nel Dpefr sia posta una cifra non inferiore a 100 milioni di euro per abbattere e ridurre in parte, il macigno del debito regionale nel corso del 2008".


Il Corriere della Sera 24-9-2007 La Casta promette e non mantiene. L'insofferenza dei cittadini, l'«antipolitica» e l'ascesa di Beppe Grillo. I costi della politica salgono ancora In soli tre anni i costi di Montecitorio saranno aumentati del 9,2% con un aggravio sulle casse pubbliche di 92 milioni di euro. Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella

 

Cosa deve accadere, perché capiscano? Devono esplodere il Vesuvio, fallire l'Alitalia, rinsecchirsi il Po, crollare la Borsa, chiudere gli Uffizi, dichiarare bancarotta la Ferrari? Ecco la domanda che si stanno facendo molti cittadini italiani. Stupefatti dalla reazione di una «casta» che, nel pieno di polemiche roventi intorno a quanto la politica costa e quanto restituisce, pare ispirarsi a un antico adagio siciliano: «Calati juncu ca passa a china», abbassati giunco, finché passa la piena. Un giorno o l'altro la gente si rassegnerà...

Non sono bastati infatti mesi di discussioni su certi privilegi insopportabili di quanti governano a livello nazionale o locale, decine di titoli a tutta pagina di quotidiani e settimanali, ore e ore di infuocati dibattiti televisivi, code mai viste nelle librerie di lettori affamati di volumi che li aiutassero a capire. Non è bastata la sbalorditiva rimonta nella raccolta delle firme del referendum elettorale che dopo essere partita maluccio è arrivata in porto trionfalmente. Non sono bastate le piazze stracolme intorno a Beppe Grillo e le centinaia di migliaia di sottoscrizioni alle sue proposte di legge di iniziativa popolare.

Macché: non vogliono capire. Non tutti, certo. Ma in troppi non vogliono proprio capire. Lo dimostra, ad esempio, il bilancio appena varato della Camera dei deputati. Dove una cosa spicca su tutte: dopo tante dichiarazioni di buona volontà e pensosi inviti a rifiutare ogni tesi precostituita e sospirate ammissioni che alcuni «benefit » erano proprio indifendibili e solenni impegni a tagliare, le spese sono cresciute ancora. E ben oltre l'inflazione. Il palazzo presieduto da Fausto Bertinotti era costato nel 2006, quando i primi mesi erano stati gestiti dalla destra, 981.020.000 euro: quest'anno, alla faccia di quanti sostenevano che tutta la colpa fosse della maggioranza berlusconiana che aveva lasciato una «macchina » spendacciona, ne costerà 1.011.505.000. Con un aumento del 3,11 per cento: il doppio dell'inflazione.

GLI STIPENDI E GLI AFFITTI - Non basta. Nel 2008, stando alle previsioni del bilancio triennale, queste spese che già hanno sfondato (prima volta) la quota-choc di un miliardo di euro, cresceranno ancora. Fino a 1.032.670.000. Per impennarsi ulteriormente nel 2009 fino alla cifra sbalorditiva di 1.073.755.000. Sintesi finale: in soli tre anni i costi di Montecitorio, dopo tutto il diluvio di belle parole spese per arginare l'irritazione popolare, saranno aumentati del 9,2%. Con un aggravio sulle pubbliche casse di 92 milioni di euro in più rispetto al 2006.

Ricordate cosa avevano assicurato, per arginare la mareggiata di contestazioni, a proposito dello stipendio dei deputati? Che l'indennità, che stando alla politica degli annunci è già stata tagliata un mucchio di volte, sarebbe calata. Falso: costerà il 2,77 per cento in più: un punto abbondante oltre l'inflazione. E i vitalizi? Il 2,93 per cento in più. Per non dire delle retribuzioni del personale. Avete presente la denuncia dell'Espresso sulle buste paga dei dipendenti delle Camere? La scandalosa scoperta che un barbiere del Senato può arrivare a 133 mila euro lordi l'anno e cioè 36 mila euro più del Lord Chamberlain della monarchia inglese? Che un ragioniere della Camera può arrivare a 238 mila, cioè circa ventimila euro più dell'appannaggio del presidente della Repubblica? Bene: stando al bilancio di Montecitorio, il monte-paghe del personale costerà nell'anno in corso il 3,73 per cento in più.
Oltre il doppio dell'inflazione.

Quanto agli affitti per i palazzi a disposizione (insieme col Senato la Camera è arrivata, tra immobili di proprietà e in locazione, a 46) sono cresciuti del 6,6%: il quadruplo dell'inflazione. Eppure non è neppure questo il record. I traslochi e il «facchinaggio» erano costati nel 2006 la bellezza di 1.255.000 euro, con un rincaro di 45.000 euro sul 2005. Dissero: «Si è dovuta tenere in giusta considerazione la spesa aggiuntiva» dovuta alle «esigenze inevitabili nel corso del cambio di una legislatura ». Può darsi. Ma allora a cosa è dovuta quest'anno l'ulteriore aggiunta di altri 100 mila euro, pari a un aumento di oltre l'8 per cento? Siamo entrati, senza saperlo, in una nuova legislatura?

LE SPESE PER I VIAGGI - Quanto ai viaggi, le polemiche sull'uso spropositato degli aerei di Stato prima nell'era berlusconiana e poi nell'era unionista, sono scivolate via come acqua. Basti dire che le spese di trasporto, alla Camera, aumentano del 31,82%. Diranno: è perché da questa legislatura ci sono 12 deputati degli Italiani all'estero che devono tenere i rapporti con i nostri elettori emigrati. Costoso ma giusto. Tesi inesatta. È vero che 1.450.000 euro (121 mila per ogni parlamentare) se ne vanno in «trasporti aerei circoscrizione estero». Ma il costo complessivo dei viaggi aerei, al di là del via vai di questa pattuglia di deputati «esteri», salirà da 6 milioni a 7 milioni 550 mila. Un'impennata sconcertante.

Ma mai quanto quella dei costi dei gruppi parlamentari. La regola sarebbe chiara: si può dar vita a un gruppo parlamentare se si hanno almeno 20 deputati. Su questa base, all'inizio della legislatura avrebbero dovuto essere otto. Ma grazie alle deleghe concesse dal subcomandante Fausto sono saliti via via a quattordici. Con una moltiplicazione delle sedi (che ha costretto a prendere in affitto nuovi uffici nonostante i deputati potessero già contare su spazi procapite per 323 metri quadri), delle segreterie (più 12,3% sul 2006), delle spese varie. Al punto che i contributi ai gruppi, che nel 2005 erano pari a 28 milioni 700 mila euro e nel 2006 erano già saliti a quasi 33, sono cresciuti ancora fino a 34.300.000 euro. Cioè quasi 14 in più rispetto a sette anni fa. Il che vuol dire che nel quinquennio berlusconiano e in questa successiva stagione unionista, il peso di questi gruppi sulle pubbliche casse è cresciuto del 67,4 per cento.

DEMOCRAZIA E ANTIPOLITICA - Tutti «costi della democrazia»? Pedaggi obbligatori che altri paesi non pagano (non così, non così!) ma che gli italiani dovrebbero essere felici di versare per tenersi stretti «questo» sistema parlamentare, «questa» macchina pubblica, «questi» governi statali, regionali, provinciali, comunali che i loro protagonisti presentano, facendo il verso al «Candido» voltairiano, come il migliore dei mondi possibili? Tutti costi impossibili da ridurre al punto che il bilancio della Camera prevede già di costare come prima e più di prima anche negli anni a venire a dispetto di ogni dubbio e di ogni critica? Dice la storia che la Regina Elisabetta, invitata dal governo inglese a tagliare, ha preso così sul serio questo impegno che la spesa pubblica per la Corona è scesa dai 132 milioni di euro del 1991-1992 a meno di 57 milioni.

Eppure, guai a ricordarlo. C'è subito chi è pronto a levare l'indice ammonitore: attenti a non titillare l'antipolitica, attenti a non gonfiare il qualunquismo, attenti a non fare della demagogia. Ne sappiamo qualcosa noi, ne sa qualcosa chiunque in questi mesi ha rilanciato con forza alcune denunce, ne sa qualcosa Beppe Grillo. Ma certo, non tutto quello che ha detto il «giullare- à-penser» genovese può essere condiviso. Dall'invettiva del «Vaffanculo Day» lanciata in un Paese che ha bisogno come dell'ossigeno di un linguaggio più sobrio fino all'appoggio alle tentazioni di rivolta fiscale. Un acerrimo avversario dello Stato italiano come Sylvius Magnago, straordinario protagonista di durissimi scontri in difesa dei sudtirolesi di lingua tedesca, lo ha spiegato benissimo sottolineando di sentirsi «un patriota austriaco ma un cittadino italiano»: «prima» si devono pagare le tasse, «poi» si può dare battaglia.

Ma quale autorevolezza hanno per liquidare Grillo quanti per anni e anni non sono riusciti a dimostrare la volontà, la capacità, la credibilità, la forza per cambiare sul serio questo Paese? L'Umberto Bossi che intima a Grillo che «occorre stare attenti a non esagerare» non è forse lo stesso Bossi che diceva che «il Vaticano è il vero nemico che le camicie verdi affogheranno nel water della storia»? Gerardo Bianco che al Grillo che vorrebbe un limite massimo di due legislature risponde dicendo che «non bisogna seguire la piazza a rimorchio di istrioni della suburra» non è lo stesso che siede in Parlamento dal 1968? E il Massimo D'Alema che liquida gli attacchi di Grillo ai partiti dicendo che per sua esperienza «se si eliminano i partiti politici dopo arrivano i militari e governano i banchieri» non è lo stesso che nei giorni pari dice che «la politica rischia di essere travolta come nel 1992» e nei dispari che «i costi della politica sono un'invenzione di giornalisti sfaccendati»?

E la destra che, Udc a parte, ha firmato col proprio questore il bilancio della Camera e poi si è rifiutata di votarlo nella speranza di cavalcare la tigre, non è quella stessa destra che governava con una maggioranza larghissima nei cinque anni in cui le spese delle principali istituzioni pubbliche sono cresciute di quasi il 24 per cento oltre l'inflazione? Per quel po' di esperienza che abbiamo fatto in questi mesi dopo l'uscita del nostro libro, incontrando diverse migliaia di persone, ci andremmo molto cauti, prima di liquidare l'insofferenza di milioni di cittadini, confermata inequivocabilmente dai sondaggi e dalle analisi di Ilvo Diamanti, come «tentazioni antipolitiche». Noi abbiamo visto piuttosto crescere una nuova consapevolezza. Quella che «prima» del legittimo diritto di ognuno di noi di sentirsi di destra o di sinistra, abbiamo tutti insieme un problema: una politica che ha allagato la società. E che, come dimostra il dibattito di queste settimane, non ha la forza non solo per risolvere i problemi ma neppure per metterli sul tavolo.

BILANCI TRASPARENTI - È «antipolitico» chiedere come mai non vengono neppure ipotizzati l'abolizione delle province o l'accorpamento dei piccoli comuni? Che tutte le amministrazioni pubbliche siano obbligate a fare bilanci trasparenti dove «acquisto carta da fax» si chiami «acquisto carta da fax» e «noleggio aerei privati» si chiami «noleggio aerei privati» così da spazzare via tanti bilanci fatti così proprio per essere illeggibili? Che anche il Quirinale metta in Internet il dettaglio delle proprie spese come Buckingham Palace? Che venga rimossa quella specie di «scala mobile» dell'indennità dei parlamentari ipocritamente legata a quella dei magistrati due decenni abbondanti dopo l'abolizione del meccanismo per tutti gli altri italiani? Insomma: viva le istituzioni, viva il Parlamento, viva i partiti. Però diversi: diversi. E soprattutto: è antipolitico chiedere che certi politici italiani la smettano di essere così presuntuosi da pretendere di identificarsi automaticamente con la Democrazia?

24 settembre 2007

 


Il Giornale di Brescia 24-9-2007FINESTRA SUL MONDO Il rigore e il senso di responsabilità pubblica fa parte della cultura del Paese: l'apparato burocratico ridotto del 32% in 15 anni Costi della politica: la Germania a dieta La Grande Cupola simbolo del nuovo Parlamento di Berlino

 

BERLINO Sarà per la severa etica protestante di cui è permeato il Paese, rigorosamente contraria a ogni forma di spreco, oppure la tradizione prussiana di spartana devozione dei funzionari dello Stato, sta di fatto che ancora oggi in Germania i politici devono camminare sul filo del rasoio in fatto di spese a carico della collettività. Esemplare è rimasto il caso del liberale Hans-Dietrich Genscher, ministro degli Esteri dal 1974 al 1992, prima con il cancelliere Helmut Schmidt, poi dal 1982 con Helmut Kohl. Quando nei primi anni Ottanta la figlia allora tredicenne espresse il desiderio di visitare New York, Genscher le acquistò un biglietto aereo di andata e ritorno su un volo della Lufthansa, rifiutandosi di portarla con sè a bordo dell'aereo di Stato con il quale si recava negli Stati Uniti per partecipare alla sessione autunnale dell'Assemblea generale dell'Onu. Esemplare è stato anche il caso dell'ex presidente della Bundesbank, Ernst Welteke, costretto a dimettersi il 16 aprile 2004 perché, come aveva rivelato il settimanale "Der Spiegel", in occasione dei festeggiamenti per l'introduzione dell'euro il primo gennaio del 2002, aveva preso alloggio con la famiglia per un paio di notti nel lussuoso Hotel Adlon di Berlino a spese di una grande banca tedesca che aveva pagato un conto di circa 7.500 euro. Il 18 luglio 2002 era stato invece il cancelliere Gerhard Schroeder a costringere alle dimissioni il suo ministro della Difesa e compagno di partito Rudolf Scharping, quando si venne a sapere che questi aveva utilizzato un aereo di Stato per fare visita alla fidanzata, la contessa Kristina Pilati, divenuta poi sua moglie, in vacanza sull'isola di Maiorca. A mandare su tutte le furie Schroeder fu il anche il fatto che Scharping aveva acquistato in una boutique abiti costosi, poi pagati dal titolare di una società di pubbliche relazioni. Per quanto riguarda in generale i costi della politica in Germania, va sottolineato che i deputati del Bundestag percepiscono uno stipendio di 7.009 euro al mese, mentre da anni tutti i cancellieri che si sono succeduti hanno portato avanti una drastica riduzione del personale dello Stato. Il numero di dipendenti di ministeri e degli altri uffici pubblici federali è oggi inferiore a quello esistente prima della riunificazione del 1990, sebbene alla vecchia Bundesrepublik siano arrivati in dote i cinque laender tedesco-orientali con oltre 17 milioni di cittadini. Alla fine dell'anno in corso il totale dei dipendenti dello Stato tedesco nel settore civile, messo ovviamente da parte l'esercito, toccherà 260.400 unità e alla fine del 2008 scenderà a 258.000. Rispetto al 1992, quando proprio a seguito della riunificazione tedesca il numero dei funzionari federali toccò la punta massima, è sparito quasi un terzo dei posti pubblici, esattamente il 32 per cento. In sintesi, il rapporto tra funzionari pubblici e popolazione è oggi di uno ogni 320 abitanti, mentre nel 1991 era di uno su 213 e nel 1998 di uno su 261. Le spese per il personale toccheranno nel 2008 il minimo assoluto del 9,4 per cento del bilancio dello Stato, rispetto al 12,1 per cento del 1991 e dell'11,4 per cento del 1998. Quest'anno è stato tagliato l'1,2 per cento dei posti, mentre per il 2008 è prevista un'ulteriore riduzione dello 0,75 per cento. Il numero di dipendenti della Cancelleria è di appena 443 unità, mentre il presidente della Repubblica, Horst Koehler, dispone appena di 170 funzionari. Il Bundestag, il Parlamento federale, conta 2.347 impiegati di diverso ordine e grado, il Ministero degli esteri ne ha 2.734, escluso ovviamente il personale in servizio nelle sedi diplomatiche all'estero. Rischioso per i leader "ritagliarsi" dei privilegi


Panorama 27-7-2007  Ma quale austerità: nel 2008 più soldi ai politici  di Roberto Ormanni (inserito IL 23-9-2007)

 

Doppio aumento in vista per deputati e senatori, proprio quando i vertici di Camera e Senato hanno deciso un pacchetto di austerità per ridurre le pensioni dei parlamentari e alcune voci della loro busta paga. La paradossale situazione è figlia del meccanismo che aggancia lo stipendio base dei parlamentari a quello del primo presidente della Corte di cassazione, cioè il magistrato italiano di grado più alto.
Ogni tre anni per tutti i magistrati scatta un aumento calcolato in base a un complicato sistema di previsione dell’indice Istat. Nel gennaio 2008, data del prossimo scatto, esso sarà del 4 per cento circa; di pari percentuale si rivaluterà l’indennità dei parlamentari, cioè la voce più consistente della loro busta paga. Ma non basta, è in arrivo un altro aumento, assai più consistente. E sempre per “via giudiziaria”.
La
nuova legge sull’ordinamento della magistratura, in via di approvazione, allinea tutti gli stipendi a quelli dei giudici amministrativi. Attualmente ai componenti di Tar e Consiglio di Stato, a parità di grado, è riconosciuta un’anzianità di 8 anni in più rispetto ai magistrati ordinari, e dunque uno stipendio più alto. Per metterli alla pari, il Parlamento dovrà quindi approvare una legge che conceda a questi ultimi un aumento valutabile intorno al 12 per cento. Anche in questo caso, beneficiandone il primo presidente di Cassazione se ne avvantaggeranno anche deputati e senatori.
Tutto grazie all’unione con i magistrati nella buona e nella cattiva sorte. Ma in questo caso non occorre aspettare la morte per separarsi. Basterebbe una legge per sganciare la retribuzione dei parlamentari da quella del primo presidente di Cassazione. Ma il Parlamento la approverà mai
?

 


Il Secolo XIX 23-9-2007 Pollio: "Troppi sprechi all'Acts,no al matrimonio con la Sar" margherita all'attacco

 

"NO ALLA fusione tra Sar e Acts: vorrebbe dire mischiare la buona gestione della società ponentina con un calderone dove primeggia lo sperpero delle risorse a danno dei cittadini". Giovanni Pollio, consigliere ingauno della Margherita, non le manda a dire. Le recenti vicende dell'Acts non gli vanno giù e lo dice chiaramente invitando gli azionisti Sar a bloccare il matrimonio tra le due aziende di trasporti. "Non è compito mio giudicare l'operato della vecchia dirigenza - afferma Pollio -. Ricordo però che i soci di maggioranza (Provincia e Comune di Savona) nel nominare il nuovo cda precisarono che per ovviare alle carenze della passata gestione avrebbero nominato un pool di tecnici con un grado di efficienza e di capacità manageriale di elevato livello, cosa che poi hanno fatto. Mi domando com'è possibile che questo pool di tecnici sia costretto a chiedere consulenza a un presidente che a detta di molti non ha gestito l'Acts come un buon padre di famiglia". Uno spreco che basterebbe a giustificare la rottura del fidanzamento' tra le due società? "Sì. In un momento economico così delicato, dove si sente l'esigenza di ridurre i costi della politica, c'è chi continua per la sua strada con questo enorme distacco dalla società reale. Non credo che una società che ha un bilancio solido come la Sar (e questo va a merito dei suoi amministratori) possa e debba essere accorpata ad un calderone dove regna lo spreco. Invito il presidente e i soci pubblici ad evitare che ciò avvenga". Anche la segreteria comunale forzista di Savona attacca l'Acts: "Le ultime vicende dimostrano che l'istituzione di una commissione di indagine non solo era motivata, ma necessaria. La non (o non ancora) effettuata erogazione degli emolumenti agli ex dirigenti Acts non sminuisce la gravita insita delle delibere". 23/09/2007.

 

 


Il Corriere di Como 22-9-2007 Como Comunità montane.Nella nostra provincia hanno 278 consiglieri, 4 presidenti, 24 assessori e decine di dipendenti e consulenti. Molteni (Triangolo Lariano): cambiare o scomparire L'assessore del Comune di Como Sergio Gaddi: "Sono inutili. Io le eliminerei subito"

 

Novanta Comuni, 278 consiglieri, 4 presidenti, 24 assessori, decine di dipendenti e di consulenti, una popolazione di riferimento che sfiora i 150mila residenti. I numeri delle Comunità montane comasche sono di un certo rilievo. Descrivono realtà amministrative composite, strutturate, in cui la politica gioca un ruolo importante. Eppure. C'è un ma. Qualcosa che non funziona. O che potrebbe funzionare diversamente. Sì, perché negli anni, dopo l'introduzione di nuovi enti locali (le Unioni di Comuni) e l'assegnazione di altre deleghe alla Provincia, le Comunità montane hanno perso forza. Si sono trasformate in macchine burocratiche destinate a incardinare, in bilanci sempre più ridotti, poche risorse e molte spese correnti. In Puglia, dove peraltro la montagna è una foto in cartolina, il presidente della Regione, Nichi Vendola, ha lanciato una proposta di legge per abolire le Comunità montane. Ad accelerare il processo di dissoluzione di enti francamente inutili è stata anche l'inchiesta condotta dai due giornalisti del Corriere della Sera, Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, e sfociata nel best seller La Casta. Libro in cui proprio le Comunità montane pugliesi, le cui sedi sono a livello del mare, vengono inevitabilmente sbertucciate e impallinate a raffica. La situazione lombarda, ovviamente, è diversa. Ma anche il Pirellone ha in cantiere una completa revisione della Legge 10, in vigore dal 1998 e giudicata ormai superata. La commissione Affari istituzionali della Regione ha approvato, l'altro ieri, i 12 articoli della riforma che prevede, tra l'altro, l'istituzione del 'Fondo regionale per la montagna' e la nascita di un 'Comitato per la montagna', organismo consultivo presieduto dal governatore della Lombardia di cui faranno parte 9 componenti (tra i quali 3 consiglieri regionali, il presidente della Federazione Nazionale dei Consorzi di Bacino Imbrifero Montano e il presidente della delegazione regionale del Club Alpino Italiano). Il rilancio del 'sistema montagna', spiega lo stesso Pirellone, avrà a disposizione per il biennio 2008-2009 19 milioni di euro. Considerato che i Comuni classificati come montani in Lombardia sono 474, (il 30,7% dei Comuni lombardi, con una popolazione però di poco superiore al milione di abitanti, l'11% del totale), le risorse disponibili mediamente per ciascun paese non supereranno i 20mila euro all'anno. Praticamente un'inezia. "Anche da noi si pone il problema del futuro delle Comunità montane". Cambiare radicalmente, trasformandosi in erogatori di servizi per i Comuni più piccoli. Oppure scomparire. L'ipotesi è stata avanzata da Vittorio Molteni, presidente della Comunità montana del Triangolo Lariano, che giovedì sera è intervenuto in diretta alla trasmissione di Etv 'Il Dariosauro' proprio per discutere di sprechi e di possibili soluzioni. Ma non è soltanto la Regione Lombardia a pensare, in questo frangente, a una semplificazione amministrativa. Il ministro per gli Affari regionali, Linda Lanzillotta, ha chiesto che nel previsto riordino del Testo Unico sugli enti locali sia sancita l'impossibilità per i Comuni di far parte contemporaneamente di una Comunità montana e di una Unione di Comuni. Una cosa, comunque, è chiara. Così come sono, le Comunità montane potrebbero non reggere ancora a lungo. D'altronde, basta fare un giro in rete e visitare i siti delle Comunità montane comasche per comprendere di cosa si sta parlando. In Altolago, a Gravedona, da oltre un anno il direttivo è incompleto. L'assessore al Bilancio, Marino Piscen, non è mai stato sostituito. Ma chi leggesse il sito Internet non potrebbe saperlo. In rete, infatti, Piscen è tuttora in carica. Stesso discorso per la Lario Intelvese, il cui sito Internet - progetto, si legge sulla homepage, cofinanziato dall'Unione Europea - eccezion fatta per alcune 'news' è aggiornato al 2006. Impossibile, peraltro, entrare nella sezione delle delibere di giunta e di consiglio, i cui link rimandano a pagine scadute. Situazione del tutto identica a Porlezza, con il sito delle Lepontine aggiornato nell'elenco delibere a febbraio 2006. La Comunità montana in questione, però, è anche quella che ha approvato un consuntivo con spese correnti vicine al 50% del bilancio complessivo. Ed è quella in cui due dirigenti di area portano a casa stipendi superiori a 80mila euro lordi. Home Sempre grave l'altro centauro ferito Quasi una vittima della strada su due ha meno di 30 anni Gaddi, politico atipico: "Non sarò il Grillo di Como" Spunta una nuova commissione Faverio: "Siamo in piena sintonia con le parole del nostro vescovo" Sognava di fare l'amazzone la ragazza morta in scooter.


La Sicilia 22-9-2007"Sanità, non basta tagliare i costi" Incontro. Rita Borsellino critica il piano di rientro e annuncia disegno di legge all'Ars

 

  Contestano il piano di rientro della sanità, basato su tagli indiscriminati ai costi e non agli sprechi. Lamentano una gestione poco trasparente, temono una "caduta" dell'assistenza in generale, annunciano un disegno di legge per il riordino del settore. Rita Borsellino ha riunito ieri al Kursaal Kalhesa il cantiere tematico sul diritto alla salute per discutere di queste problematiche e per illustrare la sua "ricetta" per guarire il sistema sanitario regionale. Alla riunione c'era anche Roberto Polillo, capo della segreteria del sottosegretariato del ministero della Salute, ma anche medici e specialisti venuti volontariamente. "La Sicilia - esordisce Rita Borsellino - è l'unica regione dove non esiste un piano sanitario. È una delle regioni che spende di più, ma ha una delle sanità, a parte le situazioni d'eccellenza, peggiori del territorio italiano. Col piano di rientro - continua - gli utenti si dovranno accollare tagli indiscriminati alle prestazioni mediche, ai posti letto, alle guardie mediche. Inoltre le cifre inserite nel piano sono diverse da quelle reali. Non a caso c'è stato un ulteriore buco di 84 milioni di euro". Ma che cosa auspicano il leader dell'opposizione all'Ars e il suo gruppo di lavoro? "In Sicilia - ha detto Salvatore Barbera, componente del cantiere tematico diritto alla salute - non esiste un osservatorio epidemiologico, per cui non si sanno quanti e quali sono i bisogni di salute dei cittadini. Bisogna dunque riformulare molti punti del piano di rientro alla luce dei bisogni dei siciliani". "Bisogni individuati dal cantiere tematico diritto alla salute che presto - come dice Rita Borsellino - verranno presentati all'Ars sottoforma di ddl". "Il cantiere - conclude Renato Costa, altro componente del cantiere - ha pensato un'altra sanità. Una sanità che stia dalla parte del paziente, accompagnandolo nel suo percorso assistenziale e interpretando i bisogni di salute e non quelli economicismi". Daniele Ditta.

 


Il Corriere di Como 22-9-2007 Nel pieno del dibattito sui costi e sulla crisi della politica, a Palazzo Cernezzi si moltiplicano le commissioni consiliari.

 

È notizia ufficiale di ieri, infatti, la creazione ex novo di un quinto organismo di questa natura, oltre ai quattro già previsti. La neonata commissione, che dovrà occuparsi di modificare e aggiornare lo statuto e i regolamenti del Comune, avrà come le altre dieci componenti scelti tra i quaranta consiglieri comunali. Ed esattamente come per le altre commissioni, anche in questo caso i componenti percepiranno un gettone di presenza di 80 euro ciascuno. Una scelta non scontata, visto che esiste la possibilità di creare nuove commissioni senza alcun tipo di compenso. L'attribuzione di un gettone di presenza, però, ha avuto l'approvazione all'unanimità di tutti i componenti, senza distinzione di colore politico. Home Sempre grave l'altro centauro ferito Quasi una vittima della strada su due ha meno di 30 anni Abolire le Comunità montane, scoppia il caso Gaddi, politico atipico: "Non sarò il Grillo di Como" Faverio: "Siamo in piena sintonia con le parole del nostro vescovo" Sognava di fare l'amazzone la ragazza morta in scooter.


Da brindisisera.it 20-9-2007 Costi della politica. De Santis: la sinistra faccia cose diverse e l'antipolitica rientrerà   Una cosa è dire: riduciamo i costi della politica per tacitare l'opinione pubblica;  altra cosa sarebbe dire, per esempio: decidiamo di risparmiare una cifra e con questa stabilizziamo un certo numero di precari. 

 

Brindisi, 20 settembre 2007. Un contributo del consigliere regionale dei Comunisti Italiani, Carlo De Santis, a margine della discussione sulla riduzione dei costi nella politica.

"Temo che l'opera di contenimento delle spese portata avanti dai presidenti Vendola e Pepe non produrrà gli effetti desiderati perché l'antipolitica è un'ondata che non si ferma davanti a provvedimenti di risparmio, peraltro non finalizzati. Una cosa, infatti, è dire: riduciamo i costi della politica per tacitare l'opinione pubblica (cosa sbagliata, tutta difensiva, quasi un'ammissione di colpa); altra cosa sarebbe dire, per esempio: decidiamo di risparmiare una cifra e con questa stabilizziamo un certo numero di precari. 

L'antipolitica nasce dal fatto che la gente vede che cambiano i Governi, ma i problemi restano. Esempio: se in Parlamento, dove c'è una maggioranza risicata, è difficile approvare una legge che riconosca le coppie di fatto, qui in Puglia, dove c'è un'ampia maggioranza, perché è così difficile diminuire i tempi di attesa per le cure, alimentando in tal modo la delusione della gente e gli utili della sanità privata?

Il centrosinistra faccia cose visibilmente diverse e la ventata di antipolitica rientrerà.

Non è una novità che i parlamentari, i consiglieri, gli assessori vengano retribuiti decorosamente: è perché ogni classe sociale possa esprimere eletti, a prescindere dal censo. Vogliamo dire finalmente che questa è stata una battaglia di democrazia e di civiltà fatta storicamente dalla sinistra, o vogliamo tornare ai tempi in cui la politica la faceva solo chi se lo poteva permettere perché dotato di sufficienti risorse economiche? Ci pentiamo di quella battaglia? O, come credo, certi ragionamenti di oggi sono il frutto di un inconfessato senso di colpa per scelte (anche nostre, di noi di sinistra) che da qualche tempo escludono di fatto i ceti meno abbienti dalla politica? 

La sinistra non può inseguire questi temi, perché su questo terreno da sempre ha vinto la destra.

L'antipolitica deriva dall'assenza della politica. Come l'attacco personale a Barbieri: non potendolo contestare sul lavoro di riforma della formazione professionale, gli si muovono attacchi personali, che prendono di mira anche la sfera privata: stile tristemente praticato in Italia fin dai tempi del famigerato ventennio.

Ma il centrodestra fa il suo mestiere. Ciò che fa impressione è il silenzio assordante del centrosinistra su questa vicenda. Lo dico non solo perché auspico uno spirito di solidarietà che dovrebbe essere normale in un'alleanza, ma perché se non respingiamo il metodo dell'attacco personale, inevitabilmente accettiamo il terreno di scontro che il centrodestra ha scelto.

Un altro esempio di assenza della politica? Come può il centrodestra pugliese approvare a gennaio 2005 una legge di riforma elettorale che fra l'altro ha aumentato il numero dei consiglieri e presentare nello stesso anno, a elezioni perse, una proposta di legge per ridurli? E' serio? E' senso dello Stato, questo? A me non sembra.

Allora fermiamoci un po' tutti, riflettiamo e lavoriamo seriamente".

 


Il Secolo XIX 21-9-2007 Liguria. Le spese della Regione I costi del sistema sanitario superano i costi della macchina amministrativa dell'ente: 3 miliardi e 100 milioni di euro 21/09/2007

 

Genova. Come sono spesi quei 424 euro all'anno che ogni ligure paga per finanziare l'attività istituzionale della Regione Liguria? L'analisi della Uil, pubblicata ieri, ha sentenziato che per quella voce (674 milioni di euro) la giunta ha impegnato il 13,1% del bilancio (5,1 miliardi); mentre per la sanità serve il 59,7% (3,1 miliardi), per lo sviluppo economico il 2,1% (109 milioni), per il territorio il 9% (460 milioni) e per non precisati altri oneri (mutui, interessi, deficit, per un totale di 824 milioni) il 16,1%. Dati che, se confrontate con le altre Regioni, risultano inferiori - in percentuale - solo a quelle a Statuto speciale, alla Lombardia, alle Marche e al Molise. Tutte le altre sono nettamente su quote inferiori, mentre hanno spese più alte per sviluppo, sanità e territorio (a parte rare eccezioni). Le spese per attività istituzionali sono di vario tipo, ma comprendono la maggior parte dei costi della politica. Quindi, se si considerano comunque andate a buon fine le spese per la Sanità e per le altre attività di governo, è in questo capitolo che rischiano di nascondersi i maggiori sprechi. Sommando i costi del consiglio regionale, degli organi istituzionali, del personale, delle spese di funzionamento e altri fondi minori, il costo netto del solo "palazzo"è di 150 milioni di euro l'anno. Di certo, infatti, nelle attività istituzionali spiccano i 50,6 milioni di euro (previsti nel 2007, 1,1 milioni in più nel 2006, che è l'anno preso in considerazione dalla ricerca Uil), impegnati per pagare gli stipendi e i contributi del personale dipendente (escluso quello di pertinenza del consiglio regionale). Quindi i 56 milioni per le spese di funzionamento: dalle utenze alla cancelleria, dalle missioni agli incarichi speciali, dalle spese vive alle spese per il patrimonio. Escluse voci accessorie di natura prevalentemente finanziaria (circa 85 milioni), ci sono poi le spese per gli organi istituzionali: il consiglio e i vari organismi di controllo e vigilanza. Per il solo consiglio regionale (con i 40 eletti, compresi quindi il presidente e gli assessori, anche quelli esterni), il bilancio stanzia nel 2006 24,6 milioni e nel 2007 28,3 milioni (l'aumento è dettato dalla totale ristrutturazione della sede): ai 40 consiglieri vanno 9 milioni tra indennità e rimborsi spesa (più altre voci minori), ai gruppi consigliari dei partiti sono attribuiti 2,3 milioni; considerate altri capitoli di minore entità e arrotondando per difetto, si può tranquillamente dire che ciascun consigliere costa alla comunità tra i 325 e i 350 mila euro l'anno. Un'enormità se confrontata con i 4,8 milioni spesi per i 120 dipendenti della sola struttura consigliare (40 mila euro a testa l'anno). Gli organi istituzionali: si tratta di 6 milioni di euro, cui vanno aggiunti per circa mezzo milione l'anno, il Difensore civico e il Corecom (la spesa a bilancio era in discesa dal 2006 al 2007, ma la nascita di nuovi organi come il consiglio per l'economia e la consulta statutaria hanno nuovamente innalzato il totale). A far lievitare i costi istituzionali sono però voci difficili e il cui stesso nominativo segnala la totale distanza dai cittadini: sono spesi ogni anno tra i 450 e i 500 milioni di euro per il "servizio del debito" e per "i fondi perenti". Nel primo caso si tratta, semplificando, di oneri a carico della giunta per l'indebitamento pregresso riferito a spese per gli investimenti. Nel secondo caso sono fondi risparmiati perché non spesi l'anno precedente e di solito accantonati per essere ridestinati l'anno successivo: non spese vive, dunque, ma in diversi casi uscite o accantonamenti frutto di errori precedenti (anche di diversi anni). Certamente, insieme a circa una sessantina di milioni di euro che in realtà la Regione ha trasferito a enti locali (come Comuni e consorzi di comunità montane), debiti e riserve rappresentano la quota maggioritaria di quei 424 euro a testa che ogni ligure spende per far funzionare l'ente. Tanto è bastato al presidente Claudio Burlando per dire che "la ricerca Uil considerano nelle spese istituzionali voci che non riguardano le spese vive dell'ente; valgano per tutte le quote trasferite agli enti locali, spesi quindi per la comunità". giovanni mari 21/09/2007.

 


La Stampa 21-9-2007 Aumentano le spese della Camera Per il 2007 un incremento del 3% AMEDEO LA MATTINA

 

ROMA
Tagliare, tagliare dove si può e il più possibile, che gli italiani ci guardano: con il vento che soffia furioso sui costi della politica e come una bora tormenta il Palazzo, in questi giorni i deputati sembravano morsi dalla tarantola più che da Grillo (Beppe). Il dibattito sull’approvazione del bilancio della Camera è stata una gara tra chi millanta l’uso della scure e che si è conclusa con un colpo nell’aria.

Intanto un dato: nel 2007 la spesa è cresciuta quasi del 3% per un totale 1,53 miliardi di euro, comprensivi del finanziamento pubblico ai partiti. La carica dei 108 ordini del giorno presentati da deputati di destra e di sinistra, tutti con le forbici in mano, è stata falcidiata perché ritenuti inammissibili o accolti come raccomandazione. Alla meta ne sono arrivati un paio: quello dell’Idv (la Camera dovrà ridurre le sue spese del 10%), quelli del Prc (non si potranno prendere in affitto nuovi immobili; tagliare di 2/3 la spesa per consulenze esterne; i deputati in missione potranno usare solo hotel a 4 stelle e volare in Europa in classe turistica). E’ passato l’Odg del forzista Guido Crosetto per cui Montecitorio dovrà rendere pubblici stipendi e pensioni di parlamentari e dipendenti.

Respinta la invece la proposta del berlusconiano Gianfranco Conte: via il ristorante dove i privilegiati parlamentari pagano il pesce fresco poco più che 4 euro e che costa 5,232 milioni l’anno. Ordine del giorno bocciato dall’aula, ma ai piani alti di Montecitorio promettono di portare entro un anno il costo del ristorante a 1,6 milioni. Via la barberia: anche questa proposta non passa, ma nei prossimi giorni chi andrà a tagliarsi i capelli noterà un rincaro molto consistente, cioè prezzi di mercato. Bruscolini, perché in quel miliardo e 53 milioni di spesa previsto nel bilancio 2007 (cui vanno aggiunti i soldi del finanziamento ai partiti) che è stato approvato ieri, ci sono cifre che non riescono a calare. Alcune spese crescono:quelle per i deputati (169.180, + 1,54%), per il personale in servizio (266.915, + 3,68%), per locazioni di immobili (34.675, + 6,6%). Non sono stati tagliati i 4 milioni per noleggi di auto, gli oltre 3 milioni per assicurazioni per deputati e dipendenti.

Galoppano le spese per l’aumento del numero dei gruppi parlamentari (+4%) e qui c’è la nota dolente che nei due giorni di dibattito parlamentare ha fatto scoppiare la bagarre. Ad accendere la miccia è stato Gregorio Fontana di Forza Italia («il nostro Gregory Peck ha tirato fuori gli artigli», esultava in Transatlantico l’ex ministro Daniela Prestigiacomo), che ha presentato un ordine del giorno finalizzato a sopprimere quei gruppi costituiti in deroga al minimo di 20 deputati. In sostanza sarebbero rimasti a secco, a sinistra, i gruppi dei Verdi, dell’Udeur, del Pdci, Rosa nel pugno dell’Idv. A destra, la Dc-Psi di Cirino Pomicino e Del Bue.

Ovviamente i rappresentanti di questi gruppi hanno strillato come aquile, l'Odg è stato modificato su proposta del presidente della Camera Bertinotti - mettendo riduzione delle spese per questi mini-gruppi al posto di eliminazione - ma alla fine con 253 no e 202 sì l’Assemblea di Montecitorio l’ha respinto. «Qui si parla troppo dell’uso dell’aereo di Stato - ha spiegato Fontana - e non della lievitazione dei gruppi che ha fatto aumentare la spesa di 15 milioni». Solo i segretari di presidenza dei piccoli ammonta a 8 milioni di euro. Risultato finale: il Bilancio della Camera è passato con i voti dell’Unione, mentre la Cdl si è astenuta. L’Udc, al grido «demagoghi» rivolto ai loro presunti alleati di opposizione, si è schierata con la maggioranza. «Ci asteniamo - ha spiegato il capogruppo di An Ignazio La Russa - perché vogliamo dare un segnale concreto al Paese». Replica del vice capogruppo dell’Ulivo Gianclaudio Bressa: «Davvero colleghi pensate che il problema sia qualche gruppo parlamentare in più, o piuttosto la vera sfida sia la riforma costituzionale del Parlamento, riducendo il numero dei parlamentari?».


La Stampa 20-9-2007 ROMA Il fenomeno Beppe Grillo ha lasciato il segno, e ieri fra maggioranza e opposizione è stata una competizione di fantasia e inventiva per sforbiciare il bilancio di Montecitorio.

 

E così dopo la lettera con cui il segretario dei Ds, Piero Fassino invitava i presidenti delle Camere a congelare gli aumenti alle indennità dei parlamentari, la discussione sull'approvazione del bilancio si è trasformata in una sfida a chi proponeva il taglio più efficace. Chiusura di barberia e ristoranti, voli low cost, risparmi sugli affitti, i buoni propositi dei deputati hanno messo in apprensione più di un dipendente di Montecitorio. Alla fine sono stati presentati 108 ordini del giorno, quasi tutti all'insegna dell'economia e del risparmio. Ma non è finita qui, perché, alzando il tiro, il segretario dei Comunisti italiani, Oliviero Dilibero ha già annunciato una "cura da cavallo" con cui si potranno "risparmiare fino al 75 per cento dei costi dello Stato". Ma nel confronto in aula non è mancato lo scontro politico. L'opposizione ha chiesto la sopressione dei microgruppi. Ovvero quei gruppi parlamentari (quasi tutti di centrosinistra), costituiti in deroga al Regolamento (ma che godono di tutte le attribuzioni dei gruppi maggiori), che il presidente Bertinotti ha invece autorizzato. "Ci costano 15 milioni di euro", ha accusato Ignazio La Russa di An. Il voto definitivo sul bilancio ci sarà solo oggi, e non è dato ancora sapere se le buone intenzione dei deputati andranno in porto. Quel che è certo è che il clima è cambiato. Guido Crosetto e Antonio Verro di Forza Italia chiedono di "adeguare immediatamente il prezzo del servizio di barberia, dei ristoranti interni e della buvette al costo reale". Macché, gli risponde scandalizzato il collega di partito, Gianfranco Conte, bastano i buoni pasto, barberia e ristorante vanno chiusi. Da Rifondazione comunista viene l'invito a ridurre di due terzi le spese per consulenze esterne. I radicali vogliono che siano revocati i biglietti gratis sui treni, gli sconti su arei e navi e il telepass autostradale. Nonché un maggiore rigore sulle missioni all'estero. E se proprio si deve partire, almeno si voli con compagnie low cost. C'è chi chiede poi di fare economie sui palazzi affittati dalla Camera per gli uffici dei deputati. Le buone intenzioni degli onorevoli dovrebbero farci risparmiare un centinaio di milioni di euro. Niente, se paragonati ai "miliardi" di risparmi che promette Diliberto. Bisogna tagliare i "costi diretti della politica - spiega il segretario dei Comunisti italiani - . Ma anche tutto quello "che si muove intorno: parliamo di miliardi di euro, un'enormità. Ma il rigore sul bilancio non è servito a mascherare la vera partita politica giocata ieri a Montecitorio. Quella sui gruppi minori, tallone d'Achille del centrosinistra. "Ogni gruppo - attacca La Russa - ha diritto ad un segretario di presidenza, una segreteria, un capogruppo, una sede e alle altre spese. Si riducano i costi, almeno per i 5 gruppi costituiti in deroga al regolamento". E che non si tratti di mera contabilità lo spiega a chiare lettere il capogruppo dell'Udeur Mauro Fabris: "I costi della politica non c'entrano nulla. Sotto c'è un disegno politico, per arrivare ad un bipartitismo coatto attraverso i regolamenti del nostro sistema parlamentare". \.


 

La Repubblica 20-9-2007 La Camera costa 1 miliardo e mezzo. Il 2,9 per cento in più rispetto al 2006. oce per voce i costi per il 2007. Aumentano affitti, indennità e rimborsi. Otto milioni solo per la stampa degli atti parlamentari  Il finanziamento pubblico dei partiti costa 150 milioni di euro. Ai 19 gruppi parlamentari 34 milioni I questori: "Le spese crescono meno rispetto all'anno scorso. Ma dobbiamo fare di più" di CLAUDIA FUSANI

 

ROMA - Tagli, sprechi, razionalizzazione, austerity... Si dice, si dice, tutti ci provano e lo raccontano inseguendo il vento popolare della "casta" ma poi la realtà è un'altra: la politica costa sempre di più. Come la Camera dei Deputati, la casa dei 630 deputati e di 1.987 dipendenti che nel 2007 costeranno agli italiani un miliardo, 574 milioni e 269 mila euro, il 2,94 per cento in più rispetto al 2006.

Lo scrivono Gabriele Albonetti, Francesco Colucci e Severino Galante, i deputati questori responsabili - anche - dei conti, nell'introduzione alla legge di bilancio 2007, il preventivo dell'anno in votazione questa mattina nell'aula di Montecitorio. I questori sono comunque soddisfatti perché "la richiesta di dotazione (la richiesta di soldi allo Stato) è diminuita di 23,9 milioni rispetto a quella originaria del 2007" e perché l'aumento delle spese "ha un andamento inferiore di oltre un punto e mezzo percentuale rispetto a quello previsto nel 2006". Insomma, c'è un "tendenziale" contenimento della spesa. Un po' troppo poco contenuto, però.

E dire che,
scorrendo pagine e tabelle, non è difficile trovare dove tagliare. Ad esempio i tre milioni e 300 mila euro per la ristorazione "gestita da esterni"; oppure i quattro milioni e passa per i noleggi (di cosa e perchè visto che la struttura Camera possiede già moltissimo?); i tre milioni e passa di euro per le assicurazioni: passino quelle dei dipendenti, ma i deputati - 21 mila euro lordi al mese tra indennità e contributi - se le potrebbero anche pagare; gli oltre due milioni per la "locazione dei depositi", perché non basta affittare uffici, servono anche i depositi. L'elenco dei possibili risparmi è lunghissimo. E' un lavoro che ogni capofamiglia deve fare ogni sei mesi. Basta saper frugare nelle voci del bilancio.
Gli aumenti - Le voci che crescono di più - secondo l'analisi contabile fatta dal deputato Sergio D'Elia (Rnp) - sono "le altre indennità dei deputati", leggi i rimborsi, raddoppiate rispetto al 2006: erano 185 mila nel 2007 ma saranno 300 mila. E il "rimborso spese di viaggio dei deputati" è cresciuto del 25 per cento. Aumenta anche la spesa di locazione degli immobili" che sale del 12 per cento, un trend che continuerà anche nel 2008 e nel 2009. E poi le spese di trasporto (treni, aerei, telepass e viacard) e quelle telefoniche.

Le indennità dei deputati - Tra indennità parlamentari, d'ufficio e i rimborsi ("altre indennità"), il conto sale a 94 milioni e 580 mila euro. Nel 2006 erano circa due milioni di euro in meno. Eppure - dicono i questori - negli ultimi due anni sono state via via ridotte, raffreddate e congelate .

Rimborsi spese per 74 milioni - Viaggi, le spese di soggiorno a Roma o altrove e quelle di segreteria più altre voci legate al mandato dei 630 deputati costeranno nel 2007 74 milioni e 600 mila euro, una cifra uguale a quella del 2006.

Assegni vitalizi e rimborso spese per gli ex deputati - Si tratta delle voci di spesa legate ad ex deputati che hanno cessato il mandato. I vitalizi, tra diretti e riversibili, ammontano a 131 milioni e 200 mila euro. Lascia veramente perplessi il milione e 250 mila euro dati agli ex deputati come rimborso viaggi: gratis e biglietti dei treni e dei traghetti, parecchio scontati quelli degli aerei.

Commessi e altri dipendenti - I 1.897 dipendenti della Camera - parliamo di commessi, segretari, archivisti e bibliotecari e altre funzioni - costeranno nel 2007 266 milioni e 915 mila euro a cui vanno sommati i 167 milioni e 500 mila euro per quelli in pensione. Insomma, solo di personale dipendente, la Camera costerà quest'anno ai cittadini 434 milioni e 410 mila euro.

181 milioni per affitti, telefono, luce, acqua, gas, cibo, cancelleria, carta igienica, stampa atti parlamentari ... - La voce "acquisto di beni e servizi" è quella su cui le forze politiche promettono di intervenire di più. Con la scure, non con il coltellino. Per gli affitti se ne vanno poco meno di 35 milioni di euro: la maggior parte degli uffici dei deputati, infatti, e dei gruppi parlamentari non sono a Montecitorio ma sparsi nel centro di Roma. Tra Camera, Senato e palazzo Chigi sono state contati 46 edifici. Tutti in affitto. Altri quattordici milioni se ne vanno in spese di "manutenzione ordinaria": il funzionamento di impianti antincendio, elettrici, audio-video, ascensori, e l'elenco è lungo una pagina. Pulizie, lavanderia e smaltimento rifiuti costano circa otto milioni di euro. Tre milioni se ne vanno per le spese telefoniche (di cui "solo" 680 mila per i cellulari) e uno per le spese postali, un fondo riservato ai deputati al netto della trasmissione degli atti parlamentari. "Beni e materiali di consumo", tra cui cibo, cancelleria e prodotti igienici "pesano" per 5 milioni e 725 mila euro. Ma la cifra che più di tutte sembra sprecata riguarda gli otto milioni e 870 mila euro per "la stampa degli atti parlamentari", tonnellate di carta che per il 90 per cento vengono gettate al macero.

Altre curiosità tra "beni e servizi" - La verità è che il preventivo del bilancio della Camera 2007 - 75 pagine di tabelle - assomiglia a un libro delle meraviglie che ogni cittadino dovrebbe poter gustare voce per voce. C'è l'aggiornamento e la formazione professionale del personale (1.780.000 euro); i corsi di lingue, internet, le consulenze professionali e le traduzioni (180 mila euro); le spese per "la comunicazione e l'informazione esterna", come l'affitto di Rai Way per accedere ai canali satellitari (4.150.000); banche dati, rilegature, ristorazione gestita da terzi, la gestione del patrimonio della biblioteca e le consulenze tecnico-professionali (54 milioni e 665 mila euro). E via con liste di servizi, lussi e privilegi. Solo per l'acquisto di giornali e altre pubblicazioni quest'anno la Camera prevede di spendere 750 mila euro. E però poi i deputati leggono per lo più la rassegna stampa.

I 19 gruppi parlamentari - Quattro dell'opposizione, quattordici nella maggioranza, il gruppo misto. Cinque non hanno la consistenza di deputati (20) prevista dal regolamento per essere riconosciuti. E' questo il punto su cui c'è stata più tensione durante il dibattito in aula. Al di là della loro legittimità, il loro funzionamento - sedi, personale, segreteria e contributi vari - ci costa 34 milioni e 300 mila euro. Nel 2006 erano stati spesi due milioni di euro in meno.

Tre milioni in due anni per verificare il voto - Per controllare l'andamento del voto, nel 2007 spenderemo poco più di un milione di euro. E' una delle poche voci che diminuisce: nel 2006 - l'annus horribilis dell'urna visto che il riconteggio è finito solo adesso con la conferma della vittoria dell'Unione - avevamo speso due milioni e rotti.

Commissioni parlamentari e bicamerali, giunte e comitati - Ci costeranno nel 2007 un milione e 875 mila euro, di cui 300 mila l'Antimafia, 135 mila la Commissione di vigilanza sulla Rai, 75 mila quella sui rifiuti. E' un Parlamento, il nostro, che ci tiene molto ai rapporti internazionali: per attività interparlamentari con paesi stranieri andremo a spendere tre milioni e 195 mila euro. Le missioni costano - viaggi, alberghi, interpreti - e le spese di rappresentanza pure.

Investimenti e acquisti immobili: tutto ciò che fa patrimonio - Passi per i quindici milioni e spiccioli che se ne vanno per il mantenimento degli immobili di proprietà della Camera. Sono un po' più ingiustificati i quasi due milioni spesi per "arredi, mezzi di trasporto, attrezzature d'ufficio". Dieci milioni sono spesi per software e hardware mentre solo 1.775.000 sono destinati al mantenimento del patrimonio artistico e bibliotecario.

I rimborsi ai partiti - E' una cifra da capogiro quella destinata al rimborso ai partiti per le spese elettorali, il famoso o famigerato "finanziamento pubblico ai partiti": 150 milioni di euro. Il meccanismo dei rimborsi elettorali prevede, per legge, un euro per ogni iscritto alle liste. Ai singoli partiti poi il rimborso viene retribuito in base ai voti ottenuti. Cinquanta milioni di euro sono stati distribuiti ai partiti per il rinnovo della Camera; altrettanti per il Parlamento Europeo; cifra analoga per i Consigli regionali. Il Senato grava su un altro bilancio, un altro capitolo delle spese della politica a cui va aggiunto quello di Palazzo Chigi. In tutto, euro più euro meno, il funzionamento della politica costa ai cittadini italiani qualcosa come quattro miliardi di euro ogni anno.

(20 settembre 2007)

 


Il Giornale del Mezzogiorno 20-9-2007. Bari.  Comunità montane, il Polo insorge Vendola: "Tagli, lavoriamo insieme" Il centrodestra all'attacco: "Rinunci agli assessori tecnici. Fumo negli occhi per nascondere fallimenti" Il governatore: "Sembra una gara a chi è più moralizzatore. Allora dico coalizziamoci e moralizziamo"

 

BARI - è un linguaggio tra sordi. Nichi Vendola e l'opposizione di centrodestra non si intendono: né sull'eliminazione delle comunità montane, né sulla riduzione dei consiglieri, né sul taglio dei loro stipendi e delle loro pensioni. La lettera inviata dal governatore al consiglio regionale con l'invito a dare subito una sforbiciata ai costi della politica, ha provocato la reazione stizzita del centrodestra. "C'era già - dice l'opposizione - un comitato al lavoro e una nostra proposta di legge depositata fin dall'ottobre del 2005. Quella del governatore sembra un modo per sviare l'attenzione dai suoi fallimenti e dai suoi sprechi". Vendola insiste: "Sembra ci sia una logica allo scavalco, tra il centrodestra e il centrosinistra, nella gara a chi è più moralizzatore. Se è così, allora dico coalizziamoci e moralizziamo". L'opposizione replica aspra: "Cominci il presidente rinunciando ai suoi 5 assessori esterni che contribuiscono ad aggravare il bilancio". Vendola non ci sente: "Si invoca il rapporto con la società civile. Ebbene quegli assessori, provenienti dal mondo accademico, ne sono un esempio. Dieci assessori esterni costano meno di un assessore che ruba. E comunque, li ho nominati secondo le norme che ho trovato". Il clima è questo, discorde su tutto. Si prenda le comunità montane. Il governatore impugna il disegno di legge per la loro abolizione come la bandiera di un "percorso di bonifica e lotta agli sprechi, che ho avviato fin dal mio insediamento ". Il centrodestra non lo ascolta. Bisogna distinguere caso per caso, dice Michele Saccomanno (An). Guai eliminare quelle su Gargano, Subappennino e Murgia, sostiene Angelo Cera (Udc). Riportiamo la situazione al '99, secondo i limiti restrittivi voluti dal governo nazionale, invoca Rocco Palese (Fi). Come dire, limitarne il numero o restringerne le aree. Risparmi per la Regione, visto che il sostegno deriva quasi tutto da fondi statali? "Il vantaggio - dice Vendola - non è solo economico, ma anche di speditezza e limpidezza nella gestione amministrativa, soprattutto evitando duplicazione di funzioni". Vendola tiene particolarmente al tema. "L'abolizione delle comunità montane - dice - è la vera notizia di queste ore". Ma poi ne diffonde un altro paio su cui promette particolari nei prossimi giorni. La prima: dopo il commissariamento voluto dalla giunta regionale appena insediata, "sono emersi sprechi miliardari negli Iacp, i rendiconti saranno resi noti a breve". La seconda è riferita alle contestazioni (anche ieri) verso l'assessore esterno alla Formazione: altro che critiche, dice Vendola, "l'Ue ci sta revocando i finanziamenti per i corsi ai lavoratori ex Ccr" messi in piedi dalla giunta precedente. Come si vede, non è aria di intesa che pure sarebbe necessaria per mettere mano allo Statuto e alla legge elettorale. Beninteso, il centrodestra non dice di no a ritoccare stipendi, pensioni e numero dei consiglieri (che il governatore vorrebbe far scendere da 70 a 50). Ma si indigna per le modalità: "Vendola scavalca il lavoro che sta svolgendo l'apposita commissione insediata dal presidente del consiglio Pepe. E soprattutto svia l'attenzione sugli sprechi che egli, con consulenze, assunzioni di dirigenti e 5 assessori esterni, contribuisce a determinare". Saccomanno definisce il governatore "un ipocrita e un sepolcro imbiancato, che fa resistenza a farsi decurtare lo stipendio e ora si mette a fare il Grillo della situazione ". "Se essere Grillo dice Vendola - vuol dire tagliare gli sprechi, non lo considero offensivo. Ma Saccomanno risparmi le battute da osteria". Il presidente della giunta deplora "il costante ricorso alle insinuazioni e alle diffamazioni da parte della Cdl: è questione di dignità, rinunci e ne guadagnerebbe in credibilità ". Non ci sarà dialogo con la minoranza? "Centrodestra e centrosinistra sono alternativi - dice il governatore - ma se siamo d'accordo su due tre cose, allora facciamole ". Il costo della politica sembra uno di questi. Vendola lancia l'appello: "Facciamolo assieme: se siamo d'accordo sulla riduzione di stipendi e pensioni, che così come sono paiono insultanti per i cittadini comuni, portiamo la questione in consiglio e votiamo. Diamo un segnale all'opinione pubblica e facciamo della Puglia l'avanguardia nella lotta agli sprechi". La risposta, per ora, è una mozione firmata da tutti i capigruppo d'opposizione: Palese, Saccomanno, Cera, Brizio, Zullo, Damone, Surico. Si chiede a Vendola di revocare gli assessori esterni ("che costano 8 milioni per una legislatura"). "In aula - avverte Palese - chiederemo il voto per appello nominale: così vedremo chi vuole il taglio dei costi della politica e chi no". Francesco Strippoli.

 


La Repubblica 19-9-2007 IL DOCUMENTO. Con 200 milioni di euro siamo in testa anche per il finanziamento pubblico: "Il Palazzo più caro del mondo"

Un dossier di Confindustria accusa: "La politica incapace costa troppo" di CARMELO LOPAPA

 

 

ROMA - Il Paese in crisi economica e sociale deve fare i conti con un sistema politico, una classe dirigente incapace di rispondere all'urgenza del momento. È il nuovo affondo di Confindustria al Palazzo, alla sua efficienza discutibile, al suo funzionamento e soprattutto ai suoi costi e ai suoi sprechi. Spende parecchio, il Parlamento, più che nel resto d'Europa, denuncia l'associazione degli industriali presieduta da Montezemolo in un'analisi del centro studi che in 287 pagine passa ai raggi X l'intera macchina politico-istituzionale.

Il documento, che sarà presentato domani, si risolve in una critica impietosa e a tutto campo: "Vi è un chiaro problema di inadeguata governance del Paese che risiede nella legge elettorale, nelle regole di governo, nella forma di Stato". Gli imprenditori, neanche a dirlo, nutrono scarsa fiducia nella capacità della politica di rigenerarsi, tanto che "una riforma della legge elettorale resta improbabile" e solo l'iniziativa referendaria, è la loro tesi, "può essere una spinta salutare verso il cambiamento".

Ma il bubbone sul quale il centro studi di via dell'Astronomia ha focalizzato l'attenzione è quello attualissimo dei costi. "Il fatto che la politica abbia dei costi non è messo in discussione. Ciò che invece è motivo di pesanti critiche è il fatto che ad una inevitabile livello di costi non corrisponda un funzionamento efficace".

Il finanziamento della politica. L'analisi di Confindustria mette a confronto i sistemi di cinque paesi occidentali: Stati Uniti, Francia, Germania, Spagna e Regno Unito. In Italia il meccanismo ruota attorno ai rimborsi elettorali, che in occasione del voto del 2006 sono ammontati a 200 milioni 819 mila euro. Fuori dai nostri confini l'asticella scende non di poco: 152 milioni di euro il finanziamento negli Usa, 132 milioni in Germania, 73 milioni in Francia, 60 in Spagna, 9,23 (ai soli partiti di opposizione) nel Regno Unito.
Quanto costa il Palazzo. Dal raffronto emerge che "l'Italia è il Paese che spende di più" per mantenere le istituzioni. Anzi, il nostro Parlamento, da solo, assorbe il 41% dei costi complessivi, quanto Francia e Germania insieme. Di conseguenza, è piuttosto sostenuto il costo medio delle casse pubbliche per ciascun parlamentare: 1 milione 531 mila euro, "poco meno del doppio di quello complessivamente sostenuto da Francia e Germania e quasi sei volte superiore a quello sostenuto dalla Spagna".

Ogni italiano infatti spende 16,3 euro per sostenere le Camere, contro i 2,1 della Spagna, l'8,1 della Francia, i 6,3 della Germania. E questo, incalza Confindustria nella sua disamina, "malgrado la situazione italiana sia contraddistinta da minore efficacia ed efficienza".

L'Italia si piazza in testa alla classifica anche per gli stipendi dei suoi 78 europarlamentari. Quasi 150 mila euro di indennità base (alla quale aggiungere rimborsi spese, benefits, costi di soggiorno) a fronte dei 105 mila dell'Austria che segue lontana secondo, gli 84 mila della Germania e giù con gli altri. Per non dire dello stipendio dei parlamentari nazionali. Il centro studi mette maliziosamente a confronto l'indennità con il costo di 1 kg di pane, dal 1948 ai nostri giorni. Fino al 2006, quando lo stipendio ha superato quota 15.304 euro a fronte di una spesa per acquistare il pane che per il cittadino comune ammonta a 2,86 euro.

La patologia del sistema. E poi c'è l'indotto della politica, il popolo di consulenti, esperti, consiglieri, assessori, portaborse, che negli anni è cresciuto a dismisura. Gli industriali parlano di "ipertrofia degli apparati burocratici che soprattutto nelle due ultime legislature hanno proliferato indisturbati e senza controllo". Di più, di "permanenza di privilegi improntati a due pesi e due misure". "Un humus tutto italiano, storicamente allergico al rispetto delle regole e al controllo della legalità". È la Politopoli secondo Confindustria, destinata a essere travolta dalla "sfiducia dei cittadini verso le istituzioni, la più alta tra i paesi sviluppati".

(19 settembre 2007)


 

Il Corriere della Sera 20-9-2007 La trasferta deliberata a luglio. Le toghe della Procura generale presso la Cassazione tengono in media 6 udienze l'anno

Giudici militari, viaggio premio dopo 2 mesi di ferie. Un terzo dei magistrati in Spagna per un convegno. Prevista anche una diaria di 80 euro          Gian Antonio Stella

 

Stremati da dieci settimane di pausa estiva, che per consuetudine comincia intorno al 10 luglio e si trascina fino all'ultima decade di settembre, i magistrati militari hanno deciso di tuffarsi di nuovo nel lavoro con un convegno internazionale. Nella bellissima Toledo. Dove, per attrezzarsi ad affrontare al meglio i mesi finali dell'anno quando sono attesi a volte perfino da tre udienze al mese (tre al mese!), sbarcano oggi in trentadue: un terzo di tutti i giudici con le stellette italiani. Perché mandare una delegazione di due o tre persone se tanto paga lo Stato? I viaggetti in comitiva, si sa, sono dalle nostre parti una passione antica. Basti ricordare certe migrazioni di massa a New York per il Columbus Day. O la trasferta di un gruppo di deputati regionali siciliani in Norvegia (con un codazzo di musicisti di un'orchestrina folk, trenta giornalisti, quattro cuochi, un po' di mogli...) per vedere come i norvegesi avessero organizzato un mondiale di ciclismo: totale 120 persone. O ancora la spedizione di Bettino Craxi a Pechino («andiamo in Cina con Craxi e i suoi cari», ironizzò Giulio Andreotti) finita con mille polemiche sulla scelta di tornare con una sosta in India per far visita al fratello Antonio, discepolo del santone Sai Baba, e una strepitosa interrogazione parlamentare di Renato Nicolini con domande tipo: «Vuole il presidente dirci quali siano le attrazioni di Macao e di Hong Kong più consigliabili al turista italiano al fine di sprovincializzarne la mentalità? »

Va da sé che, con questi precedenti, i giudici con le stellette hanno deciso che non era proprio il caso di fare gli sparagnini. E appena hanno saputo che nell'antica capitale della Castiglia organizzavano un congresso internazionale, si sono dati da fare. Certo, il tema del simposio («La legge criminale tra guerra e pace: giustizia e cooperazione in materie criminali negli interventi internazionali militari») non è una leccornia. Ma Toledo è Toledo. L'Alcazar! Il fondaco dell'Alhóndiga! Il Castillo de San Servando! La Plaza de Zocodover! La casa e i quadri del Greco tra cui la celebre «sepoltura del conte di Orgaz»! Fatto sta che la delibera del 5 giugno scorso era assai invitante: le spese del convegno (350 euro a testa, compresi il materiale didattico e i pasti all'Accademia di Fanteria), più le spese di viaggio e pernottamento, più il «trattamento di missione internazionale», più una indennità forfettaria giornaliera di un'ottantina di euro erano infatti a carico del ministero.

Un salasso? Ma no, avrebbe risposto la successiva delibera del 3 luglio. Nonostante Padoa Schioppa stia sempre lì a pianger miseria, diceva il documento, «sono state individuate disponibilità finanziarie che consentono di coprire la spesa per la partecipazione al predetto congresso di tutti i magistrati richiedenti». Tutti? Crepi l'avarizia: tutti. Cioè 32. Tra i quali l'unico (unico) invitato come relatore, Antonino Intelisano. Vi chiederete: costi a parte, come farà la Giustizia militare a reggere per ben tre giorni senza un terzo dei suoi pilastri, dato che i giudici, da Vipiteno a Lampedusa, sono 103? Rassicuratevi: reggerà. Anche quando presidiano il loro posto di lavoro, infatti, non è che i nostri siano sommersi da cataste di fascicoli come i colleghi della magistratura ordinaria. Anzi.

I giudici della Procura Generale Militare presso la Cassazione, per dire, hanno dovuto sobbarcarsi nel 2006 (assistiti da 35 dipendenti vari, per circa metà militari e circa metà civili) sei udienze: una ogni due mesi, da spartire in quattro. I tre del Tribunale di Sorveglianza militare, che contano su 32 assistenti a vario titolo e hanno competenza sull'unico carcere militare rimasto aperto, quello casertano di Santa Maria Capua a Vetere do ve sono recluse solo persone in divisa condannate dalla giustizia ordinaria per reati ordinari, hanno un solo detenuto militare per reati militari: Erich Priebke, condannato all'ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine.

Quanto ai dati complessivi, lasciano di sasso: i 79 magistrati «con le stellette» (in realtà non le portano per niente: sono giudici come gli altri solo che hanno scelto una carriera parallela) addetti ai nove tribunali sparsi per la penisola (Roma, La Spezia, Torino, Verona, Padova, Napoli, Bari, Cagliari e Palermo) e i loro 17 colleghi delle tre corti d'Appello (Roma, Napoli e Verona) sono chiamati infatti a lavorare sempre di meno. Al punto che nel 2006 hanno emesso, tutti insieme, un migliaio di sentenze su temi spesso irrilevanti se non ridicoli: circa 300 in meno dei verdetti penali (poi ci sono i civili) di un tribunale ordinario minore come quello di Bassano del Grappa.

Un esempio di carico di lavoro? Il presidente della Corte Militare d'Appello di Roma, Vito Nicolò Diana, quando dirigeva la sezione distaccata di Verona (dal 1992 a poco fa) aveva ottenuto non solo un alloggio di servizio nel cuore del centro storico della città scaligera (aiuto concesso solo ai militari che guadagnano stipendi assai minori) ma perfino il permesso di abitare nella capitale, in riva non all'Adige ma al Tevere. Insomma, una situazione assurda. Tanto che, dopo la prima denuncia del Corriere, i ministri della Difesa e della Giustizia, Clemente Mastella e Arturo Parisi, avevano scritto al giornale convenendo che si trattava d'un quadro «inaccettabile» e assicurando che «nel quadro del disegno di legge relativo alla riforma dell'Ordinamento Giudiziario» già approvato dal Consiglio dei ministri, erano stati decisi tagli drastici, «riducendo il numero complessivo degli Uffici Giudiziari Militari, giudicanti e requirenti, di ben due terzi: cioè da 12 a 4 (3 Tribunali e un'unica Corte d'Appello, senza Sezioni distaccate)». Bastarono tre giorni, però, perché il progetto venisse stralciato e quei buoni propositi fossero abbattuti come birilli dal vento delle proteste corporative.

Adesso, «per capire », vorrebbero fare una commissione di studio. La terza, dopo quella del 1992 varata dal ministro della Difesa Salvo Andò e quella del 2003/2004 presieduta dal procuratore generale Giuseppe Scandina. Nel frattempo la quota dei magistrati con le stellette che hanno tempo in abbondanza per gli incarichi extragiudiziari è salita al 36%, contro il 3% dei giudici ordinari. E il lavoro degli uffici, grazie a tutte le cose che sono cambiate a partire dall'abolizione del servizio di leva obbligatorio, ha continuato a calare, calare, calare. Fino a dimezzarsi quest'anno rispetto perfino al 2006. Benedetto Roberti, uno dei giudici che con Sergio Dini e pochi altri invoca da anni una riforma, ricorda che nel 1997, quando faceva il Gup a Torino, arrivò da solo a 1.375 sentenze. Sapete quante ne ha emesse quest'anno il giudice che fa quello stesso lavoro? Tenetevi forte: 28.

20 settembre 2007


Il Sole 24 Ore 16-9-2007 Giustizia militare. Confermati gli investimenti hi-tech anche se manca il lavoro Un piano da 600mila euro per i tribunali senza cause "è urgente aggiornare l'elenco detenuti": l'unico è Priebke PAGINA A CURA DI Alessandro Milan

 

ROMA Il documento recita "informatizzazione uffici giudiziari militari programmazione attività anno 2006" e riassume le contraddizioni in cui vive la magistratura militare italiana. Da un parte il lavoro sempre più scarso, soprattutto dopo l'abolizione della leva obbligatoria, dall'altra parte questa delibera approvata dal Consiglio della magistratura militare il 28 febbraio 2006 con la quale si chiede con urgenza un ammodernamento del sistema informativo degli uffici giudiziari militari. Ovviamente non gratis: la gara a licitazione privata è stata vinta da un raggruppamento temporaneo di imprese per una cifra complessiva di 583mila euro più Iva, una cifra attualmente in corso di controllo contabile da parte del ministero della Difesa. "Spero proprio che non si voglia usare questo documento per gettare ulteriore discredito sulla nostra categoria"commenta seccamente il responsabile dell'Ufficio per i servizi informativi del Consiglio, Francesco Ufilugelli. Eppure, a scorrere la delibera, ci sono aspetti che destano qualche perplessità, come il "punto 4" che si occupa del riammodernamento del sistema informativo del Tribunale militare di sorveglianza. Una struttura che attualmente ha un solo detenuto da controllare, Erich Priebke, peraltro agli arresti domiciliari. Ebbene, negli interventi ritenuti urgenti è segnalata la necessità di aggiornare "l'elenco dei detenuti con indicazione dell'attuale posizione " oppure la "predisposizione di progetti statistici concernenti l'attività dei magistrati militari di sorveglianza". I magistrati in servizio presso quell'ufficio sono appena tre. "è un approccio sbagliato – replica Ulifugelli –. Questo intervento è stato programmato almeno un paio di anni fa, è un progetto fatto in accordo col ministero della Difesa. Se la magistratura ha una ragione di esistere, come ha confermato anche di recente il ministro Parisi, deve rispondere a criteri di ammodernamento. Non vedo dunque perché si dovrebbe escludere da questo il tribunale militare di sorveglianza solo perché non ci sono detenuti militari. Se tutti i comuni d'Italia devono essere in rete escludiamo un comune perché è piccolo e ha solo mille abitanti?". Nel riassetto informativo ci sta dentro tutto, quindi. Anche l'informatizzazione per la gestione delle misure cautelari, prevista al punto 5. Peccato che nell'ultimo biennio di misure cautelari se ne saranno applicate non più di una decina. Lo stesso Consiglio della magistratura militare ha poi sollecitato la richiesta il 2 ottobre 2006, tornando a battere cassa: "Un sistema di così rilevante complessità – si legge nella nuova delibera – necessita di un'attenta pianificazione e presuppone confacenti dotazioni economiche& ". E più avanti: "Fino ad oggi le dotazioni dei fondi assegnati hanno consentito di provvedere alle necessità in modo sufficientemente adeguato pur se con qualche limitazione alla progettualità per il futuro". Se Ulifugelli respinge le accuse di sperpero di denaro al mittente, più critico è Sergio Dini, membro del Consiglio militare. "Un programma di informatizzazione del genere è senza dubbio sproporzionato – dice Dini –. Si è creato un contenitore quando il contenuto, cioè il lavoro da fare, non c'è. è un po' come andare a caccia delle mosche usando la mitragliatrice". In fatto di spese il ministero non ha mai lesinato. Emblematico il caso del tribunale militare di Torino che negli ultimi anni è stato oggetto di restauro. Due anni fa fu inaugurata la sala di rappresentanza "Norberto Bobbio", l'anno scorso invece è stata la volta dello scalone di rappresentanza, mentre lo scorso luglio il ministero della Difesa ha approvato lavori di restauro interni per un importo di circa 160mila euro. Il tutto per un edificio che sarebbe già stato inserito dal Demanio militare nell'elenco dei beni da vendere al Comune di Torino. Che forse dello scalone di rappresentanza se ne farà ben poco. Ma al tribunale di Torino non mancano anche i contributi privati. L'anno scorso, per l'organizzazione del convegno "Conference on International Criminal Justice" l'elenco dei donatori era di tutto rispetto: tra questi la fondazione Cassa di risparmio di Torino che elargì 50mila euro alla Procura mentre altri 50mila euro sono arrivati dalla Compagnia di San Paolo. http://www.fondazionecrt.it/ repository/Fondazione/BilanciSociali/ BilancioSociale2006.pdf http://www.compagnia.torino. it/rapporto_annuale/pdf/rapporto2006_ ita.pdf.

 


Il Sole 24 Ore  17-9-2007 La spesa e il consenso Così scrive, Salvatore Rossi, direttore centrale per la ricerca economica della Banca d'Italia dopo aver esaminato il caso delle municipalizzate nel suo ultimo libro sui quarant'anni di politica economica italiana.

 

 L'intreccio perverso, in molti casi clamorosamente evidente, è quello tra consenso e decisioni di spesa. Un intreccio che porta a privilegiare nomine fondate su spartizioni politiche rispetto a quelle che rispondono a requisiti di professionalità.Che mantiene nell'ambito pubblico opere e servizi che potrebbero essere utilmente gestite dai privati. E che protegge gli interessi corporativi e particolari più che il benessere e la crescita collettiva. Un processo credibile di efficienza della spesa non può ignorare come la vera tendenza da invertire sia quella della presenza di un settore pubblico che continua a essere particolarmente largo e invadente, un settore pubblico che mira soprattutto, talvolta a caro prezzo, a perpetuare la propria legittimità. Per avviare un meccanismo virtuoso di riduzione della spesa è indispensabile allora andare alla radice lungo due direttrici: ridurre lo spazio (e quindi i costi) della politica e restituire alla logica del mercato nomine e servizi. Sul primo fronte si collocano la riduzione del numero di parlamentari, ministri, sottosegretari; l'abolizione della struttura politica delle province; una sostanziale limitazione all'essenziale delle comunità montane; un taglio netto agli organismi politici di rappresentanza, consulenza o immagine. In gioco non è tanto il costo diretto (i gettoni di presenza, gli onorari, le indennità e gli stipendi dei politici), ma il fatto che ognuno di essi rappresenta un centro di spesa, anzi di moltiplicazione degli impegni finanziari finalizzati a interessi parziali, come è emerso ancora una volta quest'anno con l'assalto alla diligenza della Finanziaria. Con il costo più ampio che si chiama indecisione. E lo stesso avviene sul fronte degli enti locali dove peraltro,come ha dimostrato l'inchiesta di Claudio Gatti, la vocazione alla spesa viene sostenuta anche attraverso i percorsi impervi e rischiosi dell'ingegneria finanziaria. Sul secondo fronte, quello del mercato, è necessaria un'ambiziosa strategia insieme di liberalizzazione e privatizzazione dei servizi pubblici sia locali, sia nazionali, dalla piccole municipalizzate per la gestione dei rifiuti alle grandi imprese com le Poste e l'Alitalia. Senza dimenticare l'esigenza di liberare dall'abbraccio interessato e costoso degli equilibri politici realtà come le Aziende sanitarie e le Università. Riforme strutturali di questo tipo liberebbero risorse, non solo finanziarie, ma anche e soprattutto professionali e umane. E darebbero un nuovo dinamismo a una realtà italiana che purtroppo continua ad essere, come ha scritto Anthony Giddens, "la società bloccata per eccellenza nel Vecchio continente". Gianfranco Fabi.

 


Il Cittadino 20-9-2007 Casale, dove la politica costa poco. Nelle infuocate riunioni di consiglio comunale si è dibattuto su tutto: le opposizioni hanno fatto la voce grossa, criticato le scelte della giunta e gli investimenti in alcuni casi ritenuti sbagliati.

 

Quasi mai, però, è emerso il tema dei costi della politica, intesi come soldi che effettivamente finiscono nelle tasche di chi amministra. In effetti, un consigliere comunale percepisce 19 euro lorde per prendere parte ad un'assemblea. Se questa si protrae dopo la mezzanotte, il consigliere ha diritto ad un giorno di riposo dal suo lavoro, che però contabilmente finisce in capo all'azienda. Ovviamente superiori le indennità che spettano ad assessori (qualche centinaio di euro lorde al mese) e sindaco, ma i fasti dei rappresentanti del popolo che siedono a Roma sono ben lontani. Le ultime due decisioni relative a rimborsi ed indennità sono state al ribasso: un primo taglio venne deciso in autonomia, il secondo in seguito al decreto Tremonti per la decurtazione del 10 per cento di ogni forma di rimborso percepito da amministratori pubblici. Il tutto confluisce in un "calderone'' che ogni anno comporta una spesa di 153mila euro: una cifra che comprende anche i costi dei revisori dei conti (dunque non imputabili alla politica) e che invece non contiene le spese per i telefoni cellulari in dotazione agli assessori. Gli apparecchi hanno peraltro una modalità duale che consente di separare, anche in bolletta, le telefonate private da quelle di servizio. Anche considerando il totale di 153mila euro (che annovera pure i rimborsi per le missioni, per le assenze dal posto di lavoro, le spese per la comunicazione istituzionale, per le commissioni) si ottiene una voce che incide per lo 0,015 per cento sul bilancio del comune nella sua parte corrente (circa dieci milioni di euro di uscite nel consuntivo del 2006). A questi costi vanno aggiunte le spese per la dirigenza dell'Azienda speciale dei servizi, che gestisce casa di riposo e centro diurno.

 


Il Mattino di Padova 20-9-2007 Regione "Tre sanitari ogni posto letto" Dubbio esubero di personale nel Libro verde sulla spesa pubblica

 

PADOVA. Ha un sottotitolo decisamente ammaliante, il Libro verde sulla spesa pubblica, edito dal Ministero dell'Economia e redatto dalla commissione tecnica per la finanza pubblica, il cui presidente è l'ex rettore dell'ateneo patavino, Gilberto Muraro: "Spendere meglio: alcune prime indicazioni". L'immagine che dà la pubblicazione, presentata qualche giorno fa, è quella di una guida alla razionalizzazione delle risorse. E infatti propone alcuni esempi settoriali in altrettante macro-aree dell'uscita di denaro pubblico: la giustizia, la sanità, l'università, il pubblico impiego e la spesa pubblica dei Comuni. Da sottolineare che un primo, piccolo, risparmio, si ha nel reperimento del volume stesso: un libello di circa 150 pagine, scaricabile gratuitamente dal sito internet del ministero: www.economia.it. Eloquente la presentazione, curata dal ministro all'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, che nota come "Nella nostra spesa pubblica ciò che lascia a desiderare non è tanto il suo elevato livello, quanto la qualità insufficiente rispetto ai bisogni del Paese. Riqualificare la spesa è perciò divenuto un imperativo urgente e ineludibile. C'è un solo modo per vincere questa sfida: spendere meglio. Alcuni risultati possono essere ottenuti con l'eliminazione dello spreco, la correzione di fenomeni di cattivo costume portati alla luce anche di recente, la riduzione dei costi della politica". In sintesi, per quel che riguarda la sanità italiana, essa sembra reggere abbastanza bene il confronto con le strutture internazionali: la spesa procapite è più bassa rispetto ad altri Paesi analoghi, l'incidenza sul Prodotto interno lordo (Pil) è di poco inferiore alla media dei trenta paesi dell'Ocse (8,9 contro 9 per cento). Nel quadro generale sanitario esistono forti margini di miglioramento, attuabili sia aumentando il livello di prevenzione, sia incrementando la medicina territoriale, a discapito dei ricoveri, che costituiscono il 48% della spesa sanitaria totale. Proprio per ribadire quest'ultimo bisogno, domani i medici di medicina generale e le guardie mediche hanno indetto un giorno di sciopero. E il Veneto come se la passa? Le sue spese sono lievemente superiori alla media nazionale: il costo medio per abitante dell'assistenza ospedaliera è di 679,98 euro (656,58 la media nazionale). Nelle aziende ospedaliere il costo medio di un dipendente è di 38.177 euro (media: 43.288), 38.263 nei presidi ospedalieri. Particolarmente interessanti i dati sugli indicatori generali (tra parentesi è riportato il dato medio nazionale): il Veneto ha 3,86 posti letto per acuti ogni mille abitanti (4,18), 0,60 posti letto post-acuti per mille abitanti (0,49), per un totale di 4,46 posti letto ogni 1.000 abitanti (4,67). La degenza media dei ricoveri per acuti negli ospedali pubblici è di 7,70 giorni (6,80), mentre in quelli privati è di 8,70 (5,50), per cui la degenza totale media di un paziente acuto è di 7,88 giorni (6,67). La degenza media pre-operatoria è di 1,95 giorni (2,05). Una curiosità riguarda i parti cesarei: essi sono 28,61% in Veneto, rispetto al 37,8% della media nazionale. Infine, il tasto dolente, e che fa venire qualche dubbio sulla ragionevolezza della media: gli indicatori di struttura e di attività delle aziende ospedaliere (tra parentesi la media italiana). In Veneto ci sono due Aziende ospedaliere, ossia Verona e Padova, per 3.555 posti letto. Per ogni posto letto ci sono 2,98 operatori sanitari (2,82), e il rapporto tra infermieri e medici è di 2,57 (2,35). Nelle 57 strutture venete gestite dalle Asl, va peggio: ci sono 2,22 persone per posto letto (2,36). Ma qual è l'ospedale veneto che ha tre persone dedicate ad un posto letto? (Cristina Chinello).


 

Italia Oggi 19-9-2007  La p.a. ha tagliato le consulenze Incarichi ridotti del 10%. Il costo medio è 5 mila euro Diminuiscono di circa il 10% i consulenti esterni alla pubblica amministrazione. Ma è ancora notevole il loro peso per le casse dello stato. Nel 2005, infatti, la pubblica amministrazione ha speso oltre 1,2 milioni di euro, dato questo che segna un misero 0,1% rispetto al 2004.

 

Nella relazione del ministro Nicolais al parlamento i dati sulle collaborazioni nel 2005 I costi? In media, un consulente esterno alla pubblica amministrazione stacca una fattura di circa 5 mila euro per fare in larghissima parte quello che viene genericamente classificato come "altre attività" e poi, in via residuale, per attività connesse a vertenze legali, studi di mercato, collaudi e opere di architettura. è quanto si può ricavare dalla lettura dei dati contenuti nella relazione sugli "incarichi conferiti a pubblici dipendenti e a consulenti e collaboratori esterni", riferita all'anno 2005, che il ministro della funzione pubblica, Luigi Nicolais, ha di recente presentato in parlamento. I dati del 2005 contenuti nella relazione sono tutti di segno negativo rispetto al 2004. Nel 2005 (secondo quanto è stato comunicato alla funzione pubblica da parte delle amministrazioni interessate alla data del 20 novembre 2006) i consulenti cui sono stati conferiti incarichi da parte di pubbliche amministrazioni ammontano a 156.541, in diminuzione di 17.654 unità rispetto al dato riferito al 2004. Sullo stesso trend, il numero complessivo degli incarichi affidati nel 2005, che ha fatto registrare il totale di 234.512 (35.800 incarichi in meno rispetto al 2004). è curioso che dai numeri fin qui osservati a ogni singolo consulente vengono affidati in media 1,50 incarichi. Su questo punto, la relazione di Nicolais segnala che anche qui si tratta (positivamente) di un decremento: al 31 novembre 2004 tale numero infatti si stabilizzava intorno a 1,55. Comunque, il fatto che gli incarichi siano diminuiti "non garantisce una reale diminuzione del fenomeno" in quanto "non è chiaro se è frutto delle operazioni di sensibilizzazione a opera delle istituzioni oppure se è il risultato del ritardo con il quale le amministrazioni comunicano una parte degli incarichi conferiti". E sul versante della spesa per il bilancio della p.a. stiamo parlando di grandi numeri. Nel 2005 la p.a. ha pagato a soggetti esterni esattamente 1.218.724.554 milioni di euro, lo 0,1% in meno del totale 2004 (1.220.135.685 milioni di euro). A questo punto appare interessante sapere quale comparto della pubblica amministrazione fa più ricorso a soggetti esterni. La palma del vincitore va senza ombra di dubbio al comparto degli enti locali, con i suoi 72.323 consulenti, che stacca, di gran lunga, il comparto scuola, con i suoi 34.020 esterni. Seguono l'università (30.091), la sanità (14.252), gli "altri comparti" con 8.699 e, infine, il comparto ministeri, con 4.563 collaboratori esterni. Che cosa fa questa pletora di consulenti esterni? La relazione ci dice che per il 69,3% svolge "altre attività", e siccome con questa tipologia si accomuna un insieme così vasto, il ministro Nicolais afferma che è in corso un'attenta analisi sugli incarichi "al fine di rivedere e individuare un elenco di tipologie comprendente le attività più ricorrenti affidate dalle p.a.".


 

La Gazzetta di Modena 19-9-2007 Tensione in consiglio comunale su gettoni e ordini del giorno Consigli comunali ad hoc per gli ordini del giorno.

 

E' questa la soluzione prospettata in Conferenza di Capigruppo ed esplicitata dal presidente del Consiglio comunale di Modena, Ennio Cottafavi, a seguito dell'episodio di lunedì in cui si è verificata la sospensione dei lavori consiliari a causa della mancanza del numero legale (21 su 40 consiglieri). La scelta ha raccolto consensi trasversali tra gli schieramenti. Voce fuori dal coro è quella di Mauro Manfredini, consigliere della Lega Nord, che ribadisce la propria volontà di raccogliere firme con una petizione popolare a sostegno del proprio ordine del giorno di modifica del regolamento, che prevede la riduzione del 50% del gettone di presenza ai consiglieri ritardatari. A motivare la scelta di Consigli comunali ad hoc il fatto che gli odg soffrono dello svantaggio di "venir trattati dopo gli atti deliberativi", interrogazioni e interpellanze, "in aggiunta alla possibilità di trattarli ogni qualvolta se ne presenta l'opportunità- dichiara Cottafavi - si è perciò ritenuto in Conferenza di Capigruppo di convocare alcuni Consigli Comunali ad hoc per poter discutere in maniera dedicata solo gli rdini del giorno presentati dai vari consiglieri". Si dice fiducioso, il presidente del Consiglio comunale, intervenuto su quanto accaduto lunedì: "Non risponde a verità che il numero legale sia stato fatto mancare a causa del fatto che l'assessore Orlando non fosse preparato - arringa Cottafavi- tant'è che l'assessore è intervenuto nel dibattito fornendo le informazioni necessarie affinchè il Consiglio potesse assumere le decisioni conseguenti". Altri rilevano che in realtà fosse il gruppo Ds non pronto ad affrontare l'argomento. Per nulla convinto Manfredini: "Quello che è successo ieri in Consiglio non è altro che la dimostrazione di quanto denunciato- afferma-. I politici dovrebbero impegnarsi per snellire e ridurre tempi e costi della politica e quello che sta accadendo a Modena è inammissibile. Fare più consigli o consigli ad hoc non serve a risolvere il problema: bisogna invece cambiare l'usanza dei consiglieri". Quello dell'esponente del Carroccio è un vero e proprio no a sedute aggiuntive in un periodo come questo in cui si discute tanto di costi della politica. Se i consigli riservati agli odg rientrano nei normali lavori, invece, Manfredini non esclude che se ne possa trarre vantaggio. Il consigliere della Lega, comunque, non cambia la propria rotta: da questo fine settimana sarà in centro a Modena per la raccolta di firme. "In Conferenza dei Capigruppo ho avuto la netta impressione che la mia richiesta verrà bocciata- afferma-. Invito pertanto tutti i modenesi stanchi di una politica lenta e troppo spesso inconcludente, oltre che eccessivamente costosa, al banchetto che verrà allestito nel prossimo fine settimana al Portico del Collegio, in via Emilia".


 

Italia Oggi 19-9-2007 Ora l'On. vuole pure il lampeggiante Nuove richieste nel dibattito sul taglio ai costi della politica Altro che taglio ai costi della politica di Claudia Morelli e Alessandra Ricciardi

 

 I deputati si lamentano dei ritardi e delle inefficienze del servizio di trasporto con le auto blu.. Alla camera si discute di auto blu e non per ridurle, ma per metterci pure un lampeggiante che ne faciliti lo scorrimento nel traffico. Già, perché, senza, l'onorevole rischia di rimanere bloccato tra le strade di Roma quando invece, magari, ci sono leggi importanti da votare in parlamento. La discussione sul servizio di auto blu è andata in scena tra i componenti dell'ufficio di presidenza della camera. Chiamati a discutere, e ad approvare, su proposta del collegio dei questori, il trasferimento di 12 coordinatori e tecnici del reparto autorimessa ad altra area. Una vera riqualificazione professionale, quella che interessa 12 sui 34 addetti del parco macchine di Montecitorio (tutti gli altri autisti sono esterni alla camera), visto che saranno inquadrati nei ruoli degli assistenti parlamentari. La selezione sarà fatta tenendo conto delle condizioni di salute degli interessati, che ne potrebbero limitare la piena funzionalità al reparto autorimessa, ma sopra tutto della loro naturale "attitudine". I trasferiti saranno individuati da un'apposita commissione, da istituirsi in seno alla camera, che assumerà informazioni sull'attività prestata da ogni singolo dipendente dal competente capo servizio. Un colloquio con il candidato, poi, sarà la prova decisiva per il passaggio. Ma l'operazione, che dovrà essere realizzata entro il 30 giugno 2008, finirà inevitabilmente per sguarnire i ruoli degli autisti, già oggi giudicati sottorganico rispetto alle esigenze di servizio dei deputati, si sono lamentati gli onorevoli. E così nell'ufficio di presidenza di Fausto Bertinotti si parla già di nuove assunzioni. L'argomento auto blu è del resto molto sentito, tra i deputati. Antonio Mazzocchi (An) si lamenta delle troppe assenze del personale in servizio, gli fa eco il collega Teodoro Buontempo che chiede un aumento dell'organico: visto che "le poche unità di personale che svolgono le mansioni di autista debbono sopperire a molteplici richieste di erogazione del servizio". E poi c'è il problema del traffico. Per rispondere a pieno "alle esigenze di celerità connesse a motivi istituzionali", Buontempo e la Valentina Aprea (Fi) concordano sulla necessità di dotare tutte le autovetture della camera di "dispositivi di riconoscimento". Insomma, con un bel lampeggiante si va molto più veloci. Alla tavola dei deputati, invece, il risparmio è servito. La camera risparmierà circa 3milioni e700mila euro con il progetto che prevede di affidare a una ditta esterna (Osama, la stessa che già opera al senato), il ristorante degli onorevoli. Infatti, se nel 2006 il volume è stato pari a 5milioni 232mila euro di spesa, a fronte di un costo medio per pasto di 90 euro, con la esternalizzazione si prevede di spendere appena un milione e 662mila euro. Si tratta di una prova, però, che durerà 18 mesi. Solo dopo il collegio dei questori deciderà se ripassare la palla agli uffici o indire una gara per l'appalto definitivo degli onorevoli pasti. nel frattempo, però, sette cuochi e venticinque addetti al servizio di ristoro dovranno trovare altra occupazione. Certo, il salto dal fornello alle fotocopiatrici o al centralino sarà un po' duro da digerire. Ma il collegio dei questori assicura che il reclutamento per le nuove mansioni è avvenuto in piena condivisione: la selezione ha puntato su chi ha manifestato la volontà di cambiare. E se poi i deputati non saranno soddisfatti del nuovo servizio e così la gara non verrà più indetta, tutto tornerà come prima, costi compresi. Ma almeno si potrà dire che ci hanno provato.

 


 

 BresciaOggi 18-9-2007 COSTI DELLA POLITICA Lo Stato elefantiaco La mia memoria politica abbraccia gli ultimi 50 anni, durante i quali sono stato testimone di meccanismi occulti e della logica di chi è chiamato a governare. Angelo Facchi

 

In tutto questo tempo, la macchina dello Stato non ha fatto altro che ingrandirsi, tramite nuove leggi, nuovi enti, maggiore burocrazia, dilatando a dismisura i dipendenti pubblici e i relativi costi amministrativi. Questo mostruoso meccanismo ha finito con l'ingoiare una fetta sempre più grande della ricchezza prodotta a livello nazionale, obbligando gli amministratori ad una crescente pressione fiscale. Non solo. Ma quando il gettito fiscale non bastava a soddisfare esigenze di cassa, i nostri politici non si sono fatti scrupoli e si sono indebitati, intaccando i redditi della futura generazione. I politici amano ripetere "pagare tutti per pagare meno". Ebbene, chiunque abbia memoria politica dal dopoguerra, sa benissimo che ogni volta che il gettito fiscale è aumentato, è aumentata la spesa dello Stato. Per contro, ogni volta che il gettito fiscale è diminuito, invece di tirare la cinghia, i nostri politici hanno aumentato i debiti. L'attuale governo non fa eccezione alla regola. Di fronte ad un aumento del gettito fiscale, invece di diminuire le tasse ha aumentato la spesa. Qualcuno potrà obiettare che l'aumento delle pensioni di sopravvivenza è dovere morale e sociale. È una vergogna che non si sia provveduto prima, ma in ossequio alla giustizia: i diritti non si finanziano aumentando le tasse ma tagliando i privilegi. E non vi è certo la necessità di elencare questi privilegi, che sono sotto gli occhi di tutti, finanziati dal sangue e dal sudore della povera gente, che paga allo Stato il 70% di tutto ciò che produce. Ritengo amorale e vergognoso che lo Stato debba pagare stipendi e pensioni da nababbi a personaggi che spesso non si limitano ad essere dei parassiti, ma danneggiano gravemente la comunità. Senza dimenticare quanto sono costate e continuano a costare le pensioni anticipate, privilegio esclusivo dei dipendenti pubblici. Senza contare la marea di posti di lavoro inutili, che i politici hanno creato per soddisfare le loro esigenze di clientelismo, intollerabile zavorra per il nostro sistema sociale. Sarebbe ora che lo Stato smettesse di dare soldi ai ricchi, di creare posti di lavoro inutili, ipotecando i guadagni delle prossime generazioni. Sarebbe ora di smettere di considerare la pensione come un diritto acquisito, sarebbe ora di considerarla un semplice assegno di sopravvivenza uguale per tutti, elargito esclusivamente a quei cittadini che non hanno reddito. Sarebbe ora di snellire questo Stato elefantiaco, al fine di abbassare una pressione fiscale intollerabile. Si sa che i cambiamenti epocali non si possono fare in un solo giorno, e nemmeno in una sola generazione. Basterebbe la volontà politica di cambiare strada, di muoversi nella giusta direzione.


 

+  La Stampa 18-9-2007 Intervista Tiziano Treu "Perché non si toccano i costi della politica?" ROBERTO GIOVANNINI

 

ROMA "Bisogna essere rigorosi, seri, ma anche credibili rispetto alle cose che abbiamo promesso e alle aspettative dei cittadini. Per questa Finanziaria bisogna certamente esercitare il massimo rigore nei tagli alla spesa, ma dare un segnale tangibile e visibile sulla riduzione delle tasse". Tiziano Treu, ex ministro del Lavoro e dei Trasporti, esponente della Margherita è chiarissimo: sul Fisco il governo deve agire, Subito. Treu, il ministro dell'Economia Padoa-Schioppa lancia messaggi preoccupati. Soldi per la riduzione delle tasse ce ne sono pochi... "Questa Finanziaria è un'occasione che non può essere sprecata. E voglio essere chiaro: sono totalmente d'accordo con chi - a cominciare da Padoa-Schioppa - chiede impegno esemplare sul fronte del rigore. Per l'oggi e per il domani non possiamo adoperare per operazioni di aumento della spesa pubblica i proventi dell'extragettito, che sono una risorsa strutturale ma limitata. Nuovi impegni di spesa possono essere finanziati, certo, ma tagliando in altri punti, agendo sugli sprechi evidenti - come le mille inutili Commissioni - ma anche con colpi di scure in punti nevralgici dello Stato". Ovvero? "Io sono d'accordo con Eugenio Scalfari: si può dimezzare il numero dei ministri, dare una sforbiciata alla lista dei sottosegretari, riformare in modo forte alcuni livelli di governo. Ad esempio, si possono subito eliminare le Province che faranno parte delle aree metropolitane, oppure riunificare e riaggregare un buon numero di Comuni. Sarebbero segnali forti e inequivocabili: per razionalizzare e ridurre i costi della politica, ma anche per fare cassa. Stesso discorso va fatto per il piano di ringiovanimento della pubblica amministrazione pensato dal ministro Luigi Nicolais, che è importante. C'è già un turnover naturale significativo tra i lavoratori pubblici, l'idea di accrescerlo è positiva. Naturalmente bisogna vedere come e dove". Dunque, il suo è un "no" a un allentamento del rigore. "Ci mancherebbe altro. Io dico che dobbiamo avere le carte in piena regola sul fronte del rigore. Dopodiché...". Dopodiché? "... il centrosinistra ha fatto delle promesse ben precise. Dobbiamo dare un segnale sulle tasse, altrimenti non siamo più credibili di fronte agli elettori. Il Parlamento, a larghissima maggioranza, ha dato una indicazione molto precisa sulla riduzione dell'Ici, indicazione che va mantenuta e rispettata. Del resto, è scritto esplicitamente nel Dpef, e dunque vale per il Parlamento ma anche per il ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa: le risorse dell'extragettito fiscale devono essere utilizzate direttamente per ridurre la pressione fiscale. Agendo sull'Ici, a favore delle imprese, dando un segnale sulle imposte personali sul reddito iniziando dai più poveri, i cosiddetti "incapienti"". Altrimenti, par di capire, sarà lo stesso governo a correre rischi. "Dobbiamo essere seri. Essere in grado di tagliare la spesa inutile o errata, e rispettare le promesse di alleggerimento del prelievo fiscale. Lo ha detto molto bene Walter Veltroni a Padova, ai lavoratori autonomi e agli imprenditori veneti: bisogna passare dalla vecchia nozione del "pagare tutti per pagare meno" al "pagare meno per pagare tutti". Che vuol dire cominciare ad alleggerire il contribuente nel momento in cui si fa anche una seria lotta all'evasione".


 

+  Libero 18-9-2007 Una nuova fondazione con poltrone per gli amici di NATALIA ALBENSI

 

Veltroni fa il bis, come ogni vero artista. E spunta la Fondazione Cinema per Roma, moltiplicatore di notorietà, di fondi e di poltrone. Quasi 6 milioni di euro all'anno. Nonostante la sua campagna elettorale alla segreteria del Partito democratico punti molto sulla riduzione dei costi della politica, agli amici Walter non nega mai nulla. Figuriamoci poi quando si tratta di camminare su un tappeto rosso, quello della Festa del cinema, vecchia passione. Così, dopo la Fondazione Musica per Roma, che gestisce l'Auditorium Parco della Musica con a capo Gianni Borgna, ex assessore alla Cultura, si fa il bis con la Fondazione Cinema per Roma, presieduta dal senatore Ds Goffredo Bettini, che prima ancora era al posto di Borgna. E poi, arrivano i soldi. Nell'atto costitutivo della Fondazione le risorse disponibili indicate sono di 5,8 milioni di euro all'anno. Ovviamente, in quanto ente di diritto privato, senza i controlli riservati alla spesa pubblica. La Provincia di Roma ci mette 1 milione di euro, la Camera di Commercio un milione e 800mila, la Regione 1 milione e mezzo e lo stesso vale per il Comune. Ieri infatti è arrivata la delibera che prevede una variazione di Bilancio per accedere ai fondi e aderire all'iniziativa. Immediata la reazione dell'opposizione. "Ci viene chiesto di votare per l'adesione del Comune alla fondazione "Cinema per Roma"", hanno esordito Marco Marsilio e Dino Gasperini, rispettivamente capogruppi di An e Udc, "ma non si capisce perchè Veltroni e Bettini abbiano dovuto creare una nuova fondazione, dal momento che il successo della prima edizione della Festa del Cinema era stato garantito dalla gestione della fondazione "Musica per Roma". Nessuno sentiva pertanto il bisogno di farne un'altra, aggiungendo ulteriori spese per l'ennesimo presidente e l'ennesimo consiglio di amministra stipendiati dal Comune". "È un modo di procedere arrogante", sottolinea Marsilio, "che dimostra un'interpretazione padronale del Comune di Roma: infatti, contrariamente a quanto previsto dallo Statuto, al Consiglio non è mai stato chiesto parere sulla costituzione della Fondazione, mentre ora ci chiedono di ratificare quanto è stato già deciso". "Inoltre", aggiunge Gasperini, "non è possibile che alla guida ci sia un uomo di partito: la Fondazione è presieduta da un regista, ma non cinematografico, il regista dell'ascesa di Veltroni a leader del Partito democratico, nonché senatore Ds. Il che stride con la proposta di Veltroni di allontanare la politica dalla Rai". Nel frattempo, il contributo di Gasbarra è già arrivato: una delibera votata in estate ha impegnato la Provincia per tre anni e tre milioni di euro. Non senza conseguenze, come sottolinea il consigliere di Forza Italia Andrea Napoleoni: "Sono stati sacrificati sull'altare di Veltroni e Gasbarra centinaia di piccole associazioni che sopravvivono a stento dopo i tagli inferti a beneficio della Fondazione Cinema". Foto: SOLDI PUBBLICI La fondazione è finanziata tra gli altri da Comune, Regione e Provincia hanno stanziato rispettivamente un milione 800mila, un milione 500mila e un milione di euro Salvo per uso personale è vietato qualunque tipo di riproduzione delle notizie senza autorizzazione.

 


+ Corriere Alto Adige 18-9-2007 I COSTI DELLA POLITICA L'OFFENSIVA DEGLI AMBIENTALISTI "Pensioni dei consiglieri, basta privilegi" Proposta dei Verdi in Regione. Dello Sbarba: stop alla cumulabilità

 

BOLZANO - è giusto che un consigliere regionale con alle spalle una sola legislatura abbia diritto a una pensione vitalizia di 2196 euro al mese? è giusto, cioè, che con cinque anni di lavoro si possa ricevere una pensione che la grande maggioranza dei lavoratori non mette insieme neppure con 20,25 o 30 anni di lavoro? Secondo il gruppo dei Verdi in consiglio regionale non è giusto anzi, è un privilegio scandaloso che deve finire, subito. Per questo hanno presentato un disegno di legge regionale che prevede l'abolizione della pensione dei consiglieri regionali. Il disegno di legge riguarda anche i consiglieri regionali attualmente in carica e vieta la cumulabilità della pensione. In pratica nega la pensione come consigliere regionale a tutti coloro che ne percepiscono un'altra, cioè a tutti quelli che hanno un altro lavoro. Una categoria della quale fanno parte tutti i consiglieri, dal momento che la politica non è un lavoro, o non dovrebbe esserlo. "Non dimentichiamo - precisa Dello Sbarba - che, soprattutto ai consiglieri di maggioranza dopo l'attività in consiglio viene garantita la presenza nel consiglio di amministrazione di qualche azienda a partecipazione pubblica. Spesso questi incarichi vengono pagati centinaia di migliaia di euro. La nostra proposta dimezzerebbe subito i costi della politica". Sono 125 gli ex consiglieri regionali che beneficiano di questa pensione. I 30 consiglieri che hanno alle spalle una legislatura prendono una pensione mensile di 2196 euro. Coloro che ne hanno fatte due sono 36 e hanno 3690 euro al mese. I 34 con alle spalle 15 anni da consigliere regionale ricevono un assegno mensile di 5168 euro. Infine i 25 che hanno fatto quattro legislature, o più, ricevono un assegno di 6637 euro. Per tutti la pensione è reversibile e cumulabile e scatta al sessantacinquesimo anno di età. Il disegno di legge regionale è stato presentato ieri dai consiglieri Verdi Riccardo Dello Sbarba, Cristina Kury e Hans Heiss: "Nel 2006 - ha spiegato Dello Sbarba - la spesa per le pensioni dei consiglieri regionali è di 11.100.186 euro, tanto quanto si spende per gli stipendi dei consiglieri. Nel 2007 ci sarà il sorpasso. Secondo il bilancio di previsione infatti per le pensioni si spenderanno 13,5 milioni mentre per gli stipendi 12,7. Questo disegno di legge regionale è il primo di una serie di atti che mirano a ridurre i costi della politica, un'esigenza che la politica sente propria a tutti i livelli da tempo, come prevede l'accordo che Comuni, Provincie e Regioni hanno sottoscritto con il governo lo scorso maggio. In base a questo accordo il governo ha ridotto lo stipendio dei ministri e i presidenti di Camera e Senato hanno ridotto le auto blu, tanto per fare un esempio". "Cogliamo l'occasione anche per chiedere che il consiglio regionale lavori - attacca Dello Sbarba - e non faccia come negli ultimi mesi, nei quali tutto quello che ha fatto è stato incontrare un inviato del Tibet, Luciano Violante o i rappresentanti della Valle D'Aosta. Il consiglio regionale ha delle competenze. Vogliamo che se ne occupi". La risposta del presidente della Provincia Luis Durnwalder: "Sono d'accordo a prendere provvedimenti di questo genere, ma solo dopo che Roma ha dato l'esempio - dice - in queste cose bisogna iniziare dall'alto e poi scendere. Se si inizia dal basso, in alto non si arriva mai. E poi credo che coloro che hanno fatto la proposta siano i primi a sperare che non venga accettata". Damiano Vezzosi 125 CASI Sono gli ex consiglieri regionali che beneficiano di una pensione legata ad "almeno una legislatura" 13,5 MILIONI La spesa nel bilancio di previsione regionale per le pensioni dei consiglieri Per gli stipendi sono 12,7 milioni


 

Il Manifesto 17-9-2007 Per ridurre "i costi della politica", il principio di minima partecipazione Francesco R. Frieri - Giovanni Allegretti

 

Il Consiglio dei ministri ha appena approvato un disegno di legge per tagliare i "costi della politica". Il provvedimento propone una diminuzione tra il 20 e il 30% di giunte e consigli di ogni livello, una sensibile riduzione dei parlamentari e un quasi dimezzamento del governo. Cui si somma un'ulteriore riduzione dei consigli di amministrazione delle società partecipate dal settore pubblico, il divieto per le stesse di trasferire denaro agli enti controllanti o a partiti politici, e una stretta sulla pletora di consulenti a supporto dei vari organi. Beppe Grillo rincara la dose e mette in moto un movimento. Sovviene un pensiero di Voltaire: "nessuno aveva nulla da obiettare sui privilegi dei nobili in Francia fin quando essi assicuravano un governo alla nazione". Seguendo tale chiave di lettura, potremmo chiederci se i privilegiati di cui si colpiscono le "carrozze blu" abbiano smesso di assicurare un governo alla nazione. Autorevoli studi dimostrano come ciò sia avvenuto dagli anni '80 per il parlamento e dagli anni '90 per gli enti locali. Aule di eletti che spesso lamentano svuotamenti di potere. Ma a chi è stato ceduto il potere che i rappresentanti lamentano di non avere piu'? La risposta sta nella stessa dichiarazione del ministro Santagata, quando (subito dopo gli organi della democrazia rappresentativa) individua gli ulteriori bersagli dei tagli nei consigli di amministrazione di società di diritto privato, nonché consulenti e tecnici. Credendo nell'attualità di Voltaire, parrebbe che non solo la democrazia rappresentativa non abbia assicurato un governo, ma anche che abbia delegato una parte non piccola delle sue funzioni, delle sue inefficienze e dei suoi privilegi a soggetti non eletti dai cittadini. Del resto, anche la recente proposta referendaria è inquadrabile in un contesto di sfiducia verso una capacità di riforma della classe politica. La crisi della democrazia rappresentativa non riguarda solo l'Italia. Da tempo molte città nei due emisferi del pianeta si misurano con teorie ed esperienze di democrazia partecipativa proprio per tentare di invertire il segno delle trasformazioni. Laddove diritti e doveri di cittadinanza sono concepiti in stretta relazione con il volume della spesa pubblica e la dimensione del welfare state, i tentativi di innovare la democrazia avvicinando agli abitanti il governo della cosa pubblica sono nati prima dove la cittadinanza era debole, poi si sono diffusi dove essa era in decadenza. A tal punto che perfino il prematuramente defunto "trattato costituzionale europeo" prevedeva, accanto a un articolo che declamava il fondamento della democrazia rappresentativa, un secondo articolo dedicato alla democrazia partecipativa. I Bilanci Partecipativi sono oggi uno strumento diffuso in oltre 1200 città dove co-responsabilizzazione civica, ravvivamento della fiducia nelle istituzioni e problemi della spesa pubblica vengono affrontati insieme. Si potrebbe coniare un principio di minima partecipazione immaginando che la dimensione possibile di ogni livello di governo sia legata alla dimensione della partecipazione dal basso. Ad esempio, invece di sopprimere le circoscrizioni, si potrebbe disporre che la presenza di ogni circoscrizione debba essere legittimata dalla partecipazione di almeno un certo numero di abitanti a processi pubblici di scelta, e definirne il numero in rapporto alla popolazione del rispettivo territorio. Dopodiché, se si volesse contrarre il numero dei consiglieri comunali, si potrebbe dire che, dato un livello minimo di membri, eventuali estensioni debbano essere legittimate dalla partecipazione di un certo numero di cittadini (da individuare come in precedenza). Per le province sarà lo stesso, potendo disporre della facoltà di estendere la dimensione dei propri organi di governo in relazione alla partecipazione nei comuni del territorio. E così via fino alle regioni. Tutti i livelli di governo decentrati, per riappropriarsi dei privilegi tagliati, dovranno recuperare pubblicamente il proprio ruolo, innovando e governando assieme ai cittadini fino, forse, a non cercare più nemmeno i privilegi di prima. Se i tagli proposti dal governo permettessero di recuperare 500 milioni di euro, perché la spesa possa tornare ad espandersi al livello originario - secondo il suddetto principio di minima partecipazione - sarebbe necessaria la parecipazione di milioni di cittadini, che (in tal caso) mai legittimerebbero una ripresa dei costi della politica. Un ultimo attacco ai governi decentrati avviene sotto forma di erosione delle basi imponibili degli enti locali: Ici scontata agli enti ecclesiastici, alle onlus, alle famiglie numerose, e poi una generica riduzione uguale per tutti, abitazioni di pregio e case popolari. Ma anche provvedimenti che hanno colpito l'imposta sulla pubblicità, finanziarie che hanno inibito l'uso delle addizionali Irpef. Tutti questi provvedimenti segnano la competizione del governo centrale con quelli locali, dove il primo limita le fonti di prelievo fiscale dei secondi finendo per contribuire alla demolizione della politica locale. Nei paesi scandinavi sovente i governi locali hanno come fonte di finanziamento le imposte sulle persone fisiche. Da noi, si invitano i Comuni a pianificare la cementificazione del proprio territorio per aumentare i proventi derivanti da Ici e oneri di urbanizzazione per poter mantenere un minimo di servizi alla persona. Supponiamo si giudichi eccessiva la pressione fiscale dei livelli locali, il principio di minima partecipazione potrebbe essere applicato anche in questo caso. La norma potrebbe così recitare: le aliquote delle imposte locali possono essere ampliate del 10% se partecipa almeno un certo numero di cittadini a progetti di destinazione delle stesse risorse. In generale, dati "n" livelli di governo, ognuno di essi può vedere accresciuto un margine di autonomia quanto più riesce a generare consenso coi cittadini o con i livelli di governo inferiori. Un principio romantico, ma molto concreto che, una volta tradotto in norma, potrebbe garantirebbe autonomia, responsabilità diffusa, ma soprattutto governi democratici nei territori. Nonché una rinnovata fiducia dei cittadini nella politica. Può valere la pena tentare?.

 


 

  Il Giornale 14-9-2007 Gli aerei «blu» ci costano 180mila euro al giorno di Antonio Signorini -


Per capire quanto costano i voli di Stato bisogna affidarsi a un lancio di agenzia di ieri sera che riporta una stima attribuita a «fonti della Presidenza del Consiglio». Nel 2007 lo stanziamento complessivo per gli aerei blu sarà di 28 milioni di euro. Cifra che Palazzo Chigi usa per dimostrare quanto l’attuale gestione sia più oculata rispetto alla precedente. I 28 milioni sono «il 40 per cento in meno rispetto a quanto spendeva il governo Berlusconi: 52 milioni di euro nel 2004, 51 milioni di euro nel 2005». Informazioni dettagliate, questa volta ufficiali, anche sul «taglio» delle ore di volo programmato dall’esecutivo di centrosinistra: «Nell’anno 2006 di oltre il 35 per cento. Un ulteriore calo è stata effettuato nel corso del 2007 che porterà a una riduzione complessiva di circa il 45 per cento rispetto all’anno 2005».
La faccenda si complica quando si tratta di capire a quanto ammontino quelle ore di volo che sono state ridotte. E non trova riscontro nemmeno la richiesta di precisazioni sullo stanziamento complessivo che la collettività si è accollata per far volare gli aerei blu. Ad esempio sul perché si riportino solo le previsioni per l’anno in corso e non le risorse effettivamente spese nel 2006, che dovrebbero essere certe.
Una stima di quanto costi trasportare i ministri la riporta L’espresso ed è basata sulle ore di volo complessive dell’intera flotta di Stato, dato del 2005: 37 al giorno in media, per una spesa quotidiana di 179.452 euro. Che significa più di 65 milioni di euro all’anno, più di quanto dichiarato dalle fonti vicine al premier.
Trasparenza su questo tema in realtà non c’e mai stata; un po’ perché i bilanci delle amministrazioni pubbliche italiane non sono scritti per essere capiti. E poi perché è prassi comune che certe spese, magari giuste ma considerate imbarazzanti dalla classe politica e dalle burocrazie, finiscano polverizzate in mille rivoli, divise tra diverse amministrazione o incluse in voci insospettabili dei documenti ufficiali. È il caso delle famose auto blu.

Ma c’è anche un problema di riservatezza. Molti degli aerei pubblici utilizzati dagli uomini di Stato appartengono infatti alla Cai, la compagnia del ministero degli Interni i cui dati sono top secret. Anche quelli relativi a voli che non pongono problemi per la sicurezza nazionale, come si presume siano la maggior parte di quelli effettuati da politici.
La nebbia si dirada un po’ sul famoso 31° stormo, la flotta dell’aeronautica militare, destinata esclusivamente al «trasporto aereo civile di Stato», alla quale apparteneva anche l’aereo che ha portato i ministri Clemente Mastella e Francesco Rutelli, al Gran premio di Monza. Il ministero della Difesa riporta puntualmente le spese sostenute dal dicastero per le «funzioni esterne». Nel 2007 ammonteranno a 13 milioni e 418mila euro. E che si tratti di una situazione un po’ imbarazzante per la Difesa, lo dimostra il fatto che in un documento di qualche anno fa si chiedeva «una maggiore chiarezza e trasparenza» sul bilancio e si proponeva di «trasferire ad altri soggetti istituzionali o sul bilancio di altri dicasteri» alcuni oneri finanziari, come il servizio di trasporto aereo civile di Stato.
Del 31° stormo fanno parte un Falcon 30 da otto passeggeri Falcon 900 ex da 12 e poi un Airbus A319 Cj, infine un elicottero. A questi va aggiunta una pattuglia di piccoli ma lussuosi Piaggio P180. Lo Stato ne ha comprati 29, che sono stati assegnati ai vertici di varie amministrazioni pubbliche. Alla Protezione civile, alla Forestale, alla Polizia, ai Vigili del fuoco. E, riportava un’inchiesta pubblicata sempre dall’Espresso tempo fa, tutti, tranne poche eccezioni, «con un solo compito: portare in giro ministri, sottosegretari, parlamentari, ammiragli e generali». Alla modica cifra di otto milioni di euro ciascuno.

 


 

L’Espresso 14-9-2007  1 - PORTE A PORTE… Emilio Fittipaldi e Marco Lillo



L’ultimo è stato Gianni Alemanno. Dieci mesi fa si è aggiudicato un primo piano dell’Inail da 140 metri quadri in una via silenziosa dei Parioli per 533 mila euro, metà del valore di mercato. L’ex ministro precisa: «Senza sconti e grazie a un acquisto in blocco con gli altri inquilini». Da tre anni il numero due di An però vive alla Balduina, nell’attico di un privato al quale paga 2 mila e 600 euro al mese. Sembra tanto, ma l’appartamento è davvero splendido. L’attico gemello è stato affittato da poco a 4 mila e 500 euro.


E l’appartamento ai Parioli? Sul citofono c’è ancora il cognome del politico, ma dal maggio scorso la casa è affittata. Il ministro della Pubblica istruzione della Margherita Giuseppe Fioroni si è accontentato invece di un mini appartamento a un prezzo mini: 94 mila euro per tre stanze sulla Cassia. Fioroni ha comprato nel 2003 da Enasarco, Confcommercio, insieme agli altri inquilini.

Anche il deputato di Forza Italia Ferdinando Adornato ha puntato sul piccolo taglio. Nel 2004 ha messo a segno un affare con Pirelli comprando un seminterrato che guarda (dal basso) una piazzetta incantevole di San Saba. Adornato e il figlio hanno pagato questa casa ex Ina 165 mila euro. Un buon prezzo che impallidisce di fronte all’affarone del deputato di An Giuseppe Scalia: un quinto piano dell’Inps in via Crescenzio, nel centro di Roma, per 295 mila euro.

Nello stesso stabile Marie Christine Davanzo, convivente del presidente dell’Abruzzo Ottaviano Del Turco, ha comprato per 260 mila euro un primo piano da sette vani catastali. «Io non c’entro. Quando l’ho conosciuta era già inquilina», precisa Del Turco. Lui allora viveva in un altro appartamento dell’Inps, in via Piave. Ora ci abita la sua ex compagna che aspetta di comprare con lo sconto.

In via Crescenzio abitano anche il nipote di Andreotti, Luca Danese, e il deputato di Forza Italia, Sabatino Aracu. Non hanno ancora comprato perché pretendono lo sconto e hanno fatto ricorso al Tar. Non accettano che le loro dimore da 300 metri siano classificate “di pregio”. «Anni fa ho partecipato a un bando per l’affitto e ho vinto offrendo una cifra spropositata: 11 milioni di lire», spiega Aracu.


Il suo investimento, comunque vada al Tar, sarà ripagato. A cento metri di lì, in via Visconti, si annida un’altra pattuglia di vip. Oltre a Francesco Cossiga e a suo figlio Giuseppe, ha comprato da Initium (società di Generali e Lehman che ha rilevato il patrimonio Assitalia) anche l’ex capo di gabinetto di Cossiga, Alfredo Masala: 407 mila euro per tre camere. Suoi vicini sono il direttore del Tg regionale Rai Angela Buttiglione e il vicedirettore del Tg5 Alessandro Banfi: per lui 905 mila euro per un quinto piano da cinque camere.

Prezzi buoni ma non stracciati come quelli degli enti pubblici. Il record spetta al deputato Udeur Paolo Affronti: quattro vani all’Aurelio per 73 mila euro, meno di un box. Al sottosegretario alla Difesa Marco Verzaschi, Udeur, vanno due case all’Eur. La più grande si trova nella strada dello shopping chic del quartiere: viale Europa. È costata 212 mila euro, ma ne vale almeno il triplo.

2 - LE SCHEDE…

Gianni Alemanno
ex ministro dell’Agricoltura, deputato di An.
Via Majoli - Parioli
Compra da Scip un primo piano ex Inail di 7 vani catastali più cantina.
533 mila euro
Anno 2006
stima zona 2006
5400/7100 euro mq


Angela Buttiglione
Direttore Tg regionale Rai
Via Visconti - Prati
Compra con il marito da Initium (Generali e Lehman) un primo piano, ex Ina, da 10 vani catastali, con salone, 4 camere più cameretta, 2 bagni e cucina, terrazza e balcone
787 mila euro
Anno 2004
stima zona 2006
4.800/6.600 euro mq

Paolo Affronti
Deputato Udeur
Via Nais - Aurelio
Compra da Scip (ex Inpdai) un sesto piano di quattro vani catastali più soffitta.
73 mila euro
Anno 2005
stima zona 2006
3.100/4.100 mq

Maria Cordova
Procuratore Aggiunto di Roma
Zona Balduina
Compra da Scip (ex Inpdai) un quinto piano da sei vani catastali con cantina.
483 milioni di lire (250 mila euro)
Anno 2000
stima zona 2006
4.200/5.500 euro mq

Giuseppe Scalia
deputato di An
Via Crescenzio - Prati
Compra da Scip (ex Inps) un appartamento al quinto piano di 5 vani catastali.
295 mila euro
Anno 2006
stima zona 2006
4.800/6.600 euro mq


Ferdinando Adornato
ex presidente commissione Cultura della Camera, deputato Forza Italia
via Giovanni Miani - San Saba
Compra con il figlio Luca da Auriga (Pirelli) un appartamento al piano seminterrato da 3,5 vani catastali
153 mila euro
Anno 2004
stima zona 2006
4.800/6.400 euro mq

Marco Verbaschi

sottosegretario alla Difesa Udeur
viale Europa e via Solario - Eur
Compra due appartamenti all’Eur da Scip, ex Inps. Il primo nel 2002 in viale Europa al quarto piano, 4 camere, cameretta due bagni, balconi e cucina. Il secondo nel 2004 in via Solario, 4 vani catastali più box.
212.800 euro
stima zona 2006
4.200/5.500 mq

Giuseppe Fioroni
ministro della Pubblica Istruzione.
via Tomba di Nerone (zona Cassia)
Compra da Enasarco, l’ente previdenziale di Confcommercio, un appartamento di 3,5 vani catastali più cantina e posto auto.
94 mila euro
stima zona 2006
2600/3700 mq

Alfredo Masala
ex capo gabinetto del presidente Francesco Cossiga
via Visconti - zona Prati
Compra da Initium (come il presidente e suo figlio) un terzo piano di 3 camere e doppi servizi più soffitta.
407 mila euro
Anno 2004
stima zona 2006
4.800/6.600 mq

 


Alto Adige Trento 12-9-2007 Qui la casta è limitata I consiglieri provinciali altoatesini stanno bene ma mai quanto i pugliesi. fra.gio.

BOLZANO. L'estate del dibattito sulla "casta" politica sta per finire, ma la discussione sulle spese della classe dirigente è ancora aperta. Domenica scorsa oltre mille persone hanno partecipato alla raccolta firme per la proposta di legge di iniziativa popolare proposta da Beppe Grillo. In coda c'era anche il presidente del consiglio provinciale, Riccardo Dello Sbarba, che nella riunione dei capigruppo affronterà il tema dei costi della politica. Ma quanto costa la politica altoatesina? Ed è possibile fare economia? I cittadini possono trovare alcune risposte alla prima domanda consultando il sito www.parlamentiregionali.it, dov'è pubblicato un rapporto di sintesi e confronto in merito al trattamento economico dei consiglieri regionali in Italia. I consiglieri in Alto Adige ricevono un'indennità netta di 3.287 euro al mese, a cui bisogna aggiungere altri 3.326 euro di rimborsi ai quali vanno sottratti centocinquanta euro per ogni seduta saltata. Insomma, senza fare assenze un semplice consigliere altoatesino o trentino può guadagnare al massimo 6.613 euro. La cifra rientra nella media nazionale. In Friuli Venezia Giulia, regione a statuto speciale, un consigliere regionale riceve un netto fisso di 4.416 euro, mentre i rimborsi oscillano da un minimo di 943 a tetto massimo di 3.259 euro. All'estremo opposto ci sono i politici pugliesi: 6.799 euro il fisso, più 7.030 euro - senza minimi e massimi - per i rimborsi. In provincia di Bolzano ci sono 35 consiglieri, uno ogni 13.782 abitanti, in Friuli 60, uno ogni 20mila cittadini. Le cifre si alzano per il presidente del consiglio e il suo vice che, nella nostra provincia, guadagnano rispettivamente 7.180 e 5.233, a cui bisogna sommare i 3.326 euro di rimborsi. Totale? 10.500 e 8.559. Non sono cifre paragonabili a quelle del presidente del consiglio regionale pugliese (6.799 fisso, un massimo di 12mila euro di rimborsi), ma superano quelle del collega friulano (7.552 euro più 500 euro per le spese)."Abbiamo la possibilità di intevenire sui costi delle istituzioni - dice Dello Sbarba - ci viene chiesto di farlo e possiamo eliminare gli sprechi senza intaccare il buon funzionamento democratico". Le indennità dei consiglieri provinciali vengono pagate con i soldi del bilancio del consiglio regionale, pari a 23 milioni di euro. Il consiglio provinciale ha invece a disposizione un bilancio di sette milioni. Il 44 per cento di questa cifra è dedicata al personale di servizio. Si tratta, in sostanza, del triplo rispetto al Friuli (15%), ma il rapporto pubblicato dal sito evidenzia che l'alta percentuale altoatesina dipende dal fatto che il bilancio del Consiglio non comprende le spese per le retribuzioni dei consiglieri.


 

Il Tirreno 12-9-2007 Pisa Consorzio di bonifica, quanti soldi buttati Le elezioni costano più di 100mila euro ma a votare non ci va quasi nessuno Tra un mese saranno chiamati alle urne 108mila cittadini, due anni fa l'affluenza fu del 2.5%.  Chiara Sillicani.

PISA. Gli italiani non ce la fanno più: la politica costa troppo. Lo dicono in mille modi: disertando le urne, plaudendo al vaffa di Grillo, abbracciando il qualunquismo. A Pisa l'emblema dei costi della politica è diventato il consorzio di bonifica "Ufficio dei fiumi e dei fossi" contro cui si scagliano partiti e cittadini. Lunedì ne ha chiesto l'abolizione lo Sdi, ieri mattina ha seguito l'esempio Rifondazione comunista. è il costo della democrazia, di parlamenti e parlamentini. Come dire, hai la libertà di esprimerti e paghi lo scotto. Ma centomila euro per eleggere il consiglio del Consorzio bonifica sono davvero troppi. Il 6 e il 7 ottobre, infatti, 108mila persone saranno chiamate alle urne per scegliere diciotto consiglieri dell'ufficio fiumi e fossi che si occupa della difesa idraulica del territorio. Saranno allestiti i seggi, sei solo a Pisa e la macchina elettorale si metterà in moto. A costi elevatissimi, si supereranno i 100mila euro e si potrebbero raggiungere i 110mila. Del resto, come risparmiare? Gli elettori sono tanti perché hanno diritto al voto tutti quelli che pagano il canone consortile. Ma c'è da scommettere che saranno davvero pochi quelli che il 6 ottobre rinunceranno alla passeggiata del sabato pomeriggio per andare a votare i consiglieri del consorzio. Due anni fa solo il 2,5% degli aventi diritto ha votato. Poco più di duemila persone su oltre 100mila e non c'è motivo di pensare che questa volta le cose andranno diversamente. Non solo: le scorse elezioni sono state annullate dal Tar per irregolarità e il consorzio è stato commissariato in attesa della nuova tornata elettorale. Insomma, 200mila euro in due anni, solo per le elezioni. Eppure quel consorzio lo mantengono proprio i cittadini con il contributo che versano. Minimo 30 euro, massimo 300 a meno che non abbiano più case o terreni, in tal caso i soldi da sborsare sono di più. Non c'è dubbio che le schede da conteggiare a ottobre saranno due o tre migliaia e non di più. Le altre sette o otto mila finiranno, ancora bianche, nel cestino. Spreco di alberi e di soldi. E non finisce qui perché le elezioni dei membri elettivi non sono l'unica spesa: c'è anche il mantenimento di tutta la struttura. Un consiglio con 18 membri eletti e 17 nominati dalla Provincia, una deputazione, un presidente e un vice presidente. Nelle casse del consorzio, grazie ai contributi dei pisani entrano 6 milioni e 250mila euro e il 25%, oltre un milione e mezzo di euro, se ne va per mantenere l'ente, un po' meno quando arrivano i finanziamenti pubblici. Il presidente si porta a casa 23mila 240 euro lordi l'anno che può cumulare a guadagni di altre attività, al suo vice vanno quasi 11mila euro. I consiglieri prendono un gettone presenza, circa 100 euro lordi a seduta. Ogni seduta costa quindi ai contribuenti 3mila e 500 euro, 21mila l'anno. Nelle spese sono inclusi anche i 34 dipendenti, che anche se non hanno stipendi da favola, sono un costo. Ecco perché qualcuno vuole abolirlo. "Quello che fa il consorzio è indispensabile - dice Andrea Pieroni, presidente della provincia - non si tratta di sopprimere, ma di pensare a riorganizzazioni e riaggregazioni delle funzioni".

 

 


Il Secolo XIX 10-9-2007 Partiti, tassa da 226 milioni Massimiliano Lenzi

 

Duecento milioni di euro. Tanto sono costati agli italiani i partiti nel 2006. E la cifra si riferisce ai soli contributi per il rimborso delle spese elettorali. Il conto sale a 226 milioni e spiccioli se si sommano i fondi pubblici all’editoria di giornali e testate organi di partito (con gruppo parlamentare) erogati nel 2004. In totale fanno 5,80 euro per ogni votante, 3,80 per ogni italiano anche se non vota. Si tratta, seppur in forma di rimborso, di una vera e propria “tassa per i partiti”. Alla faccia del referendum del ’93 che ha detto no ai finanziamenti pubblici alle forze politiche. È una gabella che non trova eguali nelle altre grandi democrazie europee. In Francia il finanziamento pubblico dei partiti costa 73,4 milioni di euro (circa un terzo del nostro): 1,97 euro a votante. In Germania (oltre 20 milioni di abitanti in più dell’Italia) i finanziamenti pubblici alle forze politiche si fermano a 133 milioni, 2,8 euro per ogni votante tedesco (meno della metà di quanto paga l’elettore italiano). Per non parlare della Gran Bretagna, che per mantenere i propri partiti spende solo 0,35 euro per votante.

Nel 2006 i partiti sono costati agli italiani, solo di contributi per rimborso delle spese elettorali, 200 milioni di euro. Questa somma sale a 226 milioni di euro e spiccioli se consideriamo anche i fondi pubblici all’editoria di giornali e testate organi di partito (che abbiano il gruppo parlamentare) erogati nel 2004. Fanno 5,80 euro per ogni votante, 3,80 per ogni italiano anche se non vota. Si tratta, seppur in forma di rimborso, di una vera e propria “tassa sui partiti” che non trova eguali, per quel che riguarda i costi, nelle altre grandi democrazie europee. In Francia, ad esempio, il finanziamento pubblico dei partiti costa 73,4 milioni di euro (circa un terzo del nostro), 1,97 euro a votante che diventano 1,14 se si considerano tutti i cittadini francesi; in Germania, paese che ha oltre 20 milioni di abitanti in più dell’Italia, i soldi pubblici alle forze politiche si fermano a 133 milioni di euro, 2,8 euro a testa per ogni votante tedesco (meno della metà di quanto paga l’elettore italiano) che diventano 1,61 se contiamo anche chi non vota. Per non parlare della Gran Bretagna, modello di democrazia diversa da quelle europee continentali e costruita sul Common Law, che per finanziare i propri partiti spende ventuno volte meno dell’Italia: appena 9,3 milioni di euro, ovvero 0,35 euro per votante che scendono a 0,15 se consideriamo tutti i cittadini britannici, compresi quelli che non vanno alle urne.

Il paragone con le altre grandi democrazie europee, oltre a rilevare una discrepanza tra ciò che accade in Italia e quello che avviene in Francia, Gran Bretagna e Germania, è interessante per almeno due ragioni. La prima: da noi, quando si parla di sprechi e costi eccessivi della politica, la replica che arriva dal Palazzo è che la democrazia ha un prezzo, i partiti sono necessari alla democrazia e chi spulcia le spese è un qualunquista o fa della facile demagogia. Domanda: come mai in Francia, Gran Bretagna e Germania, i partiti prendono un sacco di soldi pubblici in meno rispetto al nostro Paese ma i partiti sono vivi, i leader (leggi Nicolas Sarkozy in Francia, Angela Merkel in Germania, Gordon Brown e Tony Blair in Inghilterra) si rinnovano di generazione in generazione e a nessuno viene in mente di seguire il modello italiano per avere più democrazia e libertà? Il secondo aspetto interessante riguarda la stessa sopravvivenza dei partiti. Da un’inchiesta fatta sui bilanci dei partiti di casa nostra, all’inizio dell’estate di quest’anno, dal quotidiano della Confindustria, Il Sole 24 ore, è saltato fuori un dato significativo: la maggior voce del capitolo entrate dei partiti italiani, senza grandi differenze tra centrodestra e centrosinistra, arriva proprio dai contributi pubblici. Nel 2006 (anno delle elezioni politiche e quindi anche del grosso dei rimborsi elettorali) la voce contributi pubblici ha rappresentato oltre l’82,5% delle entrate del futuro Partito democratico (dato frutto di una media tra quelle dei Ds e quelle della Margherita), l’83% dell’Udc, il 75% per la Casa delle libertà (la cifra è una media tra i dati di Lega, An e Forza Italia), il 98,1% per l’Italia dei Valori e l’86% per i Verdi. Una fotografia, questa, che aiuta a comprendere come mai, dopo il referendum del 1993 per l’abrogazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti (promosso dai Radicali di Marco Pannella) e nonostante la schiacciante maggioranza degli italiani (oltre 31 milioni, pari al 90,2%) abbia detto no ai soldi pubblici per i partiti, la politica abbia tergiversato.

Prima con la leggina del 4 per mille dell’Irpef e poi con la soluzione dei cosiddetti rimborsi elettorali, i più alti d’Europa. Se togliamo quel contributo di quasi 6 euro a testa che ogni italiano paga, i nostri rischiano di perdere più o meno l’80% delle loro entrate. «La situazione è grave ma non seria», direbbe lo scrittore Ennio Flaiano, avvezzo alle furbe morbidezze di Roma: una città imperturbabile, dove (quasi) tutti si chiamano “onorevole”.

 


 

Italia Oggi 8-9-2007 Confronto (con il trucco) con gli altri parlamenti Ue da parte di Montecitorio. La casta si ribella, ci pagano poco e lavoriamo più degli altri di Franco Adriano e Alessandra Ricciardi.

 

Sotto attacco per tanti mesi, prima o poi doveva scattare la ribellione e l'autodifesa. A Montecitorio, la casta ha scelto di affidarsi ai questori che in dossier reso noto soltanto nelle ultime settimane hanno fornito le munizioni ai politici per rispondere colpo su colpo agli assalti dell'anti-politica. Ma lo spirito di corporazione sembra essere prevalso un'altra volta. Così, proprio sui calcoli matematici e sui dati di bilanci che dovrebbero essere obiettivi e incontestabili resta l'impressione che sia stata condotta un'operazione un po' furbetta. Intanto perché confrontando il bilancio della camera con quelli degli omologhi organismi europei si è proceduto a stralciare le voci che non sono presenti in Francia, in Gran Bretagna o un Germania come per esempio i vitalizi o le pensioni per i dipendenti. Nonostante ciò l'Italia resta classificata salda al primo posto. L'unica consolazione rimasta così è stata quella di constatare che non è vero, come hanno scritto alcuni giornali cattivi che le spese del parlamento italiano sarebbero quasi pari alla somma dei tre parlamenti dei paesi già citati più quello spagnolo. Nella relazione introduttiva del questore Gabriele Albonetti in prima commissione Affari costituzionali della camera si vanta la riduzione dei 3100 euro previsti per i viaggi di studio. Poco dopo il deputato Emerenzio Barbieri confiderà: "Credo che facciate molto bene a ridurre i 3100 euro previsti per i viaggi di studio. Infatti, la cosa che nona ccetto è che si confondano coloro che utilizzano questo denaro per motivazioni serie con quelli che utilizzano quanto loro attribuito per andare in ferie all'estero". Una dichiarazione che la dice lunga sull'utilizzo di questo denaro. Un'altra deputata a fare rivelazioni interessanti durante il dibattito sul dossier dei questori, è stata Cinzia Dato. "Non mi sembra casuale", ha spiegato, "la constatazione che spesso i vice-presidenti sono il riferimento di una corrente o i capi di un partito. Ho sospettato, infatti, che la quantità di finanziamenti cui si accede consenta, attraverso questo tipo di carica, di mantenere di fatto un'attività politica". Altra osservazione della Dato. "Esiste tutta una serie di costi duplicati". La parlamentare non riesce a capire, come ha più volte anche sottolineato ItaliaOggi, perché "chi ha a disposizione una macchina per ragioni di servizio debba poter contare sul rimborso del taxi". Lo stesso discorso si potrebbe fare per le spese postali e telefoniche che chi ha incarichi o svolge servizi particolari si vede raddoppiate. Infine, un nota curiosa. Quando era senatrice, sfugge di bocca all'onorevole Dato, il presidente Marcello Pera organizzava "splendide cene con Gianfranco Vissani cuoco, di cui non mi spiegavo la ragione". Ma a centrare il tema della questione è stato solo un neo-parlamentare dell'Idv: Carlo Costantini, il quale ha fatto notare che sono troppe le somme a forfait che vengono assegnate direttamente in mano agli onorevoli senza alcuna rendicontazione. Ciò avviene per i collaboratori e per ogni tipo di rimborso. Senza contare le cifre che l'amministrazione della camera trasferisce ai gruppi parlamentari che in cambio non devono alcuna rendicontazione pubblica. Su questi aspetti naturalmente i vertici di Montecitorio non hanno prodotto alcuna proposta, ma soltanto cercato di difendere lo statu quo. Vediamo come.Bilanci a confronto, ma con il truccoI conti, per farli, bisogna saperli fare. L'indagine conoscitiva della camera è tutta improntata a questo principio, con l'obiettivo di "ristabilire una corretta informazione in una materia nella quale taluni procedono in modo forse affrettato", afferma il questore Gabriele Albonetti. Ed ecco come si fanno i conti, basati su sottrazioni ed esclusioni, in base ai quali la prima commissione della camera, presieduta da Luciano Violante, dimostra che non è vero che i costi del parlamento italiano siano tra i più alti in Europa. Anzi. Di bilancio extra-large della camera si parlerebbe a sproposito. Il confronto è fatto con tre paesi di riferimento: Inghilterra, Francia e Germania. Cominciando con ordine, lo stesso ordine adottato nel documento elaborato dai questori di Montecitorio, emerge per esempio che dal bilancio della camera vanno sottratte le voci vitalizi e pensioni.Vitalizi, un caso quasi tutto italianoTutti i parlamenti presi ad esame dalla commissione riconoscono agli ex deputati un assegno vitalizio. Vitalizi che in Italia in parte sono coperti attraverso il contributo degli onorevoli, per il resto gravano sui bilanci dello stato. La relativa spesa compare solo nei bilanci della camera e del Bundestag tedesco, ma non in quelli dell'assemblea francese e inglese. Poiché gli ex parlamentari francesi e inglesi ricevono l'assegno da appositi enti previdenziali e non dai parlamenti. "Non essendo risultato possibile verificare a quanto ammonti la spesa per assegni vitalizi in Francia e Regno Unito, la corrispondente voce di bilancio è stata sottratta dalle spese correnti della camera (127 milioni di euro nel 2006) e del Bundestag (33 milioni di euro nel 2006)".Pensione dipendenti, un altro caso unicoL'attenzione dei questori poi si concentra sul capitolo pensioni per i dipendenti una volta che cessano dal servizio. La relativa spesa compare nel solo bilancio della camera e, dal 2006 e limitatamente a una categoria di dipendenti, nel bilancio del Bundestag. Per tutti gli altri, è erogata da un apposito ente previdenziale. E così, prima di confrontare i bilanci, nuova defalcazioneda parte della casta: sono stati tolti di mezzo i 158 milioni di euro dai bilanci della camera italiana spesi per le pensioni dei dipendenti. Niente da fare, in italia si spende di piùMa pure cancellando alcune delle voci più pesanti del bilancio l'operazione comunque non è riuscita. Emerge chiaramente infatti che la camera italiana ha comunque il più alto ammontare di spese correnti rispetto agli altri paesi di riferimento: la media annua 2001-06 di Montecitorio è di 634,482 milioni di euro, il 27% in più della Bundestag (500 milioni), il 32% dell'Assemblée Nationale (481, 591 milioni), e ben il 51% in più della House of Commons (421, 224 milioni). Tanto non basta per evitare che i politici nostrani tentino ancora di arrampicarsi sui vetri: "è dunque vero che la camera spende di più, ma questi stessi dati dimostrano come siano destituite di fondamento le affermazioni giornalistiche secondo cui le spese correnti della camera sarebbero pari o quasi pari alla somma di quelle degli altri tre parlamenti, nonché del parlamento spagnolo".Sulle ore lavorate un conto un po' così Ma il vero miracolo a Montecitorio è avvenuto sul calcolo delle ore effettivamente lavorate dai deputati italiani e da quanto costano. Perché, se le spese vengono poste "in relazione all'attività svolta, emerge un quadro differente", risulta che il parlamentare italiano è un lavoratore indefesso. Tanto che il costo medio per giorno di seduta dell'assemblea italiana risulta essere di 4,258 milioni di euro. Quasi la metà rispetto a un giorno di lavoro del Bundestag (8 milioni di euro), e poco più dell'assemblea nazionale francese (3,915 milioni di euro). Ultimi gli inglesi, a quota 2,749 milioni di euro al giorno. Non si tiene conto, però, nella relazione, che i giorni di assemblea non sono calcolati ovunque allo stesso modo. In Inghilterra, ci sono giorni in cui c'è solo sessione di aula e altri in cui c'è solo commissione. In Italia, invece, le due cose vanno di pari passo, nello stesso giorno ci può essere aula e commissione. E un deputato può risultare presente per la giornata di aula mentre lavora in commissione.Quelle somme un po' troppo a forfait C'è poi un'altra differenza tra il sistema italiano e quello in uso nella maggior parte dei paesi europei di cui nella relazione ci si dimentica, e attiene a quei benefici economici di cui godono i deputati a latere dell'indennità. Tranne che per i rimborsi sanitari, in Italia sono dati a forfait, ovvero non necessitano della presentazione di nessuna documentazione prima di essere intascati. Chi non ha il collaboratore, oppure non fa viaggi di studio, per esempio, ha comunque in busta paga i relativi rimborsi previsti. Voci pesanti sulla busta paga del deputato italiano. L'importo mensile dell'indennità è di 5.486,58 euro, al netto delle ritenute. Ma vanno poi sommati: una diaria di 4.003,11 euro mensili, un rimborso per le spese inerenti al rapporto tra eletto ed elettori, di 4.190 euro. Per i trasferimenti dal luogo di residenza all'aeroporto più vicino e tra l'aeroporto di Roma-Fiumicino e Montecitorio, è previsto un rimborso spese trimestrale pari a 3.323,70 euro, per il deputato che deve percorrere fino a 100 km per raggiungere l'aeroporto più vicino al luogo di residenza, e a 3.995,10 euro se la distanza da percorrere è superiore a 100 km.Per i viaggi di studio, c'erano a disposizione 3.100 euro l'anno.Però non si andava troppo per il sottile se il deputato li utilizzava per andare a seguire corsi di lingua oppure se li utilizzava per portare i cari in vacanza all'estero a Ferragosto. In questo caso, almeno, la vergogna ha prevalso. Le spese telefoniche sono rimaste. I deputati hanno a disposizione 3.098,74 annui. Anche in questo caso, senza nessun obbligo di dover presentare le ricevute. Una bella differenza rispetto a paesi come l'Inghilterra, in cui tutto deve essere registrato e dimostrato. Così succede che in Italia a beneficiarne siano anche coloro che per servizio o altro incarico usufruiscono già di cellulari di servizio.

 


 

La Repubblica 5-9-2007 IL CASO Il parco vetture rientra nel piano di risparmi. Ma Santagata minimizza: "Sono meno di cinquecento" Al ministero tutti con l'autista l'infinita giungla delle auto blu. (l. i.).

 

ROMA - Non è il segreto di Stato meglio custodito, ma quasi. Capire quante sono le auto blu è impossibile, affermare che saranno ridotte può suonare velleitario. Nemmeno lo Stato sa di preciso quanto paga per le auto di rappresentanza. Si può procedere solo per sottrazione: 574 mila autoveicoli è l'immenso parco di mezzi pubblici (di proprietà e noleggio). Tra queste 150 mila sono le auto in dotazione a ministeri e enti locali di cui 43.481 a disposizione delle amministrazioni centrali. Quest'ultimo numero arriva dal censimento ufficiale del ministero dell'Economia realizzato in previsione di un taglio. Ma i singoli ministeri ed enti che hanno fornito i dati hanno anche chiarito come fossero tutte necessarie. Infatti l'auto blu, come tutti ce la immaginiamo, a disposizione di politici e dirigenti pubblici, viene nascosta tra le altre vetture di servizio: lo stesso ministero di via XX settembre dichiara 8929 vetture, ma 8489 sono della Guardia di Finanza. Al Viminale sulle 22.967 oltre il 90% sono della polizia e vigili del fuoco. Non sorprende che tutte le Finanziarie dal 2004 in poi contenevano misure di contenimento della spesa o di riduzione e che tutte abbiano mancato gli obiettivi di maggior rigore. L'unica cosa su cui sono tutti d'accordo è che l'auto per meriti "istituzionali" sia lo status symbol più odioso agli occhi degli italiani, tanto che persino il segretario dei Ds, Piero Fassino, con certo incline alle uscite populiste, per contrastare le critiche alla casta dei politici ha fatto notare come in "un ministero (quello degli Esteri, ndr) tutti i 20 direttori generali hanno l'auto blu. Mi chiedo se non possano andare al lavoro con la loro auto come fanno tutti gli italiani. Tra l'altro, là c'è anche un ampio parcheggio". Potrebbero, così come potrebbero imitarli quel migliaio di altri dirigenti, ministri, sottosegretari che hanno un auto ad uso "esclusivo". L'elenco è lungo: 25 al ministero dell'Economia, 10 alla Difesa, 5 allo Sviluppo economico, 36 agli Esteri, 5 ai Beni culturali, 69 tra Infrastrutture e Trasporti, 3 alle Politiche Agricole. Più difficile contare all'Interno (per il discorso delle auto della polizia) e alla Giustizia dove il dato, 712, comprende anche le auto per i magistrati sotto scorta. La presidenza del Consiglio supera di poco le 100 unità, il Quirinale arriva a 26. L'unico ottimista sembra essere il ministro per l'attuazione del programma Giulio Santagata: "In tutta l'amministrazione compresi i livelli periferici, come le prefetture corrisponde a meno di 500. I costi sono in diminuzione sin dal governo Berlusconi, noi abbiamo accelerato". Accelerazione incredibile visto che solo due mesi fa lo stesso ministro precisava che sono 756. Ma se l'uscita del segretario Ds doveva servire a togliere i politici dal mirino l'argomento non è dei migliori visto che presidenti di Camera e Senato, vicepresidenti e presidenti di commissione hanno diritto a questo benefit (cioè 80 macchine). Ogni sforzo di contenimento poi realizzato dal governo rischia di essere vanificato dalla corsa delle auto di servizio a cui si assiste a livello locale sono proprio presidenti, assessori e consiglieri di comuni, province e regioni a puntare decisi verso il traguardo di "un auto-un eletto". Nella regione Lombardia sono 54, nel Lazio 76, 60 in Campania solo per citare le più generose. (l. i.).


L’Unità 5-9-2007 "Sui costi della politica andiamo fino in fondo" Santagata: il provvedimento dei tagli lo metteremo in Finanziaria di Simone Collini

 

/Bologna IL CONFINE Va bene parlare di riduzione dei costi della politica. Ma sapendo qual è il confine tra la risposta alla domanda "lo Stato produce in ma niera adeguata rispetto a quello che costa?", che è quella da porsi, e la demagogia. Ne parlano alla Festa nazionale dell'Unità Giulio Santagata, Ugo Sposetti, Mercedes Bresso, Walter Vitali e Leonardo Domenici. Le auto blu, per dirne una. Il ministro per l'Attuazione del programma Santagata si dice stanco di leggere, come ha scritto quest'estate un quotidiano, che a metterle in fila una davanti all'altra si arriva sulla luna: "Sapete quante sono le auto blu? Meno di 500". Non solo. "Se un tempo erano tutte di proprietà dello Stato oggi molte sono in leasing, che dal punto di vista dei costi fa differenza. E poi non stiamo parlando solo di Mercedes o Lancia 166. Dirigenti del ministero dell'Economia viaggiano con la Punto". E' un esempio. Ma serve al ministro per spiegare che un conto sono i pour parler, un conto le risposte, serie, da dare a un problema che esiste: "Capisco che siamo a caccia di piccoli e grandi esempi, ma se ci facciamo prendere da queste cose non vediamo il problema vero. Non vorrei che a furia di parlare di costi della politica in questo modo si finisca per far fare i parlamentari solo ai ricchi". Pochi come Santagata sanno però che la questione è reale, e va affrontata. E' a lui che Prodi ha affidato il compito di scrivere un disegno di legge che riduca il costo della politica. Il testo è pronto, e prevede un taglio di un miliardo e trecento milioni di euro. Il provvedimento non ha vita facilissima. Ora dovrà affrontare un ultimo passaggio in conferenza unificata con enti locali e regioni. "Fatto questo, decideremo se dargli vita autonoma o infilarlo in Finanziaria", spiega il ministro per l'Attuazione del programma. Ma tanto Santagata quanto lo stesso Prodi sanno che il disegno di legge, che tocca tanti interessi, va in qualche modo blindato e accompagnato verso il traguardo dell'approvazione. Ma quello della riduzione dei costi della politica è un problema che si pongono anche gli amministratori locali. Domenici aveva proposto una riduzione dei componenti delle assemblee elettive e delle giunte del 25% dei componenti. Proposta caduta nel vuoto. Per di più, con la Regione Toscana che è andata nella direzione opposta. E oggi il sindaco di Firenze giudica "improvvido il passaggio da 50 a 65 consiglieri regionali" nella sua regione. Anche la presidente del Piemonte Bresso giudica un problema reale su cui intervenire il numero e la retribuzione delle assemblee e degli esecutivi locali. Ma aggiunge anche che ci sono settori in cui bisogna introdurre una trasparenza che oggi non c'è. "Possibile che non sia nota la retribuzione di un direttore di Asl?". Quel che è certo e che, se pure fosse conosciuta e se pure fosse eccessivamente alta (la Bresso assicura che si tratta di stipendi superiori a quelli dei presidenti delle Regioni che li nominano) non sarebbe possibile intervenire perché c'è un contratto nazionale sul quale gli enti locali nulla possono.


 

L’Opinione 4-9-2007 Sprechi e dintorni La burocrazia che ci meritiamo di Romano Bracalini

 

Nel 1947 quattro deputati di un partito di centro presentarono un emendamento alla nuova Costituzione che stava per essere varata in forma solenne. L’emendamento diceva: ”La Repubblica garantisce la partenza e l’arrivo in orario dei treni. L’orario ferroviario è allegato alla presente Costituzione”. Si trattava di una proposta seria che però venne cestinata perché non portava il numero previsto di firmatari. Fu così che i treni della repubblica poterono partire e arrivare in ritardo, mentre nel deprecato Ventennio ne era stato garantito il corretto funzionamento. Qualcosa per strada si perde sempre! L’episodio mi è tornato in mente leggendo che la nostra burocrazia costa mediamente al cittadino 5.564 euro all’anno, secondo i dati pubblicati dalla società CGIA di Mestre. Se si fa il conto del costo complessivo della burocrazia in un anno (dato del 2006) si arriva a 13.713 miliardi di euro. Il dato era una buona occasione per confrontare il costo esorbitante del burocrate col pessimo servizio che rende al cittadino.

Ma i grandi giornali hanno praticamente occultato la notizia, dopo aver osservato solamente e alla svelta che l’Italia non è prima, come forse qualche maligno opina, è invece seconda nella classifica, dopo la Francia (5.576 euro), seguita da Gran Bretagna (5.182 Euro), Germania e Spagna, che vanta la burocrazia meno cara d’Europa. Non ci sono più le burocrazie scalcinate e tiranniche dell’impero ottomano e sovietico che facevano passare quasi per moderna la nostra burocrazia borbonica subentrata a quella piemontese, lenta ma onesta. Giovanni Giolitti andava al ministero col tram per risparmiare. Quintino Sella, tessile piemontese ,fece della parsimonia un modello di virtù politica, di cui s’è perso lo stampo. Ci si permetterà nel silenzio accorto della stampa di regime di ricordare due o tre cose e che l’essere secondi, dopo la Francia, aumenta e non diminuisce, la nostra umiliazione e senso di vergogna.

In Francia i grandi “Commis d’etat” vengono dalla prestigiosa scuola di amministrazione; gli amministratori delle aziende pubbliche italiane hanno fatto carriera nei partiti o nei sindacati, come l’attuale amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, Moretti, che guadagna 800.000 euro l’anno, senza alcun beneficio per il trasporto ferroviario. Le ferrovie italiane, oltre che in perenne ritardo sull’orario che le stesse ferrovie hanno disegnato e non rispettano, godono del privilegio unico e singolare di avere il più alto numero di dipendenti in Europa, il doppio dei dipendenti della Francia che ha una rete ferroviaria che è il doppio di quella dell’Italia. Abbiamo 9.000 macchinisti di troppo e, contrariamente alla norma europea, utilizziamo due macchinisti alla guida del locomotore invece di uno, come avviene in Francia, Germania ,Gran Bretagna e Spagna. Qualcuno può spiegarci perché? E qualcuno può spiegarci perché i familiari dei ferrovieri viaggiano gratis in prima classe su tutta la rete ferroviaria? Erano gli stessi privilegi corporativi che gli statali godevano sotto il fascismo. La repubblica non li ha aboliti ritenendoli evidentemente non in contrasto con l’antifascismo.

Alla fine dell’Ottocento lo scrittore lombardo Carlo Dossi, segretario particolare di Crispi, in visita in Danimarca osservò che un ministero italiano poteva contenerne almeno quattro danesi. Il nostro ministero delle finanze ,che ha il compito di rastrellare i soldi del contribuente, ha otto volte il numero dei dipendenti degli stessi dicasteri degli Stati Uniti e del Giappone. Un numero così alto di zelanti e occhiuti burocrati presuppone una lotta disperata e senza quartiere. Ma nella lotta agli evasori non si dovrebbe escludere lo Stato inadempiente e moroso, che prende, sperpera e non restituisce. Gli Stati Uniti hanno 2 milioni dipendenti pubblici, l’Italia con un quarto di abitanti, 5 milioni. La quantità non vuol dire qualità. I burocrati sono inamovibili. Non li licenzia nessuno. Godono dell’orario unico, sconosciuto in Europa, col telefono a disposizione. Il politico passa, il burocrate resta. Lo stile burocratico evita al funzionario le responsabilità più gravi ed esige la sua disposizione a lavorare per chiunque abbia saputo impadronirsi del potere.

Nel 1945-46 la burocrazia italiana, capidivisione, magistrati, esercito, polizia, giurarono fedeltà alla repubblica, come l’avevano giurata al fascismo. E l’Italia repubblicana e antifascista si ritrovò con la medesima burocrazia di prima. Solo che nel 1938 gli impiegati nei ministeri erano 76.000; nel 1948 erano diventati 151.880 e nel 1968 206.454, reclutati per il 77% nel Mezzogiorno dove all’attività di rischio si preferisce di gran lunga il “posto sicuro” e l’autorità e il decoro della divisa. In America “l’ethos” antitributario s’era manifestato con le rivolte delle Colonie contro la Corona d’Inghilterra, che inviava sciami di funzionari a vessare i cittadini. Contro il pericolo di una casta burocratica prepotente e inamovibile si tentò di rimediare con lo “spoil sistem”, ovvero con i burocrati di nomina politica. Lo “spoil sistem” diede luogo a corruzione, favoritismi, clientele. Fu il presidente Theodore Roosevelt a riformare profondamente il metodo d’accesso alla carriera statale in base alla competenza indipendentemente dalle protezioni politiche. Da noi nulla di tutto questo. Il reclutamento avviene per concorso, come nella Russia di Gogol, concorso che non assicura né la qualità né la competenza. Nel rapporto di un alto funzionario di ministero si leggeva: “La preparazione è scarsissima, al punto che un dirigente è arrivato a scrivere, su un documento ufficiale:”i parenti della salma….

”.

 


Italia Oggi 4-9-2007 Signori, ecco Mutuopoli Rate oltre gli 80 anni, tassi di favore. Così i politici hanno comprato casa.  di Franco Bechis

 

Sarà perché l'hanno visto così asciutto e morigerato, ma Piero Fassino ispira fiducia. Tanto che una banca lo ha ritenuto meritevole di credito fino alla vigilia del compimento del suo ottantatreesimo anno di età. Nel 2032 infatti scadrà l'ultima rata del mutuo venticinquennale concesso dal Monte dei Paschi di Siena per l'acquisto della seconda casa dell'ultimo segretario Ds, il buen retiro di Scansano dove respirare aria buona e passare in serenità i weekend con la consorte e consocia Anna Serafini. Condizioni particolari, ma meglio ancora quelle fatte dal Banco di Napoli per l'acquisto della residenza romana della coppia, in piazza delle Coppelle. Non è una rarità. Quasi tutti i politici hanno comprato casa così (...) (...) Quando la scorsa settimana è esplosa "Casa nostra", grazie a un lungo servizio del settimanale L'Espresso, poi ripreso da molti quotidiani, per tutti è stata una sorpresa. Non per i lettori di ItaliaOggi che in un anno avevano già letto gran parte di quelle primizie, con dovizia di particolari. Per questo abbiamo deciso di offrire un servizio in più, rintracciando i contratti di mutuo con numerosi istituti bancari stipulati dagli stessi uomini politici di cui avevamo raccontato gli investimenti sul mattone. Ed è venuto fuori quel che era immaginabile: se gli sconti ottenuti da enti previdenziali e società private, come sostengono i diretti interessati, erano simili a quelli di altri inquilini con diritto di prelazione, certamente le condizioni ottenute dalle banche per i mutui fondiari o ipotecari sono state ben diverse da quelle reperibili sul mercato da cittadini comuni. Lo sconto extra arriva da lì, e si unisce a investimenti sul mattone di un certo valore assoluto. Da Rosy Bindi a Walter Veltroni (per mezzo della legittima consorte), da Fassino a Massimo D'Alema, da Lorenzo Cesa a Fausto Bertinotti (anche lui tramite la legittima consorte, Gabriella Fagno) si sono tutti indebitati fino al collo e per lunghi anni pur di avere prima, seconda e talvolta terza casa. Nel solo caso di Fassino si tratta di due investimenti superiori al milione e mezzo di euro. Che verranno pagati (è il caso di tutti) con comode rate e interessi di un punto medio meno di quelli di mercato. Ma che soprattutto la dicono lunga sia sulla capacità di risparmio di questi leader politici (non è da tutti mettere da parte anche solo quote di capitale così consistenti), sia sulla possibilità di riforme dei costi della politica. Impossibile, perché se il parlamento decidesse mai di tagliare i vitalizi a questi signori, di fronte a Montecitorio e a palazzo Madama si troverebbero i principali banchieri in piazza, certi di perdere le ricche rate di mutuo dei prossimi decenni. La casta si tiene su così, per interessi intrecciati che vanno ben al di là dei loro confini. Possiamo scriverne fino alla nausea, ma non cambierà nulla. Perché privilegi e poteri sono solo la cima di una piramide infinita...Franco Bechis.


Dagospia 30-8-2007 Marco Lillo per “L’espresso” in edicola domani (ha collaborato Laura Venuti) - DA AFFITTOPOLI A COMPROPOLI, LO SCHIFO E’ BREVE: CASE REGALATE ALLA CASTA. VELTRONI: 190 METRI IN CENTRO PER 377 MILA EURO - A CASINI-MOGLIE UNA PALAZZINA - A MARINI DUE PIANI DI UNA PALAZZINA AI PARIOLI – MASTELLA HA BEN 5 APPARTAMENTI.

 

 Ci sono ministri e leader di partito, ex presidenti del Parlamento e della Repubblica, magistrati e giornalisti. La nazionale dell’acquisto immobiliare scontato è talmente vasta e assortita che ci si potrebbe fare un ottimo governo di coalizione. Si va dall’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga ai presidenti della Camera e del Senato del primo governo Prodi: Luciano Violante e Nicola Mancino.

 

Dalla famiglia del presidente dell’Udc Pier Ferdinando Casini a quella del ministro della Giustizia Clemente Mastella passando per la figlia del deputato di An Francesco Proietti. C’è il candidato leader del Partito democratico, Walter Veltroni e il presidente del Senato Franco Marini. Non mancano la Borsa, con il presidente della Consob Lamberto Cardia e il mondo del lavoro con il segretario della Cisl Raffaele Bonanni. C’è il senatore Udc Mario Baccini e il responsabile della Margherita in Sicilia Salvatore Cardinale. Situazioni diverse tra loro che talvolta convivono nello stesso palazzo.

Prendiamo lo stabile Inpdai di via Velletri, a due passi da via Veneto. Al primo piano la moglie di Walter Veltroni ha comprato più o meno allo stesso prezzo pagato dall’ex sottosegretario Marianna Li Calzi che abita al quarto. Ma le due storie sono diverse. Li Calzi ha ottenuto il suo attico alla vigilia della svendita a seguito di una discussa procedura pubblica. Veltroni invece è nato nelle case dell’ente previdenziale dei dirigenti. L’Inpdai aveva affittato sin dal 1956 un appartamento al padre, dirigente Rai. Nel 1994 i Veltroni restituirono all’ente i due alloggi nei quali vivevano Walter e la mamma per averne in cambio uno più grande, il famoso primo piano di via Velletri da 190 metri quadrati che nel 2005 è stato acquistato dalla moglie del sindaco, Flavia Prisco, per 373 mila euro. Il prezzo è basso per effetto non di un’elargizione personale ma per il meccanismo degli sconti collettivi concessi a tutti allo stesso modo.

Altra cosa ancora sono gli acquisti delle case dell’Ina ora finite a Generali e Pirelli. Questi colossi privati in alcuni casi si sono comportati come spietati alfieri del libero mercato. Altre volte hanno fatto prezzi bassi per blocchi di appartamenti  finiti poi a famiglie dai nomi noti come Mastella e Casini. Scelte discutibili per società quotate in Borsa come Pirelli e Generali che dovrebbero puntare solo al profitto e che, evidentemente, hanno pensato di fare gli interessi dei propri azionisti cedendo appartamenti ai politici e ai loro amici a valori bassi.

Insomma, ci sono differenze radicali tra venditore privato e ente pubblico ma anche all’interno delle due categorie. Se non bisogna far di tutta l’erba un fascio però ci sono due cose che accomunano i protagonisti della nostra inchiesta: sono potenti che hanno pagato troppo poco ieri per l’affitto e oggi per l’acquisto. Inoltre nella maggioranza dei casi in quegli immobili sono entrati grazie a conoscenze, entrature e amicizie. Questa disparità di trattamento con i comuni mortali non è una novità. Emerse con violenza populista nel 1996 durante il primo Governo Prodi grazie alla campagna “Affittopoli” de “il Giornale” di Vittorio Feltri.

Oggi quegli stessi immobili affittati dieci anni fa ad equo canone sono stati svenduti definitivamente e il privilegio è stato reso eterno. Per fare qualche esempio: Lamberto Cardia, presidente Consob, pagava 1 milione e 100 mila lire al mese di affitto nel 1996 e ha comprato nel 2002 a 328 mila euro 10 vani e due posti auto a due passi dal Palaeur. Maura Cossutta, onorevole dei Comunisti Italiani, pagava 1 milione e 50 mila lire allora e compra nel 2004 quattro camere, due bagni e balconi a due passi da San Pietro a 165 mila euro. Franco Marini pagava 1 milione e 700 mila lire allora e compra nel 2007 a un milione di euro due piani ai Parioli. A rendere “svendopoli” ancora più odiosa di “affittopoli” c’è il peggioramento drastico del mercato della casa.

Il trattamento di favore diventa un’offesa insopportabile per chi è costretto a combattere ogni giorno con l’ufficiale giudiziario che vuole sfrattarlo. Per capire “svendopoli” bisogna iniziare il nostro viaggio da via Clitunno, nel quartiere Trieste. In questa strada immersa nel verde, ci sono due palazzi che facevano parte del patrimonio Ina-Assitalia e che rappresentano bene il confine tra i sommersi e i salvati delle dismissioni. Lì abitava, prima della separazione, Pier Ferdinando Casini con la prima moglie Roberta Lubich e le due figlie minorenni. Nello stabile accanto abitava una coppia di dipendenti Assitalia: Davide Morchio e la moglie Maria Teresa.

Negli anni Novanta le famiglie Morchio e Casini sono uguali: entrambi inquilini delle Generali, pagano un canone basso e sperano di poter comprare l’appartamento con lo sconto. Poi arrivano le vendite tanto attese e l’uguaglianza svanisce: la famiglia Lubich-Casini rileva a prezzi di saldo tutto il palazzo. Morchio insieme ad altre 19 famiglie deve andar via. Nessuna offerta per lui dalla nuova proprietà, che per ironia della sorte è Caltagirone, il nuovo suocero di Casini. Gran parte degli inquilini, come l’ex ministro verde Edo Ronchi che può permettersi di comprare lì vicino, lascia il campo. La famiglia Morchio invece resiste all’ufficiale giudiziario che chiede l’intervento della forza pubblica. «Abbiamo un contratto che ci dà il diritto di prelazione», spiega Davide Morchio, «ed è stato ignorato. Nel palazzo vicino hanno potuto comprare a prezzi di favore. È un’ingiustizia».

Anche l’immobile dove vive la prima moglie di Casini è stato ceduto in blocco ma con una procedura atipica. Ha comprato a un prezzo basso, 1 milione e 750 mila euro, la Clitunno Spa, società creata appositamente da un manager bolognese di area Udc, amico di Casini e della prima moglie. Si chiama Franco Corlaita e ha già rivenduto tutto. Indovinate a chi? Alla famiglia Lubich. Nel novembre del 2006 la mamma di Roberta compra per 586 mila euro il secondo piano. Ad aprile del 2007 la prima moglie di Casini compra il piano terra, a 323 mila euro. Passano due mesi e il 21 giugno scorso l’operazione si chiude con la cessione alle due figlie minori di Casini del terzo piano (306 mila euro per 5 vani catastali) e del primo piano (8,5 vani per 586 mila euro).

Casini partecipa all’atto (mediante un procuratore) in qualità di genitore anche se il notaio precisa che paga tutto la moglie. Per convincere il giudice tutelare ad autorizzare la stipula dell’atto, i genitori presentano una perizia da cui risulta che l’acquisto è “molto conveniente”. Generali non fa una piega. Inutile dire che gli inquilini del palazzo vicino sono infuriati e ipotizzano una simulazione dietro questo strano giro. Nella sostanza, dicono, la famiglia Casini ha comprato con lo sconto e noi no. Alla beffa contro i vicini, si aggiunge quella agli inquilini, senza alcuna distinzione di rango. Al primo piano del palazzetto Lubich-Casini vive in affitto Roberto Barbieri, senatore del centrosinistra e presidente della Commissione parlamentare sui rifiuti. Paga un canone di ben 3 mila euro ma è stato trattato come gli altri. Nessuno gli ha detto che il suo appartamento è diventato della figlia di Casini. Nessuno gli ha proposto l’acquisto a 586 mila euro. Con tremila euro al mese avrebbe potuto accendere un mutuo per comprare. Invece a maggio del 2008 dovrà lasciare.

Anche il caso della famiglia Mastella dimostra che non sempre le società private sono così cattive. Il ministro della Giustizia abita all’ottavo piano di un palazzo sul lungotevere Flaminio che ha fatto la stesa trafila di quello di via Clitunno. Da Ina-Assitalia a Initium, società di Pirelli e Generali. Initium è proprietaria anche dei condomini di via Nicolai alla Balduina, dove abita l’ex ministro Baccini e di via Visconti a Prati, dove vive Francesco Cossiga. Gli inquilini di questi palazzi non sono stati trattati come quelli di via Clitunno. Stavolta Initium ha concesso prelazione e sconto. Così nel 2004 Baccini ha comprato la sua reggia da 15 vani, due terrazze e 4 bagni per 875 mila euro e Cossiga è diventato proprietario di casa, soffitta e magazzino per 710 mila euro.

Nel caso di Mastella però Initium ha fatto di più. Il 3 dicembre del 2004 nello studio del notaio Claudio Togna (dell’Udeur anche lui) c’era una riunione familiare. I Mastella al gran completo facevano la fila per stipulare atti e il povero Togna sfornava atti come una pizzeria di Ceppaloni. Sandra Mastella ha comprato l’appartamento dove dorme il marito e si è impegnata a prendere la residenza lì per ottenere le agevolazioni fiscali. Per lei un ottimo affare: 500 mila euro per un appartamento che include una veranda abusiva (condonata) e la terrazza su tre lati che guarda il Tevere e Monte Mario dall’ottavo piano. Subito dopo la moglie del ministro ecco arrivare i figli Elio e Pellegrino. Comprano altri quattro appartamenti, due a testa. I prezzi erano davvero allettanti. A Pellegrino vanno il primo piano da 4,5 vani per 175 mila euro e altri 6 vani al quarto piano per 300 mila euro. Va ancora meglio al fratello che si accaparra un terzo piano con 5,5 vani per soli 200 mila euro e un miniappartamento con ingresso, camera, bagno e terrazza a livello per 67.500 euro, nemmeno il costo di un box in periferia. Le case sono state pagate in gran parte grazie ai mutui concessi da San Paolo (400 mila euro alla moglie) e Bnl (un milione e 100 mila euro ai figli che dovranno versare una rata mensile di 6.430 euro). E che nessuno vada in giro più a dire che Initium è cattiva con gli inquilini.

Anche Francesca Proietti, socia di Daniela Fini e figlia di Francesco, deputato di An e braccio destro di Gianfranco, ha comprato un appartamento a un prezzo d’occasione: 267 mila euro per un secondo piano con terrazza su tre lati, salone e due camere all’Eur. Sempre dal patrimonio ex Ina arrivano  gli immobili di Nicola Mancino e Luciano Violante. L’ex magistrato torinese ha pagato con la moglie 327 mila euro nel 2003 un gioiello incastonato tra i Fori Imperiali e piazza Venezia: due terrazzette, tre livelli e una settantina di metri quadrati coperti. Nicola Mancino ha comprato insieme alla figlia Chiara nel 2001 una dimora da 10 vani più una soffitta autonoma su Corso Rinascimento, a due passi dal Senato per 1 miliardo e 550 mila lire del vecchio conio.

 

Sempre dal gruppo Pirelli Giuliano Ferrara ha acquistato l’appartamento ex Ina da 7,5 vani in piazza dell’Emporio al Testaccio nel palazzo che un tempo veniva chiamato “il Cremlino” per l’alta percentuale di comunisti. Ferrara, che un tempo tuonava contro De Mita per il suo affitto a Fontana di Trevi, ha rilevato un sesto piano con terrazzo a 890 mila euro. Molto più bassi i prezzi praticati dagli enti previdenziali. Grazie al doppio sconto (30 per cento più 15 a chi compra tutto il palazzo) le parlamentari Franca Chiaromonte e Maura Cossutta hanno stipulato un atto collettivo per due appartamenti in via della stazione San Pietro rispettivamente per 113 mila e 165 mila euro.

Notevole anche il caso di Raffaele Bonanni. Il segretario della Cisl ha conquistato nel 2005 un grande appartamento dell’Inps al sesto piano in via del Perugino, nel cuore del quartiere Flaminio: otto vani a 201 mila euro. Con quella cifra in zona si compra solo un garage. L’anno scorso ha fatto il colpo del secolo anche l’ex ministro e deputato della Margherita siciliana Totò Cardinale. In via degli Avignonesi, una strada bellissima tra il Tritone e via Veneto, ha messo le mani su un terzo piano da otto vani con affaccio su via delle Quattro Fontane : un gioiellino da due milioni sul mercato libero portato via per 844 mila euro. L’ultimo è stato Franco Marini.

Il presidente del Senato ha stipulato il rogito il 23 aprile scorso. Un milione di euro per aggiudicarsi la casa assegnata alla moglie dall’Inpdai in via Lima: due livelli per 14 vani nel cuore dei Parioli. Se Marini è il politico che ha pagato il prezzo più alto (per una casa che vale comunque il doppio) l’oscar del rapporto qualità-prezzo spetta al senatore Udc Francesco Pionati. L’uomo che ha sfornato per anni pastoni per i telespettatori del Tg1 ha comprato un attico e superattico da favola in via Traversari. L’appartamento è aggrappato alla collina di Monteverde ed è affacciato su Trastevere. Grazie al solito doppio sconto ha speso un’inezia. L’allora mezzobusto del Tg uno aveva fatto ricorso al Tar per ridurre ulteriormente la valutazione e in Parlamento gli amici dell’Udc avevano presentato pure un’interrogazione parlamentare per contestare il prezzo esorbitante: 509 milioni di lire nel 2001 per 10 vani con doppia terrazza. Sì, un prezzo veramente scandaloso.

 

QUEI FIGLI DI PAPÀ IN VIA ARENULA

Il motto dell’Udeur è “la famiglia prima di tutto”. Clemente Mastella lo ha applicato alla lettera quando si è trovato di fronte a una grande occasione: acquistare a un ottimo prezzo l’appartamento che ospita la redazione del giornale del partito. Invece di intestare tutto all’Udeur, il segretario ha preferito far comprare alla società dei figli, Elio e Pellegrino. Permettendo loro un vero affarone. Se vendessero oggi potrebbero incassare una plusvalenza da un milione di euro.

Tutto inizia il 7 aprile del 2005 quando il consorzio che cura le vendite dell’Inail scrive all’Udeur, in qualità di inquilino, per offrirgli di acquistare l’appartamento dove ha sede il giornale del partito al prezzo di un milione e 452 mila euro più Iva. Prendere o lasciare. Mastella prende e fa bene. Stiamo parlando del quarto piano di Largo Arenula 34, pienissimo centro con affaccio su Largo Argentina. Un appartamento quasi identico, al primo piano dello stesso stabile, è stato ceduto nel 2006 dall’Inail a 1,4 milioni ed è stato rivenduto nel 2007 per 2 milioni e 350 mila più 100 mila euro di commissioni. La letterina che offre l’acquisto all’Udeur equivale a un assegno circolare che andrebbe incassato subito. La prelazione spetta al partito, che è intestatario del contratto di locazione. Stranamente invece l’Udeur comincia un balletto di sigle e lettere.

Prima sembra che acquisti “Il Campanile nuovo” la cooperativa che edita il giornale. Poi invece acquista la società “Il campanile Srl”. Tra le due c’è una bella differenza. Nel lontano 2001 anche “Il campanile Srl” era la casa editrice del quotidiano ma ora, a dispetto del nome, è diventata qualcosa di ben diverso. Dopo aver incassato 480 mila euro di contributi per coprire i costi affrontati per il quotidiano nel 2000-2001, ha ceduto il campo alla cooperativa, come vuole la nuova legge. La srl “Il campanile” sembrava destinata alla rottamazione quando Clemente Mastella la ricicla per comprare l’appartamento di largo Arenula. L’atto doveva essere fatto entro ottobre del 2005 ma prima di firmare il segretario cambia opportunamente i connotati alla società. Il Campanile, diventa una società della sua famiglia.

 

Prima era intestata a Tancredi Cimmino, l’ex tesoriere che nell’aprile del 2006 si candida con Di Pietro e viene trombato. Dopo le elezioni, nel maggio del 2006, Cimmino cede tutto a Clemente Mastella (che già aveva un 10 per cento della società). Pochi giorni dopo il ministro della Giustizia gira le quote ai figli, Pellegrino ed Elio. Ora tutto è pronto per il grande acquisto. Il 10 luglio 2006 finalmente la società dei Mastella compra l’appartamento al quarto piano. Non basta. La srl cambia oggetto e si trasforma da semplice società editrice in azienda a tutto campo che può occuparsi di giornali ma anche di acquisizioni immobiliari, pubblicità, import-export, ristrutturazione di casali, attività turistiche e finanziarie. Poi muta anche il nome: ora si chiama “Servizi e Sviluppo”.

Una volta acquisita la sede, addio Campanile. Oggi i figli di Mastella sono proprietari dell’appartamento e il giornale (che aveva più diritto di loro a comprare) è solo l’inquilino. Alla fine di questo giro tortuoso sono due le cose che sorprendono: una società finanziata dallo Stato con 480 mila euro nel biennio 2000-2001 per editare la testata del partito è diventata nel 2006 l’immobiliare privata dei figli del leader, scavalcando ogni distinzione tra interessi pubblici e affari privati che, anche in un partito a conduzione familiare, dovrebbe restare sacra. Inoltre la società di Pellegrino ed Elio ha fatto l’affare della sua vita grazie alla rinuncia del partito di papà a esercitare un suo diritto. «Non c’è nulla di strano», dice il tesoriere dell’Udeur Pierpaolo Sganga, «l’acquisto è stato fatto senza alcuno sconto e senza alcun favoritismo, seguendo rigorosamente le procedure stabilite».

Sganga annuncia che il partito sta per concludere un secondo colpo, ancora più grande, nello stesso palazzo. Anche i due appartamenti del secondo piano che ospitano la sede nazionale dell’Udeur presto saranno venduti all’inquilino. Un affarone che vale il doppio di quello già concluso: sono 21 vani contro i 9 dell’appartamento del quarto piano. Stavolta chi comprerà? Dalle carte depositate in conservatoria spunta una lettera dell’Inail del 2005 nella quale l’ente riconosce la prelazione per questi appartamenti, come per quello già venduto, alla solita società “Il campanile Srl” oggi “Servizi e Sviluppo” dei Mastella. A “L’espresso” il tesoriere Sganga giura: «Comprerà l’Udeur».

 

AAA VENDESI MA SOLTANTO AI PRIVILEGIATI

 

1 PIER FERDINANDO CASINI

presidente Udc

Via Clitunno (zona Trieste)

Il palazzo nel quale (fino al 1999) Casini viveva in affitto con la prima moglie Roberta Lubich e le figlie è stato ceduto a fine 2005 da Generali a una società di un amico di famiglia. I 5 appartamenti che lo compongono sono stati poi girati all’ex moglie (due interni), alle due figlie (uno per ciascuna) e alla ex suocera del presidente dell’Udc. Per un totale di 30 vani catastali

totale 1,8 milioni di euro

Anno 2005-2007

stima zona 2006

fonte Agenzia del territorio 5100/6900 euro mq

 

2 WALTER VELTRONI

sindaco di Roma, candidato segretario Pd

Via Velletri (piazza Fiume)

acquistato dalla moglie dalla Scip ex Inpdai. Primo piano, 8,5 vani, (ingresso, 5 camere e accessori per 190 mq) posto auto e cantina anno 2005

377 mila euro

stima zona 2006 4900/6400 euro mq

 

3 MARIANNA LI CALZI

ex deputato Fi ed ex sottosegretario alla Giustizia

Via Velletri (piazza Fiume)

acquisto da Scip ex Inpdai. Attico da 190 metri per 10,5 vani (doppio ingresso, salone, 5 camere, cucina, tre bagni, ripostiglio e terrazza) con cantina da 18 mq anno 2005

366 mila euro

stima zona 2006 4900/6400 euro mq

 

4 FRANCESCO FORLENZA

ex direttore generale Fs

Via Velletri (piazza Fiume)

acquisto da Scip ex Inpdai. IV piano 7,5 vani (ingresso, 4 camere, accessori e balcone) più 70 mq di magazzino e cantina anno 2005

278 mila euro

stima zona 2006 4900/6400 euro mq

 

5 RAFFAELE BONANNI

Segretario Cisl

Via Perugino (Flaminio)

acquisto da Scip ex Inps. VI piano 8 vani più cantina anno 2005

201 mila euro

stima zona 2006 5000/6200 euro mq

 

6 SALVATORE CARDINALE

segretario siciliano Margherita, ex ministro

Via degli Avignonesi, affaccio su via Quattro fontane (centro storico)

III piano 8 vani anno 2006

844 mila euro

stima attuale zona 6300/8600 euro mq

 

7 LAMBERTO CARDIA

Presidente della Consob

Via Nairobi (Eur)

XII piano, 10 vani (ingresso, 5 camere, accessori e balconi) più due posti auto e cantina anno 2002

328 mila euro

stima zona 2006 4200/5500 euro mq

 

8 MAURA COSSUTTA

parlamentare Pdci

Via Stazione San Pietro (dietro al Vaticano)

acquisto da Scip V piano, 6 vani (ingresso, disimpegni, 3 camere, cameretta, cucina, 2 bagni e 2 balconi) più cantina anno 2004

165 mila euro

stima attuale zona 3600/4900 euro mq

 

9 FRANCA CHIAROMONTE

senatore dell’Ulivo

Via Stazione San Pietro

acquisto da Scip 4 vani catastali (ingresso, disimpegni, due camere, cameretta, cucina, bagno, 2 balconi) più cantina anno 2004

113 mila euro

stima zona 2006 3600/4900 euro mq

 

10 FRANCESCO PROIETTI

deputato di An, ex segretario di Fini

Via del Serafico 106 (zona Eur)

la figlia ha acquistato dalle Generali una casa ex Ina Secondo piano, terrazza su 3 lati, salone, 2 camere disimpegno, posto auto coperto e cantina anno 2004

267 mila euro

stima zona 2006 3100/4100 euro mq

 

11 MARIO BACCINI

senatore Udc ed ex ministro

Via Filippo Niccolai (Balduina)

attico e superattico con scala interna, 15 vani (ingresso, 6 camere, 4 bagni e due ripostigli, doppia terrazza e soffitta privata condonata più box e cantina) anno 2004

875 mila euro

stima zona 2006 4200/5500 euro mq

12 CLEMENTE MASTELLA

segretario Udeur e ministro della Giustizia

Edificio lungotevere Flaminio (Flaminio)

acquisito ex Ina 5 appartamenti intestati a moglie e figli per un totale di 26 vani più balconi e terrazzo su tre lati, due verande e un box auto anno 2004

1,2 milioni euro

stima zona 2006 5000/6600 euro mq

 

13 MASTELLA/2

Largo Arenula (centro storico, largo Argentina)

acquisito da Scip, ex Inail un appartamento (sede del quotidiano dell’Udeur) ora intestato alla società “Servizi e Sviluppo” dei figli del segretario. La società potrebbe comprarne un altro al primo piano da 21,5 vani. L’Inail ha già accettato l’opzione. IV piano 9,5 vani anno 2007

1,45 milioni di euro

stima: un appartamento al piano inferiore è stato venduto nel 2007 per 2,4 milioni di euro

 

14 LUCIANO VIOLANTE

deputato dei ds acquisito da ex Ina

Via Santa Eufemia (tra il Quirinale e i Fori)

III/IV/V piano soggiorno, quattro camere, accessori, disimpegno, terrazzo al piano più terrazzo superiore anno 2003

327 mila euro

stima zona 2006 7200/9400 euro mq

 

15 NICOLA MANCINO

senatore Ulivo, vicepresidente Csm

Corso Rinascimento (centro storico, Piazza Navona)

10 vani più ampia soffitta acquisito da Pirelli (ex Ina) anno 2001

1,550 miliardi di lire

stima zona 2006 7300/9200 euro mq

 

16 FRANCESCO PIONATI

senatore Udc e vicedirettore tg1

Via Traversari (Monteverde vecchio, affaccio su Trastevere)

attico e superattico 10 vani con terrazza panoramica acquisto da Scip, ex Inpdai anno 2001

509 milioni di lire

stima zona 2006 5200/7100 euro mq

 

17 GIULIANO FERRARA

direttore del Foglio, ex ministro del primo governo Berlusconi

Piazza Emporio (Testaccio, di fronte all’Aventino)

6 vani, terrazzo, ripostiglio acquisto dal gruppo Pirelli (ex Ina) anno 2003

889 mila euro

stima zona 2006 4200/5500 euro mq

 

18 FRANCO MARINI

senatore Margherita, presidente del Senato

Via Lima (Parioli)

acquisto da Scip ex Inpdai Piano terra e primo piano per un totale di 14 vani catastali anno 2007

un milione di euro

stima zona 2006 5400/7100 euro mq

 

19 FRANCESCO COSSIGA

senatore a vita, presidente emerito della Repubblica

Via Quirino Visconti (zona Prati)

acquisto da Generali, ex Ina 9,5 vani soffitta box auto ampio magazzino anno 2004

710 mila euro

stima zona 2006 4800/6600 euro mq

 

MASTELLA QUERELA ESPRESSO PER INCHIESTA IMMOBILI

(Apcom) - "La mia moralità è fuori discussione e sfido il direttore de L'Espresso, quando e dove vuole, ad un pubblico dibattito". Così il segretario politico dei Popolari-Udeur, Clemente Mastella replica in una nota alle anticipazioni del settimanale circa gli sconti bipartisan ai politici nell'acquisto degli immobili. "Per trent'anni, come tutti sanno, ho vissuto a Roma in affitto ed ho usufruito, lo ripeto, dopo trent'anni, come migliaia di cittadini comuni, - spiega - della legge che ha permesso agli affittuari di acquisire l'immobile ad un prezzo stabilito dal mercato, dalla legge stessa, e non certo da logiche di favore. Tant'è che, per diventare proprietario della casa che avevo in affitto, ho investito tutti i risparmi, miei e di mia moglie, con l'aggiunta di un mutuo di ben 500mila euro". "Domando, - aggiunge Mastella - è questo lo sconto e i favori di cui avrei beneficiato? Se avessi voluto, in questi trent'anni e nei ruoli che ho ricoperto, la casa l'avrei potuta acquistare molto prima, e negli anni di tangentopoli, forse me l'avrebbero anche regalata. Le insinuazioni de L'Espresso sono una cosa ignobile. Se qualcuno immagina o vuole favorire la nascita di nuovi partiti, pensando di attentare alla onorabilità e alla mia onestà personale, ha sbagliato destinatario. Ripeto: sfido pubblicamente L'Espresso e il suo direttore ad un dibattito e, sin d'ora, annuncio di aver dato mandato al mio legale di querelare il settimanale. Può darsi che l'azione giudiziaria mi aiuti ad estinguere quel mutuo di 500 mila euro, non certo di favore".

Dagospia 30 Agosto 2007


 

Italia Oggi 31-8-2007  Intervista al politologo che tuttavia non vede una società civile all'altezza della grave situazione. Pasquino, un taglio netto al Palazzo Attuali leader irrecuperabili, riduciamogli almeno le poltrone. Stefano Sansonetti

 

Irrecuperabili e mediocri, al punto che andrebbero eliminati. Non fisicamente, beninteso, ma in primis con un netto taglio delle troppe poltrone su cui sono seduti e con una legge elettorale, a tutto collegio uninominale, che individui non più di 400 parlamentari. E poi ci vorrebbero meccanismi di fortissima selezione nelle scuole e nelle università, perché è anche lì che si annida in modo spaventoso la mancanza di valore. Gianfranco Pasquino, politologo, ordinario di scienza politica all'università di Bologna, usa toni perentori nel commentare la qualità dei nostri politici. E si inserisce senza fare sconti all'interno del dibattito sollevato dal lettore di ItaliaOggi sull'inefficienza della casta oggi al potere in Italia. Non che la società civile sia in condizioni migliori. Su questo Pasquino rifiuta la tesi secondo cui i politici nostrani dovrebbero cedere metri ai cittadini organizzati per consentire una partecipazione dal basso. Va bene la sussidiarietà, è disposto ad ammettere il politologo, ma non sembra proprio che il mondo dell'associazionismo sia meno bloccato o corporativo dei nostri amministratori.Domanda. Professore, è così irrecuperabile la classe politica italiana?Risposta. Non penso che si debba porre il problema della sua recuperabilità, perché non vedo motivi per credere che i nostri politici siano recuperabili.D. Andiamo bene_R. Il punto è che la qualità è scarsa, le persone di valore non ci sono, a parte qualche eccezione.D. Per esempio?R. Vedo esempi di valore al Quirinale e al ministero degli affari esteri.D. Ok, si salvano Giorgio Napolitano e Massimo D'Alema. Non è un po' poco?R. è piuttosto poco, sì, ma è così. Piuttosto vorrei porre una questione.D. Prego...R. Iniziamo con il farci una semplice domanda: le persone valide vengono in Italia effettivamente valorizzate? Sono costrette o no ad andare prima all'estero e poi eventualmente a tornare? Pensiamo al governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi. Il merito in Italia non esiste. D. Così è buio pesto. Ci dia uno spiraglio di luce.R. Quando i mediocri sono troppo numerosi, come oggi possiamo vedere, l'unica soluzione è ridurre la loro quantità: ridurre i consiglieri regionali, provinciali e comunali, ridurre i posti nei consigli di amministrazione, ridurre i parlamentari nazionali e cercare di rendere tutto più competitivo.D. Sì, ma quale ricetta ci può essere?R. Per esempio, quanto al parlamento nazionale, io abolirei una camera lasciandone una con non più di 400 parlamentari. E aggiungo che tutti dovrebbero essere eletti con un sistema basato su collegi uninominali in cui solo chi vince ha il posto. D. E se i politici facessero un passo indietro, lasciando più margini d'azione alla società civile?R. Ma non mi sembra proprio che la società civile brilli per la sua eccellenza. Non vedo tutto questo ricambio al vertice delle associazioni, non vedo tutta questa apertura, tutta questa formazione.D. Professore, ancora con il pessimismo cosmico.R. Guardi, qui piuttosto si dovrebbe pensare a introdurre meccanismi di fortissima selezione nelle scuole e nelle università. Non so se ci si rende effettivamente conto di quale livello di chiusura abbiamo raggiunto.

 

 


 

Il Secolo XIX 30-8-2007 Slot, il banco perde. La Corte dei Conti contesta un danno erariale che vale tre-quattro manovre finanziarie MARCO MENDUNI FERRUCCIO SANSA

 

dalla prima pagina
«Per il 2006, secondo i dati dei Monopoli, a fronte di un volume di affari (ovvero la "raccolta di gioco") pari a circa 15,4 miliardi di euro (di cui la quasi totalità derivante da apparecchi con vincite di denaro) vi è stato un gettito fiscale pari a 2 miliardi e 72 milioni di euro con circa 200mila apparecchi attivati», scrive il rapporto della commissione d'inchiesta. E aggiunge: «L'effettiva raccolta di gioco sarebbe stata di molto superiore alla cifra citata. Secondo stime della Finanza, la predetta raccolta di gioco ammonterebbe a 43,5 miliardi di euro». Insomma, i due terzi del gioco sarebbero in nero. Due macchinette su tre non sarebbero collegate alla rete. Quindi il 70 per cento del "preu" - il prelievo fiscale su ogni singola giocata che dovrebbe finire nella casse dei Monopoli, e quindi dello Stato - è stato evaso.
«Abbiamo calcolato - raccontano gli investigatori - che tra imposte non pagate e multe non riscosse lo Stato ha perso circa 98 miliardi di euro». L'equivalente di tre Finanziarie che invece di andare allo Stato è rimasto nelle tasche di alcune concessionarie. E non basta, perché secondo gli uomini della Finanza e alcuni componenti della commissione d'inchiesta «in alcune delle società in questione siederebbero uomini vicini a Cosa Nostra, in particolare al clan di Nitto Santapaola». Altre invece sarebbero guidate da persone vicine a esponenti di primissimo piano di partiti politici (soprattutto Alleanza Nazionale).
Così l'indagine della Corte dei Conti sfocia in quello che sarebbe il più clamoroso caso di evasione fiscale della storia della Repubblica. Non solo. «Nel corso delle indagini sono sorti alcuni interrogativi su specifici comportamenti tenuti dai Monopoli in particolari occasioni», è scritto nel rapporto della commissione che da settimane è sulla scrivania del vice-ministro dell'Economia, Vincenzo Visco. Una critica pesante nei confronti dei Monopoli che non si sarebbero accorti di un'evasione di dimensioni colossali o che non avrebbero richiesto alle società concessionarie il pagamento delle somme dovute. «Zero. I Monopoli dello Stato non hanno fatto pagare un centesimo di sanzione alle società concessionarie che non avevano versato miliardi di euro di imposte», raccontano gli investigatori.
Dal ministero e dai Monopoli non è finora arrivato nessun commento.
Ieri ecco la notizia del «danno erariale» a sei zeri che la Corte dei Conti ha richiesto alle concessionarie. In particolare emergono le cifre indicate nella notifica di Lottomatica e Snai. E immediatamente le quotazioni in borsa delle due società precipitano. Lottomatica lascia sul campo il 4,02 per cento, mentre il titolo Snai perde addirittura l'11,27 per cento e viene sospeso per eccesso di ribasso. I volumi di scambi sono altissimi, con 4,18 milioni di pezzi passati di mano da una media giornaliera di 640.000. Alla fine Snai decide di diffondere un comunicato in cui afferma di aver ricevuto una notifica dalla Procura regionale della Corte dei conti del Lazio che la invita a presentare le sue deduzioni su un'ipotesi di danno erariale nel settore «new slot» valutato intorno ai 4,8 miliardi di euro. Snai sottolinea che «da tali procedure non potranno emergere responsabilità di sorta a suo carico nè derivarle conseguenze negative di carattere patrimoniale».
Ma il caso slot-machine è soltanto all'inizio e nelle prossime settimane potrebbe riservare clamorose sorprese. La Procura di Roma - che ha ricevuto gli atti dal pm di Potenza, John Henry Woodcock - ha intenzione di sentire i vertici dei Monopoli. Il magistrato Giancarlo Amato vuole ricostruire il meccanismo che ha portato ad attribuire le concessioni alle società che gestiscono le slot-machine. Non solo: si sta cercando di capire se vi siano state degli illeciti nei controlli compiuti dai Monopoli. Un'ipotesi che troverebbe conferma nel rapporto della Commissione d'inchiesta: non risulta, si dice nel documento, che siano stati compiuti controlli sui precedenti penali delle concessionarie. Non solo: alcuni degli ispettori incaricati dei controlli risultavano indagati proprio per presunti episodi di corruzione.
La Procura di Roma, però, vuole anche capire chi ci sia davvero dietro le società che gestivano il "tesoro" delle slot-machine. Alcune società, fa notare un membro della commissione d'inchiesta, hanno spostato la sede all'estero nonostante siano titolari di concessioni con lo Stato italiano.
Non solo. Secondo gli investigatori, il mondo del gioco d'azzardo legale sarebbe diventato un fondamentale strumento di finanziamento dei partiti di entrambi gli schieramenti.



29/06/2007
La Commissione d'inchiesta presieduta dal sottosegretario Alfiero Grandi e composta, tra gli altri, dal generale della Finanza Castore Palmerini produce un rapporto che finisce sul tavolo del vice-ministro, Vincenzo Visco. Si parla di imposte non riscosse e di multe non pagate per quasi cento miliardi di euro. La commissione accusa pesantamente i Monopoli dello Stato.


29/06/2007
SCOPPIA
IL GRANDE SCANDALO


29/06/2007
L'INCHIESTA DELLA
CORTE DEI CONTI
La Finanza e la Corte dei Conti avviano un'indagine sul mondo delle slot-machine: all'appello mancano 98 miliardi di euro. Anche la commissione d'inchiesta presieduta dal sottosegretario Grandi giunge alle stesse conclusioni.


29/06/2007
L'INCHIESTA DEL SECOLO XIX
Viene pubblicato il rapporto della commissione Grandi. Scoppia lo scandalo delle imposte che non sarebbero state pagate e delle multe non riscosse. L'evasione più consistente della storia della Repubblica


29/06/2007
IL CROLLO IN BORSA
La Procura della Corte dei Conti notifica a dieci società concessionarie un provvedimento per il «danno erariale» subìto dallo Stato. Snai e Lottomatica - che sarebbero debitrici di circa 4 miliardi ciascuna - crollano in Borsa.


Da QN.quotidiano.net 12-8-2007 EVASIONE FISCALE "Visco, dove sono i 98 miliardi di imposte non pagate?" Tra imposte non pagate e multe non riscosse, le società concessionarie delle slot machine dovrebbero allo Stato 98 miliardi di euro: sarebbe una delle più grandi evasioni della storia d’Italia. Due giornalisti del Secolo XIX hanno scritto al direttore dei Monopoli di Stato e al vice-ministro dell'Economia, ma non hanno ricevuto alcuna risposta.

 

Bologna, 12 agosto 2007 - Riprendiamo un contributo da www.beppegrillo.it

 

Due giornalisti del Secolo XIX di Genova, Menduini e Sansa, denunciano da tempo le imposte non pagate dai Monopoli di Stato. Tenetevi forte, sono 98 MILIARDI DI EURO. Dove sono finiti questi soldi? Ai partiti, alle Mafie, a privati cittadini? Tangentopoli in confronto sembra una barzelletta e Valentino Rossi un bambino che ha rubato le caramelle. Visco se ci sei batti un colpo, dato che le federazioni dei Ds sono proprietarie di sale Bingo. Fini e Alemanno, così impegnati sui costi della politica, chiedete informazioni ai vostri consiglieri delle società concessionarie delle slot machine. Di seguito la lettera di Menduini e Sansa al signor Tino, direttore dei Monopoli di Stato.

 

“Gentile dottor Giorgio Tino,
ci piacerebbe porgerle queste domande a voce, ma parlarLe sembra essere impossibile. Da mesi La cerchiamo inutilmente, cominciamo quasi a dubitare che Lei esista davvero. E dire che Lei avrebbe interesse a rispondere (oltre che il dovere). Secondo il rapporto di una commissione di inchiesta parlamentare e secondo gli uomini della Guardia di Finanza infatti, tra imposte non pagate e multe non riscosse le società concessionarie delle slot machine devono allo Stato 98 miliardi di euro.

 

Sarebbe una delle più grandi evasioni della storia d’Italia. Secondo la commissione e gli investigatori, questo tesoro sarebbe stato regalato alle società che gestiscono il gioco d’azzardo legalizzato. Di più: nei consigli di amministrazione di alcune di queste società siedono uomini appartenenti a famiglie legate alla Mafia. Insomma, lo Stato italiano invece di combattere Cosa Nostra le avrebbe regalato decine di miliardi di euro.

 

Con quel denaro si potrebbero costruire metropolitane in tutte le principali città d’Italia. Si potrebbero comprare 1.000 Canadair per spegnere gli incendi. Potremmo ammodernare cinquecento ospedali oppure organizzare quattro olimpiadi. Si potrebbero realizzare impianti fotovoltaici capaci di fornire energia elettrica a milioni di persone oppure si potrebbe costruire la migliore rete di ferroviaria del mondo.

 

Da mesi noi abbiamo riportato sul nostro giornale, Il Secolo XIX, i risultati dell’indagine. Decine di pagine di cronaca che non sono mai state smentite. Secondo la commissione d’inchiesta, i Monopoli di Stato hanno gravi responsabilità nella vicenda. Non solo: la Corte dei Conti ha chiesto alle società concessionarie di pagare decine di miliardi di euro per il risarcimento del danno ingiusto patito dallo Stato. E nei Suoi confronti, signor Tino, i magistrati hanno aperto un procedimento per chiedere il pagamento di 1,2 miliardi di euro di danni.
Ma Lei che cosa fa? Tace e rimane al suo posto, come tutti i responsabili dei Monopoli, dalla dottoressa Barbarito alla dottoressa Alemanno (sorella dell’ex ministro di Alleanza Nazionale).

 

E, cosa ancora più incredibile, tace il vice-ministro dell’Economia, Vincenzo Visco (che da mesi ha ricevuto il rapporto della commissione di inchiesta), da cui Lei dipende. Può spiegarci per filo e per segno che fine hanno fatto quei 98 miliardi di euro che secondo la Finanza sono stati sottratti alle casse dello Stato?

 

Finora Lei non ci ha mai voluto rispondere. Forse conta sul sostegno del mondo politico. Del resto la Sua poltrona è una delle più ambite d’Italia. Pochi lo sanno, ma i Monopoli gestiscono il commercio del tabacco e del gioco d’azzardo legalizzato. Insomma, un tesoro, su cui i partiti si sono lanciati da anni: An ha suoi rappresentanti proprio nei consigli di amministrazione delle società concessionarie delle slot machine, mentre le federazioni dei Ds sono proprietarie di molte sale Bingo. Così Lei può permettersi di tacere. Ma chissà che cosa farebbe se a ripeterLe queste domande fossero decine di migliaia di visitatori di questo blog (l’indirizzo dell’ufficio stampa è: ufficiostampa@aams.it )?”

 

Marco Menduni e Ferruccio Sansa


 

Italia Oggi 29-8-2007 Consiglieri regionali sempre più ricchi In arrivo per loro un aumento di 1,5 milioni di euro all'anno. è l'effetto a cascata dell'atteso incremento del 2,5% delle indennità dei parlamentari nazionali. Stefano Sansonetti.

 

Zitti zitti quasi tutti i consiglieri regionali d'Italia (ma c'è chi ha saputo dire basta) stanno per incassare un ulteriore aumento allo stipendio. Si tratta di un bottino aggiuntivo di 1,5 milioni di euro che i 1200 consiglieri regionali italiani intascheranno per effetto dell'adeguamento automatico del loro assegno mensile a quello dei parlamentari nazionali. Il meccanismo è sempre lo stesso: aumenta il trattamento economico dei magistrati e a cascata, visto che sono agganciate fra loro, salgono anche le indennità degli inquilini dei palazzi romani e infine quelle dei colleghi regionali. Quest'anno, con effetto rigorosamente retroattivo al gennaio 2007 affinché nulla vada perduto, l'impennata sarà del 2,5%. Mancano soltanto ancora alcuni passaggi formali, ma il risultato è deciso. E dal momento che praticamente tutte le regioni hanno leggi che, nel regolare la materia delle indennità, prevedono il loro collegamento automatico all'andamento dei trattamenti dei parlamentari nazionali, ecco che l'impennata è garantita per tutti. Determinarne l'entità del nuovo colpaccio è semplice. Basta aumentare del 2,5% le indennità di base dei consiglieri regionali italiani, prendendo come punto di partenza i trattamenti base previsti dalle varie regioni e raccolti sul sito della Conferenza dei presidenti delle assemblee legislative. La cifra che ne viene fuori è quella di 1 milione e 464 mila euro, che i nostri consiglieri percepiranno già nel 2007, dato che l'aumento dei magistrati reca quella data. Il che vuol dire complessivamente 122 mila euro in più al mese di spesa pubblica. Bisogna però precisare che si tratta di stime effettuate per difetto, dal momento che il calcolo qui proposto è stato effettuato solo sull'indennità base di un singolo consigliere regionale. Non sono considerate, dunque, tutte quelle maggiori indennità che un parlamentare locale prende se ha una particolare qualifica (segretario e presidente di commissione, vicepresidente di commissione, vicepresidente di giunta e consiglio, presidente di giunta e consiglio). In questi casi, naturalmente, un 2,5% in più porta a incrementi maggiori. Fatta questa premessa, si scopre che gli aumenti mensili vanno da un massimo di 212 euro per un consigliere calabrese, che così arriverà a un'indennità mensile di 8.720 euro (più rimborsi per 2.808 euro) a un minimo di 78 euro per un collega delle Marche che arriverà a 3.205 euro (più un rimborso che può variare da 2.992 euro a 3.682). Comunque nulla a che vedere con le cifre che circolano durante i rinnovi contrattuali. Va detto che qualcuno che vuole porre un freno a questo automatismo c'è. è il caso dell'Abruzzo che sta facendo scuola anche in alcune regioni più importanti. Come il Piemonte, dove il presidente Mercedes Bresso sta lottando per abbassare l'asticella. L'Abruzzo ha approvato una legge che congela fino alla fine della legislatura l'automatismo. Stessa scelta è stata portata avanti in Umbria, dove un referendum popolare sui costi della politica regionale ha portato consiglio e giunta a correre ai ripari e a escogitare una soluzione che conduca grosso modo agli stessi risultati dell'Abruzzo. Per il resto, però, le resistenze sembrano prevalere. Tra le altre cose bisogna ricordare che le indennità di base dei consiglieri regionali variano da un minimo del 65% a un massimo del 100% delle indennità dei loro colleghi nazionali. I quali percepiscono ogni mese un'indennità lorda di 11.704 euro, a cui si applicano le tasse, più una diaria mensile di 4.003,11 euro e un assegno di 4.190 euro a titolo di rimborso spese relative al rapporto tra eletto ed elettore. Queste due ultime voci sono totalmente esentasse. Anche a livello regionale ci sono i rimborsi, sempre al di fuori della morsa del fisco, molto spesso agganciati in misura percentuale alle corrispondenti voci del parlamento nazionale. Nel frattempo ancora non si hanno notizie precise sul futuro del ddl Santagata di abbattimento dei costi della politica che prevede, tra le altre cose, un taglio del 10% delle indennità. Il provvedimento, frutto dell'accordo tra il ministro per l'attuazione del programma, Giulio Santagata, il collega agli affari regionali, Linda Lanzillotta, e il presidente della Conferenza delle regioni, Vasco Errani, ha provocato le vibrate proteste da parte di province, comuni e comunità montane.

 

 


La Repubblica 28-8-2007 Napoli Un assessore ritira incarichi per 5 milioni

IL CASO Gabriele (Prc) revoca il decreto: "Non ero stato avvisato". Attacco del centrodestra a Cozzolino Folla ai dibattiti nel parco delle terme. Nel pomeriggio arriva il vicepremier Rutelli Effetto Cozzolino. Incarichi della Regione affidati ad esterni per complessivi 5 milioni e 300 mila euro sono stati cancellati di punto in banco dall'assessore regionale Corrado Gabriele con un atto di revoca di un decreto firmato da un suo ex dirigente di area. Dopo le polemiche che investono l'assessore ds Andrea Cozzolino per i 15 milioni di euro destinati a consulenze, assistenza tecnica e assunzione temporanea di esperti per l'attuazione del piano di sviluppo economico regionale Paser, 24 ore fa è il collega di giunta del Prc, Gabriele, a fare un singolare outing. Conferma di avere cancellato una spesa di 5 milioni destinati a 10 società che dovevano occuparsi di formazione per giovani non diplomati. Sarebbe stata trasferita ad altro settore il funzionario Maria Adinolfi. La dirigente, stando alla ricostruzione di Gabriele, avrebbe commesso "l'errore di prolungare e decidere alcuni affidamenti senza consultarsi con me". Un lampante esempio di scaricabarile? "Niente di più falso - replica lui - Tutti dobbiamo fare autocritica, ma è un dato obiettivo che non ci sia il dovuto collegamento tra le prassi dei dirigenti e la responsabilità politica". Analoga revoca è scattata per un affidamento di 300mila euro: per l'elaborazione di progetti contro la dispersione scolastica. E intanto continuano le polemiche sull'assistenza al Paser. "Il bando del Piano attuativo del Paser va revocato". Lo chiede il capogruppo di An in Regione, Francesco D'Ercole. "Al di là della qualità stessa del Paser, sulla quale già in aula espressi perplessità - spiega D'Ercole - è la questione dei 4milioni e mezzo di euro per le consulenze a lanciare ulteriori ombre sulla rispondenza di questo pseudo-piano voluto da Bassolino e da Cozzolino alle effettive esigenze di sviluppo della Campania". "Di troppe consulenze c'è il rischio di fare indigestione - aggiunge Nicola Cosentino, coordinatore campano di Fi - . Vi è qualcosa di buffo, ai limiti del paradossale nella vicenda Paser, dove una parte della maggioranza si rivolta contro se stessa, per questioni da Fi sempre denunciate". "Serve assoluta trasparenza", incalza Cosimo Sibilia, capogruppo di Fi in Consiglio. Contraria "all'utilizzo delle consulenze come elemento sostitutivo dei settori del lavoro pubblico" è la segreteria regionale Cgil Funzione Pubblica. Mentre secondo il consigliere ds Michele Caiazzo, vicino a Bassolino, "queste polemiche sono ridicole. è un festival delle ipocrisie e degli opportunismi, il Paser è stato discusso da industriali, sindacati e Consiglio, erano previste l'unità tecnica e l'assistenza tecnica, ma nessuno ha detto nulla". (co.sa.).

 


L’Espresso 24-8-07 PRIMO PIANO CONSULENTI D'ORO di Marco Lillo

 

Un miliardo e mezzo l'anno speso da Stato e regioni per incarichi inutili. Concesso ad amici, politici, faccendieri. E Palazzo Chigi frena la trasparenza. La rete dello spreco Una città di 261 mila abitanti, tanti sono i consulenti esterni della nostra pubblica amministrazione. Una massa enorme che succhia ogni anno un miliardo e mezzo di euro dalle casse pubbliche. Architetti, ingegneri, avvocati, commercialisti, ma anche personaggi in cerca di contratto senza alcuna competenza, figli di ministri, amanti, clienti e famigli, portatori di voti, politici trombati e manager arrestati. Tutti in fila per incassare la loro fetta della grande torta. Il ministero della Funzione pubblica tra poche settimane presenterà in Parlamento la sua relazione sugli incarichi. 'L'espresso' è in grado di anticiparne il contenuto. A leggere le tabelle, riferite al 2005, ultimo anno censito, c'è da restare a bocca aperta. I consulenti esterni sono 156 mila e 500, la popolazione di un capoluogo di regione come Cagliari, vecchi e bambini compresi, a cui vanno aggiunti i 105 mila pubblici dipendenti che eseguono prestazioni extra per altri enti fino ad arrivare a un totale di 261 mila persone. Una città grande come Venezia che galleggia sulla spesa pubblica. Basterebbe abolire le consulenze e si potrebbe rimborsare l'imposta sulla prima casa a due italiani su tre. Ma non si può. Il fenomeno è ormai strutturale: nulla riesce a combatterlo. Rispetto al 2004 la spesa è ferma a 1 miliardo e 500 milioni di euro. E anche se gli incarichi sembrerebbero diminuire, il condizionale è d'obbligo: i burocrati tardano nel consegnare gli elenchi degli ingaggi e quasi sempre il dossier finale lievita di mese in mese, con rialzi di centinaia di milioni. La spesa per gli incarichi esterni è ormai una montagna difficile da ignorare anche per la politica italiana. La Finanziaria del 2005 aveva posto dei limiti precisi al potere discrezionale degli amministratori, poi erano intervenuti il ministero con una circolare e la Corte dei Conti. La Procura Regionale del Lazio, quella competente sugli organi centrali, ha dato un segnale inequivocabile, mettendo all'indice i vertici di 14 colossi pubblici. Si va dall'ex commissario dell'Unire, l'ente delle razze equine, al quale sono stati contestati 147 mila euro , fino alle consulenze elargite dai tre ultimi ministri della giustizia: Fassino, Diliberto e Castelli. Dal direttore generale dell'Istruzione, sotto accusa per 90 mila euro di parcelle, all'Asi, l'Agenzia spaziale italiana, che avrebbe mandato in orbita assegnazioni illegittime per un totale di 381 mila euro. Chi non pubblica paga L'onda però è proseguita ignorando anche i fulmini della magistratura contabile, fino a quando i senatori della Sinistra democratica, Cesare Salvi e Massimo Villone, hanno tirato fuori dal cilindro un'arma letale contro le consulenze facili dello Stato. Un comma inserito nella manovra per il 2007, che rappresenta una miccia accesa nel sottobosco della politica: "Nessuna consulenza può essere pagata se non sia stata resa nota, con tanto di nome e compenso, sul sito Web dell'amministrazione". E se l'incarico non viene pubblicizzato, scatta una punizione micidiale: chi ordina il pagamento e chi ne beneficia deve restituire i soldi di tasca sua. Sembrava l'uovo di Colombo, in grado di trasformare il Palazzo in una casa di vetro. Tutti avrebbero saputo in tempo reale con un click i nomi dei 223 consulenti delle agenzie fiscali, dei 14 mila uomini d'oro della sanità e soprattutto dei 4 mila e 563 prescelti dai ministeri. Purtroppo, l'Eden della trasparenza telematica non si è realizzato. Cavilli, circolari e ricorsi burocratici hanno depotenziato l'arma letale. E alla fine più della metà dei ministeri ha mantenuto il silenzio. Nella lista dei buoni figurano Funzione pubblica, Comunicazioni, Interno, Solidarietà sociale, Commercio estero, Salute, Sviluppo economico, Attuazione del programma, Affari regionali, Economia. Mentre tra i bocciati troviamo a sorpresa un paladino della lotta alle consulenze fasulle come Alfonso Pecoraro Scanio. Il ministero degli Esteri, pur non avendo ancora sul sito la lista, non ha avuto difficoltà a consegnarla a 'L'espresso', come hanno fatto anche l'Enav, l'Unire e l'Aams. Va detto però che il cattivo esempio viene dall'alto. I dipartimenti e gli uffici di Palazzo Chigi non hanno ancora pubblicato l'elenco dei consulenti. "Ma nel frattempo", spiega il segretario generale Carlo Malinconico, "i pagamenti degli incarichi conferiti dopo la finanziaria del 2007 sono sospesi". I beneficiati Chi è sul Web invece può incassare. Ed ecco spuntare una lista infinita di avvocati, ingegneri, commercialisti, architetti o semplici ragionieri. Pochi i nomi noti. Come Pellegrino Mastella, figlio del Guardasigilli e consulente di Bersani allo sviluppo economico per 32 mila euro. Nelle liste dell'Inpdap spunta il manager informatico Elio Schiavi. Chi è? Secondo Visco è stato una vittima dello spoils system di Tremonti. E Schiavi, definito dal viceministro diessino "l'inventore del fisco telematico", potrà consolarsi con un contratto da 150 mila euro. Alla Farnesina si segnala invece il rientro sulla scena dell'ex procuratore di Roma Vittorio Mele. Sottoposto a procedimento disciplinare nel 1998 per i suoi rapporti disinvolti con il re delle cliniche Luigi Cavallari, Mele aveva lasciato la magistratura evitando il giudizio del Csm. Ha appena firmato un contratto da 24 mila euro per quattro mesi e mezzo. Altri 25 mila euro andranno invece a Giovanni Lombardi, rappresentante dei Ds nel consiglio degli italiani all'estero, per progettare il museo dell'emigrazione. Le Poste pubblicano la lista più completa: 194 gli incarichi e un paio di curiosità: i 200 mila euro a Maurizio Costanzo e gli 8 mila euro a Giovanni Floris. Gran parte dei soldi però vanno agli studi legali, come quello dell'onorevole di An Giuseppe Consolo (126 mila euro per il 2007) o quello fondato da Giulio Tremonti che ha preso 25 mila euro. L'Anas invece mostra un profilo fin troppo basso. Stando alle striminzite comunicazioni del sito, avrebbe speso finora poco più di 400 mila euro per sei incarichi. Una carestia rispetto ai 41 milioni del 2003 e ai 20,4 milioni dell'ultimo anno. Dov'è finita l'azienda sprecona che regalava 2 milioni e mezzo di euro in consulenze come buonuscita ai consiglieri? Basta fare un paio di verifiche per scoprire che il lupo cambia colore politico ma non il vizio. Sul sito non appare, per esempio, l'ingaggio da 100 mila euro all'ex consigliere Alberto Brandani, vicino all'Udc. Perché? Risposta burocratica: la commissione di cui fa parte è anteriore alla nuova legge. Esemplare la vicenda di Giuseppe D'Agostino. Un collaboratore da 50 mila euro l'anno, ignorato nella lista pubblica, ma attivo in tutto il mondo, dove incontra ministri per conto dell'Anas. In Moldavia ha presentato un accordo, seduto accanto al premier, per rifare tutte le strade . Non figurano sul sito neanche i due giovanissimi avvocati Sergio Fidanzia e Angelo Gigliola. Trent'anni a testa, iscritti all'albo dal 2005, hanno ricevuto dall'Anas un paio di arbitrati e la difesa della società nelle cause più importanti, quelle contro le autostrade davanti al Tar e alla Corte di giustizia europea. Per le stesse controversie è stato arruolato anche Marco Annoni, legale arrestato dal pool di Mani Pulite che ha patteggiato la sua condanna per tangenti. Il loro compenso è top secret. Ma quella degli avvocati in carriera non è un'eccezione. Perché con una direttiva firmata da Romano Prodi molte categorie sono state escluse dalla trasparenza. Una deroga che regala l'anonimato a tanti professionisti della parcella: tra loro artisti, società di revisione e soprattutto avvocati patrocinanti. Particolare piccante: il segretario generale di Palazzo Chigi che sta seguendo la partita delle consulenze è l'ex avvocato Carlo Malinconico, titolare dell'omonimo studio, chiuso dopo l'approdo a Palazzo Chigi, nel quale hanno mosso i primi passi i giovani Fidanzia e Gigliola. Agenzie reticenti L'Anas è in buona compagnia. Anche le agenzie fiscali seguono la linea dell'ermetismo. A fine agosto, territorio, dogane, monopoli ed entrate dichiarano sui rispettivi siti in tutto 21 consulenze. Nel 2004, secondo il ministero, le agenzie elargivano 223 incarichi. Che fine hanno fatto? Una parte importante si trova nel calderone della Sogei, che fornisce personale e servizi alle agenzie, e che però copre i suoi consulenti con il silenzio. è il caso del braccio destro del direttore dei Monopoli, Giorgio Tino. Si chiama Guido Marino e lo accompagna persino alle audizioni in Parlamento. Proprio a Marino, il direttore Tino ordina al telefono (intercettato dal solito pm Woodcock) nell'aprile del 2005: "Procurami tutte le carte. Poi leva da tutti i computer e lascia solo sul tuo senza farlo vedere ai colleghi". Oggi Marino sul sito non c'è, anche se il suo incarico, ottenuto da Sogei con una sorta di gara, potrebbe valere circa 2 milioni di euro. Situazione analoga all'Ice. L'Istituto per il commercio estero non espone la sua lista e così è impossibile sapere quanto guadagna la società Triumph, controllata da Maria Criscuolo, imprenditrice molto amica di Umberto Vattani, come è emerso dalle intercettazioni di un'inchiesta contro il capo dell'Ice. Anche la Triumph sarebbe oscurata dalla solita direttiva Prodi. Attacca Cesare Salvi: "Quella circolare limita moltissimo l'obbligo di trasparenza e va contro la legge. Comunque non ci fermiamo. La strada è quella giusta e anche il premier lo sa. Ora vogliamo chiedere che nella Finanziaria si includa l'obbligo di pubblicare tutti gli atti di spesa. Anche se il vero problema sono gli enti locali, sui quali non possiamo intervenire. Lì accadono gli abusi peggiori". Bengodi locale L'autonomia delle regioni è diventata libertà di spreco. L'Eldorado delle consulenze è in Lombardia: il censimento parziale del 2004 segnalava 45.500 incarichi con 185 milioni di euro liquidati. E tutto calcolato per difetto: un quinto del totale nazionale. Un sistema di potere parallelo, in parte all'insegna della cultura del fare, nella presunzione che il professionista esterno nominato direttamente faccia prima e meglio. Il modello caro a Letizia Moratti, che in un anno a Palazzo Marino ha assegnato 91 incarichi. In parte però questo network nutre anche il sottobosco del potere. L'ultimo scandalo è recentissimo, emerso alla vigilia di Ferragosto con un'istruttoria penale per truffa. Al centro un progetto finanziato dal Pirellone per costruire sul lago di Como il Museo di Leonardo. Viene perquisita la Glr Consulting, controllata dal consigliere regionale Gianluca Rinaldin di Forza Italia. In Piemonte, nel 2005, regione, province e comuni hanno inghiottito consulenze per 18 milioni di euro, un terzo dei quali ritenuto privo dei requisiti. A Genova, le Fiamme Gialle hanno contestato un danno erariale superiore ai 20 milioni: sotto accusa nove amministratori dell'Istituto tumori. La Guardia di finanza spiega che, "a fronte di enormi investimenti effettuati, non è stata prodotta alcuna attività scientifica". Nel Lazio il meccanismo si è evoluto per aggirare i controlli. E le designazioni vanno a carico delle società a partecipazione regionale. Secondo una denuncia dei sindacati, Sviluppo Lazio ne ha assegnate per un importo di 27 milioni; la Filas per 8,2 milioni, la Bic per 5. In Abruzzo tra gli ingaggi della giunta guidata da Ottaviano Del Turco si segnala il fotografo personale del presidente e il vignettista. Il primo costa 60 mila euro, il secondo 32 mila per occuparsi, tra l'altro, del cartoon 'Capitan Abruzzo'. Il fumettista è figlio del sindaco di Collelongo, comune della Marsica che ha dato i natali a Del Turco. Certo, a Sud la situazione è peggiore. C'è il caso Calabria che spicca fra tutti. Quando i magistrati sono andati a mettere il naso negli incarichi della Regione, si sono messi a piangere. In soli tre mesi ne erano stati assegnati una valanga: metà con importi non specificati, l'altra metà per oltre 487 mila euro. E tutti, ma proprio tutti, illeciti. Persino quelli destinati all'attuazione del 'piano di legalità' non rispettavano le regole. In altre regioni gli incarichi sono quasi dei benefit. In Molise lo scorso anno il presidente della giunta ha nominato due consiglieri personali costati 115 mila euro. Nella lista non manca una ricerca sui molisani a Stoccarda per 41 mila euro e un intervento sperimentale sulle lepri da 15 mila. In Sicilia, invece, consulenza è sinonimo di favore. Talvolta anche agli amici degli amici. Come nel caso di Francesco Campanella, il mafioso ed ex presidente del consiglio di Villabate, oggi collaboratore di giustizia. Anche lui non si lasciò sfuggire un bel contratto. Nessuno oggi è in grado di stabilire quanti siano i consulenti: c'è stato persino un esperto per la 'prevenzione dei rischi connessi al diffondersi del bioterrorismo'. Un caso limite? No: a Rosolini, comune in provincia di Siracusa, c'è stato l'esperto per la lettura delle bollette telefoniche. A Catania ancora ricordano l'affascinante Miriam Tekle. La splendida top model eritrea, dopo aver partecipato alle finali di Miss Italia nel mondo, venne nominata alle dirette dipendenze dell'assessorato comunale all'Industria, per svolgere funzioni di 'supporto dell'attività d'indirizzo'. Per quell'incarico, la bella Miriam avrebbe dovuto percepire poco più di 24 mila euro all'anno. Dopo le proteste non se fece nulla, perché Miriam, così c'è scritto, aveva 'poca attitudine al ruolo'. hanno collaborato Stefano Pitrelli e Marcello Bellia Alla carica CONSULENTI TOTALI 2005 2004 Numero consulenti 261.297 295.769 Consulenze affidate 418.294 489.785 Compensi liquidati 1.499,4 1.516,2 in milioni di euro Compenso medio 3.584 3.095 per incarico in euro CONSULENZE ESTERNE 2005 2004 % Numero consulenti 156.541 174.195 -10,13 Consulenze affidate 234.512 270.312 -13,24 Compensi liquidati 1.218,7 1.220,1 - 0,12 in milioni di euro Compenso medio 4.932 4.861 1,47 per incarico in euro CONSULENZE A DIPENDENTI 2005 2004 % Numero dipendenti 104.756 121.574 -13,8 Consulenze affidate 183.782 219.473 -16,3 Compensi liquidati 280,7 296,1 -5,2 in milioni di euro Compenso medio 1.538 1.545 -0,5 per incarico Com'è galante quel Galan di Paolo Tessadri "Certe consulenze che fanno ricchi avvocati e professionisti potrebbero essere evitate sfruttando le risorse interne". Angelo Pavan, anziano senatore dc, oggi alla guida dei cento comuni dell'Anci trevigiana, è l'ultimo a criticare la sbornia di incarichi in Veneto, terza regione in Italia con 117 milioni di euro finiti in parcelle e 22.998 consulenti. Spesso per attività di chiaro stampo elettorale. Nel febbraio 2006 la giunta di centrodestra finanzia con 25 mila euro la 'cerimonia di presentazione del recupero e dello sviluppo della portualità veneziana'. I discorsi di rito li tengono il governatore Galan e il ministro Lunardi e i 25 mila euro servono per pagare il pranzo agli elettori. Designata è la società di pr Bmc Broker con sede a San Marino, di cui fanno parte l'ex segretaria di Galan, Claudia Minutillo, e il suo ex capo ufficio stampa, Gianluca Latorre. Per lo stesso evento la Bmc Broker riceve altri 150 mila euro dall'Autorità portuale di Venezia e 60 mila dalla società regionale Veneto Acque. La Bmc ha avuto 130 mila euro per pubblicizzare il sistema metropolitano regionale. Luca Zaia, leghista e vicegovernatore, ha speso 900 mila euro per organizzare a Jesolo un triennio di Miss Italia nel Mondo. E ci è scappato anche il rinnovo a Mario Maffucci, ex capostruttura di Raiuno, da 25 mila euro nel 2006 a 33 mila 600 nel 2007. Compito: portare il Veneto nelle trasmissioni Rai. E An? A marzo il direttore generale dell'Arpav, l'agenzia regionale per l'ambiente, Andrea Drago ha affidato un incarico promozionale per 80 mila euro a Davide Manzato, geometra, consigliere comunale a Vicenza: entrambi hanno la tessera di An. Ma la consulenza forse più importante è quella al portavoce di Galan, Franco Miracco, per 126 mila euro annui: è lui il regista della sfida culturale contro Cacciari e delle mosse future dell'ultimo doge. L'arma letale del ministro Nicolais Abnorme. Non trova altre parole Luigi Nicolais per definire l'uso delle consulenze nel settore pubblico in Italia. Il ministro della Funzione pubblica fa una diagnosi impietosa del sistema e annuncia a 'L'espresso' le sue mosse per arginare il problema a partire da settembre. Ministro, un miliardo e mezzo di euro di consulenze pagate con soldi pubblici ogni anno. è il gettito di un'imposta. Cosa state facendo? "Per noi è una priorità. L'uso delle consulenze in Italia ha raggiunto livelli intollerabili. Per questa ragione siamo intervenuti subito, inserendo una norma che impone la pubblicizzazione delle consulenze sul sito Internet dell'amministrazione o dell'ente pubblico. Però non basta. Ci siamo accorti che molti, troppi enti non stanno pubblicando nulla. All'inizio pensavo a superficialità. Ora sono passati mesi e non ci credo più. Esiste una diffusa volontà reale di non far conoscere ai cittadini come si spendono i soldi pubblici. Per questa ragione posso annunciare una mossa che definirei risolutiva". E quale sarebbe questa arma letale? Lo scetticismo è d'obbligo, visto che la legge, non a caso, non prevede una sanzione per chi non ottempera all'obbligo di pubblicazione sul sito. "Vero. La legge vieta il pagamento, ma non dice cosa accade a chi non la rispetta. Ma noi raggiungeremo l'obiettivo per un'altra via. Ho chiesto alla Corte dei Conti, che ha un importantissimo ruolo in questa materia, di bloccare i pagamenti delle consulenze e degli incarichi a persone e società, se prima non sono stati pubblicati sul sito Internet. Ne ho già parlato con il presidente della Corte dei Conti e mi sembra che sia molto sensibile. Ritengo che in autunno, con una mia apposita direttiva in materia, raggiungeremo l'obiettivo. è un provvedimento cruciale: se la Corte dei Conti non vista un pagamento, nessun pubblico ufficiale pagherà, perché corre il rischio di dover rimborsare lui la somma". Ministro, certamente la direttiva della presidenza del Consiglio che limita l'ambito di applicazione solo agli incarichi continuativi, esclude senza alcuna ragione i professionisti, le società di revisione, i compensi agli artisti, non ha aiutato il decollo della normativa. "I miei uffici stanno preparando una piccola norma che sarà inserita in Finanziaria e che chiarirà che quando la legge parla di pubblicizzazione delle consulenze non intende porre alcun limite, ma si riferisce a tutti gli incarichi". Non sarebbe meglio inserire dei paletti, delle norme che impediscano di appaltare all'esterno funzioni essenziali della pubblica amministrazione? "In alcuni casi la legge impedisce l'uso dei consulenti esterni. Ma il ministro della Funzione pubblica può intervenire solo sulle amministrazioni centrali. Poi c'è il mondo molto esteso delle aziende autonome, delle società a partecipazione pubblica. In quel caso deve intervenire il ministero competente. Infine c'è il grandissimo problema degli enti locali, che fanno un uso ancora più ampio delle consulenze esterne, ma la riforma della costituzione ci impedisce di intervenire su questo settore". M. L. E a Firenze arrivano le Fiamme Gialle di Simone Innocenti Gli incarichi sporchi non si lavano nemmeno in Arno Così la Corte dei conti di Firenze ha formalizzato le ipotesi d'accusa contro 60 dirigenti della Regione Toscana, tutti nel mirino per le consulenze elargite tra il 2002 e il 2003. Il bello è che l'indagine delle Fiamme Gialle si basa su un mansionario pubblicato per magnificare le professionalità della Regione. Bene: ma se i dipendenti sono così bravi, che bisogno c'è di affiancargli una falange di collaboratori esterni? Sono spuntati una marea di doppioni, con un danno erariale da oltre 3 milioni Nella lista nera lo studio da 100 mila euro sulla spiritualità femminile, 50 mila per la navigazione interna, 40 mila per monitorare le televendite e un corso per fuoristrada da 80 mila. Il governatore Claudio Martini si è detto fiducioso nei risultati finali. E l'inchiesta erariale ha subito sortito effetti miracolosi. La spesa per consulenti in un anno si è dimezzata, passando da 16,6 milioni del 2004 a 8. Segno di quanto inutili fossero quegli incarichi. I controlli si sono poi estesi al Comune. A Palazzo Vecchio il blitz dei finanzieri potrebbe far ipotizzare 2 milioni di parcelle inutili: sono al vaglio le posizioni di 29 funzionari. Il caso più importante è l'incarico da 600 mila euro per progettare il nuovo palazzo di giustizia, assegnato senza appalto. Ci sono poi 12 mila euro per un piano di comunicazione: secondo gli inquirenti negli uffici c'erano 19 persone che potevano occuparsene. Ma tra Regione e Provincia fa capolino anche il vizio del contentino agli ex. Un'indagine penale è stata aperta sul funzionario che ha ingaggiato il coordinatore cittadino dei ds. E da anni si discute per la consulenza ad Antonio Bargone, ex sottosegretario di punta del governo D'Alema.

Consulenti esterni anno 2005 COMPARTI CONSULENTI VARIAZIONE % COMPENSI VARIAZIONE % CON INCARICHI RISPETTO IL 2004 LIQUIDATI* RISPETTO IL 2004 Enti locali 72.323 -11,33 709,9 2,0 Università 30.091 -20,51 149,3 3,8 Scuola 34.020 -3,45 59,3 3,1 Sanità 14.252 -10,59 200,4 -6,0 Ministeri 4.563 2,98 24,0 -16,3 Altri comparti 8.699 -6,03 75,9 -6,2 TOTALE GENERALE 163.948 -11,03 1.218,7 -0,1 * in milioni di euro Consulenti interni anno 2005 COMPARTI DIPENDENTI VARIAZIONE % COMPENSI VARIAZIONE % CON INCARICHI RISPETTO IL 2004 LIQUIDATI* RISPETTO IL 2004 Enti locali 26.928 -12,7 72,3 -15,3 Sanità 23.820 -17,2 54,0 0,1 Scuola 26.159 -9,5 41,6 -1.5 Università 15.428 -16,6 71,3 -0.7 Ministeri 6.842 3,3 21,6 18,4 Altri comparti 5.939 -29,8 20,0 -18,8 TOTALE GENERALE 105.116 -13,9 280,8 -5.2 * in milioni di euro Serve più autodisciplina di Bernardo Giorgio Mattarella* Rendere gli incarichi pubblici. lmitando Brown Make or buy? Produrre o comprare prodotti altrui? Costituire strutture che assicurino servizi più o meno complessi (dalla vigilanza degli edifici alla consulenza legale) o rivolgersi a imprese ed esperti esterni? è un problema che spesso si pone per le organizzazioni private, che lo risolvono sulla base di difficili valutazioni di convenienza. Valutazioni legate alla politica del personale e condizionate dalle leggi: i risparmi della soluzione interna possono essere bilanciati dalle garanzie dei lavoratori dipendenti, che si traducono in rigidità dell'organizzazione produttiva. Il problema si pone anche per le pubbliche amministrazioni e anche per esse la scelta è condizionata dalle leggi, ma in modo diverso. A differenza delle imprese private, le pubbliche amministrazioni amano assumere dipendenti a tempo indeterminato, ma le assunzioni sono soggette a norme stringenti. In primo luogo, è necessario un concorso pubblico, che rende difficili, anche se non impossibili, gli abusi e il clientelismo. In secondo luogo, a volte l'assunzione è impedita dalla legge, soprattutto per ragioni finanziarie. Questi due fattori contribuiscono a spiegare l'aumento delle consulenze e degli incarichi professionali che si è avuto negli ultimi anni. In parte si tratta di malcostume: si dà un'inutile consulenza a qualcuno invece di assumerlo, per evitare il concorso e scegliere liberamente il beneficiario, magari un affiliato politico. In parte è il necessario rimedio a cattive leggi, che impediscono di assumere e costringono a supplire con incarichi a tempo: molte consulenze sono figlie dei blocchi delle assunzioni, contenuti in tutte le ultime Finanziarie; i quali sono strumenti rozzi, che fanno risparmiare poco, ma danneggiano molto le amministrazioni. Un terzo fattore è dato dal frequente abuso della possibilità di affidare incarichi dirigenziali, molto ben pagati, a soggetti esterni "di particolare e comprovata qualificazione professionale". Consulenti e collaboratori, poi, finiscono per alimentare le file dei precari nella pubblica amministrazione: a quel punto, scattano forti pressioni per la loro stabilizzazione, che aggiunge ingiustizia a ingiustizia. I dati sulle consulenze scarseggiano, ma l'aumento è certamente notevole. Secondo il Dipartimento della funzione pubblica, nel 2005 gli incarichi di consulenza sono stati ben oltre 250 mila. L'immagine che ne risulta è quella di un'amministrazione che non sa, o non vuole, camminare con le proprie gambe, che spesso fa girare il motore a vuoto e contemporaneamente lo lascia arrugginire: mentre si conferiscono incarichi a soggetti esterni, molti dirigenti di ruolo vengono tenuti a disposizione, con vaghi incarichi di studio, perché invisi al ministro o all'assessore di turno. Le migliori parole, per descrivere questa situazione, sono quelle pronunciate dal Procuratore generale della Corte dei Conti all'inaugurazione dell'anno giudiziario 2006: l'eccessivo ricorso alle consulenze dà luogo a "una sorta di 'amministrazione per incarichi', con possibili negativi effetti non solo sui bilanci, ma anche sulla efficienza dell'azione amministrativa, a causa della conseguente sottoutilizzazione delle risorse umane e del mancato stimolo allo sviluppo delle professionalità interne". Quali i rimedi? La via maestra è la trasparenza: i cittadini sappiano come vengono spesi i loro soldi. Naturalmente, la trasparenza non va confusa con lo scandalismo o con il pettegolezzo. E il diritto alla riservatezza, che pure in questa materia deve cedere il passo, non va del tutto ignorato. La trasparenza, quindi, può anche non essere assoluta, ma deve essere reale: forse non è proprio necessario che tutti i navigatori conoscano il compenso, anche se modesto, di ciascun consulente, ma è necessario che i dati siano facilmente accessibili, su un unico sito. Anche limiti e divieti possono essere utili: criteri di scelta obiettivi, procedure aperte, controllo dei requisiti, limiti alla durata degli incarichi, rapporto massimo tra consulenti e impiegati, divieti di cumulo e rinnovo, prevenzione dei conflitti di interessi. Ma occorre rispettare l'autonomia degli enti ed evitare di gettare il bambino con l'acqua sporca: i consulenti possono essere preziosi rimedi alla debolezza delle amministrazioni. La pubblicità degli incarichi è prevista da una norma della Finanziaria 2007, fin troppo rigorosa e ampiamente inapplicata. Ulteriori previsioni sono contenute nel disegno di legge del governo sui costi della politica, la cui approvazione non è certo imminente. In questa materia, forse, più ancora che sulla legge si deve puntare sull'autoregolazione, che può generare una competizione virtuosa tra forze politiche, a colpi di codici di comportamento e garanti indipendenti. Subito dopo essersi insediato, il primo ministro britannico Gordon Brown ha annunciato al Parlamento l'adozione di un nuovo e più rigoroso codice di comportamento per i membri del suo governo. Nulla impedisce al governo italiano di fare altrettanto. *docente di diritto amministrativo, autore di 'Le regole dell'onestà'.


 

Il Sole 24 Ore 28-7-2007 Taglio dei costi al Quirinale: bilancio più trasparente e stop agli automatismi per le retribuzioni dei dipendenti


Taglio dei costi al Quirinale: più trasparenza nel bilancio interno e stop al meccanismo di allineamento automatico delle retribuzioni dei dipendenti del Colle a quelle del Senato. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano prosegue l'operazione trasparenza sui conti del Quirinale avviata nel dicembre 2006: ora è stata approvata la riforma del bilancio interno, in linea con le conclusioni del 27 gennaio 2007 della commissione di studio istituita il 5 dicembre 2006, con lo scopo di conseguire un contenimento e una razionalizzazione della spesa complessiva dell'amministrazione.

I nuovi criteri di formazione del bilancio interno hanno reso più chiare le singole voci di spesa in modo da consentirme una riaggregazione per aree funzionali, assicurando un controllo dei flussi di cassa e rendendo possibile una programmazione pluriennale della spesa. A fine anno, annuncia il Quirinale sarà resa nota una informativa sugli obiettivi di risparmio conseguiti e sulla destinazione funzionale delle spese.

Un altro decreto del presidente della Repubblica del 30 giugno 2007 ha annullato il meccanismo di adeguamento automatico delle retribuzioni dei dipendenti del Quirinale a quelle del personale del Senato. Prosegue, inoltre, il blocco del turn over e la riduzione del personale di altre amministrazioni «a disposizione» del Quirinale, in particolare per gli addetti alla sicurezza. Viene anche annunciato che a fine anno sarà pubblicata una pianta organica e a eventuali vuoti si provvederà non più «a chiamata», ma con concorsi pubblici e selezioni interne
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La Repubblica 26-7-2007 Palermo I PUNTI IL CASO Indagine della Corte dei conti: in Sicilia 132 Comuni e sei Province hanno violato il patto di stabilità La finanza allegra degli enti locali un terzo di bilanci fuori controllo 132 26,38 1.755 6 ANTONIO FRASCHILLA

 

(segue dalla prima di cronaca) Il risultato? Anche chi violerà sicuramente il patto di stabilità potrà comunque assumere, fare promozioni e aumentare i debiti fuori bilancio. Per "punizione", non sarà premiato con nuovi fondi derivati dall'aumento del gettito nazionale Irpef. Ma per il resto tutto rimarrà come prima. Di certo c'è che i magistrati hanno riscontrato la finanza allegra degli enti locali siciliani. Numeri alla mano, nelle previsioni il 32 per cento dei Comuni dell'Isola supererà i tetti di spesa, a fronte di una media nazionale del 26 per cento. "E difficilmente gli enti riusciranno a raddrizzare i conti nel bilancio definitivo del 2006", spiegano i funzionari della Corte dei conti. Quasi nessuno dei Comuni ha rispettato la data del 30 giugno per l'approvazione dei rendiconti, e comunque per il 2006 "il non rispetto del patto non avrà alcuna conseguenza, e non scatteranno sanzioni". La Finanziaria 2007 ha di fatto cancellato l'obbligo del rispetto del patto di stabilità per lo scorso anno: "Questo perché nel 2006 è stato introdotto per la prima volta il sistema dei controlli, che sono scattati soltanto a settembre - spiegano gli uffici della Corte - gli amministratori e i dirigenti dei Comuni sono stati convocati a novembre e dunque i margini di manovra nei bilanci erano già troppo ridotti. Per evitare sanzioni eccessive si è preferito eliminarle per il 2006, salvo introdurre una norma che obbliga al rispetto del patto di stabilità per quest'anno già a partire dal bilancio di previsione 2007". La cancellazione delle sanzioni non invoglierà certo gli enti a mettere in atto correttivi per ridurre la spesa. I controlli della Corte dei conti hanno comunque messo in luce la finanza fuori controllo di Comuni e Province dell'Isola. A partire dal Comune di Palermo. L'analisi fatta dai magistrati sul bilancio di previsione 2006 è impietosa: "Nella loro relazione annuale i revisori del comune di Palermo hanno sostanzialmente messo in luce che l'impostazione del preventivo per l'esercizio in corso non è tale da garantire il rispetto delle regole previste dal patto di stabilità per il 2006, relativamente sia alla spesa corrente sia alla spesa in conto capitale", scrivono i magistrati, che aggiungono: "A fronte di un limite di spesa corrente netta 2006 calcolato in 353.419.000 euro è stata preventivata una spesa corrente netta normativamente rilevante di 464.980.000,00 (più 31,5 per cento, ndr)". Per la Corte dei conti, inoltre, Palazzo delle Aquile ha sforato anche i limiti di spesa negli investimenti: "A fronte di un limite di spesa in conto capitale pari ad 176.813.000 euro è stata preventivata una spesa normativamente rilevante di 1.077.627.000 di euro". Questo porta ad una conseguenza, comune a tutti gli enti che hanno sforato la spesa per investimento: che per appianare i conti si faccia ricorso ai debiti fuori bilancio. "Per questi ultimi è prevista una significativa spesa pari ad 77.998.174 milioni di euro senza l'attivazione del completo controllo interno di gestione", aggiungono i magistrati che sottolineano anche la notevole perdita, nel bilancio comunale, per il "mantenimento di 3.300 precari lsu", che al momento sono stati finanziati con fondi nazionali ma che "in mancanza di questi dovranno essere pagati con fondi comunali". Nel palermitano hanno violato il patto di stabilità anche i Comuni di Santa Flavia, Capaci, Balestrate, Montelepre, Borgetto, Castelbuono, Altofonte, Gangi, Termini Imerese, Monreale, Bagheria, Bisacquino, Terrasini, Carini e Corleone. Ma non solo. Nella lista nera della Corte dei Conti è finito anche il comune di Cefalù: "L'impostazione del preventivo per l'esercizio in corso non è tale da garantire il rispetto delle regole previste dal patto di stabilità - scrivono i magistrati - A fronte di un limite di spesa corrente netta 2006 calcolato in 9.775.731 euro, è stata preventivata una spesa corrente netta normativamente rilevante di 11.493.955,37 euro". Stessa tendenza per le spese in conto capitale: "A fronte di un limite di spesa in conto capitale di 2.496.108 è stata preventivata una spesa di 5.714.298 euro", dicono dalla Corte dei conti. Non va meglio a San Giuseppe Jato, dove "a fronte di un limite di spesa in conto capitale 2006 calcolato in 818.642 è stata preventivata una spesa normativamente rilevante di 3.610.403 euro", cioè quattro volte superiore. Tra i grandi Comuni hanno violato il patto di stabilità anche Trapani, Messina, Agrigento, Siracusa e Caltanissetta. I magistrati contabili hanno infine controllato i bilanci delle nove Province siciliane. Scoprendo che a violare il patto di stabilità sono state sei. In particolare quelle di Messina, Siracusa, Trapani, Enna, Palermo e Catania. Per la provincia etnea la relazione della Corte dei Conti non ha usato giri di parole: "A fronte di un obiettivo di spesa pari a 17 milioni di euro, le spese previste ammontano a 701 milioni di euro", cioè 41 volte di più. Chissà cosa ne penserà il presidente Raffaele Lombardo, che ha bacchettato l'Ars per aver previsto il taglio dei costi della politica senza aver dato "il buon esempio".


 

Cuneocronaca.it LETTERE AL DIRETTORE/ L’ex deputato leghista Rossi: “Ho fatto parte della “casta’’ per questo la metto sotto accusa’’

 

IL CITTADINO DEVE RIBELLARSI. Dall’ex deputato leghista saluzzese Guido Rossi riceviamo e pubblichiamo: il libro inchiesta di Gian Antonio Stella sui privilegi della casta politica  (cito dallo Zingarelli, casta: gruppo di persone che, caratterizzate da elementi comuni, hanno o pretendono il godimento esclusivo di determinati diritti o privilegi) ha fatto dilagare un sentimento di sfiducia che cova diffuso nella società italiana ormai da molti anni.

La classe politica è incapace di reagire, la tattica sfacciata quanto priva di prospettiva é quella della ritirata, del tirare a campare, sperando che passi la tempesta e l'opinione pubblica sposti la sua mutevole indignazione verso altri obiettivi.Come ex parlamentare e come uomo politico tuttavia non posso e non voglio estraniarmi da questo dibattito, non è possibile fare finta di niente e non è nemmeno possibile minimizzare le accuse che vengono lanciate dai cittadini.

 “Basterebbe” e so quanto questo termine suoni quasi grottesco, che la politica italiana nel suo complesso avesse la forza di dare un segnale , per esempio diminuendo realmente del 20% i costi diretti e indiretti dell'agire politico. Questa diminuzione di indennità, rimborsi elettorali, pensioni, personale, scorte, auto blu da parte del Quirinale, del Parlamento, della Corte Costituzionale, delle Regioni, non solo non intaccherebbe la funzionalità delle istituzioni, non solo libererebbe risorse da utilizzare in altri campi, ma sopratutto darebbe una credibilità enorme alla politica per agire in altri settori dove lo spreco si annida, andando ad incidere su rendite, evasione, assenteismo, mentalità negative.

 

Il cittadino si irrita per gli emolumenti parlamentari ma non conosce quanti dirigenti o manager di ministeri, pubblica amministrazione, aziende pubbliche o partecipate, enti vari percepiscono stipendi consistenti,  vita natural durante e senza nemmeno l'onere di farsi eleggere.

 

Ma al cittadino tutto ciò, giustamente, poco importa, dal politico pretende l'esempio e la capacità di decidere, sì perchè in fondo la gente non è tanto scandalizzata dal costo della politica ma dalla sua inutilità; elegge dei personaggi, li retribuisce e poi li vede impotenti (o peggio conniventi ma questo è un altro discorso) di fronte al supruso, all'inefficienza, alla rapacità dei poteri forti. Ho parlato prima di incidere sulla mentalità, l'ho fatto perchè ne sono convinto, la politica è lo specchio di un paese, spesso in Italia si critica il privilegio quando non lo si possiede, si protesta genericamente contro il potere da lontano per ossequiarlo da vicino.

 

A questo proposito mi permetto una piccola divagazione, pochi giorni fa la stampa locale ha segnalato la presenza di Sergio Marchionne in visita al Castello della Manta. Marchionne A.D. della Fiat, personaggio positivo e di successo, era scortato dagli agenti della questura di Cuneo e durante la sua permanenza gli ingressi degli altri visitatori sono stati bloccati per tutta la mattinata. Un piccolo episodio che segna la nostra distanza da altri paesi, dove per esempio Gordon Brown ministro delle Finanze (ora premier del Regno Unito) viaggia sulla metro di Londra con la sua borsa di documenti.

 

Non so, se e quando arriverà il cambiamento, oggi però la mia preoccupazione è rivolta verso quelle donne e quegli uomini, che svolgono un'attività politico/amministrativa con buon senso, onestà, passione; per tutte queste persone non esiste altra prospettiva che l'impotenza o la dolorosa indifferenza verso così tanto discredito?

 

Quale spazio può ancora avere il sottoscritto che dopo vent'anni di impegno pubblico non è stato ricandidato dal suo partito per essersi rifiutato (rinunciando ai vari “privilegi” oggetto di discussione) di pagare una consistente somma di denaro necessaria per salvare la banca Credieuronord (causa di perdita di risparmi per migliaia di azionisti) dalla bancarotta e per evitare imbarazzanti spiegazioni pubbliche da parte della dirigenza della Lega?

 

E quale spazio può ancora esserci per quei tantissimi  che continuano a pensare che si possa fare politica, amministrazione, impegno pubblico con moralità e buona fede? L'alternativa è solo quella di ritirarsi, di appendere le scarpe al chiodo, lasciando campo libero agli affaristi, agli intrallazzatori, pensando che in fondo alla gente poco importa dell'onestà e della competenza?

 

On. Guidio Rossi

 


Primadanoi.it 23-7-2007 Costi della politica, «2mila euro per una firma poi me la squaglio»

 

PESCARA. Dopo la pubblicazione dei due libri: "La casta" di Giannantonio Stella-Rizzo e " Senti chi Parla" di Mario Giordano che mettono a nudo gli sprechi del denaro pubblico da parte della politica, a Pescara Gianni Melilla, presidente del Consiglio Comunale, ha proposto di ridurre i numeri degli assessori da quattordici ad otto. «Bella proposta», commenta Antonio Gentile, segretario provinciale Nuovo Psi, «ma certamente irrealizzabile, con la maggioranza di oggi e con il sindaco attualmente bersagliato della magistratura e della stampa nazionale e internazionale».Con il taglio ipotizzato da Melilla chi potrebbe voler rinunciare alla sua posizione? Come procedere? Con un sorteggio? Chi rinuncerà di sua sponte al succulento appannaggio?
«Melilla», continua Gentile, «se intende veramente portare una ventata di moralità nell'amministrazione comunale (ne ha tutti i titoli per farlo) non deve fermarsi solo al numero degli assessori. Bisogna ridurne anche l'indennità e proseguire con i consiglieri comunali e circoscrizionali».
Gentile fa un po' di conti in tasca ai consiglieri del Comune e bolla come «immorali» i compensi percepiti: «si arriva a guadagnare oltre 2mila euro fra sedute consiliari e commissioni di lavoro dove ci si limita in maniera oscena e truffaldina ad apporre la sola firma per poi squagliarsela».
Altro spreco «indecoroso», che pochi conoscono è, spiega ancora il segretario provinciale dello Psi, «il distacco dagli uffici di personale che viene utilizzato (si fa per dire) presso i gruppi consiliari per l'importante lavoro di "enigmistica" anche durante le ore di straordinario». E Gentile consiglia una cura dimagrante per «l'elefantiaca segreteria del primo cittadino». «I rapporti con la base elettorale e con gli iscritti dei propri partiti vanno curati fuori dalle istituzioni senza farne gravare i costi sulle stesse».
Altro importante taglio su cui il segretario riflette è quella del city manager: «Antonio Dandolo, assunto in comune quale city manager succhia ogni anno 200mila euro. Questa figura, creata con la sciagurata riforma Bassanini, non è obbligatoria. Il suo compito non si sa bene quale dovrebbe essere, considerato che il ruolo di segretario comunale, questa si istituzionale, esiste ancora». E Gentile chiude con la "perla dello spreco d'alfonsiano" , «da far conoscere ai cittadini pescaresi e forse anche alla Corte dei Conti:
Giorgio D'Amico, ex primario chirurgo dell'ospedale di Torre Maggiore in provincia di Foggia ed ex assessore comunale, non si sa di quale raggruppamento politico, da quando è stato rimosso dalla carica per far posto ad un altro pseudo politico senza seguito elettorale, incassa mensilmente dal comune 1.300,00 €. A che titolo? Forse come consulente chirurgico del sindaco?»
23/07/2007 9.25


Il Corriere della sera 24-7-2007 POLITICA E TAGLI Quanto costa la commissione anti-sprechi? Di SERGIO RIZZO e GIAN ANTONIO STELLA

 

 "Trattasi di un gruppo di svogliati selezionati da un gruppo di incapaci per il disbrigo di qualcosa di inutile".Ecco cos'è una "commissione" nella micidiale definizione di un antico e caustico editorialista del New York Times . Un giudizio forzato. Forse qualunquista. Ma che non può non tornare in mente (facciamo gli scongiuri) davanti alla decisione presa dal Senato di affrontare la questione incandescente dei costi della politica istituendo una apposita commissione conoscitiva da mettere al lavoro dopo le vacanze, la tintarella, i bagni. Il metodo più sicuro, spesso, per guadagnare tempo. Si dirà: certe commissioni parlamentari hanno fatto un buon lavoro. Verissimo. Ottimo. Si pensi a quella sulla condizione contadina condotta alla fine dell'Ottocento da Stefano Jacini per denunciare la disperazione di un mondo di tuguri "ove in un'unica camera affumicata e priva di aria e di luce vivono insieme uomini, capre, maiali e pollame". O quella sulla Questione Meridionale di Leopoldo Franchetti, Sidney Sonnino ed Enea Cavalieri. O ancora, in tempi più recenti, quella sulla P2 sotto la presidenza di Tina Anselmi. O quelle, soprattutto in certi anni durissimi, sulla mafia. Sia pure concluse, a volte, purtroppo, con l'epilogo sconcertante di relazioni di maggioranza e relazioni di minoranza. Neppure i più accaniti teorici di questo strumento della democrazia, però, possono negare quanto esso sia andato via via alla deriva. Fino ad assumere, troppo spesso, altre funzioni. Non nobilissime. Di minaccia, di vendetta, di ricatto. Di pressione politica. Basti ricordare l'Umberto Bossi nella sua stagione di guerra al Cavaliere: "Parlare e discutere di par condicio è troppo poco. Io propongo una commissione parlamentare d'inchiesta sugli arricchimenti di Silvio Berlusconi. Da dove provengono i suoi soldi? Come ha costruito il suo impero televisivo? Come utilizza la politica per difendere gli affari personali?". O l'ambigua intimidazione di Luciano Violante: "Se facessimo come Berlusconi nella prossima legislatura, a elezioni vinte, potremmo istituire una commissione parlamentare su come è diventato ricco. Ha detto che andava in comune a Milano con l'assegno in bocca: a chi lo dava?". O ancora l'avvertimento dello stesso Cavaliere reduce dall'aver deposto al processo di Milano: "Faremo una commissione d'inchiesta sulla vendita della Sme". Per non dire dell'insistenza con cui pezzi della sinistra hanno premuto per una commissione sul G8 di Genova, la cui presidenza per Gigi Malabarba doveva andare alla madre di Carlo Giuliani. O delle polemiche divampate intorno alle commissioni sull'affare Mitrochin, su Telekom Serbia o perfino alle sole ipotesi di commissioni su Tangentopoli, sull'uso della giustizia negli anni di Mani Pulite o sulle scalate bancarie del 2005. Non bastasse, si sono viste commissioni parlamentari, regionali o comunali così pigre, assurde o traboccanti di poltrone da minare gravemente la fiducia dei cittadini. Come quella costituita anni fa in Calabria "per la qualità e la fattibilità delle leggi", i cui risultati (zero) sono sotto gli occhi di tutti. O quella sui fondi neri Iri, istituita nel gennaio 1987 e defunta senza mai riunirsi una sola volta. O quella dedicata all'ambiente che, stando al rapporto Legambiente 2001, riuscì in un anno a esaminare "solo gli emendamenti all'articolo 1" (su dieci) della Legge Micheli contro l'abusivismo. O le due "commissioni interministeriali sul latte microfiltrato" chiamate a pronunciarsi (giudizio favorevole) sul via libera al latte "frescoblu" sul quale Calisto Tanzi aveva scommesso decine di milioni di euro. E la "commissione antisprechi" nella Sanità voluta dalla Regione Veneto nel 2003? Tre anni dopo, la Corte dei Conti riassumeva che era costata 340 mila euro e aveva prodotto (in tre anni!) due documenti, inutilizzati: che spreco! E le 24 commissioni permanenti o speciali (dalla "riforma della burocrazia" alla "garanzia e tutela della riservatezza della sfera personale e della privacy") del Lazio? E le 18 della Campania ridotte a 12 solo in seguito alle polemiche e alle risate sulla decisione di fare una "Commissione sul Mare" e una "Commissione sul Mediterraneo"? Fino al capolavoro, serissimamente descritto da un'agenzia del maggio 2002: "Parte operativamente da lunedì prossimo, con la prima riunione della speciale commissione che si riunirà al ministero della salute, il "progetto dentiera" voluto dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi per dare agli anziani "edentuli" e indigenti le protesi, cioè le dentiere, che non si possono permettere". Tra quelle ordinarie, permanenti, speciali, bicamerali, conoscitive o di inchiesta, le commissioni avviate da Camera e Senato in questa solo legislatura risultano essere (dal ciclo dei rifiuti al servizio sanitario nazionale, dagli infortuni sul lavoro all'uranio impoverito) ben 56. C'è la commissione di vigilanza sulla Cassa depositi e prestiti, la banca del Tesoro, la cui vita è riassunta dal deputato Carmine Santo Patarino così: "Finora abbiamo fatto due o tre incontri, ma ancora l'attività istituzionale non è stata avviata". C'è la commissione mista per "l'accesso ai documenti amministrativi". C'è quella "consultiva per il riconoscimento di ricompense al valore e al merito civile". Quella dell'anagrafe tributaria, che fino a oggi si è riunita sei volte: poco più di una a trimestre. Quella per la "semplificazione della legislazione" che in un anno e passa è stata convocata 13 volte (totale: 10 ore) sotto la sapiente guida di Pietro Fuda il quale, uomo giusto al posto giusto, è stato dirigente della Cassa del Mezzogiorno e poi della Regione Calabria: due modelli di burocrazia agile e scattante. E via così... Sperano davvero i senatori, con questi precedenti, che i cittadini si entusiasmino alla nascita di questa nuova commissione, che peraltro si aggiunge a quella già varata dalla Camera? In bocca al lupo. Ammettano però che un po' di scetticismo... Sergio Rizzo.


 

La Repubblica 20-7-2007 IL CASO Questi i costi degli uffici dello Stato. Il piano di tagli dei ministri Lanzillotta e Santagata Telefoni e posta per 500 milioni, il web può dimezzare le spese CARMELO LOPAPA

 

ROMA - Al governo è bastato sbirciare tra i conti dell'amministrazione per scoprire che nell'anno 2007 dell'era Internet, dai ministeri e dagli uffici pubblici dello Stato vengono spediti per posta 80 milioni di documenti e 20 milioni di raccomandate. Da un ufficio all'altro, ben inteso. I primi a 1,80 euro ciascuno, le seconde a 2,80. Spesa complessiva: 168 milioni di euro. Quando e se il disegno di legge appena varato dal governo Prodi per abbattere i cosiddetti costi della politica entrerà in vigore, le scartoffie dovrebbe lasciare il posto al web, alla posta elettronica, quella che usano ormai più di 20 milioni di italiani. E la spesa di 168 milioni sarà quasi azzerata: ridotta a 1 milione 823 mila euro. Si scoprono questi e altri piccoli arcani (ma a sei zeri) della spesa pubblica dal monitoraggio preparatorio confluito poi nella relazione tecnica e nelle tabelle del ddl approvato in Consiglio dei ministri e che ora gli uffici hanno completato. La montagna di posta in transito a caro prezzo costituisce solo uno dei paradossi emersi dal controllo sullo stato di salute della burocrazia. Perché si fa presto a parlare di costi della politica, di privilegi del Parlamento, ma l'amministrazione centrale dello Stato su quel fronte, a quanto sembra, non teme paragoni. Si prenda l'esempio dei telefonini, ancora status symbol se concessi in dotazione da ministeri e società pubbliche ai loro sherpa, ai funzionari, ai componenti degli uffici di gabinetto. Ebbene, l'indagine condotta dal governo è giunta a una prima stima di massima. In circolazione ve ne sono 150 mila. E il dato si riferisce solo agli apparecchi in dotazione ai dipendenti e ai funzionari dello Stato. Impossibile finora stimare quanti ve ne siano ad appannaggio di Comuni, Province e Regioni. Nessuno si stupirebbe se fossero altrettanti. La spesa? Varia da gestore, dal tipo di contratto stipulato e dall'uso. Ma calcoli, anche questi approssimativi, parlano di 50-100 euro l'anno per ciascun apparecchio. Per un totale che va dai 10 e ai 15 milioni di euro. Il provvedimento presentato sette giorni fa dai ministri Santagata e Lanzillotta conta di ridurre l'assegnazione a chi ha "esigenze di pronta e costante reperibilità", come si legge nella relazione. Ma il grosso del risparmio il governo spera di strapparlo sotto un'altra voce, che ha rivelato costi stratosferici, superiori e non di poco alle previsioni. Si tratta della telefonia fissa. Nella scheda "Stato attuale della fonia nella pubblica amministrazione" si calcola qualcosa come 1,5 milioni di postazioni telefoniche. Che nel 2006 sono costate di 200 milioni di euro per il traffico, di 100 milioni per soli canoni di utenza e 50 milioni per le spese di manutenzione dei centralini. Il totale fa 350 milioni di euro. "Quei costi li abbatteremo col passaggio al Voip, alle comunicazioni telefoniche via Internet, che ci consentirà di ridurli di almeno 120 milioni di euro" spiega il sottosegretario all'Innovazione Beatrice Magnolfi, artefice del pacchetto di misure che passa attraverso l'uso del web. "Come avvieremo la rivoluzione? Tagliando gli stanziamenti per la telefonia come per la posta del 30 per cento a quei rami dell'amministrazione, degli enti e delle società pubbliche che non si saranno adeguati ai nuovi strumenti telematici. Come pure dovranno ridurre le consulenze e informare i cittadini sulle indennità corrisposte attraverso i siti web, tanto più che abbiamo scoperto che le amministrazioni ne hanno aperti ben 1.025: è il momento di farli funzionare e non di utilizzarli come vetrine". Il deterrente ideato per costringere a tagliare l'hanno battezzato "ghigliottina automatica" (meno ti adegui, più ti tagliamo). Lo stesso accadrà con le auto blu. Il governo ne vuole introdurre di cumulative, riducendone il numero. Ma prima di intervenire dovrà scoprire quante ve ne sono in circolazione. Perché del parco macchine, il monitoraggio compiuto non è riuscito ancora a venire a capo.

 


Il Sole 24 Ore 19-7-2007 I costi della politica. Accordo Camera-Senato Dal 2011 tagliati i vitalizi dei parlamentari Andrea Marini

 

ROMA Niente più trattamenti pensionistici di favore per gli ex parlamentari. Lunedì prossimo dovrebbe essere il giorno del via libera alle misure sul taglio dei costi della politica di Camera e Senato: alle 16, è prevista la convocazione del Consiglio di presidenza di Palazzo Madama, che dovrebbe procedere in tandem con il corrispondente Ufficio di Montecitorio. Non sarà più possibile pagare contributi volontari dopo 2 anni 6 mesi e un giorno, per arrivarea 5 anni, per quei parlamentari che non finiscano la legislatura. La norma scatterà dal 2011, per evitare che la misura, qualora applicata da subito, "blindi" la legislatura attuale. "Solo questa misura – ha detto ieri il senatore questore Gianni Nieddu (Ulivo) – porterà un taglio del 25% delle spese previdenziali ". Sarà possibile, però, sommare periodi più brevi svolti in diverse legislature fino a raggiungere i 5 anni richiesti. Per quel che riguarda l'assegno – che potrà essere incassato al compimento del 65Úanno di età, anticipato a 60 solo in presenza di 10 anni di mandato effettivo – la nuova proposta prevede un primo livello pari al 20%dell'indennità parlamentare dopo 5 anni (contro il 25% attuale) a salire anno dopo anno fino ad arrivare al60% al 15Úanno di contribuzione (a oggi il limite massimo è dell' 80%, dopo 30 anni). Tra Camera e Senato si sta ancora discutendo se far scattare la misura già da questa legislatura (è la tesi di Palazzo Madama, per dare subito un segnale all'opinione pubblica) oppure rinviare la misura alla prossima legislatura (come vorrebbe Montecitorio). I questori della Camera, infatti, hanno fatto notare che il nuovo meccanismo potrebbe portare un aggravio immediato sui bilanci, dato che circa 400 deputati hanno già 2-3 legislature alle spalle. Per i questori del Senato, tuttavia, il maggior costo verrebbe riassorbito dai risparmi nelle altre fasce. "Aspettiamo i calcoli da Palazzo Madama –ha detto il deputato questore Severino Galante (Pdci) – l'obiettivo è quello di giungere al sistema che garantisce maggiori economie". La questione verrà discussa tra i due rami ancora nei prossimi giorni. Tutti d'accordo, invece, nell'estendere i casi di sospensione del vitalizio, finora limitati alla rielezione al parlamento nazionale, a Strasburgo o come consigliere regionale. Circa le altre misure, sono aboliti i 3.100 euro a parlamentare per i viaggi di aggiornamento all'estero. Al Senato poi si procederà sulla strada dell'informatizzazione: "Già –ha detto Nieddu– sono stati eliminati i telegrammi per le convocazioni (con risparmi di 200mila euro annui) e oggi operiamo al 60% in open source", i software gratuiti. Si andrà avanti poi a esternalizzare la ristorazione unificando le 4 gare d'appalto. Verranno eliminate le scorte di magazzini e gli acquisti saranno a livello centralizzato tramite la Consip. Da"rivedere"anche il trattamento economico dei dipendenti. Sinergie sempre più spinte saranno infine adottate con la Camera.


L’Unità 19-7-2007 Comunità montane in riva al mare Costi della politica, anche Sperlonga e Terracina tra le località "d'altura". Viaggio tra i 22 enti e tra i consigli da cento dirigenti che la Regione voleva tagliare e ora propone di far "autoridurre" di Alessandra Rubenni Tra le onde.

 

Nel Lazio le comunità montane arrivano fin sulla battigia. Le spiagge di Sperlonga, Terracina, persino la famosa piana di Fondi, con la cittadina a 8 metri sul livello del mare, fanno parte di una comunità montana, la ventiduesima. Ridenti località marine catalogate come "parzialmente montane" e associate ad altri tre comuni che alcune alture in più in effetti ce l'hanno, aggrappate alla "vetta" di Campo di Mele, a 700 metri. Un lungomare montano a forza di legge, grazie alle norme che hanno classificato i comuni del Lazio secondo l'altitudine. E poco vale che le stesse leggi (il riferimento è la l.r. 9 del '99) parlino anche di tre fasce di disagio (bassa, media, elevata) dovute alle irte pendenze. E che tanta depressione, nelle perle del litorale pontino, meta di turisti e bagnanti, sia difficile scovarla. Funziona così, nella regione che conta 22 comunità montane, molto spesso sovrapposte alle 23 Unioni di comuni e ai parchi: altri enti, come le comunità montane, che servono innanzitutto a tutelare l'ambiente naturale. La moltiplicazione di uffici, sedi, organi direttivi, presidenti e consiglieri è sotto gli occhi di tutti. Da anni. Così come la moltiplicazione dei costi. Buoni propositi Qualche giorno fa, è stato l'assessore agli Affari istituzionali del Lazio a far tuonare un annuncio che suonava come: tagliamole, molti sono enti inutili. Ora Daniele Fichera pare riassestato sulla linea della "concertazione". "Alle comunità montane - racconta - ho chiesto un'autoriforma. Bisogna partire da un punto: a cosa servono? Va definita la "mission". E poi se c'è una "superfetazione" di organismi - dice lui, scengliendo le parole che si usano per gli abusi edilizi - lavoriamo per ridurre i numeri. Ma se non arriva una proposta entro 3 mesi, allora interverrà direttamente la Regione". segue a pagina II OGNI COMUNITÀ MONTANA ha un presidente e una squadra di assessori, tutti stipendiati, oltre a un esercito di consiglieri pagati a gettone.

 

 

 


Il Tempo 17-7-2007 Doveva essere il giorno dei tagli dei costi della politica. Niente da fare, tutto rimandato. Fab. Per.

 

 La decisione delle Camere slitta. Il Senato non era pronto: tutto rinviato a causa dell'intenso lavoro della scorsa settimana sull'ordinamento giudiziario. Voci di corridoio sostenevano che qualcuno a Palazzo Madama si fosse impuntato sull'assegno vitalizio, che secondo il documento non deve essere superiore del 60% dello stipendio. Voci, appunto. Che ieri hanno fatto infuriare il presidente della Camera Fausto Bertinotti, il quale in mattinata si era sfogato col collega Marini per telefono. Quelle indiscrezioni facevano apparire la Camera come il ramo "lassista" del Parlamento. Poi ha precisato: "Se l'incontro è stato rimandato è per gli impegni rilevanti che il Senato ha dovuto far fronte - spiega Bertinotti - E non esiste discrepanza tra le due proposte. Il rinvio è per arrivare a una deliberazione congiunta, già maturata. Delibereremo prima dell'inizio della pausa estiva". Nel pomeriggio, poi, ci ha pensato il questore Gabriele Albonetti a chiarire tutti i punti. Innanzitutto: gli effetti dei tagli sui vitalizi non li vedremo in questa legislatura, ma alla fine della prossima. Poi difende i parlamentari. Una difesa strenua e orgogliosa dei costi "strutturali" della politica come baluardo di democrazia. E ha fatto riferimento a "una campagna che tende a produrre una forte delegittimazione dell'attività politica". Anche se, ha aggiunto, che a essa vanno comunque affiancate "risposte concrete nella lotta agli sprechi". albonetti spiega che un parlamentare alla fine dei conti resta con 5-6.000 euro al mese. Albonetti ha però voluto ricordare sia quello che si è già fatto che quello che ci si propone di fare. Così ecco specificato che la Camera, nella propria autonomia, ha concretamente applicato alle spese correnti dal 2005 il limite di incremento del 2% stabilito dalla legge finanziaria dello stesso anno; come pure ha recepito e attuato le norme stabilite dalle leggi finanziarie a partire da quella per il 2005 in materia di contenimento delle spese per consulenze. Ed ecco sottolineato subito dopo che negli ultimi anni, il tasso di crescita delle spese effettive della Camera si è progressivamente ridotto: era superiore al 7% nel 2000 ed è del 2,94% nel 2007. E ancora che la percentuale di crescita effettiva delle retribuzioni del personale di Montecitorio nel periodo 2001-2006 è in linea con la dinamica dello stesso periodo nei settori principali della pubblica amministrazione. Inoltre, i costo del Palazzo secondo il questore sono con le altre democrazie Ue. Si può comunque fare ancora molto per risparmiare e in questo senso Albonetti è stato prodigo di esempi su come si intende procedere. Ha citato l'imminente esternalizzazione del ristorante dei deputati, che produrrà una riduzione dei costi di circa 3,7 milioni di euro su base annua. Ha confermato interventi sull'informatica che determineranno contenimenti di spesa nell'ordine di 2,5 milioni di euro sempre su base annua. E ha poi accennato alla "razionalizzazione dei costi per locazioni di immobili" anche attraverso la "sostituzione progressiva degli immobili in locazione con edifici nella diretta disponibilità della Camera". In questo modo, sempre secondo Albonetti, sarà possibile operare risparmi a regime di 2,6 milioni di euro all'anno. Già decisa poi una riduzione delle tirature degli atti parlamentari con significativi vantaggi gestionali in termini di minori spazi occupati e di abbattimento del rischio di incendio. E inoltre: fine della stampa cartacea della rassegna stampa e convocazioni degli organi della Camera tramite posta elettronica e sms. Sulla fatidica questione dei vitalizi invece tutto rimane temporaneamente sospeso in attesa di una concertazione assoluta col Senato. "Con le leggi vigenti stiamo facendo il massimo. È chiaro che se riuscissimo a diminuire il numero dei parlamentari e a eliminare il bicameralismo, possiamo rendere più efficiente la democrazia e abbiamo dimezzato i costi della politica". martedì 17 luglio 2007


 

Da cdt.ch 15-7-2007 COMMENTO – Italia Quali sono i veri costi della politica? Piero Ostellino

 

Da quando и comparso nelle librerie il libro di Russo e Stella «La Casta», in Italia и diventato di moda parlare dei «costi della politica». Il libro fa uno sterminato elenco degli enti, degli sprechi, delle prebende, dei privilegi che gravano sulla spesa pubblica. Questi sono i costi della politica. La Casta sono gli uomini politici, gli amministratori locali, i funzionari pubblici che sui costi della politica ci campano. Gli italiani sono indignati. Gli scompartimenti dei treni, i tavolini dei Bar Commercio, i salotti di tutta Italia tracimano indignazione. «Mi dica lei, caro signore, se и giusto che il sindaco di un Paesino guadagni tre volte quello che guadagna mio figlio, laureato, che lavora alla Fiat, mi dica lei». «Ha letto che il Quirinale, sм, dove c’и Napolitano, il presidente della Repubblica che pure и un galantuomo, creda a me, costa quattro volte Buckingham Palace, dove c’и la regina Elisabetta, a Londra?». «Qui, se qualcuno non provvede in tempo il Paese va in malora». E via indignandosi.  I politici, a loro volta, non sapendo che pesci pigliare, si provano a immaginare soluzioni «tampone» che facciano in qualche modo risparmiare un po’ di euro alle disastrate casse dello Stato. Riduzione delle auto blu ministeriali, simbolo dei privilegi della classe politica. Eliminazione della barberia di Montecitorio o di Palazzo Madama, dove i parlamentari si fanno fare barba e capelli a prezzi stracciati. Aumento dei prezzi dei due ristoranti, sempre di Camera e Senato, dove una colazione costa meno di un gelato in una gelateria di Roma. Taglio dei telefonini in dotazione gratuita a molti funzionari pubblici. Qualche parlamentare, con un pizzico di autolesionistica demagogia, arriva a proporre la riduzione dell’assegno di deputati e senatori. Qualcun altro va a fare le pulci alle spese per la Presidenza della Repubblica. Si studiano e si incominciano a presentare all’esame delle commissioni parlamentari disegni di legge sui «costi della politica». Che naturalmente lasceranno il tempo che trovano perchй il problema non и questo.
L’Italia и un Paese paradossale, dall’indignazione facile e dalla difficile capacitа, e non di rado dalla scarsa volontа, di porre rimedio a ciт che suscitata indignazione. Dopo la prima fiammata moralistica – che fa vendere oltre mezzo milione di copie a un libro e intasa di sdegno i pensieri e le conversazioni di milioni di cittadini  – tutto si spegne nella rassegnata apatia. Qualche giorno fa, un amico, docente universitario, era salito su un treno Eurostar alla stazione di Roma per tornarsene nella sua cittа, Genova. La carrozza di prima classe era piena di turisti americani, entusiasti d’essere in Italia. All’ora della partenza, и comparso un omino delle Ferrovia dello Stato che ha annunciato candidamente che il treno sarebbe partito in ritardo e che non si sapeva neppure quando perchй, testuale: «Non riusciamo a trovare il locomotore». Gli americani si sono guardati con l’aria smarrita di chi si chiede se, per caso, non и finito in una repubblica sudamericana della fine dell’Ottocento-primi del Novecento, quelle, per intenderci, degli assalti ai treni da parte di pseudo-rivoluzionari, mezzo banditi, mezzo idealisti. Il mio amico ha chiesto se il locomotore lo aveva rubato qualche extracomunitario. Il treno и partito con ore di ritardo. Sempre l’amico professore ha chiesto ad alcuni alti magistrati se, secondo loro, la separazione delle carriere, prevista dalla maggioranza degli ordinamenti giudiziari europei, sarebbe «un colpo di Stato». Non ha ricevuto risposta. Ha chiesto, allora, perchй minacciassero di scioperare solo perchй la riforma dell’ordinamento prevedeva che il passaggio dal ruolo di Pubblico ministero a quello di Giudice comportasse almeno un cambiamento di sede regionale. Ma non ha ugualmente ricevuto risposta. A questo punto, ha chiesto a un altro magistrato tedesco se in Germania i magistrati avessero mai scioperato. Naturalmente, non hanno mai scioperato e a un magistrato tedesco non verrebbe neppure in mente di scioperare. In compenso, la durata dei processi in Italia и da cinque a dieci volte – a paritа di organici rispetto alla popolazione – quella degli altri Paesi europei.
Allora, in che consistono i costi della politica? Consistono in quello che gli italiani non riescono neppure a vedere. Per carenza di cultura politica, per abitudine, per pregiudizio ideologico. Il corporativismo fascista, prima, il collettivismo statalista comunista, poi, il solidarismo cattolico, infine, hanno insegnato loro che lo Stato и come un padre, che sa meglio dei figli quale и il loro Bene e ad esso provvede senza neppure interpellarli. Cosм, gli italiani non vedono che i costi della politica stanno semplicemente nelle dimensioni dello Stato, in una Pubblica amministrazione ipertrofica, costosa e in gran parte poco efficiente, in poche parole: in una «ragnatela istituzionale» che assorbe e brucia risorse del tutto legalmente. Sм, non mancano le ruberie, i privilegi, le illegalitа diffuse e tollerate, ma non sono questi i costi reali della politica. I veri costi, per lo piщ ineliminabili se non attraverso una profonda riforma dello Stato, sono la macchina stessa dello Stato che costa troppo rispetto a quello che rende e che si allunga quotidianamente sulla societа civile, pretendendo di occuparsi di tutto. Ma poichй il solo rimedio sarebbero: la sussidiarietа – lo Stato fa solo quello che i privati non sanno o non vogliono fare – la deregolamentazione (la semplificazione legislativa col passaggio dalle attuali 100-150 mila leggi a nove-diecimila), le liberalizzazioni (il conferimento al mercato di produrre beni e servizi oggi forniti dallo Stato), le privatizzazioni (il trasferimento ai privati di molte proprietа pubbliche) и assai difficile che, con la classe politica che ha, l’Italia ne possa e sappia uscire.
Quanto si risparmierebbe se si eliminassero le inutili Province, che invece proliferano come topolini e coniglietti in calore? Quanto si risparmierebbe decentrando sia il reperimento delle tasse sia i centri di spesa alle Regioni, riducendo considerevolmente la Pubblica amministrazione centrale a tre ministeri-strutturali (Difesa, Esteri e Giustizia) e a due ministeri complementari (Interni e Finanze)? Quanto si risparmierebbe alienando gran parte del patrimonio pubblico (edifici inutilizzati, litorali e terreni abbandonati, opere d’arte relegate nei sotterranei dei musei)? Quanto si risparmierebbe liberalizzando e privatizzando i servizi locali che forniscono acqua, gas e luce a prezzi superiori a quelli europei? Insomma, quanto risparmierebbero gli italiani e quanto meglio vivrebbero se ci fosse una vera rivoluzione liberale, meno Stato, piщ mercato, Stato piщ efficiente nelle poche cose che fa, mercato piщ libero, seriamente concorrenziale, di esprimere la propria capacitа di produrre ricchezza? Sarkozy sta rivoluzionando la Francia, allo scopo di renderla piщ efficiente, pur conservandole il carattere di una grande nazione orgogliosa della propria grandeur e di tradizioni stataliste. Nel suo piccolo, chi potrebbe fare altrettanto in Italia? Per ora, di Sarkozy, in Italia, non c’и neppure l’ombra.

15/07/2007 21:02

 


 

Il Messaggero 15-7-2007  Per gli enti locali umbri è un terremoto. Se passasse, così come è stato presentato da uno stock di ministri, il disegno di legge del Governo sui costi della politica, cambierebbe radicalmente il panorama dell'Umbria. MARCO BRUNACCI

 

PERUGIA - Per cominciare non ci sarebbero più le Circoscrizioni nei Comuni: da Perugia (che ne ha 13) fino a Terni e Foligno (che nel suo piccolo ne ha comunque 9). Il consiglio regionale rimarrebbe a 30 consiglieri e non ci sarebbe bisogno di tornare a cambiare lo Statuto, magari però si potrebbe tagliare anche sul numero degli assessori e soprattutto si potrebbe tornare a scegliere l'assessore tra i 30 eletti. Un Comune come Perugia passerebbe da 40 a 25 consiglieri in un battibaleno. Ma i consiglieri dei Comuni con meno di 60mila abitanti (tutti quelli umbri eccezion fatta per Perugia a Terni) dovrebbero rimettere in gioco i loro gettoni di presenza. Un incubo per non meno di 500 persone fisiche che gravano sui "costi della politica" della regione. Non andrebbe meglio con gli enti. Un vento gelido risale lungo i crinali delle Comunità montane: altro che riforme tenendo tutti i dipendenti, assumendo i precari e dando incarichi compensativi ad ex sindaci, ad ex segretari di partito, ad ex funzionari del carrozzone della politica di ogni ordine e grado e associazione e sindacato: tutti si ridurrebbero in un attimo a far parte di un'unica comunità finalmente con qualche seria montagna in più. Pensando a quante opere di cesello istituzionale, a quante mediazioni, a quante pasticche di Maalox sono state protagoniste della sofferta riforma delle Comunità montana appena approvata dal consiglio regionale umbro, dopo aver officiato per intero il rito di una verifica politica, si capisce che il disegno di legge è una rivoluzione. Ma tutto questo sarebbe vero, se il disegno di legge venisse approvato così com'è. E "sottolineo se", come diceva il celebre filosofo Mina in una inimitabile canzone. Prendiamo il consiglio regionale umbro e applichiamo la riforma. Oggi come oggi, il bilancio di previsione annuncia che nel 2007 saranno spesi 26.494.457,90 euro. Continua a pagina 39.


 

Il Giornale di Vicenza 15-7-2007 Il centrodestra berico diserta il summit veneto per lo stallo sulla nuova giunta Protesta delle Province "I tagli servono altrove" di Federico Ballardin Le province costano troppo? Per tagliare i costi della politica si cominci altrove e intanto si realizzi quel decentramento delle competenze e il federalismo fiscale che consentirebbero il funzionamento migliore dell'ente pubblico.

 

Ieri a Venezia è stato approvato all'unanimità dai rappresentanti delle sette province venete un documento in cui si chiede con urgenza alla Regione l'istituzione del Consiglio delle autonomie locali (art. 123 della Costituzione) e si rivendica un ruolo decisionale più importante. La delegazione della provincia vicentina era l'unica "monca" vista la polemica in atto alla maggioranza, sulla divisione delle poltrone nella Giunta Schneck. Così ieri la Provincia vicentina si è trovata nella singolare situazione di essere rappresentata quasi in toto (con l'eccezione dello stesso presidente Attilio Schneck) da esponenti della minoranza. Infatti all'auditorium Santa Margherita di Venezia c'erano per Vicenza Daniela Sbrollini (Ds), Ezio Sambugaro (DC), Mauro Beraldin e Armido Besco (Ulivo). "Mi aspettavo la presenza almeno di qualche rappresentante di Udc e An, - commentava Daniela Sbrollini - mentre sapevo che Forza Italia non sarebbe venuta per la polemica in seno alla maggioranza. L'imbarazzo del presidente Schneck era evidente, inoltre tutte le altre province venete non solo erano al completo, ma avevano già copia del documento da votare che invece noi non avevamo. Abbiamo dovuto leggerlo in fretta e furia prima dell'approvazione, questo dimostra come in Provincia si sia alla paralisi completa". Il documento punta il dito contro una certa campagna di stampa che tenderebbe a indicare nelle province gli enti più dispendiosi e inutili e quindi i primi a dover essere "tagliati" nell'ottica di un ridimensionamento dei costi della politica. Le province venete invece hanno richiamato con forza l'attenzione sugli sprechi dovuti alle sovrapposizioni di competenze tra provincia e Regione ma anche sul proliferare di Enti, agenzie, Consorzi (chiaro il riferimento ai consorzi di bonifica) che toglierebbero competenze alla provincia creando una sorta di doppione. In otto settori si chiede poi maggiore autonomia: coordinamento; pianificazione territoriale di area vasta; programmazione dello sviluppo economico; tutela ambientale, difesa del suolo e gestione del demanio idrico; programmazione scolastica, formazione professionale e mercato del lavoro; turismo; beni e attività culturali; servizi pubblici di rilevanza economica di area vasta. "Prima di togliere risorse alle province - è il commento di Schneck - Si potrebbe ridurre il numero dei parlamentari e dei senatori. Il parlamento costa 2 miliardi di euro, le province 100 milioni mi pare chiaro da dove si debba cominciare a tagliare...".


 

Trentino 15-7-2007 Lo statuto speciale mette al riparo il Trentino dall'iniziativa di riduzione degli sprechi voluta dal governo Politica: niente tagli a Trento La scure di Palazzo Chigi risparmierà Dellai e colleghi

 

TRENTO. La scure di Palazzo Chigi si abbatte sui costi della politica, ma dalle macerie di un castello di privilegi che potrebbe finire a pezzetti uscirà sicuramente indenne il Trentino. I tagli romani non sfiorano nemmeno la provincia di Trento che si trincera dietro allo Statuto speciale. Così, mentre nel resto d'Italia si cerca di mettere fine agli sprechi della politica, in Trentino si fa finta di nulla. Nonostante, ad esempio, i conti del comune di Trento piangano. I conti del capoluogo trentino registrano un "buco" di 6,7 milioni di euro per il 2007. In base al giro di vite previsto dal governo col nuovo disegno di legge le città tra i 100.000 ed i 250.000 abitanti dovranno avere 32 consiglieri comunali. Trento, invece, continuerà ad averne 50, nonostante una recente proposta del presidente del consiglio, Alberto Pattini, che chiedeva la riduzione a 40 unità. Ed il costo annuale ammonta a 660.000 euro. Un altro "taglio" chiama in gioco le circoscrizioni. Non saranno più previste in città sotto i 250.000 abitanti. A Trento, dunque, dovrebbero essere eliminate, ma invece resisteranno. Lo ha confermato il governatore Lorenzo Dellai, definendole "importanti". Niente paura, dunque, per le 12 circoscrizioni ed i 194 consiglieri che ogni anno costano 500.000 euro ai trentini. "Praticamente quanto guadagnano due consiglieri provinciali in un anno", attacca provocatoriamente Melchiore Redolfi, presidente della circoscrizione di Piedicastello. In Provincia i consiglieri sono 35. Ognuno di loro ha un'indennità annua di 6.700 euro netti al mese, cioè 80.400 euro l'anno. Senza tenere conto dei gettoni di presenza, che ammontano a 25 euro per ogni commissione, a tutti i vari benefit (sconti del 20% al bar del palazzo, vacanza e mezzi gratis) e la buonuscita di 30.000 euro a fine mandato. Capitolo partiti. A livello nazionale i finanziamenti ai partiti da parte di società concessionarie di servizi pubblici sono vietati. In Trentino, però, i gruppi consiliari possono contare su 2 milioni di euro di finanziamenti, che comprendono anche gli affitti di sedi extra lusso. Intanto domani è prevsito un vertice, voluto dal presidente Alberto Pattini, tra la giunta comunale ed i capigruppo per discutere sul tema. La proposta della giunta sarà con tutta probabilità quella già avanzata dall'assessore al bilancio Maurizio Postal, ovvero di sostituire i gettoni di presenza con un'indennità fissa. Sempre sul fronte dei costi della politica ieri mattina la Civica Margherita, riunitasi a passo Mendola per una giornata di riflessione, ha presentato ufficialmente la bozza del codice etico predisposta da Luciano Imperadori. Gli iscritti alla Civica che vorranno aderire al progetto dovranno sottoscrivere la bozza - con tanto di eventuali osservazioni - entro il prossimo 16 settembre, data in cui verrà illustrata all'assemblea degli iscritti. Undici i punti che stanno alla base del "codice": trasparenza, integrità e imparzialità, sobrietà, spirito di servizio, solidarietà, partecipazione, senso del dovere, rispetto delle persone, amore per il Trentino, laicità, uguaglianza di genere. Di forte attualità il riferimento alla sobrietà: il codice di responsabilità politica invita gli iscritti alla Civica a non accumulare incarichi nel partito e nell'amministrazione, ad evitare commistioni di funzioni tra aspetti professionali e incarichi politici e a ridurre i costi della politica evitando privilegi particolari.


 

La Repubblica 15-7-2007 Tagli alle indennità, Consigli in rivolta la proposta il seminario "Prendiamo quattro soldi, i deputati regionali riducano i loro stipendi" Il forzista Cascio promette ritocchi, ma è un coro di proteste No pure da Bufardeci presidente dell'Anci "Una grande ipocrisia" Caputo di An: "è vero anche noi parlamentari dobbiamo risparmiare" SARA SCARAFIA

 

"Tagliare le indennità? Comincino i deputati regionali". Il coro di no è unanime. Che siano di centrodestra o di centrosinistra, consiglieri comunali, provinciali o circoscrizionali, si scagliano tutti contro il disegno di legge in discussione all'Assemblea regionale che prevede la trasformazione del gettone di presenza dei consiglieri in indennità fissa, che non deve superare il 20 per cento dello stipendio del sindaco o del presidente dell'ente. Mentre oggi il tetto dei compensi dei consiglieri è fissato a un terzo dello stipendio del sindaco o del suo omologo alla Provincia e nelle circoscrizioni. L'articolo 3 ha già ottenuto il primo sì, quello della commissione Affari istituzionali all'Ars. Il fatto che il relatore del testo, il capogruppo forzista Francesco Cascio, abbia assicurato "che non sono esclusi ulteriori ritocchi alla norma" non è servito a placare l'ira degli eletti nei parlamentini. Due giorni fa il Consiglio provinciale di Palermo ha lanciato un messaggio chiaro: "Tagliare i costi della politica è legittimo, ma chi legifera dovrebbe dare il buon esempio". Sulla scia della polemica, il consigliere dell'Udc Michele Gangi ha deciso di devolvere il gettone della seduta (un inquilino di Palazzo Comitini guadagna circa 1.800 euro netti al mese) in beneficenza a Biagio Conte. "Come si fa a partire dal basso? - dice Gangi - Perché non cominciano i deputati regionale a ridursi l'indennità? I problemi si devono affrontare a 360 gradi". E se il presidente dell'Unione Province, il leader degli autonomisti Raffaele Lombardo, aveva già storto il naso di fronte al taglio delle indennità, il sindaco di Siracusa Giambattista Bufardeci, presidente dell'Anci, non è affatto contento. "Condivido l'idea che debbano essere i deputati regionali a cominciare - dice - anche perché credo che non siano i Comuni, le istituzioni più vicine al cittadino, il vero problema dei costi della politica. Di certo le circoscrizioni, senza poteri, sono inutili. Ma chi amministra una città ha più impegni di un deputato regionale. Credo che il vento di moralizzazione che ha invaso il Paese e la Sicilia sia solo una grande ipocrisia". Per i piccoli comuni il taglio delle indennità sarebbe drastico: "Un consigliere prende 23 euro lordi a seduta - dice Paolo De Luca, sindaco di Sortino, paese in provincia di Siracusa - dove dovremmo tagliare? Io riesco a guadagnare 1.200 euro al mese. Devo continuare a insegnare, altrimenti non arrivo a fine mese. Bisognerebbe tagliare invece gli sprechi delle metropoli". Ma anche ai consiglieri comunali delle grandi città il provvedimento non piace. "Prendo 1.800 euro - dice il diessino Rosario Filoramo - non mi sembra una cifra esorbitante per un eletto della quinta città d'Italia. Se poi ci dev'essere una moralizzazione, che ci sia, ma a tutti i livelli". La pensano così anche l'udc Felice Bruscia ("I deputati regionali pensino intanto a se stessi") e il neo-presidente del Consiglio comunale, il forzista Alberto Campagna ("Un padre non può chiedere al figlio di mangiare pane duro mentre lui si ciba di ostriche"). Lo "stipendio" di un presidente è pari a quello di un assessore, quasi quattromila euro netti al mese. "Ma noi - continua Campagna - dobbiamo lasciare altri eventuali lavori e metterci in aspettativa". Polemico anche Nuccio Condorelli, capogruppo azzurro al Comune di Catania: "Non prendiamoci in giro - dice - non sono le indennità a far lievitare i costi della politica". Mentre Marco Frasca Polara, consigliere ds dell'ottava circoscrizione, chiede che arrivino le deleghe: "Altrimenti sì che siamo un vero spreco". Salvino Caputo, capogruppo di An all'Ars, membro della commissione Affari istituzionali che ha approvato l'articolo, condivide alcune delle ragioni di chi protesta: "è vero che anche noi dobbiamo tagliare le indennità - dice - ma il nostro iter è diverso. Auspico un intervento su questo tema da parte del Parlamento già a partire dal prossimo autunno


 

La Repubblica 13-7-2007 l Consiglio dei ministri rinvia l'approvazione alla prossima riunione previsti tagli agli enti locali, riduzione di consulenti e consigli circoscrizionali Ecco il ddl sui costi della politica Saranno risparmiati 500 milioni

I provvedimenti per ora non riguardano Camera e Senato Trasparenza dei bilanci pubblici, tutto sarà documentato sul web
di CLAUDIA FUSANI

 


ROMA - Un taglio di circa 500 milioni di euro. Ventiquattro articoli che - una volta a regime - potranno far risparmiare all'incirca il dieci per cento alla voce "costi della politica". Si va dalla riduzione e l'accorpamento degli enti locali ai limiti per il finanziamento pubblico dei partiti, dai tagli poderosi alle auto blu a norme "rigorosissime" sulla trasparenza nell'affidamento degli incarichi pubblici. E poi: un limite dell'accumulo degli incarichi pubblici, l'abolizione cioè di quelle figure quasi mitologiche che riescono ad essere contemporaneamente sindaci, consiglieri, amministratori e altro.

Un risparmio di 500 milioni di euro: a qualcuno potrà sembrare - dopo tanto parlare - che la montagna ha partorito il topolino. In realtà, se le norme riusciranno ad andare a regime, si tratta di una vera e propria rivoluzione per la politica italiana i cui costi - oggi- sono calcolati intorno ai quattro miliardi di euro.

Il ministro Giulio Santagata ha portato stamani il provvedimento nella riunione del Consiglio dei ministri per discuterlo con tutti i colleghi di governo. "L'approvazione è rinviata alla prossima riunione" ha spiegato il portavoce del governo Silvio Sircana. In realtà incontri e discussioni ci sono già stati con gli altri ministri interessati - da Linda Lanzillotta a Vannino Chiti, da Amato a Mastella - e con la Conferenza della regioni e i rappresentanti di Comuni e Province. Vari stop and go, una gestazione con accellerazioni e brusche frenate. Il premier Prodi, poi - che del taglio dei costi della politica ha fatto uno dei punti cardine del programma di governo - ha deciso che non era più possibile rinviare.


Una premessa: il provvedimento non riguarda i necessari tagli relativi al Parlamento, a deputati e senatori e al funzionamento delle due camere. Questa parte, infatti, potrà essere ritoccata solo con modifiche costituzionali. Camera e Senato, comunque, dicono di essere al lavoro per presentare il prima possibile una loro ipotesi di taglio.

"Con il presente disegno di legge il Governo intende contribuire a ridurre i costi della rappresentanza politica e a limitare le spese degli apparati amministrativi a quelle strettamente necessarie, accrescendo, al contempo, la trasparenza e la responsabilità dell'agire amministrativo, con la finalità ultima di rafforzare il rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni" si legge nell'introduzione della Relazione che accompagna il testo. Se ai "tagli" sono dedicati gli articoli dal numero 1 al 17, il resto dell'articolato punta all'etica della politica e alla trasparenza: molto spesso è proprio l'assenza di etica e trasparenza la causa prima degli sprechi. Qualcosa era già stato fatto con la Finanziaria che, tra le altre cose, ha ridotto del trenta per cento gli stipendi di ministri e sottosegretari . Il decreto Bersani ha tagliato del 30 per cento la spesa di commissioni, comitati ed altri organismi operanti all'interno dell'amministrazione centrale, ha soppresso e accorpato centodieci organismi, e ridotto del 10 per cento le spese per incarichi di direzione generale e per consulenze nell'amministrazione centrale.

Quattro i principi cardine della legge: 1) La razionalizzazione della pubblica amministrazione "con la previsione di una delega per il riordino e l'accorpamento di enti, organismi e strutture pubbliche, nonché il taglio automatico di enti inutili non riordinati entro una determinata data"; 2) la riforma della rappresentanza politica a livello locale per razionalizzazione i costi; 3) trasparenza e riduzione dei costi delle società in mano pubblica con relativa riduzione dei membri degli organi di tutte le società controllate dall'amministrazione pubblica non quotate in mercati regolamentati e di meccanismi di selezione pubblica per tutte le assunzioni; 4) promozione dell'etica pubblica, e cioè trasparenza degli stipendi dei vertici amministrativi; misure che permettano di scegliere tramite offerta al pubblico i candidati per le nomine di competenza delle amministrazioni pubbliche; limiti al cumulo di incarichi pubblici da parte dei titolari di cariche elettive.

L'articolo 1, ad esempio, dal titolo "Razionalizzazione degli enti pubblici" , contiene una delega al governo per "riordinare, mantenere, trasformare ovvero sopprimere e mettere in liquidazione, enti, organismi e strutture secondo criteri di razionalizzazione di strutture e competenze, ad esempio attraverso la riduzione di almeno il trenta per cento del numero dei componenti degli organi di indirizzo amministrativo, di gestione e consultivi, l'eliminazione di duplicazioni, la riduzione della spesa, la trasformazione in soggetti di diritto privato di strutture che non svolgono compiti di rilevante interesse pubblico, l'eliminazione di sovrapposizioni funzionali con regioni o enti locali, la razionalizzazione e lo snellimento organizzativo, l'eliminazione dei finanziamenti per enti soppressi o privatizzati, il trasferimento delle funzioni delle strutture soppresse all'amministrazione che riveste preminente competenza nella materia". L'articolo 4 punta a "ridurre il numero dei membri dei consigli di amministrazione delle società controllate da amministrazioni pubbliche non quotate in mercati regolamentati ed è precettiva nei confronti di tali amministrazioni. Incidere sul numero dei membri dei consigli di amministrazione, oltre ad un'immediata riduzione della spesa di tali società, consente anche il recupero di una gestione più efficiente. L'articolo 6 parla di "tagli alla comunicazione pubblica" e ha l'obiettivo di "razionalizzare la comunicazione istituzionale delle amministrazioni centrali", un capitolo anche questo che farà molto discutere.

L'articolo 7 è dedicato ai tagli delle auto blu e delle spese per i telefonini e per gli immobili pubblici.
Gli articoli dal 10 al 17 contengono misure "rivolte a ridurre i costi politico-amministrativi degli enti locali". Tra le altre cose sono eliminati "i consigli circoscrizionali nei comuni con popolazione inferiore a 250 mila abitanti", è prevista la "riduzione pari al 10 per cento" del numero dei consiglieri e degli assessori comunali e provinciali" e il taglio degli stipendi di amministratori locali, comunità montane e consorzi tra enti locali .

L'ultima parte dell'articolato del disegno di legge del governo punta sulla trasparenza e sull'etica, un nodo considerato "fondamentale" dal ministro Santagata per combattere non solo gli sprechi ma soprattutto l'antipolitica. Si va dal limite al cumulo degli incarichi (articolo 18) alla pubblicità dei bilanci e delle consulenze delle amministrazioni pubbliche, che sembra poco ma basta andare a vedere cosa spendono i comuni negli incarichi a professionisti esterni per capire che è tantissimo. D'ora in poi ogni centesimo speso da un ente locale dovrà finire su internet, diventare pubblico. Come i conti di Buckingham Palace.

(6 luglio 2007)

 


 

Da effedieffe.com 12-7-2007    LA RIFORMA CHE NON VOGLIONO FARE di Maurizio Blondet

 

Il dibattito sulla finanziaria di Prodi, ancorchè «controllato» perché non sbandasse in argomenti-tabù, ha messo in luce almeno questo: che è una finanziaria di «più tasse e nessuna riforma», fatta su misura delle oligarchie parassitarie, i miliardari di Stato che si identificano con la «sinistra».
Beninteso, per Montezemolo come per D’Alema, per Rutelli come per Capezzone, le «riforme» necessarie sarebbero le liberalizzazioni degli ordini professionali, i tagli alle pensioni, alla sanità, al costo e alla sicurezza alla sicurezza del lavoro («flessibilità»), ovviamente per renderci «più competitivi»: insomma colpire ancora di più i contribuenti che già sono tartassati, precari e in via di impoverimento.
Di questo si parla quando si parla di «tagli alla spesa pubblica».
Ma almeno, l’opinione pubblica attenta ha capito che i «tagli alla spesa pubblica» necessari ed utili sono proprio ciò che nessuno di lorsignori ha proposto: gli scandalosi sprechi, i costosissimi privilegi e gli emolumenti dei Sardanapali pubblici.
Qualcosa è venuto alla luce, e consente di identificare dove bisogna «riformare».
Si è scoperto, ad esempio, l’immenso spreco provocato dalle «partecipate», ossia dagli enti un tempo pubblici o municipali ora pseudo-privatizzati, dall’ENI all’ENEL alla Centrale del Latte di un qualunque Comune.
Queste aziende ex di Stato sono state dichiarate «private», il che significa che sono ora soggette al diritto privato e non al controllo pubblico.
Ma la loro privatizzazione è meramente formale, legalistica.
Restano aziende pubbliche per almeno due motivi: poiché l’azionista di maggioranza di queste presunte società per azioni resta il Tesoro, o il Comune o la Regione, a pagare le perdite sono sempre i contribuenti, attraverso le casse pubbliche.
Queste SpA presunte, fornendo un servizio pubblico, non possono esser lasciate.
Non si possono lasciare senza luce, acqua e gas i cittadini delle ex-municipali, ora «partecipate».
Queste cosiddette imprese, inoltre, continuano ad operare più o meno in regime di monopolio: dunque sono al di fuori di ogni «mercato», su di loro non agisce la mano invisibile di Adam Smith, e non devono occuparsi di alcuna «competitività».
A che cosa è servito dunque «privatizzarle»?

Si è capito, finalmente.
Anzitutto, a sottrarre il loro operato al sindacato degli organi pubblici di controllo.
Mentre aziende pubbliche devono in qualche modo rispondere di come operano o trattano i patrimoni (pubblici) a loro conferiti, o dei loro sprechi, alla corte dei Conti e alla magistratura ordinaria, non è così per le società per azioni: possono fare quello che vogliono, nei limiti del codice penale, purchè ci sia il voto della maggioranza del consiglio d’amministrazione.
Così ad esempio alla Regione Lombardia Formigoni, il grande privatizzatore ed epico cantore dell’efficienza e del mercato, sta conferendo tutti gli immobili della Regione ad una SpA chiamata «Lombardia infrastrutture»: con questo semplice inghippo, tutta la roba nostra, dei cittadini, da noi pagata mille volte come contribuenti, può essere alienata senza concorso pubblico.
La nuova SpA può vendere a chi vuole, e al prezzo che vuole, senza aste di nessun genere, cose come gli ospedali lombardi, le Ferrovie Nord, gli stadi, una immensa ricchezza di edifici pubblici, terreni e case popolari.
Ma nelle vere SpA, il consiglio d’amministrazione rappresenta (almeno in teoria) dei veri capitalisti privati che nell’impresa hanno messo i loro soldi e che sono indotti alla prudenza dalla paura di perderli e di fallire.
Nelle aziende pubbliche neo-privatizzate, i consiglieri sono, tipicamente, deputati trombati
a cui qualche partito ha trovato un posto ben remunerato, o amici e clientes dei partiti, da compensare.
Non hanno alcun interesse alla buona amministrazione, né alcuna capacità imprenditoriale.
Non devono temere di perdere il loro capitale, perché comunque vada l’azienda partecipata, a pagare non saranno loro, ma i soliti contribuenti.
E abbiamo scoperto che queste aziende «pubbliche di fatto», ma giuridicamente private, sono state affollate di consiglieri di questo genere.
La RAI ne ha nove.
Alitalia e Ferrovie cinque (si immagina che non dormiranno la notte, visto lo stato delle loro aziende), l’ENI 12, l’ENEL 9.
Persino il Poligrafico ha dieci consiglieri: senza alcun motivo confessabile.

Nelle vere aziende private che operano sul mercato, i consigli d’amministrazione servono a sancire scelte rischiose, imprenditoriali; ma nessuna scelta imprenditoriale tocca al Poligrafico, che opera come monopolio per un solo cliente, lo Stato, e fa la stessa produzione da secoli.
Il solo senso di un consiglio d’amministrazione in un tale ente è regalare stipendi di sogno a degli «amici».
Tutti ben pagati da noi.
Appena Cimoli è arrivato all’Alitalia non più come «boiardo di Stato» ma come «amministratore delegato», ossia travestito da super-manager, la prima cosa che ha fatto, su sua richiesta, il consiglio d’amministrazione dei parassiti pubblici mascherati da azionisti è stata: raddoppiargli lo stipendio, attualmente sui 2,8 milioni di euro l’anno.
Il personaggio guadagna (più precisamente, percepisce senza guadagnarlo) 179 mila euro
al mese, il triplo di quel che prende il suo pari-grado alla British Airways.
Ovviamente, né i risultati del supermanager presunto, né tantomeno i profitti (che sono solo perdite) di Alitalia, giustificano un tale emolumento.
Ma, si sa, l’Alitalia è ora privata; solo i soldi che spreca sono nostri, cioè pubblici.
Giuseppe D’Angiolino, presidente ANAS per anni 9 fino al 2001 e boiardo di Stato, non sarà stato un’aquila, ma prendeva «solo» 350 milioni di lire l’anno per un’azienda di 6 mila dipendenti.
Quello che Lunardi ha messo al suo posto riceve il quadruplo.
I consiglieri dell’ANAS da soli prendono 40 mila euro l’anno (si riuniscono, se va bene, una volta a settimana) ma altri 140 mila per certe «deleghe» che sono inghippi clientelari: c’è il consigliere con la delega al personale (a che serve, se c’è un direttore del personale? A distribuire posti ai clientes), quello con la delega al Mezzogiorno, cioè a mettere le mani in pasta con le imprese edili di mafia e camorra… e sono anche superpagati per questo.
I consiglieri, da controllori che dovrebbero essere, diventano operatori: incontrollati, perché sono loro che si dovrebbero auto-controllare.
Si aggiungano le municipalizzate ora «partecipate» fra pubblico e privati: sono circa 800, e ciascuna ha, ipotizza Tiziano Treu, una decina di consiglieri: sono almeno 8 mila parassiti con emolumenti, a stare bassi, fra i 50 e i 150 mila euro l’anno ciascuno.
Aziende che prima funzionavano sotto la guida di un dirigente, ora «devono» avere un consiglio d’amministrazione…
Paolo Scaroni, aministratore delegato dell’ENEL, nominato da Berlusconi, ha guadagnato altrettanto, e si è portato via una liquidazione di quasi 6 milioni di euro.
Scaroni era stato «boiardo di Stato» e come tale era stato beccato da Mani Pulite per tangenti ai partiti; ora non corre più nemmeno questo rischio.

Tralasciamo per il momento le partecipate regionali, allungherebbero troppo il discorso.
Ma quel che abbiamo detto spiega perché in Italia paghiamo le bollette, i ticket e le tariffe autostradali più care, mentre i costi pubblici sono in aumento spaventoso e le aziende ex-pubbliche continuano a fare perdite terrificanti, il contrario dell’efficienza che ci era stata promessa dalle privatizzazioni, dalle «dosi di privato» iniettate nel settore pubblico.
Tutto ciò che è servizio pubblico ci costa di più perchè dobbiamo pagare i 179 mila euro mensili a Cimoli, e le enormità di paghe a migliaia di inutili «consiglieri d’amministrazione». (1)
Si capisce che questa è la palla al piede dell’Italia, la causa della sua perduta competitività, il peso mortale della sua burocrazia.
Si capisce anche qual è stato l’effetto finale delle «partecipazioni» di questo tipo: la distruzione, nei dirigenti, del senso stesso di «bene pubblico».
Sono ircocervi, metà privati quando fa comodo a loro, ma metà pubblici quando si tratta di coprire le falle che hanno provocato.
Si capisce anche che qui, più che nella liberalizzazione dei taxisti e dei panettieri, o nella mitica persecuzione dell’evasione fiscale dei dentisti, si possono ottenere risparmi veri, tagli della spesa pubblica «utili», ossia che non riducono i servizi resi ai cittadini ed agli utenti.
E si capisce che sarebbe facile, qui la «riforma»: basta ritornare al sistema pubblico per tutto ciò che dà servizi pubblici. Perché la privatizzazione (pseudo) non ha nulla a che fare con la devoluzione, e nemmeno con la democrazia. Aziende pubbliche erano autoritarie, ma soggette a qualche genere di controllo e in teoria almeno, possono essere rese più trasparenti.
Le aziende «partecipate» restano autoritarie, ma ora opache e non-responsabili, in mano ad oligarchie che si sottraggono ad ogni controllo ed esame.
Sono «private» nel senso che se ne infischiano del bene pubblico (res publica), ma non portano nessuna efficienza né vantaggio al consumatore o utente.
Dunque, si deve creare uno statuto giuridico diverso e nuovo per queste aziende.
Si deve ri-centralizzare ogni servizio pubblico: la regionalizzazione, proclamata per portare «il potere vicino al cittadino», è solo un enorme colabrodo con più buchi di prima.
E poi, che senso ha chiamare Servizio Sanitario Nazionale un’entità che invece è gestita dalle regioni, ciascuna a suo modo, con ineguali servizi e costi enormemente diversi?
Perché infinite municipalizzate per fornire elettricità e gas, comprati da fornitori unici e colossali, come l’Arabia, l’Algeria e la Russia, che sono pure stati sovrani?
Centralizzare è d’obbligo, per risparmiare e rendere più efficiente il servizio, e perché i manager capaci non sono poi tanti.

Ma questa riforma «facile» è anche quella che non si farà.
L’Ulivo non la farà perché è appunto il partito dei parassiti miliardari di stato e delle burocrazie inadempienti. Ma anche il Polo si è ben guardato dal fare una riforma di questo spreco vergognoso: è troppo comodo disporre di posti inutili ma ben pagati per amici e clienti. (2)
Chi può farlo?
Strano a dirsi nella presunta «culla del diritto» (dove è vero il diritto non è mai uscitod alla culla), nessun giurista, nessuna Corte costituzionale, ha avvertito la perversione legale, la vera patologia del diritto che è costituita da «partecipate» che sono «private» per statuto, ma le cui perdite vengono pagate da contribuenti.
Il mostro giuridico dura, perché serve.
La Banca d’Italia non fiata: il grande responsabile e promotore di queste privatizzazioni false e mostruose è stato Mario Draghi (3), che può citare in suo appoggio anche Monti, Ciampi, Padoa Schioppa…tutta gente che il «mercato» non sa nemmeno cos’è, e che ha trovato il modo di perpetuare il suo potere attraverso questo nuovo mostro giuridico.
Nessuno vorrà farlo.
Nessuna burocrazia inutile, nella storia, si è riformata da sé.
Nessuna mostruosità è mai stata spontaneamente risanata, anche quando la sua natura suicida era chiara a tutti: così come la legge sciagurata che diede al Parlamento polacco l’obbligo di decidere all’unanimità, benchè palesemente paralizzante e patologico, non fu mai sanato dai parlamentari.
Il motivo è semplice: ciascuno di loro aveva un diritto di veto, un potere demente a cui non voleva rinunziare.
La «guarigione» venne solo dall’esterno: con spartizioni della Polonia fra le potenze vicine, perdite di territorio e di indipendenza spaventevoli…
Così accadrà all’Italia.
Stiamo davvero andando verso la situazione dell’Argentina, a forza di tasse per pagare i parassiti e i loro sprechi.
Il nostro destino è già stato descritto: «Una spirale discendente a circolo vizioso, dove la debolezza della crescita economica provoca introiti fiscali in diminuzione nonostante ogni inasprimento della torchia; conseguente rialzo dei tassi a lungo termine sul debito pubblico, a cui seguiranno tasse ancora più feroci, che provocheranno un ulteriore rallentamento dell’economia e un deficit pubblico crescente dovuto a introiti fiscali ancora diminuiti».
La spirale argentina. (4)


Nessuno ci salverà, perché lorsignori che sono al potere saranno pronti ad accusare chi proponesse le necessarie evidenti riforme di «ritorno al centralismo», di socialismo (tale è la pretesa che la cosa pubblica resti pubblica e non sia regalata ai privati), e di sospette nostalgie autoritarie antidemocratiche.
Ma la «democrazia» su cui loro presiedono e da cui ricavano le loro ricchezze è quella così definita da Gore Vidal: «il sistema che dà ai ricchi la licenza di rubare ai poveri, facendo loro credere che hanno votato per questo risultato».
La sola soluzione - come sempre quando si tratta di sbattere fuori una grossa casta di parassiti costosi - si chiama rivoluzione.
Ma chi la vuole fare?

Maurizio Blondet


Note
1) Ci riferiamo qui ampiamente all’ottima inchiesta dal titolo «Cattivi Consigli», Di Giovanna Boursier, andata in onda in 22 ottobre 2006 su Rai3.
2) Per strapagare i privilegiati parassitari, gli enti locali (anche di cosiddetta sinistra) ricorrono sempre di più a «risparmi» sui lavoratori meno privilegiati: il lavoro «flessibile» a termine e precario in Comuni e Regioni supera il 13,5 % della forza lavoro, ben più che nelle imprese con meno di venti addetti o nell’artigianato (7,7) sempre accusati di sfruttare lavoro nero; e più che nell’economia privata in generale (11,2 %). Dunque anche tra i dipendenti pubblici si allarga una frattura sociale atrocemente iniqua: quelli con salari modesti non hanno più la sicurezza del posto pubblico fisso, mentre i privilegiati hanno paghe da 170-300 mila euro l’anno. E quelli assunti da vecchia data, oltre al posto fisso che viene negato ai giovani precari, godono di aumenti delle retribuzioni che superano di 10 punti l’inflazione. Mentre i salari privati, come noto, ristagnano. In cima alla classifica delle super-paghe per i suoi addetti a posto fisso è la Campania di Bassolino, così ben amministrata.
3) Fu lui che, da funzionario del Tesoro, salì sul regale yacht Britannia una sera fatale, per raccomandare la privatizzazione, ossia la svendita dei patrimoni pubblici, ad agenti stranieri.
4) Martin Wolf, «Fiscal tightening and reform can rescue Italy’s economy», Financial Times, 25 ottobre 2006. L’autore, membro del gruppo Bilderberg, nota che «il costo del lavoro unitario in Italia è salito del 33 % dal 2000»: ma la sua spiegazione è che «la produttività del lavoratore è ristagnata». Dunque propone di abbassare i salari e mettere alla frusta i lavoratori privati italiani, perché lavorino di più, come in Germania. Nulla dice sui parassiti fannulloni pubblici, il nostro vero problema.

 


 

L’Opinione.it 11-7-2007 Il risparmio della nuova legge sui tagli della politica è nulla rispetto ai buchi occulti. Il debito “rinviato”

Nella sanità le Regioni hanno accumulato un deficit di 45 miliardi, ma nessun governo ha il coraggio di tagliare le spese. di Giancarlo Pagliarini

 

La settimana scorsa tutti i giornali hanno parlato della proposta di legge di Giulio Santagata, ministro per l’Attuazione del Programma, finalizzata a ridurre i costi della politica. Un esempio per tutti: pagina 11 del Corriere della Sera di Sabato 7 Luglio: “Politica, rinvio sui tagli. Le cautele dei ministri”. Sono stati pubblicati lunghi elenchi di progetti per risparmiare e per combattere gli sprechi di denaro pubblico: tagli alle auto blu, ai cellulari, al numero dei deputati e dei senatori, eccetera. In tanti hanno citato e commentato le difficoltà del Governo per trovare una posizione unitaria su questa “spinoso” tema. Al punto che il ministro Lanzillotta si è sentita in dovere di placare le tensioni dichiarando addirittura che “abbiamo avviato un ampio esame istituzionale”. Nell’attesa dell’ampio esame istituzionale il consiglio dei ministri del 6 Luglio ha rinviato la discussione di questa legge.
Bene, tutto giusto… ma c’è un piccolo particolare: questa “severissima” legge ci farà risparmiare qualcosa come 500 milioni di Euro: poco più di quello che il governo tedesco spenderà per costruire a Berlino un edificio, l’Humboldt Forum, destinato ad ospitare musei e collezioni, sullo stile del vecchio palazzo reale degli Hohenzollern distrutto nella seconde guerra mondiale. La stima è di 480 milioni.

Oppure come l’utile 2007 della IFIL della famiglia Agnelli. Insomma, è meglio di niente, però questi “tagli” rappresentano solamente lo 0,06% di tutte le spese fatte dalle pubbliche amministrazioni nel 2006 (745,5 miliardi di Euro). Oppure lo 0,3% degli stipendi che i cittadini italiani hanno pagato nel 2006 ai dipendenti pubblici (163 miliardi), o lo 0,7% di quello che abbiamo pagato per gli interessi passivi sul debito pubblico (67,5 miliardi). Approviamola questa legge, dai, cominciamo! Ma la verità è che con questi numeri e con questo approccio non si va da nessuna parte, perché cambieranno solo i numeri dopo le virgole.
La mia impressione, vi dico la verità, è che dopo aver letto “La Casta” ci sia stato l’ordine di scuderia di “fare qualcosa”, con preghiera ai quotidiani di parlarne più che si può: diamine, questi “tagli”, duri, coraggiosi, rivoluzionari al punto che richiedono un “ampio esame istituzionale” sono importanti e meritano le prime pagine. O no?

Invece quasi nessun giornale, salvo il solito Sole 24 Ore e il solito Roberto Turno (che il cielo li benedica) ha parlato della relazione della Corte dei Conti, sezione delle Autonomie, con la quale la Corte ha riferito al Parlamento sulla gestione finanziaria delle Regioni a statuto ordinario per gli esercizi 2005 e 2006. La relazione è stata depositata in Segreteria pochi giorni fa, il 2 Luglio. La parte III di questa relazione è dedicata alla sanità. Il titolo del Sole 24 Ore è stato: “Corte dei conti: per le ASL 45 miliardi di debiti occulti”. Il dettaglio lo vedete nelle tabelle pubblicate a fianco. Il 77,5% di questo debito è delle ASL mentre il resto è delle aziende ospedaliere. Alla fine del 2005 ogni cittadino del Lazio aveva un debito di 2.173 Euro. Alla stessa data in Lombardia il debito era di 542 Euro a testa. Con un vero federalismo fiscale nel Lazio ci sarebbe stata una rivoluzione contro gli amministratori. Invece, come sapete, recentemente una parte della irresponsabile gestione della sanità nel Lazio (solo una parte: ce n’è ancora e ce la troveremo tutti sulle spalle tra qualche anno) è stata “spalmata” su tutta la collettività, alla faccia dei principi di responsabilità e di federalismo. In tre anni questi debiti , che il Sole 24 Ore correttamente definisce “occulti” , perché non se ne parla mai, sono aumentati del 49% .

I maggiori aumenti si sono verificati nel Lazio (ancora), Campania, Emilia Romagna e Toscana, mentre le Regioni le cui ASL e aziende ospedaliere hanno ormai accumulato più di 1.000 euro di debiti per ogni cittadino, neonati ed anziani inclusi, sono Lazio, Abruzzo, Campania e Molise. Quarantacinque miliardi di Euro! Poco meno del 70% degli interessi passivi che abbiamo pagato nel 2006 sul nostro gigantesco debito pubblico. Questi sono numeri da default. Anche perché non sono gli unici debiti “occulti” della Repubblica. Ce ne sono tanti altri: pensate alle sciagurate cartolarizzazioni, cominciate con il centro sinistra alla fine degli anni 90 con i crediti inesigibili dell’INPS e successivamente coltivate con entusiasmo dal centro destra. Un disastro rinviato al futuro. Una parte non irrilevante dei bilanci degli anni futuri dello Stato e delle Regioni sono ingessati per pagare questi debiti rinviati al futuro. E non ne parla nessuno. Incredibile! Cerchiamo di imparare la lezione. Berlusconi non ha aumentato le tasse (bravo Silvio) , ma non ha avuto il coraggio di tagliare le spese e di mettere le mani nella irresponsabile e clientelare organizzazione mangia-soldi dello Stato e delle altre pubbliche amministrazioni (molto meno bravo! Accidenti. Da te ci aspettavamo tutti molto di più). E come ha fatto a fare quadrare i conti senza aumentare le tasse? Miracolo? No, nessun miracolo: semplicemente lo Stato centrale e le Regioni hanno rinviato i pagamenti.

Commenta Roberto Turno sul Sole 24 Ore: “Anche se poi, al di là di gestioni fuori le righe, per la magistratura contabile una quasi “giustificazione” ci sarebbe: i ritardi nel finanziamento al servizio sanitario da parte dello Stato”. Ecco come sono aumentati i debiti. Quelli della sanità erano 30,1 miliardi alla fine del 2002 e 44,9 alla fine del 2005: aumento del 49% in tre anni. Non c’è male, vero? E’ assurdo pensare di sistemare le cose cartolarizzando, rinviando i debiti al futuro, ingessando i bilanci dei prossimi anni, con tanti saluti al federalismo fiscale. La relazione della Corte dei Conti, che trovate su www.corteconti.it, ne fa qualche esempio (vedere a pagina 294 le cartolarizzazioni della Regione Lazio con la società Atlantide Finance srl). Il governo di Prodi non è stato meglio del governo di Berlusconi. Invece di aumentare i debiti Prodi ha aumentato (ha dovuto aumentare) le tasse, ma anche lui non ha avuto il coraggio di tagliare le spese e di mettere le mani nella organizzazione dello Stato e delle altre pubbliche amministrazioni. Dunque: uno a uno e palla al centro.

Per me sono uguali. Pensateci bene: tra uno statalista di destra e uno statalista di sinistra che differenza c’è? Nessuna, perché hanno l’obiettivo comune del “mantenimento del controllo centrale anche a costo di far colare a picco l’intero Paese” (Kenichi Ohmae, “La fine dello Stato Nazione”, 1995), e ha fatto bene Piero Ostellino nel suo “Dubbio” (Corriere della Sera del 7 Luglio) a spiegare che “non servono più gli uomini della provvidenza”. Per qualcuno “Veltroni è l’ultima speranza per evitare che torni Berlusconi”, e per altri Berlusconi è “la sola speranza per evitare che rivinca la sinistra”. Di questo passo il giorno del default si avvicina sempre di più. Il problema non è litigare sulla sinistra o sulla destra o su Berlusconi, Prodi o Veltroni. Il problema è “cosa fare”. Un esempio, anzi tredici esempi, li potete leggere su www.decidere.net.

 

 


 

Il Resto del carlino 12-7-2007 Di MATTEO SPICUGLIAOLTRE 32 milioni in affitti, circa 3 milioni per i trasporti degli ex deputati, 132 milioni per i vitalizi, quasi 170 milioni per le indennità.

 

 ROMA

 Sono alcuni dei capitoli del bilancio di previsione della Camera per il 2007, contenuti nella relazione dei Questori resa nota nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui costi della politica. Una macchina organizzativa decisamente costosa per il contribuente, senza pari in Europa. Basti pensare che con oltre un miliardo di euro (con esattezza 1.011.505.000), il carrozzone di Montecitorio costa il 27% in più del Bundestag tedesco, il 32% in più dell'Asseblée Nationale francese e addirittura il 51% in più della House of Commons britannica. IN CONCRETO, 266.915.000 euro vanno al personale, 181 milioni all'acquisto di beni e servizi, 169.180.000 euro alle indennità e al rimborso spese dei deputati, 167.495.000 euro al personale in pensione, mentre 132.450.000 euro ai vitalizi degli ex deputati (132.450.000 euro). Dati eloquenti che la Camera vuole cambiare, sebbene per i Questori l'85% delle spese correnti sia obbligatorio, riducibile quindi soltanto attraverso modifiche di legge o di regolamento. Tuttavia, ci sono margini di intervento nel restante 15% del bilancio e nella relazione vengono indicate già alcune linee d'azione: la soppressione dei rimborsi per i viaggi di studio, nuove regole per i vitalizi e la razionalizzazione degli affitti, ma anche la riduzione delle spese per l'informatica (grazie ai software open source e quindi senza licenza), tirature più basse degli stampati e uso degli sms e della posta elettronica invece che dei fax e dei telegrammi. Con una regola di fondo: creare sinergia con il Senato, in tema di attività di documentazione e trattative sui servizi. Proposte che saranno vagliate nei prossimi giorni e adottate con tutta probabilità già nella riunione degli uffici di presidenza, in programma lunedì prossimo. CONTINUA intanto il confronto tra Governo ed enti locali, in vista del disegno di legge sui costi della politica. Ieri, si è svolta una riunione a Palazzo Chigi tra il premier Prodi e i ministri Amato, Lanzillotta e Santagata, e quest'ultimo è intervenuto anche al question time della Camera, per spiegare che l'obiettivo è la firma di un patto istituzionale tra centro e periferia, una carta di principi e impegni valida per tutti. La bozza di intesa sarà discussa oggi alla Conferenza unificata degli enti locali, per confluire poi nel ddl che dovrebbe essere approvato nel Consiglio dei ministri di domani. Tra le proposte annunciate, il tetto di 12 ministri per il Governo, la riduzione delle pensioni per amministratori ed eletti e regole stringenti per Comunità montane, società pubbliche e consigli. La bozza della legge prevede inoltre l'accorpamento di una parte degli enti e la soppressione di quelli inutili, elimina alcune forme forfettarie di rimborso e dispone maggiore trasparenza su incarichi e indennità.


 

Il Campanile 11-7-2007  Costi della politica, interventi seri. Barbato: "Bisogna agire sugli sprechi"

 

Costi della politica, interventi seri. Barbato: "Bisogna agire sugli sprechi" "E' stata una riunione costruttiva e responsabile, ma è un lavoro delicato di concertazione che richiede particolare attenzione visto il momento di sofferenza della politica" "Una riunione costruttiva e responsabile sull'analisi dei costi della politica". Così il capogruppo al Senato dei Popolari-Udeur, Tommaso Barbato descrive il Consiglio di presidenza dello scorso lunedì, nel quale si è affrontata la delicata questione dei costi della politica. Un incontro interlocutorio, per il momento, durante il quale l'esponente del Campanile subito ha fissato le sue priorità: "Noi ? spiega ? chiediamo interventi seri e concreti senza agire sull'onda dell'emotività della gente". Senatore, su quali aspetti in particolare si è concentrata la discussione? "Nel mirino ci sono state le pensioni, la reversibilità, i vitalizi e tutto quanto può incidere negativamente sulla spesa pubblica". E avete raggiunto qualche compromesso? "Diciamo che stiamo ragionando sul da farsi. E' un lavoro delicato di concertazione che richiede particolare attenzione visto il momento di sofferenza della politica. Lunedì prossimo abbiamo fissato un altro incontro, ma qualcosa in cantiere già c'è". Ad esempio? "I principali filoni toccano tutto quello che riguarda i parlamentari, che se non avranno cinque anni di legislatura non potranno maturare il vitalizio. Anzi, per essere più precisi, saranno necessari quattro anni e sei mesi per eventuali imprevisti tecnici". Ma voi dei Popolari-Udeur avete qualche proposta in particolare? "Bisogna classificare bene la questione dei costi della politica, dei costi istituzionali e dei costi della democrazia" In che senso? "Ci sono dei costi che devono essere salvaguardati. Ad esempio, il finanziamento ai giornali fa parte delle spese della democrazia e come tale non può essere eliminato. Insomma, bisogna agire sugli sprechi, attraverso interventi di ampio raggio, senza penalizzare le istituzioni in quanto tali". Da dove si può cominciare secondo lei? "Il buon esempio dovrebbe partire da noi parlamentari, per poi gradatamente intervenire sugli sprechi negli enti locali, nelle regioni, nelle amministrazioni". Insomma, ce n'è ancora di camnmino da fare? "Stiamo ragionando. Ma è anche vero che dobbiamo stare molto attenti perché il punto è che se dovessimo fare interventi di quanto tempo in clima di serenità politica, allora sarebbero efficienti. Ma se invece, in un periodo di sofferenza politica come questo, agiamo male, toccando leve che è meglio lasciare stare, allora finiamo con l'indebolire ulteriormente la politica". Però l'opinione pubblica pare gradire un intervento di questo tipo? "Senza dubbio, ma bisogna vagliare attentamente sui provvedimenti da adottare per non dare un messaggio sbagliato sull'onda emotiva della gente che vuole a tutti i costi dei segnali. Ma per ora i presupposti ci sono. Vediamo come andrà la riunione di lunedì prossimo" (11-07-2007).


 

Il Meridiano.info 10-7-2007 I senatori andranno sì in pensione ma solo alla fine della legislatura

 

Roma I senatori potranno andare in pensione solo dopo 5 anni di legislatura. È quanto discusso ieri dal Consiglio di presidenza di Palazzo Madama che è tornato ad occuparsi di costi e sprechi della politica. Non più due anni e mezzo dunque per poter ricevere l’assegno di previdenza, così come accade oggi. Una decisione che sarà assunta con una delibera che verrà emessa congiuntamente insieme alla Camera “in tempi brevi”. «È stata una riunione costruttiva e responsabile - ha riferito Tommaso Barbato, capogruppo dei senatori dell’Udeur -. È chiaro che tutto deve essere vagliato attentamente per intervenire ad ampio raggio. Dare dei messaggi sbagliati - ha detto Barbato - e agire sull’onda emotiva può dare, in questo momento in cui la politica è in sofferenza, segnali errati. Se interventi ci devono essere devono essere seri». Nel mirino del Consiglio di presidenza, dunque, pensioni, vitalizi, reversibilità e tutto quanto può incidere negativamente sulla spesa pubblica. D’accordo sulla linea d’intervento anche il senatore Gavino Angius, vicepresidente del Senato. Tra i primi interventi su cui agire, ha detto, ci sono «i vitalizi dei parlamentari. Penso che ci sia bisogno di dare un esempio di rigore, austerità e responsabilità, affrontando i costi impropri della politica». E in attesa della prossima riunione dell’Ufficio di presidenza del Senato, che si terrà lunedì prossimo, il questore della Camera, Gabriele Albonetti sostiene che ci sia «il clima per giungere a una decisione».

«Il centrodestra mi ha lasciato consigli di amministrazione da fare invidia a Wall Street» aveva detto ironicamente ieri mattina il presidente della regione Abruzzo, Ottaviano Del Turco, proprio in tema di costi della politica. «Spero di avere un forte sostegno da parte della mia maggioranza. Ma devo verificarlo - aveva dichiarato -. Se non fosse così prenderei atto che gli abruzzesi, che hanno votato col 60% dei consensi questa maggioranza, hanno dato un segnale di rinnovamento che non viene colto. Perciò me ne andrei a casa» Dopo il disegno di legge sui costi della politica, discusso la scorsa settimana dal Consiglio dei Ministri, dunque le reazioni continuano a farsi sentire. Del Turco, d’accordo, con la riduzione drastica del numero dei consigli di amministrazione per tutte le società regionali in cui è possibile altrimenti applicare la quota minima prevista dal codice civile, conferma «laddove non è consentito realizzare consigli di amministrazione con meno di 3 componenti, noi ne faremo appunto di soli 3. Non solo. Intendiamo ridimensionare gli stipendi e i benefit dei consiglieri. E fare sparire i consigli di amministrazione delle agenzie, che saranno rette soltanto da un direttore generale. E dovrà dileguarsi anche la pletora dei revisori dei conti. Massimo uno per ogni struttura». Tutto questo, secondo il governatore abruzzese porterebbe ad un risparmio di «non meno di 3 milioni di euro».

 


 

Il Meridiano.info 10-7-2007 La Camera prevede aumenti

 

Intanto nel 2007 la Camera prevede di spendere 1 miliardo e 53 milioni di euro, più dell’anno scorso dove si erano limitati “solo” a 980 milioni. «Certo, mica sono soldi loro» ha sottolineato Mario Caligiuri, professore associato all’Università della Calabria, che aggiunge: «tutto aumenta alla Camera, le spese per i deputati in carica (169.180.00 euro più 1,54%), per quelli in pensione (132.450.000 euro più 2,72%), per i dipendenti in servizio (266.915.000 euro più 3,68%), per quelli in pensione (167.495.000 euro più 3,85%), per il trasporto (12.015.000 euro più al 31,82%), per non dire poi dell’aumento del numero dei gruppi parlamentari autorizzati dal presidente della Camera Fausto Bertinotti, sia proprio quello che difende le ragioni degli umili. Altro che riduzione dei costi della politica: ci continuano a prendere per imbecilli». «Visto che il nostro Parlamento - ha sottolineato Caligiuri - costa, in modo assolutamente ingiustificato, quanto quelli di Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna messi insieme, potrebbe essere ora che la Corte Costituzionale rivedesse la propria sentenza del 1981 che confermava l’autonomia contabile di Camera e Senato, perchè è chiaro a tutti che non di autonomia si tratta ma di arbitrio allo stato puro. È un invito alla Corte dei Conti per avanzare nuovamente una richiesta in tal senso». «È necessario - prosegue - ricordare ai nostri distratti deputati e senatori che non é possibile che i parlamentari versino 14 milioni di euro per trattamenti pensionistici che ogni anno ne costano invece 187. Il resto è stato caricato sulle nostre spalle con una legge dello Stato. Per essere governati poi come nei Paesi del quarto e quinto mondo. Bisogna prendere atto che non ci potrà essere alcun senso di ravvedimento da parte degli stessi beneficiari, il costo della politica è strutturale al mantenimento di un sistema di potere autoreferenziale costruito dai partiti soltanto per loro stessi. E che sta bene a tutti, senza alcuna differenza. A noi cittadini, la sola libertà di apporre un segno di croce su una scheda. Come gli analfabeti».

 


 

La Repubblica 6-7-2007 I deputati si "regalano" il ristorante: pagano 9 euro per pranzi che costano 90. Appalto a una ditta privata per risparmiare Divario di uno a dieci tra gli incassi e le spese di gestione della buvette di Montecitorio. La "mensa" sul bilancio della Camera pesa per 5 milioni l'anno. di CARMELO LOPAPA

 

 

ROMA - I cavatelli al salmone fresco e zucchine serviti ieri erano una delizia (3,60 euro). Ma anche gli gnocchi di patate al pomodoro e basilico sembra che abbiano riscosso un certo successo (3 euro). Gli onorevoli più buongustai sono passati poi a dell'ottimo pescato del giorno (4,20 euro) e infine a una ghiotta "scelta di dolci" (1,80 euro). Il tutto per 9 euro, centesimo più, centesimo meno. Peccato che quel pranzo sia costato alle casse della Camera dieci volte di più: 90 euro.

Che le cose andassero più o meno in quel modo, a Montecitorio, lo si sapeva da tempo. Solo che ieri mattina la frittata, è il caso di dire, è finita sul tavolo dell'Ufficio di presidenza, l'organismo che fa capo a Fausto Bertinotti e che sovrintende all'amministrazione del palazzo. Non tanto perché si è appreso che la ristorazione a beneficio dei 630 inquilini costa 5 milioni 232 mila euro l'anno, anche questo era noto. Ma perché si è scoperto che quella cifra, ripartita per il numero di deputati, fa lievitare la spesa per ogni singolo pasto appunto a 90 euro. Il calcolo, un po' grossolano ma significativo, è stato sottoposto ai colleghi da Gabriele Albonetti e dagli altri due deputati questori, per far capire che forse era giunto il momento di mettere un taglio a cotanto spreco.

Il clima di antipolitica montante che si respira fuori dal palazzo, c'è da giurarci, avrà pure avuto il suo peso. Sta di fatto che si corre per la prima volta ai ripari. Come? La soluzione individuata consiste nell'"affidamento all'esterno di una parte dei servizi di ristoro". Così, i 7 cuochi del reparto cucina e i 25 addetti, tra camerieri e operatori vari, per un totale di 32 "unità di personale" saranno destinati "alla professionalità di assistente parlamentare con le rispondenti qualifiche", ma anche al centralino, al "reparto riproduzioni e stampa", ai servizi radiofonici e televisivi. Ora, cosa ci farà un cuoco al centralino non è dato sapere, ma il problema sarà affrontato in un secondo tempo. Per il momento, questa è la decisione adottata che si legge nella delibera del collegio dei questori varata dall'Ufficio di presidenza. E nessuno ieri ha osato obiettare alcunché, coi tempi che corrono. Anche perché il risparmio stimato supera i tre milioni e mezzo di euro. A regime, infatti, sottrarre i pranzi e le (poche) cene dei deputati alla responsabilità diretta della Camera comporterà per l'amministrazione un costo complessivo di 1 milione 662 mila euro. D'altronde, tutto è affidato da un pezzo all'esterno anche al Senato.

Per il momento e per una "fase sperimentale di diciotto mesi", i questori hanno deciso di affidare il servizio alla stessa società che finora ha gestito la mensa dei dipendenti, la "Onama". Così, senza una gara o un appalto. Perché solo al termine dell'anno e mezzo di prova si procederà a una selezione pubblica oppure, ecco la sorpresa nel provvedimento, "al ripristino della gestione interna". O funziona, oppure - se i deputati non dovessero gradire cotture e menù - si tornerà all'antico.

Ma l'Ufficio di presidenza non si è occupato solo del mantenimento in futuro di un buono standard dello "spezzato di manzo al vino rosso" e della dolorosa rinuncia alla cucina interna. Ha dovuto fare i conti anche con un'altra grana. Dopo mesi di dibattiti e buone intenzioni seguiti allo scandalo sollevato dalle "Iene" in tv sui 54 portaborse dei deputati con regolare contratto a fronte dei 683 collaboratori dotati di permesso di ingresso, dopo il giro di vite annunciato dai presidenti di Camera e Senato, Bertinotti e Marini, che avrebbe dovuto comportare la concessione dei nuovi badge solo agli assistenti messi in regola, ieri Montecitorio ha deciso di alzare bandiera bianca. E sì, perché dopo due proroghe della scadenza e molteplici appelli agli onorevoli, a consuntivo si è scoperto che solo 142 deputati hanno stabilizzato 182 collaboratori. E siccome il rischio era quello di lasciare fuori dalla porta i restanti 500 finora pagati in nero, con paghe da 400 a 800 euro, ecco l'escamotage che consentirà di fatto di proseguire come se nulla fosse: l'Ufficio di presidenza ha deciso di concedere il lasciapassare anche a collaboratori che svolgono una generica "attività di tirocinio", ma anche a pensionati disposti a collaborare gratuitamente o a dipendenti di enti e associazioni (e quindi anche di partiti). Per farla breve, si torna al passato. Tentativo fallito.

Oggi sarà la volta del Consiglio dei ministri, che inizierà ad esaminare il disegno di legge sui costi della politica studiato dal ministro Santagata, più volte annunciato e altrettante rinviato. Ma come ha anticipato anche ieri l'altro ministro che vi sta lavorando, Linda Lanzillotta, manca ancora il via libera delle Regioni, dunque oggi al più il testo (in 25 articoli) potrà essere solo esaminato. In ogni caso, quel documento non è sufficiente ad affrontare il problema dei costi nel suo complesso, secondo Antonio Di Pietro, che ieri ha presentato con Gianni Alemanno di An un piano bipartisan per abbattere le spese. Dal taglio delle tessere gratuite dei parlamentari alla riforma costituzionale che riduca la stessa rappresentanza politica.

(6 luglio 2007)


Altravoce.net 2-7-2007 Clamoroso: il Consiglio sardo costa il doppio e anche il triplo di quelli del ricco Nord. E ai nostri onorevoli meno tasse - 2-7-07 di Giorgio Melis –

 

Sardegna parsimoniosa. Risparmiosa. Sobria. Non è Sud profondo, scialacquatore di soldi pubblici, borbonico e dissoluto. Siamo sardi, fate largo ai virtuosi. Non è questa l'immagine e l'idea che gli altri italiani e noi stessi abbiamo dei nostri costumi? Certo che lo è: distinti e distanti dai meridionali, come sempre ci ritengono al Centro-Nord. E allora? Un falso clamoroso, la verità è l'opposto. Uno scandaloso primato: incredibile da credere, amaro ma doveroso da denunciare.

La politica sarda è la più dissipatrice, spendacciona fino all'esagerazione: molto più, fatte le debite proporzioni, di quelle siciliana e campana. Quasi da non credere ai propri occhi e ai numeri.

Premessa troppo lunga ma indispensabile per dar conto di un'emozione negativa quando si credeva di averle viste tutte. Subito un esempio. Il Consiglio regionale della Sardegna, per una popolazione di un milione e 600 mila abitanti, 85 consiglieri e 160 dipendenti, costerà nel 2007 quasi 103 milioni di euro. La Lombardia - la regione più sviluppata, ricca e popolosa, con quasi nove milioni e mezzo di abitanti, 90 consiglieri e 283 dipendenti - spenderà per il suo Consiglio appena 71 milioni di euro: il 30 per cento in meno della Sardegna. Semplicemente incredibile.

Costi del Consiglio regionale in Sardegna
e nelle Regioni a statuto ordinario del Nord (bilanci 2007)

 

 

popolazione

numero
consiglieri

dipendenti
Consiglio

bilancio
Consiglio

 

Piemonte

4.124.677

63

300

71 milioni

 

Lombardia

9.475.202

90

283

72 milioni

 

Veneto

4.759.872

60

150

50 milioni

 

Emilia Romagna

4.151.369

50

200

40 milioni

 

Liguria

1.609.013

40

125

28 milioni

 

Sardegna

1.657.268

85

160

103 milioni

 

(alcune cifre sono state arrotondate per semplificare la tabella)

 

Dopo aver frugato per settimane nelle pieghe del bilancio sardo, scoprendo e disvelando una realtà pazzesca, con picchi vertiginosi (la buonuscita di 700 mila euro al segretario generale andato in pensione), credevamo di aver toccato il fondo. Con una temeraria convinzione: sarà dappertutto così, più o meno, il costo della politica è altissimo ovunque: la Sardegna non può essere il peggio, starà nell'aurea medianità e mediocrità. E abbiamo deciso di confortare questa presunzione andando a cercare, con fatica e decine di telefonate, fax ed email, il riscontro nelle altre regioni.

Dopo i primi accertamenti, si è pensato a un errore. E giù altre verifiche. Fino a doversi arrendere a un'evidenza oltraggiosa per il livello di reddito, le condizioni sociali, l'economia disastrata dell'isola. Solo nella politica, nel costo del Consiglio regionale, la Sardegna straccia tutte le altre regioni. Una realtà sfuggita perfino alle lente ustoria di quanti (i senatori Salvi e Villone in un libro-inchiesta micidiale, i giornalisti Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo che spopolano col loro bestseller “La casta”) hanno scandagliato a 360 gradi il sottobosco della politica istituzionale e partitica. Non hanno pensato di fare il raffronto realizzato da noi, con risultati davvero sconvolgenti. Oggi lo proponiamo con le regioni del Nord popoloso, sviluppato e produttivo. Nei prossimi giorni lo estenderemo alle regioni del Centro-Sud e infine alle altre a statuto speciale come la Sardegna.

A ogni lombardo il Consiglio costa 9 euro, ciascun sardo ne deve spendere 64

Ma è un dato assolutamente omogeneo: ogni confronto vede la nostra assemblea largamente in testa nella disonorevole corsa allo scialo, allo sperpero da nababbi di soldi pubblici in una terra sottosviluppata. La comparazione con la Lombardia dice di tutto e di peggio. Con una popolazione sei volte superiore a quella sarda, il suo Consiglio spende due terzi del bilancio sardo: appunto 71 milioni contro i nostri (scusate: i loro , di onorevoli e dipendenti) 103 milioni. Neanche nove euro di costo per ogni lombardo, contro i 64 euro che il “parlamentino” isolano costa annualmente a ciascuno di noi.

Ma se questo è il paragone più eclatante, rispetto al ricco Nord ci sono altri cinque esempi che propongono un'immagine intollerabile della Sardegna povera, ma che offre ai propri onorevoli trattamenti da sceicchi. Il Piemonte ha appena 63 consiglieri (contro i nostri 85) con quattromilioni e passa di abitanti e 300 dipendenti (contro i nostri 160). Ebbene, il Consiglio regionale di Torino costa appena 71 milioni di euro, 17 euro annui per ogni abitante. L'opulento Veneto (oltre quattro milioni e mezzo di abitanti) ha appena 60 consiglieri e 150 dipendenti ma un bilancio consiliare di appena 50 milioni di euro: meno della metà della Sardegna, con una “tassa” annua pro capite di dieci euro per ogni residente.

Vogliamo continuare? La ricca Emilia-Romagna (quattro milioni e 151 mila abitanti, appena 50 consiglieri e 200 dipendenti) spende 40 milioni di euro all'anno, contro i 103 del Consiglio sardo. L'austera Liguria, con un milione 609mila abitanti (come la Sardegna) ha limitato i consiglieri a 40 e i dipendenti a meno di 130: spesa annuale, 28 milioni di euro, appena il 36,7 per cento di quanto si spende nel palazzaccio platinato di via Roma a Cagliari.

Meno consiglieri, stesso personale e spesa ridotta nel virtuoso Nord

Sono cifre che si commentano da sole, gettando un fascio di luce abbagliante sulla munificenza senza paragoni che la Sardegna, con centinaia di migliaia di poveri e disoccupati, offre alla propria impunita classe politica. Un'immagine devastante, insopportabile, che muove allo sconforto e a una reazione furente contro un divario tanto enorme quanto inaccettabile. Forse che a Milano, Torino, Genova, Venezia e Bologna fare politica costa meno?

E perché mai dobbiamo pagare tanto per un Consiglio spesso al di sotto di ogni sospetto e decenza, di fronte all'efficienza, alla serietà e operosità di altre assemblee regionali, che hanno tutte meno (tranne Lombardia e Sicilia) e perfino la metà dei nostri eletti? Il teatrino del vaniloquio, logorroico, nullafacente, rissoso di via Roma, non è lontanamente paragonabile ai Consigli del Nord. Eppure costa dal 30 per cento in più fino al doppio e al triplo di quelli settentrionali.

Ma non si sente una parola di autocritica, un atto per riequilibrare una spesa astronomica rispetto agli altri. Anzi, chi la evoca viene tacciato di qualunquismo, demagogia e scandalismo antipolitico. Chi sono i veri qualunquisti che screditano il mandato parlamentare incassando e facendo spendere il doppio e il triplo dei colleghi che, poniamo a Bologna, da sempre hanno garantito ben altra efficienza e trasparenza all'amministrazione pubblica?

Non sono mancati e non mancano, sul versante del governo, scandali e sprechi in Veneto e in Lombardia. Ma, vuoto per pieno, la resa politica è infinitamente superiore a quella sarda, come il rapporto spesa-beneficio dei Consigli. Che diranno oggi i nostri onorevoli, l'imperturbabile presidente Spissu, i pasdaran improbabili moralisti all'Artizzu e al Sanjust-Robespierre, i campioni della sinistra radicale e della destra già incorruttibile ex missina? Davanti a un confronto che dovrebbe indurli a vergognarsi e nascondersi, diranno ancora che non sono ultraprivilegiati e costosissimi perfino di fronte ai colleghi lombardi, veneti, emiliani?

I consiglieri sardi pagano meno tasse di tutti, rivalutando anche la Sicilia e la Campania

Ora le carte e le cifre sono sul tavolo, le altre le daremo nei prossimi giorni: ancora da soli. Servirebbe una battaglia morale dei cittadini e degli altri e ben più potenti ma silenti organi d'informazione: si limitano a riprendere i risultati delle nostre inchieste senza alzare un dito per rilanciare, aprire un fronte di denuncia e d'attacco e imporre una svolta moralizzatrice. Perché c'è ancora tanto da portare alla luce. Lo faremo ancora con i nostri deboli mezzi, visto che non vengono messi in campo quelli di chi ha ben altra potenza di fuoco.

Ma la nostra battaglia si allarga, coinvolge un numero crescente di lettori e cittadini giustamente indignati. E il passaparola ci aiuta a suscitare una mobilitazione che dovrebbe essere generale. Intollerabile l'accettazione rassegnata di troppi, il silenzio che a questo punto diventa connivenza.

Come sul fatto, documentato dal Sole24Ore , che la media delle trattenute fiscali degli onorevoli sardi è la metà di quella media nelle altre regioni. Ingrassano senza pudore e si smarcano dal fisco che ad ogni contribuente a reddito fisso chiede fino all'ultimo centesimo. Dopo questa e altre puntate, si vedrà che dovremmo chiedere scusa ai politici di Napoli e Palermo, considerati sempre dissipatori a man salva. Lo sono invece, e da Guinness dei primati, i nostri. Altro che austeri, risparmiosi e virtuosi: sono uno scandalo nazionale che tracimerà fuori della Sardegna. Ristabilendo una verità da arrossire al cospetto degli altri italiani.

da www.altravoce.net

 


 

Il Centro 2-7-2007   Aptr, in giunta la manovra azzera tutto - Maurizio Piccinino

                                                                                                              

Dopo le polemiche tra Ds e Margherita questa mattina l'esecutivo deciderà di riformare radicalmente l'Ente Aptr, in giunta la manovra azzera tutto Costi della politica, la scure di Del Turco sul Cda dell'Agenzia per il turismo MAURIZIO PICCININO PESCARA. Una nuova decisione, a sorpresa, segnerà il futuro dell'Aptr (Agenzia di promozione turistica). Oggi nella giunta regionale, a cui parteciperà il presidente Ottaviano Del Turco, sarà presentato un ordine del giorno che prevede l'azzeramento del consiglio di amministrazione e la nomina di un solo direttore generale. Il taglio riguarderà sette componenti del Cda e la poltrona del presidente. La decisione è sorta dopo le polemiche scaturite tra Margherita e Ds. I primi rivendicano la nomina di un componente nel Cda, nella persona di Bruno Di Masci, mentre il vice presidente della giunta, il diessino, Enrico Paolini, punta sulla "mini riforma", con la riduzione dei componenti del Cda e il risparmio di 162 mila euro l'anno. Nell'ultimo Consiglio regionale, complice anche la mancanza del numero legale, la mini riforma è saltata ma, nel contempo, il presidente del Consiglio, Marino Roselli ha dato il via libera alla nomina di Di Masci, (settimo componente nel Cda) rivendicando alla Margherita quel posto. Negli ambienti della presidenza della giunta, invece, è emersa la volontà di dare un taglio netto a tutto: ai costi e al Cda. Il presidente Del Turco, infatti, ha seguito la vicenda, in particolare le decisioni della Margherita e di Roselli, con una certa irritazione, ed abbia sollecitato il provvedimento azzera tutto. La riforma è stata scritta da Lamberto Quarta, responsabile della segreteria politica di Del Turco. L'Odg, infatti, che questa mattina sarà sul tavolo della giunta segue il progetto di riforma degli enti regionali. In particolare degli enti più grandi come le Agenzie regionali e le Società per azioni. L'Aptr che rientra nel novero delle agenzie, dovrà essere gestita da un direttore generale. Solo in alcuni casi il direttore generale potrà essere affiancato un direttore tecnico e uno amministrativo. Sarà comunque abolito il Cda e il colleggio sindacale che verrà sostituito da un revisore unico dei conti. Per le Spa, ossia per le aziende di trasporto: Arpa, Gtm e Sangritana; sarà fissato un altro criterio: il numero del Cda oscillerà da tre a cinque e sarà deciso in base al fatturato. Oggi quindi gli assessori di centrosinistra si troveranno di fronte un ordine del giorno che rimette in discussione il ruolo degli enti regionali. Poltrone pubbliche spesso usate dai partiti per creare carrozzoni e sistemare esponenti politici non eletti. L'ultima parola spetterà agli assessori che avranno 90 giorni di tempo per allestire una legge di riforma delle agenzie delle Spa. Sull'Aptr si registra anche una spaccatura nella Margherita, il consigliere regionale Antonio Verini, si schiera con Paolini e giudica un errore l'aver rinviato la riforma. "Sono per l'approvazione immediata della legge di riforma dell'Aptr, perché non possiamo predicare tanto e poi non dare attuazione alle cose", commenta Verini, "e questo dei costi della politica è un problema serio". Verini è anche contro la decisione di Roselli. "Roselli ha sbagliato a fare la nomina", osserva anccora Verini, "dopo sei mesi e mezzo dalle dimissioni di Carlo Costantini dalla presidenza dell'Aptr non c'era proprio la necessità d'urgenza per nominare un sostituto. Il 10 luglio invece bisognerà andare in aula con la massima determinazione e approvare la riforma".


 


 

ARCHIVIO GENNAIO – GIUGNO 2007  DEL DOSSIER “I COSTI DELLA POLITICA “

 

 

 

INDICE GENNAIO- GIUGNO 2007

 

Altromolise.it 30-6-2007 L'INTERVENTO - Costi della politica, niente di nuovo sotto il sole  di MICHELE PETRAROIA*

Italia Oggi 21-6-2007 P.a., manager sui banchi Commissioni esterne valuteranno le capacità. Lo prevede il disegno di legge sui costi della politica, ormai in dirittura . Di Ilaria De Bonis

Il Mattino di Padova 21-6-2007 Regali e regalie, dalle valigie ai superstipendi a consiglieri e dirigenti regionali, ecco i costi della politica veneta Il vero scandalo sono gli appalti Gettoni da principi, premi ai manager ed elusioni per tutti Le istituzioni venete e gli amministratori collegati e premiati RENZO MAZZARO

Il Tirreno 20-6-2007Massa - Carrara Cgil attacca gli sprechi della politica "Necessarie tre società per i rifiuti?" Nel mirino anche Massa Servizi "Forse quelle aziende esistono per garantire posti nei Cda". Bernieri chiede la re-internalizzazione dei servizi e ribadisce il no alla manovra fiscale

Il Tirreno 18-6-2007 I COSTI DELLA POLITICA I piccoli Comuni sono vittime, non cause Sprechi e privilegi vanno cercati altrove Il sindaco  i Cinigiano "Il problema esiste ma è a livello centrale"

Il Resto del Carlino 15-6-2007 "Cara politica? Guardate altrove" Viaggio tra gli amministratori: quello di Aguzzi lo stipendio più alto STIPENDI troppo alti o adeguati agli impegni e alle responsabilità? Enti inutili o indispensabili per l'erogazione al cittadino di importanti servizi?

Corriere della Sera 6-6-2007 Costi della politica, tagli ai giornali di partito. Il ddl di riordino della materia dovrebbe essere pronto entro giugno. Mario Sensini

La Repubblica 4-6-2007 I COSTI DELLA POLITICA Premi natalità e contratti d'oro così si spende in Lombardia E in comuni e province dilagano le consulenze Ai consiglieri regionali incentivo del 2% ogni milione di abitanti ETTORE LIVINI 3

La Stampa 4-6-2007 I COSTI DELLA POLITICA IERI L'ATTACCO DELLA MARGHERITA SUGLI SPRECHI DI CHI GESTISCE I QUARTIERI Per le Circoscrizioni è l'ora dei tagli EMANUELA MINUCCI 3

Il Giornale 4-6-2007 Di Pierangelo Maurizio - Tagliare i costi della politica: una parola. Chi glielo dice per esempio al consigliere abruzzese Vito Domenici? Al parlamentino regionale ha fondato il Gruppo Misto. Da solo. È capogruppo di se stesso. Ben altri cinque partiti hanno un solo consigliere-capogruppo: l'Unione, Comunisti italiani, Verdi, Udc, Dc e Italia dei valori. 3

La Repubblica 4-6-2007 LINEA DI CONFINE MARIO PIRANI 4

Il Messaggero veneto 4-6-2007 Udine Come abolire i privilegi della classe politica DIBATTITO di CLAUDIO CALLIGARIS e GUERRINO CECOTTI 4

Il Centro 4-6-2007 Avezzano Zulli: politica? Costi stratosferici La proposta: riduciamo il numero di assessori e consiglieri 4

Il Mattino di Padova 3-6-2007 L'ITALIA E I COSTI DELLA POLITICA Ma il cittadino è complice della Casta  4

Trentino 2-6-2007 Prandi sui costi della politica "Diecimila euro di spese telefoniche è una vergogna" 5

Il Piccolo di Trieste 2-6-2007 Monfalcone La Cdl all'attacco: controllare che non ci siano incompatibilità  5

Il Corriere Veneto 1-6-2007  I costi della politica, Venezia al quinto posto in Italia per le spese dei parlamentini. Mognato: " Ragioniamo sulle competenze " Amministratori, un esercito da 3 milioni l'anno Il governo taglia gli enti locali. " Pura demagogia, gli sprechi sono altri " 5

- La Repubblica  1-6-2007 Interrogazioni contro Iorio, governatore del Molise. (g. cap.). 5

L’Unità 1-6-2007 Gli impuniti Marco Travaglio  6

L’Unità 1-6-2007 Cuffaro: i miei 11.700 euro al mese non si tagliano Costi della politica, l'Unione attacca. E Il governatore siciliano: 500 euro di multa agli assenteisti 6

Il Giorno 1-6-2007 I tagli uguali per tutti non ci stanno bene. Massima inefficienza a Roma Formigoni difende i costi della politica lombarda di ROSSELLA MINOTTI 6

L’Unità 1-6-2007 I costi della politica? Noi abbiamo fatto così Gian Mario Spacca (Presidente della Giunta regionale Marche.) 6

- La Stampa 28-5-2007  Montagna, oh cara... E ora arrivano i tagli 7

L’Unità 26-5-2007  Io, la casta e il Pd Gianni Cuperlo  7

Il Riformista 26-5-2007 Basta con la crociata tecno-populista Sono per gli sprechi, sprechi democratici di Francesco Cossiga  8

Il Corriere della Sera 21-5-2007 "Rischio anni 90 per la politica? C'è insofferenza, il limite è vicino" D'Ambrosio: bene D'Alema, ora reagire. Macaluso: il dissenso cresce. Paolo Conti 8

Il Messaggero 21-5-2007Di MARIO AJELLO ROMA Ora come allora? I professionisti del partitismo, di cui Craxi diceva "il più stupido di loro sa suonare il violino con i piedi", sono di nuovo a rischio di vedersi gettare addosso e monetine dell'anti-politica  8

Il Riformista 21-5-2007  Perché si materializzano i fantasmi del ’92  9

L’Unità 21-5-2007  "Troppi gli sprechi, cresce un'ondata di insofferenza" Berselli: qualcuno potrebbe cavalcarla. Mussi: facciamo le riforme possibili, tagliamo i costi della politica di Wanda Marra  9

Da Altrenotizie.org 21-5-2007 IL SISTEMA CROLLA, LA POLITICA ACCONSENTE di Sara Nicoli 9

La Repubblica  21-5-2007LE SCELTE DEI PARTITI Gli italiani bocciano la politica Due su tre non hanno fiducia. Prodi: tagliamo i costi Il presidente del Consiglio: i cittadini hanno bisogno di trasparenza L'allarme lanciato dal Capo dello Stato nel messaggio di fine anno ALBERTO CUSTODERO  10

L’Unità 20-5-2007  Tutti parenti, alla Rai? Ma anche Mediaset tiene famiglia Una valanga di parenti al Biscione. E in viale Mazzini l'ex Premier ha imposto molti dei suoi: dirigenti, conduttori, giornalisti di Marco Travaglio  10

L’Unità 19-5-2007 Raipolitik di Marco Travaglio  10

La Repubblica 19-5-2007 IL RETROSCENA Lunghe telefonate di Napolitano a Bertinotti e Prodi per evitare il corto circuito istituzionale E il Quirinale lancia l'allarme "Attenti ai costi della politica" CLAUDIO TITO  11

La Repubblica 19-5-2007Veltroni: "Mercoledì l'approvazione in giunta comunale delle delibera che stabilisce nuovi criteri legati ai risultati" Stipendi dei manager, ecco i tagli Causi: "Ridotti del 18,9 per cento i costi della politica" Le novità valgono 500 mila euro di risparmi all'anno GABRIELE ISMAN  11

L’Espresso 18-5-2007 Ma il debito non è democratico di Francesco Bonazzi Il passivo dei Ds. Il valore dei contributi. Il problema delle sedi. Ecco i conti in tasca a Margherita e Quercia  11

La Stampa 18-5-2007 "E' l'ora di tagliare i costi". Degli altri Paolo Baroni 12

Il Sole 24 Ore 18-5-2007  Dai municipi alle Comunità montane sono circa 195mila le cariche elettive Ai politici locali 746 milioni l'anno Gianni Trovati La politica locale costa oggi 746 milioni all'anno e "produce" 195mila cariche tra consiglieri, assessori e Giunte di Comuni, Province e Comunità montane. 12

Da asgmedia.it  17-5-2007 Alla Camera indagine conoscitiva sui "costi della politica". Lo ha deciso la commissione Affari costituzionali 12

Il Tirreno 12-5-2007 Massa - Carrara Rifiuti, 700mila euro l'anno solo per le poltrone Cinque aziende per servire 200mila abitanti, tre nei 15 chilometri di costa.  Claudio Figaia. 12

La Repubblica 12-5-2007Nuovo provvedimento sui costi della politica: Palazzo Chigi prevede un risparmio di 18 milioni Comitati inutili nei ministeri colpo di scure per 110 su 512 Ma resta quello del Giubileo finito 7 anni fa CARMELO LOPAPA  13

Il Giornale di Brescia 11-5-2007  Già nel prossimo Dpef in programma corposi tagli alle istituzioni territoriali Spesa pubblica, Enti locali nel mirino  13

Italia Oggi 10-5-2007    Stipendi giù e salta Sviluppo Italia di Giampiero Di santo  13

Italia Oggi 10-5-2007 Quel parlamentone costa 1 miliardo di Stefano Sansonetti 14

Italia Oggi 10-5-2007 I parlamenti regionali mettono in bilancio cifre elevate per le voci più varie. Con sorprese grottesche. di Stefano Sansonetti 14

L’Unità 9-5-2007  I costi della Politica Roberto Roscani 14

Italia Oggi 9-5-2007 Ai politici 200 milioni in più Finita in nulla la promessa di Prodi di ridurre i costi del sistema. di Franco Bechis 15

La Repubblica 9-5-2007 L'EVENTO Il magistrato, protagonista della stagione di Mani Pulite e oggi consigliere di Cassazione, torna nel suo Ateneo Davigo in cattedra, lezione di legalità  15

La Repubblica 8-5-2007 Palermo VERSO LE ELEZIONI "Voti comprati nei quartieri" L'Unione si appella al ministro MASSIMO LORELLO  15

La Stampaweb.it 8-5-2007 Messina, nove arresti per tangenti Tra gli indagati il presidente della Regione Sicilia Totò Cuffaro Coinvolti politici e imprenditori. 15

La Gazzetta del Mezzogiorno 7-5-2007 Partiti, più diminuiscono gli iscritti più aumentano i costi per i contribuenti Mario Caligiuri 16

RadioRadicale.it 4-45-2007   I politici italiani sono una casta”, parla Gianantonio Stella. Dimitri Buffa  16

Teatronaturale.it 6-5-2007  LA CASTA, OVVERO QUANDO I POLITICI ITALIANI DIVENTANO DEGLI INTOCCABILI di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, edito da Rizzoli 17

La Repubblica 6-5-2007 L'odio per i politici Pietro Citati 17

Il Tempo 5-5-2007 Traffico di rifiuti, dieci arresti 18

La Repubblica 24-4-2007 Popolare di Matera, scandalo mutui "Una vera associazione a delinquere" La Finanza: tassi stracciati e garanzie finte a giudici e industriali FRANCESCO VIVIANO. In attesa che la pm di Matera decida se chiedere il rinvio a giudizio dei 35 indagati (tra questi il presidente Donato Masciandaro, il direttore generale Giampiero Marruggi, il vice Antonio Scalcione e l'amministratore delegato Guido Leoni) 18

Il Tirreno 21-4-2007 Troppi enti, troppi stipendi a politici 18

Il Sole 24 Ore 19-4-2007 Un sistema frenato dai costi della politica di Valerio Castronovo  19

L’Unità 19-4-2007 Di cosa vivono i partiti Paolo Borioni 19

Il Meridiano.info  16-4-2007 Fax politici da un reparto ospedaliero Ed ora è polemica sul caso del “Riuniti”.  Francesco Quitadamo  20

La Repubblica 14-4-2007 Mezzo milione di italiani vive di politica Spesi 3 miliardi l'anno, stretta in arrivo su consiglieri, incarichi e consulenze i costi dello Stato  20

La Republlica 14-4-2007 Sicilia al top, qui gli assessori guadagnano più dei ministri 20

L’Espresso 13-4-2007 PRIMO PIANO europeccati capitali di Fabrizio Gatti 20

La Stampa 11-4-2007 - INCHIESTA L'onorevole va due volte in pensione. Vitalizio irrinunciabile a duemila exparlamentari; molti lo cumulano con l'assegno di vecchiaia. PIERLUIGI FRANZ  22

La Stampa 11-4-2007 NON SOLO POLITICI: ECCO I CASI PIU' CLAMOROSI Quando lo Stato diventa Pantalone  22

Europa 10-4-2007 Mafia e tangenti a Trapani: chi ha trasferito il prefetto che aveva denunciato il mercimonio? FEDERICO ORLANDO RISPONDE  22

L’Unità 5-4-2007 Asl del Lazio, la grande macchina delle tangenti Emerge il meccanismo che negli anni di Storace ha divorato appalti, convenzioni: un rapporto stretto tra affari e centrodestra di Angela Camuso  23

La Repubblica 3-4-2007 Il vero costo della formazione MARIO CENTORRINO  23

Il Trentino 1-4-2007"Esistono ambasciate della California?" Salvi: "No, ma ad esempio la Lombardia ne mantiene una a Cuba" "Le spese si possono tagliare, ma non c'è la volontà di farlo". (Gabriele Rizzardi). 23

L’Unità 1-4-2007 ASSOCIAZIONE a delinquere finalizzata alla turbativa di aste pubbliche, falso, truffa ai danni dello Stato, corruzione. di Francesco Sangermano  24

Il Corriere delle Alpi 1-4-2007 I politici costano una fortuna I deputati italiani guadagnano il doppio dei francesi GABRIELE RIZZARDI 24

Il Sole 24 Ore 30-3-2007 Illegalità, l'handicap che frena l'Italia Da corruzione e continui scandali un costo eccessivo per l'immagine internazionale del Paese di Mario Margiocco

Il Giornale di Brescia 30-3-2007 Corruzione Ue, l'indagine punta in alto Il "giro" sarebbe stato quasi impossibile senza la connivenza di organismi di vertice

La Repubblica 28-3-2007 Tre italiani arrestati a Bruxelles per corruzione in appalti Ue.

L’Unità 28-3-2007  I soldi e i partiti un'odissea democratica Sergio Boccadutri*

La Repubblica 28-3-2007 La proposta del professore per ridurre i costi della politica: basta eliminare i doppioni Giunta, la ricetta di Vandelli "Via gli assessori inutili"

Gazzetta del Sud 28-3-2007 Corruzione Ue, coinvolto l'assistente di un eurodeputato italiano

AGI 27-3-2007 Gina Spallone, proprietaria di una clinica privata romana, e' stata arrestata

La Nazione 27-3-2007  Cantieri, appalti truccati Raffica di arresti a Firenze In manette dipendenti comunali e imprenditori edili Di AMADORE AGOSTINI

La Padania 25-3-2007 PARLA FULVIO MARTUSCIELLO. «La politica clientelare sta rovinando questa terra»

La Repubblica 24-3-2007  "Da Fininvest soldi al giudice Metta" Emilio Randacio Milano

La Stampa 23-3-2007- TELECOM . "Berlusconi comprò la fedeltà di Bossi"I dossier illegali: dal Cavaliere settanta miliardi di lire Paolo Colonnello

Da Primadanoi 22-3-2007 Spese superflue. Pio Rapagnà, il digiuno va avanti, l'indifferenza anche

Da Orvietonews.it 20-3-2007 Palazzo Bazzani: sull'indennità di mandato dei parlamentari è contrasto tra Pdci e resto della maggioranza

Da La Stampa 18-3-2007  IL CASO Là dove fioriscono le tessere Antonella Rampino

Dal Corriere Economia 19-3-2007 Mani pulite, mani globali. di Giulio Sapelli

Il Giornale di Vicenza 18-3-2007 I costi della politica Se diventa fonte di finanziamento di Giulio Antonacci

La Stampa 17-3-2007 Parrini colpevole ecco tutti i perché  Giulio Gavino

15-3-2007 RaiTre Pane e politica 1^. Di Riccardo Iacona. Il video

Il Messaggero Veneto 15-3-2007 Triete. De Anna: costi troppo elevati, ridurre i consiglieri

Il Tirreno 14-3-2007 Tangenti e truffa ai danni della Ue a giudizio ex eurodeputato Paolo Bartolozzi (Forza Italia): "Estraneo a tutto"

Megachip.info 12-3-2007 I parlamentari italiani sono i più pagati d'Europa -                                                                                                                                                                                                                                          di Elisabetta Povoledo, da International Herald Tribune - traduzione per Megachip di Eleonora Iacono

Primonumero.it 12-3-2007 Sanità tra vizi e sprechi/2 Due capi per il reparto fantasma di Monica Vignale

Il Quotidiano.it 10-3-2007 Ascoli Piceno. Gruppo AN:"Rossi predica bene ma razzola molto male"

La Stampa 12-3-2007 Vitalizi dei politici l'ennesimo scandalo  Guido Bodrato.

Sardegna Oggi 10-3-2007 Gli stipendi dei Consiglieri regionali sono stati al centro di una riflessione del Presidente Soru e dell'Assessore Dadea durante un incontro sulla Statutaria

La Stampa 10-3-2007 Regione Val D’aosta. Bocciata la mozione dell'Arcobaleno "No" dei consiglieri regionali all'autoriduzione di stipendio. Alessandro Camera

Il Sole 24 Ore 10-3-2007 La Calabria e la 'ndrangheta, storie di criminalità e appalti di Roberto Galullo

La Stampa 8-3-2007 8/3/2007 (8:26) - INCHIESTA  Calabria, la cupola delle  raccomandazioni Antonio Massari

Da La Stampa 6-3-2007 Il Parlamento del lavoro nero Denuncia delle Iene: oltre il 90 per cento dei portaborse pagato in forme irregolari Francesco Grignetti

Da liberaliperlitalia.it  5-3-2007    Il costo della politica

Da Altrenotizie.org 6-3-2007  I WEBMOSTRI E I SOLDI PUBBLICI di mazzetta

Da Ilmeridiano.info (1-3-2007) La politica costa troppo«Ora una riforma seria»

Da Il Secolo XIX 2-3-2007. CONVEGNO SULLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE. Il presidente di Erg:"La corruzione in certe zone del Paese sta pericolosamente ritornando e raggiungendo livelli insopportabili".

Da La Stampa 28-2-2007 VIBO VALENTIA INCHIESTA "Per l'Ospedale mai nato, tangenti all'Udc". Di Antonio Massari

Da il meridiano.info (24-2-2007)  Pdci: «Impuniti i casi di mala-amministrazione dell’Asl»

Da La Stampa 18-2-2007 La truffa dell'ospedale fantasma. Antonio Massari

Da teramonews.com 17-2-2007 Comunicazione: ma quanto mi costi? Daniele Tempera

Da L’Espresso 16-2-2007  Suite con tangenti di P. Gomez e M. Lillo

Da Il Tirreno 15-2-2007 Enti inutili, i tagli non decollano. La Regione: abbiamo la mappa. La Cdl: non farete nulla  di Mario Lancisi

Da aipsimed 11-2-2007 La sanità campana. Sprechi, clientelismo, illegalità, inefficienza

Da caserta24ore.it 6-2-2007  Il commento: i parlamentari si crogiolano nelle loro pensioni d’oro

Da primadinoi.it 5-2-2007 Acqua. La riforma degli enti: «entro febbraio cancellati 2 Ato»

Da altromolise.it (3-2-2007) Leva: 'Sottosegretario, una spesa in più che non serve al Molise'

Da L’espresso Le pensioni degli onorevoli (Att: 2,2 MegaB)

Da La Stampa 26-1-2007. I costi della politica torinese  34 milioni 150 mila! Di Tropeano, Mondo, Borghesan, Minucci

Da provincialatina.tv 28-1-2007 La Cisl chiede la mutazione degli assetti aziendali contro la crisi."La Multiservizi diventi Spa"

Da bologna2000.com (27.1.2007) Modena: una 'nuova' Provincia con la carta delle autonomie

Da La Stampa 25/1/2007 (8:4) - INCHIESTA Non fare nulla può valere 750 mila euro Raphael Zanotti

Da napoli.com (19-1-2007). Incredibile, una enoteca per regalo di Mario Caruso

Da   ifatti.com 18-1-2007. “Gettonopoli" napoletana, Capodanno: «Cinque milioni di euro per presidenti, assessori e consiglieri delle inutili Municipalità»  2

Da ilmeridiano.info 13-1-2007   “Bazar ministeriali”, interrogazione di Costa  2

9-1-2007  Confartigianato UAPI denuncia: Nuovi oneri burocratici per le imprese  2

Da primadinoi.it 9-1-2007 Che fine ha fatto la questione morale? 2

Etica e politica : il comma Fuda e il commento di Mastella di Alessandro Balducci 2

Da epistemes.org 8-1-2007 Aboliamo i sussidi ai quotidiani italiani 2

Da ilTempo.it (3-1-2007) Il deficit sanitario per i Diesse causa aumenti dei tributi di ALDO CIARAMELLA  2

Da altromolise (2-1-2007) Le bugie del centrodestra hanno le gambe corte  di GIUSEPPE ASTORE* 2

 

 

ARCHIVIO 2006 DEL DOSSIER I COSTI DELLA POLITICA

 

INDICE 2006

 

 

Da adnkronos.com (30-12-06) Calabria, commissioni sul tartufo: scoppia la polemica  2

Da laprovinciadicremona.it (30-12-2006) La giunta si regala compensi più alti. Per sindaco e assessori aumento del 10 per cento. di Gilberto Bazoli 2

Regalo per l'Ulivo e i Consumatori. Pagano i piemontesi: 300 mila euro  Di Maurizio Tropeano  2

(POL) Villone (Ds): Chi non vuol ridurre i costi della politica? 2

Sanità, è di scena la vergogna  di Mario Caruso  2

Imprese: per il 66,7% ricetta governo su sprechi non funziona  2

Cgil, Cisl e Uil criticano scelta aumento Irpef a Carpi     Le organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil della zona di Carpi criticano fortemente l'intenzione espressa dal Sindaco e dalla Giunta comunale di aumentare l'addizionale Irpef del Comune di Carpi dallo 0,2 allo 0,5%. 2

La Confapi non ci sta: «La politica rilanci il binomio Energia-Sviluppo»  2

La Regione aumenta Irap e Irpef, bagarre in Assemblea  2

Sen. Claudio Grassi: “Potremmo far mancare la maggioranza al Senato. E poi sugli inceneritori..." 2

I prefetti ad Amato: vanno ridotti i costi della politica  2

Province addio, al via le città metropolitane  2

La Regione taglia gli stipendi 2

La politica in Abruzzo si deve "ripulire" 2

RAVENNA - Fronzoni (Lpr) punta il dito su consulenze, cda e collegi sindacati delle società pubbliche  2

Pesca miracolosa - a cura di Paolo Forcellini 2

Ainis: la politica costa troppo ma l’illegalità è nella società  2

Da Vivi Enna – 11-12-2006 - La Favola di Enna  2

Viterbo - Provincia : Politica. Bigiotti (Udc) : "Troppi soldi sprecati alla Provincia" 2

Enti regionali, giro di vite su costi e dirigenti – di  Berardino Santilli 2

Regione, tagli a geometria variabile - di Antonella Aldrighetti - 2

Il Cavaliere, la piazza e il governo di  LUCA RICOLFI 2 

Da www.lamescolanza.com 4-12-2006  L'Espresso 1-12-06  -  La giungla dei privilegi 30

L'isola del tesoro  35

Bolzano sale in cattedra  36

È la nuova Tangentopoli 37

Stipendi deputati 38

Acqua benedetta  39

Paradiso Livigno  40

Da www.primadinoi.it 30/11/2006 10.24  42 Costo del consiglio regionale: «5 milioni di euro in più in soli 3 anni»  42

La Stampa 20-11-06  43

La spesa gonfiata dai partiti 43

Ci costano 4 miliardi di euro l’anno i quasi 428 mila consulenti e portaborse degli eletti. Diventa un’emergenza nazionale la modifica della legge  43

(Dal quotidiano Roma del 17/11/2006 ) 44

17/11/2006 - Gli scandalosi costi della politica     di Gerardo Mazziotti   44

Da Il Corriere della Sera (14-11-2006). 44

I partiti e il business dei rimborsi elettorali. 45

Nel 2006 le forze politiche hanno ricevuto oltre 200 milioni.  Di Sergio Rizzo Gian Antonio Stella  45

Da  www.arezzonotizie.it 46

No alla riduzione dei costi della politica  46

Da www.parlamento.toscana.it 09/11/2006  46

Istituzioni, Nencini interviene sui costi della politica  46

Dal Corriere della sera del 7-11-2006  47

Le regioni. Stipendi dei consiglieri, il taglio diventa finto  47

Da Il Corriere della Sera (1-11-2006). 48

«Collaboratori» e «cancelleria»: Palazzo Chigi costa il 69% in più. Di Sergio Rizzo - Gian Antonio Stella  48

Spese per lo staff del premier cresciute del 186%   48

Il Corriere della Sera del 27.10.2006  50

I costi della politica. E il Cavaliere ereditò auto blu e superscorta. Di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella  50

Da http://www.liberaliperlitalia.it/  Dossier  Costi della Politica  51


 

 

ARCHIVIO GENNAIO – GIUGNO 2007  DEL DOSSIER I COSTI DELLA POLITICA

 

 

DOSSIER – I COSTI DELLA POLITICA. (Lavori in corso)

 

 


 

 

 

 

Altromolise.it 30-6-2007 L'INTERVENTO - Costi della politica, niente di nuovo sotto il sole  di MICHELE PETRAROIA*

Italia Oggi 21-6-2007 P.a., manager sui banchi Commissioni esterne valuteranno le capacità. Lo prevede il disegno di legge sui costi della politica, ormai in dirittura . Di Ilaria De Bonis

Il Mattino di Padova 21-6-2007 Regali e regalie, dalle valigie ai superstipendi a consiglieri e dirigenti regionali, ecco i costi della politica veneta Il vero scandalo sono gli appalti Gettoni da principi, premi ai manager ed elusioni per tutti Le istituzioni venete e gli amministratori collegati e premiati RENZO MAZZARO

Il Tirreno 20-6-2007Massa - Carrara Cgil attacca gli sprechi della politica "Necessarie tre società per i rifiuti?" Nel mirino anche Massa Servizi "Forse quelle aziende esistono per garantire posti nei Cda". Bernieri chiede la re-internalizzazione dei servizi e ribadisce il no alla manovra fiscale

Il Tirreno 18-6-2007 I COSTI DELLA POLITICA I piccoli Comuni sono vittime, non cause Sprechi e privilegi vanno cercati altrove Il sindaco  i Cinigiano "Il problema esiste ma è a livello centrale"

Il Resto del Carlino 15-6-2007 "Cara politica? Guardate altrove" Viaggio tra gli amministratori: quello di Aguzzi lo stipendio più alto STIPENDI troppo alti o adeguati agli impegni e alle responsabilità? Enti inutili o indispensabili per l'erogazione al cittadino di importanti servizi?

Corriere della Sera 6-6-2007 Costi della politica, tagli ai giornali di partito. Il ddl di riordino della materia dovrebbe essere pronto entro giugno. Mario Sensini

La Repubblica 4-6-2007 I COSTI DELLA POLITICA Premi natalità e contratti d'oro così si spende in Lombardia E in comuni e province dilagano le consulenze Ai consiglieri regionali incentivo del 2% ogni milione di abitanti ETTORE LIVINI 3

La Stampa 4-6-2007 I COSTI DELLA POLITICA IERI L'ATTACCO DELLA MARGHERITA SUGLI SPRECHI DI CHI GESTISCE I QUARTIERI Per le Circoscrizioni è l'ora dei tagli EMANUELA MINUCCI 3

Il Giornale 4-6-2007 Di Pierangelo Maurizio - Tagliare i costi della politica: una parola. Chi glielo dice per esempio al consigliere abruzzese Vito Domenici? Al parlamentino regionale ha fondato il Gruppo Misto. Da solo. È capogruppo di se stesso. Ben altri cinque partiti hanno un solo consigliere-capogruppo: l'Unione, Comunisti italiani, Verdi, Udc, Dc e Italia dei valori. 3

La Repubblica 4-6-2007 LINEA DI CONFINE MARIO PIRANI 4

Il Messaggero veneto 4-6-2007 Udine Come abolire i privilegi della classe politica DIBATTITO di CLAUDIO CALLIGARIS e GUERRINO CECOTTI 4

Il Centro 4-6-2007 Avezzano Zulli: politica? Costi stratosferici La proposta: riduciamo il numero di assessori e consiglieri 4

Il Mattino di Padova 3-6-2007 L'ITALIA E I COSTI DELLA POLITICA Ma il cittadino è complice della Casta  4

Trentino 2-6-2007 Prandi sui costi della politica "Diecimila euro di spese telefoniche è una vergogna" 5

Il Piccolo di Trieste 2-6-2007 Monfalcone La Cdl all'attacco: controllare che non ci siano incompatibilità  5

Il Corriere Veneto 1-6-2007  I costi della politica, Venezia al quinto posto in Italia per le spese dei parlamentini. Mognato: " Ragioniamo sulle competenze " Amministratori, un esercito da 3 milioni l'anno Il governo taglia gli enti locali. " Pura demagogia, gli sprechi sono altri " 5

- La Repubblica  1-6-2007 Interrogazioni contro Iorio, governatore del Molise. (g. cap.). 5

L’Unità 1-6-2007 Gli impuniti Marco Travaglio  6

L’Unità 1-6-2007 Cuffaro: i miei 11.700 euro al mese non si tagliano Costi della politica, l'Unione attacca. E Il governatore siciliano: 500 euro di multa agli assenteisti 6

Il Giorno 1-6-2007 I tagli uguali per tutti non ci stanno bene. Massima inefficienza a Roma Formigoni difende i costi della politica lombarda di ROSSELLA MINOTTI 6

L’Unità 1-6-2007 I costi della politica? Noi abbiamo fatto così Gian Mario Spacca (Presidente della Giunta regionale Marche.) 6

 

 


 

 

Altromolise.it 30-6-2007 L'INTERVENTO - Costi della politica, niente di nuovo sotto il sole  di MICHELE PETRAROIA*

 

- Alla U.P.B. 010 capitolo 00200 sono riportate le somme di 400 mila euro di spese di rappresentanza a disposizione del Presidente del Consiglio Regionale del Molise. Ogni commento è superfluo !

 

Alla U.P.B. 025 capitolo 01800 sono iscritte a bilancio le spese di rappresentanza del Presidente della Giunta pari a 427 mila euro.  Per l'On. Iorio sono inoltre disponibili al capitolo 01810  200 mila euro per spese per le relazioni istituzionali, 678 mila euro al capitolo 06400 per conferimenti incarichi speciali presso la Presidenza della Regione, 386 mila euro al capitolo 06450 per conferimento incarichi speciali presso le strutture assessorili, 419 mila euro al capitolo 06500 per convegni, 200 mila euro al capitolo 06510 per la festa della regione.
E sempre il Presidente della Giunta alla U.P.B. 026 capitolo 06610 dispone di 441 mila euro per spese di comunicazioni e informazioni ( legge 150/2000 ), alla stessa UPB 026 capitolo 08706  215 mila euro per campagna pubblicitarie, al capitolo 08707, 434 mila euro per spese a favore di emittenti televisive locali, alla UPB 026 capitolo  10040 per spese di relazioni con i mass media ( organizzazione di conferenze stampa ) 30 mila euro.
Ciascuno può fare la somma di questi importi e giungere alle conclusioni che crede sul rigore e sulla sobrietà di spesa del Presidente del Consiglio e del Presidente della Giunta. Ovviamente i dati sono consultabili da qualsiasi cittadino sul bollettino ufficiale della Regione Molise n.11 del 9 maggio 2007.
E che dire della proposta di legge sul contenimento della spesa pubblica presentata con somma enfasi alla stampa ieri mattina dal Governatore Michele Iorio.
Che il risparmio si limita alla mera riduzione aritmetica dei consiglieri d'amministrazione degli Enti Sub-Regionali per un importo di poche centinaia di migliaia di euro di gran lunga inferiore ai risparmi che potrebbero determinarsi con una più oculata gestione dei fondi destinati alla Giunta.
Abbiamo perso sei mesi perché per ridurre il numero dei consigli d'amministrazione bastava applicare il disposto della legge finanziaria nazionale non serviva nemmeno il varo della legge regionale n.8.
In questa doppia immagine c'è l'inadeguatezza di una gestione politica che per spese di rappresentanza dilapida fondi pubblici e che non è in grado di tracciare linee innovative capaci di coniugare efficienza istituzionale e risparmi strutturali.

*capogruppo Ds Regione Molise

 


Italia Oggi 21-6-2007 P.a., manager sui banchi Commissioni esterne valuteranno le capacità. Lo prevede il disegno di legge sui costi della politica, ormai in dirittura . Di Ilaria De Bonis

 

Forme di selezione meritocratica, con il ricorso a commissioni esterne per valutare la professionalità dei candidati ai vertici delle società pubbliche statali non quotate in borsa. è una delle novità contenute nel ddl di Giulio Santagata sui costi della politica, al vaglio dei tecnici del ministero e in dirittura d'arrivo a palazzo Chigi il prossimo 28 giugno. Il disegno di legge che taglia i costi occulti della pubblica amministrazione e rimodula la disciplina degli enti locali, sopprimendo con meccanismi 'ghigliottina' gli enti periferici 'doppione' e quelli inutili, si suddivide in due capitoli. Da un lato, spiegano fonti ministeriali, la razionalizzazione degli enti locali, dall'altro norme e politiche a livello statale per limitare gli sprechi ma anche migliorare la qualità del rendimento di politici e funzionari dell'amministrazione pubblica. Un corposo provvedimento, al quale si lavora da mesi, che tocca tutte le sfere dell'apparato statale e non si sovrappone al ddl Nicolais sulla modernizzazione della pubblica amministrazione. La parte che tocca le amministrazioni decentrate è oggetto della concertazione a livello di Conferenza stato-regioni ed è all'origine di quello che sarà il Patto con gli enti locali, all'esame della Conferenza delle regioni anche la settimana prossima. Il ddl Santagata comprende il ridimensionamento del numero degli assessori comunali, dei consiglieri circoscrizionali, la rimodulazione del concetto di comunità montane, oggi oltre 4 mila ossia più del 50% dei comuni nazionali, la revisione della disciplina nella gestione dei servizi pubblici e la definizione di dimensioni minime per circoscrizioni e province. Sul versante dei costi statali in senso lato, invece, trattamento economico dei ministri e sottosegretari, trasparenza degli emolumenti con pubblicazione su internet, costi del funzionamento dei ministeri, fissazione di un tetto massimo per la retribuzione degli incarichi corrisposti dallo stato, riduzione del numero dei parlamentari, sono alcuni degli aspetti regolamentati. Ma prima ancora di procedere con i tagli, rivelano i tecnici, è messa a punto una ricognizione di tutte le attuali spese, dai costi degli immobili al numero delle auto blu, dal numero dei dipendenti ministeriali ai costi delle consulenze esterne. Far chiarezza e rispondere una volta per tutte alle numerose inchieste giornalistiche, dicono al ministero di attuazione del programma, è un atto dovuto. Per far fronte alla razionalizzazione della pubblica amministrazione, poi, si applicherà una sorta di meccanismo ghigliottina, con l'accorpamento e l'eliminazione di enti e uffici periferici dello stato e il riordino di alcune funzioni in capo agli enti previdenziali. Non mancherà una prima definizione in embrione di un'Autorità super partes in grado di vigilare sull'intero processo senza aggravio di spese per l'erario, altro rispetto all'Alto commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione. riproduzione riservata.


 

Il Mattino di Padova 21-6-2007 Regali e regalie, dalle valigie ai superstipendi a consiglieri e dirigenti regionali, ecco i costi della politica veneta Il vero scandalo sono gli appalti Gettoni da principi, premi ai manager ed elusioni per tutti Le istituzioni venete e gli amministratori collegati e premiati RENZO MAZZARO

 

VENEZIA. Abbiamo un dubbio: se tra i costi della politica veneta sia il caso di inserire o no le valigie Roncato, regalate sabato scorso ai 23 direttori generali delle Usl del Veneto, invitati a pranzo in Valle Zappa con il presidente Giancarlo Galan per festeggiare l'assessore Flavio Tosi, nuovo sindaco di Verona. Erano un regalo del padrone di casa per ingraziarsi, come si usa, gli illustri ospiti. La famiglia Roncato fabbrica valigie. E sicuramente è all'oscuro del fatto che i direttori generali delle Usl sono in scadenza e molti di loro non saranno riconfermati; altrimenti avrebbe evitato facili allusioni regalando valigie per lunghi viaggi. Ma anche le valigie regalate da Roncato hanno un costo: non saranno i Rolex regalati da Berlusconi, ma non le passa il convento. Battute. Si ignora se queste valigie fossero vuote: battuta cattivella, messa subito in giro da chi non c'era. Si sa invece che i direttori generali delle Usl del Veneto hanno avuto, tutti indistintamente, un premio di produzione 2006 pari al 13% del loro stipendio, che è di 144.000 euro lordi l'anno. Tutti, anche quelli che hanno il bilancio in passivo o il record delle code degli utenti per visite specialistiche. E qui cade l'asino: se i direttori generali delle Usl, come dice il loro coordinatore regionale Angelo Lino Del Favero (ma il maestro di cerimonie in Valle Zappa era Ermanno Angonese) sono amministratori a tempo pieno, con professionalità d'accesso richiesta di 5 anni, con responsabilità diretta e non trasferibile su altri come un assegno cabriolet, tutti motivi per i quali è giusto pagarli 144.000 euro lordi l'anno, per quale motivo devono essere valutati tutti allo stesso modo? Perché la giunta regionale del Veneto si è inventata un "giudizio di sistema" grazie al quale premia tutti indiscriminatamente? Scaroni docet. Certo, siamo lontani dai 10 milioni di euro di stipendio annuo del dottor Paolo Scaroni amministratore delegato dell'Eni (almeno fossimo un paese autosufficente). E anche dai 2 milioni dell'ingegner Elio Catania, ex presidente delle ferrovie, le stesse dove i treni si scontrano (non si tamponano: si scontrano!). Ci sarà qualche Usl del Veneto che funziona meglio. A buon titolo i direttori generali difendono i loro esigui (nel confronto) stipendi di manager pubblici: ma perché non dovrebbero sottoporsi a verifica singola? Qui l'asino potrebbe risollevarsi. La verifica è in capo ai politici e in Consiglio regionale è in corso una singolare riflessione sui costi della politica. Con autoflagellazione incorporata: il primo passo sarà l'autoriduzione dello stipendio dei consiglieri, chiesta in vario modo con quattro proposte di legge, due della Lega, una del Pne, una dell'Ufficio di presidenza. Non è chiaro come andrà a finire (se ne discuterà in aula l'11 e 12 luglio) ma è chiaro il rischio: fare del moralismo, spostare la pagliuzza e lasciare la trave, come diceva un tizio quando la moneta corrente era il sesterzio. Demagogia. "I costi della politica - dice Raffaele Grazia, presidente della commissione che sta "istruendo la pratica" - non sono solo gli emolumenti ai consiglieri. Se non vogliamo fare demagogia, dobbiamo includere anche gli stipendi di tutti i presidenti e i consiglieri di amministrazione di enti regionali o a partecipazione regionale prevalente, parificando i trattamenti. Perché il presidente di Veneto Innovazione deve guadagnare 20.000 euro lordi l'anno, il presidente di Veneto Sviluppo 30.000 e quello di Veneto Agricoltura 144.000 come i direttori generali delle Usl. Peraltro quest'ultimo è un leghista e non mi risulta che si sia opposto all'ultimo aumento". Il leghista si chiama Corrado Callegari: "Ma quale aumento di stipendio", insorge. "L'amministratore unico di Veneto Agricoltura è parificato ai direttori generali delle Usl dalla legge, non da me. Poi i direttori generali delle Usl hanno avuto l'aumento 6 mesi fa mentre io non l'ho ancora visto". Bisognerebbe verificare se all'amministratore unico di Veneto Agricoltura è richiesta la stessa professionalità d'ingresso. Meglio stare ai costi della politica, non alle polemiche sui costi, che sono inconcludenti. Le rendite. "Io dico che tutte le posizioni di rendita dalla politica vanno riesaminate - sostiene un altro leghista, Toni Da Re, firmatario di una delle proposte di legge - non solo i direttori delle Usl o i presidenti di Avepa, Arpav, Veneto Agricoltura e via elencando ma anche i dirigenti regionali, i segretari, le figure apicali e tutti i componendi dei Cda dove il gettone è sopra i 300 euro. Cominciamo a mettere gettoni da 30 euro, vedrete che non si troverà più nessuno disposto a farsi nominare. Invece di ridurre il numero dei consiglieri, riduciamo gli stipendi. Ci sono professionisti in Consiglio regionale che si lamentano di aver perso tutti i clienti. Ma chissà se prima ne avevano mai avuti. Tu prima devi avere un lavoro e poi entri in politica, non come oggi che ad ogni fine legislatura, vedi gente con la tremarella: rischiano di andare a lavorare, capisci, e non l'hanno mai fatto. Brutta bestia il lavoro. Altro che il mostro di Lokness. Invece bisogna pensare che si può vivere anche lavorando". Auto blu. Tra i costi della politica veneta inseriamo le auto blu. L'ha fatto anche Gian Antonio Stella, dedicando uno dei capitoli del suo libro "La casta" al parco auto della giunta Galan e alle polemiche nate dopo la scoperta che stavano per essere sostituite con vetture rigorosamente di cilindrata 3000 cc e trazione integrale. "Ma l'auto blu è un falso problema - sostiene Raffaele Grazia -. Quando ero assessore prendevo 1250 euro in meno al mese, perché usavo l'auto blu. Chi adopera la sua auto, come l'assessore alla sanità Flavio Tosi, ha un rimborso di 1800 euro al mese. Luca Zaia, che fa la stessa cosa ma viene da Treviso e non da Verona, avrà un rimborso di 1300 euro. Da notare che l'assessore che viaggia con la sua auto può arrivare a Piazzale Roma, parcheggiare la sua vettura e ripartire con l'auto blu e l'autista. Nessuno glielo vieta. Peraltro gli autisti sono dipendenti regionali, bisogna pagarli lo stesso. Stiamo attenti alla demagogia. I costi veri della politica sono i finanziamenti a pioggia. Le assunzioni non motivate: la Regione Sicilia ha 15.000 dipendenti, la Campania 8.800, il Veneto 2.900". Stipendi esentasse. Stiamo attenti anche all'ipocrisia: i consiglieri regionali del Veneto guadagnano 10.000 euro netti al mese, ma solo 5.000 sono tassati. Il resto, con un sagace incrocio di norme e leggine, è stato sottratto al fisco e passa sotto la voce rimborsi. L'odiosità del meccanismo è che sono gli stessi beneficiari ad averlo deciso. Come si sono aumentati la pensione. Come si sono previsti un rimborso spese per il funerale (!). Come si sono dati una legge che dal 2005 consente di assumere personale esterno: due dipendenti per presidente e vicepresidente di giunta, uno per gli assessori. E si istituire commissioni speciali, oltre alle 7 già esistenti, al solo scopo di pagare in più un presidente, un vice e un segretario. Appalti. Tutte odiosità. Ma i veri costi della politica, dove si bruciano cifre da capogiro che i contribuenti non vedono, sono altri. Vengono ad esempio da appalti pubblici banditi con gara all'offerta economicamente più vantaggiosa, dove il prezzo vale il 30% e la qualità 70%, così si possono vincere gare al ribasso sparando aumenti da infarto. E battere concorrenti che farebbero risparmiare milioni alla Regione. I costi della politica sono l'impossibilità di misurare quanto rendono i politici, che non sono scemi e cercano di impedirlo in tutti i modi. Ben venga la demagogia se serve a uscire dall'autoreferenzialità.


Il Tirreno 20-6-2007Massa - Carrara Cgil attacca gli sprechi della politica "Necessarie tre società per i rifiuti?" Nel mirino anche Massa Servizi "Forse quelle aziende esistono per garantire posti nei Cda". Bernieri chiede la re-internalizzazione dei servizi e ribadisce il no alla manovra fiscale

 

MASSA. "Sono nate In Italia migliaia di società. è possibile che siano tutte indispensabili? è possibile che ci siano sulla costa apuana due società che si occupano della raccolta dei rifiuti e che poi queste due si sono messe insieme per farne una terza per lo smaltimento?" è durissimo l'attacco del segretario regionale di Cgil Funzione pubblica Andrea Brachi alla gestione dei rifiuti nella provincia. Brachi non nomina espressamente le aziende in questione, ma il riferimento è chiaro e riguarda Asmiu, Amia e Cermec. "Magari - prosegue Brachi - a qualcuno può sorgere il sospetto che queste tre società stiano in piedi per garantire l'esistenza di tre consigli d'amministrazione, tre Presidenti e tre direttori generali". Insomma costi della politica inutili che potrebbero essere evitati con una razionalizzazione del servizio e la costituzione di una società unica a dispetto delle tre esistenti. "Noi chiediamo aziende più grandi - conclude il segretario regionale della funzione pubblica - che operino in territori omogenei che vadano anche oltre le singole Province". L'occasione della requisotoria del dirigente della Cgil è stata il convegno sulla qualità dei servizi pubblici che la Camera del lavoro di Massa e Carrara ha organizzato ieri al teatrino dei Servi di via Palestro. "In scena", le questioni dei costi della macchina comunale, della necessità della riduzione degli sprechi, dell' opposizione netta alle esternalizzazione dei servizi fondamentali per la collettività che la Cgil sostiene da tempo. Così come l'importanza del valore sociale del lavoro e l'opposizione all'aumento indiscriminato delle tasse. Temi che il sindacato "rosso" ha messo al centro della scena politica nel corso del dibattito pubblico che si è svolto ieri mattina e che ha visto la partecipazione di importanti esponenti regionali e nazionali del sindacato. E duro è stato anche l'attacco di Patrizia Bernieri, segretaria provinciale della Cgil: "La nostra Provincia - ha detto - è la sola in Toscana dove non c'è un gestore unico dei rifiuti. Infine in contrasto con l'agire nazionale e regionale non si procede a ridurre i costi ma si creano nuove società di gestione e si allargano i consigli di amministrazione". Bernieri punta il dito anche contro Massa Servizi: "Da parte del Comune di Massa si è fatta la scelta, da noi mai condivisa, di esternalizzare a Massa Servizi quasi tutte le entrate del Comune; con la giustificazione della lotta all'evasione si è esternalizzato tutto comprese le rette degli asili nido, le mense, i parcheggi e le multe. All'aggio ricordiamolo sempre dell'8,15% con conseguenti mancate entrate di milioni di euro nelle casse comunali". Posizioni queste che portano la Cgil provinciale ad appoggiare il comitato di cittadini che ha presentato il ricorso al Tar contro l'approvazione fuori termine della manovra di bilancio.


Il Tirreno 18-6-2007 I COSTI DELLA POLITICA I piccoli Comuni sono vittime, non cause Sprechi e privilegi vanno cercati altrove Il sindaco di Cinigiano "Il problema esiste ma è a livello centrale"

 

Il dibattito che in questi giorni si va intensificando sui "costi della politica" porta con sé moltissimi rischi ed una verità. Il rischio principale è quello di costruire una "babele" di opinioni e, poi, non intervenire sul problema. La verità è che ci sono i "cosiddetti costi della politica" che devono essere eliminati rapidamente insieme a tanti privilegi. Si attribuiscono costi alla politica, infatti, che con la Politica (con la P maiuscola) hanno ben poco a che fare. Casomai si possono definire errori prodotti dai politici, ma certamente non necessità per il funzionamento di un sistema democratico. Questa distinzione è necessaria, a mio parere, proprio per sgombrare il campo dalle semplificazioni demagogiche. La Politica, in un sistema democratico, ha un costo e cioè, sono i meccanismi politici della democrazia che hanno un costo di funzionamento. In questo costo, innanzitutto, c'è la garanzia per tutti i cittadini di qualsiasi ceto o condizione di concorrere al governo del proprio paese con pari opportunità. Fermo questo assunto c'è, poi, un problema di equilibrata rappresentanza della molteplicità di una nazione. Intendo la ricchezza da rappresentare politicamente delle specificità di migliaia di piccoli Comuni. Due sono, dunque, i limiti ed i vincoli democratici per definire i costi della politica: pari opportunità di accesso, rappresentatività territoriale reale. Oltre questi due paletti ci sono le degenerazioni, ci sono le decine di enti inutili, le migliaia di cariche inventate, il vero e proprio sistema del "consenso governato" costruito sulle società partecipate, le agenzie parapubbliche, le strutture burocratiche farraginose e, soprattutto, il più delle volte inefficienti. Aggiungo, anche il progressivo smantellamento e deprofessionalizzazione dei dipendenti pubblici. Come sindaco mi sento fortemente coinvolto in questo dibattito, sino ad oggi molto "virtuale" e poco virtuoso, e credo che sia il tempo di renderlo concreto con scelte decise partendo dai livelli nazionali e regionali. I Comuni hanno tutto da guadagnare da un sistema più snello e meno costoso. I piccoli Comuni in particolare ne sarebbero avvantaggiati perché hanno pagato da sempre il prezzo più pesante degli errori e delle inefficienze dei livelli amministrativi più alti. Da noi non c'è esubero di personale, anzi, ci sarebbe bisogno di arricchire e valorizzare gli organici. Da noi non ci sono Enti inutili perché le risorse sono a livello di sopravvivenza. Anche per questo motivo mi appaiono superficiali e sensazionalistiche le "fantasiose idee" di radicale accorpamento delle rappresentanze locali. Per certi versi spostare il problema dei costi della politica sulle piccole strutture allontana lo sguardo dalle grandi storture della "macchina della politica" trasformatesi nel tempo in un sistema "infernale" garante del consenso di pochi. è l'ora di metterci le mani senza distrazioni facendo dell'efficacia, efficienza ed economicità uno dei pilastri della riforma della Pubblica Amministrazione. Marzio Scheggi Sindaco di Cinigiano.

 


Il Resto del Carlino 15-6-2007 "Cara politica? Guardate altrove" Viaggio tra gli amministratori: quello di Aguzzi lo stipendio più alto STIPENDI troppo alti o adeguati agli impegni e alle responsabilità? Enti inutili o indispensabili per l'erogazione al cittadino di importanti servizi?

 

"Cara politica? Guardate altrove" Viaggio tra gli amministratori: quello di Aguzzi lo stipendio più alto STIPENDI troppo alti o adeguati agli impegni e alle responsabilità? Enti inutili o indispensabili per l'erogazione al cittadino di importanti servizi? In questo ultimo periodo si è tanto parlato degli sprechi nella cosa pubblica e soprattutto della necessità di "tagliare" qualche stipendio in quelle amministrazioni o associazioni considerate superflue. Tutto è nato dall'accusa del consigliere regionale di Rifondazione Michele Altomeni sullo spreco dell'Ato e proprio dall'Ato abbiamo iniziato la nostra inchiesta sugli stipendi dei politici. "AL NETTO il mio stipendio è di 1.237 euro ? dice Renato Claudio Minardi, presidente Ato ? e non ho preso l'aspettativa dal mio lavoro. Sono il presidente Ato che percepisce stipendio più basso e ritengo che il lavoro svolto sia importante per la tutela e gli interessi dei cittadini. L'impegno è notevole se si considera che il Consorzio comprende 67 comuni". L'Ato ha un consiglio d'amministrazione composto da 11 membri e ad ogni seduta (una al mese) ai consigliere va un gettone di 59 euro". Cosa succede nei Comuni dell'entroterra? Cartoceto: il sindaco Ivaldo Verdini lamenta il fatto di non percepire uno stipendio adeguato agli impegni: "Prendo 1.850 euro netti, ma sono impegnato mattina, pomeriggio, sera e tante volte anche dopo cena per via di consigli ed incontri. Il problema non è il costo della politica, ma l'eccesso di dipendenti e di burocrazia degli enti pubblici che complica la vita alle imprese e alle famiglie". Da Cartoceto a Pergola, cosa cambia? Per il sindaco Giordano Borri le spese dell'Amministrazione sono davvero ridotte all'osso. "SE TUTTI i Comuni fossero Pergola la politica italiana navigherebbe in acque migliori. Il mio stipendio netto è di circa 1.400 euro poiché sono un pensionato e quindi non sono in aspettativa. I miei 5 assessori prendono 450-470 euro. In totale sindaco ed assessori costano 77.000 euro rispetto ai 97.000 euro di due anni fa. Senza contare che il primo cittadino non ha un auto di servizio e gli spostamenti sono a suo carico. Nel bilancio di quest'anno sono, però, previsti 2.000 euro di rimborso spese per lo spostamento degli assessori, mentre il costo dei cellulari è a carico dei singoli. Per quanto riguarda i consiglieri un piccolissimo rimborso spese. Direi che meno di così, rimane solo il puro volontariato". ATTENTO agli sprechi, si dice anche il Comune di Mondolfo che, da quando è sindaco Pietro Cavallo, ha eliminato un assessore ed il presidente del consiglio. Il primo cittadino percepisce al netto 2.114,43 euro ed è in aspettativa (è farmacista) dal maggio scorso, anno in cui è stato eletto. Il vice Francesco Moschini, pensionato, percepisce uno stipendio pari al 55%di quello del sindaco e cioè 1.320,69 euro. Per quanto riguarda gli altri 5 assessori, chi non è in aspettativa percepisce 548,68 euro, mentre chi è in aspettativa ha uno stipendio di 1089,65 euro. Per quanto riguarda il gettone di presenza dei consiglieri di Mondolfo 17 euro circa a seduta (una al mese). Per gli spostamenti, se la missione dura più di 4 ore, il Comune garantisce il rimborso per il pranzo, mentre per quanto riguarda le telefonate tutti gli assessori hanno in dotazione un cellulare per le chiamate di lavoro a carico del Comune ad eccezione dell'assessore alla Cultura Laura Servadio che sembra non l'abbia voluto. "A GRAVARE poco sulle Amministrazioni ? secondo il vice presidente Alvise Carloni ? è anche l'Unione Val Cesano: il direttivo dell'Unione, nata dall'aggregazione di Mondolfo, Monte Porzio e San Costanzo e Mondavio, è composto dal sindaco di San Costanzo, tre assessori e 26 consiglieri. Lo scopo dell'Unione è quello di gestire alcuni servizi dei quattro Comuni: illuminazione pubblica, trasporto pubblico, sezione appalti e contratti ed i servizi sociali. La prospettiva è quella di arrivare, con gli anni, alla fusione dei 4 Comuni per ridurre maggiormente le spese. Giuliano Lucarini, come presidente dell'Unione e come sindaco di San Costanzo, percepisce 1.800 euro circa dei quali il 50% provengono dal Comune e 50% dall'Unione che si finanzia con i trasferimenti dei Comuni che la compongono e con i pochi contributi della Regione. Gli assessori percepiscono 510 euro. Non abbiamo macchine di rappresentanza: il presidente-sindaco si sposta a spese proprie. Se i viaggi sono molto lunghi, è previsto un piccolo rimborso spese. I locali utilizzati sono messi a disposizione da Mondolfo". Carloni, infine, lamenta la scarsità di finanziamenti regionali a favore delle Unioni: "Finanziamenti che la Regione ha preferito dirottare sulle Comunità montane". E A PROPOSITO delle Comunità Montane Gino Traversini, presidente di quella del Catria e Nerone fa sapere di non essere in aspettativa e di percepire uno stipendio di 850 euro mensili, il 15% del quale va al partito. "La comunità montana ? sottolinea Traversini ? è formata da 6 assessori che se sono lavoratori autonomi percepiscono circa 800 euro netti. Noi abbiamo già ridotto l'indennità rispetto al minimo per legge. Per quanto riguarda gli spostamenti non ho mai chiesto rimborsi spese se non per i viaggi ad Ancona e solo il presidente ha un telefonino pagato. La Comunità del Catria e del Nerone offre ottimi servizi ai Comuni che ne fanno parte come la linea Adsl con la quale, ad esempio, riescono a scaricare direttamente da casa, senza doversi spostare fino a Pesaro, la moduslistica, per pagare le tasse. Tra le nostre competenze ci sono la gestione del patrimonio demaniale, dei rifiuti tramite Natura e i servizi associati". "Ritengo che le Comunità montane ? conclude Traversini ? siano uno strumento necessario ai Comuni, che non si sovrappone alle loro competenze, anche se ritengo eccessiva la presenza di sei Comunità nella nostra provincia". Per quanto riguarda Fano, il sindaco Stefano Aguzzi ha reso pubblica la sua busta paga: 2525,15 euro netti al mese. Si aggira, invece, intorno ai 1.600 euro lo stipendio degli assessori. Compensi tagliati, dall'attuale finanziaria, per i consiglieri di circoscrizione i quali svolgono il loro compito senza costare nulla. "DIREI che all'Amministrazione ? dichiara Giovanni Esposto capogruppo FI della I° Circoscrizione ? non costiamo davvero nulla. Non percepiamo, infatti, per il nostro incarico alcun tipo di stipendio o di rimborso spese. I costi per i trasporti e per le telefonate sono interamente a nostro carico. Durante la scorsa finanziaria percepivamo 20 euro ogni riunione, mentre adesso neppure quello. Per noi è una completa rimessa". LO STIPENDIO lo prendono, invece, i presidenti di Aset spa e Aset Holding. Si dice stanco delle continue polemiche il presidente di Aset spa Giovanni Mattioli il quale invita "a guardare gli sprechi della politica dai vertici e non dal basso". "Bisogna smetterla di tirare sempre in ballo Aset quando si parla dei costi della politica e bisogna anche finirla di parlare di aumento delle tariffe. Noi non rubiamo niente. Io percepisco l'80 per cento dello stipendio annuale del sindaco, quindi più o meno 35.000 euro. Sentiamo prima qual è lo stipendio del presidente della Provincia o della Regione: quelli sono i veri costi della politica". "SONO PRESIDENTE di Aset Holding ? ricorda Domenico Antonucci ? dal 4 maggio, quindi la paga per questa mensilità non l'ho presa per intero. Il presidente Aset Holding percepisce 1.700 euro mensili, io ne ho percepite questo mese 1594. Il cda è formato da altri tre membri. Il vicepresidente percepisce 800 euro. Non abbiamo tredicesima, non abbiamo rimborsi né telefonate pagate. Tutto è a nostro carico". Non percepiscono stipendi, né gettoni di presenza o rimborsi i volontari delle Pro loco. "Il direttivo della Pro Loco di San Costanzo ? diceFrancesco Fragomeno ? è formato da 19 membri, di cui 3 revisori dei conti. Al Comune non costiamo nulla, siamo tutti volontari. Per quanto riguarda spostamenti e spese per le telefonate, questi sono a carico delle Pro Loco. L'unico servizio che abbiamo è l'uso gratuito dei locali". Enrica Papetti - -->.


Corriere della Sera 6-6-2007 Costi della politica, tagli ai giornali di partito. Il ddl di riordino della materia dovrebbe essere pronto entro giugno. Mario Sensini

 

Oggi lo stato finanzia l'editoria per circa 600 milioni di euro. Ci sarà distinzione tra fogli politici veri e fasulli, tra chi vende e chi no

 

 

ROMA- Non ci saranno sconti neanche per il futuro Partito Democratico. I soldi andranno all'uno o all'altro, non a tutti e due i quotidiani di Ds e Margherita. A meno che non facciano una bella fusione. «Il governo ce l'ha già detto: quando arriverà il nuovo partito non potrà continuare a dare contributi pubblici a tutti e due. A Europa che è espressione della Margherita, e a noi che siamo organo dei gruppi parlamentari dei Ds» racconta Giorgio Poidomani, amministratore delegato della società editrice dell'Unità. Che comunque, fatta salva quella prospettiva sicuramente problematica, è assolutamente ben disposto ad accogliere il riordino delle provvidenze pubbliche a favore dell'editoria annunciato ieri dal governo. «È ora che i finanziamenti vadano ai giornali veri, espressione di partiti veri, che vendono copie vere. O alle vere cooperative di giornalisti» dice Poidomani.

DDL ENTRO GIUGNO - Il riordino, al quale lavora da un anno il sottosegretario alla Presidenza, Ricardo Levi, entrerà nel pacchetto di misure per l'abbattimento dei costi della politica ( le novità previste) che il ministro dell'Attuazione del programma, Giulio Santagata, ha confermato per fine giugno. Farà compagnia ai nuovi criteri per la definizione delle province, delle comunità montane, delle circoscrizioni, a quelli per snellire i consigli regionali, comunali e provinciali, per ridurre i benefit e le indennità. E forse anche ministri e sottosegretari, perché Santagata ammette che con 26 dei primi e 104 dei secondi, anche il governo di cui fa parte «ha esagerato. Sui costi della politica bisogna dare un segnale urgente, perché il rischio del distacco dei cittadini è grande e sotto gli occhi di tutti».

RIFORMA ORGANICA - Anche di chi si chiede come mai Torino Cronaca prenda dallo Stato quasi 3 milioni di euro in quanto espressione di un movimento politico, come il Foglio e il Riformista, ma anche come il Roma di Napoli, il Denaro, Metropoli Day, e Libero. Di chi si domanda se sia giusto che anche il mensile con i programmi che Sky invia ai suoi abbonati, in quanto prodotto editoriale, riceva le agevolazioni previste sulle tariffe postali (25 milioni di euro l'anno). O semplicemente come mai i contributi pubblici siano esplosi in 20 anni: da 28 milioni di euro del 1980 agli oltre 600 di oggi. Via alla riforma, dunque. «Che sarà organica, e riguarderà tutti gli aspetti dell'industria editoriale: il prodotto, il mercato, le imprese, e ovviamente gli aiuti» spiega Levi.

Si stabilirà con precisione cosa è un prodotto editoriale, perché è dubbio che lo siano, come sono oggi considerati, e quindi agevolati, i cosiddetti «collaterali», dai dvd agli aerei da montare. I contributi alle cooperative resteranno, ma a quelle vere, composte dai giornalisti e dai dipendenti. Mettendo fine al caos generato dalla sanatoria del 2001, quando si decise che per continuare ad avere contributi i giornali espressione dei «movimenti politici» (bastavano due parlamentari) dovevano essere trasformati in cooperative anche spurie, cioè con soci azionisti e non lavoratori. Resteranno, ovviamente, i contributi ai quotidiani politici, tutelati in nome della libertà d'espressione dalla Costituzione. «Ma, anche qui, dobbiamo chiarire cosa si debba intendere per un organo legato ad un gruppo politico» spiega Levi. Soprattutto, poi, ci saranno parametri industriali per calcolare l'entità delle sovvenzioni. «Che saranno legate - aggiunge il sottosegretario - al numero effettivo di copie stampate e realmente diffuse, ma anche all'occupazione effettiva».

LA FINANZA AL LAVORO - Oggi il criterio per stabilire il "quantum" del contributo è facilissimo da aggirare. Basta stampare migliaia di copie e magari lasciarle in un deposito. Oppure regalarle. O venderle in blocchi ad aziende come le Fs, Alitalia, ospedali, catene alberghiere, che poi li distribuiscono gratuitamente ai loro clienti, a prezzi irrisori. «Criteri non sempre trasparenti» ammette Santagata. Tanto che due mesi fa il governo ha chiesto alla Guardia di Finanza, di distaccare un nucleo di ispettori al Dipartimento dell'Editoria, per evitare possibili truffe. Paolo Franchi, direttore de Il Riformista, organo del movimento Ragioni del Socialismo, concorda. «Dal mio punto di vista è giusto mettere ordine con regole chiare e trasparenti. Purché ci si renda conto che la tutela di una voce piccola, ma di peso, non è lo stesso problema dell'auto blu usata dal nipote dell'assessore» dice Franchi. «Da questa riforma noi abbiamo tutto da guadagnare» concorda Stefano Menichini, direttore di Europa. «Lo scenario - aggiunge - è ignobile: i soldi li prendono tutti, giornali veri e falsi, chi vende e chi non s'è mai visto in edicola, chi è espressione di veri partiti e chi lo è di sole due persone». «Però dobbiamo parlare anche della grande stampa. Il grosso delle agevolazioni - dice Poidomani - va lì. Mi chiedo se anche questo è giusto».

06 giugno 2007

 

 

 

 


La Repubblica 4-6-2007 I COSTI DELLA POLITICA Premi natalità e contratti d'oro così si spende in Lombardia E in comuni e province dilagano le consulenze Ai consiglieri regionali incentivo del 2% ogni milione di abitanti ETTORE LIVINI

 

MILANO - Ci sono i superstipendi "a incentivo demografico" del Pirellone, rimpolpati da rimborsi chilometrici arrotondati (crepi l'avarizia) alla ventina superiore. Ci sono le teche d'oro per gli orologi della Provincia di Milano e gli hovercraft comprati (e mai usati) da Palazzo Marino. Ci sono i super-contratti garantiti in Comune dal sindaco-manager (Letizia Moratti) ai compagni di cordata trombati alle elezioni. Hai voglia a essere padano, a essere cresciuto nella cultura dell'efficienza, magari lanciando anatemi contro "Roma Ladrona". Davanti alle tentazioni della politica, tutto il mondo è paese. E anche i Lumbard, alla fine si adeguano. A risparmiare qualcosa, a dire il vero, ci provano: la Regione dà lavoro a 3.729 persone (di cui 297 dirigenti), il 6,7% in meno dal 2002 e il rapporto abitanti per dipendente (2.518) è il migliore d'Italia. Così come il costo del personale del Comune di Milano (598 milioni nel 2005) è calato dell'1,5% dal picco del 2003. Per il resto però la politica lombarda è uno specchio fedele di quella del resto del Paese. Con gli stessi privilegi, gli stessi sprechi e le consulenze a pioggia che uniscono l'Italia più della nazionale di calcio. Il costo del politico. L'Oscar del privilegio va di diritto agli 80 consiglieri del Pirellone. Lo stipendio (circa 10mila euro netti al mese tra indennità e diaria) è solo una voce. Pari comunque al 100% della busta paga di un parlamentare per il Governatore e al 75% per i presidenti di Commissione (sono "solo" 7, molte meno delle 21 cui è arrivata la Campania). Tanto? Forse, ma non per i diretti interessati che nell'estate 2002 si sono regalati il "premio natalità": uno scatto del 2% dello stipendio per ogni milione di abitanti della Lombardia oltre il primo. Tradotto in cifre (i 9 milioni di lombardi) un aumento secco del 16%. Siamo però solo all'inizio. La vita del Consigliere è dura. Qualcuno ad esempio viene da fuori Milano. Poco male. Ha diritto al rimborso per il viaggio: 0,35 euro a km. per un massimo di 240 chilometri al dì a seconda del luogo di partenza (arrotondati ai 20 chilometri superiori, ad abundantiam) per un massimo di 18 giorni al mese. Poi ci sono le trasferte istituzionali e le missioni. Certo da un po' di tempo a questa parte si sono rarefatti i periodici viaggi (rigorosamente maschili, pare) a San Pietroburgo, assistiti da una diaria da 464 euro al giorno. Ma le relazioni internazionali e con Roma sono lo stesso frequenti. Prendiamo il Governatore Roberto Formigoni, che per gli spostamenti in auto, stando alle delibere, viaggia su una Bmw blindata (presa usata) in leasing per 272mila euro in due anni. Nel 2005 ha fatto 21 missioni a Roma (per 41 giorni), un viaggio in Usa (7 giorni) e una a Bruxelles (in giornata) per cui si è visto rimborsare spese per 25mila euro (513 al giorno). Il suo ufficio di presidenza ha speso per colazioni di lavoro, rappresentanza e omaggi istituzionali 73mila euro (292 euro a giorno feriale) oltre ad altri 19mila per ospitalità riunioni e 13mila in corone e necrologi. La vita da Consigliere, insomma, sarà stressante ma ha i suoi privilegi. E anche la vecchiaia, per gradire, non è un problema: dopo cinque anni di legislatura (anche meno se integra i contributi) si ha diritto a un vitalizio pari al 20% dell'indennità di funzione (1.500 euro circa al mese) dopo i 60 anni. Dopo 12 anni di lavoro in Regione l'assegno sale oltre i 2.800 euro. I costi della politica. Il problema numero uno in Lombardia su questo fronte, secondo il procuratore della Corte dei conti Domenico Spadaro, è l'area grigia delle consulenze. Gli enti locali hanno conferito nel 2004 (ultimo dato disponibile) 45mila incarichi per 185 milioni, il 21% del totale nazionale. Un mare magnum senza controlli. Anzi: in molti casi i revisori di nomina pubblica hanno "applaudito" iniziative rivelatesi poi "dannosissime per l'erario" (parole di Spadaro). Ci sono le consulenze milionarie delle Asl, i 7 milioni pagati nel 2006 dalla Provincia rossa di Filippo Penati, i 50 milioni di collaborazioni esterne di Palazzo Marino nel 2007. L'indotto della politica ha però confini più larghi dei palazzi. Prendiamo le nomine negli enti e nelle fondazioni, strumento di gestione del consenso spesso lautamente retribuito. La regione Lombardia "sintetizza" le sue in un tomo di 322 pagine. Le partecipazioni autostradali (Asam e Serravalle) di Penati sono al centro di una bufera per le "pressioni politiche" sulla gestione. Ma le polemiche più feroci sono quelle che hanno travolto il sindaco di Milano Letizia Moratti. In nome dell'efficienza ha impostato una riorganizzazione del Comune che ha portato da 13 a 22 le direzioni centrali (moltiplicando stipendi e poltrone) e ha deliberato l'assunzione di 51 dirigenti esterni pagati 9 milioni annui. Tutte iniziative finite sotto la lente di Procura e Corte di Conti. Il problema non è solo la quantità, ma anche la qualità dei nuovi manager. Per tre di loro lo stipendio comunale ? da 203 ai 217mila euro l'anno ? è stato lo zuccherino che ha reso meno amara la bocciatura elettorale. Luca Concone ? 41enne ingegnere "che associa l'orientamento ai risultati con la profondità di pensiero strategico", recita il suo curriculum ? è stato assunto a 244mila euro l'anno per l'area pianificazione. Dimessosi dopo otto mesi è stato riciclato dalla Sea, quegli aeroporti di Milano dove lo spoil system interno al centrodestra ha portato a liquidare l'ex numero uno dell'era Albertini, Giuseppe Bencini, con una maxi-buonuscita (pare 1,3 milioni). Dietro super-stipendi e consulenze d'oro c'è poi la lunga teoria dei piccoli sprechi quotidiani. La casistica, volendo, sarebbe lunga. Ci sono due hovercraft voluti dalla giunta Albertini per la Polizia (la sicurezza dei milanesi non ha prezzo), usati per un'esibizione e poi dimenticati. Ci sono 10 teche per proteggere gli orologi antichi della Provincia costate 20mila euro. Ci sono gli assessori del Comune che appena insediati, hanno ordinato costose ristrutturazioni dei loro uffici e bagni. O i 10mila euro stanziati (come preventivo, va detto) dalla Provincia per una missione per due persone di una settimana a Cuba. Quattromila euro per il viaggio e 6.000 per "spese minute". C'è persino la storia a lieto fine: quella dei milioni stanziati per acquistare trattorini incaricati di aspirare le feci dei cani milanesi. La giunta Albertini ne ha provato uno. Funzionava male e non poteva operare sui marciapiedi. La commessa è stata bloccata e il metabolismo dei quattrozampe meneghini è stato affidato al buon senso e alle palette dei milanesi. La zavorra della macchina. Patologie straordinarie e privilegi a parte, il vero "costo" della politica locale lombarda è quello dell'inefficienza. Il Comune di Milano, ad esempio, assorbe il 29% del budget (450 euro di spesa a cittadino) solo per funzionare. Meno del 43% di Napoli ma se Palazzo Marino scendesse al livello di Torino (21,9%) libererebbe 120 milioni per investimenti utili alla collettività. Altro spreco, perlomeno di tempo, è l'inattendibile e corposo bilancio preventivo. Per il 2005 a Milano prevedeva 3,7 miliardi di investimenti e 2,2 di dismissioni. Il bilancio reale, alle due voci, segna oggi 618 milioni di investimenti e 117 di cessioni. Si possono tagliare queste spese? Può darsi, ma per ora gli enti locali lombardi, invece che dimagrire, ingrassano. La neonata Provincia di Monza e Brianza ha già provato a stendere un primo bilancio teorico: ci sono 124 milioni di entrate previste (tasse già esistenti) e 91 milioni di spese (nuove di pacca). Oltre 65 milioni per il personale e la funzionalità interna, solo 25 per investimenti sul territorio. Il classico doppione mangia-soldi. Forse, alla fine, la soluzione è fare come la Provincia di Varese. In bilancio tra le entrate, ha 7mila euro alla voce Casinò di Campione. Magari è un affitto. Ma in fondo una puntata al tappeto verde, viste le resistenze dei palazzi, è forse la soluzione più razionale per far quadrare i conti (e i costi) della politica.


 

La Stampa 4-6-2007 I COSTI DELLA POLITICA IERI L'ATTACCO DELLA MARGHERITA SUGLI SPRECHI DI CHI GESTISCE I QUARTIERI Per le Circoscrizioni è l'ora dei tagli EMANUELA MINUCCI

 

"Sono d'accordo con il "compagno" Laus. D'altronde la prima idea di ridurre le circoscrizioni da 10 a 5 fu mia. Ne avevamo già discusso nella scorsa legislatura: sarebbe un modo per dare più potere e aumentare l'efficienza di questi enti. Fosse per me potrei arrivare a soluzioni più radicali, modello Barcellona, ma il percorso sarebbe lungo". Il sindaco Chiamparino, nonostante ieri i presidenti delle sue circoscrizioni abbiano masticato parecchio amaro leggendo che cosa pensa il leader dei Dl cittadini Laus sull'amministrazione delle medesime (troppi sprechi) gli dà ragione su un fatto: dieci quartieri sono troppi, la politica del decentramento va rivoluzionata. Lo dice al termine di un pomeriggio scandito da una levata di scudi, sottoscritta anche da parecchi rappresentanti della sua maggioranza. Una su tutti, Paola Bragantini, segreteria provinciale dei Ds, che avvisa: "La questione dei costi della politica non è una specie di patata bollente che gli enti si possono passare l'un l'altro, cercando di lasciarla nelle mani del più debole". Mentre Chieppa del Pdci aggiunge: "Mauro Laus ha compiuto un errore clamoroso. Le circoscrizioni rappresentano il livello istituzionale più a contatto dei cittadini e dovrebbero assumere sempre più competenze". Più sfumata la posizione di un comunicato congiunto, sottoscritto da Rifondazione, Sinistra democratica, Pdci, Rnp, Verdi: "Convochiamo al più presto un vertice di maggioranza sul decentramento". Una cosa è certa: il sasso scagliato nello stagno dei costi della politica, partendo "dall'esercito di stipendi delle circoscrizioni" per mano di Laus (condivisa dal consigliere comunale Salvatore Gandolfo) ha scatenato una specie di tsunami. E la forza che accompagna la polemica è inversamente proporzionale alla grandezza dell'ente che colpisce: lo stagno, appunto delle circoscrizioni, mica il mare magnum dei Consigli regionali e comunali. Piccolo bersaglio (anche se i 10 quartieri, insieme, amministrano ben 12 milioni di euro l'anno) che scatena le reazioni indignate dei loro presidenti al capitolo "guadagni&sprechi ". Il primo a sfogarsi sul tema è il "presidente dei presidenti" Michele Paolino, responsabile della circoscrizione 3 (Margherita anche lui, oltretutto): "Non è vero che portiamo a casa 5000 euro lordi, ma 3300 e di quei 3300 ce ne restano in tasca, a noi presidenti, al massimo 2474 di cui paghiamo altre tasse - si sfoga Paolino -, un consigliere invece al top dei gettoni arriva a guadagnare 1100 euro lordi, e le assicuro, ne restano al massimo 600 netti. Basta scorrere la legge per scoprire queste cifre. E poi va aggiunto che non abbiamo nemmeno una possibilità di fare una nota spese: se io le offro un caffè, insomma, devo farlo di tasca mia, come anche nel caso in cui voglia comprarmi dei quotidiani per sapere che cosa accade nel mio quartiere". Se invece si vuol parlare di inutilità dell'ente allora Paolino (come molti dei suoi colleghi: ieri siamo riusciti a sentirne 7 su 10) si scalda ancora di più: "Siamo la realtà più vicina alla gente, da quando c'è stato lo scandalo geometri va detto che noi ci occupiamo della manutenzione ordinaria e non abbiamo mai abbastanza fondi per riuscirci". Anche An, alla voce guadagni, ha qualcosa da ridire: "Ho cominciato a fare il consigliere di circoscrizione da pensionato delle Poste - spiega Antonio Pasquarella consigliere della circoscrizione 5 - la mia aliquota fiscale è aumentata e, colpo di scena, il partito mi ha chiesto anche il 50% dei gettoni da me percepiti. Dopo aver pagato il partito, le tasse, il commercialista, la benzina, il telefonino, i volantini e i manifesti, forse e dico forse, mi restano in tasca solo 50 euro al mese...".


 

Il Giornale 4-6-2007 Di Pierangelo Maurizio - Tagliare i costi della politica: una parola. Chi glielo dice per esempio al consigliere abruzzese Vito Domenici? Al parlamentino regionale ha fondato il Gruppo Misto. Da solo. È capogruppo di se stesso. Ben altri cinque partiti hanno un solo consigliere-capogruppo: l'Unione, Comunisti italiani, Verdi, Udc, Dc e Italia dei valori.

 

Tutti one-man-show: si riuniscono, discutono, propongono, dissentono. In perfetta solitudine. È ininfluente il fatto che, oltre agli 8mila euro lordi al mese come consiglieri, ne intascano altri 2mila per questa funzione. E in più: ognuno ha un ufficio, i finanziamenti previsti per i gruppi, personale di segreteria. Così, dopo l'Umbria, anche in Abruzzo si fa strada l'idea di dare una sforbiciata a questa manna, via referendum. "L'ufficio legale della Regione ha dato parere favorevole" dice Pio Ravagnà, ex parlamentare (eletto nel '92 nelle Liste Pannella) e portavoce del comitato promotore: "Ora si devono attendere i tempi dell'Ufficio di presidenza del consiglio regionale: perché a norma di statuto sono i consiglieri regionali a decidere sull'ammissibilità della consultazione sui loro privilegi". L'inizio della raccolta di firme è previsto a metà giugno. Il fatto è che se a livello nazionale si predica bene (con piano di governo per ridurre i costi di Comuni, Province, Regioni e studi per abolire le Comunità montane), a livello locale si razzola meno bene. In Umbria il presidente ds, Maria Rita Lorenzetti, ha fatto slittare tre volte in due anni la data del referendum. E in Abruzzo il governatore Ottaviano Del Turco, appena passato al Partito democratico? "Non ha detto una sola parola" affonda Ravagnà. Che aggiunge: "Per tagliare i privilegi dei consiglieri regionali, di referendum ce ne vorrebbero 12. Tanti quanti le voci che compongono gli emolumenti". Intanto si comincia con tre. Tre quesiti referendari. Il primo chiede di abolire l'articolo relativo alle cosiddette "indennità aggiuntive". Dai 3mila euro "aggiuntivi" al mese per i presidenti di giunta, consiglio, commissioni. Ai 2mila dei capigruppo (più rimborsi spese, diaria, gettoni di presenza eccetera). Il secondo quesito cancella il vitalizio - le pensioni dei consiglieri: da 3.500 euro al mese con un mandato, fino a 6mila per più mandati - e gli assegni di reversibilità per vedove e orfani. Il terzo quesito è il più dirompente. Vuole azzerare gli "organi di vertice degli enti strumentali". Vale a dire le nomine politiche dei consigli d'amministrazione negli enti per la portualità, consorzi di bonifica, agenzie per la cultura o la sanità, l'ambiente, l'acqua, i rifiuti. Sono 3mila persone che in Abruzzo vivono di politica. "Al di là degli annunci roboanti - commenta Pio Ravagnà - i politici cercano in tutti i modi di ignorare il referendum". C'è da stupirsi?


 

La Repubblica 4-6-2007 LINEA DI CONFINE MARIO PIRANI

 

Al momento in cui scrivo (ore 16 dell'1 giugno) le risposte positive al cosiddetto "decalogo per il Palazzo" lanciato da Repubblica (24/5), assommavano a 150.197, un livello tra i più considerevoli per questo tipo di iniziative su web. Ringrazio di cuore tutti i lettori che hanno compreso il senso di quella che ha voluto essere una provocazione positiva nei confronti dei dirigenti di centro sinistra. Analogo valore ha la verifica successiva sul candidato preferito per la guida del futuro partito unificato che vede di gran lunga in testa Walter Veltroni (col 47% delle preferenze) seguito a molta distanza da Anna Finocchiaro col 10% e dagli altri papabili con percentuali ad una sola cifra. Non si tratta, è vero, di sondaggi, elaborati in base a tecniche demografiche, sociologiche e di campionatura precise, così da riflettere con un alto grado di approssimazione, le scelte dell'assieme dei cittadini, ma di un termometro per saggiare il grado di reattività politica di quanti si riconoscono nel profilo del nostro giornale. Il fatto che in così gran numero abbiano voluto far sentire la propria volontà in ambedue i test assume, peraltro, un valore tutt'altro che trascurabile per percepire in presa diretta l'orientamento di una aliquota molto corposa di uno strato qualificato di cittadini - in grande maggioranza di centro sinistra - rappresentata dai lettori di Repubblica. Per questo il fatto che i maggiorenti della nomenklatura, in primo luogo i cosiddetti 45 saggi del costituendo partito democratico, mostrino di non tenere in alcun conto le propensioni espresse da un'avanguardia significativa del loro elettorato, comprova l'involuzione autoreferenziale di un gruppo dirigente refrattario a una seria analisi critica del proprio operato. Un gruppo, dunque, assai restìo ad affidare al vento della democrazia la spinta propulsiva per far decollare con forza il partito democratico. Di qui il rifiuto delle primarie, in cui i leader dovrebbero gareggiare, confrontarsi e trarre dal voto diretto di tutti gli aderenti la legittimazione a guidare il partito. Premessa ad un'altra tornata di primarie in cui siano gli elettori di centro sinistra a scegliere il candidato premier. Il successo del Decalogo, peraltro, induce a qualche altra riflessione. In primo luogo vorrei dire che quello che è stato definito semplicisticamente lo tsunami dei "costi della politica" genera alcuni dubbi. Da un lato, più che propiziare la riforma indispensabile della politica, può alimentare con nuovi flussi il bacino già esteso dell'anti politica. Dall'altro si presta fin troppo ad innescare dibattiti ripetitivi, anche se speziati da ripetuti talk show e accompagnati da finte indignazioni ed ipocriti buoni propositi. Alla fine tutto potrebbe concludersi con qualche taglio di auto blu e una modesta limitazione di remunerazioni di vertice. Bisognerebbe, per contro, tenere ben fermo che il problema dei costi e dei privilegi esiste, ma, soprattutto, che la dilapidazione va misurata dal rapporto squilibrato fra i costi della politica e la sua inefficienza (se volessimo usare un linguaggio economico dovremmo parlare di caduta verticale di produttività). E', quindi, la struttura del potere che va riformata se vogliamo rimettere in riga l'efficienza del sistema e la sua efficacia. Per questo al centro del "decalogo" sono stati inseriti una serie di quesiti che sottolineavano l'abnorme crescita delle cariche elettive stipendiate, del numero di ministri, consiglieri regionali, provinciali, comunali, ecc., l'occupazione partitica di gran parte della pubblica amministrazione o, quantomeno, la necessità di "targarsi" politicamente per ogni dirigente, la creazione di migliaia di enti inutili su scala regionale e locale, veri e propri uffici di collocamento politico a spese dei contribuenti. I lettori, chiamati a scegliere tre questioni su dieci hanno per il 23% votato per una riduzione drastica dei privilegi dei parlamentari, per il 20% per la riduzione di un terzo dei consiglieri regionali e locali, per il 15% per un cambio radicale della squadra di governo e il taglio dei suoi membri da 104 a 60. Al quarto posto, col 12% dei voti, si piazza l'abolizione dei finanziamenti diretti ai consiglieri regionali, la censita e il taglio degli enti inutili. Dalla qualità delle preferenze adottate si intuisce una scelta consapevole per colpire sia i privilegi e gli sprechi, quanto le inefficienze strutturali. Resta il quesito se i registi del partito democratico lo capiranno o continueranno a discettare se ci vuole un segretario, un coordinatore o un semplice portavoce, agitandosi vanamente come mosche chiuse in una bottiglia.


 

Il Messaggero veneto 4-6-2007 Udine Come abolire i privilegi della classe politica DIBATTITO di CLAUDIO CALLIGARIS e GUERRINO CECOTTI

 

Sul tema dei costi e dei privilegi della politica, e più in generale sulla questione morale, abbiamo già scritto in passato. In questi anni la situazione è certamente e ulteriormente peggiorata a tutti i livelli e forse anche i risultati delle recenti amministrative trovano una parziale spiegazione in questo argomento. Perciò, a nostro avviso, non è più il tempo delle denunce, bensì di cercare di avanzare proposte credibili per riuscire a dare un contributo a quella parte della politica che può essere riformata. L'aspetto positivo di questa situazione è che sempre più spesso i cittadini, alle volte anche in maniera confusa e su questioni localistiche, si auto-organizzano autonomamente non avendo più fiducia nelle istituzioni e nella politica. Gruppi che andrebbero, per quanto possibile, "recuperati" alla politica con la p maiuscola. Sicuramente la crisi della politica non è determinata solamente e unicamente dai suoi costi e dai privilegi che produce. Pesa senz'altro la caduta di ideologie e valori forti, anche contrapposti. Ma sicuramente, anche rimanendo al solo fronte privilegi-costi della politica, molto si può e si deve fare da subito. Questo è un compito che da subito le forze di sinistra debbono assumersi in prima persona. La destra, infatti, può pensare di ben vivere e svilupparsi in un contesto di "antipolitica", in cui regnino il qualunquismo e la diffidenza verso i meccanismi democratici di partecipazione e decisione. La sinistra in un clima di questo tipo, invece, è destinata alla sconfitta, soffre la disillusione dei suoi militanti ed elettori che vogliono contare, poter dire la loro e soprattutto essere ascoltati. Deludere ancora le attese degli elettori di sinistra, accrescere le distanze tra i palazzi e i cittadini, non è difficile da ipotizzare, porterebbe a una sicura sconfitta elettorale del governo di centro-sinistra. È giunto il tempo di lanciare proposte concrete: abolizione di tutti i privilegi degli eletti in materia pensionistica, riduzione di stipendi e indennità, trasparenza nei contributi e nei finanziamenti di partiti e testate giornalistiche di partito, riduzioni delle consulenze a titolo oneroso, retroattività di queste disposizioni, abolizione delle Province, accorpamenti dei Comuni, gratuità della carica di consigliere di circoscrizione, eccetera. In questo senso un primo passo è stato fatto dalla proposta di legge presentata dai parlamentari Salvi e Spini. Naturalmente neppure questi provvedimenti possono essere risolutivi se non accompagnati da un radicale cambiamento del modo di fare politica che privilegi i contenuti e la partecipazione e che sappia respingere i richiami dei poteri forti e delle varie lobby che perseguono interessi personali o di parte. Riuscirà la sinistra del terzo millennio a proporre un orizzonte credibile per lo sviluppo del nostro paese nel rispetto dell'ambiente e dei diritti di tutti i cittadini? Dipenderà dalla passione politica che sapremo mettere in campo, dalla capacità d'incontrarci, discutere, confrontarci. Questione morale, temi del lavoro e dell'ambiente, del sapere e della ricerca, assieme alla riduzione dei costi della politica, possono essere un buon inizio per ridare cuore, ragione, passione e autorevolezza alla politica. Una nuova e rinnovata sinistra in campo che non urla le sue verità, che non può né oggi né domani essere avversaria del Partito democratico ma suo leale alleato, con idee e programmi di rinnovamento di stampo europeo.


 

Il Centro 4-6-2007 Avezzano Zulli: politica? Costi stratosferici La proposta: riduciamo il numero di assessori e consiglieri

 

CHIETI. I costi della politica a Chieti? Stratosferici. E' il giudizio espresso da Giustino Zulli (nella foto) che propone una cura per evitare che "processi involutivi abbiano la meglio" in città. Nel 2006, il Comune ha speso circa un milione di euro per far funzionare la macchina amministrativa. "La democrazia ha un suo costo di cui tutti i cittadini dovrebbero tener conto", dice l'ex segretario generale della Cgil teatina, "ma se si fa il rapporto costi-benefici, a Chieti non è alto ma stratosferico". Cosa fare per cambiare le cose? "Prima di tutto", sostiene Zulli, "bisognerebbe ridurre gli assessorati: nella precedente gestione delle destre erano otto. Per ora siamo arrivati a 11 e sembra che, per qualcuno, non bastino. Inoltre, bisognerà ridurre, a partire dalla prossima legislatura, il numero dei consiglieri comunali a 30 e le indennità per tutte le cariche come hanno già fatto molte amministrazioni". Per Zulli, la riduzione dei costi della politica è possibile, basta solo volerlo. "La riduzione del numero dei consiglieri e assessori", riprende, "dovrebbe essere bilanciata dalla costituzione dei consigli di quartiere da prevedere senza indennità. Un altro problema ruguarda i doppi incarichi: se uno è contemporaneamente sindaco e consigliere provinciale, senatore o deputato e consigliere comunale, segretaria regionale di partito e consigliere regionale, vice sindaco e componente degli organismi dirigenti di partito, potrebbe non trovare il tempo necessario per onorare al meglio tutte le responsabilità".

 

Il Mattino di Padova 3-6-2007 L'ITALIA E I COSTI DELLA POLITICA Ma il cittadino è complice della Casta

 

Va a ruba il libro di Stella e Rizzo su privilegi e sprechi dei politici. Senza esami di coscienza Un elenco impietoso di esempi aberranti fa emergere l'assenza del rispetto per la cosa pubblica. Il senso dello Stato? Non esiste Si intitola La casta, ed è giusto che sia così. Ma a leggerlo bene il libro di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, che la Rizzoli è stata costretta a ristampare più volte in meno di un mese per il grande successo di vendite, non parla solo della politica e dei politici, non è solo un atto d'accusa contro privilegi e monopolio delle poltrone, è anche una denuncia forte della totale mancanza di senso dello Stato che permea l'intera società, classe dirigente in testa. In questo senso il libro è anche un Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'italiani, per dirla con Leopardi, e si inserisce in un filone di denuncia che ha avuto anche nel novecento, da Salvemini a Ernesto Rossi, una tradizione nobile, ma purtroppo minoritaria, forse perché la moralità ad occhi italiani si trasforma subito in moralismo, con uno slittamento di significato che tende a disinnescare ogni tipo di indignazione. Stella e Rizzo peraltro non teorizzano, semplicemente constatano, denunciano, elencano, sottolineano situazioni che evidenziano forse una situazione più grave di quella, per esempio, descritta da D'Alema: il rischio non è la disaffezione verso la politica è la disaffezione verso lo Stato, ammesso che affezione in Italia ci sia mai stata. Perché è questo il problema, anche. I politici sono i primi a non considerare pubblica la cosa pubblica, ma i cittadini li seguono a ruota e qualche volta li ispirano. Prendiamo il caso di Taranto, cui Stella e Rizzo dedicano pagine vibranti. Il fallimento del Comune è certo responsabilità dei sindaci, degli assessori ma - si chiedono i due autori - possibile che i cittadini non si accorgessero di niente? Mentre la barca affondava non erano pochi funzionari comunali che intascavano denaro fingendo straordinari, inventandosi lavori a progetto, probabilmente senza neppure pensare di commettere reati. Tanto qualcuno paga, dovevano dirsi tra loro, qualcuno pagherà, lo Stato con la S maiuscola, una entità di un altro pianeta. Salvo poi risvegliarsi, i tarantini, e scoprire che quei soldi dovevano tirarli fuori loro, perché lo Stato erano anche loro, anche se non sapevano e forse non lo sanno. Ma gli esempi sono infiniti nel libro. Prendiamo Sant'Agata di Militello, noto perché paese di Pippo Baudo e il limitrofo Militello Rosmarino. Lì, da decenni, c'è addirittura Lo Re. Il gioco di parole è facile, ma in qualche modo utile. Da generazioni la famiglia Lo Re si passa la carica di sindaco, tendenzialmente in linea maschile, ma se è strettamente necessario per motivi burocratici anche femminile. E la gente che fa? Elegge e riceve. E' un paese, per esempio, in cui ci sono 180 assegni di accompagnamento, 500 pensioni di invalidità. Insomma il rapporto è veramente quello tra regnanti benevoli e sudditi devoti, che magari brontolano un po', ma sanno capire cosa loro conviene. Ed è proprio su questa falsa convenienza del cittadino-suddito, in fondo, che la Casta politica vive, cresce, si sviluppa. Nel libro è riportato un illuminante aneddoto di Ennio Flaiano, che invitato a cena al Quirinale da Einaudi, al momento della frutta sente il Presidente dire: "questa pera è troppo grande per me, chi ne vuole metà?". Flaiano è l'unico a vincere l'imbarazzo e accettare la divisione della pera col Presidente della Repubblica. Il racconto ha due lati. Il primo esalta la sobrietà di Einaudi, il rispetto per la cosa pubblica, anche quando è solo una pera. Ma è curioso anche l'imbarazzo collettivo, il disagio dei camerieri, perché la divisione di qualcosa da parte del potente sembra non volerla nessuno. E' come se, da sudditi, i cittadini italiani si aspettassero dal potere un minimo di arroganza, di privilegio: se no che potere è? Ecco allora che basta diventare onorevoli per sentirsi nel giusto se si ha qualcosa in più. E' come se facesse parte di un gioco cui gli italiani si sono da secoli, forse, abituati. Tanto non paga nessuno, perché lo Stato non sono i cittadini, è una strana entità, mai compresa. Viene da chiedersi per esempio, se Berlusconi come capo di una aziende avrebbe consentito di spendere per sè e per i suoi ministri cifre iperboliche in viaggi aerei: "Come diavolo ha fatto Palazzo Chigi, nell'ultimo anno dell'era berlusconiana - si chiedono Stella e Rizzo - a spendere 179.452 euro al giorno in voli di Stato?". Già, come ha fatto, ma soprattutto è preoccupante sapere che non è questione di Berlusconi, che anche Pecoraro Scanio, se deve andare ad una conferenza in Africa, prende l'aereo di Stato con assoluta noncuranza, mentre la Regina Elisabetta, se c'è la possibilità, usa l'aereo di linea senza troppi imbarazzi. L'idea che i soldi dello Stato sono in realtà soldi nostri non attraversa i governanti, ma - si ha la sensazione - neppure i governati. Come non accorgersi, per esempio, che moltiplicare le province significa moltiplicare le spese? Il Governatore della Sardegna, Soru, ha avuto un bel dire che tre nuove province erano un dispendio inutile per l'isola. Gli amministratori locali hanno innalzato la bandiera della Provincia e hanno vinto le elezioni, perché tutti pensano ai soldi che vengono con la Provincia, non a quelli che vanno, perché tanto quelli che vanno li spende lo Stato. E, di nuovo, solo Soru, in Sardegna è riuscito a chiudere 17 improbabili comunità montane, sottolineando lo sperpero: ma quanto pagherà sul piano elettorale questi interventi? Perché, intanto, in altre regioni si creano comunità montane ad altitudini medie di 30 metri sul mare. Ed i cittadini le vogliono, i politici locali le vogliono, la Regione dice di sì, tutti sono contenti e quando si parla di sprechi si intendono sempre quelli degli altri. I cittadini campani neppure si rendono conto che le loro tante Comunità montane le paga sì lo Stato, ma coi loro soldi, anzi che costano ad ognuno di loro, ogni anno, qualcosa come 38 euro. In Sicilia la Regione assume migliaia di dipendenti, li vizia e li coccola coi soldi pubblici. In Lombardia coi soldi fioriscono invece i consulenti. Come sottolineano Rizzo e Stella sono due modi diversi di fare la stessa cosa: accontentare i propri bacini elettorali. Insomma la Casta esiste, la casta dei politici che cresce su se stessa, che perde progressivamente il senso del bene pubblico, scambiandolo col proprio bene privato. Ma accanto ci sono i cittadini-sudditi, un po' vittime e un po' complici, capaci di rialzare la testa per un attimo, come è successo negli anni ottanta, ma pronti anche a dimenticare. In fondo chi non ha promesso di tagliare le auto blu? Tutti i governi l'hanno promesso, anzi, di più, tutti i governi lo hanno fatto. Peccato solo che le auto blu di governo che le tagliava in governo che le tagliava, siano misteriosamente aumentate, puntando sul fatto che tanto poi ci si dimentica.

 


Trentino 2-6-2007 Prandi sui costi della politica "Diecimila euro di spese telefoniche è una vergogna"

                                                            

ARCO. Spese telefoniche e di rappresentanza, rimborsi e contributi concessi dai componenti della Giunta comunale. Sergio Prandi, con l'appoggio dei colleghi della minoranza di sinistra, ha chiesto un resoconto dettagliato al sindaco. Veronesi gli risponde, seccato, che la trasparenza dell'amministrazione comunale non è solo "decantata", come dice Prandi, ma anche praticata, tant'è che ogni informazione richiesta è contenuta in delibere e determine (accessibili a tutti sul sito internet del Comune) o negli atti consultabili dai consiglieri presso la Ragioneria municipale. Alla fine però Veronesi fornisce la documentazione e Prandi ne ricava ciò che voleva per affermare: "I costi della politica sono al centro del dibattito a tutti i livelli istituzionali ed è sicuramente la principale causa della disaffezione dei cittadini. Per questo ho presentato una interpellanza (lo farà ogni anno) per conoscere l'ammontare delle spese aggiuntive (oltre le indennità, che costano circa 280 mila euro) sostenute da ogni assessore. La risposta è quantomai interessante". Prandi snocciola un po' di dati: "rimborso spese di viaggio più significative: vicesindaco JÖrg 2120 euro dal marzo 2006 all'aprile 2007 (ci sono le macchine del Comune ferme); rimborsi per assenze dal lavoro per assessori e consiglieri: giugno 2005-aprile 2007 Fabrizio Miori 12.750 euro, Ricki Zampiccoli 2.350; spese telefoniche maggio 2005-agosto 2006 (data in cui si sono dotati di cellulare personale con costi a carico dei cittadini; prima nessun rimborso se non al sindaco): sindaco 4000 euro (qui può starci), assessori oltre 10.000 (questa è una vergogna); spese varie di rappresentanza 7.100 euro". Prandi infine registra i contributi concessi nell'ultimo anno a manifestazioni e iniziative: sport-turismo-ambiente 300 mila euro, sociale 54 mila, cultura 180 mila.

 


Il Piccolo di Trieste 2-6-2007 Monfalcone La Cdl all'attacco: controllare che non ci siano incompatibilità

 

REAZIONI Opposizione all'attacco non solo sulle questione consulenze ma anche sul raddoppio del teto massimo di reddito per i "comunali" che attuino consulenze. La Cdl, dopo aver denunciato il ricoso del Comune a un eccessivo numero di consulenze ben retribuite, rincara la dose di fronte "a questo nuovo spreco". "Il fatto che un dipendente pubblico, al di fuori dell'orario di lavoro, possa anche fare consulenze esterne è una pratica ormai consolidata nell'amministrazione pubblica - spiega Federico Razzini della Lega Nord -. A patto, però, che ciò avvenga come attività secondaria e al di fuori dell'orario di lavoro, perché la prima preoccupazione di un dipendente è quella di eseguire bene il proprio compito. E già qui è lecito nutrire dei dubbi. Quello che preoccupa di più è il doppio incarico interno. Un dipendente che ha certe competenze dovrebbe trovare il modo di impiegarle nell'orario di lavoro o, se non è possibile, con gli straordinari, senza ricorrere alla doppia paga - spiega Razzini - perché altrimenti si parla tanto di ridurre i costi della politica e ci si trova davanti a queste situazioni. Il mansionario non è tutto". Più severo Giuseppe Nicoli, segretario di Forza Italia, che già in passato si era scagliato contro le consulenze esterne introdotte dall'amministrazione. "Giustamente, i cittadini chiedono di ridurre i costi della politica e un maggiore rendimento della macchina comunale - spiega -. Ma il problema è che, se da un lato si grida alla riduzione, dall'altro ci si trova con il fenomeno sempre crescente delle consulenze. È ovvio che, nella macchina comunale, possono mancare delle professionalità, e si possa quindi ricorrere a esperti esterni perché è certamente meno oneroso che assumere una persona appositamente. Il problema però è che spesso, nel Comune di Monfalcone, si sono affidate consulenze francamente inutili, nelle cose più disparate, e di conseguenza si è andati incontro a degli sprechi. Il mio invito è quindi a sottoscrivere delle consulenze solo se è veramente necessario, e non altrimenti. E ciò dovrebbe anche valere per i dipendenti comunali. È difficile ritenere che un dipendente possa svolgere bene il lavoro per cui è pagato se, alla fine dell'anno, incassa 25mila euro in consulenze esterne". Il regolamento comunale, comunque, prevede regole precise per gli incarichi esterni dei suoi dipendenti.

 


Il Corriere Veneto 1-6-2007  I costi della politica, Venezia al quinto posto in Italia per le spese dei parlamentini. Mognato: " Ragioniamo sulle competenze " Amministratori, un esercito da 3 milioni l'anno Il governo taglia gli enti locali. " Pura demagogia, gli sprechi sono altri "

 

VENEZIA - Argomento: i costi della politica. Commento di chi la pratica a livello locale: va bene tagliare, ma bisogna tagliare tutti ( sottotesto: meglio se iniziamo dagli altri). Ieri a Roma alla Conferenza unificata delle regioni, dell'Anci e dell'Unione delle province è stato presentato il piano del ministro degli Affari regionali Linda Lanzillotta. Che, tra le altre cose, propone la riduzione del 25 per cento dei consigli regionali, provinciali e comunali, e l'abolizione di ogni forma di compenso dei consigli di municipalità per le città al di sotto dei 500mila abitanti ( Venezia per l'appunto). Regole che, secondo il ministro, dovrebbero sia ridurre le spese e sia, di riflesso, concorrere ad abbattere quel mostro evocato da Montezemolo chiamato antipolitica. A Venezia per il 2007 le spese previste del Consiglio comunale e dalla Giunta sono di 1.701.000 euro, quelle della municipalità 1.093.542. Quasi tre milioni se si aggiungono i rimborsi ai datori di lavoro. Forse un po' troppi, dicono in molti a Ca' Farsetti. In effetti Venezia, per le spese dei 198 consiglieri dei parlamentini, è al quinto posto in Italia ( anno 2005) davanti a città come Bologna, Brescia e Catania. Mica poca cosa. I consiglieri ribattono: si cominci dal Parlamento, non è tagliando queste piccole cifre che si risolve il problema dei costi della politica. Il nervo scoperto più doloroso toccato da Linda Lanzillotta è forse quello delle municipalità. " Togl iere i gettoni ai consiglieri mi sembra un'assoluta follia " dice Massimo Venturini, presidente Dl di Mestre Carpenedo che in gran parte non condivide la proposta del " suo " ministro. " In questo modo - prosegue - chiudiamo baracca e burattini. Il volontariato chi lo fa? Ragazzi e pensionati. Eppoi non sono questi i soldi che vanno ad incidere sulla questione. Sa quanto prende un consigliere? Attorno ai 1500 euro lordi all'anno. Sulla riduzione dei consiglieri comunali invece sono d'accordo anche se credo che sarebbe necessario più che altro mettere un tetto ai consigli " . La riforma generale degli enti locali però non va incentrata esclusivamente sulla questione economica. Sottolinea tre volte la parola " competenze " il segretario provinciale dei Ds Michele Mognato. " Il piano della Lanzillotta è giusto, un segnale va sicuramente dato in questa direzione ma accanto al discorso sui costi della politica e sulla riduzione delle spese va fatto un ragionamento complessivo sulle funzioni e sulle competenze dei vari organismi. Per evitare - prosegue - che, come accade ora, municipalità e Comune finiscano per pestarsi i piedi " . Ma il piano del ministro è utile nella battaglia contro l'antipolitica? " Il vero punto - taglia corto Mognato - è che il cittadino vuole risposte dal politico, se non si è in grado di dargliele si può tagliare fin che si vuole ma l'opinione non cambierà " . Vista dall'opposizione la scure del governo sugli enti locali non può che avere giudizi a tinte fosche. Le proposte però non mancano. " Invece di tagliare le municipalità o ridurre i consiglieri comunali - dice il presidente del Consiglio Renato Boraso ( Fi) - facciamo una cosa ben più concreta: eliminiamo totalmente l'istituzione della Provincia. Non servono a nulla e costano un sacco di soldi. Le oltre cento province in Italia costano come una Finanziaria, altro che gettoni " . Per commentare la questione, Alberto Mazzonetto ( Lega) scomoda addirittura la massima carica dello Stato: " Il Presidente della Repubblica costa quattro volte Buckingham Palace e il ministro per tagliare che fa? Toglie i compensi alle municipalità. Pura demagogia " . Massimiliano Cortivo Il presidente del Consiglio: " Togliamo le Province " Renato Boraso Michele Mognato.


- La Repubblica  1-6-2007 Interrogazioni contro Iorio, governatore del Molise. (g. cap.).

 

Ds: in Molise il governatore aiuta i parenti

ISERNIA - Per il governatore del Molise, Michele Iorio, la famiglia viene prima di tutto. Lo denunciano le opposizioni in consiglio regionale, indicando incarichi e presunti benefit ottenuti da fratelli, sorelle, figli e nipoti. La "parentopoli" molisana è contenuta in una serie di interrogazioni del capogruppo dei Ds Michele Petraroia. E si svolge quasi tutta ad Isernia. Si parte da uno dei rampolli di casa Iorio, Raffaele, che in città ha aperto qualche settimana fa un centro privato di riabilitazione, proprio mentre la Regione, attraverso l'azienda sanitaria, decideva di chiudere il reparto di ortopedia dell'ospedale e trasferirlo alla vicina Venafro. Di figli, il governatore ne ha tre. Anche Luca e Davide hanno trovato, durante il governo paterno, ottimi impieghi. Il primo, è stato assunto all'ospedale, come chirurgo, entrando a far parte dello staff del discusso medico Cristiano Huscher, al centro di diverse vicende giudiziarie e fortemente voluto ad Isernia, proprio dall'azienda sanitaria regionale. Davide invece lavora nel privato. E' in forza a finanziaria svizzera. Coincidenza vuole che questa società abbia gestito la cartolarizzazione dei debiti della Regione, relativi proprio al buco sanitario. Ha poi motivo di ringraziare il governatore anche la sorella Rosetta. Nelle recentissime elezioni amministrative è risultata la più votata dei cinquecento candidati al consiglio comunale, pur essendo alla sua prima esperienza politica. Ora la attende un incarico di vicesindaco o un posto di riguardo nella giunta. Rosetta Iorio è stata anche nominata direttore del distretto sanitario della stessa città. Suo marito, Sergio Tartaglione, invece, è primario all'ospedale civile, sempre qui. Nello stesso ospedale lavora anche il fratello del governatore, Nicola Iorio, neo primario del nuovissimo reparto di neurofisiopatologia, al centro di polemiche perché poco frequentato, visto la specificità della patologia. (g. cap.).

 


 

L’Unità 1-6-2007 Gli impuniti Marco Travaglio

 

A furia di parlare degli scandalosi costi della politica, si trascura l'aspetto forse più odioso della Casta degl'Intoccabili: il ritorno surrettizio dell'immunità parlamentare, abrogata nel '93 in un sussulto di dignità dal Parlamento degl'inquisiti. Caduta per le indagini, l'autorizzazione a procedere restò per arresti, intercettazioni e perquisizioni, che però può essere negata solo quand'è provato il "fumus persecutionis". Cioè in casi eccezionalissimi. Restò anche l'insindacabilità per le opinioni espresse e i voti dati "nell'esercizio delle funzioni parlamentari", molto ampliata nel 2003 con la legge Boato-Schifani: si stabilì pure che i giudici non possano, senza il permesso delle Camere, usare le intercettazioni quando un indagato intercettato parla con un parlamentare. Per usarle, a carico del cittadino comune come del parlamentare, occorre il permesso del Parlamento. Che lo nega sistematicamente. Così Montecitorio e Palazzo Madama son tornati a essere quello che erano prima di Tangentopoli: come le chiese e i conventi del Medioevo. Chi entra lì dentro, può aver fatto o fare quel che gli pare. Previti, interdetto in perpetuo dai pubblici uffici il 4 maggio 2006, è ancora deputato a nostre spese: l'altro giorno la giunta ha votato per cacciarlo, ma l'iter è ancora lungo e non si vede francamente perché, visto che la decisione l'ha già presa la Cassazione, inappellabile e immediatamente esecutiva. In 61 anni di storia repubblicana si son potuti arrestare solo 4 deputati su 61 candidati alle manette: 2 richieste accolte per l'ex partigiano comunista Franco Moranino, condannato per 5 omicidi; una per il fascista Massimo Abbatangelo, coinvolto in storie di armi; una per il missino Sandro Saccucci, omicidio e cospirazione. Nel primo anno della legislatura, tre richieste di arresto: tutte respinte coi voti determinanti di parte dell'Unione oltre a quelli, scontati, della Cdl. La prima riguardava Vittorio Adolfo (Udc), indagato per turbativa d'asta, corruzione e truffa aggravata. Respinta. La seconda era per l'ex governatore pugliese Raffaele Fitto (FI), proposto per gli arresti domiciliari per aver ricevuto 500 mila euro dalla famiglia Angelucci in cambio ­ secondo l'accusa ­ dell'appalto da 198 milioni per 11 residenze sanitarie assistite. Respinta con applausi bipartisan e abbracci festosi per l'onorevole miracolato. La terza investiva il forzista Giorgio Simeoni, ex vicepresidente della giunta Storace, eletto deputato, coinvolto nello scandalo della sanità del Lazio e accusato da "Lady Asl" (arrestata in quanto non parlamentare: non ancora). Secondo l'accusa, Simeoni "usava il suo ruolo per appropriarsi di denaro pubblico in modo reiterato" e "inquinava le prove". Nella giunta per le autorizzazioni a procedere l'Unione aveva annunciato il sì all'arresto, ma all'ultimo momento ha cambiato idea e ha votato no. Solo Vacca (Pdci), Palomba (Idv) e Samperi (Ulivo) han votato a favore. Arresto negato, Simeoni salvato. Poi c'è l'abuso di insindacabilità. L'onorevole o il senatore diffamano o calunniano un privato cittadino; questo querela o chiede i danni; il Parlamento annulla il processo perché il suo membro agiva "nell'esercizio delle sue funzioni". Qui, per fortuna, i giudici possono ricorrere alla Consulta, che sempre più spesso cancella il voto parlamentare, stabilisce che le Camere hanno abusato del proprio potere e sblocca il processo. È accaduto per Previti che aveva diffamato l'Ariosto, per Iannuzzi e Sgarbi specializzati nel diffamare i pm di Milano e Palermo, per Bondi che se l'era presa con due ginecologi favorevoli alla fecondazione assistita, per la Maiolo che aveva insultato il giudice Almerighi, per Bossi che voleva "pulirsi il culo col Tricolore", per Boato che aveva lanciato accuse al gip Salvini. La Camera aveva salvato persino il ds Rocco Loreto, imputato non per le sue parole, ma per calunnia e violenza privata, cioè per aver convinto un imprenditore a calunniare un giudice. Nelle ultime settimane il Parlamento ha negato ­ sempre coi voti della Cdl e di un bel pezzo di Unione ­ l'ok alle intercettazioni nei processi a carico di Altero Matteoli di An (imputato di favoreggiamento) e Michele Ranieli dell'Udc (concussione). E tra poco si vota sulle telefonate dei furbetti del quartierino e su quelle del duo Guzzanti-Scaramella. Gentilissimi politici preoccupati per la crisi della politica, ci fate sapere qualcosa? Uliwood party.

 


 

L’Unità 1-6-2007 Cuffaro: i miei 11.700 euro al mese non si tagliano Costi della politica, l'Unione attacca. E Il governatore siciliano: 500 euro di multa agli assenteisti

 

Palermo Costi della politica, il dibattito investe anche la Sicilia. Il giorno dopo l'ennesimo rinvio dell'assemblea regionale per assenteismo, i Ds aprono la polemica: il capogruppo all'Ars Antonello Cracolici, presenta un disegno di legge contro gli sprechi, la leader dell'Unione, Rita Borsellino, propone che ogni sei mesi il consiglio regionale presenti un rendiconto ai cittadini sul lavoro d'aula e il contenimento dele spese. Ma il governatore Totò Cuffaro dice, intanto: "Non voglio essere ipocrita. Guadagno 150 mila euro all'anno che è un quinto di quanto guadagna l'onorevole Michele Santoro. E io ho qualche spesuccia in più di lui, se non altro per tutti i regali di cresima e matrimonio a cui vengo invitato". Il suo stipendio non si tocca: "Avendo scelto di non rubare non mi scandalizza la mia busta paga", osserva. Ed elenca: "Prendo al mese 8.500 euro, più l'indennità da presidente della regione, altri 3.200 euro al mese. Il totale è di tutto rispetto: 11.700 euro. Però "cominciare a discutere di tagli ai compensi è solo ipocrisia. Non capisco il presidente della Camera, Fausto Bertinotti che dice che deve tagliare lo stipendio ai parlamentari del 50%. Avremmo un Parlamento di imprenditori che non hanno problemi di soldi nel mantenere la segreteria e la famiglia. Non è che un parlamentare regionale debba guadagnare quanto un dipendente pubblico". Giù le zampe dagli emolumenti. Meglio contingentare i tempi di intervento in aula dei deputati e multare di 500 euro gli assenteisti. Il centrodestra - c'è da sorprendersi? - è tutto d'accordo con il governatore della Sicilia. Da An, con il presidente della commissione affari costituzionali all'Ars Nicola Cristaldi, arriva il richiamo sulla "lentezza esasperante di trovare soluzioni ai problemi dei cittadini" e l'invito a maggioranza e opposizione di trovare soluzioni per rivedere la legge elettorale per i Comuni e le province, ma anche il sistema che incide sui costi in maniera spropositata. Forza Italia, dice il capogruppo all'Ars Francesco Cascio è d'accordo con le multe e propone di pubblicare ogni giorno i nomi dei deputati assenti in aula e in commissione. Un'idea che "farà un po' di rumore ma non risolve il problema", ribatte Tonino Russo, segretario dei Ds siciliani: "L'improduttività dell'Ars, infatti, dipende dall'assoluta mancanza di proposte del governo e dalla continua litigiosità della maggioranza, che non riesce a mettersi d'accordo e paralizza il parlamento. Se si aggiunge l'inadeguatezza del presidente Miccichè, ne viene fuori un cocktail micidiale per la Sicilia".


 

Il Giorno 1-6-2007 I tagli uguali per tutti non ci stanno bene. Massima inefficienza a Roma Formigoni difende i costi della politica lombarda di ROSSELLA MINOTTI

 

? MILANO ? "CHE SIA CHIARO, i luoghi della massima inefficienza in Italia sono lo Stato e il Parlamento". Attacca invece di difendersi, il presidente della regione Lombardia Roberto Formigoni, dopo le recenti polemiche sui costi della politica. E contrattacca coi numeri per sottrarsi a quella che definisce "una scorciatoia fuorviante", quella dei "tagli per tutti". Perché si dovrebbe tagliare una regione che, dati alla mano, ha il più basso numero di consiglieri per abitanti? NON SOLO. Il governatore descrive i molti virtuosismi della sua gestione: dipendenti ridotti da 4.109 a 3.000, dirigenti da 660 a 250, aziende sanitarie da 85 a 44. In realtà, controbatte il consigliere di opposizione Luciano Muhlbauer (Prc), "questi lavoratori mancanti continuano a essere pagati dal contribuente lombardo. Infatti si tratta di centinaia di lavoratori dei centri di formazione professionale passati dalla Regione alle Province, di un altro nutrito gruppo trasferito dal Pirellone all'Arpa, e di molti precari dipendenti di varie cooperative che lavorano direttamente per l'amministrazione regionale". In sostanza, per l'opposizione si tratterebbe di esternalizzazioni e trasferimenti. D'accordo anche la Margherita, mentre Ds e Verdi puntano il dito contro la spesa per la comunicazione che, denunciano, ammonta a 15 milioni di euro l'anno. MA SONO anche altri i numeri che fanno paura. Quelli dati dall'assessore alle Finanze Romano Colozzi: "Ogni giorno per i ritardi nel trasferimento dei soldi dal Governo centrale alla sanità lombarda paghiamo 220mila euro di interessi. In una settimana vengono divorate risorse pari al costo di un anno di tutte le auto di servizio della Regione e in soli due giorni quelle pari al costo di tutte le spese di rappresentanza di un anno". Quindi urge il federalismo fiscale, ma su questo ormai sono tutti d'accordo in Lombardia. Ma intanto, niente tagli per tutti. ANCHE PERCHÉ secondo Formigoni la Lombardia si conferma "regione virtuosa anche dal punto di vista della trasparenza. Siamo stati i primi a iscriverci al sistema Siope, che rende i bilanci leggibili da tutti". E poi, ribadisce, i costi della politica "vanno analizzati anche in base al rapporto costi-benefici per il cittadino". E in effetti i 40 euro per abitante, ossia il costo del funzionamento dell'intero ente Regione, non sono molti se raffrontati alla media di 80 delle altre regioni. Lunedì il presidente della Regione incontrerà a Roma il presidente del Messico Felipe Calderon in visita in Italia. "Tra i temi che affronteremo - ha preannunciato Formigoni - la candidatura di Milano per l'Expo 2015 (il Messico è infatti uno dei 98 Paesi Membri del Bie - Bureau International des Espositions chiamati a decidere sulla sede); l'organizzazione della terza Conferenza Nazionale sull'America Latina che si svolgerà a Roma dal 14 al 18 ottobre e la proposta di una nuova Intesa tra Regione Lombardia e Stato di Nuevo León per l'avvio di collaborazioni in campo economico e formativo".


 

L’Unità 1-6-2007 I costi della politica? Noi abbiamo fatto così Gian Mario Spacca (Presidente della Giunta regionale Marche.)

 

Il tema della riduzione dei costi della politica è da giorni al centro del dibattito ed accoglie autorevoli interventi. Martedì, su queste stesse pagine, il presidente Errani ha lanciato la proposta di un "patto tra le Regioni" per offrire soluzioni positive ad un tema che chiama in causa l'intero sistema politico. Accolgo questa sollecitazione e propongo di avviare un processo che coinvolga le autonomie locali. D'altro canto le Regioni sono state chiamate in causa dallo stesso ministro Lanzillotta che ha invitato i Presidenti a ridurre del 10% le spese della pubblica amministrazione, agendo su indennità dei consiglieri, società partecipate e struttura organizzativa. Intendo testimoniare l'esperienza della Regione Marche che ha avviato un'azione di riforma del sistema politico e amministrativo con risultati che vanno esattamente nella direzione auspicata dal Governo. Nel periodo 2004/2006 la spesa pro-capite per il funzionamento della macchina amministrativa è scesa dai 105 ai 95 euro per ogni cittadino marchigiano. Nella sua relazione annuale la Corte dei Conti ha sottolineato come le Marche siano tra le Regioni che destinano alle spese istituzionali la minore quota di bilancio. È il risultato di una azione di semplificazione della struttura organizzativa, con un risparmio di 10 milioni di euro; della riduzione di due terzi dei posti nei Consigli di Amministrazione delle agenzie regionali, del numero degli enti strumentali. Nello stesso periodo le spese delle consulenze sono passate da oltre 3 milioni a 531 mila euro, le indennità dei Consiglieri regionali, Assessori, Presidente, dirigenti della sanità si sono ridotte del 10%. Insieme a queste misure di risparmio è cresciuta la capacità di attrarre risorse europee e la lotta all'evasione ha aumentato il gettito della fiscalità regionale. Questo ci ha permesso di aumentare le disponibilità di bilancio da dedicare allo sviluppo, alla sicurezza, alla protezione sociale ed al territorio. Alcuni dati sono significativi: nel periodo preso a riferimento, le risorse che la Regione ogni anno destina a ciascun cittadino, sono passate da 1.795 a 1.980 euro per la sicurezza e la protezione sociale, da 75 a 138 euro per lo sviluppo, da 181 a 223 euro per le infrastrutture territoriali e difesa dell'ambiente. Naturalmente si può fare di più e meglio. Ma per aumentare l'efficienza del sistema occorre anche la disponibilità del Governo. Un esempio concreto: quest'anno la Regione Marche ha pagato 32 milioni di interessi passivi per il mancato trasferimento, da parte dello Stato, di oltre 834 milioni di euro, di cui 504 derivanti dalle tasse addizionali regionali (Irap e Irpef). Una situazione paradossale, che drena risorse altrimenti utilizzabili e che finiscono per incrementare i costi impropri. Quindi, se è necessario tagliare, occorre anche aumentare le sincronie del sistema. Anche se appare lontana una soluzione per il federalismo fiscale, le Regioni devono poter contare su un rapporto più corresponsabile con lo Stato, dato che il sistema delle Regioni e delle Autonomie locali gestisce circa il 60% del totale della spesa per gli investimenti pubblici. Un dato che deve far riflettere, per evitare che il tema "dei costi della politica" assuma aspetti soltanto emotivi che non contribuiscono a migliorare l'organizzazione e l'efficienza del sistema. Ridurre i costi ed aumentare l'efficienza sono condizioni essenziali ma ancora non sufficienti. Serve anche qualcos'altro alla politica per recuperare la distanza dai cittadini. Occorre un colpo d'ali perché la sfida a cui la politica è chiamata è anche quella di sapersi riscoprire agenzia di senso e di orientamento. Si sente il bisogno di una politica che sappia progettare e farsi carico di quel governo della complessità che la società richiede. E qui si consuma il paradosso di un sistema politico che appare incapace di rispondere alle nuove sfide e che si allontana sempre più dalla società, proprio mentre quest'ultima si avvicina sempre più alla politica. Infatti, i cittadini non chiedono "meno politica", ma più politica. Una politica attenta, però, ai bisogni concreti, capace di garantire opportunità e diritti, efficiente ed efficace sia nel disegnare perimetri che nell'indicare direzioni. Chi si auspica e predica di poter fare a meno della politica fa male i suoi conti. Semmai si sente il bisogno di un "nuovo inizio", dove il senso del "progetto" sia nel comune sentire di valori condivisi e di una civile appartenenza. Se questo è ciò che ci viene richiesto, se fare politica deve essere inteso come un viaggiare insieme nella stessa direzione, occorre che sul grande autobus che accompagna la comunità verso il futuro ci sia anche scritto: "Per favore, parlate al guidatore". Allora fare politica può anche non essere difficile, se si ha la mente libera dai condizionamenti del consenso a ogni costo e dalla disperata ricerca delle rendite di posizione. Niente è più facile che perdere tutto per voler testardamente conservare ciò che si possiede e che non serve più.


 


- La Stampa 28-5-2007  Montagna, oh cara... E ora arrivano i tagli

 

INCHIESTA SUI COSTI DELLA POLITICA

Lo scandalo delle comunità al livello del mare convince tutti a cambiare. Sono troppi i 355 centri di potere locale, costano 72 milioni l 'anno

PAOLO BARONI

IL caso di Palagiano e della Murgia Tarantina, la comunità montana pugliese che sta praticamente al livello del mare e conta cinque Comuni «non montani» su nove e ha dato il «là» al pamphlet di Sergio Rizzo e Gianantonio Stella sugli sprechi della politica, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. La riconferma che non si può più andare avanti così: troppe le 335 comunità montane, troppi enti inutili, troppe poltrone e troppe spese a fronte di pochi (per non dire nulli) vantaggi per i cittadini. Da tempo sotto osservazione, attaccate e criticate da ogni parte come summa massima dello spreco e della mala-amministrazione all’italiana, per le Comunità montane è arrivata l’ora della verità. «Che sia scoppiato questo “scandalo” forse è un bene - ammette il presidente dell’Uncem, l’Unione delle comunità montane,il Dl Enrico Borghi - perché ci consente di uscire dal cono d’ombra e affrontare la questione. Ma attenti a scadere nel giacobinismo, a cercare capri espiatori. I costi della politica sono oggettivamente esorbitanti, sono convinto che vadano ridotti. Ma non in questo modo».
Magari avrà il sapore del pentimento tardivo, ma comunque sia l’Uncem ha deciso di mettere nero su bianco un severo piano di tagli. Borghi ovviamente nega («sono ormai anni che proponiamo una riorganizzazione: posso produrre i documenti» spiega), fatto sta che chiamati a consulto dal governo, i vertici delle Comunità montane hanno elaborato alcune proposte per ridurre la loro fetta di costi della politica. Sono due le ipotesi che sono già state anticipate al ministro Giulio Santagata, che guida il gruppo di lavoro di Palazzo Chigi, e che verranno ufficializzate giovedì prossimo al tavolo convocato dal ministro per gli Affari regionali Linda Lanzillotta.
Una prima soluzione prevede tout-court la riduzione di due terzi dei componenti degli organi delle Comunità montane (che scenderebbero da 12.800 a 4.300 consiglieri) con una spesa che si ridurrebbe dagli attuali 72 milioni di euro a 24, semplicemente portando da 3 ad uno solo il numero dei rappresentanti designati da ogni singolo Comune e prevedendo che il presidente venga eletto dall’assemblea nell’ambito dei suoi componenti, mentre l’organo esecutivo (la giunta) dovrebbe venire nominato dal presidente nell’ambito dei componenti l’assemblea nella misura massima di un terzo arrotondato all’unità superiore.
La seconda ipotesi, più soft, prevede invece un taglio del 50%, da 12.800 a circa 7.500 consiglieri (e da 72 a 35 milioni di euro di spese) prevedendo consigli costituiti esclusivamente da amministratori dei Comuni membri composti da 30 consiglieri, più il presidente, per le comunità montane con popolazione montana superiore a 30 mila abitanti; 20 consiglieri, più il presidente, per le comunità montane con popolazione montana superiore a 10 mila abitanti e 12 consiglieri, più il presidente, per le comunità più piccole. E introducendo per tutti i divieto tassativo di cumulare le indennità. Borghi è convinto che questa, per quanto dolorosa, sia una strada percorribile. Però ci tiene anche a precisare che «le comunità montane pesano appena il 5% del costo della politica locale italiana: ovvero 72 milioni di euro a fronte dei 702 dei Comuni e dei 115 delle Province. Dati che poi non comprendono le municipalizzate, su cui si potrebbe discutere a lungo...». E quindi il loro non può certamente essere «un sacrificio» isolato.

«Il nostro progetto - prosegue il presidente dell’Uncem - punta a definire una nuova normativa nazionale per il settore che produca una revisione complessiva del concetto di “montanità”. Vogliamo creare degli enti leggeri, con funzioni certe legate al territorio in maniera tale da fare da supporto soprattutto ai Comuni più piccoli, evitando assolutamente di istituire una quarto livello di governo che si aggiunge a Comuni, Province e Regioni». Oltre che quello dei consiglieri e degli assessori si cercherà anche di ridurre il numero delle comunità montane, introducendo soglie minime di abitanti e spingendo per far aggregare le realtà più piccole. Esempi? «La montagna del Piemonte non è la montagna della Campania e non è quella della Puglia – sostiene Borghi -: in Piemonte ci sono 48 comunità montane e io sostengo che sono troppe. Ne bastano 25, mentre in Puglia anziché 6 ce ne dovrebbero essere due».

E ovviamente si punterà a cancellare quelle «false», come quella di Palagiano, rimediando ad una vera e propria «distorsione dell’applicazione del Titolo V della Costituzione per cui ogni Regione, in assenza di una normativa statale adeguata, fino ad ora ha fatto come meglio credeva». Missione impossibile? «Assolutamente no - risponde il presidente dell’Uncem -. Basta distinguere tra montagna geografica e montagna legale. La prima copre il 33% del territorio, la seconda il 54% e già in questo modo si potrebbe arrivare a sfoltirne molte. Ma per favore nessuno parli più di superare le comunità; a noi per funzionare basta una buona riforma».

 

 


L’Unità 26-5-2007  Io, la casta e il Pd Gianni Cuperlo

 

Segue dalla Prima E non senza ragione. Ora, la campagna sui costi della politica, su privilegi e vantaggi troppe volte ingiustificati, non è nuova. Diciamo che si presenta con frequenza periodica anche se l'intensità è variabile. Pure i ruoli tendono a riproporsi. Ci sono quelli che denunciano insipienza e corrutela del ceto politico. E poi gli analisti che di quell'insofferenza cercano la causa scatenante. Non sono tipi da sorprendersi se l'Italia, e il suo sistema politico e la sua classe dirigente, sono la roba che sono. Lo sanno da sempre. A loro preme spiegare perché proprio adesso la gente reagisce. Cos'è che fa traboccare il vaso e che espone la democrazia a rischi seri. La politica, da parte sua, gioca di rimessa. Attende che la burrasca si plachi. O si dissocia (la politica che protesta contro se stessa sfiora vette di surrealismo). Quel che non si coglie, almeno a parer mio, è il groviglio di effetti e cause coi quali siamo chiamati a misurarci. Li riassumo così. Siamo un paese che declina la politica "a tema". Ora è il turno della nuova questione morale e del pericolo di un collasso democratico. Ieri era la volta del ricambio generazionale e di una società bloccata. Domani potrebbe tornare in auge il rinnovamento dei partiti e la voglia di partecipare. In parallelo, ma separata, avanza la riflessione sui nuovi modelli di governo (da Zapatero e Sarkozy passando per l'epilogo di Blair). Mentre sullo sfondo c'è sempre qualcuno a ricordare le incertezze della politica quando vi sia da maneggiare patate bollentissime (si tratti di pensioni, sicurezza o diritti di cittadinanza). La difficoltà è farsi carico dell'insieme. Cioè capire che ciascuno di questi nodi, preso a sé, non ha soluzione né sbocco. Perché c'è qualcosa (più che qualcuno) che li tiene saldamente ancorati l'uno all'altro. Insomma c'è una ragione, e un filo unificante, se in questo benedetto paese abbiamo la politica meno attraente e più privilegiata, il mercato più corporativo e meno liberale, le élite più vecchie e meno dinamiche, i partiti più spenti e arroccati, l'innovazione più incerta e contraddittoria. In una parola sola c'è una ragione, e un filo, se la nostra è una società illiberale, iniqua e pigra. Dove, dal vertice alla base, la retorica dei principi (merito, talento, giovani e donne.) lascia il passo a una prassi consolidata (di cordata, potere e consenso). Con intelligenza, Alfredo Reichlin su questo giornale e Ezio Mauro su Repubblica, hanno avanzato una lettura del problema. Hanno scritto, con accenti diversi, che il Partito Democratico in questo panorama può essere (e c'è da sperare che sia) la risorsa provvidenziale, o estrema, per una politica e una sinistra che vogliano opporsi a una possibile nuova crisi di sistema. Hanno entrambi ragione da vendere. Se il più ambizioso disegno politico dell'ultimo decennio non dovesse fondarsi su questo - su una riforma civile e morale del paese, oltre che sul rinnovamento delle culture democratiche e riformatrici - molti non ne coglierebbero il senso e l'approdo. Ma allora? Dov'è, se c'è, il limite di questo passaggio? La difficoltà, nonostante i passi avanti compiuti, a far decollare il Partito Democratico con più slancio e certezza dei propri mezzi? La mia impressione è che questo limite coincida con quel filo unificante della crisi italiana a cui ho fatto cenno. E lo riassumerei in questo. Noi - intendo la sinistra e il centrosinistra - soffriamo da tempo, da parecchio tempo, di un deficit profondo di elaborazione politica e di guida. È un deficit di idee, coraggio, coerenze. Ma non è solo un problema del "ceto politico". Anzi declinato così rischia di apparire un tormentone fasullo e ingeneroso verso i meriti, che sono tanti, di una classe dirigente impegnata a governare oggi il paese e tanta parte del suo territorio. No, quel problema allude a uno scenario più complesso. Ne accenno con un esempio. Come tanti scorro volentieri gli inserti letterari dei giornali. Ci trovi novità, recensioni, classifiche. Di queste ultime in particolare sono curioso. C'è la narrativa italiana, quella straniera e poi la saggistica. Ora, in Italia - si sa - non siamo gran divoratori di libri. Ma l'elenco dei saggi più venduti è indicativo. Se uno guarda all'andamento di quella classifica negli ultimi anni misurerà il successo, rinnovato nel tempo, di autori amati e dal seguito diffuso. Li annoto un po' a caso. Terzani, Travaglio, Vespa, Pansa o Augias. E più di recente il pluricitato Stella. Tradotto, l'umanità intima di un grande giornalista, il radicalismo intransigente, la politica declinata in cronaca, un revisionismo storico puntuto. E poi il saggio d'inchiesta o lo j'accuse verso una politica maramalda. Naturalmente estremizzo. Perché ci sono anche i volumi di Sofri, Magris e Canfora. Ma se ci fermiamo ai grandi numeri cosa colpisce? Colpisce, tra le altre cose, il fatto che in quella graduatoria da tempo è quasi assente una visione alta, forte, moderna, di una politica riformatrice. Manca una lettura di parte (la nostra parte) del mondo e dell'Italia. E un movimento intellettuale, e delle coscienze, che di fronte alle rivoluzioni del mondo, della società, e della vita privata degli individui (fosse solo per il capitolo della vita, della morte e dei diritti) si misura col tempo presente. Anzi, tenta di interpretare lo spirito del tempo. E lo rovescia nella politica. Nelle culture politiche. Chiedo: come si fa a fondare il primo partito del nuovo secolo - una forza a vocazione maggioritaria che dovrebbe condurre a sintesi le migliori tradizioni culturali dell'Italia repubblicana - se alla fonte di questo progetto non si alimenta, per mille rivoli, un pensiero originale? Ho sentito dire che il dramma della sinistra italiana negli ultimi anni sarebbe stato non avere a disposizione un Tony Blair. Mi permetto di dissentire. E comincio a pensare che il vero problema, se vogliamo restare in tono, è stato piuttosto non avere Giddens o altri come lui e migliori di lui. Perché ciò che ha distinto la sinistra di governo a Londra come a Madrid è stato anche - non dico solo, ma anche - la scelta di prendere il toro per le corna. Di metter mano alla carta d'identità di quelle forze e ricollocarle nella società contemporanea. Pagando dei prezzi per questo, ma accettando la sfida. E spesso vincendola. Non è solo questione di programmi elettorali. I programmi li scrivono le coalizioni e li realizzano i governi. Il problema è quale "pensiero" i partiti mettono in campo e come quella visione ispira e condiziona i programmi. Li plasma. Il tema - questo provo a dire - è come la sinistra rinnova se stessa nelle gerarchie dei valori, nelle priorità, nei soggetti che vuole rappresentare, nelle politiche pubbliche che persegue. Tutto questo, insieme, fa una visione e un progetto. Se questa dimensione latita, o appare carente, prevale chi ha il timbro di voce più tonante o chi pesta sul tasto sacrosanto della riduzione dei costi della politica. Ben venga quella riduzione, sia chiaro. Ma temo che non basterà a rigenerare un organismo fiaccato. Sarebbe come dire a un malato grave che deve mettersi a dieta. Magari lo aiuta, ma senza la terapia giusta quello mica guarisce. Ecco perché spero che il comitato nazionale del Pd, e le regole che lì verranno messe a punto, ci spingano tutti nella direzione giusta. Perché ne va delle sorti dell'impresa, certo. Ma ne va pure del destino della sinistra per ciò che essa è stata. Per ciò che oggi è divenuta in questo paese e per quel che potrebbe tornare a essere in forme, contenuti e contenitori diversi. Per quel che conta, nel mio caso è stata questa la molla che mi ha convinto a credere nella fondazione di un partito nuovo. Adesso vorrei che provassimo a farlo.


Il Riformista 26-5-2007 Basta con la crociata tecno-populista Sono per gli sprechi, sprechi democratici di Francesco Cossiga


Sul tema “gli sprechi della politica” è cominciata la crociata tecno-populista contro la politica. Io sono per gli sprechi. Da tempo chiunque si occupi di scienza della politica sa che la democrazia, con le sue istituzioni dal basso, con i partiti, con i sindacati quasi obbligatori, con le elezioni, è il regime più costoso che esista. E, nonostante quello che ha scritto il grande sociologo Weber, è il regime degli “incompetenti” e cioè dei politici. Mi ritorna alla mente quel che diceva Winston Churchill, cui la libertà deve molto meno che a un competente della City: «Mi si deve spiegare perché sia una professione amministrare dei condomini e non governare un Impero!» E lui si vantava di nulla capire né di economia né di finanza. Io sono per la democrazia, anche a costo degli sprechi. E io ho rinunciato a tutti i “privilegi” che le normative del Quirinale, non essendovi in Italia come negli altri Paesi, una legge al riguardo, assegnano agli ex-capi dello Stato. E avevo rinunciato anche alla scorta, ma mi hanno dimostrato che qui la legge c’è, e me l’hanno prescritta. Tra i senatori ho uno dei più bassi redditi. Ma io sono per le comunità montane, per le circoscrizioni, per le province e per tutto ciò che significa partecipazione popolare, anche se non... azionaria. Sono perché tutte le cariche pubbliche siano retribuite. Non arrivo a sostenere che il capo dello Stato debba essere retribuito come il presidente di una banca, o che il sindaco di Roma debba avere la retribuzione del direttore della filiale romana di una cassa di risparmio.
Purtroppo ha cominciato, certo per delicatezza morale, il presidente della Repubblica, censurando praticamente quegli “spendaccioni” dei suoi predecessori, da Einaudi in poi… Ma di questo parlerò un’altra volta. E ora lo segue il presidente del Senato. E pensare che io accettai la richiesta del governo Craxi di accettare una diminuzione del trenta per cento della indennità presidenziale e Scalfaro rinunziò all’esenzione fiscale che è applicata per tutti i capi dello Stato del mondo. E Ciampi non si fece applicare gli aumenti previsti dalla legge. Scialacquatori. Ma perché non agevolare le piccole e medie industrie riducendo a cinque i ministri, a trenta i deputati e a quindici i senatori? E le elezioni teniamole ogni dieci-quindici anni: che sprechi si eviterebbero. E poi, facciamo fare gli esami per ammettere i candidati a qualunque tipo di elezioni, salvo che non abbiano un certo reddito. Ché non si ripeta lo scandalo della Gran Bretagna dove uno scaricatore del porto come il sindacalista Bevin divenne addirittura ministro degli Esteri. E ora parte la magistratura, sentendo il vento che spira anche dal Colle, e comincerà a inquisire i politici spendaccioni. Comunque io tra la parca tecno o plutocrazia e la democrazia spendacciona, preferisco sempre la democrazia.

 


 

Il meridiano.info 19-5-2007 Libro-denuncia: “Milano da Morire” di Luigi Offeddu e Ferruccio Sansa  1

 


Il Corriere della Sera 21-5-2007 "Rischio anni 90 per la politica? C'è insofferenza, il limite è vicino" D'Ambrosio: bene D'Alema, ora reagire. Macaluso: il dissenso cresce. Paolo Conti

 

ROMA - Gerardo D'Ambrosio, ex procuratore di Milano e oggi senatore dell'Ulivo, propone questo esempio: "La decisione comunitaria europea sulle squadre investigative comuni risale al 2000. Sa quando il Parlamento italiano l'ha votata? La settimana scorsa, con sette anni di ritardo. E il mandato di arresto europeo? Varato dall'Unione sempre nel 2000, approvata dall'Italia nella scorsa legislatura, con che fatica... Lungaggini intollerabili. Di fronte a un mondo globalizzato la nostra politica risponde passeggiando. La gente non può più accettare certe lentezze. è proprio qui che lo scontento aumenta, il divario tra la politica e il Paese si dilata. Ha ragione D'Alema". Difficile, nell'ambito del centrosinistra e nel bacino del futuro Partito democratico, trovare qualcuno disposto a dar torto al ministro degli Esteri. Soprattutto da chi, come D'Ambrosio, è stato un protagonista di quegli anni Novanta citati dal ministro degli Esteri come un precedente della crisi che potrebbe ripetersi. Aggiunge D'Ambrosio: "No, non respiro la stessa atmosfera di quegli anni. Ma c'è gran bisogno di fare di più e meglio. I tempi della politica e della giustizia sono eccessivi. E come dimostra il libro La Casta di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella gli sprechi legati alla politica sono eccessivi e insopportabili". Altra autocritica: "Spesso si litiga per l'Ici sulla prima casa. Ma chi si interroga sul 20% degli italiani che pagano affitti troppo alti per la retribuzione? Insomma, o la politica dimostra di saper affrontare i problemi. O il dissenso fatalmente si allargherà". L'unica possibilità di farcela, insiste D'Ambrosio, è legata proprio al fattore tempo. Lo stesso che ha fatto perdere terreno nel rapporto tra cittadini e politica: "Se non vogliamo perdere definitivamente di credibilità, dobbiamo muoverci immediatamente. Altrimenti potremmo davvero ritrovarci nella situazione che D'Alema prospetta". Emanuele Macaluso, vecchio dirigente Pci e oggi pepato commentatore de Il Riformista, si rivolge direttamente a Massimo D'Alema: "Nei famosi anni Novanta si disse che la classe dirigente non si era accorta dei primi scricchiolii del sistema. Quella sordità venne rimproverata mille volte a chi fu poi travolto dalle macerie. Ma se ora certi scricchiolii li avverte uno come Massimo D'Alema che è al vertice dell'attuale sistema italiano, perché non interviene subito?" Ma lei, Macaluso, cosa sente nell'aria? "Io giro spesso per l'Italia: dibattiti, presentazioni di libri, convegni... La gente mi parla liberamente perché non sono da tempo più un dirigente impegnato in trincea. Sento un'irritazione crescente per i balletti intorno al Partito democratico e all'Unione. Per i veti, i controveti, i costi della politica. Penso che questa irritazione potrebbe davvero arrivare al limite. E anche presto". E poi c'è il problema delle minoranze che impediscono alle maggioranze di risolvere i problemi collettivi a colpi di veti incrociati. Almeno questa è la tesi del dalemiano Nicola Latorre: "Prendiamo le due piazze contrapposte, chi difendeva la famiglia a San Giovanni e chi i Dico a piazza Navona. Sono di fatto due minoranze che non permettono di sviluppare una vera e propria politica di sostegno alla famiglia né di procedere sul terreno dei diritti civili. Questo sistema politico sembra aver smarrito la categoria dell'interesse generale. E la gente se ne accorge". In quanto al tema dei costi: "Molti aspetti non vengono più compresi dall'opinione pubblica. Penso ai consiglieri circoscrizionali stipendiati. Alla partecipazione del settore pubblico in miriadi di consigli di amministrazione. D'Alema ha insomma segnalato i rischi di un processo che può degenerare. Ed ha ragione, io sono d'accordo". Infine Enzo Carra, oggi esponente della Margherita, ex portavoce di Arnaldo Forlani che ai tempi di Mani Pulite dovette incredibilmente subire l'onta delle manette in tribunale: "Il paragone con gli anni Novanta? In quel periodo magistratura, giornali e Chiesa accusarono il sistema. Oggi non è così. Ma ora Berlusconi non è più protagonista nelle aule giudiziarie dopo le assoluzioni. Nel recente passato abbiamo avuto fenomeni di piccola corruzione nel centrodestra, usati dal centrosinistra per dimostrarne l'inaffidabilità. Poi lo stesso è accaduto per altrettanto piccoli casi nel centrosinistra. Ma se dovesse capitare un caso più importante o significativo che magari lambisca, mettiamo, un governatore o un esponente diessino di peso, allora potrebbe davvero scoppiare un grosso caso. Per questo la denuncia di D'Alema mi sembra abbia uno scopo molto "interno"".

 

 


 

Il Messaggero 21-5-2007Di MARIO AJELLO ROMA Ora come allora? I professionisti del partitismo, di cui Craxi diceva "il più stupido di loro sa suonare il violino con i piedi", sono di nuovo a rischio di vedersi gettare addosso le monetine dell'anti-politica

 

, come accadde nella scena celebre e agghiacciante davanti all'Hotel Rafael? Massimo D'Alema denuncia l'analogia ("Politica in crisi come negli anni '90. La scarsa fiducia dei cittadini nella politica travolgerà il Paese") e prima di lui Giuliano Amato ha lanciato l'allarme: "Si rischia l'avvento dell'anti-politica". Cioè di quel sentimento - riscontrabile oggi più di pochi anni fa lungo l'infinita transizione italiana che dal crollo della Prima Repubblica non riesce a vedere un approdo - che si nutre del solito qualunquismo ma anche di una sacrosanta delusione verso la politica che non vede e non sente, di legittima richiesta alla politica di fare uno scatto in avanti verso la società (e fuori dall'autoreferenzialità della "partitinocrazia") ma anche dell'eterna scontentezza italiana un po' motivatissima e un po' parolaia contro il Parlamento che perde tempo e spreca soldi, le troppe auto blu, i privilegi da casta, gli stipendi e le pensioni da capogiro, i leader troppo anziani a cominciare da Prodi e Berlusconi (mica come Sarkozy! Mica come Zapatero! Mica come Blair che lascia il potere ed è ancora quasi imberbe!!!), i partiti troppo numerosi (li tagliamo con il referendum di Guzzetta?) e via così. Cose vere, cose false. Torneranno le monetine? "Oggi - dice Enzo Carra, galantuomo ex Dc che fu vittima di Mani Pulite e oggi è teo-dem della Margherita - manca quello che fu il motivo scatenante dell'anti-politica dei primi '90. Ossia la corruzione che, secondo le procure, era abnorme. Ma se D'Alema dice di vedere condizioni simili a quelle che travolsero la Prima Repubblica, forse sa cose che noi non sappiamo". Quel che si sa, perchè sotto gli occhi di tutti, è che oggi l'anti-politica - un nuovo tipo di anti-politica diverso da quello che si oppose ai grandi partiti onnipotenti di un tempo - trova alimento anche a causa di un terreno sgombro. In cui i grandi soggetti classici sono indeboliti - i partiti, i sindacati - e sulla scena pubblica restano due soli protagonisti: opinione pubblica e governo. Senza mediatori e con il governo da solo di fronte al popolo e caricato da parte del popolo di un grado enorme di aspettative. A riempire quel vuoto ora ci stanno provando i sindaci, almeno sul tema della sicurezza dei cittadini, che è forse il primo problema da risolvere per smosciare la marea montante dell'anti-politica. Così non arriveranno le monetine? Chissà. "Vedo anch'io - osserva Bobo Craxi, che visse sulla sua pelle la stagione in cui si cantava: "Sono finiti / i Ceaucescu in Romania, / finiranno i Craxi in Lombardia" - il pericolo denunciato da D'Alema. Oggi l'anti-politica un po' è indotta, perchè i gruppi economici e finanziari continuano a volersi sostituire alla politica e dunque fanno di tutto per denigrarla, e un po' è ovvia. Chi non s'indigna vedendo i partiti che si moltiplicano e si parlano addosso? Chi non sacramenta di fronte alla sbornia regionalistica che ha fatto lievitare i costi della politica e in questo la Seconda Repubblica sta dando uno spettacolo spaventoso?". L'altra volta, nel '93, un referendum - quello sul maggioritario - s'abbattè sui partiti già fiaccati da Mani Pulite. Stavolta sarà la stessa cosa, con il referendum di Guzzetta in favore del bipartitismo? "Mi hanno colpito - osserva il politologo Gianfranco Pasquino - le parole di D'Alema con cui lui, per la prima volta, sostanzialmente accetta il referendum, perchè capisce che una delle cause dell'anti-politica è l'eccessivo numero di partiti e quindi il loro eccessivo grado di litigiosità". Però, aggiunge Pasquino, "non vedo una crisi della politica tanto grave. Semmai, siamo al galleggiamento. Che è una specialità italiana. Ha visto quanto è brava Luna Rossa a galleggiare?". Ma se venisse investita da un vento ingovernabile, affonderebbe. Perciò i partiti implorano a se stessi: governiamo la bestia anti-politica!.

 


Il Riformista 21-5-2007  Perché si materializzano i fantasmi del ’92

Probabilmente si tratta solo di una coincidenza. Ma di certo colpisce che ieri, domenica 20 maggio, Corriere e Repubblica abbiano voluto dare tanto rilievo all’antipolitica che sta crescendo nel paese. Intesa, nella versione di Sergio Romano, come una (fondatissima) collera montante verso i privilegi e l’intoccabilità di un ceto politico diffuso che, a Roma come in periferia, è votato pressoché solo all’autoconservazione: una collera così forte da richiamare «la marea del ’92». E letta invece, nell’analisi più rassicurante di Ilvo Diamanti, soprattutto come distacco, scetticismo e stanchezza di un’Italia sempre più indifferente alla politica e sempre più votata alla ricerca di una felicità personale e familiare che può essere perseguita nonostante l’inconcludenza, per non dire di peggio, della politica. Non si tratta solo del giudizio di autorevoli commentatori sull’onda del notevole (ed emblematico) successo editoriale del libro di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, La casta, di recente pubblicato da Rizzoli. A denunciare il rischio incombente che l’Italia politica attuale finisca travolta come quella della Prima Repubblica è Massimo D’Alema. Un leader politico. Anzi, il politico per antonomasia: non c’è dubbio che il piatto forte della giornata, in materia, sia la sua intervista al Corrierone. Perché D’Alema non segnala soltanto che certi sinistri scricchiolii li avverte nitidamente: sembra anche voler dire che non intende comportarsi come Bettino Craxi nel ’92, quando parlò di Mario Chiesa agli arresti come di un mariuolo e provò a nascondere (prima di tutto a se stesso) che quella che si stava aprendo era una crisi di sistema. Anzi, la crisi del sistema.
Non ha grandi risposte, D’Alema. Ma almeno ha il merito di vedere il problema. Si potrebbe discutere a lungo, e proficuamente, sulle differenze e le analogie tra la nostra crisi attuale e quella del ’92, magari anche tenendo in conto un aspetto decisivo della questione, il rapporto tra politica e affari, e tra politici e affari, più di quanto non si sia fatto nei commenti e nelle interviste di ieri. Lo faremo. Ma intanto, che cosa fa la politica di destra, di centro e di sinistra per restituirsi quel minimo di credibilità necessario per non farsi travolgere? Di sicuro non autoriduce i propri costi e i propri privilegi di casta, intollerabili sempre, e tanto più quando la politica (di governo e di opposizione, certo: ma è chiaro che i guai maggiori sono quelli di chi governa) non riforma, non decide, non prova nemmeno ad alimentare speranze, e anzi fatica, eccome, anche solo a gestire e a organizzare. E non si mette in discussione e in ascolto, non si apre, non si allarga, anzi considera ogni potenziale nuovo protagonista come un concorrente cui va sbarrato subito il passo.
E’ in crisi dappertutto la politica, sono in crisi dappertutto i partiti. Non quanto da noi. Non come da noi. Perché solo da noi, credo, ci si può entusiasmare per Sarkozy, e intanto interrogarsi sempre più seri e sempre meno faceti sulle magnifiche sorti di Michela Brambilla. Solo da noi, credo, si può lanciare l’idea di un partito tutto nuovo, il Partito democratico, e mettersi pure a costruirlo a tappe forzate, rinviando però alla vigilia delle elezioni politiche (nella speranza chissà quanto fondata che siano lontane) la scelta democratica di chi ne debba assumere la guida, quasi che la competizione tra diversi candidati leader, diverse idee e diversi programmi fosse un pericolo e non una potenzialità. E solo da noi, temo, ci si può stupire perché cresce esponenzialmente il numero degli italiani che, comunque votino, i costi di una simile politica li trovano intollerabili.


 

L’Unità 21-5-2007  "Troppi gli sprechi, cresce un'ondata di insofferenza" Berselli: qualcuno potrebbe cavalcarla. Mussi: facciamo le riforme possibili, tagliamo i costi della politica di Wanda Marra

 

/ Roma LA CRISI DELLA POLITICA denunciata da D'Alema sul "Corriere della Sera"? È sotto gli occhi di tutti, e dunque il punto ad oggi è trovare un modo per affrontarla. Sono un po' di questo tenore i commenti - alcuni anche molto duri - all'intervista del Ministro degli Esteri. A cominciare da quello del politologo Edmondo Berselli. "La riflessione su una crisi della politica come quella degli anni 90 nasce dal libro di Stella e Rizzo, che denuncia costi e privilegi della politica, e che sta avendo un grande effetto nell'ambiente politico italiano. Altro che Re nudo, è scorticato, e messo in piazza. Su quello specifico punto D'Alema ha ragione. La politica è talmente screditata, che si rischia di avere dei contraccolpi importanti", spiega Berselli. E va oltre: "C'è un'ondata di insofferenza per la politica che qualcuno userà. Se ci sarà qualche imprenditore dell'insofferenza assisteremo a un'ondata demagogica che Dio solo sa come finirà". Dunque, "sarà opportuno che anche il governo guardi in modo non manieristico ai problemi che si stanno sollevando. Altrimenti la gente si fa la convinzione che Tangentopoli si sia rifugiata dentro il meccanismo stesso della politica". Berselli non discute sul giudizio di litigiosità del governo che dà D'Alema, ma spiega: "Il punto è se questo giudizio si traduce in qualcosa. Il governo è in una condizione invidiabile per quel che riguarda l'andamento dell'economia. Si tratta allora di definire le priorità, e di argomentarle di fronte all'opinione pubblica in modo convincente. Insomma, uno sforzo per portare l'attività di governo al livello della vita dei cittadini". Non interviene direttamente sulle parole di D'Alema, ma un'indicazione chiarissima la dà Fabio Mussi: "Dovremmo provare a fare le riforme possibili, come quella elettorale. E poi ridurre i costi della politica e ridurre quella che due importanti giornalisti italiani hanno chiamato La Casta". Dà un giudizio sfaccettato l'economista Nicola Rossi: "Sono lieto che si arrivi a conclusoni cui noi eravamo arrivati da tempo, ma osservo che la politica che dice che c'è un problema e non fa nulla per risolverlo è proprio il problema". Sottolinea: "A monte c'è un problema di credibilità della politica in sé. Si tratta del modo di essere della politica, prima ancora che delle norme che ne regolano l'attività: il modo con cui si affrontano i nodi determinanti, come si fa il Pd, il fatto che abbiamo una classe dirigente figlia degli anni 70 e 80 che è incapace di rinnovarsi". Dunque, "la prima soluzione dovrebbe essere quella che la politica deve usare il linguaggio della verità con il Paese". Di una "strana intervista" parla Cesare Salvi. Perché, dice, D'Alema "sembra uno arrivato da Marte. La valutazione è giusta, ma non ha nulla da dire sulle cause. La delusione che ha suscitato il governo per lui non conta niente nell'idea che si sono fatti gli italiani sui partiti? Ma lui dov'era quando si sono fatti 102 tra Ministri e sottosegretari? E che cosa ritiene giusto fare?". Poi avverte: "Ci vuole una sterzata forte nell'azione di governo: un'azione immediata ed effettiva sugli sprechi della politica, un rinnovamento soprattutto del Mezzogiorno, poche e chiare scelte dell' azione di governo, senza questa litigiosità continua. In sintesi, l'opposto di quel che si è fatto finora". Ne fa un problema trasversale Villetti: "La crisi c'è, ed è profonda, ma è trasversale, riguarda tutte le classi dirigenti. L'antipolitica nasce sostanzialmente dall'allargamento delle diseguaglianze". Durissimo Pancho Pardi: "D'Alema è poco tempestivo, è da parecchi anni che il protagonismo civile si è accorto della crisi della politica. Da quel che dice sembra che se fosse funzionata la Bicamerale sarebbe andato tutto benissimo. Per noi è stata un disastro". Poi dà un giudizio impietoso sul governo, definendo "deludente" la legge sul conflitto d'interesse, "molto difficile" quella sulla tv, a forte rischio di non funzionamento quella che si deve fare sulla legge elettorale."La cosa principale - avverte allora - è ridare voce ai cittadini". Replica, infine, con la consueta vis polemica Mastella all'accusa da parte di D'Alema di una sua "agitazione immotivata e strumentale" sulla legge elettorale: "Le leggi elettorali si fanno a seconda delle convenienze. Non capisco perché se sono quelle referendarie o dei partiti grandi va bene, se quelle dei partiti più piccoli non va bene. Se accetti le convenienze dei partiti più grandi sei un grande statista, se no sei un retrogrado, che vuol difendere le sue piccole cose". E ancora: "D'Alema e altri hanno spiegato in passato che il maggioritario avrebbe risolto il problema. Ora cambia tutto. Io vado per la mia strada". Insomma, "si tratta di una lezione moralisteggiante. D'Alema se la poteva pure risparmiare".


 

Da Altrenotizie.org 21-5-2007 IL SISTEMA CROLLA, LA POLITICA ACCONSENTE di Sara Nicoli

 

La classe politica italiana come una casta, distratta dai propri privilegi e a tal punto scollata dal sentire del Paese da correre il rischio di essere “travolta”, come nel ’92, da un qualcosa di simile a Tangentopoli, tuttavia ben più difficile da governare e dalle conseguenze incerte. E’ Massimo D’Alema, in una lunga intervista al Corriere della Sera a lanciare un “allarme” direttamente dal Palazzo, che si sente “assediato” dal costante venir meno del consenso, ma non sa come uscirne. O, forse, non lo vuole affatto. Perché ormai non sfugge più a nessuno dei suoi più acuti inquilini, che la “sfiducia” dei cittadini nei confronti della politica ha raggiunto livelli sconcertanti, che rendono sempre più debole in governo perché è “debole – sostiene D’Alema _ il messaggio al Paese”. “L’esecutivo ha il problema drammatico – svela il ministro degli Esteri e vicepremier - che i suoi risultati sono oscurati dalla crisi del sistema politico, dal prevalere del chiacchiericcio e delle litigiosità autoreferenziali. Tra l’altro, tutto perde di significato quando uno protesta non per quello che dice di contestare, ma perché è preoccupato per la legge elettorale”.

Un sistema sull’orlo del baratro che sta per implodere sotto dei numeri impressionanti, quelli che compongono il ritratto della società politica nazionale quindici anni dopo Tangentopoli. E che sono arrivati, dalle colonne dei giornali, come un pugno nello stomaco del cittadino contribuente, sempre più povero e sempre più incredulo davanti ad un popolo di eletti (179.485 persone) pagate uno sproposito seppur palesemente inadeguate alla soluzione di quelle che sono le reali emergenze del Paese. Fa male sapere che il costo della Presidenza della Repubblica è quattro volte quello della Corona britannica, che i parlamentari europei dell’Italia sono di parecchio i meglio pagati dell’UE, che esiste nel Paese una legione di consulenti generosamente retribuiti, che esistono aziende create per dare una collocazione agli scarti della politica e che i rimborsi elettorali hanno largamente annullato gli effetti auspicati dal referendum del 1993 con cui venne abolito il finanziamento pubblico ai partiti. E indigna ancor più vedere che questa stessa classe politica ufficialmente parla di solidarietà, socialità, equità e risanamento dei conti pubblici, ma si contraddice comportandosi come un corpo separato e finanziariamente irresponsabile. Si accapiglia sul problema delle pensioni dei suoi connazionali, ma non esita ad approvare per sé il migliore dei sistemi previdenziali possibili.

E’ un Palazzo d’Inverno che, accusa Sergio Romano sempre dalle colonne del Corriere “si divide su tutte le questioni di interesse nazionale, ma diventa, quando sono in gioco i suoi interessi, un partito unico. Se interpellato e rimproverato, questo partito unico parla di “costi della politica”, una espressione che contiene implicitamente un alibi. Si vorrebbe che il Paese continuasse a credere nella favola autoassolutoria della democrazia necessariamente costosa in cui ogni soldo dato alla politica è speso per la libertà”. Ovviamente la libertà non c’entra nulla. Anzi, è proprio la libertà a correre il pericolo più grave perché il fronte dei politici e dei loro clienti farà di tutto per rendere complesso l’iter di qualsivoglia legge di riforma istituzionale di cui il Paese – come ha sottolineato anche D’Alema – ha disperato bisogno per uscire dalle sabbie dell’immobilismo politico ed economico.

Quale privilegiato al mondo si batterebbe per una serie di riforme che metterebbero definitivamente a repentaglio le proprie rendite di posizione? Nessuno. Men che meno l’attuale classe dirigente del Paese, una pletora di debuttanti assoluti piovuti nella stanza dei bottoni grazie alla più rozza legge elettorale della storia Repubblicana. E che farà di tutto, ma davvero di tutto, per restare inchiodata alle poltrone infischiandosene bellamente del declino del resto d’Italia.

L’assenza di credibilità della politica sta dunque facendo crescere nella società civile una palpabile onda di marea di malessere e indignazione, umori molto simili, se non addirittura più marcati, di quelli che anticiparono lo show down del ’93. Ma che stavolta, visto il precedente, rischiano di mettere seriamente a repentaglio la democrazia italiana così come la conosciamo adesso. I segnali ci sono tutti, dal più banale al più eclatante, dall’ingestibilità dell’emergenza sanitaria a Napoli agli attacchi sempre più pesanti alla Rai, passando per un’università e una scuola che cascano a pezzi e al livello di tassazione più alto d’Europa, per arrivare all’assenza pressoché totale della certezza del diritto, della giustizia e della legalità.

Si tratta di vero e proprio arretramento sostanziale delle difese democratiche di un Paese che questa classe politica consente in nome del mantenimento dei propri privilegi. Senza scomodare pagine fondamentali della storia politica d’Europa, sarebbe bene ricordare che situazioni come queste non hanno mai sfociato in qualcosa di positivo, a meno di un’improvvisa svolta che rimetta al centro dell’azione di governo i problemi del Paese, facendo apparire il volto della politica meno lontano, ostile e distante. Al momento, tuttavia, non si intravedono segnali in questo senso, né progetti o idee da parte del ceto politico che pure dovrebbe essere deputato a offrirne. C’è di che preoccuparsi

 

 


La Repubblica  21-5-2007LE SCELTE DEI PARTITI Gli italiani bocciano la politica Due su tre non hanno fiducia. Prodi: tagliamo i costi Il presidente del Consiglio: i cittadini hanno bisogno di trasparenza L'allarme lanciato dal Capo dello Stato nel messaggio di fine anno ALBERTO CUSTODERO

 

ROMA - "Vanno affrontati insieme, pur essendo fatti separati, i costi della politica, della democrazia e della burocrazia per dare ai cittadini la trasparenza di cui hanno bisogno". Romano Prodi è intervenuto sul tema della sfiducia verso la politica, troppo costosa e lontana dalla gente, sollevato ieri su Repubblica dal sociologo Ilvo Diamanti ("20 anni dopo, in Italia, avanza una nuova ondata antipolitica?"), e, sul Corriere della sera, dal vicepresidente del consiglio Massimo D'Alema ("la crisi della credibilità travolgerà il Paese con sentimenti come quelli che negli anni Novanta segnarono la fine della Prima Repubblica"). è già da tempo, va detto, che - per dirla con Diamanti - sulla Penisola "il vento dell'antipolitica alita forte". Il primo allarme era giunto nell'ottobre 2006 dal mondo imprenditoriale. Era stato Luca Cordero di Montezemolo, presidente di Confindustria, ad accusare la politica, "prima industria del Paese, di non decidere e di essere scollegata dal mondo produttivo". Poi, il tema è stato sollevato dalla massima istituzione, la presidenza della Repubblica. Nel suo discorso di fine anno, il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, aveva ammonito che, "se la politica diventa un continuo gridare, ne soffrono le istituzioni, a cominciare dal parlamento, e il rapporto con i cittadini". Le cifre del sondaggio condotto nei 25 Paesi Ue (Eurobarometro), del resto, conferma tutte queste preoccupazioni: l'Italia è quinta, dopo 4 Paesi dell'ex blocco sovietico, nella graduatoria della sfiducia con un dato inquietante: due persone su tre dichiarano di non avere fiducia nel parlamento, nel governo e nei partiti politici. Il giudizio nei confronti dei politici non è migliore: l'82% dei cittadini ritiene che "siano interessati solo al potere o a fare soldi", e solo il 9% pensa che "siano capaci di governare nell'interesse del Paese". Il vento dell'antipolitica preoccupa molto Antonio Di Pietro, uno dei pochi leader politici, se non l'unico, a poter affermare che, "con il dialogo con la gente, ho costruito un partito". "La politica è ai minimi termini - ha dichiarato Di Pietro - ai tempi di Tangentopoli almeno c'era la rabbia. Oggi c'è indifferenza, apatia, rigetto. Il cittadino vuole parlare direttamente con il politico che chiama "il suo dipendente" e io uso ogni forma, compreso Internet e YouTube, per questo contatto diretto umano. Per riconquistare la fiducia la mia ricetta è semplice: drastica riduzione del sistema partitico, del numero dei parlamentari e delle istituzioni, scelta diretta dei candidati e ricambio generazionale".


 

L’Unità 20-5-2007  Tutti parenti, alla Rai? Ma anche Mediaset tiene famiglia Una valanga di parenti al Biscione. E in viale Mazzini l'ex Premier ha imposto molti dei suoi: dirigenti, conduttori, giornalisti di Marco Travaglio

 

NEL REPARTO FRATELLI & SORELLE, Angela Buttiglione, Nicola Cariglia, Sandro Marini, Antonio Sottile (nel senso di Salvo, quello del caso Gregoraci), Maria Zanda. Nel settore mogli & mariti: Roberta Carlotto (consorte di Alfredo Reichlin), Simona Ercolani (di Fabrizio Rondolino), Ginevra Giannetti (di Altero Matteoli), Giuseppe Grandinetti (marito della senatrice verde Loredana De Petris), Anna Scalfati (moglie di Giuseppe Sangiorgi, membro demitiano dell'Agcom). Segue il resto del parentado: Ferdinando Andreatta (nipote di Nino), Adriana Giannuzzi (cognata dell'ex senatore Ernesto Stajano), Alfonso Marrazzo (cugino di Piero), Marco Ravaglioli (genero di Andreotti), Tommaso Ricci (cognato di Buttiglione), Luigi Rocchi (genero di Biagio Agnes). Poi ci sono i fuoriclasse della Grande Famiglia Rai: il turbo-berlusconiano Agostino Saccà, direttore della Fiction, s'è portato la nuora spagnola, Sandra Steinert Jorge Santos, e il figlio Enrico Silvestrin, attore nelle fiction; il capo del Personale Gianfranco Comanducci, intimo di Previti, ha la moglie Anna Maria Callini dirigente alla segreteria di Raidue e la cognata Ida Callini responsabile Risorse umane Corporate. Quanto ai raccomandati, il Cavaliere portò in viale Mazzini la sua bionda segretaria Deborah Bergamini, ora direttore Marketing; l'ex dirigente Fininvest e poi di Forza Italia Alessio Gorla, capo dei palinsesti da poco in pensione (la cui moglie si occupava dei casting); l'ex addetto stampa forzista Riccardo Berti, promosso conduttore di "Batti e ribatti" al posto di Biagi; e poi Marcello Ciarnò, che prima si occupava degli spostamenti di Berlusconi e ora vicedirige il Centro di produzione Rai. Senza dimenticare Mario Bianchi, passato direttamente da Publitalia ad amministratore della Sipra, cioè della diretta concorrente. E l'ex deputato forzista Fabrizio Del Noce, direttore di Rai1, che poi ha fatto assumere come funzionario Gianluca Ciardelli, figlio della segretaria di Licio Gelli. E l'ex vicedirettore del Tg5 Clemente J. Mimun, passato a dirigere il Tg1: ora, compiuta la missione, torna al Tg5 da direttore. Naturalmente l'essere parenti non esclude l'esser bravi. Anzi, ce ne sono parecchi, di bravi. Ma l'aspetto curioso dell'intemerata berlusconica è che a casa sua, se possibile, è anche peggio. Nel '95,quando il Cavaliere fece una sparata simile su "Parentopoli", il settimanale "Cuore" si divertì a elencare i parenti nelle sue aziende: il fratello-prestanome Paolo al Giornale (con figlia Alessia al seguito) e all'Edilnord; i figli Marina e Piersilvio detto Dudi a Mondadori e a Mediaset; Guido Dall'Oglio, fratello della prima moglie, "coordinatore dei jingle" della Fininvest; lo zio Luigi Foscale e signora al teatro Manzoni; il cugino Giancarlo Foscale alla Standa e sua moglie Candia Camaggi alla finanza estera in Svizzera; Yives Confalonieri, figlio di Fedele, dirigente a Publitalia insieme al cugino Guido; Lella, nipote di Confalonieri, giornalista al Tg5, col marito Carlo M. Lomartire a Studio Aperto; poi la famiglia Dell'Utri, con Marcello e il gemello Alberto a Publitalia (e dunque a Forza Italia), e un nipote al Giornale. Poi i figli degli amici: quello di Malgara, re dei pubblicitari e dell'Auditel, a Publitalia; quello del giudice corrotto Diego Curtò, inviato del Tg4; quella di Roberto Gervaso, che reclutò il Cavaliere nella P2, al Tg5; e la sorella dell'avvocato Dotti al Tg4. Ora, 12 anni dopo, la lista va aggiornata. Alla Camera siede Mariella Bocciardo, prima moglie di Paolo Berlusconi. Al Giornale ha una rubrica fissa l'ex fidanzata dello stesso Paolo, Katia Noventa, mentre Silvia Toffanin, compagna di Dudi, conduce "Verissimo" su Canale5 e ha una rubrica su Libero. Ma il meglio è il Tg5: più che un telegiornale, un Family Day, pieno com'è - direbbe il padrone - "di fratelli, sorelle, cugini, parenti e affini dei protagonisti della vecchia e nuova politica". Lucrezia Agnes, figlia del dc Biagio. Chiara Geronzi, figlia del banchiere Cesare e cofondatrice della Gea con i figli di Moggi, Tanzi, Cragnotti, Lippi, Calleri e De Mita. Giancarlo Mazzucchelli, figlio della moglie di Petruccioli. Fabio Tricoli, nipote dell'avvocato di Dell'Utri. Valentina Loiero, figlia del governatore Agazio. La vaticanista Marina Ricci, sorella di Rocco e Angela Buttiglione. Giulio De Gennaro, figlio del capo della Polizia Gianni. Sebastiano Sterpa, figlio del forzista Egidio. Elena Caputo, figlia del giornalista e poi sottosegretario forzista Livio. Silvia Reviglio, figlia dell'ex ministro socialista Franco. Giuliano Torlontano, figlio del ds Glauco. Ultimo arrivo: Barbara Palombelli in Rutelli. A Studio Aperto lavora Alessandro Del Turco, figlio del più noto Ottaviano, e da pochi giorni Alfredo Vaccarella, figlio del giudice costituzionale uscente Romano. Il figlio dell'ex presidente della Consulta Vincenzo Caianiello invece si chiama Guido e lavora per Rete4. Poi ci sono Martelli e Pivetti. Non sono parenti dell'ex ministro pregiudicato e dell'ex presidente della Camera. Sono proprio loro.


 

L’Unità 19-5-2007 Raipolitik di Marco Travaglio

 

Immaginate la scena e dite se non vi piacerebbe: Romano Prodi e Paolo Gentiloni si affacciano in conferenza stampa e annunciano: "Da domani la Rai non sarà più governata dai partiti. Il Cda lo nomina una fondazione dove i rappresentanti della politica sono in minoranza, e per concorrere bisogna esibire un curriculum professionale di prim'ordine. Comandano i dipendenti e gli utenti. Abolita la commissione parlamentare di Vigilanza, perché è la tv che deve vigilare sul Parlamento e non viceversa. Riforma totale delle Authority, con divieto assoluto di farne parte per gli iscritti ai partiti e per chiunque abbia ricoperto cariche elettive o di governo locale o nazionale. Le norme hanno effetto immediato perché contenute in un decreto - motivato da ragioni di urgenza visibili a tutti - che manda a casa l'attuale Cda della Rai: tutte brave persone, per carità, ma da oggi si volta pagina. Il fatto che Mastella minacci la crisi di governo significa che siamo sulla strada giusta. E ora, al lavoro". Purtroppo è un sogno, un bellissimo sogno che i 60 cittadini che avevano firmato la proposta di legge di iniziativa popolare "Perunaltratv" promossa da Tana de Zulueta, Sabina Guzzanti e tanti altri s'erano impegnati a tradurre in realtà. Quella proposta, intendiamoci, non è stata inutile: ha, almeno inizialmente, costretto l'Unione a porsi il problema della departitizzazione della Rai. E a partorire un disegno di legge, quello varato l'altroieri dal Consiglio dei ministri ritoccando un po' il testo portato da Gentiloni, che le somiglia parecchio. Fuorché in due punti, purtroppo decisivi: la mancata abrogazione della Vigilanza; e il rapporto di forze stanza dei bottoni, dove la legge Perunaltratv dava la maggioranza ai rappresentanti della società civile e della cultura esterni al Palazzo, mentre la Gentiloni garantisce la preponderanza dei partiti (6 contro 5 "esterni", che poi tutti esterni non sono). Ecco perché, nonostante le apparenze e alcune apprezzabili novità rispetto all'indecenza del sistema attuale, è troppo ottimistico il titolo de l'Unità di ieri: "Riforma Rai, messa fuori la politica". Magari fosse così. Com'è noto, il ddl varato dal governo, e da oggi sottoposto al prevedibile mercato delle vacche partitocratico tra Camera e Senato, trasferisce la proprietà azionaria della Rai dal Tesoro a una Fondazione pubblica governata da 11 consiglieri con mandato di 6 anni non rinnovabile. Chi li nomina? I seguenti soggetti: 4 la Vigilanza, 2 la Conferenza delle Regioni, 1 i dipendenti Rai, 1 il Cnel, 1 il Consiglio nazionale utenti e consumatori, 1 l'Accademia dei Lincei, 1 l'Accademia dei rettori. Facciamo i conti della serva. La Vigilanza, per non scontentare nessuno, manderà in Fondazione due politici di destra e due politici di sinistra. La Conferenza delle Regioni manderà un politico di destra e uno di sinistra, con un bell'accordo nazionale. E già questi 6 su 11 bastano a fare il bello e il cattivo tempo. Ma non è finita, perché il Cnel è un organo che più partitocratico non si può: sulla carta (costituzionale), è il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro. In realtà è uno dei tanti uffici di collocamento per politici trombati. Basti pensare che il presidente è l'italoforzuto Antonio Marzano, l'ex ministro delle Attività produttive, così meritevole da essere scartato persino dal governo Berlusconi. La conferenza dei rettori universitari, visto come funziona l'università in Italia e quante interferenze politiche nasconde, è un altro ente a rischio: potrebbe nominare Umberto Eco come un amico degli amici (o, più probabilmente, un parente dei parenti). Restano, di veramente "esterno", i Lincei, i Consumatori e i dipendenti Rai (almeno i non raccomandati, che non sono molti): 3 rappresentanti su 11. Pochini per poter incidere sulla nomina del Cda della Holding, che gestirà la Rai con 1 presidente più 5 amministratori (tra i quali verrà scelto il direttore generale). Mastella non è ancora contento, parla di "demonizzazione del Parlamento" (come se la gente eleggesse i parlamentari perché occupino la tv) e annuncia "modifiche in aula", ovviamente per partitocratizzare la Rai ancor di più: infatti, comprensibilmente spaventato per l'ingresso del mondo della cultura in un'azienda culturale, trova "singolare dare un rappresentante ai Lincei, con tutto il rispetto": meglio darlo all'Udeur, dall'alto del suo 1,4 per cento. Dopo Pomicino e Nuvoli, avrà qualche altro pregiudicato da sistemare. Uliwood party.


La Repubblica 19-5-2007 IL RETROSCENA Lunghe telefonate di Napolitano a Bertinotti e Prodi per evitare il corto circuito istituzionale E il Quirinale lancia l'allarme "Attenti ai costi della politica" CLAUDIO TITO

 

Pensioni, domani vertice a Palazzo Chigi con Padoa-Schioppa ROMA - "Così non si può andare avanti". Il rischio di un corto circuito istituzionale, il pericolo di una paralisi parlamentare. Per Giorgio Napolitano lo scontro di ieri mattina tra il presidente del consiglio e il presidente della Camera è stata solo l'ennesima prova che qualcosa non va nel rapporto tra l'esecutivo e il Parlamento. Così ha preso carta e penna per bacchettare Palazzo Chigi, ma anche per richiamare l'opposizione ad una maggiore collaborazione almeno sulle procedure. Uno degli obiettivi centrali del Quirinale resta la riforma elettorale. A ognuno, però, ha ricordato anche che i "costi della politica" rappresentano uno dei temi più sentiti dall'opinione pubblica. Un argomento troppo "sensibile" per essere preso sotto gamba. E che richiede almeno una risposta iniziale: quella di assicurare una "produttività" decisamente maggiore rispetto a quella messa in mostra in questo primo anno di legislatura. "Vi siete fatti eleggere - è il ragionamento del Colle - e allora adesso impegnatevi". Il capo dello Stato ha fatto sentire la sua voce sia con i leader dell'Unione che con quelli della Cdl e in serata ha avuto una lunga telefonata con Romano Prodi. Il premier, appunto. Il monito del Quirinale è arrivato poco dopo l'affondo di Fausto Bertinotti. Uno schiaffo con un valore non solo istituzionale. Ma anche politico. "Il governo - si è lamentato l'inquilino di Montecitorio - farebbe bene a rispondere sulle grandi questioni sociali, sulle pensioni, sugli stipendi piuttosto che occuparsi del suo rapporto con il Parlamento. E comunque il Parlamento non può essere mortificato in questo modo". Parole durissime. Che fanno riferimento al delicato passaggio che la maggioranza sta attraversando in questi giorni. Alla riforma previdenziale, alla battaglia con i sindacati sulle rinnovo del contratto degli statali, alle critiche che diversi settori del centrosinistra stanno muovendo al ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa. E all'accoglienza riservata nei giorni scorsi a Franco Giordano e Paolo Ferrero dagli operai milanesi di Mirafiori. Anche a Palazzo Chigi, dunque, dopo il botta e risposta con Bertinotti, è scattato l'allarme. Il Professore ha convocato per domenica prossima un vertice con i due vicepremier, Massimo D'Alema e Francesco Rutelli, e il titolare del Tesoro per dare un segno definitivo alla proposta del governo sulla riforma delle pensioni. Un modo per tendere la mano alla sinistra radicale e provare ad ammorbidire la posizione di Cgil Cisl e Uil sul pubblico impiego. "è evidente - ripete in queste ore il presidente del consiglio - che noi puntiamo a evitare lo sciopero generale, ma nemmeno ci possiamo piegare davanti a qualsiasi richiesta pur di ottenere una revoca". Del resto le direttive di Tps a questo proposito sono nette. "Io non posso mettere la firma su un accordo con cifre sproporzionate. Eppure su questo c'è una grossa sponda dentro la maggioranza", ha avvertito il capo dell'Economia. Parole che hanno messo in subbuglio Palazzo Chigi e che ha qualcuno hanno fatto temere il peggio. Tant'è che per tutto il giorno, il Professore ha fatto in modo che il ruolo del suo ministro non venisse sminuito o commissariato. Nemmeno sul contratto per il pubblico impiego. L'immediata opera di ricucitura con Bertinotti ha risposto anche a questa esigenza. "Forse mi sono espresso male", si è spiegato al telefono con il presidente della Camera. Un messaggio rivolto anche a Palazzo Madama. Anche al Senato non hanno preso bene l'uscita prodiana. Franco Marini, all'estero per un impegno privato, non ha parlato direttamente con il premier ma gli ha fatto recapitare il suo pensiero senza nascondere un certo "fastidio": valutazioni "poco accorte" soprattutto in considerazione del fatto che nella Camera Alta l'opposizione potrebbe bloccare tutto in ogni momento. Il cerchio, poi, si è chiuso proprio con l'altolà di Napolitano. Che, però, a Palazzo Chigi interpretano "positivamente". La bacchettata sull'uso eccessivo della decretazione d'urgenza, infatti, non è nuovo. Ma l'invito alla collaborazione tra i due poli e alla "funzionalità" del parlamento costituisce "un tema che va discusso davvero". Anzi, per il Professore rappresenterebbe per il suo governo una vera e propria "svolta".


 

La Repubblica 19-5-2007Veltroni: "Mercoledì l'approvazione in giunta comunale delle delibera che stabilisce nuovi criteri legati ai risultati" Stipendi dei manager, ecco i tagli Causi: "Ridotti del 18,9 per cento i costi della politica" Le novità valgono 500 mila euro di risparmi all'anno GABRIELE ISMAN

 

Meno soldi per i manager delle società partecipate dal Comune, con criteri di rigore e merito: ad annunciarlo ieri il sindaco Walter Veltroni. Mercoledì la giunta comunale esaminerà la delibera con i nuovi parametri. "Secondo una prima stima, il costo delle aziende comunali si ridurrà progressivamente di circa 500 mila euro l'anno", spiega il sindaco. La vera novità è la divisione dei compensi dei manager in due parti: una fissa - che non potrà essere superiore al 70, al 75 o all'80% delle indennità del sindaco, a seconda che il fatturato dell'azienda annuo sia fino a 100 milioni, da 100 a 500, o superiore a 500 - e una variabile. Quest'ultima non potrà superare, per ciascuna delle tre tipologie, il 50, il 60 o il 70% della fissa, e sarà legata al raggiungimento degli obiettivi di servizio e al miglioramento della qualità. "Questa delibera - spiega Veltroni - contiene da un lato il segno del rigore legato all'applicazione obbligatoria di una nuova normativa introdotta dall'ultima Finanziaria e dall'altro il segno dell'innovazione con un nuovo sistema che ancora lo stipendio degli amministratori delle aziende pubbliche alla loro capacità di raggiungere obiettivi di miglioramento della gestione aziendale e del servizio offerto. Roma è il primo Comune italiano ad applicare una normativa rigorosa sul contenimento delle indennità che spettano agli amministratori di aziende pubbliche". Ridotti quindi anche i compensi dei consiglieri di amministrazione: il tetto massimo annuo scende da 36 a 30 mila euro. In realtà i costi della politica a Roma sono già scesi: solo per le indennità di sindaco, assessori e consiglieri comunali e soltanto nell'ultimo anno il taglio è del 18,9%, passando da 3 milioni 781 mila a 3 milioni e 67 mila euro. I dati - tanti, e tutti improntati al risparmio - sono stati diffusi ieri in una nota dall'assessore comunale al Bilancio Marco Causi. Tra il 2006 e il 2007 le spese per rappresentanza, consulenze e missioni dell'intero Comune è scesa da 13,64 milioni a 11,23, e i soldi destinati ai beni di consumo sono passati da 21,03 a 16,90 milioni. Se poi si allarga il confronto al 2001, i risparmio percentuali arrivano al 31,02 (rappresentanza) e 20,2 (beni di consumo). "Queste voci di per sé rappresentano solo lo 0,7 per cento di tutto il bilancio comunale" precisa l'assessore. E ancora tagli: meno 26% (da 2,097 milioni a 1.551.384 euro) per le consulenze, meno 33,3 (da 806.339 a 537.620 euro) per i convegni, meno 24 (da 738.155 a 560.363 euro) per le spese di rappresentanza, meno 3,9 per missioni e trasferte, da 682.809 a 656.213 euro. "Il programma di razionalizzazione dell'amministrazione avviato nel 2001 - spiega Causi - porterà per il 2007 a un risparmio complessivo di 10 milioni di euro sulle spese di autoamministrazione". Ma il risparmio passa anche per le aziende controllate dal Comune, con l'indirizzo generale di cedere le partecipazioni in attività non strategiche. E così il Campidoglio ha rinunciato alla propria partecipazione, diretta o indiretta, in 42 società: tra queste, All Clean Roma, Ama International (azzerata). A Risorse per Roma, l'incarico di dismettere le partecipazioni in Alta Roma e nel Polo tecnologico romano. E nel settore energia, un programma approvato dal cda di Acea nel 2003 prevede la dimissione, chiusura o cessione di 35 società. E 32 di queste hanno già un nuovo indirizzo.

 


L’Espresso 18-5-2007 Ma il debito non è democratico di Francesco Bonazzi Il passivo dei Ds. Il valore dei contributi. Il problema delle sedi. Ecco i conti in tasca a Margherita e Quercia

 

Una testa, un voto. Certo. Ma anche una testa, 180 euro di debiti. Se il partito democratico nascesse oggi, sommando i tesserati di Ds e Margherita, avrebbe circa un milione di iscritti e 180 milioni di euro di debiti. Tutti di origine diessina. Non accadrà, naturalmente, perché al partito di Rutelli e Marini non sono nati ieri. E poi perché non sarebbe una bella trovata d'immagine partire con una zavorra simile. La cruda cifra dei debiti, però, aiuta a capire che cosa bolle nelle cucine del Pd. Ovvero nelle stanze dei tesorieri. Dove il problema non è chi mettere nel Pantheon ideale del grande nascituro, ma dove parcheggiare debiti, contributi, rimborsi elettorali, immobili, contratti di locazione, giornali, fondazioni, i marchi delle feste e possedimenti vari. Dove l'imbarazzo sui Dico non è da che parte stare e in quale piazza andare, ma su come metterne a punto uno che regoli in modo equo e civile la futura convivenza tra Ds e Margherita. E su come limitare al massimo il danno economico della separazione a sinistra con Mussi, Angius e Salvi. Uno scherzetto rosso che rischia di costare almeno 16 milioni di euro di qui alla fine della legislatura, solo a calcolare i rimborsi elettorali che spettano ai 36 deputati che lasciano i gruppi dell'Ulivo. "I compagni non fanno che chiedermi dove ci compriamo la sede...", butta lì Ugo Sposetti, tesoriere della Quercia, quando incontra il suo omologo della Margherita, Luigi Lusi. Pare che un bel palazzone di proprietà, magari nel centro più centro di Roma, rassicurerebbe la base diessina sul fatto che il Pd non sia l'ennesima roulotte politica dalla quale entrare e uscire ogni cinque anni. C'è chi ancora rimpiange il mitico Bottegone, venduto nel 1997 sotto il peso di un debito che allora sfiorava i mille miliardi di lire e che Sposetti ha pazientemente portato dai 580 milioni di euro del 2001 agli odierni 180. E c'è chi non vede l'ora di mollare il triste Botteghino affittato in via Nazionale. La Margherita, invece, la sede se l'è appena comprata e ristrutturata a Sant'Andrea delle Fratte, contraendo un mutuo quinquennale da 3,75 milioni di euro che è anche l'unico debito a lunga scadenza del partito. è bellissima, ma non ha le dimensioni necessarie per ospitare la futura direzione del Pd. "La sede del nuovo partito? L'affitteremo e basta", taglia corto Lusi, che ha in mente una struttura snella e con i conti sempre in equilibrio. Non sarà facile, ma il primo problema sarà proprio farli, i conti. Intanto, nei prossimi mesi dovrebbe nascere la classica 'newco', una società priva di debiti che farà da veicolo verso il Pd. Potrà contare su un cospicuo attivo da sventolare con banche e fornitori, ovvero la titolarità di quei contributi pubblici che con i deputati di oggi varrebbero almeno quaranta milioni l'anno. Debiti e rapporti economici dei vecchi partiti, invece, rimarrebbero parcheggiati in entità giuridiche rigorosamente separate. E qui la partita delicata si gioca in Parlamento, dove la Quercia (ma anche Forza Italia) ha bisogno come il pane di far approvare un emendamento alla legge sul finanziamento pubblico che consenta alle fondazioni di ricevere cespiti patrimoniali e attività economiche dei partiti. Si tratterebbe di recepire l'intesa già trovata a gennaio tra Giulio Tremonti e Sposetti, sulla quale però ci sono la netta contrarietà delle formazioni minori e i dubbi di coscienza di vari deputati, preoccupati che il costo dei partiti lieviti ancora e divenga meno trasparente. Il giochetto sulle fondazioni 'di area', però, è fondamentale per una nascita serena del Pd perché permetterebbe di trasferire in capo a una fondazione le poste che non si vogliono o non si possono portare nella nascente casa comune. Per fare un esempio, i Ds potrebbero metterci gran parte dei debiti e farvi confluire anche finanziamenti di soggetti privati, immobili attualmente parcheggiati in società vicine al Botteghino, oppure le quote della tv satellitare e perfino il marchio delle feste di partito. Ma se è vero che il sistema Feste dell'Unità è un gioiello con un giro d'affari da 300 milioni di euro, pochi sanno però che a guadagnarci sono esclusivamente le piccole sezioni locali. Il che rende complicatissimo fare i conti, sia in previsione di una futuribile festa del Pd (tanto l'obiettivo vero sono le Europee del 2009), sia alla vigilia della separazione economica con l'ex Correntone. L'altro fronte che occupa i 'ragionieri' del Pd è quello delle strutture territoriali. La Margherita ha 460 mila iscritti e oltre 15 mila circoli, in gran parte affittati. La Quercia pre-scissione può invece contare su 615 mila iscritti e quasi 7 mila sezioni. Una vera trattativa tra Sposetti e Gianni Zagato, coordinatore organizzativo di Sinistra democratica, non è ancora iniziata. Per ora siamo solo alle schermaglie. E ogni volta che i mussiani hanno fatto capire che vorrebbero almeno le sezioni dove la mozione Fassino è minoritaria (specie a Roma, Milano, Genova, Torino), Sposetti ha mandato a dire che allora si devono dividere pro-quota anche i famosi debiti. La realtà è che qualunque conteggio con il bilancino è praticamente impossibile. A Lamezia Terme, per fare un esempio, quattro sezioni su quattro sarebbero in mano a Mussi. In alcune zone, invece, le sezioni sono state comprate dai compagni con l'autotassazione (e vai a capire di chi sono le quote), oppure sono ospitate dal locale circolo Arci. Poi vi sono regioni come il Piemonte dove sono quasi tutte in affitto. Anzi, secondo una stima ufficiosa, sarebbero di proprietà del partito non più del 40 per cento delle sezioni. Che fare? Zagato lancia messaggi di pace: "Evitiamo di far lavorare i fabbri e sediamoci intorno a un tavolo per venire a capo della questione entro l'estate, anche perché noi abbiamo bisogno di fare attività politica subito". Sinistra democratica, però, sembra più che altro orientata agli affitti. 'Sobrietà e rigore' sono le due parole d'ordine di Zagato, e c'è da credergli. Ma sotto sotto c'è anche una buona dose di prudenza, visto che i cantieri della nuova Cosa Rossa sono appena cominciati e alla fine non è detto che servano poi tutte queste nuove 'case del popolo'. La sola Rifondazione ha già la bellezza di 2.500 circoli per 93 mila iscritti (con bilanci in attivo e pochi debiti). Basta che Mussi non si faccia appioppare i debiti della Quercia, e anche qui tutto si può fare. n.


La Stampa 18-5-2007 "E' l'ora di tagliare i costi". Degli altri Paolo Baroni

 

ROMA "Se ci fosse un accordo ve lo avrei annunciato". Prodi ci crede e continua a spingere perché si arrivi in tempi rapidi ad un taglio dei costi della politica: il suo desiderio è quello di varare già nelle prossime settimane "provvedimenti concreti". Però il premier deve fare i conti con gli interessi dei partiti, le burocrazie dei ministeri e la suscettibilità di Comuni e Regioni. Mettere in campo "un discorso molto esteso e completo" come vuole lui, e evitare al tempo stesso di scadere nella demagogia, non è cosa facile. "A parole sono sempre tutti d'accordo, ma purché i tagli riguardino gli altri - spiega il responsabile economico della Margherita, Tiziano Treu -. Mentre intervenire in maniera seria sulla miriade di enti e società pubbliche, su comuni, province o comunità montane non è per niente facile. E' evidente che gli ostacoli ci sono anche all'interno della nostra maggioranza". I comuni per bocca del presidente dell'Anci Leonardo Domenici si sono già detti disposti a discutere di tagli, ma come contropartita, pretendono che governo, ministeri e Parlamento facciano altrettanto. "Non pensino di scaricare tutto sulle nostre spalle" ha dichiarato sabato a "la Stampa". A palazzo Chigi, dove questa settimana si è insediata la commissione guidata dal ministro per l'Attuazione del programma Giulio Santagata, stanno studiando la questione. "Il consiglio di Stato ha bocciato il taglio del 10% delle indennità degli amministratori locali perché lede l'autonomia degli enti? D'accordo, ma questo non esclude che si possano ridurre i trasferimenti, poi decidano loro come fare". Quattro i filoni di intervento individuati dalla task force composta dai rappresentanti dei principali ministeri: enti locali, società pubbliche, organizzazione dei dicasteri, organi costituzionali. Si parla di risparmi è ovvio, ma soprattutto in una logica di maggiore efficienza. E si cerca di seguire tre distinti principi ispiratori: comunicazione, trasparenza ed etica. Santagata, incoraggiato da Prodi, marcia spedito: già mercoledì prossimo si dovrebbe tenere un nuovo incontro che servirà ad effettuare una prima scrematura delle proposte per comporre un vero e proprio "libro bianco" sui costi della politica. Che poi, Parlamento permettendo, dovrà essere tradotto in interventi concreti, da inserire già nel prossimo Documento di programmazione economico-finanziaria (e quindi in Finanziaria), oppure in un apposito disegno di legge. "Santagata assieme alla commissione sta facendo un lavoro serio e imparziale" ha spiegato ieri il premier durante la conferenza stampa tenuta a palazzo Chigi. Dal canto suo Treu è convinto che Prodi andrà avanti: "Ridurre le pensioni dei parlamentari, oltre che rappresentare un intervento simbolico, è sacrosanto. Ma poi bisognerebbe andare giù molto più duri su tutto il resto, io questo a Prodi l'ho detto chiaramente. E lui concorda". Intanto, per mettere le cose in chiaro, Comuni, Province e Comunità montane hanno diffuso i loro conti: il costo annuo dei nostri 205 mila amministratori locali è pari ad 890 milioni di euro, 702 milioni vanno ai comuni, 115 alle Province e 71,9 alle Comunità montane. Sempre ieri l'ufficio di presidenza della Commissione Affari costituzionali della Camera ha deciso di avviare una indagine conoscitiva con l'obiettivo di arrivare ad elaborare una proposta di legge quadro. Ma anche qui non sono mancate le polemiche. "Più che un'indagine - ha commentato caustico Giorgio La Malfa - servirebbe una commissione d'inchiesta".

 

 


Il Sole 24 Ore 18-5-2007  Dai municipi alle Comunità montane sono circa 195mila le cariche elettive Ai politici locali 746 milioni l'anno Gianni Trovati La politica locale costa oggi 746 milioni all'anno e "produce" 195mila cariche tra consiglieri, assessori e Giunte di Comuni, Province e Comunità montane.

 

Dai municipi alle Comunità montane sono circa 195mila le cariche elettive Ai politici locali 746 milioni l'anno Gianni Trovati La politica locale costa oggi 746 milioni all'anno e "produce" 195mila cariche tra consiglieri, assessori e Giunte di Comuni, Province e Comunità montane. Senza contare gli 800 consigli di zona, che impegnano 12.500 persone nel primo livello della democrazia rappresentativa. Nel 2004, secondo i calcoli elaborati dall'Ifel (istituto per la Finanza locale) peri Comuni e dall'Upi per le Province, il conto presentato dalle rappresentanze sul territorio era di 829 milioni di euro, ma nel frattempo la Finanziaria 2005 ha tagliato del 10% le indennità. Ora che i "costi della politica" sono tornati al centro del dibattito, i numeri fioccano e contribuiscono a individuare il peso specifico di ogni livello di governo. Con Comuni e Province in prima linea, che calcolatrice alla mano hanno lanciato la proposta di tagliare del 25% i posti nelle Assemblee e negli esecutivi. Una misura draconiana, che se attuata manderebbe in soffitta 43mila tra poltrone e seggi e farebbe risparmiare al sistema degli enti locali più di 121 milioni di euro ogni anno.Altri 7.400 posti sarebbero cancellati se la falce colpisse anche le Comunità montane e i consigli circoscrizionali. Non è poco, anche se la cifra serve più a indicare un deciso cambio di rotta che a risolvere il problema dell'espansione della spesa pubblica. Anche perché, per essere efficace, l'esempio dovrà essere seguito da Regioni, Parlamento, ministeri e vertici delle spa pubbliche, su cui la commissione Affari costituzionali della Camera ha avviato ieri l'indagine conoscitiva. Ma il tema è delicato, e affrontarlo con toni troppo tranchant può essere pericoloso: ne sa qualcosa la presidente della Regione Piemonte Mercedes Bresso, che ieri si è vista recapitare "lo sconcerto e l'amarezza" di esponenti della sua stessa maggioranza per aver parlato di compensi troppo alti di consiglieri che in alcuni casi dovrebbero "andare a scuola di politica per imparare gli strumenti del mestiere". Così come qualche giorno fa il presidente dell'Anci, Leonardo Domenici, dopo aver parlato della necessità di un "superamento delle Comunità montane"siera beccato dall'Uncem (l'Unione delle Comunità montane, appunto) l'accusa di mettere in atto "un'operazione tartufesca e conservatrice". Lo scenario, comunque, è in movimento,e se i riflettori non si spegneranno in fretta potrebbe portare a risultati importanti. Nel caso dei Comuni, che da soli coprono il 77% dei costi annuali della democrazia locale, l'efficacia è data dai grandi numeri più che dal peso delle singole indennità. Che viaggiano verso l'alto nei Comuni maggiori, come mostra l'inchiesta qui sopra, ma offrono cifre assai meno importanti nella maggioranza degli enti. Nei 4.700 municipi con meno di 3mila abitanti (sono il 58% del totale) l'indennità lorda mensile del primo cittadino non supera i 1.300 euro,e ad essa sono parametrati i compensi della Giunta. E proprio il peso percentuale degli enti minori spiega il livello medio dei compensi che emerge dai calcoli dell'Ifel, e che viaggiano dai 1.964 euro lordi al mese dei sindaci ai 596 euro medi per gli assessori. Lo stesso meccanismo, che appesantisce le "buste " degli amministratori al crescere della popolazione, torna nelle Province, e arriva a offrire ai 10 presidenti che guidano un ente sopra il milione di abitanti un'indennità mensile di quasi 6.300 euro. I loro 70 colleghi che si attestano sotto il mezzo milione di amministrati si devono invece "accontentare" di un compenso che viaggia fra i 3.700 e i 4.500 euro al mese

 


Da asgmedia.it  17-5-2007 Alla Camera indagine conoscitiva sui "costi della politica". Lo ha deciso la commissione Affari costituzionali

 

 

 

La Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati, nella odierna riunione dell'Ufficio di presidenza, ha deciso di avviare una indagine conoscitiva sui "costi della politica", nell'ambito dell'esame di alcune proposte di legge presentate in materia da rappresentanti di diversi gruppi parlamentari. L'indagine è finalizzata a raccogliere ogni elemento di conoscenza utile per individuare i criteri di migliore regolazione e di massima trasparenza dei costi connessi in maniera diretta all'esercizio delle funzioni istituzionali degli organi rappresentativi ed esecutivi dei diversi livelli territoriali di governo, e di taluni organismi amministrativi di particolare rilevanza, compresi i vertici dei ministeri e delle società a partecipazione pubblica.
La Commissione opererà secondo un metodo di consultazione tra le diverse istituzioni, chiamate a collaborare sulla base del generale principio di accountability che impone alle istituzioni di rendere conto ai cittadini delle loro spese. La trasparenza è, infatti, nel mondo occidentale il piú importante fattore di legittimazione per chi spende il denaro pubblico. L'indagine coinvolgerà un'ampia platea di rappresentanti degli organismi interessati, nonché giuristi, economisti, sociologi, addetti al sistema della comunicazione ed altri esperti della materia. La Commissione procederà anche ad una raccolta di dati sulla esperienza di altri paesi comparabili con il nostro, a partire dai costi connessi all'esercizio delle funzioni parlamentari, in correlazione con una valutazione anche quantitativa dell'attività svolta dalle istituzioni parlamentari nei diversi paesi.

Al termine del percorso conoscitivo la Commissione intende elaborare una proposta di legge quadro volta a contenere, razionalizzare e rendere trasparente la spesa nel settore e al tempo stesso a tutelare la fondamentale esigenza del migliore e piú efficiente funzionamento delle istituzioni democratiche, nel rispetto delle sfere di autonomia riconosciute agli organi costituzionali e ai diversi livelli territoriali (red).


Il Tirreno 12-5-2007 Massa - Carrara Rifiuti, 700mila euro l'anno solo per le poltrone Cinque aziende per servire 200mila abitanti, tre nei 15 chilometri di costa.  Claudio Figaia.

 

Costi della politica; i sindacati attaccano e chiedono la fusione di Asmiu, Amia e Cermec MASSA. Via Candia, stradina al confine tra Carrara e Massa. Qui un camion dell'Amia (arrivato da Carrara) svuota i cassonetti sul lato sinistro; uno dell'Asmiu (partito da Massa) provvede a quelli del lato destro. Basta questo per capire il paradosso della moltiplicazione delle aziende che si occupano dei rifiuti: tre in quindici chilometri; cinque per tutta la provincia. Ognuna con personale, mezzi, organizzzazione propri. Con un proliferare di presidenti, direttori, consigli di amministrazione, revisori dei conti che costano - secondo i sindacati - 6-700mila euro l'anno. Che la parcellizzazione dei servizi di raccolta e trasformazione dei rifiuti sia un male, oggi lo dicono un po' tutti. Lo ripete da tempo Federico Binaglia, sindaco a Montignoso, dove la raccolta è fatta "in proprio", cioè gestita dallo stesso Comune. Lo ripetono, ora, Cgil, Cisl e Uil. Aggiungendo un interrogativo: "Perché, se tutti sono d'accordo di andare a un'unificazione di questi servizi, nessuno, nella politica, realizza questo progetto?" Ieri mattina, in una conferenza stampa, le tre organizzazioni sindacali si sono dette stra-preoccupate dei ritardi su questo obiettivo. Per ragioni di costi, innanzitutto. "Se non si andrà, rapidamente, a una razionalizzazione del servizio rifiuti, le Tarsu dei vari Comuni continueranno a crescere. Come avviene in questi giorni a Massa (più 19% la stangata in arrivo sulla tassa rifiuti) e come probabilmente accadrà negli altri centri della provincia", sostiene Angelo Fruzzetti della Cgil Funzione pubblica. "Nel territorio fra Montignoso e Carrara - interviene Rolando Bellè di Uil Trasporti - operano Asmiu, che si occupa di Massa, Amia che lavora a Carrara, Cermec, che fa riciclaggio, e il servizio in proprio di Montignoso. E poi c'è l'Ato dei rifiuti... Ciò comporta una moltiplicazione di costi di gestione: pensiamo solo agli uffici personale, per non parlare di quelli per i Cda, per revisori dei conti... Noi siamo per una fusione di queste aziende e per la creazione di un unico gestore dei rifiuti in provincia. Che operi anche in Lunigiana, dove oggi, invece, agiscono Manutencoop e altri servizi comunali "in proprio". Unico gestore vorrebbe dire, ne sono convinti i sindacati, razionalizzazione delle risorse, un unico parco mezzi, sinergie tra le competenze disponibili, soldi oggi spesi per mantenere i Cda liberati per altre attività. "Tagliando questi costi, si risparmierebbero 600 o 700mila euro l'anno. Con cui si potrebbero, ad esempio assumere 30 netturbini, forza lavoro in più per dare un miglior servizio alle città in cui tutti oggi si lamentano per la carenza di pulizia", sogna Fruzzetti. Ma non è solo questo. Se il trattamento dei rifiuti urbani è una voragine che ingoia denaro pubblico, ciò è dovuto anche, secondo i sindacati, alla mancata attuazione del Piano provinciale rifiuti. Preparato dalla Provincia e mai attuato. Mancano, infatti, i due tasselli principali: una discarica provinciale in cui conferire tutti i rifiuti non differenziati; e un impianto di trasformazione (brichettaggio, termovalorizzatore) sotto casa. Vicino al Cermec, prevede il Piano. Non essendoci né discarica né termovalorizzatore, i rifiuti delle Apuane oggi vanno agli impianti di Gallicano e Rosignano. Un export che salva, forse, il territorio da nuove ferite ambientale. Ma che costa 108 euro per ogni tonnellata di rifiuti. Troppe, anche perché, Cgil, Cisl e Uil calcolano che chiudendo il ciclo dei rifiuti in provincia, il costo di smaltimento scenderebbe a 62 euro a tonnellata, poco più della metà. "E allora facciamolo un inceneritore", dice provocatoriamente Bellè. Perché, aggiunge, l'alternativa è l'aumento progressivo e incontrollabile della Tarsu a carico dei cittadini. "In questi giorni si parla dell'aumento della tassa a Massa. Non sarà l'ultima: Cermec ha già un disavanzo di 1,5 milioni di euro che dovranno essere ripianati nel 2008". Come? Con un nuovo aumento della Tarsu, è ovvio. I sindacati, infine, chiedono anche una nuova organizzazione della raccolta: i cassonetti - dicono - sono superati, non garantiscono il superamento della soglia del 30% della raccolta differenziata. Ci vuole, viceversa, una seria raccolta porta a porta. In molti centri del Nord Italia funziona e ha portato ad oltre il 40% la differenziata. Una scommessa. Claudio Figaia.

 

 


La Repubblica 12-5-2007Nuovo provvedimento sui costi della politica: Palazzo Chigi prevede un risparmio di 18 milioni Comitati inutili nei ministeri colpo di scure per 110 su 512 Ma resta quello del Giubileo finito 7 anni fa CARMELO LOPAPA

 

... L'austerity comporterà la riduzione del 10% delle indennità dei dirigenti. Santagata: è soltanto l'inizio Nel mirino anche commissioni e "cabine di regìa". A regime, i dicasteri spenderanno il 30 per cento in meno ROMA - La "Commissione per la pubblicazione dei carteggi del Conte di Cavour", quella l'hanno tenuta in vita. Salvata dalla falcidia e "riordinata" dal ministero dei Beni culturali. Come d'altronde il ministero delle Politiche agricole di Paolo De Castro terrà in piedi la "Commissione per la valutazione dei cavalli di razza puro sangue inglese e trottatore italiano, ai fini della loro iscrizione nel repertorio degli stalloni delle razze medesime". E quello delle Infrastrutture che fa capo ad Antonio Di Pietro ha "confermato e riordinato" la "Commissione per il Giubileo nel Lazio" che, a voler essere pignoli, si sarebbe pure concluso sette anni fa. Detto questo, di superfluo e costoso adesso ne verrà spazzato via parecchio dal governo Prodi, deciso ad avviare quell'opera di pulizia annunciata per abbattere i costi della politica. Nel mirino ieri sono finiti i carrozzoni mangiasoldi che proliferano nei meandri dei 27 dicasteri italiani. Una selva di cabine di regia, comitati, commissioni che il Consiglio dei ministri cancella per risparmiare il 30 per cento dei costi dei ministeri, come d'altronde era stato previsto dal decreto Bersani di luglio e dalla successiva Finanziaria. La scure su 110 organismi sui 512 esistenti permetterà economie per 17.989.879 euro. Altri 401 sono stati riorganizzati. è solo l'inizio però, assicura il ministro per l'Attuazione del programma Giulio Santagata che si è intestato ormai la guerra agli sprechi. Dalla settimana prossima si insedierà a Palazzo Chigi un comitato interministeriale composto dal premier Prodi e dai ministeri dell'Interno, Economia, Affari regionali e Funzione pubblica per la stesura di un libro bianco sui costi della politica, che sarà poi la base per un intervento ulteriore in Finanziaria o con una legge ad hoc. Mentre un ulteriore giro di vite interesserà i ministeri con un taglio dei 10 per cento delle indennità dei dirigenti. Anche se la caccia grossa il governo intende farla sugli enti locali, nei quali conta di ridurre sprechi per 300 milioni. Ma intanto si parte dai ministeri. E il monitoraggio già effettuato sul superfluo esistente e da cancellare ha acceso i riflettori su tutti i ministeri ma in particolare su Ambiente (risparmio record di 6 milioni) e Trasporti (2 milioni). Per non dire della Pubblica istruzione che perde 36 organismi tenendone in piedi 61 o della Salute, 16 cancellati e 24 mantenuti. Nell'elenco c'è un po' di tutto, anche perché in Italia quel che è stato creato negli anni poi è rimasto (d'ora in poi invece per comitati e commissioni sopravvivenza massima di tre anni e proroga motivata). Sta di fatto che risultava ancora in vita il "Comitato per le celebrazioni di Cristoforo Colombo", quindici anni dopo i festeggiamenti del '92, o il "Comitato interministeriale per l'Antartide", riunito finora in quel ministero dell'Università che ha tuttavia mantenuto la "Commissione scientifica per l'Antartide". Alle Politiche comunitarie faranno a meno del "Comitato per la promozione delle candidature di cittadini italiani presso le istituzioni comunitarie" e alle Politiche agricole del "Comitato per i molluschi bivalvi con draga idraulica nei compartimenti marittimi di Ancona e San Benedetto del Tronto", allo Sviluppo economico della "Commissione sui progetti per la ceramica". Ma parecchio altro c'è ancora da fare sul fronte della lotta agli sprechi, secondo il senatore della Sinistra democratica Massimo Villone, il quale prendendo spunto dal libro inchiesta di Stella e Rizzo, "La casta" (Rizzoli) ha presentato un'interrogazione al premier Prodi per chiedere un taglio netto agli aerei blu per ministri e sottosegretari che costano 168 mila euro al giorno, più di 65 milioni l'anno. "Viaggino con voli di linea e si venda la flotta governativa" è la proposta.


Il Giornale di Brescia 11-5-2007  Già nel prossimo Dpef in programma corposi tagli alle istituzioni territoriali Spesa pubblica, Enti locali nel mirino

 

Già nel prossimo Dpef in programma corposi tagli alle istituzioni territoriali Spesa pubblica, Enti locali nel mirino ROMA I "costi della politica" sono sempre nel mirino del Governo. L'occasione per una sforbiciata potrebbe essere già il prossimo Dpef (il Documento di programmazione economica e finanziaria che il Governo presenta entro il 30 giugno). Oppure un provvedimento ad hoc, dedicato esclusivamente alla materia. Le parole del ministro Giulio Santagata, intervistato su "Repubblica", non lasciano molto spazio: 7.535 aziende pubbliche locali, con corredo di presidenti e consiglieri, oltre 300 Comunità montane, pletore di assessori. È troppo. Chiamati in causa, gli amministratori locali non si tirano indietro e si dicono pronti a scrivere, insieme al Governo, il "libro dei tagli". Dalla maggioranza di Governo, ma anche dai vertici istituzionali delle associazioni di Comuni, Province e Regioni, sono arrivati segnali di disponibilità. Un po' meno dall'opposizione di centrodestra. Italia dei valori è favorevole a inserire il tema nel Dpef, anche se Silvana Mura preferirebbe un provvedimento ad hoc sul quale mettere addirittura la fiducia. Per Tommaso Pellegrino (Verdi), ridurre le spese di funzionamento negli Enti locali è una priorità non solo economica ma soprattutto di ordine etico. Per le Regioni è lo stesso Vasco Errani, presidente della Conferenza, a confermare la disponibilità dei suoi colleghi a fare "un lavoro serio" sui costi di funzionamento delle istituzioni "dallo Stato alle Regioni e alle autonomie locali: pronti a partecipare con impegno e coerenza". Melilli, presidente dell'Unione delle Province, e Borghi, presidente di quelle Comunità montane spesso bersagliate sulla stampa, non sono da meno: siamo qui, parliamone ma "evitiamo di fare demagogia e pensiamo ognuno a fare la propria parte", taglia corto Fabio Melilli. Province e Comunità montane stanno mettendo a punto varie ipotesi di autoriforma dei rispettivi ambiti istituzionali. L'Uncem è pronta a rivedere i criteri di "montanità" dei Comuni, fissati con una legge degli Anni '50, ma il suo presidente Borghi un sassolino dalla scarpa se lo toglie quando ricorda che non si può esaltare il ruolo dei piccoli Comuni al mattino, e scoprire alla sera che questo ha un costo. Al centrodestra non è piaciuta l'intervista del ministro Santagata. Troppa demagogia, è l'accusa di Antonio Leone di Forza Italia, da parte di un Governo che vorrebbe tagliare i costi della politica quando ha varato un Esecutivo forte di 103 fra sottosegretari e ministri. Osvaldo Napoli, vicepresidente dell'Anci e parlamentare di Forza Italia, alza il tiro: perchè? non si liberalizzano i servizi pubblici locali? e perchè il Governo accetta il ricatto della sinistra radicale contraria a liberalizzare i servizi idrici?.

 


Italia Oggi 10-5-2007    Stipendi giù e salta Sviluppo Italia di Giampiero Di santo

 

  La proposta di legge presentata in parlamento da un gruppo di deputati della Rosa nel pugno. Capezzone: la politica costa 4 miliardi, tra sprechi immani è diventata una magnifica ossessione:tutti dicono di volerla, ma poi nei fatti resta una chimera irraggiungibile. La riduzione dei costi della politica, di cui si favoleggia da anni, per ora è un'illusione. Tanto che Daniele Capezzone (Rosa nel pugno), presidente della commissione attività produttive della camera e tra i firmatari di una proposta di legge che cancella qualsiasi forma di partecipazione statale in Sviluppo Italia e nelle sue società controllate, ha indicato in una somma che oscilla tra i 3 e i 4 miliardi di euro il totale delle spese cosiddette indirette. 'Con questo soldi pubblici si pagano gettoni, stipendi ed emolumenti a un esercito di amministratori locali, manager pubblici, consiglieri e consulenti di istituti, scuole, centri, autorità, commissioni, enti, agenzie, comunità e società miste, non certo, salvo eccezioni, per la loro capacità professionale, le prove offerte sul campo, i risultati conseguiti o l'esigenza effettiva per la vita pubblica delle loro prestazioni, ma solo grazie a sponsorizzazioni politiche e per consolidare ed estendere la rete di potere clientelare dei partiti', ha scritto Capezzone nella presentazione della proposta firmata anche da Sergio D'Elia (Rnp) e da altri 15 deputati dello stesso partito. Per eliminare questa coltre che blocca la competitività del paese e 'la sua capacità di attrarre investimenti esterni' Capezzone &co cominciano dagli stipendi, con un tetto generale che non potrà essere superiore allo stipendio del primo presidente della corte di cassazione. L'articolo uno precisa, per evitare aggiramenti della norma, che si prende in considerazione il 'trattamento economico omnicomprensivo' e aggiunge che saranno riconosciuti rimborsi per spese di viaggio aereo non superiori alle spese previste per la classe economica. Dovranno sparire anche i contratti di assicurazione con i quali gli enti pubblici tutelano i loro amministratori 'per i rischi derivanti dall'espletamento dei loro compiti istituzionali connessi con la carica e riguardanti la responsabilità per danni cagionati allo stato o ad altri enti pubblici e la responsabilità contabile'. Ma è su Sviluppo Italia, considerata 'uno dei casi più eclatante di spreco di denaro pubblico anche attraverso il moltiplicarsi delle società controllate e partecipate', che si concentra l'intento risparmiatore e moralizzatore della proposta. L'articolato stabilisce che dal primo gennaio del 2008 lo stato non potrà più conferire risorse pubbliche alla società nata per attrarre investimenti esteri in Italia e accusata di avere 'clamorosamente fallito la sua missione'.Potranno essere finanziati solo i progetti già approvati in via definitiva al momento dell'entrata in vigore della legge ed entro il il primo gennaio dell'anno prossimo nessun rappresentante dello stato potrà fare parte degli organi della società e di quelli delle controllate, che dovranno essere messe i n liquidazione. Ma anche gli enti locali non verranno risparmiati dalla cura Capezzone: i gettoni di presenza dei consiglieri comunali, provinciali e circoscrizionali e delle comunità montane non potranno più essere convertiti in indennità di funzione che è assoggettata ad adeguamento al costo della vita. Né sarà più possibile aumentare o diminuire l'indennità di funzione e il gettone di presenza sulla base di delibere della giunta o del consiglio. La proposta delega inoltre il governo ad adottare uno o più decreti legislativi per regolamentare 'le indennità e i gettoni di presenza per i soggetti chiamati a partecipare alle assemblee elettive'. E interviene per ridurre i consigli circoscrizionali dei comuni con popolazione superiore a 300.000 abitanti, per limitare la possibilità di regioni e comuni di costituire società miste 'per le sole attività strettamente strumentali alla vita dell'ente'. Non manca la solita lista di enti e autorità da sopprimere, come Cnipa, Covip, Ipi, Isvap e altri. Che continuano a costare molto. E a resistere.


 

Italia Oggi 10-5-2007 Quel parlamentone costa 1 miliardo di Stefano Sansonetti

 

L'indagine di ItaliaOggi sui bilanci preventivi 2007 delle assemblee legislative di tutte le regioni. E solo nel Lazio un consigliere intasca più di 306 mila € Chi fa politica in Valle D'Aosta rimpiangerà per sempre di non essere nato nel Lazio o in Calabria. Per carità, occuparsi della cosa pubblica nel proprio territorio è di per sé una cosa ammirevole e fonte di imperitura soddisfazione. Ma se tu hai avuto in sorte un posto nel consiglio regionale valdostano, e poi vai a vedere quanto guadagna un tuo collega del parlamento laziale o calabrese, non riesci a non scagliarti contro il destino che più cinico e baro non poteva essere. All'ombra del monte Bianco, infatti, un parlamentare si porta a casa138 mila euro l'anno tra indennità varie, rimborsi spese e benefit. Nel Lazio, invece, molto più del doppio, ovvero 306.700 euro. In Calabria poco meno, e cioè 301 mila euro. La realtà è che ci si trova di fronte a un parlamento bis che non ha nulla da invidiare a quello che si divide tra palazzo Madama e Montecitorio. Quello dei consiglieri regionali, infatti, è un esercito di 1.125 parlamentari che pesa per più di un miliardo di euro sulle tasche dei cittadini. E soprattutto con differenze ragguardevoli tra regione e regione.ItaliaOggi ha esaminato i 20 bilanci preventivi 2007 approvati dai parlamenti regionali. Una Babele di voci di spesa, alcune delle quali assolutamente grottesche (vedi l'articolo a pag. 4), che gonfiano i preventivi anche oltre i contenimenti che qua e là si cercano di realizzare. Se si va a guardare il costo delle singole assemblee, si scopre che quella della Sardegna non ha eguali. Si tratta della bellezza di 156.910.000 euro, in buona parte spiegabili con lo statuto speciale di cui gode l'isola guidata da Totò Cuffaro. Una condizione che però permette di far filtrare in bilancio un po' di tutto (si veda l'articolo a pag. 4). Al secondo posto un'altra regione che gode di un alto tasso di autonomia, quella Sardegna di Renato Soru il cui parlamento ha messo in bilancio un costo di 102,6 milioni di euro. Qui, ed è l'unico caso, si tratta del consuntivo 2006, in quanto la regione è ancora alle prese con una travagliatissima approvazione della Finanziaria 2007 che ancora non è andata in porto. Al terzo posto, anche qui in risalto, la Calabria di Agazio Loiero, che ha un'assemblea che pesa per 78,5 milioni di euro. Le meno costose, in fondo alla classifica, sono il Molise (11,5 milioni di euro), ancora la Valle D'Aosta (17.056.440 euro) e le Marche (17.796.910 euro). Quest'ultima, però, balza al terzo posto della graduatoria dei guadagni dei singoli consiglieri, con ben 275 mila euro (vedi le tabelle in pagina). Del resto, soffermarsi un po' sul bonus che i parlamentari regionali si intascano ogni anno è quantomai stimolante. Le voci che lo compongono, come si può constatare leggendo i bilanci, sono quasi sempre numerose. Ci sono le indennità di carica e di funzione, quelle di missione e i rimborsi spese. Molto spesso, poi, si aggiungono benefit di ogni sorta, dai pedaggi autostradali pagati alle ricariche telefoniche, ai premi assicurativi. La media di tutti i consiglieri italiani, in sostanza, è di 213 mila euro.A sbaragliare la concorrenza, su questo specifico punto, è il parlamento regionale del Lazio. La voce di bilancio presa in considerazione, in questo caso, ingloba anche le indennità degli assessori esterni, ovvero non consiglieri, e le indennità di fine mandato. Il tutto per un totale di 23 milioni di euro, che divisi per il numero dei consiglieri e degli assessori esterni restituiscono appunto una media pro capite di 306.700 euro.E pensare che la componente indennità di questi bonus era stata messa sotto controllo dalla Finanziaria 2006. Il comma 54 dell'articolo 1 della legge (n. 266/2005), infatti, aveva stabilito la riduzione delle indennità corrisposte ai politici regionali 'nella misura del 10% rispetto all'ammontare risultante alla data del 30 settembre 2005'. Ieri, però, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 157, ha detto che il passaggio è illegittimo, 'perché il comma 54 pone un precetto specifico e puntuale, comprimendo l'autonomia finanziaria regionale ed eccedendo dall'ambito dei poteri statali in materia di coordinamento della finanza pubblica'. Insomma, quel tentativo di contenimento delle indennità non vale più e i parlamentari regionali, se vorranno, potranno ricominciare a rimpinguare il loro portafoglio.Le indennità, pur significative, rappresentano soltanto una delle voci di spesa più interessanti da controllare. Ci sono anche i vitalizi da corrispondere alla selva di ex consiglieri regionali che hanno smesso la loro attività. La Sicilia, tanto per iniziare dall'alto, spende per questa voce 21,5 milioni di euro, la Sardegna (sempre dati 2006) 16.750.000 euro, il Lazio 15,5 milioni, il Trentino-Alto Adige 13,5 milioni, la Campania 12.170.000. E che cosa dire delle immancabili spese per consulenze e convegni? Anche in questo caso scorrono fiumi di soldi. Quanto alle consulenze, ancora una volta troviamo in vetta la Sicilia con uno stanziamento complessivo 2007 di circa 3 milioni di euro. A scendere la Calabria, con 1.891.000 euro, il Piemonte (1.271.500 euro) e la Campania (1.021.500 euro). Dopo le prime quattro, tanto per dare un'idea delle grandezze, segue l'Umbria che spende 436.744 euro.Sui convegni è la Calabria, sempre lei, a non avere nessun termine di paragone. In questo caso l'assemblea regionale ha messo in bilancio spese che ammontano a 2.350.000 euro. La seconda in classifica, ovvero la sempre presente Sicilia, mette in preventivo 'solo' 1.040.000 euro. Il Piemonte non scherza e stanzia 1.013.000 euro. Su questo terreno, come su quello precedente relativo alle consulenze, dopo le prime tre assemblee regionali c'è uno stacco di risorse economiche non indifferente. Al quarto posto, infatti, si piazza il Friuli-Venezia Giulia, il cui parlamento regionale ha deciso di finanziare l'attività convegnistica con 500 mila euro.

 


 

Italia Oggi 10-5-2007 I parlamenti regionali mettono in bilancio cifre elevate per le voci più varie. Con sorprese grottesche. di Stefano Sansonetti

 

    Tra le mille spese folli delle regioni Portinai, vestiti, caffè, quadri. Non si fanno mancare nulla A palazzo ci sarà sicuramente un portiere, un sostituto portiere, un vice sostituto portiere e chissà quant'altro. Un po' quello che raccontava Luciano De Crescenzo in 'Così parlò Bellavista', nella doppia versione del libro e della sua fortunata trasposizione cinematografica. A leggere nel bilancio preventivo 2007 del consiglio regionale della Campania, infatti, viene stanziata la bellezza di 929 mila euro alla voce 'servizio di portierato'. Una cifra in grado di soddisfare un autentico sciame di portieri, vice, sostituti e simili. Insomma, non sia mai detto che chi si reca nella sede del parlamento regionale campano non trovi qualcuno ad accoglierlo e a indirizzarlo nella maniera più opportuna. Del resto la forma non è questione di lana caprina. Ad accorgersene è stata anche l'assemblea legislativa siciliana, che nelle sue previsioni di costi per l'anno in corso ha fissato in bilancio 250 mila euro per 'spese di vestiario'. è il vantaggio dell'autonomia, si dirà, quello sprint che soltanto lo statuto speciale può dare. Fortunati i dipendenti del parlamento dell'isola, che potranno optare per completi Armani da far invidia al resto dei colleghi italiani. Certo è che nel calderone dei costi complessivi dei consigli regionali, ovvero quel miliardo di euro documentato dall'inchiesta svolta da ItaliaOggi, c'è spazio per tutto. Anche per qualche fantasia di troppo.Quadri e scultureSi pensi ancora alla forma. Ci sono regioni nel cui bilancio vengono previste spese per l'acquisto di opere d'arte. Si sa, i parlamentari regionali hanno diritto di rinfrancare lo spirito, tra una delibera e l'altra. In Trentino Alto Adige, però, si corre il rischio di imbattersi nella sindrome di Stendhal: nella regione, anche questa a statuto speciale, il bilancio preventivo dell'assemblea stanzia 250 mila euro per cercare di aggiudicarsi pezzi rari con cui abbellire i locali delle istituzioni. Anche la Sicilia non lesina risorse in tale direzione, mettendo a preventivo 121 mila euro. Bar e caffetterieDel resto bisogna considerare che fare leggi in periferia, in un'epoca di federalismo travagliato, non è cosa da poco. Per questo, oltre ai circa 213 mila euro che ogni consigliere in media si intasca tra indennità, rimborsi e benefit vari, c'è anche molto altro per rendere le giornate più leggere. E qui entra in gioco il caffè, dogma italico che vale da Nord a Sud indistintamente. E chi meglio del Friuli Venezia Giulia di Riccardo Illy avrebbe potuto interpretare questa esigenza. Nel bilancio preventivo del parlamento regionale, infatti, sono messe in conto, per 'gestione del servizio interno bar', spese che ammontano a 70 mila euro. Di certo sarà impossibile addormentarsi durante le sedute del consiglio, anche quelle più soporifere. Ampie dosi di caffeina, ma non poteva essere diversamente, in Campania e Sicilia. La prima spenderà 139.350 euro in servizi di caffetteria e bouvette, la seconda addirittura 400 mila.Gli ex consiglieri si associanoE che dire di tutti gli ex consiglieri che adesso si trovano in pensione? Ci sono profumatissimi vitalizi per decine di milioni di euro e ancor prima ci sono altrettanto ricche indennità di fine mandato. Anche qui, però, il bottino non deve essere stato considerato sufficiente a garantire un tranquillo decorso post lavorativo. Allora ecco che i consiglieri del tempo che fu si sono organizzati nelle associazioni degli ex consiglieri, e i consigli regionali le finanziano senza sosta. Si va dalla Valle D'Aosta, che stanzia in questa direzione la modica cifra di 5.165 euro, si prosegue per il Veneto (33 mila euro), per l'immancabile Sicilia (34 mila euro), per la Campania (46.450 euro) e si arriva in Calabria che ha posto in bilancio ben 105 mila euro. Una finestra sul mondoRimanendo alla regione di Agazio Loiero, poi, si scoprono nel bilancio del parlamento regionale delle vere e proprie chicche. E visto che il respiro della regione deve essere sempre più internazionale, hanno ragionato in consiglio, perché non aprire una finestra sugli Stati Uniti? Immediata la risposta: il bilancio di previsione 2007 stanzia 100 mila euro per finanziare l'attività di cooperazione del 'patto di amicizia tra Calabria e West Virginia'. VestitiAll'inizio si diceva del vestiario. Oltre alla Sicilia, irraggiungibile con i suoi 250 mila euro, ad avere nella massima cura il capitolo sono anche l'Emilia Romagna (35 mila euro per gli abiti di servizio), il Trentino Alto Adige (20 mila euro) e la Puglia (10 mila euro).La ResistenzaLa Liguria di Claudio Burlando, invece, non dimentica il passato. E stanzia 250 mila euro per 'l'affermazione dei valori della Resistenza'. A cui si aggiungono 210 mila euro di contributo per gli Istituti storici della Resistenza.SiciliaUn caso a parte è rappresentato dalla Sicilia di Totò Cuffaro. Non soltanto è presente in tutte le voci di bilancio più curiose che caratterizzano i preventivi degli altri parlamenti regionali, ma offre capitoli di spesa del tutto peculiari. Del resto dall'alto dei suoi 157 milioni di costo complessivo dell'assemblea legislativa se lo può permettere. Si prenda la posizione degli ex consiglieri. Oltre ai finanziamenti relativi alle indennità di fine mandato e ai vitalizi, il parlamento guidato da Gianfranco Miccichè ha messo in bilancio un'altra indennità di fine mandato, 'a titolo di aggiornamento politico culturale' degli ex. Il tutto per un totale di 1 milione e 800 mila di euro. Per non parlare delle inziative per l'anniversario della prima seduta dell'assemblea regionale, che verranno alimentate da 1 milione e 100 mila euro. Altri 300 mila euro pioveranno sulla fondazione 'Federico II' per la promozione dell'attività del parlamento regionale, 280 mila per il noleggio di autovetture, 70 mila per l'associazione 'amicizia Sicilia-Tunisia' e 34 mila per finanziare l'Intergruppo federalista europeo costituito presso la stessa assemblea regionale. Chi più ne ha, più ne metta.

 


 

L’Unità 9-5-2007  I costi della Politica Roberto Roscani

 

 L'esempio toscano Gli specialisti, i sociologi della politica hanno trovato una definizione curiosa: il partitismo senza partiti. È quel fenomeno per il quale in questi decenni mentre i partiti di massa perdevano "peso" gli uomini dei partiti ne acquistavano sempre di più. A conti fatti sono fra le 300 e le 350mila le persone che oggi vivono di politica, o per meglio dire degli stipendi forniti dalle funzioni amministrative e dalla grande macchina politico-burocratica. Un numero che nel nostro Paese non era mai stato così alto. Senza banalizzare (e senza qualunquismi) si tratta di un fenomeno che ha mille cause, molte delle quali comprensibili, altre degenerative, altre ancora frutto di un cambiamento paradossale intervenuto dopo Mani Pulite quando il fiume dei soldi "grigi" (non parliamo le tangenti quotidiane ma il mega-flusso che arrivava dalle aziende pubbliche e para-pubbliche) si è seccato e con una reazione quasi automatica la macchina politico-amministrativa ha cercato nuove possibili strade. Eppure oggi il fenomeno sta diventando una urgenza, se non una emergenza. E a dircelo non è solo il successo di libri come quello firmato da Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella con il loro florilegio di assurdi privilegi (il barbiere gratis dei senatori, l'ufficio oggetti smarriti che rimborsa i deputati distratti o vittime dei colleghi malandrini) che fanno molto colore. Il problema è più radicale e riguarda il rapporto tra governanti e governati, tra chi è stato eletto in nome della "buona politica" contro gli interessi privati e le sue azioni concrete. Che si sia davanti ad una emergenza ce lo racconta anche il fatto che qualcosa comincia a muoversi concretamente. La regione Toscana ieri ha annunciato un piano di riorganizzazione e di risparmi: enti e strutture nate nel corso degli anni verranno riviste, accorpate, fatte dimagrire, poltrone (dalle presidenze ai consigli di amministrazione) verranno ridotte, i modi di funzionamento rivisti. "Abbiamo chiesto ai cittadini di fare sacrifici, abbiamo dovuto aumentare il bollo dell'auto ed altre entrate fiscali per 65 milioni di euro. Ci siamo impegnati a tagliare tra le spese dell'amministrazione per altrettanto. Ci stiamo riuscendo". Intanto è un buon segno voler mantenere gli impegni e impegni non di poco conto. Ma la cosa più importante è che - partiti da questa esigenza - gli amministratori toscani hanno verificato sul campo che i tagli possono essere non solo un sacrificio ma una buona occasione. Riorganizzare, razionalizzare riesce a far funzionare meglio la macchina amministrativa, riesce a far saltare qualche diaframma di troppo tra governanti e governati. È il primo passo. Ma l'esempio toscano deve diventare una priorità. Perché la questione dei costi della politica è un tema di sinistra se viene gestito per ridare slancio alla macchina della pubblica amministrazione, per riportare i cittadini vicini alle istituzioni e la politica sulla stessa lunghezza d'onda dei cittadini. Bisogna crederci, anche perché l'antipolitica sta lì, pronta a cavalcare questa questione tutta in chiave denigratoria. La democrazia è complessa e articolata. Difenderne la complessità significa evitare che divenga artificiosa, traballante, inutilmente costosa. Se no rispunterà un Berlusconi pronto a "tagliare tutto", magari col consenso della gente. Tanto lui è ricco di famiglia e la politica gli serve per difendere e moltiplicare i soldi che ha già.

 


 

Italia Oggi 9-5-2007 Ai politici 200 milioni in più Finita in nulla la promessa di Prodi di ridurre i costi del sistema. di Franco Bechis 

 

 Nel raccontarla hanno messo tutta la fantasia possibile, e qualcuno forse se l'è anche bevuta. Ma il promesso, anzi, più volte annunciato, taglio dei costi della politica è il principale fantasma nel menù del consiglio dei ministri guidato da Romano Prodi. Qualche codicillo un po' furbesco è stato inserito nelle ultime due leggi finanziarie, dal governo vecchio e da quello nuovo. Ma la realtà è svelata ora dal rapporto della Ragioneria generale dello stato sulle spese del 2006 raffrontate con i due anni precedenti. I costi della politica in un biennio sono aumentati di poco meno di 200 milioni di euro, altro che tagli. Saliti del 28,68% i trasferimenti ai partiti politici, e dell'8,5% quelli agli eletti (...) Erano di 156 milioni di euro i contributi ai partiti politici italiani nel 2005, sono diventati di 201 milioni. Costavano 1 miliardo e 605 milioni i tre organi costituzionali (Quirinale, Senato e Camera), nel giro di un biennio la spesa per il loro funzionamento è salita a 1 miliardo e 742 milioni. E non basta, perché non poche altre promesse legate alla cura dimagrante (fallita) per uno Stato-monstre sono rimaste lettera morta. Si guardi al costo del lavoro nella pubblica amministrazione, quella che il tribuno di questo o quel partito hanno sempre promesso più snella. Bene, in due anni la sola presidenza del Consiglio dei ministri ha portato la spesa per stipendi da 140 a 169 milioni di euro, con un incremento del 20%. L'intera spesa per il personale della pubblica amministrazione è cresciuta da 84 a 92 miliardi di euro. In clima di mancata riforma delle pensioni, lievitati anche i trasferimenti agli enti di previdenza. Ammontavano nel 2004 a 69,9 miliardi, due anni più tardi sono saliti a 75,3 miliardi di euro. Attenzione, perché come dimostra bene il servizio a pagina 5, nello stesso arco di tempo non sono mancati tagli ai trasferimenti pubblici. Solo che hanno preservato come sempre la casta al comando e gettato ulteriore benzina sugli incendi della finanza pubblica che si doveva spegnere. Mentre la cinghia è stata tirata da imprese private, disoccupati, associazioni senza fine di lucro, scuole private, perfino dalla Chiesa cattolica. Il dilagare dei costi della politica a questo punto è diventato un'emergenza nazionale, dovrebbe essere al primo punto della prossima manovra economica. Perché quel malcostume che lo Stato mostra a livello centrale si è propagato in tutta la periferia. Nelle regioni (e domani pubblicheremo una ampia inchiesta sui costi locali della politica), ma anche nelle province e nei comuni. Che invece di aiutare la società a crescere e svilupparsi, occupano per pochi spazi di tutti, drenano risorse facendole marcire, allargano la loro ombra minacciosa su interi settori dell'economia (come si è visto nell'inchiesta sui piccoli Iri regionali). Bisogna fermare questa piovra...Franco Bechis.

 


 

La Repubblica 9-5-2007 L'EVENTO Il magistrato, protagonista della stagione di Mani Pulite e oggi consigliere di Cassazione, torna nel suo Ateneo Davigo in cattedra, lezione di legalità

 

"La corruzione c'è ovunque, ma da noi pochi la denunciano" COSTANTINO MALATTO "La corruzione non è un fenomeno solo italiano. Ma negli altri paesi la situazione non è così degradata come in Italia": Piercamillo Davigo, oggi consigliere della Corte di Cassazione, è un magistrato che sull'argomento ne sa più della maggioranza dei colleghi, avendo fatto parte per anni del pool Mani Pulite di Milano negli anni caldi delle inchieste sulle tangenti e la politica. Davigo, laureato più di trent'anni fa a Genova, è tornato ieri nell'aula magna dell'Ateneo per una conversazione su "I grandi mali dell'Italia: criminalità organizzata e corruzione". "Ci sono reati - spiega Davigo alla platea affollatissima di studenti - che vengono sempre denunciati, come per esempio i furti d'auto. Altri, come il borseggio, che spesso non lo sono. La corruzione, da noi, è denunciata raramente: perché è senza testimoni e corrotto e corruttore hanno tutto l'interesse a tacere perché ambedue sono punibili". Dunque il reato di corruzione, per diversi motivi, spesso viene taciuto. "Accade così un fenomeno molto strano - dice il magistrato - . Secondo l'indice di "corruzione percepita" elaborato da una organizzazione internazionale il paese meno corrotto è la Finlandia. L'Italia naviga nelle ultime posizioni di questa classifica, anzi in Europa è seguita solo dalla Grecia. Ma secondo le statistiche ufficiali ci sono più denunce di corruzione in Finlandia che in Italia. Vale a dire che il paese meno corrotto ha più casi di corruzione di quello più corrotto". Davigo forse ha la sensazione che la corruzione sia un reato sottovalutato. Dunque ci tiene a mettere subito alcuni punti fermi: "In base alla mia personale esperienza e a quella degli altri magistrati - afferma - si deve sapere che la corruzione e la concussione costituiscono un crimine organizzato. C'è un sistema criminale di corruttori e un sistema criminale di corrotti. Inoltre la corruzione è "diffusiva", vale a dire che tende a diffondersi nell'ambiente in cui è commessa, ed è "seriale", cioè quando uno viene corrotto una volta è normale che prosegua su questa strada". La situazione in Italia è aggravata dal fatto che la stessa azione possa essere configurata come "concussione" (quando il pubblico ufficiale ha un potere superiore a colui che lo corrompe) o come "corruzione" (quando il potere è bilanciato). Il magistrato racconta un episodio dell'inchiesta sulle "carceri d'oro", partita proprio da Genova: "L'imprenditore accusato di corruzione - ricorda - costruiva carceri. Quando lo interrogai mi rispose: questa non è corruzione, ma concussione. Se io non pago i funzionari pubblici per avere gli appalti non lavoro, non posso mica costruire carceri per altri che non siano lo Stato". Ecco dunque che la situazione è aggravata dall'incertezza legislativa: "La concussione crea confusione - assicura Davigo - per questo uno dei primi passi per dare un colpo decisivo al sistema della corruzione è quello di eliminare il reato di concussione. Poi bisogna eliminare l'omertà per cui a nessuno dei protagonisti - chi paga e chi riceve - conviene parlare: basterebbe sancire la non punibilità del primo che parla. Infine garantire la funzionalità delle operazioni di copertura".

 

 


La Repubblica 8-5-2007 Palermo VERSO LE ELEZIONI "Voti comprati nei quartieri" L'Unione si appella al ministro MASSIMO LORELLO

 

Lettera ad Amato e al prefetto: vigilare sulle illegalità La denuncia: "Molti candidati del centrodestra offrono soldi buoni benzina e telefonini" Forza Italia: "Non facciamo baratti sui consensi". L'Udc "Ma è giusto che si indaghi" A cinque giorni dall'apertura delle urne l'ombra dei voti comprati si abbate sulla campagna elettorale. Con una lettera al ministro degli Interni, Giuliano Amato, l'Unione denuncia che, per acchiappare consensi, "candidati del centrodestra" avrebbero offerto soldi, telefonini, buoni benzina e buste ricolme di spesa. "Dopo il bagno di folla di Leoluca Orlando al palazzetto dello sport, evidentemente il voto a Palermo costa un po' di più", afferma l'europarlamentare di Rifondazione comunista, Giusto Catania. è sua l'idea di scrivere la lettera ad Amato ma anche al presidente della commissione Antimafia, al prefetto al questore e al comandate dei carabinieri di Palermo. Missiva alla quale si sono subito associati Franco Piro (Margherita), Fabio Giambrone (Italia dei valori) e Giuseppe Apprendi (Ds). "Ci sentiamo di affermare - si legge nella lettera - che il voto rischia di essere inficiato da innumerevoli illegalità, da un vero e proprio mercimonio che rischia di corrompere il carattere democratico della competizione elettorale. Nei quartieri popolari della nostra città, stiamo assistendo a fenomeni inquietanti: numerosi candidati dei partiti che sostengono la candidatura del sindaco uscente stanno distribuendo soldi, telefonini, buoni per la benzina, pacchi di pasta, finte lettere di assunzione con l'obiettivo dichiarato di corrompere la libera espressione del voto democratico". Girando per le borgate i candidati dell'Unione hanno appurato anche che "i certificati elettorali vengono fotocopiati per controllare le preferenze seggio per seggio, viene richiesta una prova del voto attraverso l'utilizzo di telefonini con fotocamera e molti cittadini rischiano di essere ingannati da questi fenomeni". Per un voto, a sentire i candidati del centrosinistra, verrebbero pagati 50 euro a Brancaccio, al Cep e a Borgo Nuovo, e 75 nel residence Marinella (zona Tommaso Natale). Ma non è solo con i soldi che gli elettori dei quartieri popolari sarebbero corteggiati. Nella lista dei regali sono comparsi i cellulari e i lettori Mp3 e alle solite buste per la spesa si sono aggiunti gli articoli per la casa. "Dopo l'incontro con Orlando di domenica - osserva Fabio Giambrone - dopo che si sono fatti i conti sul numero di elettori presenti al palasport, nelle borgate sono aumentate le operazioni di corteggiamento. In appena ventiquattr'ore è cresciuto il via vai di galoppini. è necessario che in questi ultimi giorni di campagna elettorale le forze dell'ordine controllino le borgate. è una questione di democrazia". Parallelamente alla compravendita di voti, l'Unione denuncia il rischio di manomissione delle schede dei quattromila non vendenti che andranno alle urne. In precedenza, ciascuno di loro era assistito nelle operazioni di voto da un parente. Ma domenica e lunedì ad accompagnarli e ad aiutarli nella compilazione della scheda dovrebbero essere i 132 giovani del servizio civile in forza all'Istituto dei ciechi. "Non possono essere quei giovani - dice l'Unione - ad accompagnare al seggio gli elettori non vedenti". Forza Italia rispedisce al mittente le accuse dell'Unione e lo fa, prima di tutto, con il presidente dei senatori, Renato Schifani: "Torna l'orlandismo, secondo il quale il sospetto è l'anticamera della verità. Se i firmatari della lettera hanno elementi concreti o nomi da fare, allora dicano ogni cosa con chiarezza". Aggiunge il coordinatore cittadino, Enzo Galioto: "Chiunque conosca la tradizione di Forza Italia, sa bene che la raccolta del consenso è sempre avvenuta sulla base di programmi condivisi e non di baratti di alcun genere". Saverio Romano, segretario regionale dell'Udc, invece, considera la compravendita del voto "un atto estremamente deprecabile" dal quale il suo partito prende le distanze. "Sono sistemi - dice Romano - che appartengono a una certa cultura deteriore del passato. L'Udc non soltanto li condanna ma invita gli organi di polizia a svolgere le opportune indagini per trovare i responsabili e denunciarli alla magistratura".

 


La Stampaweb.it 8-5-2007 Messina, nove arresti per tangenti Tra gli indagati il presidente della Regione Sicilia Totò Cuffaro Coinvolti politici e imprenditori.

 

In carcere l'ex presidente del consiglio comunale, Umberto Bonanno. Tra gli indagati anche il presidente della regione Cuffaro. MESSINA Nove provvedimenti cautelari, sei in carcere e tre ai domiciliari sono stati eseguiti all'alba di oggi dalla Squadra mobile nell'ambito dell'inchiesta sul piano regolatore generale di Messina e sull'intreccio d'interessi che vi ruota intorno attraverso le procedure amministrative di rilascio delle concessioni edilizie, dei piani-quadro e delle lottizzazioni. I provvedimenti restrittivi nell'ambito dell'operazione "Oro grigio" sono stati firmati dal giudice per le indagini preliminari Maria Angela Nastasi su richiesta del sostituto procuratore della Dda Rosa Raffa e dei colleghi del pool pubblica amministrazione Angelo Cavallo e Giuseppe Farinella. In carcere sono finiti, con l'accusa di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione ed alla commissione di falsi "con riferimento alla gestione di importanti operazioni immobiliari di ingente valore economico", tra gli altri, l'ex presidente del consiglio comunale, Umberto Bonanno (Forza Italia), l'avvocato Giuseppe 'Puccì Fortino, il funzionario tecnico dell'Ufficio area coordinamento politica del territorio del Comune Antonino Ponzio e il funzionario tecnico della facoltà di Scienza della Formazione dell'Università Antonio Gierotto. Gli altri provvedimenti riguardano imprenditori operanti nel settore dell'edilizia. Gli arrestati ed altri indagati - cui politici e e funzionari della Regione - secondo l'accusa, avrebbero intascato tangenti per la realizzazione del complesso abitativo "Green Park" sul viale Trapani, facendo approvare una variante al piano regolatore generale di Messina per l'edificazione di otto corpi di fabbrica, elevandone l'indice di cubatura. L'operazione immobiliare avrebbe dovuto portare ad intascare tangenti per 1 milione 550 mila euro e a ottenere anche la cessione di alcuni appartamenti dalle società costruttrici S.a.m.m. costruzioni e Ar.ge.mo. srl. Tra gli indagati il presidente della Regione Siciliana Salvatore Cuffaro e l'imprenditore palermitano Michele Aiello, il sindaco di Messina Francantonio Genovese, l'ex 'patron' della Dc peloritana Giuseppe Astone, l'ex sindaco Giuseppe Buzzanca, l'ex presidente della Regione Giuseppe Campione, l'ex sottosegretario Santino Pagano, il senatore Nanni Ricevuto, e l'ex segretario della Cisl Carmelo Briante. Oltre un anno d'intercettazioni telefoniche e ambientali hanno consentito alla squadra mobile di ottenere la prove della spartizione da parte degli arrestati di mazzette per 127 mila euro; 62.500 li avrebbe incassati l'avvocato Fortino, 37.500 il funzionario Gierotto (considerato il braccio operativo di Fortino), 17.900 l'ex presidente del consiglio comunale Bonanno e 10 mila euro il funzionario comunale Ponzio. Gli arrestati si erano già spartiti altri 120 mila euro ma non se ne conosce la suddivisione in quote. La complessa inchiesta aperta nel 2006 della Dda, del pool pubblica amministrazione e della squadra mobile di Messina ruota attorno alle dichiarazioni dell'imprenditore Antonino Giuliano, il cosiddetto "Pentito Alfa" che, ridotto sul lastrico, ha cominciato a collaborare con i magistrati di Reggio Calabria prima e di Messina poi raccontando di un gruppo "politico-affaristico" costituito da personaggi in grado di ottenere con metodi illegali, avvalendosi delle competenze specifiche di ognuno, le necessarie autorizzazioni amministrative per la realizzazione di nuovi complessi abitativi in aree non previste come edificabili dal Prg. Le sue dichiarazioni ed i successivi riscontri hanno portato all'iscrizione di sessantaquattro persone (politici, imprenditori, amministratori, tecnici, professionisti) nel registro degli indagati ai quali vengono contestati i reati di associazione per delinquere usura, estorsione, peculato, falso, abuso d'ufficio, corruzione, concussione, turbativa d'asta, ricettazione e procacciamento violento di voti durante le campagne elettorali a partire dal 2000. Tra gli indagati anche l'assessore comunale ed ex presidente dell'Ordine degli ingegneri Arturo Aloni, l'avvocato Andrea Lo Castro e gli imprenditori Carlo Borella, Pasquale Saverio Colao, Antonello Giostra, Antonino Versaci e Vincenzo Vinciullo. I particolari dell'operazione "Oro grigio" saranno illustrati nel corso di una conferenza stampa in Questura alle 11.

 

 


La Gazzetta del Mezzogiorno 7-5-2007 Partiti, più diminuiscono gli iscritti più aumentano i costi per i contribuenti Mario Caligiuri

 

Bilanci costituiti in gran parte dai finanziamenti pubblici autoassegnati in modo... bipartisan Partiti, più diminuiscono gli iscritti più aumentano i costi per i contribuenti Mario Caligiuri Il problema non è di poco conto. Con la cosiddetta seconda Repubblica, più i partiti diminuiscono in iscritti e più costano ai contribuenti. Il ceto politico prima del 1992, è stato spazzato via sull'onda di un legittimo rigetto contro un affarismo imperante e la difficile sostituzione dei governanti al potere. Ma adesso come siamo messi? Dopo quindici anni, per molti aspetti anche peggio. Potremmo allora dire che il rimedio è stato peggiore del male? Se analizziamo la presenza delle forze politiche all'interno della società, è facile constatare come i militanti siano ridotti a poco più di 2,3 milioni su oltre 47 milioni di elettori per la Camera che diventano quasi 50 con la circoscrizione estera. Magicamente, è invece aumentato il numero dei professionisti della politica, anche sulla base del federalismo che, trasferendo compiti e funzioni dal centro alla periferia, ha aumentato a dismisura il numero, ed i costi, di chi si dovrebbe occupare della cosa pubblica. Non sono processi casuali. Nel 1975, in uno studio della Trilateral Commission si sosteneva che le democrazie per essere efficienti avevano bisogno di una bassa partecipazione dei cittadini. Per una serie di fattori, dalla trasmissione di valori rivolti al consumismo all'imporsi di un sistema mediatico sempre più pervasivo ed "educante", il riflusso dalla vita pubblica è evidente. E questo a prescindere dalla rinnovata partecipazione formale di questi ultimi anni, iniziata con le elezioni presidenziali americane e confermata anche dalle elezioni italiane del 2006 (quelle delle liste bloccate) e adesso dalle presidenziali francesi. Una partecipazione che si basa esclusivamente sulle spinte emotive e mediatiche, conseguenza di attente e costose politiche di marketing. Infatti, è palese che il consenso è fortemente condizionato dalle disponibilità economiche che vengono impegnate nelle campagne pubblicitarie. In questo senso Fareed Zakaria, parla addirittura di "democrazia senza libertà" e c'è anche chi come Noreena Hertz, la quale da anni sostiene che in assenza di chiare distinzioni ideologiche, i partiti cercano di distinguersi solo in termini di marketing, e afferma che "in un ambiente politico sempre più globale in cui i politici sono sempre meno in grado di esprimere strategie e contenuti autentici, essi dipendono sempre di più dal denaro per catturare l'attenzione del pubblico". Per comprendere che la musica è questa anche in Italia, basta leggere i bilanci dei partiti, che sono costituiti in grandissima parte dai finanziamenti pubblici che i diretti beneficiari si autoassegnano in modo assolutamente bipartisan. Il "costo della politica" è anche quello delle campagne elettorali, ma incide soprattutto nella selezione di una classe dirigente che pensa prevalentemente a tutelare le proprie rendite, perché non ha alcuna necessità di affrontare i problemi veri, e seri, che investono il Paese. La stella polare è essere funzionali esclusivamente alle ristrettissime oligarchie che decidono le candidature nelle elezioni politiche, dalle quali discendono poi tutti i mali, che si allargano a macchia d'olio nel resto del Paese. Infatti, per mantenere i propri privilegi diventa poi automatico estenderli alle categorie più prossime. Solo così si possono spiegare, tanto per dirne una, le indecenze dei medici della Camera dei deputati che percepiscono stipendi di 250 mila euro annui. Gli esempi sono innumerevoli ma tutti dello stesso segno, dimostrando come sia strutturale il fenomeno dei costi della politica per mantenere in vita un sistema che favorisce una cerchia molto ristretta. Va detto chiaro e tondo che la degenerazione è nata alla Camera ed al Senato, dove vengono dettate, o più facilmente stravolte, le regole. E' dal Parlamento che dunque occorrerebbe partire. Ma poco lo si potrà fare con le leggi elettorali. Si tratta di semplici palliativi che, nella migliore delle ipotesi, spostano di poco il problema. Per capirci: se c'è chi lo vuole, nessuna legge elettorale potrà mai impedire che veline e diretti congiunti possano ritornare in Parlamento. Questo, lo sanno tutti. C'è un modo per difenderci? Secondo me, sono maturi i tempi per la creazione di un movimento di opinione tipo la "Common Cause" statunitense che monitora i costi delle politiche pubbliche. Perché passa proprio dall'abbattimento di questi costi, la selezione di una nuova classe dirigente capace di riallacciare un rapporto nuovo e moderno con i cittadini. (lunedì 7 maggio 2007).


RadioRadicale.it 4-45-2007   I politici italiani sono una casta”, parla Gianantonio Stella. Dimitri Buffa

“I politici italiani sono una casta”

Parla Gianantonio Stella

“Nessun qualunquismo e nessun moralismo da parte mia e di Rizzo nel voler scrivere il libro sugli sprechi”

La prima cosa che il giornalista del “Corriere della Sera” Gianantonio Stella tiene a precisare a proposito del libro scritto a quattro mani con Sergio Rizzo e inviolato non per caso “La casta” (editore Rizzoli), in libreria da pochi giorni, è che “l’intento con cui abbiamo lavorato non è stato né moralistico né qualunquistico”.

Il problema è quello del contribuente che paga per mantenere con le tasse sempre più elevate un apparato burocratico elefantiaco con troppi enti locali “(le province sarebbe meglio abolirle come già diceva il liberale Einaudi”) che si sovrappongono e con troppi stipendi parassitari. “Non è possibile – dice Stella- che un presidente di consiglio circoscrizionale guadagni 5 mila euro al mese o che una Asl abbia più centralinisti di Buckingam palace, e se la politica non si fa carico di correggere queste cose, allora deve per forza subentrare la denuncia giornalistica e l’inchiesta”.

D’altronde basta leggere su internet come la stessa Rizzoli promuove questo libro per capire di cosa stiamo parlando: “Aerei di Stato che volano 37 ore al giorno, pronti al decollo per portare Sua Eccellenza anche a una festa a Parigi. Palazzi parlamentari presi in affitto a peso d’oro da scuderie di cavalli. Finanziamenti pubblici quadruplicati rispetto a quando furono aboliti dal referendum. “Rimborsi” elettorali 180 volte più alti delle spese sostenute. Organici di presidenza nelle regioni più “virtuose” moltiplicati per tredici volte in venti anni. Spese di rappresentanza dei governatori fino a dodici volte più alte di quelle del presidente della Repubblica tedesco. Province che continuano ad aumentare nonostante da decenni siano considerate inutili. Indennità impazzite al punto che il sindaco di un paese aostano di 91 abitanti può guadagnare quanto il collega di una città di 249mila. Candidati “trombati” consolati con 5 buste paga. Presidenti di circoscrizione con l’autoblu. La denuncia di come una certa politica, o meglio la sua caricatura obesa e ingorda, sia diventata una oligarchia insaziabile e abbia allagato l’intera società italiana…”

Insomma Stella siamo vicini al punto di non ritorno con questi sprechi?

“Io temo di sì e quando sento che alcuni uomini politici si lamentano del presunto qualunquismo di questa inchiesta mi rendo conto di quanto una gran parte di quella che io chiamo già nel titolo del libro “casta” viva fuori dalla realtà. Qui non si tratta di contestare i costi della politica in quanto tali o il finanziamento pubblico al quale io e Rizzo non ci dichiariamo contrari. In ballo invece c’è il contenimento di una spesa pubblica che si perde in mille sprechi e in migliaia di privilegi e che il cittadino non è più disposto a tollerare pagando di tasca sua. Anche perchè, e qualcuno questo poco lo nota, se le tasse finiscono quasi tutte per mantenere il parassitismo politico clientelare, cosa ci rimane per il welfare?”

Un capitolo del libro, riguardante le spese del Quirinale e i suoi bilanci non trasparenti, è stato anticipato qualche giorno fa dal Corriere della sera che è il giornale per cui tu scrivi. Che reazioni sono venute dall’inquilino del Colle?

“Da quello attuale per ora nessuna. Dal suo predecessore invece una precisazione pubblicata dal “Corriere” in cui si evidenziava il fatto che l’appannaggio fosse rimasto invariato e che per giunta adesso ci si pagavano sopra le tasse, merito questo non di Ciampi ma di una legge approvata all’epoca del suo predecessore Scalfaro su proposta di un deputato che si chiama Nicola Bono (di An, ndr) contenuta in un emendamento alla finanziaria del 1997, votato a larga maggioranza.”

E nel merito della scarsa trasparenza dei conti del Quirinale lievitati fino a quattro volte quelli di Buckingam Palace? Qualcuno come al solito ha gridato alla lesa maestà istituzionale?

“Nel merito nessuno risponde, l’essere casta consiste in questo. E nel non curarsi neppure più delle critiche. C’è la convinzione che sia un attacco alla democrazia, ad esempio, chiedere come sia possibile che Bassolino abbia avuto nel 2004 un fondo spese per la rappresentanza dodici volte più alto di quello del presidente della repubblica tedesco. Io mi chiedo se questo sia un modo serio di rispondere in un dibattito. Accusando che fa inchieste di qualunquismo e demagogia. Come se fossero i giornalisti da allontanare la gente dalla politica semplicemente denunciando questi atteggiamenti parassitari.”

Che deduzioni si possono trarre da questa difesa corporativa, o di “casta”?

“Diciamo la verità , io non sono mai stato radicale né ho mai votato per Pannella, però sono gli unici che in tutti questi anni si sono dimostrati sensibili alla riduzione degli sprechi e dei costi assurdi della politica. Degli altri invece non ricordo iniziative serie per ridurre questi incredibili privilegi.

Resto sbalordito a vedere il professor Luigi Cancrini, che milita nel partito di Diliberto, che non più tardi di dieci giorni fa ha detto di volere chiedere al governo un’accelerazione su due temi come la lotta alla povertà e quella al privilegio, e che invece adesso giustifica il fatto di godere non solo della retribuzione da parlamentare italiano ma anche della pensione da consigliere regionale del Lazio, se non è “casta” questa non so di che stiamo parlando..”

Naturalmente,come si diceva prima, la difesa degli interessati coincide con l’accusa nei tuoi confronti e del tuo collega Rizzo di essere dei “qualunquisti”..?

“E’ una difesa disperata. Io odio il partito della bistecca o della pagnotta, non ho mai detto che i politici siano tutti uguali e non mi ritengo affatto un qualunquista. E credo di potere parlare anche per Rizzo. Noi non diciamo neppure che la polizia non debba essere finanziata, anzi la pensiamo al contrario. Però ci vuole il senso della misura. E il libro è stato fatto con questo spirito. Noi non vogliamo che il Capo dello Stato vada a vivere in una palazzina a Montesacro. Deve certamente avere una residenza di grande rappresentanza.

E’ una questione di immagine internazionale. Dobbiamo fare bella figura. Però non si capisce perchè debba costare quattro volte Buckingam palace. Questo non è accettabile.”

La morale del libro è che gli italiani non possono permettersi gli attuali costi della politica?

“Esatto, noi non possiamo permetterci più l’esistenza di comunità montane che stanno a livello del mare o i presidenti dei consigli circoscrizionali con l’auto blù e uno stipendio da 5 mila euro al mese, non possiamo permetterci 150 province come qualcuno vorrebbe, che si aggiungono ai comuni e alle regioni e a miriadi di altri enti locali. Non finirà lo stato di diritto e la libertà se si aboliscono le province, lo ha fatto anche l’Inghilterra e mi pare che ci sia ancora la democrazia..”

Dimitri Buffa


Teatronaturale.it 6-5-2007  LA CASTA, OVVERO QUANDO I POLITICI ITALIANI DIVENTANO DEGLI INTOCCABILI di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, edito da Rizzoli


Nel libro di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, edito da Rizzoli, il quadro terribile di un Paese che non conosce il senso della misura e del buon senso. Non si tratta di qualunquismo, ma l'inchiesta dei due giornalisti del "Corriere della Sera" lascia l'amaro in bocca
(06 Maggio 2007 TN 17 Anno 5)

di T N

E' inutile nascondere i nostri sentimenti. Ci fa un immenso piacere segnalare un libro che va, a nostro parere, acquistato in tutta fretta e con gusto, non tanto perché ci sia qualcosa di nuovo all'orizzonte, ma semplicemente per confermare ( e confermarci) quanto già sapevamo: siamo messi piuttosto male.

Il mondo politico italiano non brilla di luce propria, perché, come tutti sanno, è ricoperto da uno spesso strato di fango, piuttosto melmoso.
Troppe le ingiustizie, troppi i soprusi, troppi gli inganni, troppi gli arricchimenti.
I politici italiani non esprimono nulla di buono. Con ciò non vogliamo certo cadere nel luogo comune di chi considera la politica marcia fino all'osso (in realtà lo è),anche perché sappiamo che esiste una minoranza di politici che crede nei valori alti della politica; tuttavia, è bene anche esprimere un sentimento comune, che non è poi così campato in aria: la nostra classe politica non merita alcuna stima, le peggiori parole, le peggiori ingiurie, i politici nostrani le meritano ampiamente.
Qualunquistio noi? No, in modo assoluto no!
Per questo, vi invitiamo a leggere un libro serio, onesto, sincero, maledettamente terribile.
Riportiamo le note di copertina, in modo da avere un percorso di lettura; ma il nostro invito è ad acquistarlo, perché ci si renda conto di cosa sia l'Italia dei politici.
Buona lettura.


Alcune domande impertimenti
Che futuro ha un Paese dove la fame di poltrone ha spinto a inventare le comunità montane al livello del mare?
Dove il Quirinale spende il quadruplo di Buckingham Palace?
Dove una “lasagnetta al ragù bianco e scamorza” dello chef del Senato costa la metà di una pastasciutta alla mensa degli spazzini?
Dove ci sono partiti nati dalla mutazione genetica di una bottega di cuoio e ombrelli?
Dove conviene fiscalmente regalare soldi a una forza politica piuttosto che ai bambini lebbrosi?
Che futuro ha un Paese così?

Alcuni esempi su cui è bene riflettere
Aerei di Stato che volano 37 ore al giorno, pronti al decollo per portare Sua Eccellenza anche a una festa a Parigi.

Palazzi parlamentari presi in affitto a peso d’oro da scuderie di cavalli.

Finanziamenti pubblici quadruplicati rispetto a quando furono aboliti dal referendum.

“Rimborsi” elettorali 180 volte più alti delle spese sostenute.

Organici di presidenza nelle regioni più “virtuose” moltiplicati per tredici volte in venti anni.

Spese di rappresentanza dei governatori fino a dodici volte più alte di quelle del presidente della Repubblica tedesco.

Province che continuano ad aumentare nonostante da decenni siano considerate inutili.

Indennità impazzite al punto che il sindaco di un paese aostano di 91 abitanti può guadagnare quanto il collega di una città di 249mila.

Candidati “trombati” consolati con 5 buste paga. Presidenti di circoscrizione con l’autoblu.

La denuncia di come una certa politica, o meglio la sua caricatura obesa e ingorda, sia diventata una oligarchia insaziabile e abbia allagato l’intera società italiana.

Storie stupefacenti, numeri da bancarotta, aneddoti spassosi nel reportage di due grandi giornalisti. Un dossier impressionante, ricchissimo di notizie inedite e ustionanti. Che dovrebbe spingere la classe dirigente a dire: basta.

Chi sono gli autori
Sergio Rizzo è nato a Ivrea nel 1956. Responsabile della redazione economica romana del “Corriere della Sera”, ha lavorato a “Milano Finanza”, al “Mondo” e al “Giornale”. Ha scritto con Franco Bechis In nome della rosa. La storia della casa editrice Mondadori, pubblicato dalla “Newton Compton” nel 1992.
Gian Antonio Stella è nato ad Asolo (Treviso) nel 1953. Inviato ed editorialista del “Corriere della Sera”, dopo l’esordio nella saggistica con Schei. Il mitico Nordest dal boom alla rivolta, ha scritto numerosi libri. Tra i quali Tribù. Foto di gruppo con Cavaliere, L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi, Odissee. Italiani sulle rotte del sogno e del dolore, Sogni e fagotti (con Maria Rosaria Ostuni), Avanti popolo. Figure e figuri del nuovo potere italiano e il romanzo Il maestro magro.


 

La Repubblica 6-5-2007 L'odio per i politici Pietro Citati

 

 Noi crediamo che si odino. Quando li vediamo alla televisione, Berlusconi insulta i comunisti: D'Alema disprezza con sarcasmo Berlusconi: l'immensa, abbagliante scatola cranica di Rizzo copre d'offese i democratici, Prodi e Forza Italia: Calderoli dileggia i meridionali e gli emigranti: Diliberto, con la sua aria da faina, denigra gli assassini americani e i loro lacchè italiani (così parlava Stalin): Maurizio Gasparri, con gli sguardi da bambino vizioso, insulta Rutelli, Dini, Fassino, D'Alema, Prodi, Diliberto, Bertinotti; mentre, in un angolo della scena, con le maniere e la voce untuosa di un Monsignore dell'Ottocento, Bondi deplora la malafede degli avversari. E così via, ogni sera, negli innumerevoli, insopportabili talk-show televisivi, assordandoci di chiacchiere tediose, al punto da far rimpiangere i racconti sulle madri che assassinano i figli e sulle figlie che assassinano le madri. Non credete alle vostre orecchie. Tutto questo è falso. Dietro le quinte del nostro teatrino nazionale, i nemici si sono messi d'accordo: Gasparri ha concordato la battuta con Rizzo; Diliberto con Bondi. Ormai, in Italia, non esistono più partiti, coalizioni, governo e opposizione. Una sola, immensa colata lavica, della quale fanno parte tutti gli uomini politici, sta ricoprendo l'intero paese, nascondendo le città, i laghi, i fiumi, gli alberi, le colline, le montagne, la possibilità stessa di scorgere il cielo. Questa colata lavica obbedisce ad una sola legge: quella di moltiplicarsi. La presidenza del Consiglio e il Quirinale occupano un numero di impiegati quasi maggiore di quello degli operai della Fiat. Il Senato e la Camera dei Deputati sono prigionieri nelle loro misere carceri di Montecitorio e di Palazzo Madama; e quindi sono costretti ad acquistare preziosi edifici storici nel centro di Roma. In uno vengono collocati i barbieri, che ogni mattina rasano le guance ispide dei nostri onorevoli, tagliano i peli del naso e delle orecchie, disegnano con arte la basetta alta o la basetta bassa, spargono l'acqua di colonia, l'antiforfora e il gel. In un secondo edificio, molto più civettuolo, le parrucchiere maneggiano caschi, fòn, creme, mezze tinte, forbici, forbicette quasi invisibili, lozioni, rossetti, profumi francesi, mentre le pedicure estirpano calli che offendono l'onore del popolo italiano. In un terzo edificio insonorizzato, centinaia di camerette, decorate con amorini correggeschi, accolgono le membra illanguidite dei deputati e senatori, divorati dalla tortura del pensiero. Poi ci sono i ministeri e gli uffici delle regioni e dei comuni, dove ogni funzionario o assessore, esausto dalla fatica, viene sorretto fino al tavolo di lavoro da cinque consulenti. Ma esiste un problema ancora più grave. La regione Lombardia, o Toscana, o Molise, debbono sviluppare una vigorosa politica estera. D'Alema non può essere lasciato solo. Così bisogna acquistare palazzi e appartamenti a New York, Reykjavik, Londra, Sofia, Tallinn, Mosca, Pechino, Giacarta, Samoa, Parigi, l'isola di Pasqua, le Maldive, e l'atollo vulcanico appena sbocciato, come un fiore fumoso, sulle coste islandesi, così da sviluppare armoniose relazioni con l'universo. Come si usa dire, Berlusconi e Prodi inseguono un "grande sogno". Le altre decine di milioni di italiani non possono venire abbandonati a loro stessi. Tutti, o quasi tutti, debbono entrare a far parte della grande e generosa colata lavica che copre e difende il paese. Nemmeno un buco deve restare vuoto: nemmeno un angolo abbandonato dall'occhio amoroso del governo e delle regioni. In primo luogo, si tratta di difendere l'Onore della Nazione italiana. "Non è possibile ? sostiene l'onorevole Rizzo ? abbandonare la nobile arte del parrucchiere in mani straniere: tagliare i capelli, i baffi e la basetta a regola d'arte fa parte delle essenziali esigenze strategiche di Questo Paese? Non possiamo permettere che Bush si occupi delle nostre teste. Sarebbero in pericolo i nostri cervelli e la democrazia". E i panettieri? E i falegnami? E gli psico-analisti? E i commercialisti? E i romanzieri? Così la colata lavica si estende a dismisura. Tutti sappiamo che costa moltissimo. Non importa. Qualcuno, alla fine, pagherà. Oggi, in Italia, gli uomini politici sono circondati dal disprezzo, dal rancore, dall'ostilità, dall'avversione, che non salva nemmeno i non molti dignitosi tra loro. Essi, temo, non se ne accorgono, poiché passano il tempo dentro il ventre della televisione. Gli italiani continuano a votare per abitudine, e inconscia obbedienza. Ma non sopportano più le facce degli uomini politici, le piccole miserie, le bugie, le ipocrisie, i discorsi, i trucchi, i gesti, la consapevole o inconsapevole corruzione. Stiamo attraversando un momento pericolosissimo per la vita democratica italiana: come la Francia nel 1936-1939 e l'Italia nel 1920-22, quando la classe politica era egualmente squalificata. Per fortuna, non c'è nessun Mussolini alle porte. Umberto Bossi non fa paura nemmeno a un poppante. Quanto a Berlusconi, contro il quale sono stati scritti cinquecento libri in cinque anni, da pochi giorni è diventato per la sinistra un baluardo della democrazia. Non vedo rimedio. O forse ce n'è uno. Emma Bonino potrebbe proporre un referendum, che vieti ai politici italiani di apparire a Porta a porta, Ballarò, Otto e mezzo, Anno Zero, L'infedele. Allora Pannella annuncerà un digiuno, astenendosi dalla bresaola valtellinese e dal porto bianco. Il referendum ? ne sono certo ? verrà approvato con larghissimo consenso. Capisco che almeno cento tra deputati e senatori, allontanati dal luogo del cuore, moriranno di infarto. Qualcuno si suiciderà. Sopporteremo stoicamente la loro perdita. Ma i sopravvissuti si consoleranno. Avranno sempre a disposizione, nei nobili palazzi del centro di Roma, il barbiere, la parrucchiera, la manicure, la pedicure: la basetta bassa e la mèche viola; e, come dèi greci, vivranno avvolti dalla nube giallo-rosa di Chanel numero 5 e di Clive Christian numero 1.

 


 

Il Tempo 5-5-2007 Traffico di rifiuti, dieci arresti

 

Ai domiciliari anche il sindaco, un assessore e il segretario comunale di Montefiascone. Irreperibili i Bologna CON le accuse di reati legati ad una attività organizzata, finalizzata al traffico illecito, gestione illecita di rifiuti, falso in atto pubblico e corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, trentasei persone sono state denunciate, delle quali, dieci sono state sottoposte a misura cautelare. L'operazione portata a termine ieri dai militari del Comando carabinieri tutela ambiente è stata ordinata, su richiesta dei pm, Franco Pacifici e Stefano D'Arma, dal gip di Viterbo, Gaetano Mautone. Sono tuttora in corso numerose perquisizioni presso diverse aziende a vario titolo coinvolte nella gestione dei rifiuti nel Lazio, in Sardegna, Toscana e Lombardia. L'operazione ha messo in luce l'esistenza di una struttura avente come fine il traffico e lo smaltimento illecito di rifiuti speciali pericolosi e non, costituiti da fanghi di depurazione contenenti alte concentrazioni di piombo, nichel, zinco e mercurio, terre di bonifica inquinate da Pcb, nonchè altri rifiuti tossico-nocivi, tutti particolarmente dannosi. L'operazione, denominata "Longa Manus", dei carabinieri, nella quale sono coinvolte 36 persone ha svelato una organizzazione specializzata nel traffico illecito di rifiuti con base strategica presso gli impianti delle società del gruppo Sieco/Econet, di Viterbo, e Tuscia Ambiente srl di Tuscania. I due siti viterbesi avrebbero costituito la sede dove i rifiuti pericolosi venivano conferiti al solo fine di cambiare cartolarmente la loro natura o di farne perdere le tracce, miscelandoli tra di loro. Le indagini hanno consentito di individuare una struttura che ha gestito, nel corso del periodo monitorato, un quantitativo di circa 250 mila tonnellate di rifiuti speciali, pericolosi e non. Il giro d'affari del traffico illecito di rifiuti è stato stimato in 10 milioni di euro. L'organizzazione operava attraverso una sistematica manipolazione dei rifiuti, che, accompagnati da certificazioni analitiche false, fornite da compiacenti laboratori di analisi, venivano poi smaltiti presso discariche non autorizzate e terreni agricoli. Otto le persone arrestate, tra le quali, il sindaco di Montefiascone Fernando Fumagalli (Margherita), l'assessore all'ambiente Valdo Napoli (Ds), e il segretario comunale Luciano Carelli. Gli altri arrestati sono proprietari, dirigenti e amministratori di due società viterbesi incaricate della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti a Montefiascone: Massimo Iandolo di Roma, Bruno Mancini di Tuscania, Antonio Sini di Civita Castellana, Fabio Boni e Luigi Ferri. I titolari della Econet, la società incaricata del servizio, Angelo Bologna e il figlio Giuseppe Maria, si sono resi irreperibili, inoltre sono stati denunciati i titolari di 8 aziende agricole del viterbese che smaltivano illegalmente sui loro terreni rifiuti spacciati per compost con false certificazioni rilasciate da laboratori di analisi compiacenti. Le indagini riguarderebbero anche altri amministratori comunali di Montefiascone e alcuni dipendenti del Comune. Sui terreni il Noe ha rilevato presenze di sostanze tossiche, come il cadmio, altamente cancerogeno, superiore al 2600% rispetto ai limiti di legge. Le otto aziende sono state poste sotto sequestro. I tre amministratori comunali di Montefiascone, il sindaco Fernando Fumagalli, l'assessore all'ambiente Valdo Napoli, il segretario comunale Luciano Carelli, sono accusati di corruzione, in quanto avrebbero assegnato a trattativa privata l'appalto per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, a una società mista pubblico-privato, in cambio dell'assunzione di 12 persone da parte dei soci privati della società. L'affidamento a trattativa privata del servizio, prevedeva la revisione quadrimestrale dell'importo, che nel giro di un anno è salito da 371 mila euro l'anno a 574 mila euro. In pratica ogni 4 mesi il comune riconosceva alla società un aumento di circa il 50%. Le indagini proseguono per individuare altre eventuali persone coinvolte nel traffico illecito di rifiuti tossico-nocivi. sabato 5 maggio 2007.

 


La Repubblica 24-4-2007 Popolare di Matera, scandalo mutui "Una vera associazione a delinquere" La Finanza: tassi stracciati e garanzie finte a giudici e industriali FRANCESCO VIVIANO. In attesa che la pm di Matera decida se chiedere il rinvio a giudizio dei 35 indagati (tra questi il presidente Donato Masciandaro, il direttore generale Giampiero Marruggi, il vice Antonio Scalcione e l'amministratore delegato Guido Leoni)

 

Da giovedì sono arrivati all'istituto anche gli ispettori della Banca d'Italia Due Procure stanno indagando su una serie di prestiti. Coinvolti anche politici locali Ecco il rapporto delle Fiamme Gialle sulla banca

DAL NOSTRO INVIATO MATERA - E' tra due fuochi la Banca Popolare del Materano (Gruppo Popolare Emilia Romagna). Da una parte gli ispettori della Banca d'Italia giunti giovedì scorso a Matera per controllare l'allegra gestione dell'istituto di credito; dall'altra le procure di Catanzaro e di quella materana che stanno indagando su una serie di concessioni di mutui per milioni e milioni di euro senza ipoteche né garanzie, concessi a politici, magistrati, imprenditori e "amici degli amici". Gli inquirenti vogliono fare luce su quello che ritengono un vero e proprio "comitato d'affari", una "struttura parallela", che secondo la Guardia di Finanza, agirebbe all'interno della Banca Popolare del Materano, i cui vertici sono indagati con l'accusa di truffa aggravata e associazione a delinquere. "Sto ancora lavorando - dice il pubblico ministero Annunziata Cazzetta - e non posso certo parlare di un'inchiesta in corso". In attesa che la pm di Matera decida se chiedere il rinvio a giudizio dei 35 indagati (tra questi il presidente Donato Masciandaro, il direttore generale Giampiero Marruggi, il vice Antonio Scalcione e l'amministratore delegato Guido Leoni) un altro magistrato, il procuratore di Catanzaro Luigi de Magistris, sta intanto indagando sui giudici di Matera che sarebbero stati "favoriti" dall'istituto di credito. Proprio a lui la Guardia di Finanza ha consegnato in questi giorni un rapporto esplosivo, secondo il quale all'interno della Banca Popolare del Materano opera "una vera e propria associazione per delinquere". Ecco cosa scrivono nel loro rapporto i militari delle Fiamme Gialle. "A commento delle pratiche di mutuo esaminate (diverse centinaia ndr) è stata accertata la presenza di un certo sodalizio, di un comitato d'affari che gestisce la banca orientandone decisioni e strategie secondo indirizzi che non sempre appaiono ispirati a regole di prudenza e contenimento del rischio, né tantomeno a tutela dell'interesse principale della banca, rappresentato dal patrimonio amministrato". Ed ancora: "Tale ristretto comitato d'affari, operante in maniera occulta e parallela rispetto agli organi amministrativi, che gestisce ed orienta, propone remunerative corsie preferenziale per i clienti più privilegiati. Le condotte penalmente rilevanti appaiono ulteriormente aggravate sia dalla loro sistematicità sia dal fatto che risultano poste in essere da dirigenti della banca e da professionisti operanti all'interno dell'istituto di credito in esclusivo vantaggio di certa selezionata clientela che, di fatto, risulta finanziata ed in taluni casi sovvenzionata, in palese contraddizione con le più elementari regole di mercato e di cautela gestionale dell'istituto del credito". Il rapporto delle fiamme gialle, adesso passato ai raggi x dalla Banca d'Italia e dalla procura di Catanzaro, si conclude affermando che "a parere di questo Comando, si rilevano i contorni di una vera e propria associazione per delinquere finalizzata al mendacio bancario ed alla truffa in danno dei soci e della moltitudine di clientela della banca". Tra i casi più eclatanti, viene ricordato un finanziamento di un milione di euro, ottenuto e poi sequestrato, destinato alla convivente di un ufficiale dei carabinieri, che a garanzia aveva dato un terreno acquistato due settimane prima della concessione del mutuo per un valore di soli 22 mila euro. Altro caso: quello di 620 mila euro concesso al presidente del tribunale di Matera, Iside Granese (indagata a Catanzaro assieme al procuratore capo Giuseppe Chieco ed a quello di Potenza, Giuseppe Galante): si tratta di un mutuo ventennale al tasso fisso del 2,95 per cento. Seguono tanti altri mutui milionari concessi ad imprenditori (anche quelli che avevano ipoteche con altri istituti di credito) a familiari di politici e a magistrati, molti dei quali sono finiti "in incaglio" e venduti dalla Banca alla "Mutina" (la società di cartolarizzazione controllata dal Gruppo Banca Popolare Emilia Romagna e di Matera) e che difficilmente potranno essere portati a buon fine "perché - scrivono i finanzieri - privi di garanzie e di ipoteche di qualunque genere".


Il Tirreno 21-4-2007 Troppi enti, troppi stipendi a politici

 

Lucca "Per chi dirige l'Ato (e non solo) bastano mini indennità" L'assessore provinciale all'ambiente Cavallaro propone di contenere gli stipendi. Tambellini: "Torniamo alla gratuità di certi ruoli" LUCCA. Ci pensa su un momento Maura Cavallaro, assessore all'ambiente della Provincia. Poi ammette: "Forse gli enti sono troppi. Non solo gravano sulle tasche dei cittadini, ma a volte ritardano anche le decisioni. Troppi enti vogliono dire troppi stipendi e, in qualche caso, un aggravio di burocrazia". Non passa inosservata la discussione innescata dal Tirreno sui costi della politica. E sui costi di enti o consorzi che sono in fondo dei doppioni. Come l'Ato dei rifiuti, il consorzio fra tutti i Comuni della Provincia che deve "coordinare" le politiche dello smaltimento, mentre il servizio è affidato ad altre 5 società con altri presidenti, consigli di amministrazione, direttori. Presidenti su presidenti, consigli su consigli e i costi si gonfiano. Costi politici che poi finiscono in bolletta. Un solo esempio. Per far funzionare l'Ato dei rifiuti i cittadini pagano 580mila euro l'anno; per i vertici delle 5 società di raccolta e smaltimento - Ersu e Sea in Versilia, Sistema Ambiente e Ascit a Lucca e nella Piana, Se.ve.ra in Garfagnana - i contribuenti pagano oltre un milione di euro. In tutto 1 milione e 600mila euro solo per dirigere il servizio. Ancora più alti i costi di gestione del servizio delle acque: per funzionare l'Ato (il consorzio fra 51 Comuni della Toscana nord) se ne vanno 1,2 milioni; a questa cifra si devono aggiungere centinaia di migliaia di euro per i vertici delle varie società che gestiscono il servizio. E si arriva a sfiorare i 2 milioni di euro. Solo perché i politici impostino le linee guida della raccolta dei rifiuti, dell'erogazione dell'acqua o della depurazione delle fogne, insomma, i cittadini spendono più di 3 milioni di euro. Prima ancora di aver aperto il rubinetto o di aver buttato un sacchetto nel cassonetto con tutti i costi che ne conseguono. Per questo Maura Cavallaro dice sì a una riflessione sui costi della politica. "La Provincia dà gli indirizzi su politiche ambientali e smaltimento dei rifiuti, l'Ato li deve tradurre in un piano industriale. Il fatto che abbia una funzione importante, riconosciuta per legge, non significa che debba costare molto. è giusto che chi lavora abbia un'indennità, ma dobbiamo rivedere gli importi. E anche chiarire che questi compensi non devono diventare vitalizi, un modo per mantenersi". Dello stesso avviso Alessandro Tambellini, capolista della lista dell'Unione: "Bisogna evitare che certi meccanismi, come quelli legati al funzionamento degli Ato, diventino macchinosi. Se da una parte è giusto salvaguardare la partecipazione alle scelte, dall'altra va assicurata una gestione valida dei servizi ma meno dispendiosa possibile. Non bisogna dimenticarci che i costi della politica gravano sui cittadini". Per Tambellini è l'ora di una decisione forte: "Certi organismi possono continuare a sopravvivere se costano poco. Chi ha un ruolo nell'Ato non dovrebbe percepire indennità perché, in molti casi, essendo espressione dei Comuni, ha già un altro incarico amministrativo retribuito. è fondamentale riscoprire la gratuità di certi ruoli". Non a caso anche Marco Brancoli, candidato sindaco della lista Liberi e Responsabili, sostiene che "la politica nel suo insieme è troppo cara e i costi sono così alti che ricadono comunque sui cittadini. A questi costi esorbitanti, poi, dobbiamo aggiungere che spesso non corrisponde neppure una buona qualità dei servizi offerti". Lo conferma pure Carlo Pierotti, presidente di Ascit, la società di smaltimento dei rifiuti a Capannori e nella Piana: "L'Ato dei rifiuti appare un doppione poco utile delle società che gestiscono il servizio. Nella nostra provincia, oltretutto, rischia il commissariamento, come tutti i consorzi che non raggiungano il 40% della raccolta differenziata. Un traguardo lontano, malgrado a Capannori siamo già al 55%". I.B.

 


 

Il Sole 24 Ore 19-4-2007 Un sistema frenato dai costi della politica di Valerio Castronovo

 

La vicenda Telecom ha indotto alcuni esponenti della coalizione di governo, non solo della sinistra radicale, a definire quello italiano un "capitalismo straccione". Il presidente della Camera, Fausto Bertinotti,ha parlato additrittura ieri di "capitalismo impresentabile". E questo poiché sarebbe incapace o riluttante a mettere insieme una cordata di imprenditori nostrani per evitare a Telecom la stessa sorte già toccata nel settore delle tlc a Omnitel, Wind e Fastweb.Se guardiamo al passato, il Gotha dell'industria italiana non è stato esente da compromessi con la politica in taluni comparti o da collusioni fra affarismo e politica su altri versanti come ha rilevato ieri Vittorio Merloni sul Sole24 Ore, riflettendo su quanto affermato in un'intervista da Cesare Romiti. La definizione di "capitalismo straccione" non è peraltro inedita.Senonché in passato la si era messa in campo per stigmatizzare un sistema economico chiuso a doppia mandata verso l'esterno, presidiato da forti barriere protezionistiche e assistito in vario modo dallo Stato, quale si era ereditato dall'ordinamento autarchico e corporativo del regime fascista. Tant'è che proprio queste tare originarie, ma date per congenite e imprescindibili dalla sinistra marxista, avrebbero finito, a suo dire, per determinare prima o poi la sclerosi del capitalismo italiano. Anche se poi,in seguito al "miracolo economico" e alla progressiva liberalizzazione degli scambi,l'estrema sinistra politica e sindacale non parlò più di un capitalismo cencioso, sorretto unicamente dalle stampelle dello Stato e dalle rendite di posizione sul mercato interno, essa non smise di sostenereche quello italiano fosse comunque l'anello più debole e vulnerabile del sistema capitalistico occidentale, in quanto lo considerava privo sia di salde fondamenta sia di concrete basi di legittimazione sociale. Ma, se va riconosciuto che alcuni settori del capitalismo italiano non si erano affrancati del tutto dai peccati d'un tempo e altri ne avessero commessi di nuovi lungo la strada, per errori di valutazione (perdendo così il treno dell'elettronica) o per lotte interne dipotere (come nel caso Montedison) è anche vero che la sopravvivenza di certi giudizi altrettanto impietosi quanto indiscriminati sull'establishment del mondo economico era dovuta a due ordini di motivi: da un lato, appunto, a un ostinato attaccamento a vecchi pregiudizi ideologici; dall'altro, alla refrattarietà,per motivi strumentali,a tener conto di una realtà di fatto ampiamente condizionata da vischiosità o da carenze di matrice politica allo sviluppo di un sistema più aperto e di adeguati capitali di rischio. Non si poteva infatti deplorare, come pur era giusto in linea di principio, che le principali dinastie imprenditoriali si reggessero per lo più su relazioni fiduciarie infrafamigliari e su ristretti patti di sindacato (sotto la regia della Mediobanca di Enrico Cuccia), se nel contempo le coalizioni di centrosinistra badavano a mantenere, quando non a rafforzare,l'altra speculare armatura che blindava e teneva ingessata l'economia italiana. Poiché, se si volevano eliminare certe "scatole cinesi" e sfrondare le ramificazioni di un sistema oligarchico, occorreva che lo Stato, a sua volta, rinunciasse a detenere, insieme alla proprietà di numerose aziende industriali e di servizi (ancorché non strategiche), pure ilcontrollo dei principali istituti di credito. Quanto alla governance delle imprese, ancora agli inizi degli anni 80 l'unica novità consisteva nella riforma adottata nel '74, che aveva introdotto le azioni di risparmioe varato alcune misure intese a migliorare il livello qualitativo e quantitativo delle informazioni di bilancio. Ma non per questo si era giunti a garantire pienamente gli interessi e i diritti patrimoniali dei piccoli azionisti. Neppure si erano postele premesse di un sistema più ampio e confacente di norme e strumenti operativi che agevolasse lo sviluppo di società finanziarie intermediarie e l'accesso al mercato di capitali. D'altra parte, come tutto questo sarebbe potuto avvenire quando una gran massa di risparmi privati veniva drenata, e avrebbe continuato a esserlo (ai tempi dei Governi Craxi, Fanfani e De Mita ma anche del consociativismo del Pci nel varo dileggidi spesa)da un'idrovora come quella dei titoli di Stato per coprire il colossale buco nero dei conti pubblici, prodotto dalla classe politica della prima Repubblica anche per acquisire clientele di partito e consensi elettorali? E come tante piccole imprese avrebbero potuto ampliare le loro dimensioni e crescere di statura, se la maggior parte degli istituti bancari, non tanto per i vincoli loro imposti dalla legge del 1936 (allentatisi con l'andare del tempo), quanto piuttosto per conservatorismo burocratico o per forza d'inerzia, continuavano a impiegare i pur cospicui mezzi finanziari di cui disponevano in base a criteri per lo più tradizionali, nei rapporti con le imprese, e quindi a puntare su garanzie di natura eminentemente patrimoniale, senza esercitare alcun ruolo effettivo di orientamento e di stimolo agli investimenti? Sta di fatto che il passaggio da uno "Stato proprietario" a uno "Stato regolatore" è avvenuto soltanto nel corso degli anni 90 e così pure è accaduto per l'istituzione delle Authority, le liberalizzazioni pur parziali dei mercati e l'avvio da parte delle banche di strategie finanziarie innovative. Per di più, questo mutamento di scenario, imposto dal Trattato di Maastricht, ha incontrato lungo il suo percorso parecchie remore: tant'è che sono risultati spesso determinanti i severi richiami di Bruxelles. In sostanza, se adesso c'è chi accusa il capitalismo italiano di inerzia e misoneismo per non aver tirato fuori dalla manica una coalizione di imprenditori pronta a rilevare il pacchetto azionario di Telecom, dimentica volutamente quale e quanto peso abbiano avuto, tanto nell'indebolimento del sistemaPaese in termini competitivi che nell'essiccazione di molte risorse e potenzialità, anche certe prolungate renitenze di ordine politico a qualsiasi riforma strutturale e più di un ventennio di finanza statale allegra e dissipatrice. E dovrebbe comunque chiedersi se l'italianità delle imprese sia un motivo talmente preminente da far aggio, di per sé, sull'interesse della collettività, degli utenti e dei consumatori,a disporre di servizi più efficienti e di prodotti a prezzi più convenienti. D'altra parte, arroccarsi nella difesa a oltranza ( al punto di cambiare determinate regole del gioco a posteriori, in corso d'opera) di questo o di quel marchio nazionale, non solo risulta anacronistico in tempi di mercato globale e in un regime di concorrenza internazionale. Finirebbe per allontanare dall'Italia,ancor più di quanto non sia già avvenuto purtroppo finora, l'afflusso di investimenti esteri, con il pregiudicare la possibilità di ulteriori acquisizioni italiane all'estero, nonché per danneggiare l'immagine e l'affidabilità del Paese. FINANZA ALLEGRA La mancata modernizzazione ha le sue radici anche nelle gestioni fallimentari del debito pubblico nella prima Repubblica.


 

L’Unità 19-4-2007 Di cosa vivono i partiti Paolo Borioni

 

Come studioso della socialdemocrazia mi sono anche occupato, per la Fondazione Istituto Gramsci, di modelli organizzativi e di finanziamento della politica. Ne è uscita una ricerca, "Risorse per la politica", pubblicata da Carocci nel 2005. Alla luce di questo, devo confessare che il dibattito sul finanziamento ai partiti che grazie a "l'Unità" e a "il Riformista" si è recentemente sviluppato mi ha colpito per la sua capacità di sfrondare polemiche uggiose e incongrue. A partire dalla contrapposizione fra partito "dei gazebo" e partito della sezioni. Ottima mi pare soprattutto la proposta di Castagnetti ("il Riformista", 3 marzo) di riformare l'articolo 49 della Costituzione per regolare la vita interna dei partiti in modo cogentemente democratico. Il dibattito, più in generale, ha sottolineato finalmente almeno due punti essenziali: a) non si moralizzano la democrazia e la vita pubblica negando risorse ai partiti che ne sono uno snodo insostituibile. Chi sovrappone le due questioni commette un errore logico ed empirico; b) i costi complessivi della politica non sono esosi per via del finanziamento ai partiti, ma per via degli apparati che gli eletti nelle amministrazioni varie erigono intorno a sé. Su quest'ultimo punto è stato ben chiaro Macaluso nel suo articolo ("il Riformista", 27 marzo). Veniamo alla logica e all'empiria. Il riconoscimento della natura giuridica dei partiti è la premessa per eliminare le storture in cui si sono dissolte esperienze storiche come quella del Psi e della Dc, e per evitare che analoghi naufragi avvengano di nuovo. Solo così, infatti, si potrà prevenire il vero movente di "tangentopoli": la distorsione del meccanismo di tesseramento e designazione della candidature. Senza di ciò nessuna elezione primaria, nessun "popolo dei gazebo" potrà evitare che tutto si ripeta. Di più: con opportune innovazioni il finanziamento può incentivare la partecipazione, il radicamento, la formazione, la differenziazione sociologica dei partiti. Come? Cito l'esempio a mio avviso migliore: quello della Germania, che proprio per scongiurare le note tragedie storiche si è gradualmente costruita come una solida democrazia di partiti e fondazioni politiche. Il finanziamento può essere segmentato funzionalmente in più parti: una uguale per tutti, una proporzionale ai voti (come in Svezia) e poi una (proprio questo avviene in Germania) corrisposta proporzionalmente alla raccolta di fondi dei singoli partiti: dalle quote di tesseramento alle donazioni. A proposito di donazioni, peraltro, la legge dovrebbe incoraggiare quelle piccole rispetto alla grandi (così è in Germania, ma anche in Canada), cioè quelle di pura adesione rispetto a quelle "per acquisire potere". Che una parte del finanziamento sia devoluta proporzionalmente alla capacità di reclutare iscritti e donatori è essenziale sia per motivi di trasparenza sia per motivi di democrazia. Infatti, tale meccanismo incentiva la pubblicità delle donazioni private: tanto più vengono pubblicizzate tanti più fondi pubblici "premio" si raccolgono. Inoltre esso, se vi si includono le quote di iscrizione e si incoraggiano le piccole donazioni, stimola i partiti a suscitare e praticare la partecipazione della propria base sociale, con giovamento del pluralismo nel rappresentare idee e interessi. Ciò evita quello che la politologia chiama il "partito-cartello" (cartel party), cioè partiti che divengono sempre più simili perché sempre più simili sono le fonti di approvvigionamento (pubbliche e private) e di reclutamento (i potentati, le professioni "forti" ecc.). Con tale complesso di riforme non solo (con la riforma dell'art. 49 della Costituzione come la intende Castagnetti) si impone ai partiti di funzionare democraticamente al loro interno, ma li si guida anche nelle funzioni partecipative al loro esterno. Un circolo virtuoso della partecipazione. Veniamo ora al punto b: i travisamenti circa i costi della politica ritenuti eccessivi. Ne sono proprio i partiti l'origine? In realtà essi garantiscono un presidio territoriale semi-gratuito e una massiccia quota di volontariato "competente" senza cui ogni campagna elettorale, ogni "gazebo", ogni primaria diviene un'impresa economica salatissima. Non solo: partiti ben radicati e debitamente finanziati sono in realtà in grado di produrre professionalità provenienti da vari strati sociali a costi che per alcuni lustri (il tempo della formazione di un dirigente politico) si mantengono modestissimi. Qualunque altro sistema esige costi ben maggiori: si pensi ai dirigenti d'impresa, specialmente dopo l'esplosione impudica delle loro retribuzioni. O al sistema di selezione politica in vigore negli Usa, da cui anche gli altri anglosassoni (dal Canada al Regno Unito) si allontanano scientemente. Meglio allontanarcene anche noi, che non siamo nemmeno anglosassoni e siamo invece europei. Non solo: senza partiti radicati e trasparentemente finanziati si rischia che soltanto chi ha potuto formarsi altrove (soprattutto nei media e nelle professioni più ricche) potrà diventare dirigente politico. A detrimento del pluralismo sociale senza cui la democrazia è solo teorica. Del resto anche Forza Italia, dopo avere tentato una strada opposta, ha selezionato ai vertici personale formato nei partiti tradizionali: da Cicchitto a Pisanu a Scajola a Bondi. Quale migliore riconoscimento della insostituibilità dei partiti? Ciò che è invece avvenuto in Italia è che partiti sempre più deboli non sono riusciti a perorare un discorso pubblico di regolamentazioni e costi simile a quello qui sostenuto, mentre il crescente potere delle amministrazioni elette ha consentito ad esse di autofinanziarsi a volontà. Oggi queste ultime sono in grado di formare, attorno a sindaci a governatori, potentati locali sempre più indipendenti. Perciò reclutano professionalità (dai comunicatori ai manager) sempre più costose. Col rischio di tornare in forme nuove ai partiti mero arcipelago di notabili e candidati, come all'età giolittiana. Oppure, con altri mezzi, di tornare agli ultimi anni del pentapartito, in cui nemmeno Craxi poteva scardinare le cordate transpartitiche locali: si pensi al potentato Dell'Unto-Sbardella a Roma. Il principale nodo della riforma della politica è insomma fornire ai partiti risorse in cambio di una rigorosa e controllabile organizzazione democratica della partecipazione. Fatto che al contempo ne riconosce la funzione. Ma diciamo la verità: è proprio questo riconoscimento che molti elitarismi consapevoli o inconsapevoli temono. Dal loro punto di vista hanno ragione da vendere.


Il Meridiano.info  16-4-2007 Fax politici da un reparto ospedaliero Ed ora è polemica sul caso del “Riuniti”.  Francesco Quitadamo

 

Non si può. Usare le strutture pubbliche di un ospedale per inviare fax che non hanno nulla a che fare con l’attività ospedaliera non è un’azione, come dire, propriamente corretta. E’ quanto accaduto venerdì sera, quando dal fax in dotazione alla unità di Chirurgia Pediatrica degli “Ospedali Riuniti” di Foggia è partito - all’indirizzo delle testate giornalistiche del capoluogo dauno - il comunicato stampa firmato da Francesco Niglio, medico ed esponente della formazione politica di estrema destra Forza Nuova. Il comunicato riguardava l’incontro che si è tenuto ieri pomeriggio, nella sede dell’Opera Pia Scillitani, per la presentazione del libro “La fiamma e la Celtica”, pubblicazione recensita più volte anche dal “Meridiano”. Ma la politica, in questo caso, è o dovrebbe essere in secondo piano. E’ l’utilizzo privato di una struttura pubblica a essere in primo piano, soprattutto in tempi di “vacche magre” per una sanità - quella pugliese - che dovrebbe eliminare gli sprechi e imparare a fare economia. L’invio di quei fax non è passato inosservato.

«E il direttore degli Ospedali Riuniti cosa ne pensa del dottor Francesco Niglio - si legge in una nota del circolo Jacob - che pensa bene di fare attività politica utilizzando le strutture sanitarie pubbliche e il fax dell’ospedale, i cui costi ricadono sulle spalle della collettività?». Jacob, dal punto di vista politico, promuove e professa idee diametralmente opposte a quelle di Francesco Niglio. Ma il punto della questione è un altro. E sta tutta in una domanda che quel circolo politico pone ai dirigenti della più grande e importante struttura ospedaliera della provincia di Foggia. «Francesco Niglio - si legge ancora nella nota - coordinatore cittadino

di Forza Nuova, svolge la sua attività politica utilizzando strutture pubbliche, nello specifico quelle dell’azienda Ospedalieri Universitaria “Riuniti”. Il fax inviato alle testate giornalistiche riporta stampato il numero del reparto di Chirurgia Pediatrica dell’ospedale, dove il dottor Niglio svolge la sua attività professionale. Ma il direttore generale degli Ospedali Riuniti non ha nulla da dire sul fatto che un dottore faccia ricadere sulla collettività i costi della sua parzialissima e  minoritaria attività politica?».


 

 

La Repubblica 14-4-2007 Mezzo milione di italiani vive di politica Spesi 3 miliardi l'anno, stretta in arrivo su consiglieri, incarichi e consulenze i costi dello Stato

 

 

Quasi un miliardo di euro finisce nelle tasche dei 280 mila consulenti, e ancora di più va a sostenere il ricco staff dei ministri Troppe cariche negli enti locali. Saranno ridotti i costi delle campagne elettorali. Invito agli organi costituzionali Ai nostri parlamentari stipendio doppio che a Parigi o Berlino La denuncia di Prodi: fenomeno esplosivo. Un ddl entro maggio VLADIMIRO POLCHI ROMA - In Italia o vinci la lotteria o ti butti in politica. Il risultato è lo stesso: una vita al riparo dalle difficoltà economiche. Questo devono aver pensato gli oltre 400mila cittadini che oggi vivono di politica: deputati, assessori, consiglieri locali e consulenti. Un esercito, che costa caro alle casse dello Stato: oltre tre miliardi di euro, all'anno. A lungo la politica ha promesso interventi d'austerity. Ora ci prova Romano Prodi e il suo ministro per l'Attuazione del programma, Giulio Santagata, che annunciano un disegno di legge ad hoc, entro fine maggio. "I costi della politica - ha detto il premier - sono esplosi". Quanto guadagna oggi un parlamentare? Il calcolo non è facile, tante le voci da sommare. Senatori e deputati si portano a casa 14mila euro netti al mese. All'indennità di 5.486 euro (ridotta del 10% con la legge Finanziaria 2006), va infatti aggiunta una diaria di 4.003 euro, "a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma" e altri 4.190 euro (che diventano 4.678 per i senatori) per "il rimborso delle spese inerenti al rapporto tra eletto ed elettori". Ma non è tutto. Il parlamentare non deve preoccuparsi dei suoi viaggi, usufruisce, infatti, di "tessere per la libera circolazione autostradale, ferroviaria, marittima e aerea sul territorio nazionale". Se poi deve andare all'estero, ha rimborsi annui di 3.100 euro. La bolletta telefonica non è un problema: per le sue chiacchierate, il deputato dispone di una somma annua di 3.098 euro, il senatore di 4.150 euro. Altri rimborsi sono infine previsti per i taxi (3.323 euro ogni tre mesi). Il parlamentare pesa sulle casse dello Stato anche da ex: bastano due anni, sei mesi e un giorno di legislatura per maturare il diritto alla pensione. Oggi la percepiscono 2.005 ex deputati e 1.297 ex senatori, per una spesa complessiva di 186 milioni di euro all'anno. I parlamentari italiani possono fare la voce grossa in Europa: i loro stipendi, infatti, fanno invidia ai colleghi tedeschi, spagnoli, francesi e inglesi, che guadagnano anche meno della metà. Ma i parlamentari nazionali sono solo una goccia nel mare dei costi della politica. Cesare Salvi e Massimo Villone (nel libro "Il costo della democrazia") calcolano che nel piatto oggi mangiano oltre 427mila persone: 149mila titolari di cariche elettive (dai deputati ai consiglieri circoscrizionali) e 278mila consulenti. Quanto costano? Un miliardo e 851 milioni l'anno. E la fetta più grossa finisce proprio nelle tasche dell'esercito dei consulenti (ben 958 milioni di euro ogni anno), mentre deputati e senatori spendono "solo" 187 milioni. Ci sono poi i ministeri, con i loro corposi staff, che "succhiano" un altro miliardo e 375 milioni di soldi pubblici. E il Quirinale? Il capo dello Stato ha un appannaggio di 218.407 euro all'anno, ma l'intera macchina del Colle costa circa 235 milioni di euro (destinati per l'87,6% alle spese per il personale). Insomma, il sistema politico spende e spande, tanto da far dire a Romano Prodi che "sono esplosi i costi della politica, nettamente superiori ormai agli altri Paesi europei". Tocca a Giulio Santagata, presentare la strategia dell'esecutivo per contenere le spese: "Il governo - spiega il ministro a Repubblica - è pronto a intervenire con un suo disegno di legge entro maggio". Quali le linee di intervento? "Primo, ridurre la proliferazione delle cariche negli enti locali, diminuendo per esempio il numero dei consiglieri comunali, provinciale e regionali, insieme al numero delle circoscrizioni cittadine. Secondo - prosegue il ministro - abbattere i costi delle politica e delle campagne elettorali. Terzo, aumentare la stretta sulle consulenze". Ma non basta. "Anche i vari organi costituzionali, come Camera e Senato, devono ridurre autonomamente le loro spese. In tal caso, però - conclude Santagata - il governo non può fare nulla".

 


 

La Republlica 14-4-2007 Sicilia al top, qui gli assessori guadagnano più dei ministri

 

Un milione di euro al giorno per mantenere un esercito di 11mila persone il caso

PALERMO - Un milione di euro al giorno. è il costo della politica in Sicilia, la somma necessaria a mantenere quell'esercito di 11 mila persone che nell'isola possono vantare una carica in un'istituzione grande e piccola: dall'Assemblea regionale siciliana alle circoscrizioni. Indennità, gettoni di presenza, missioni e rimborsi spese costano in tutto 362 milioni l'anno: dato che risulta dalla lettura dei bilanci. è come se ogni siciliano - minorenni compresi - pagasse alla politica una tassa di 72 euro l'anno. L'Ars, che si picca di essere il parlamento più antico d'Europa, è sicuramente il più "caro": da solo, incide sulle casse pubbliche per 156 milioni, più o meno le risorse occorrenti per il personale politico dei 390 Comuni siciliani. L'Ars è l'unico consiglio regionale d'Italia dove gli stipendi sono pari al 100 per cento di quello dei parlamentari nazionali - dei senatori, per l'esattezza - e dove gli assessori, con i loro 14.500 euro netti al mese, guadagnano più dei ministri. I sindaci siciliani se la passano meglio dei colleghi del resto d'Italia: Diego Cammarata, primo cittadino di Palermo, vanta un introito mensile lordo di 9.475 euro. Guadagna 352 euro al mese in più (4.200 l'anno) rispetto al sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, E ben al di sotto si ferma il sindaco di Firenze, Leonardo Domenici, che ha uno stipendio mensile lordo di 7.580,70 euro. L'austerity, d'altronde, non varca facilmente lo Stretto. La Finanziaria nazionale del 2006 ha stabilito un taglio del 10 per cento delle indennità di sindaci e consiglieri. Ma la norma non è mai stata recepita dall'Ars e la riduzione è stata lasciata alla volontà autonoma dei singoli Comuni. Risultato? Nella maggior parte delle amministrazioni, fra cui Palermo, i compensi non sono stati toccati. (emanuele lauria).


 

 

L’Espresso 13-4-2007 PRIMO PIANO europeccati capitali di Fabrizio Gatti

 

da Strasburgo Strasburgo e Bruxelles: le due sedi dell'Europarlamento obbligano al pendolarismo oltre 3 mila funzionari. E costano 300 milioni. Ecco l'analisi di uno spreco continentale Sono passate le nove di sera, piove e davanti all'aeroporto di Strasburgo si è formata una fila di uomini e donne. Alcuni hanno volti noti. Non dovrebbero essere qui, ma nell'aula dell'Europarlamento a votare. Oggi però Air France ha avuto una giornataccia. Un aereo guasto a Milano Malpensa, una tempesta di vento su tutta la Francia. Molti voli in ritardo. E non è finita. Non passano autobus e per raggiungere la città bisogna aspettare un taxi. Se ne va un'altra ora. Non perché ci sia tanta gente in coda. Ma perché non ci sono taxi. Basta guardare il numero di matricola: sono gli stessi quattro a fare avanti e indietro. Addio cena. Alle dieci per buona parte dei ristoranti è già tardi e nei pochi ancora aperti il cameriere dice che gli spiace, "ma la cucina sta chiudendo". Alla fine, tra strade deserte e saracinesche abbassate, ci si salva in un pub con caraffa di birra e un piattino di arachidi. Se il futuro dell'Unione europea è proporzionato alla vitalità della sua capitale, c'è da perdere l'ottimismo. E questa non è nemmeno una delle serate più morte. è la cronaca di una sera qualunque, l'autunno scorso. Una delle 12 volte all'anno a Strasburgo in cui il Parlamento europeo si riunisce in sessione plenaria. Succede una settimana al mese, da gennaio a dicembre. Dalle 15 del lunedì alle 17 del giovedì. Nelle tre settimane senza gli europarlamentari e il loro ampio seguito, la capitale dell'Alsazia è ancor meno capitale. Diventa una tranquilla cittadina di 650 mila abitanti con la sua storia antica e recente. E con una megastruttura ingombrante e costosa di palazzi fantasma. Una cattedrale nel deserto completamente vuota. L'emiciclo da 785 posti, tanti quanti gli eletti nei 27 Stati Ue, più i banchi per assistenti, traduttori, osservatori. Ventuno grandi sale conferenze da 100 e 350 posti. Tredici sale conferenze da 20 e 60 posti con cabine per gli interpreti. Tredici sale conferenze senza cabine per gli interpreti. Le stanze per onorevoli, portaborse, funzionari, traduttori, giornalisti, rappresentanti della Commissione europea e dei governi nazionali: in tutto 2.650 uffici arredati e attrezzati. Più gli impianti tecnici, bar, ristoranti e servizi logistici. Costa cara la suddivisione dell'Europarlamento su tre sedi: Strasburgo (sessioni plenarie), Bruxelles (minisessioni e attività dei gruppi politici), Lussemburgo (gestione amministrativa, segreteria, traduzione degli atti). Come per ogni seconda casa, buona cosa sarebbe che, via gli inquilini, venissero spente le luci, chiuso il riscaldamento, sbarrate le porte. Ma all'Europarlamento di Strasburgo non si può. Il personale dela sicurezza non abbandona i palazzi. Anche gli addetti alle manutenzioni restano al lavoro. Riscaldamento, illuminazione, computer, reti telematiche devono funzionare alla perfezione quando ritorneranno i parlamentari. Non si può bloccare una sessione plenaria perché le segretarie non riescono a stampare gli atti da votare. Anche perché di ogni atto vanno preparate almeno 785 copie tradotte nelle 22 lingue ufficiali. E lo stesso vale per la gigantesca sede di Bruxelles, la settimana in cui l'assemblea è riunita a Strasburgo. Così le casse dell'Unione europea, cioè i contribuenti, sono costretti a sopportare il doppione. Ma la storia non finisce con le spese di acquisto, affitto e mantenimento dei palazzi. C'è la carovana del ritorno. Alle 17 del giovedì di plenaria, a Strasburgo ha inizio la smobilitazione. In realtà, grazie al veto di Air France alle concorrenti e alla scarsa redditività della linea, i collegamenti aerei dalla città francese sono così scomodi che molti deputati vanno via prima, a sessione ancora aperta. Concluse le votazioni, i 1.500 assistenti dei parlamentari e dei commissari europei raccolgono i loro documenti nelle casse da viaggio e si preparano a ritornare in Belgio. Lo stesso fanno i 1.745 funzionari dell'Europarlamento inviati da Bruxelles e da Lussemburgo. Più di 3 mila impiegati di vario livello che ogni mese si spostano a spese dell'Unione europea. Con rimborso del viaggio andata e ritorno: di solito, un biglietto di prima classe in treno di 90 euro da moltiplicare per due. Più l'indennità di trasferta. Più vitto e alloggio: un forfait di 160 euro al giorno oppure la copertura piena delle ricevute, secondo il contratto di lavoro oppure l'accordo con il gruppo politico di appartenenza. Assistenti, funzionari e interpreti si muovono sulle loro gambe. Ma le casse di documenti bisogna portarle. E non è un lavoro da niente. Intanto perché sono 3.400. E pesano 40 chili l'una. Poi ci sono gli armadi, un centinaio: a tre piani perché quelli a quattro si ribaltavano addosso ai facchini. In tutto fanno 200 tonnellate di carta. Più altro materiale, come le divise degli usceri. Casse e armadi vengono caricati su 20 Tir. Il viaggio di 435 chilometri dura sette ore e più, dipende dai cantieri lungo l'autostrada. Tra giovedì notte e sabato il trasloco è completato. Le casse vengono ridistribuite nei corridoi sui quindici piani della sede di Bruxelles, ciascuna davanti al rispettivo ufficio in base alla targa di identificazione su fianchi e coperchio. E il lunedì mattina l'archivio è di nuovo a disposizione di parlamentari e funzionari. Fino al successivo giovedì che precede la sessione a Strasburgo. Allora l'operazione viene ripetuta al contrario. Ventiquattro volte l'anno tra andata e ritorno. Centoventi volte nei cinque anni di legislatura: fanno oltre un milione di euro di spese di trasporto. Con il ping-pong di settembre che ha sempre due sessioni. Perché bisogna recuperare la pausa d'agosto. Così venerdì 31 agosto 2007 i camion ripartiranno da Bruxelles carichi di casse e armadi per la sessione plenaria di lunedì 3 settembre a Strasburgo. Venerdì 7 ripoteranno tutto a Bruxelles. Venerdì 21 ripoteranno tutto a Strasburgo. Venerdì 28 riporteranno tutto a Bruxelles. Secondo un calendario approvato dai parlamentari ogni autunno per l'anno successivo. Le casse sono le protagoniste di gag e disguidi in questa transumanza in doppio petto. A volte finiscono all'ufficio sbagliato. E hai voglia a ritrovarle tra 2.650 possibili destinatari. Così comincia la caccia al tesoro. Quasi sempre con e-mail via intranet: "Per favore, qualcuno ha visto la cassa numero...?". Un tempo erano di ferro, con spigoli affilati. Ed erano la causa principale di infortuni sul lavoro tra i parlamentari e il loro seguito: botte alle caviglie, tagli ai polpacci, senza contare collant e pantaloni strappati. Adesso sono di plastica con forme arrotondate. E il massimo della loro pericolosità è quello di nascondersi tra scrivanie e scaffali e fare lo sgambetto al primo onorevole distratto. Nemmeno la sostituzione delle casse è stata indolore per il budget europarlamentare. Le 'cantines', come le chiamano gli assistenti, hanno un design studiato apposta e sono costate 830 mila euro: 244 euro l'una. E siccome il design è speciale, il Parlamento ha dovuto comprare 800 cariole speciali per trasportarle nei corridoi. Il 29 marzo nella minisessione di Bruxelles, l'Europarlamento presieduto dal tedesco Hans-Gert PÖttering ha approvato le linee guida del bilancio 2008. Con un passaggio che rischia di aprire contrasti tanto duri quanto quelli che hanno accompagnato la bocciatura della Costituzione europea. "Il Parlamento è particolarmente preoccupato per il costo dovuto alla dispersione geografica, in particolare per il numero di missioni intraprese dal personale nelle tre sedi di lavoro", è scritto nelle linee guida, "ed esaminerà la possibilità di razionalizzarle meglio". Escludendo gli assistenti parlamentari, soltanto per il funzionamento amministrativo dell'Europarlamento nel 2005 sono stati pagati 71.369 giorni di trasferta fra le tre sedi. L'andata e ritorno tra Bruxelles e Strasburgo fa perdere due mezze giornate di viaggio. Cioè un giorno di lavoro, moltiplicato per dodici volte l'anno, moltiplicato per più di tremila dipendenti, che ai contribuenti costano tre volte: perché vengono pagate le ore di servizio, l'indennità di missione e le spese del treno. Ma quanto fa tutto questo in soldoni? L'argomento è finora tabù. Gli europeisti temono di dar voce agli euroscettici. E di irritare la potente lobby parlamentare francese. Soltanto una volta nella giovane storia dell'Unione europea è stato fatto il calcolo. Con un risultato spaventoso: il 16 per cento del budget totale dell'Europarlamento viene buttato in indennità di trasferta, stipendi di personale in esubero, riscaldamento, affitti e mantenimento di uffici vuoti dovuti alla dispersione geografica delle sedi. La relazione risale al 2002-2003 e porta la firma di Julian Priestley, allora segretario generale dell'Europarlamento. Lo studio di Priestley, senza prendere posizione, rivela tra l'altro che i costi di cinque giorni di sessione a Strasburgo sono il 33 per cento più alti che a Bruxelles. Tutti sanno che la capitale belga sarebbe la soluzione migliore, perché è già sede della Commissione europea ed è meglio collegata al resto d'Europa. Lo conferma un sondaggio informale tra 800 funzionari: 750 hanno votato l'emiciclo e gli uffici di Bruxelles. Ma i primi a non volerlo accettare sono i francesi. Così 78 milioni di euro l'anno se ne vanno per la gestione degli immobili temporaneamente vuoti, 42 nel mantenimento delle reti informatiche inutilizzate, 22 per il pagamento di personale al momento inutile, 18 in indennità di trasferta per i funzionari del Parlamento, 9 in spese varie e 34 milioni come conseguenza del recente allargamento. Il totale è di 203 milioni di euro l'anno soltanto per il funzionamento amministrativo. La somma non tiene conto cioè dei milioni di euro rimborsati ai parlamentari e ai loro assistenti. E nemmeno dei costi in perdita di efficienza di tremila impiegati costretti a traslocare la loro sede di lavoro due volte al mese. Mettendo tutto insieme, lo spreco salirebbe a 300 milioni di euro l'anno o forse più. Una spesa che potrebbe essere indirizzata ad altri scopi. Dopo la relazione del segretario generale, però, nessuno ha mai più osato scorporare le cifre dalle varie voci di bilancio su cui sono spalmate. Gli uffici amministrativi del Parlamento si guardano bene dal rivelarle. "Le cifre attuali sono sconosciute", ammette a 'L'espresso' il liberale tedesco Alexander Alvaro, "comprendiamo il valore simbolico di Strasburgo per la pace in Europa. Ma se l'Ue vuole maturare, è importante che elimini sprechi di denaro e di tempo. Strasburgo potrebbe tra l'altro diventare sede delle riunioni del Consiglio europeo, dei governi dell'Unione. Questo darebbe ugualmente alla città una buona esposizione mediatica". Alvaro è tra i promotori della petizione sul sito www.oneseat.eu: il lungo elenco dei sostenitori va dal ministro liberale svedese Cecilia MalmstrÖm alla socialista olandese Edith Mastenbroek. Un'alleanza trasversale che abbraccia anche Verdi inglesi e italiani. In poche settimane la campagna per una sede unica ha raccolto oltre un milione di firme: secondo la Costituzione europea bocciata, un milione di adesioni sarebbe bastato per proporre la questione in Commissione. La soluzione non è semplice. La sede di Strasburgo è prevista dai Trattati. E per modificare i Trattati serve il voto unanime di tutti gli Stati membri. Compresi Francia e Lussemburgo. Un accordo con il Grand Ducato impone che sul totale del personale dell'Europarlamento almeno la metà sia assegnata alla sede del Lussemburgo. Nel frattempo la Francia potenzia i collegamenti via terra. Come il Tgv che pochi giorni fa è arrivato da Parigi a Strasburgo in 140 minuti toccando i 575 chilometri all'ora. Un record che allontana ancor di più Strasburgo da Bruxelles. Perché tra le due capitali europee i pochissimi treni diretti continuano a viaggiare a velocità italiane: non superano mai gli 80 orari di media. n Quel parlamento vale un tesoro Affitti stratosferici pagati al municipio di Strasburgo. Poi, per evitare scandali, si compra la sede. A caro prezzo Bevono molto nei palazzi dell'Europarlamento a Strasburgo. Nel senso che consumano molta acqua. E anche molta elettricità. In proporzione, molto più che a Bruxelles: la sede francese costa in bollette i due terzi di quanto viene speso per la sede belga, anche se è aperta soltanto una settimana al mese. "Già questo è uno spreco assurdo", commenta la presidente degli eurodeputati Verdi, Monica Frassoni, tra i promotori italiani della sede unica: "Ma la condizione per cambiare è trovare una destinazione adeguata per i palazzi di Strasburgo. Non sarebbe ecologico nemmeno sprecare l'infrastruttura che già esiste. Serve un dibattito pubblico. Nel Parlamento europeo finora non siamo riusciti a farlo per l'opposizione della grosse koalition tra socialisti e popolari europei. Nonostante la petizione di un milione di cittadini". La sede di Strasburgo ha un difensore illustre: Nicolas Sarkozy, candidato alla presidenza francese. Sarkozy lo conferma come ministro dell'Interno in una lettera al presidente della comunità urbana di Strasburgo, Robert Grossman, un anno fa: "Io sostengo pienamente la città di Strasburgo nelle polemiche regolarmente sollevate per motivi diversi, con lo scopo di rimettere in discussione la sua posizione. Strasburgo, città simbolo della riconciliazione franco-tedesca e dell'unità dell'Europa, non può vedere il suo ruolo contestato alla minima occasione e in particolare ogni volta che sorge una disputa materiale o finanziaria con i servizi del Parlamento". L'occasione che ha mosso Sarkozy però non è minima. è il sospetto che il municipio di Strasburgo abbia frodato il Parlamento europeo per anni sull'affitto della sede: 10 milioni di euro l'anno versati al municipio e girati a un fondo privato. Operazioni su cui il Comune di Strasburgo, che smentisce, avrebbe fatto una cresta di 3 milioni ogni anno. La percentuale non era prevista da nessun accordo con l'Unione europea ed è stata scoperta per caso durante le trattative per la vendita dei tre palazzi-uffici al Parlamento. L'incidente diplomatico viene chiuso a fine 2006 con il contratto di acquisto per 143 milioni di euro dopo le mediazione del vicepresidente francese dell'Europarlamento, Gérard Onesta. Spesa che si aggiunge a quella per l'acquisto nel 2004 di tutto l'emiciclo di Strasburgo: 445 milioni di euro, che si aggiungono agli 826,7 milioni già spesi per la sede di Bruxelles. F. G. Un esercito in marcia... Personale che si sposta ogni mese da Bruxelles a Strasburgo e ritorno Parlamentari dei 27 Paesi dell'Ue 785 Funzionari 1745 Assistenti e seguito di parlamentari e commissari circa 1500 Giornalisti accreditati 160 Giorni di trasferta rimborsati 71.369 nel 2005 Giorni di lavoro perso in spostamenti: Bruxelles-Strasburgo 1 a trasferta Bruxelles-Lussemburgo 0,5 a trasferta ...e merci in movimento Documenti per ogni sessione 200 tonnellate/mese Tir 20 Casse di documenti 3.400 Armadi 100 Low cost, alto guadagno di Longo Bifano La delegazione italiana in partenza da Roma per Strasburgo viaggia compatta. Il prossimo appuntamento è per lunedì 23 aprile all'aeroporto di Ciampino, volo Ryanair per Karlsruhe-Baden, a meno di 60 chilometri dalla città francese. Il calendario delle sessioni plenarie permette di comprare in anticipo i biglietti che così raramente superano i 90 euro. Per l'europarlamentare significa mettersi in tasca circa 900 euro a tratta del rimborso forfettario che ottiene dalla Ue per viaggiare in 'business' (circa mille euro, appunto). Per il rimborso, ai parlamentari basta dimostrare di aver viaggiato, a prescindere dal mezzo di trasporto usato, ricevendo una somma calcolata in base alla distanza e alle tariffe più alte praticate dalle compagnie aeree. Un trattamento forfettario che in origine aveva come scopo il risparmio delle spese di rendicontazione del Parlamento, ma si è tramutato in un privilegio denunciato dai media di tutta Europa. Il 15 giugno 2005 l'Europarlamento ha finalmente approvato il nuovo Statuto che inserisce il principio del rimborso su presentazione puntuale del giustificativo di spesa. Ma entrerà in vigore solo dal 2009 e con un periodo 'transitorio' di due legislature. Nel frattempo il privilegio continua. Basta un rapido confronto per mettere in evidenza il risparmio di tempo e denaro: a 15 giorni dalla partenza, il volo Alitalia, con scalo a Milano, costa 1131.93 euro (tre ore e mezza di volo), mentre le tradizionali rotte di AirFrance via Lione o Nizza costano 700 euro a fronte dei 415 di Lufthansa con arrivo Francoforte e successivo lungo trasferimento in pullman. La combinazione più costosa di Ryanair non supera invece i 210 euro per un'ora e 45 minuti di volo. Ma con due mesi di anticipo già si scende a 130. Nel frattempo, il rimborso business val bene qualche disagio low cost. Anche se i posti non sono assegnati e si sta un po' stretti, sui voli Rayanair si incontra tutto l'arco parlamentare: Alessandra Mussolini, seduta tra il comunista Marco Rizzo e Marco Pannella, il Ds Nicola Zingaretti, Lilli Gruber tra Roberta Angelilli e Cristina Moscardini di An, Roberto Musacchio e Luisa Morgantini di Rifondazione, il vicepresidente del Parlamento europeo Luigi Cocilovo (Margherita) e Francesco Musotto (Forza Italia) che arriva da Palermo. "Così impiego dieci ore. Quasi, quasi", commenta, "mi converrebbe partire da Cipro o da Malta che hanno voli diretti". Ma guai a parlare di aereo di Stato. All'inizio della legislatura Cirino Pomicino ottenne dalla presidenza del Consiglio un volo privato poi immediatamente soppresso, riparando in fretta alla gaffe dei parlamentari più pagati d'Europa (12 mila euro mensili), trasportati gratis e rimborsati a spese della Ue. Intanto, Ryanair è diventato vettore 'ufficiale', tanto che la città di Strasburgo ha messo a disposizione una navetta che in 40 minuti porta al Parlamento. Anche qui si sta stretti. Alcuni deputati restano in piedi per mancanza di posti. Ma la capienza e la pazienza ha un limite. Così i deputati hanno scritto una lettera di protesta. Chiara.

 


La Stampa 11-4-2007 - INCHIESTA L'onorevole va due volte in pensione. Vitalizio irrinunciabile a duemila exparlamentari; molti lo cumulano con l'assegno di vecchiaia. PIERLUIGI FRANZ

ROMA
Ci sono anche due volti noti del mondo del pallone, Giancarlo Abete e Guido Rossi, fra i beneficiari del vitalizio regalato dallo Stato agli ex parlamentari. Il neo presidente della Figc riceve 6.590 euro al mese per i suoi 13 anni a Montecitorio, mentre l’ex Commissario straordinario della Figc riceve ogni mese 3.108 euro per i suoi 5 anni trascorsi al Senato dall’87 al ’92. E pensare che il 76enne ex presidente di Telecom Italia non ama incassare pensioni. Preferisce gestirsele direttamente tanto è vero che citò la Cassa Forense per riavere in contanti tutti i contributi che vi aveva versato come avvocato. E nel 2003 la Cassazione gli dette ragione: la Cassa gli rimborsò parecchi milioni di euro, ma cambiò poi le regole per evitare che altri legali lo imitassero. Sono circa 2 mila gli ex parlamentari e poco più di mille gli eredi di deputati e senatori che ricevono gratis da Camera e Senato un vitalizio, variabile da 3 mila 108 (più di 6 volte la pensione sociale) a 9 mila 947 euro al mese a seconda della durata in carica. Costo annuo per l’Erario: 187 milioni di euro (127 pagati dalla Camera e 60 dal Senato). Il vitalizio non può essere rifiutato. Unica alternativa è quella seguita dal Sindaco di Roma Walter Veltroni, già ministro dei Beni Culturali, che con un nobile gesto ha devoluto in beneficenza alle popolazioni africane l’assegno di 9.014 euro mensili. Ma quanti seguiranno il suo esempio? Se il vitalizio può essere in qualche modo giustificato come segno di riconoscenza dello Stato per chi ha rappresentato la Nazione, sedendo sui banchi di Montecitorio o di palazzo Madama senza avere altre forme di pensione, fa invece discutere l’entità dell’assegno anche per chi è rimasto poco tempo in carica e la sua cumulabilità con altri redditi.
Da 37 anni c’è poi un’altra anomalia che nessun politico intende correggere: i dipendenti pubblici e privati eletti deputati, senatori, europarlamentari, governatori di Regioni e sindaci di grandi città - grazie all’art. 31 dello Statuto dei lavoratori - possono conservare il posto di lavoro mettendosi in aspettativa con il diritto di vedersi accreditare i contributi figurativi dall'Inpdap, dall'Inps o dall'Inpgi.
In pratica, quasi per magia magistrati, professori universitari, militari, ambasciatori, insegnanti, bancari, piloti, medici ospedalieri, ferrovieri, telefonici e giornalisti hanno diritto al vitalizio dello Stato ed ai contributi in gran parte gratuiti (fino al ’99 il regalo era, invece, totale) sulla loro futura pensione per tutta la durata del mandato se al momento dell’elezione era già aperta una posizione previdenziale. Molti vitalizi finiscono così per sommarsi a pensioni maturate a spese di “Pantalone” o di enti previdenziali di categoria. E d’incanto ottengono quasi gratis 2 pensioni per lo stesso arco di tempo in cui hanno svolto funzioni pubbliche. Il costo per l’Erario è stato calcolato in almeno 5 miliardi di euro, pari a circa 10 mila miliardi di lire, ma nella legge n. 300 del ’70 non era prevista alcuna copertura di spesa. Ad esempio, molti giornalisti parlamentari hanno chiesto l’accredito dei contributi figurativi: dal leader di An ed ex ministro degli Esteri Gianfranco Fini al ministro degli Esteri ds Massimo D'Alema, dall'ex ministro delle Poste Maurizio Gasparri (An) all'ex ministro della Sanità Francesco Storace (An), dall'ex Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Paolo Bonaiuti (Forza Italia) all'ex segretario Udc e ideatore del Movimento dell'Italia di Mezzo Marco Follini. In pratica, la loro pensione finisce per essere in parte pagata dai loro colleghi in attività perché l’Inpgi è un ente privatizzato senza più l’ombrello dello Stato. Altri loro colleghi hanno, invece, già maturato la pensione: il ministro della Giustizia Clemente Mastella (Udeur), il presidente della Rai Claudio Petruccioli, gli ex direttori del Tg2 Alberto La Volpe, del Gr Rai Gustavo Selva, di “Panorama” Carlo Rognoni, de “L’Europeo” Gianluigi Melega, de “Il Tirreno” Sandra Bonsanti, de “La Gazzetta del Mezzogiorno” Giuseppe Giacovazzo, de “L’Avanti” Ugo Intini, nonchè Corrado Augias, Alberto Michelini, Carla Mazzuca, Luciana Castellina e Gianfranco Spadaccia. Solo due giornalisti hanno sinora rinunciato ai contributi figurativi gratis sulla loro pensione: l’ex direttore de “il Tempo” ed ex Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta e il Vicedirettore de “il Giornale” Paolo Guzzanti.
Persino chi ha frequentato poco o niente Montecitorio come il professor Toni Negri, eletto nell’83 nelle file dei radicali, e che ha preferito restare in quei 5 anni a Parigi perché ricercato, incassa 3.109 euro al mese oltre ai contributi gratis per 5 anni sulla pensione di docente universitario. Anche l’ex ministro della Difesa Mario Tanassi condannato nel ’79 dalla Corte Costituzionale per lo scandalo Lockheed gode di un vitalizio di 7.709 euro. Ricevono lo cheque tre ex presidenti della Corte Costituzionale: Leopoldo Elia (6.590 euro) e Aldo Corasaniti (3.108 euro) poi eletti al Senato, mentre l’ex ministro, Mauro Ferri, riceve 9.387 euro per i suoi 25 anni trascorsi alla Camera. Per la loro attività parlamentare assegni anche per due ex vicepresidenti della Consulta: Ugo Spagnoli (9.760 euro) e Francesco Guizzi (3.108).
Duplice vantaggio (vitalizio di 8.455 euro più contributi gratis sulla futura pensione Inpdap) per il presidente di sezione di Cassazione ed ex sottosegretario agli Esteri Claudio Vitalone e per l’ex ministro dei Lavori Pubblici Enrico Ferri (3.108 euro). Pensione di magistrato con contributi figurativi per l’ex Capo dello Stato e senatore a vita Oscar Luigi Scalfaro, che ha indossato la toga solo per pochi anni nel dopoguerra. Anche l’ex P.G. di Roma ed ex ministro della Giustizia Filippo Mancuso beneficia di un vitalizio della Camera di 4.725 euro. Stesso importo per l’ex p.m. del pool di Mani Pulite Tiziana Parenti, mentre l’ex deputato di An Publio Fiori percepisce 9.947 euro, ma gli spettano anche i contributi gratuiti sulla pensione di avvocato dello Stato.
Altri legali beneficiano del vitalizio: 3.108 euro sia al professor Carlo Taormina, ex difensore della signora Annamaria Franzoni, sia all’ex presidente della Commissione pari opportunità Tina Lagostena Bassi. Più consistenti, invece, gli importi per il radicale Mauro Mellini rimasto per 16 anni a Montecitorio (6.963 euro) e per l’Udeur Lorenzo Acquarone (9.387 euro) . A questa cifra risultano ex-aequo l’attuale presidente del Cnel ed ex ministro per le Attività produttive Antonio Marzano, l’ex ministro dei Lavori Pubblici Nerio Nesi, il demoproletario Mario Capanna e il sindaco di Venezia Massimo Cacciari.
Lunga la lista di altri ministri della Prima Repubblica: Franco Bassanini, Giuseppe Zamberletti, Remo Gaspari, Luigi Gui, Virginio Rognoni, Vincenzo Scotti e Franco Nicolazzi (9.947 euro ognuno), Antonio Gava (9.636 ), Filippo Maria Pandolfi (9.512), Salvatore Formica (9.387), Salvo Andò, Pietro Longo e Claudio Martelli (8.455), Renato Altissimo (8.828) ed Emilio De Rose (4.725). Tra i medici incassa un vitalizio di 3.108 euro il celebre cardiochirurgo Gaetano Azzolina. Stessa cifra per il regista Pasquale Squitieri, mentre a Franco Zeffirelli vanno 4.725 euro. Tra i beneficiari del vitalizio come ex parlamentari non mancano, infine, personaggi del mondo della finanza, ma nel loro caso non vi è, però, il cumulo con i contributi figurativi a spese di “Pantalone”: l’ex ministro degli Esteri Susanna Agnelli (8.455 euro), l’ex ministro dei Lavori Pubblici Francesco Merloni (9.947), Luigi Rossi di Montelera (8.455), Franco Debenedetti (6.590), Vittorio Cecchi Gori (4.725) e Luciano Benetton (3.108).

 


La Stampa 11-4-2007 NON SOLO POLITICI: ECCO I CASI PIU' CLAMOROSI Quando lo Stato diventa Pantalone

 

Migliaia di miliardi a chi non li doveva avere Il primo clamoroso caso di pensioni in gran parte pagate da "Pantalone" si registrò nel 1970 con la legge 336 del 1970 a favore degli ex combattenti della seconda guerra mondiale poi assunti come dipendenti pubblici. Ebbero in regalo da 7 a 10 anni di contributi previdenziali (per i dipendenti del settore privato anch'essi combattenti tra il '39 e il '45 non fu, invece, previsto alcun beneficio; di qui la presunta discriminazione tra le due categorie di lavoratori finita davanti alla Consulta). Il Parlamento sbagliò totalmente i conti prevedendo una spesa complessiva di appena 16 miliardi di lire (7 per il '69 e 9 per il '70). Infatti nel 1980 il ministero del Tesoro rese noto alla Corte Costituzionale che fino ad allora l'onere effettivo sostenuto dall'Erario aveva addirittura superato i 10 mila miliardi di lire! Insomma, in appena 10 anni si erano spesi ben 9 mila 984 miliardi in più rispetto allo stanziamento di bilancio. Un analogo privilegio fu concesso nel '93 dal governo Ciampi che regalò 7 anni di contributi ai portaborse dei politici. Costo per l'Erario 74 miliardi di lire. L'effetto Tangentopoli favorì così paradossalmente i dipendenti dei partiti. Un'identica spesa di 74 miliardi di lire fu, invece, pagata dallo Stato nell'88 per coprire gli effetti della riassunzione in servizio del magistrato Luigi Vuerich con contestuale sua promozione a consigliere della Corte d'appello di Roma. Il Csm l'aveva sospeso perchè nel '65 era stato condannato in 1° grado per corruzione di minore per essersi intrattenuto nel bagno di un cinema con un 14enne. Ottenuta l'amnistia dalla Cassazione, il giudice chiese di tornare al lavoro, ma il Csm accolse la sua richiesta solo dopo 23 anni. Tuttavia, per effetto della discussa legge sul cosiddetto "galleggiamento e trascinamento", la sua promozione ebbe un effetto-cascata micidiale per le casse dello Stato, di cui beneficiarono i circa mille magistrati che lo precedevano nella graduatoria dei consiglieri di corte d'appello. Per legge nessuno di loro poteva guadagnare meno del loro collega. Di qui anche i successivi effetti negativi per lo Stato sulle pensioni dei mille giudici risultate così gonfiate. L'ingiustificato privilegio fu, però, cancellato nel '92 dal governo Amato. In precedenza fu abolita nel 1985 un'altra assurda legge dell'Ottocento che imponeva allo Stato addirittura il pagamento di un vitalizio rivalutabile solo per alcuni cittadini danneggiati nell'Ottocento durante le guerre d'indipendenza. Si trattava in particolare dei danneggiati politici di saccheggi e incendi avvenuti il 15 maggio 1848 a Napoli, nel settembre 1848 a Messina e nell'aprile 1849 a Catania, nonché di coloro che furono perseguitati o condannati o che finirono in carcere per causa politica o che furono violentemente espulsi dallo Stato. La legge estese poi il vitalizio fino ai loro nipoti. Tenendo conto che nel 1985 ne erano sopravvissuti solo 470 nipoti ai quali spettava un assegno annuo di 60 mila lire , lo Stato spese ogni anno circa 25 milioni di lire. In pratica, venne a costare di più lo stipendio dell'impiegato del Tesoro che doveva tenere aggiornato il loro albero genealogico. Uno dei "premiati" fu il padre dello scomparso ex direttore de La Stampa Gaetano Scardocchia, che si rifiutò di incassare il vitalizio, ma chiuse lo cheque in un quadretto e lo appese a ricordo in bagno! L'ultima "leggina" della Prima Repubblica (la n. 54 del '94), approvata in 2 giorni dalle Camere prima del loro scioglimento, porta, invece, il nome dell'allora presidente della Stet Biagio Agnes perché il giornalista, ex direttore generale della Rai e cavaliere del lavoro ottenne una pensione d'oro erogata dal "Fondo telefonici" in gran parte a spese di "Pantalone". Due anni prima il Parlamento aveva infatti consentito a tutti i dipendenti Sip e Stet di ricongiungere gratis nel "Fondo telefonici"(considerato uno dei migliori in assoluto per i vantaggiosi meccanismi di rivalutazione delle pensioni) i contributi previdenziali esistenti presso altri enti. Il costo dell'operazione restò per metà a carico dello Stato e per metà di Sip e Stet. Agnes, rimasto fuori dalla legge del '92 perché già percepiva da 9 anni la pensione dei giornalisti, ottenne così il privilegio di poter restituire all'Inpgi l'intero ammontare delle pensioni incassate ogni mese a partire dal '85 (circa 1 miliardo di lire), trasferendo tutti i contributi al "Fondo telefonici". E, come d'incanto, la sua pensione mensile si è da allora miracolosamente triplicata. \.

 

 


Europa 10-4-2007 Mafia e tangenti a Trapani: chi ha trasferito il prefetto che aveva denunciato il mercimonio? FEDERICO ORLANDO RISPONDE

Cara Europa, mentre il nostro on. Luciano Violante (che appena eletto presidente della Camera nel 1996 pronunciò un discorso riabilitativo dei “ragazzi di Salò”) riabilita ora anche i colpevoli di tangentopoli, dicendo che “sbagliammo” (chi?) a criminalizzare i socialisti, si dà il caso che un altro ex socialista, e me ne dolgo da ex elettore del Psi, finisca agli arresti a Trapani per aver fatto «mercimonio delle proprie funzioni» quand’era assessore e vice presidente della Regione.
Apprendo anche che il prefetto che nel 2003 aveva segnalato gli scandali alla polizia, fu trasferito ad Agrigento. Qualcuno ha detto che era antipatico all’allora sottosegretario all’interno D’Alì, forzista, anche lui trapanese. Che ne dice il nostro Violante?
BEPPE LUCENTINI, PARMA

 Non lo so, caro Lucentini, e mi piacerebbe saperlo. La storia che lei richiama è stata riferita dai giornali prima di Pasqua, con ampiezza (tranne il Giornale di Berlusconi: notizia a una colonna a pagina 11), ed è questa: un imprenditore pentito e le intercettazioni hanno rivelato che per anni ha operato a Trapani un «blocco di potere»costituito da mafiosi, da politici e da componenti «della più qualificata imprenditoria». Tra i politici, l’ex vice presidente della Regione, Bartolo Pellegrino (Psi, poi Nuovo Psi, poi Nuova Sicilia) che da assessore al bilancio emetteva assegni a vuoto e chiamava “sbirri” i carabinieri e “infami” i pentiti; e Mario Buscaino (Margherita) candidato a sindaco di Trapani: arresti domiciliari al primo, avviso di garanzia al secondo. Con loro un funzionario dello Stato, Francesco Nasca, fino al 2004 direttore dell’agenzia del Demanio a Trapani, nonché fior d’industriali e di mafiosi. In totale, sei mandati di cattura.
Riportiamo, da La Stampa, un esempio di come funzionava l’associazione, con annessi “concorsi esterni”. Per fare in modo che i beni confiscati alla mafia finissero in mano di altri mafiosi (è la tesi degli inquirenti), l’ex dirigente del Demanio, volendo favorire il capomafia Francesco Pace, «sottostimava il valore della Calcestruzzi Ericina, azienda confiscata al boss Vincenzo Virga, e la faceva acquistare da Vincenzo Mannina, imprenditore contiguo alla famiglia mafiosa di Trapani». Ma, siccome non tutti i politici, gli industriali e i funzionari sono disonesti, un funzionario onesto, il prefetto Fulvio Sodano, segnalò la vicenda alla polizia: salvo essere trasferito, come lei dice, ad Agrigento. Il sottosegretario all’interno dell’epoca, D’Alì, ha citato in giudizio civile Michele Santoro, per averne parlato nella sua trasmissione.
C’è stata o non c’è stata interferenza? Saranno i giudici a stabilirlo. Il prefetto Sodano in un’intervista al Corriere della sera conferma la vulgata. Mi auguro che sbagli anche perché proprio in quel tempo (27 febbraio 2004) il sottosegretario forzista lodava i corsi della Scuola superiore dell’amministrazione dell’interno che ha fra i suoi obiettivi far conoscere ai paesi che li frequentano «l’esperienza delle speciali misure di rigore che il nostro ordinamento si è imposto per arginare il fenomeno della mafia e della criminalità organizzata all’interno della pubblica amministrazione, prevedendo forme di intervento sostitutivo nei casi in cui vengano intercettati, anche grazie alla collaborazione dei cittadini e con l’intervento dei prefetti, fenomeni di evidente e comprovata infiltrazione ».


L’Unità 5-4-2007 Asl del Lazio, la grande macchina delle tangenti Emerge il meccanismo che negli anni di Storace ha divorato appalti, convenzioni: un rapporto stretto tra affari e centrodestra di Angela Camuso

 

ECCOLA, con un bilancio che si annuncia ancora una volta provvisorio la grande abbuffata quale è stata, ai tempi della giunta Storace, la gestione dei soldi del Sistema Sanitario Nazionale da parte delle Asl del Lazio. Eccoli, l'uno che si nasconde dietro l'altro, i politici che hanno tirato le fila di un sistema criminale che è si è rivelato così bene organizzato da apparire alle coscienze - molto sensibili, ovviamente al denaro - dei suoi promotori, diremmo quasi come una realtà ineluttabile. Eccolo, questo bell'esempio di Italietta paurosa e omertosa, tutta inchinata, da una parte, davanti ai piccoli e grandi potenti e tutta boriosa e sguaiatamente avida dall'altra. Citiamoli in fila, dunque, tutti questi compagni di merende. Tenendo però, da parte, almeno al momento, Francesco Storace, che è stato Presidente della Regione Lazio dal 2000 al 2005, ovvero nel periodo in cui gli illeciti sono stati commessi e che subito dopo è diventato Ministro della Salute. L'attuale senatore, finora, da questa inchiesta giudiziaria si è salvato (non è stato mai iscritto nel registro degli indagati), anche se resta tutto da decifrare l'ultimo colpo di scena dell'inchiesta: si tratta del misterioso file "Storax", contenente date e cifre di decine di migliaia di euro sequestrato al suo ex braccio destro. Iniziamo, dunque, con Giorgio Simeoni, che all'epoca dei fatti faceva l'assessore regionale alla formazione e che attualmente siede a Montecitorio. Eletto con la lista di Forza Italia, Simeoni è scampato al carcere questa estate soltanto perché la giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera ha negato il suo arresto. La posizione di Simeoni è stata stralciata da quella del resto degli imputati e il deputato ha sempre negato di aver ricevuto mazzette. E dire che la prima grande pentita di questa indagine, l'imprenditrice Anna Iannuzzi, (ribattezzata Lady Asl per la vastità del suo 'impero' sanitario) ha descritto Simeoni come un uomo "affamato di soldi". La donna,, che a marzo scorso è stata condannata a 8 anni di carcere, è stata ritenuta testimone attendibile dai giudici, tant'è che proprio a seguito delle sue dichiarazioni sono già stati condannati alcuni dirigenti di Asl. Tra i politici della Regione processati a seguito del pentimento della Iannuzzi anche Giulio Gargano, di An, ex assessore regionale ai trasporti,, che ha patteggiato una pena a 4 anni e 4 mesi di carcere. Sembra tuttavia che Gargano, che all'epoca era l'uomo di fiducia di Storace, non abbia ancora chiuso i suoi conti con la giustizia. Cosimo Speziale, l'ex direttore generale della Asl RmB, ha raccontato infatti di avergli consegnato mazzette successivamente a una gara di appalto truccata. Soprattutto, c'è che Gargano di fatto non ha ancora risposto ai magistrati in merito al significato delle informazioni contenute nel file 'Storax', che pure è stato trovato in suo possesso. Tra i destinatari delle mazzette c'è anche Marco Buttarelli, funzionario della Regione poi diventato capo di gabinetto di Storace quando l'ex Governatore è diventato ministro. A chiudere la lista, infine, Cosimo Speziale, il secondo grande pentito dell'inchiesta. È lui che ha tolto il velo che copriva un mondo parallelo. È lui che ha confermato ai pm come non fosse soltanto lady Asl a pagare mazzette in cambio di favori, miliardari da parte dei politici responsabili delle erogazioni di fondi. Tutti pagavano, ha detto Speziale, per ogni tipo di appalto e per ogni tipo di convenzione. Ed era lui stesso, ha dichiarato Speziale, ad intascare le mazzette e poi a girarle, in parte, ai politici, che avevano il potere di fargli fare carriera e per questo pretendevano "soldi e soldi". Anche Speziale appare attendibile, tanto più da qualche giorno fa, proprio a seguito delle sue dichiarazioni, sono stati eseguiti 5 arresti: in ballo, tra le altre cose, 48 miliardi di vecchie lire pagati da una Asl a risoluzione di un contenzioso con una clinica privata. Contenzioso risolto - neanche a dirlo -, a suon di tangenti.

 

 


La Repubblica 3-4-2007 Il vero costo della formazione MARIO CENTORRINO

 

(segue dalla prima di cronaca) La formazione parallela o successiva a quella scolastica serve a qualificarlo e accrescerlo. Ma la formazione in Sicilia purtroppo adempie ad altre finalità: funziona cioè da ammortizzatore sociale per gli addetti e gli utenti. La spesa destinata alla formazione, se non guardata sotto questo profilo, risulta infatti inefficace, inefficiente, fuori controllo salvo poche quanto significative eccezioni. è inefficace perché non accresce il capitale umano. è inefficiente perché erogata in quantità sproporzionata rispetto ai risultati didattici conseguiti. è fuori controllo perché nessuno ha mai controllato la congruità tra esperienza di studio e materia insegnata con riferimento ai docenti. Ovvero la rispondenza tra offerta formativa e domanda, tradotta in assunzioni, delle qualifiche professionali conseguite. Perché allora nessuno pone questo problema come prioritario all'interno dei "cantieri", dei " laboratori", dei congressi politici che pullulano in questi giorni? Riprendiamo l'ipotesi prima enunciata: se la formazione funge da ammortizzatore sociale nessuno potrebbe assumersi la responsabilità di ostacolarla o ancor più di ridisegnarla. Tesi discutibile che cozza però contro un principio economico: la formazione come ammortizzatore sociale ha un costo amministrativo elevatissimo. A meno che non si voglia sostenere il diritto anche i docenti, del personale, dell'indotto complessivo della formazione a fruire di una forma di sussidio. Verrebbe allora intuitivo progettare un utilizzazione differenziata dei 251 milioni di euro con i quali si finanziano gli enti che gestiscono la formazione professionale. Un ammortizzatore sociale serve infatti se è selettivo, non se è universale. Ma c'è un'altra ragione per il silenzio sulla formazione. Con l'obbligo di riconoscere nobili eccezioni, la formazione professionale funziona oltre che come gigantesco sussidio anche quale canale per acquisire e gestire consenso elettorale. Un ulteriore costo della politica, la si potrebbe definire. Desta perplessità la corresponsabilizzazione in tutto questo di un sindacato d'eccellenza (la Cisl) mentre la Cgil da tempo si è tirata fuori dal buco nero della formazione sia pur senza avanzare rivendicazione di riforma dei processi formativi. Anche in questo caso sorge spontanea una considerazione. Non si potrebbero sostenere questi costi (necessari?) della politica senza creare false aspettative, innalzamento del salario di riserva opacità nei modelli di reclutamento come produce la formazione in Sicilia? Una proposta in conclusione. E se per un anno, fermo restando il rispetto per la funzione di ammortizzatore sociale e di contributo ai costi della politica assegnati in materia criptata alla formazione non dedicassimo quest'ultima solo a due aree: quella linguistica e quella informatica. Parafrasando la bellissima invenzione linguistica Amalia Crisantino che ha scritto cose molto sensate sullo scandalo della formazione, da lei ribattezzata "formazione al clientelismo", clientelismo che parla inglese e "smanetta" sui computer già per la Sicilia rappresenterebbe una grande conquista. Temiamo che più che di "formazione al clientelismo", debba parlarsi purtroppo di (in) formazione sul clientelismo. E questa purtroppo al momento non ha bisogno né di conoscenza linguistiche né informatiche. C'è una questione meridionale anche nel clientelismo?.

 

 

 


Il Trentino 1-4-2007"Esistono ambasciate della California?" Salvi: "No, ma ad esempio la Lombardia ne mantiene una a Cuba" "Le spese si possono tagliare, ma non c'è la volontà di farlo". (Gabriele Rizzardi).

 

ROMA. "Apprezzo le buone intenzioni del governo ma adesso bisogna passare dalle parole ai fatti. La battaglia sulla riduzione del costo della politica deve essere condotta in prima persona da Romano Prodi. Al presidente del consiglio, che ancora non si è mosso, dico che ci vuole più coraggio". Lo afferma Cesare Salvi, senatore della Quercia, presidente della commissione Giustizia del Senato. Salvi, autore insieme a Massimo Villone del libro sulla politica Spa, "Il costo della democrazia", non nasconde la sua preoccupazione ed esorta il governo ad andare avanti sulla strada della trasparenza e del rigore. Quali sono i casi più eclatanti di sperpero? "Purtroppo, non c'è che l'imbarazzo della scelta. La cosa che ha colpito di più sono le ambasciate all'estero delle Regioni e anche di qualche Comune. Ci sono Regioni che hanno 20, 30, sedi all'estero, inutili e vuote. Dalla Lombardia alla Campania. Lei ha mai visto in Italia un'ambasciata della California? O della Baviera? Sembrerà strano, ma la Lombardia ne ha una a Cuba. Domanda d'obbligo: cosa ci faranno?". Cosa suggerisce? "C'è un ritardo gravissimo nell'affrontare i tre aspetti del problema. Il primo riguarda il rapporto con l'opinione pubblica, che è colpita ed indignata. Poi c'è il risparmio effettivo che potrebbe venire dalle misure che si possono assumere con leggi anche ordinarie. Il terzo aspetto investe il degrado del sistema". Un esempio? "L'attività politica rischia di diventare una sorta di attività lavorativa. Si comincia nei consigli di circoscrizione, con l'idea che poi si può andare avanti per tutta la vita lungo quella strada". Anche nelle Regioni si fa politica. "Lo pseudofederalismo che è stato introdotto consente ad ogni Regione di fare quel che vuole. A cominciare dalla massima libertà sul numero dei consiglieri regionali, in costante e progressiva crescita". Per mettere un freno a tutti questi sprechi? "Ci vuole una norma costituzionale che riduca il numero dei parlamentari: 400 deputati, 200 senatori. Bisogna fissare anche un tetto al numero dei consiglieri regionali in proporzione alla popolazione. Ed è necessario abolire le Province perché un federalismo a quattro livelli non esiste in nessuna parte del mondo". Le modifiche costituzionali richiedono tempi lunghi. Forse troppo. "Richiedono tempi lunghi se ci sono problemi. I problemi purtroppo ci sono, ma derivano dal fatto che colpiscono il ceto politico". E' credibile chiedere ai parlamentari di votare una legge che li metterebbe fuori dal Palazzo? "Bisogna farlo perché altrimenti è la politica nel suo insieme che perde credibilità". In quali altri settori si può intervenire? "Bisogna intervenire su tutto il meccanismo delle retribuzioni pubbliche, fissando un parametro massimo. Abbiamo avuto notizie scandalose. Ci sono manager di Stato che entrano in azienda con contratti milionari, magari la portano sull'orlo della bancarotta e poi se ne vanno con liquidazioni d'oro. E non è finita. C'è il fenomeno delle consulenze, che andrebbero ridote al minimo, e degli incarichi che vengono dati a cascata e invece andrebbero orientati".

 

 


L’Unità 1-4-2007 ASSOCIAZIONE a delinquere finalizzata alla turbativa di aste pubbliche, falso, truffa ai danni dello Stato, corruzione. di Francesco Sangermano

 

Ma anche intrecci tra affari e politica, tra appalti e cemento. Con l'ombra inquietante della mafia a completare il quadro di una settimana che ha sconvolto la vita amministrativa ed economica di Campi Bisenzio, cittadina della periferia nord di Firenze. È stato lunedì 26 che i Carabinieri sono entrati in azione dopo oltre un anno di indagini. Trentatre persone colpite da ordinanza di custodia cautelare o da sottoposizione all'obbligo di firma e un doppio filone d'inchiesta che al momento coinvolge noti industriali della zona oltre a funzionari e tecnici del Comune ma che non esclude, nel prossimo futuro, di allargarsi anche all'ambito politico ed amministrativo. In oltre 200 pagine di ordinanza redatte dal giudice per le indagini preliminari l'indice viene puntato su una serie di interventi effettuati nelle province di Firenze e Prato sia riguardo all'esecuzione di lavori pubblici sia alla predisposizione delle gare d'appalto ed ai procedimenti di rilascio delle concessioni edilizie. Dalle indagini condotte dal Ros dei Carabinieri del colonnello Domenico Strada i pm Giusppina Mione e Leopoldo De Gregorio hanno ipotizzato in primo luogo la costituzione di una vera e propia cupola costituita da società del settore edile. Un cartello cui avrebbero aderito una ventina di imprese e che sarebbe stato diretto dall'imprenditore Vincenzo Aveni (peraltro ex presidente della sezione edilizia della Confindustria fiorentina). Scopo del cartello sarebbe stato quello di partecipare ad appalti pubblici per lavori stradali ed acquedottistici, indetti dai comuni di Firenze, Campi Bisenzio, altre località toscane come Viareggio e Grosseto, nonché dalla Publiacqua Spa, società di gestione dell'acquedotto fiorentino. Appalti inferiori a 5 milioni di euro assegnati attraverso il sistema della cosiddetta "media mediata" (la gara veniva vinta dall'impresa che avesse fatto il ribasso immediatamente inferiore alla media tra quello più alto e quello più basso presentati per la gara in oggetto) e quindi ripartiti in subappalto alle imprese rimaste escluse ma che avevano aderito al cartello. Non solo. In alcuni casi, infatti, l'accusa ipotizza che l'affidamento dei lavori veniva assicurato anche attraverso la corruzione di compiacenti funzionari dell'area tecnica degli enti committenti, come risultato per due licitazioni bandite rispettivamente dall'Asl di Firenze e dal Comune di Campi Bisenzio. E proprio l'apparato amministrativo di quest'ultimo Comune, è risultato caratterizzato da una "generalizzata illegalità" che, oltre ai casi di corruzione di alcuni dipendenti, coinvolge l'attuazione del nuovo Regolamento Urbanistico Comunale (Ruc). In molte conversazioni telefoniche intercettate il dirigente degli appalti pubblici Marco Cherubini dice chiaramente ad esponenti della giunta o consulenti esterni che "il Regolamento è illegittimo". Nel dettaglio, l'accusa che gli inquirenti rivolgono ai funzionari (anche basata su numerose intercettazioni telefoniche) è che questi attestassero falsamente la conformità dei progetti allo strumento urbanistico, sovradimensionando, di fatto, i parametri di sviluppo edilizio autorizzati dalla Regione Toscana e determinando, di conseguenza, notevoli profitti economici ai soggetti promotori dell'intervento speculativo. Il tutto, cercando di muoversi all'interno di delicati equilibri politici: ancora il Cherubini, infatti, non eista a definire il sindaco "nella morsa" e a lanciare dure accuse alla Margherita che, dice, "ha interessi talmente colossali in prima persona...".


 

Il Corriere delle Alpi 1-4-2007 I politici costano una fortuna I deputati italiani guadagnano il doppio dei francesi GABRIELE RIZZARDI

 

ROMA. Ridurre i costi della politica. Romano Prodi lo ha promesso in campagna elettorale ed è tornato a parlarne durante la conferenza stampa di fine anno. Lo ha ripetuto a ministri e sottosegretari ed infine lo ha scritto nel patto in 12 punti con il quale un mese fa ha chiesto la fiducia al Parlamento. Tagliare, ridurre, contenere. Ci hanno provato in tanti ma i risultati finora sono modesti: la politica in Italia costa sempre di più. A confronto con gli altri paesi europei, poi ci distinguiamo nettamente. L'International Herald Tribune ha pubblicato recentemente un articolo che fa la comparazione tra lo stipendio dei deputati italiani e quello degli altri parlamentari europei. Le cifre non lasciano dubbi: l'assegno mensile lordo del deputato italiano è poco inferiore ai 16 mila euro, quello di un membro dell'Assemblea nazionale francese si aggira intorno ai 7 mila euro. I deputati svedesi si "accontentano" di 5 mila euro. Ma non è solo uno stipendio smisurato il privilegio di cui godono i nostri parlamentari. Tra i benefici che provocano irritazione ci sono le auto blu, i biglietti gratis, le poltrone assicurate ovunque, i conti bancari a costo zero e una vera giungla di benefici-scandalo. Deputati e senatori incassano ogni mese più di 15 mila euro tra indennità, diaria e rimborsi vari. Allo stipendio di 5 mila 486 euro (si chiama indennità) bisogna aggiungere il rimborso (si chiama diaria) di 4 mila 3 euro per il soggiorno a Roma e altre 4 mila 190 euro per le "spese inerenti al rapporto tra eletti ed elettori". Sotto questa voce è compresa anche la cifra che ogni deputato corrisponde ai propri assistenti (i cosiddetti portaborse che, per una decisione presa pochi giorni fa da Bertinotti e Marini, potranno entrare in Parlamento solo se in possesso di un regolare contratto di lavoro). E si arriva al capitolo trasporti. I depuati, è noto, viaggiano molto. Ma se si muovono nel territorio nazionale non pagano niente. Non fanno file e prendono posto in business class. Per loro, gli spostamenti in treno, aereo o traghetto, sono gratis ed anche per i viaggi in autostrada non versano una centesimo. Ma non è finita. Serve un taxi? Per questo servizio è previsto un rimborso trimestrale di 3 mila 323 euro per il deputato che deve percorrere fino a 100 chilometri per raggiungere l'aeroporto più vicino al luogo di residenza e di 3 mila 995 euro per chi deve percorrere più di 100 chilometri. Un bonus annuale di 3 mila 100 euro è infine previsto per tutti i parlamentari che intendono recarsi all'estero per ragioni di studio o "connesse" alla propria attività. E il telefono? Nessun problema: il rimborso annuale è di 3 mila 100 euro e copre tutte le chiamate dal fisso o dal telefonino. Il trattamento di favore comprende anche una assistenza sanitaria integrativa (pagata dal deputato), la barberia della Camera e del Senato a prezzi scontati, panini alla buvette e pranzi ai ristoranti di Monecitorio e palazzo Madama a prezzi fuori mercato. Sono previsti sconti (offerti da produttori e negozi di loro inizitiva) anche per l'acquisto di automobili, aparecchi telefonici, Tv e altro. Un esempio? A gennaio la Tim ha stipulato una convenzione con la Camera per la fornitura di servizi di telefonia mobile e cellulari aziendali. Agli inquilini del "Palazzo", l'operatore telefonico ha riservato un trattamento particolare: tariffe tra le più competitive sul mercato e dotazione di telefonini di ultima generazione. Una chiamata da un telefonino Camera a un altro utente Tim costa solo 0,005 euro. Di tutti i privilegi, quello che più irrita i cittadini è il trattamento pensionistico. Deputati e senatori, anche se in carica per una sola legislatura, maturano il diritto ad una pensione straordinaria che si chiama vitalizio e si somma con tutti i redditi. I sacrifici previdenziali che il governo chiede a tutti i lavoratori non sembrano riguardare i parlamentari. Per i deputati è in vigore un regolamento approvato nel 1997 che stabilisce il diritto alla pensione a 65 anni per gli onorevoli il cui mandato sia iniziato successivamente al 1996. L'unico vincolo è quello della contribuzione: devono essere stati fatti versamenti (1006 euro mensili) per almeno 5 anni. Tutti in pensione a 65 anni? Non esattamente: l'età minima per il vitalizio scende di un anno per ogni ulteriore anno di mandato oltre i 5 obbligatori, sino a raggiungere il traguardo dei 60 anni. I deputati eletti prima del 1996 (e anche in questa legislatura ce ne sono tanti) possono invece avvalersi della "vecchia" normativa secondo la quale si ha diritto al vitalizio all'età di 60 anni, riducibili a 50 utilizzando tutti gli anni di mandato accumulati oltre i 5 minimi richiesti. Ma quanto costano alla colletività gli eletti dal popolo? Un conto preciso è quasi impossibile farlo. Quel che è certo è che i bilanci della Camera, del Senato ma anche quelli del Quirinale, sono in continua crescita. Per la prima volta, la Presidenza della Repubblica ha reso note le cifre essenziali del suo bilancio: la previsione di spesa per il 2007 è di 235 milioni di euro. Il Senato, per il 2006, aveva previsto una spesa di 566 milioni 510 mila (di cui 80 milioni 360 mila euro per lo stipendio dei senatori) contro i 550 milioni 674 mila euro del 2005. Secondo il bilancio di previsione, la Camera dei deputati nel 2006 avrebbe dovuto spendere 1023 milioni di euro contro i 979 dell'anno precedente. Solo la voce "deputati", lo scorso anno, ha pesato per 166 milioni di euro (ai quali vanno aggiunti altri 128 milioni per i vitalizi).


Il Sole 24 Ore 30-3-2007 Illegalità, l'handicap che frena l'Italia Da corruzione e continui scandali un costo eccessivo per l'immagine internazionale del Paese di Mario Margiocco

 

: A ttenti all'Italia? Leggi opache, magistratura lenta, scandali troppo frequenti, corruzione troppo facile. E poi pessima collocazione nelle classifiche internazionali che misurano non la corruzione, difficile da pesare, ma la percezione di quanto il Paese è corrotto. L'Italia si trova ai vertici negativi in Europa in compagnia di Spagna e Portogallo, considerati però da altre classifiche, la Spagna soprattutto,più efficienti come amministrazione. L'elenco degli scandali, per fermarsi agli ultimi due anni, è nutrito, e tocca finanza, sport, politica e ovviamente sesso e ricatti: Cirio, Parmalat, Unipol, i "furbetti del quartierino", la Banca d'Italia e la Popolare di Lodi, Calciopoli, Vallettopoli, più l'immancabile presenza italiana in questi giorni nell'ultimo scandalo alla Commissione Ue (si veda l'articolo in questa stessa pagina).Per non dire delle ingerenze politiche nelle società quotate, che sei mesi fa avevano fatto parlare Giovanni Perissinotto, coamministratore delegato delle Generali, di un "italian discount", di uno "sconto" che gli stranieri ottengono per investire in titoli italiani o in un Paese dove chi non è di casa "spesso non riesce a capire le regole e come vengono applicate". Il caso italiano ha un prezzo misurabile in euro, chiaramente. Gli investimenti esteri in Italia,sottodimensionati rispetto al peso economico del Paese, lo confermano, e non da oggi. "L'Italia non è la pecora nera d'Europa, ma la sensazione generale è che abbia un po' più scandali degli altri e un po' più spesso,anche se altri hanno scandali che in Italia non si presentano, si veda l'incapacità francese di governare le sue banlieue - osserva Pierre Milza, storico francese, specialista di storia italiana e autore di numerose opere sull'Italia e di una storia generale della penisola -. Anche altri Paesi hanno scandali politici, finanziari, sportivi. Ma l'Italia un po' di più, diciamo". Sono scandali che si fanno sentire anche molto lontano. L'"Hindustan Times" raccontava a settembre ai suoi più che 14 milioni dilettori fra edizione inglese e hindi, che l'ultimo scandalo italiano è sempre l'argomento preferito sulle colline senesi, fra un chianti e l'altro. E il "Los Angeles Times" ricordava la settimana scorsa,il 23 marzo,che Karl Rovee Alberto Gonzales,il consigliere del Presidente George W. Bush e il suo ministro della Giustizia, entrambi sulla graticola, "potrebbero imparare un paio di cose dagli italiani su come si sopravvive agli scandali politici", Vallettopoli in questo caso. "Football: nessuna sorpresa nel trovare mani italiane nella marmellata ",titolava nel luglio scorso il settimanale britannico "The Observer",che anglicanamente faceva di ogni erba un fascio e metteva tra le storture italiane, nell'ordine: il Papato, i Borgia, la mafia, Niccolò Machiavelli, Silvio Berlusconi, Leonardo da Vinci (?) e "il grande scandalo degli arbitri comprati dalla Juventus". Più puntualmente e semplicemente, l'"Irish Times" aveva raccontato a fine 2005 la sorpresa dei clienti della Popolare di Lodi che si erano trovati i conti "scremati". E commentava: "Per la seconda volta in tre anni, la business community italiana incomincerà l'anno all'ombra di uno scandalo che ne penalizza l'immagine internazionale". All'"italian discount" corrisponde, uscendo dal dominio economico ed entrando in quello delle percezioni e degli stereotipi, un costo di immagine. L'Italia sconta già il peso di avere, assolutamente unico fra i grandi Paesi industrializzati, un crimine organizzato con presenza capillare in tre regioni. E sconta il peso della storia. Giudizi datati hanno, ahimè, la freschezza dell'attualità. "Per arrivare ai suoi fini l'italiano fa ricorso a ogni sorta di procedura irregolare. La furberia è portata all'altezza di un'eminente qualità", diceva in un rapporto più di 40 anni fa il colonnello Julien, addetto militare francese a Roma. Mentre il suo capo missione, l'ambasciatore Armand Bérard ('62'67), pur grande ammiratore del miracolo economico e delle capacità imprenditoriali italiane, sentenziava: "Gli abusi e le concussioni sono diffusi a un livello tale che lascia per molto tempo increduli". Complice la politica, così descritta dal suo successore étienne Burin des Roziers, il più italofilo degli ambasciatori di de Gaulle: "Al vertice, il gusto dell'intrigo e delle combinazioni che caratterizza il parlamentare italiano lo spingono a far sentire, quasi per divertimento, la propria potenza al Governo. Importanti riforme, che riguardano aspetti vitali della società, sono da anni all'ordine del giorno delle assemblee, senza che si riesca a votarle. C'è la sensazione che la macchina giri a vuoto". "Qui, quello che c'è di corrotto ha a che fare con una grande debolezza di carattere, e con un grande degrado politico", aveva osservato da Napoli a inizio 800 Madame de StaËl, che con i suoi scritti è all'origine dell'immagine moderna dell'Italia (e della Germania),e la cui eco risuonava neidispacci diplomatici francesi di mezzo secolo fa. Napoli come quintessenza dell'Italia al pari della Sicilia di Leonardo Sciascia un secolo e mezzo più tardi. "Ma l'immagine italiana è decisamente migliorata,parlo dal punto di vista del francese medio, rispetto a 30 o 20 anni fa -controbatte Milza -.Roma ha proseguito il cammino europeo, ha superato ilterrorismo, è entrata nell'euro, ha l'alternanza politica. Ma sì, ha qualche scandalo di troppo". Peccato che questo si adagi su una reputazione che, storicamente, non è delle migliori e su un'immagine che va cambiata.Altrimenti non si riuscirà mai ad uscire da un circolo vizioso che equivale spesso per gli italiani, aziende o individui, nel business come in qualsiasi situazione di confronto internazionale, a partire con un punto in meno. mario.margiocco@ilsole24ore.com

 


Il Giornale di Brescia 30-3-2007 Corruzione Ue, l'indagine punta in alto Il "giro" sarebbe stato quasi impossibile senza la connivenza di organismi di vertice

 

Oggi la Camera di consiglio di Bruxelles decide se confermare il carcere per i tre italiani arrestati Una visuale esterna del palazzo sede della Commissione a Bruxelles BRUXELLES L'inchiesta sulle tangenti milionarie che ha scosso le istituzioni comunitarie sembra destinata ad allargarsi. L'attività investigativa non si ferma agli arresti compiuti mercoledì, affermano in procura a Bruxelles, non escludendo ulteriori sviluppi. Intanto oggi la Camera di consiglio dovrà decidere se prorogare o meno la custodia in carcere dei tre italiani arrestati. La giudice Berta Bernardo-Mendez, con il sostituto Pacale France, continua a lavorare sulla mole di documentazione acquisita nel corso delle perquisizioni a tappeto eseguite poche ore prima di far scattare il mandato di arresto per l'assistente parlamentare Sergio Tricarico, il funzionario della Commissione Giancarlo Ciotti e l'imprenditore Angelo Troiano. A loro carico, come confermato dal portavoce della procura belga Jos Colpin, pendono capi d'accusa pesanti: oltre alla corruzione, all'associazione a delinquere, alla truffa e al falso, anche il riciclaggio di denaro sporco. La ragnatela di malaffare avrebbe permesso per anni, dietro la corresponsione di mazzette, di aggirare il mercato pubblico per affittare alla Commissione immobili di sedi all'estero, come quelle di Tirana e di Nuova Delhi, ma anche per installare i sistemi di sicurezza dei palazzi. In alcuni casi, si ipotizza che le richieste di denaro si fossero fatte "troppo pressanti" e accompagnate anche da minacce. Per quanto riguarda la sede della capitale albanese, Ciotti - racconta una fonte ben informata - si era recato a Tirana fin dal 2002 e, contro il parere del personale della delegazione, aveva individuato la nuova collocazione in un palazzo da costruire. "Non fu bandita nessuna gara - spiega ancora la fonte - e il funzionario selezionò la ditta con una trattativa diretta". L'impresa aggiudicataria risultò l'Europa building con sede a Tirana, di proprietà di un imprenditore della provincia di Potenza e di un albanese. Della stessa provincia di Potenza, si fa notare, è originario anche l'assistente parlamentare Tricarico. In Commissione, sulla vicenda i portavoce continuano a trincerarsi dietro il riserbo con la frase "non è cattiva volontà, ma obbligo legale". Quel poco che emerge in seguito alle ripetute domande, è solo che un responsabile di settore "non ha potere di firma", come sottolineato dalla portavoce Emma Udwin. Quindi qualcuno avrebbe dovuto controllare Ciotti?, hanno chiesto, ancora senza esito, i giornalisti. "Nessuno prende decisioni da solo, ma ci sono controlli molto rigorosi su ogni contratto e ogni allocazione di denaro", è stato ribadito. Ma i controlli, evidentemente, non hanno permesso di accertare le irregolarità poi denunciate da un imprenditore concusso, il finlandese Arno Helin, che nel 2004 si è rivolto all'ufficio europeo anti-frode. In carcere da mercoledì notte, Tricarico, Ciotti e Troiano, intanto, oggi dovranno comparire davanti ai giudici della Camera di Consiglio che, secondo la procedura belga, è chiamata a decidere sulla conferma della custodia cautelare.

 

 


La Repubblica 28-3-2007 Tre italiani arrestati a Bruxelles per corruzione in appalti Ue.

Incriminati un funzionario della Commissione, l'assistente di un eurodeputato e un imprenditore
L'inchiesta è cominciata tre anni fa e riguarda la gestione di gare d'appalto

 

BRUXELLES - Tre italiani, un funzionario della Commissione Ue, l'assistente di un deputato europeo e un agente immobiliare, sono stati incriminati e arrestati a Bruxelles nell'ambito dell'inchiesta per presunta corruzione in appalti concessi dalla Commissione europea. Ne ha dato notizia la procura di Bruxelles. L'inchiesta riguarda la gestione di gare d'appalto europee per la ricerca d'immobili per alcune delegazioni della Commissione e la realizzazione di impianti di sicurezza.
Non è stato reso pubblico il nome dei tre arrestati. Un'agenzia di stampa belga ha però fatto sapere che i tre sono accusati di falsificazione di documenti, corruzione e associazione a delinquere, e che il funzionario della Commissione finito in manette ha 46 anni, l'assistente di un deputato europeo 60 e l'agente immobiliare 39.
La procura belga ha avviato tre anni fa, in seguito ad una denuncia dell'Olaf, l'ufficio europeo-antifrode, un'inchiesta a vasto raggio che coinvolge, a vari livelli, un numero non precisato di funzionari europei. I principali reati ipotizzati sono, oltre alla corruzione, associazione a delinquere, violazione del segreto professionale e delle leggi sui mercati pubblici.
Nell'ambito dell'indagine ieri sono state eseguite perquisizioni in Italia, Francia, Lussemburgo e Belgio. Il magistrato, titolare del dossier, Berta Bernardo-Mendez, insieme al sostituto Pascale France, secondo quanto si è appreso dalla procura, sta indagando in particolare sulle operazioni di reperimento di immobili destinati ad ospitare le delegazioni della Commissione europea all'estero e su appalti per l'installazione di sistemi d'allarme degli stessi palazzi.
Le indagini dei magistrati di Bruxelles, in Italia, hanno portato fino a Potenza e da qui è partita un'operazione, a più ampio raggio, che, in collaborazione con i carabinieri, ha interessato Roma, Matera, Frosinone, l'Aquila e Teramo. Dal lavoro degli investigatori della città lucana sono giunti elementi ritenuti importanti per chiarire alcuni aspetti della vicenda. L'assistente parlamentare, secondo quanto si è appreso a Potenza, è il titolare di una società che avrebbe avuto un ruolo nell'individuazione di edifici da destinare a sedi di rappresentanza dell'Ue, probabilmente in India e in Albania.
I portavoce della Commissione e del Parlamento europeo, pur confermando l'inchiesta, non hanno fornito ulteriori particolari, in attesa degli sviluppi dell'azione della magistratura. "L'Olaf - ha detto il portavoce dell'esecutivo Ue Johannes Laitenberger - collabora pienamente con l'autorità giudiziaria per fare piena luce su alcuni sospetti. Fino a quando non saranno accertate eventuali responsabilità i funzionari resteranno al loro posto".
(28 marzo 2007)

 


L’Unità 28-3-2007  I soldi e i partiti un'odissea democratica Sergio Boccadutri*

*Tesoriere nazionale Rifondazione comunista.

 

Il Tesoriere nazionale dei Ds, Ugo Sposetti, è intervenuto recentemente sulle colonne dell'Unità interrogandosi sui partiti, sul loro ruolo e funzionamento. Ritengo la sua riflessione utile ed importante, anche per il metodo col quale ripropone questioni che da troppo tempo sono agitate con eccessiva demagogia, anziché essere discusse con la necessaria cura e attenzione. A provocare la riflessione di Sposetti è stata anche una recente iniziativa legislativa di Pierluigi Castagnetti sull'attuazione dell'art 49 della nostra Costituzione e la democrazia interna dei partiti, che ha il pregio di affrontare il tema anche sul versante normativo. Credo che il merito della discussione sia rilevante non solo relativamente all'oggetto specifico del progetto di legge, ma anche rispetto alle vicende politiche che attraversano oggi la sinistra italiana. Infatti gli interrogativi sul ruolo dei partiti e dei movimenti politici, così come il delicato tema del finanziamento delle loro attività sono, non solo attuali, ma utili a ritrovare il filo perduto del loro rapporto coi cittadini e della partecipazione alla politica. E sono domande che cercano una risposta nella capacità dei partiti di saper leggere e affrontare i fenomeni e i problemi sociali fuori dall'autoreferenzialità, nel loro ruolo nell'assicurare parità di accesso alle istituzioni alle donne e nel formare i propri gruppi dirigenti. Insomma se è vero che l'articolo 49 della nostra Costituzione interpreta ancora un'importante e fondamentale modalità di partecipazione nella democrazia, nel contempo è altrettanto vero che i partiti vivono da anni una profonda crisi, di partecipazione e di ruolo. Proprio per questo, proprio per mettere i partiti nella condizione di discutere di sé, di affrontare con franchezza la propria crisi, di produrre innovativi strumenti e regole di partecipazione, soprattutto nella definizione delle proprie scelte, che condivido l'idea che a 60 anni dalla Costituente, sia oggi possibile affrontare anche con un intervento normativo il nodo che a quel tempo si volle - consapevolmente - non disciplinare: il tema della loro democrazia interna. Proprio la forza e il ruolo dei movimenti, la molteplicità delle forze associative e di volontariato che aggregano migliaia di giovani e la contemporanea diffidenza giovanile nei confronti della politica, chiede che i partiti abbiano nuove regole trasparenti, certe, di garanzia e di partecipazione. È ovvio che il tema del finanziamento dei partiti nell'attuazione dell'art 49 è anch'esso argomento di discussione centrale; discussione che non deve essere soltanto relegata ai tesorieri. La politica costa, così come la democrazia, e assicurare ai cittadini la possibilità di partecipare alla politica a prescindere dalle condizioni economiche è ormai un dato che dovrebbe essere acquisito. Ma così non è, e concordo con Sposetti che i continui attacchi alle forme di sostegno pubblico ai partiti in realtà nascondano un'idea pericolosa, un'idea per cui la politica si determina intorno a singoli individui o gruppi di pressione capaci di muovere interessi e ingenti risorse fino a piegare l'interesse pubblico a quello privato. E allora non è questo un tema che deve affrontare tutta la politica e non soltanto chi, nei partiti, ne è più direttamente coinvolto? E la politica deve farlo con chiarezza e senza ipocrisie, affrontando quei problemi che definiti "costi della politica" in realtà sono altro, piuttosto costi di "governo della politica" o, nei casi peggiori, costruzione di clientele e filiere di interessi privati. Insomma è necessario intervenire con determinazione contro la moltiplicazione di consulenze e di incarichi super-retribuiti, soprattutto a fronte di scadenti risultati, e le inutili duplicazioni di funzioni a danno dell'efficienza dei servizi ai cittadini. Ma anche evitando insopportabili pratiche come quella di non regolarizzare il rapporto di lavoro dei collaboratori parlamentari. In questo caso mi chiedo perché le Camere non adottino misure affinché le risorse inerenti al rapporto eletto ed elettori siano erogate sulla base di spese documentate. Ad esempio contratti di affitto (nel caso di un ufficio parlamentare nel collegio) o un contratto di lavoro (nel caso di un collaboratore). Solo così la discussione potrà essere riportata sul terreno più autentico, quello della necessità di dotare i partiti e i movimenti politici (luoghi di democrazia e partecipazione) degli strumenti necessari alla loro attività oltre il periodo elettorale. È ovvio che al sostegno economico dello Stato debbano corrispondere la trasparenza nei bilanci, nella gestione delle risorse in campagna elettorale (nel rispetto delle leggi già esistenti in materia), nella pubblicità dei contributi privati. Insomma, è meglio avere partiti ben finanziati sulla base di regole chiare che partiti "deboli" e poco trasparenti. E insieme si potrebbero prendere alcune misure affinché i partiti possano autofinanziarsi con una strategia di grandi cifre in piccole somme, aumentando la quota della detrazione dell'Irpef per i contributi che in un anno non superino un determinato tetto. Infine, sempre nel quadro di norme certe, la discussione sulle risorse deve affrontare anche due esigenze: la partecipazione delle donne e dei giovani alla politica e la formazione. Sulla partecipazione delle donne alla politica nel tempo si sono compiuti alcuni passi importanti, ma è ancora tanta la strada da percorrere; così come dare ai partiti strumenti specifici per la formazione è oggi necessario, proprio nell'ottica di evitare un'insopportabile riproduzione per cooptazione dei gruppi dirigenti. Forse da qui, proprio da una maggiore capacità dei partiti di destinare risorse alla formazione politica, intesa anche come libero confronto e finalizzata a condividere competenze, che può nascere un rinnovato interesse nei loro confronti e una nuova percezione degli stessi partiti quali strumenti di partecipazione dei giovani alla politica come lo sono stati per un lungo periodo, dopo la Liberazione nella storia del paese. Ma rimango convinto che, sempre e comunque, resta centrale il principio che le sorti della politica e di una maggiore partecipazione non possono essere affidate esclusivamente al finanziamento dei partiti, quanto piuttosto alla capacità della politica e dei partiti, in particolare oggi di quelli di sinistra, di suscitare interesse attorno ad una rinnovata battaglia delle idee sui grandi temi del lavoro e della precarietà (soprattutto dei giovani), dell'inquinamento e del clima, dei diritti e dell'accesso ai diritti, una battaglia insomma per contrastare le sempre più evidenti disparità sociali e affrontare efficacemente la questione ambientale che non può essere più relegata ai dibattiti tra specialisti. Insomma i partiti devono anche fare i conti, oltre che con le proprie risorse, con la sostanza delle loro proposte, e di quanto esse possano essere realmente percepite come migliorative delle condizioni di vita delle donne e degli uomini. Trasparenza nei bilanci e visibilità dei finanziamenti dunque, ma soprattutto recuperare il valore della politica come partecipazione dei giovani, donne e uomini, come battaglia delle idee, perché è illusorio ritenere che la certezza delle risorse finanziarie possa sostituire la ricchezza dell'agire politico sui grandi temi dell'Italia di oggi.

 

 


La Repubblica 28-3-2007 La proposta del professore per ridurre i costi della politica: basta eliminare i doppioni Giunta, la ricetta di Vandelli "Via gli assessori inutili"

 

Bologna IL CASOVia gli assessorati inutili per contenere i costi della politica. Mentre in Comune tiene banco da settimane il tema dell'allargamento della Giunta caldeggiato dalla Margherita, l'ex assessore regionale all'innovazione amministrativa Luciano Vandelli - in commissione a Palazzo d'Accursio - fa il punto sulla riforma della città metropolitana. E definisce "una delle risposte praticabili" quella della riduzione delle poltrone per specializzare i diversi "palazzi" sui singoli settori. Se i consiglieri comunali lamentano "paghe" basse, rispetto ai colleghi della Regione, il professor Vandelli ricorda che "il tema del costo della politica in Italia riguarda al 90% l'eliminazione dei doppioni. In questo paese tutti fanno tutto invece bisogna che ogni ente abbia una sua vocazione principale". Un esempio che in questi giorni è d'attualità per il caso-Romilia. "I Comuni dell'hinterland - continua il docente universitario - potrebbero avere un unico assessore all'Urbanistica con ruolo di coordinamento, mentre le funzioni generali potrebbero essere svolte dagli organismi dei livelli superiori, ovvero dalla Città metropolitana". Il punto è, mette in guardia Vandelli, che quando si cominciò a definire il livello metropolitano "il costo della politica non era argomento all'ordine del giorno come invece accade oggi". C'è dunque una maggiore "sensibilità" anche da parte dell'opinione pubblica. La Cdl con Alecs Bianchi dell'Udc e dal guazzalochiano Carlo Monaco chiedono di poter discutere di questi temi in "una commissione speciale, anche senza gettone di presenza". Sempre nella stessa commissione va registrato lo sfogo dell'assessore agli Affari istituzionali Libero Mancuso dei Ds alle prese con la riforma dei quartieri criticata da più parti, compresi i quartieri tutti saldamente in mano all'Unione. L'ex giudice se la prende soprattutto con la lentezza dei lavori in consiglio comunale, "io non posso fare altro che suggerire alcune cose". E aggiunge puntando il dito anche contro la "pessima" stampa: "Si smetta di parlare di confusione e aria fritta. Affrontiamo i problemi che ci sono. Questa è la sfida che rivolgo a maggioranza e opposizione. Si parla di ritardi (lo ha fatto la vicesindaco della Margherita Adriana Scaramuzzino-ndr) ma io sono assessore da un anno e ho portato sul tavolo due riforme. Sui municipi non siamo in alto mare". (a. ch.).

 


Gazzetta del Sud 28-3-2007 Corruzione Ue, coinvolto l'assistente di un eurodeputato italiano

 

BRUXELLES Corruzione, associazione a delinquere, violazione del segreto professionale e delle leggi sui mercati pubblici: questi i principali reati ipotizzati dalla procura belga che, in seguito ad una denuncia dell'Olaf, l'ufficio europeo-antifrode, ha avviato un'inchiesta a vasto raggio che coinvolge, a vari livelli, un numero non precisato di funzionari europei, ma anche imprenditori e l'assistente di un eurodeputato italiano. L'indagine, avviata tre anni fa, ieri ha portato ad un'operazione di polizia con perquisizioni in Italia, Francia, Lussemburgo e Belgio. Il magistrato, titolare del dossier, Berta Bernardo-Mendez, insieme al sostituto Pascale France, secondo quanto si è appreso dalla procura, sta indagando in particolare sulle operazioni di reperimento di immobili destinati ad ospitare le delegazioni della Commissione europea all'estero e su appalti per l'installazione di sistemi d'allarme degli stessi palazzi. La procura ha precisato che le presunte frodi coinvolgerebbero "funzionari europei della Commissione, così come i dirigenti di società interessate a questi mercati". Le indagini dei magistrati di Bruxelles, in Italia, hanno portato fino a Potenza e da qui è partita un'operazione, a più ampio raggio, che, in collaborazione con i carabinieri, ha interessato Roma, Matera, Frosinone, l'Aquila e Teramo. Perquisizioni in tutte le città coinvolte. Dal lavoro degli investigatori della città lucana sono giunti elementi ritenuti importanti per chiarire alcuni aspetti della vicenda. L'assistente parlamentare, secondo quanto si è appreso a Potenza, è il titolare di una società che avrebbe avuto un ruolo nell'individuazione di edifici da destinare a sedi di rappresentanza dell'Ue, probabilmente in India e in Albania. Anche a Bruxelles è stato perquisito l'ufficio al Parlamento europeo dell'assistente indagato, oltre a non meglio precisate sedi della Commissione europea. (mercoledì 28 marzo 2007).

 


AGI 27-3-2007 Gina Spallone, proprietaria di una clinica privata romana, e' stata arrestata

 

(AGI) - Roma - Gina Spallone, proprietaria di una clinica privata romana, e' stata arrestata ieri pomeriggio dai carabinieri del nucleo operativo di Roma nell'ambito dell'inchiesta sulla sanita' laziale. Gina Spallone era ricercata dal 15 dicembre scorso quando venne raggiunta da due ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal gip del tribunale di Roma per i reati di concorso in corruzione, truffa, falso materiale in atto pubblico. Gina Spallone e' stata rintracciata a Borgo Sabotino, in provincia di Latina, e trasferita nel carcere romano di Rebibbia. L'inchiesta, nota alle cronache come "Lady Asl" ha portato alla luce diversi episodi di corruzione nei confronti di dirigenti delle Asl di Roma. (AGI) 12:47 27 MAR 2007.

 


La Nazione 27-3-2007  Cantieri, appalti truccati Raffica di arresti a Firenze In manette dipendenti comunali e imprenditori edili Di AMADORE AGOSTINI

 

FIRENZE . SGOMINATA la banda degli appalti. I carabinieri del Ros hanno arrestato 10 persone, 16 sono finite ai domiciliari e 7 hanno l'obbligo di firma. L'accusa è associazione per delinquere finalizzata alla turbativa di aste pubbliche, truffa ai danni dello Stato e corruzione.Nel mirino dell'inchiesta dei pm fiorentini Giuseppina Mione e Leopoldo De Gregorio sono finiti diversi imprenditori dell'area fiorentina e pratese, vincitori abituali di bandi per lavori pubblici e alcuni dipendenti di amministrazioni locali, incaricati di predisporre le gare d'appalto e i rilasci delle concessioni edilizie. E' SOLO L'INIZIO di una indagine che è andata a scavare negli appalti pubblici fino al 2004, ma non si poteva attendere oltre: ieri mattina anche due aree edificabili sono state messe sotto sequestro per interrompere il reato. I carabinieri del Ros, nel loro rapporto conclusivo ai pm, avevano evidenziato l'esistenza di uno strutturato 'cartello' di società del settore edile, diretto dall'imprenditore Vincenzo Aveni, 59 anni, già vicepresidente di Assindustria Firenze e ora membro del collegio dei probiviri, finalizzato alla sistematica turbativa di appalti pubblici per lavori stradali e di acquedotti, indetti dai comuni di Firenze, Campi Bisenzio e altre località toscane, nonché dalla Publiacqua, società di gestione dell'acquedotto fiorentino. IL MECCANISMO di spartizione, documentato dai carabinieri, consisteva in accordi tra i vari imprenditori per la formulazione dei rispettivi ribassi da presentare in occasione di numerose gare. Essendo per lo più gare inferiori a 5 milioni di euro, si procedeva determinando la cosidetta soglia di anomalia, scartando cioè l'offerta più alta e quella più bassa e scegliendo la ditta aggiudicataria in base alla 'media ponderata' fra le offerte rimaste. La ditta vincitrice poi provvedeva a ricompensare le imprese del 'cartello' rimaste escluse, attraverso l'affidamento di subcontratti e forniture. LA RIPARTIZIONE degli appalti garantiva la distribuzione delle commesse tra gli indagati, e l'esclusione dal mercato delle aziende estranee al circuito illegale. Grazie al sequestro della documentazione amministrativa e ad alcune intercettazioni i carabinieri hanno accertato come gli associati effettuassero riunioni periodiche nelle sedi delle stesse imprese interessate, per programmare la partecipazione combinata a oltre 40 gare, 30 delle quali aggiudicate ai componenti del sodalizio. In alcuni casi c'è stata anche la corruzione di compiacenti funzionari tecnici, come risulta da due licitazioni bandite rispettivamente dall'Asl 10 di Firenze e dal comune di Campi Bisenzio, importante comune dell'area metropolitana fiorentina. L'apparato amministrativo di Campi peraltro è risultato caratterizzato da una generalizzata illegalità che, oltre ai casi di corruzione di alcuni dipendenti, coinvolge anche l'attuazione del nuovo regolamento urbanistico comunale. SULLA corruzione è emerso che alcuni degli imprenditori indagati, allo scopo di favorire l'approvazione di pratiche edilizie relative a lottizzazioni private, conferivano dispendiosi incarichi di progettazione a professionisti locali rivelatisi 'prestanome' di tre funzionari degli uffici tecnici del Comune, a cui venivano di fatto destinati gli onorari pagati. Per quanto riguarda invece il Ruc, sono risultate evidenti irregolarità commesse dai componenti della commissione edilizia e da un funzionario dell'ufficio urbanistico del Comune. In carcere, oltre ad Aveni, sono finiti Marco Cherubini, 57 anni; Valeria Milani, 47 anni; Fabrizio Pipolo, 34 anni; Mario Margheri, 65 anni; Marco Margheri, 39 anni: Alessandro Gabbrielli, 35 anni; Giancarlo Banchetti, 52 anni; Mauro Meoni, 42 anni e Fanio Sodini di 41 anni. PER QUANTO riguarda invece il sequestro di due aree edificabili il gruppo industriale Targetti commenta "con sconcerto, disappunto e imbarazzo il provvedimento di sequestro dell'area di proprietà a Campi Bisenzio, dove è in costruzione il nuovo stabilimento". Paolo Targetti, presidente del gruppo fiorentino leader nel settore illuminazione in una nota aggiunge di "restare fiducioso nella magistratura". "Da sette anni ? ha dichiarato ? aspettiamo di costruire il nuovo complesso industriale del nostro gruppo".

 


La Padania 25-3-2007 PARLA FULVIO MARTUSCIELLO. «La politica clientelare sta rovinando questa terra»

 

«In Campania vince chi fa politica clientelare». Fulvio Martusciello, consigliere regionale di Forza Italia, da anni in prima fila contro gli sprechi della Giunta Bassolino, attacca: «Qui non funziona nulla. Ma la Cdl si deve svegliare e denunciare».
A partire dalla sanità: la vostra ha un buco di bilancio come quella del Lazio. Altro che 300 milioni di euro. Sono più di due miliardi...
«Ne sono al corrente. Tutto scontato».
In che senso, mi scusi?
«Guardi, abbiamo fatto una serie di accertamenti su alcune nomine dei direttori generali dell Asl. Ultimamente sono stati scelti a dirigere un mastro elementare in pensione e un cancelliere di tribunale. E’ chiaro chiaro che così non funziona nulla».
Allora il vero male si chiama politica clientelare?
«E’ così. Le faccio qualche esempio. negi ultimi mesi ci sono stati spostamenti di consiglieri dal centrodestra al centrosinistra. In regione Nicola Caputo è passato dall’Udc all’Udeur. Oggi è vicepresidente commissione Attività produttive. Antonio Cuomo da Fi alla Margherita. Manzi, dal Psi all’Italia dei valori. Montemarano, figlio dell’assessore regionale alla Sanità, è stato candidato alle comunali di Napoli. E’ risultato, guarda caso, il più votato della città...».
Capitolo emergenza rifiuti. Come si è potuti arrivare ad una situazione così disastrosa...
«Ci sono le eco-balle ma mancano i termovalorizzatori. Bassolino ha gestito malissimo l’emergenza. E adesso il commissario Bertolaso non può che far riprendere i viaggi dei tir con i rifiuti verso la Germania. Li ha ripristinati proprio ieri sera».
Costi?
«90 mila euro al giorno».
Sul suo sito sprofondorosso.it, c’è un elenco infinito di sprechi della Giunta guidata da Bassolino. Perchè questa idea?
«Il sito internet è nato per accendere i fari su quello che sta capitando. Robe mai viste».
Va bene: ma i campani sono decenni che votano centrosinistra...
«La verità è che la Cdl deve proporre soggetti politici forti che ci mancano. Ecco perchè governano sempre loro».
Sim. Gi.

 


La Repubblica 24-3-2007  "Da Fininvest soldi al giudice Metta" Emilio Randacio Milano

 

 

Nel processo di appello bis, con l'ex magistrato e il senatore di Forza Italia, sono stati condannati Acampora e PacificoLodo Mondadori, le motivazioni della sentenza: il regista fu Previti "Emerso un quadro allarmante della gestione del tribunale di Roma" - Stefania Ariosto ha solo tracciato la strada. Ma "sullo sfondo, davvero sullo sfondo". Perché, scrivono i giudici di Milano, la voce delle supertestimone del caso "toghe sporche" "che dà conto della lobby giudiziaria organizzata da Cesare Previti", è superata, riscontrata in maniera univoca dai fatti emersi nel dibattimento. E' stato provato dalle carte processuali, che il giudice romano Vittorio Metta che si occupò nel 1990 della sentenza sul lodo Mondadori, sia stato pagato nel 1992 con "soldi che discendano direttamente dalle provviste del gruppo Fininvest". Quello che emerge dalle motivazioni con cui lo scorso 23 febbraio sono stati condannati per concorso in corruzione a 1 anno e mezzo di carcere Cesaree Previti e gli avvocati Giovanni Acampora e Attilio Pacifico e a 2 anni e 9 mesi l'ex giudice Metta, svela, a tanti anni di distanza, i meccanismi del "porto delle nebbie". Un tribunale, quello di Roma, dove venivano "riservatamente intessuti rapporti, se non illeciti, quantomeno deontologicamente discutibili". Sintomatico di "un allarmante quadro d'insieme di un certo ambiente romano". La Corte d'appello è convinta di aver raggiunto la prova della "intervenuta corruzione del giudice Metta da parte degli avvocati Pacifico, Previti e Acampora, intermediari di Berlusconi, per ottenere l'annullamento del lodo Mondadori". Ma non solo il lodo. Per lui c'è anche un precedente: la condanna per la causa Imi-Sir (a sei anni e divenuta definitiva). Stesso canovaccio. Previti il tramite della corruzione giudiziaria. Questa volta per conto della famiglia del petroliere Nino Rovelli. Ora, la sentenza milanese stabilisce che questa lobby coordinata da Previti, ha pilotato la sentenza con la quale, il 24 gennaio del 1991, "la Corte d'appello di Roma annullava il lodo Mondadori", respingendo la richiesta del gruppo Cir di Carlo De Benedetti, affidando il controllo del primo gruppo editoriale italiano alla Fininvest e sfilandolo alla Cir. Che si siano pagate tangenti, per i giudici, è indubbio, "stante la valenza indiziaria di un fatto certo (il passaggio di denaro, ndr), grave e preciso". Per le toghe di Milano è univoca la conseguenza probatoria "della certezza del fatto che la somma bonificata costituisca provvista pagata dalla Fininvest di Silvio Berlusconi per la corruzione del giudice Metta nella causa del lodo Mondadori". Silvio Berlusconi era uscito da questo processo nel 2001, quando la Cassazione aveva riconosciuto le attenuanti generiche al leader di Forza Italia, dando così il là alla prescrizione del reato. E loro, gli imputati, non hanno mai fornito una valida giustificazione sui passaggi di denaro all'estero. Per la Corte d'Appello di Milano il prezzo della corruzione è rappresentato da quei 425 milioni di vecchie lire, che fanno parte di un bonifico che Cesare Previti ricevette sul suo conto svizzero "Mercier" da All Iberian, società off shore in orbita Fininvest. A dimostrare la causalità del bonifico, anche la conseguenza temporale. A gennaio la sentenza scritta dal giudice Metta. Un mese dopo il versamento, estero su estero senza un apparente motivazione, da una società controllata Fininvest al conto Mercier, quindi i successivi passaggi ad Acampora e Pacifico e poi i 425 milioni consegnati in Italia al giudice Metta. Eccola, dunque la prova della corruzione giudiziaria. Per scrivere l'ultimo tassello di questa vicenda, ora, manca la Cassazione. I legali dei 4 imputati, gli avvocati Sammarco, Quattrocchi, Andreoli e Pettinari, hanno già annunciato il ricorso.

ricorso.


 


La Stampa 23-3-2007- TELECOM . "Berlusconi comprò la fedeltà di Bossi"I dossier illegali: dal Cavaliere settanta miliardi di lire Paolo Colonnello

Parola d'ordine: migliorare tutto; non sottovalutare niente; valutare per gradi di priorità; non tutto è emergenza». Dalla Francia alla Grecia, dai Balcani all’Egitto. E in Italia, soprattutto, per stendere un’invisibile e gigantesca «rete » di spionaggio privato, nazionale e internazionale, che garantisse «una sorta di scudo contro qualsiasi contraria azione - agli interessi aziendali e di Tronchetti Provera - proveniente da avversari politici, giornali, magistratura, concorrenti commerciali». Uno “scudo” che porta a scoprire circostanze imbarazzanti e da verificare.

 Come l’appunto trovato negli uffici dell’ex giornalista Guglielmo Sasinini, considerato lo «stratega » di Tavaroli dove si fa riferimento a un pagamento di 70 miliardi di lire da Silvio Berlusconi a Umberto Bossi, con il coinvolgimento anche di Tremonti, «in cambio della totale fedeltà». Si citano poi un notaio milanese (con punto interrogativo) e un periodo («Epoca: pre-governo Berlusconi»). Lo stesso durante il quale sarebbe stata «pignorata per debiti la casa di Bossi». Segue: «Debiti già ripianati con...di 70 mld. Trovare Stefania, ex “baldraccona”, F.C., amica di Brancher» (esponente di FI in ottimi rapporti con la Lega). Una «bufala» secondo gli interessati. Negli appunti si fa riferimento anche al «sottosegretario Minniti» e a un «ex Sisde» da cui «ha saputo». L’ordinanza L’ordinanza di 370 pagine firmata dal gip Gennari che ieri ha portato all’arresto di 13 persone, gran parte delle quali ormai note e in alcuni casi già in carcere (Tavaroli, Ghioni, Iezzi, Sasinini), disegna un quadro ancor più allarmante dei precedenti, facendo finire questa volta sotto la lente d’ingrandimento quella che gli inquirenti considerano «una gravissima deviazione patologica nell’organizzazione interna della sicurezza Telecom- Pirelli». Un settore che, scrive il giudice, «sembra dimenticare i limiti di un servizio privato a tutela d’interessi solo privati e aziendali ». Il tutto con spioni di ogni livello: dagli americani della Cia ai francesi della Dst agli immancabili agenti nostrani: non soltanto quelli del Sismi ma anche del Sisde, definito «il pret a porter della notizia riservata, ove, con pochi soldi chiunque può prelevare ciò di cui ha bisogno». Appunti In un crescendo delirante di dossier e appunti riservati dedicati, questa volta, ad Afef, «l’inaffidabile»; a suo fratello, «il trafficante»; a Berlusconi, «il nemico»; a Bossi, «prezzolato»; ai giornali, «incontrollabili»; alla magistratura, «temibile»; ai brasiliani, «in guerra»; ai greci, «pericolosi»; ai dipendenti, «terroristi »... E così via. Spionaggio su tutto e tutti nell’ambito di «una ramificazione di rapporti ai più alti livelli istituzionali» fino al punto di costituirsi in una sorta di Stato occulto. Perchè «l’operazione rete», così come si ritrova negli appunti di vari indagati e nei miracolosi ritrovamenti di file nei pc delle segratarie del “pentito” ex Sisde, Marco Bernardini (sfuggiti all’opera di distruzione alle prime avvisaglie dell’inchiesta), era ormai una realtà funzionante. Con agenti apparententi a polizia, carabinieri e Finanza pronti ad “intercettare” e segnalare ogni notizia (riservata), circostanza che dovesse nuocere o interessare Telecom e Pirelli. Con un robusto corrispettivo che si stava creando anche all’estero grazie alla trentennale esperienza di personaggi come Gianpaolo Spinelli, generale della Cia in congedo e Fulvio Guatteri, ex ufficiale di collegamento tra servizi francesi e italiani.

Entrambi «fonti riservate» della Security di Tavaroli. Altro che “Spectre”. Nota il gip: «Tavaroli al cospetto di presunte politiche nazionalistiche della Dst si comporta come se fosse rappresentante di uno stato avverso, dotato di controspionaggio. Solo che Tavaroli rappresenta solo una security privata e agiva grazie a una combriccola di funzionari pubblici di alto rango, corrotti». Nemmeno le indagini, nota il gip, sono riuscite a interrompere il sistema illecito che, «all’ombra di Telecom ha consentito a un gruppo di persone di costituire un incredibile archivio fatto d’informazioni dossier illeciti». Per questo ieri è scattata la nuova tornata di arresti. Le accuse vanno dall’associazione per delinquere alla corruzione internazionale. E la storia non finisce qui.

 


Da Primadanoi 22-3-2007 Spese superflue. Pio Rapagnà, il digiuno va avanti, l'indifferenza anche

 

ROSETO. «Questo silenzio mi umilia, mi ferisce e mi dispiace». Dopo 22 giorni di digiuno l'ex parlamentare Pio Rapagnà continua in solitaria la "sua" battaglia, che di personale - in realtà - ha ben poco. Insieme a decine di famiglie sta portando avanti il digiuno di protesta che ha come scopo quello di accendere i riflettori su un grave malessere della regione e di promuovere quella che viene definita l'"operazione trasparenza".


«Noi chiediamo di conoscere l'elenco degli enti strumentali, delle Società partecipate pubblico-private e dei soggetti sui quali intervenire con tagli immediati», ricorda Rapagnà.
«Chiediamo di intervenire sulla riduzione delle spese e degli sprechi, dove potremmo ottenere un risparmio di oltre 140milioni di euro».
Rapagnà chiede inoltre alla Regione e alle quattro Province ed ai Comuni, «di rendere pubbliche e di trasmettere agli organi di informazione le "schede anagrafiche" di tutti gli Enti strumentali, fornendo dati, composizione, entrate ed uscite, investimenti, attività, risultati e verifiche effettuate».
Tutto questo «per cercare di individuare quali siano i motivi "veri" che stanno al fondo della impossibilità di una riforma attesa da tutta la società civile abruzzese, per sperare di ottenere, riducendo le spese e gli sprechi nella gestione dei servizi, una qualche riduzione di tariffe, ticket, tasse regionali, provinciali e comunali».
Lo scorso 5 dicembre, in seduta straordinaria di consiglio regionale il presidente Del Turco, sotto l'onda lunga dello scandalo Fira, annunciò una riforma di tutti gli enti strumentale per abbattere le spese superflue. Niente di fatto.
«Del Turco dovrebbe dimettersi per non aver mantenuto quella promessa», dice oggi Rapagnà, «così come Lamberto Quarta, responsabile per l'attuazione del programma».
Ma dimissioni in vista proprio non ce ne sono. Così come all'orizzonte non si vede solidarietà per una iniziativa promossa «nell'interesse di tutti i cittadini».
«La solidarietà», sostiene Rapagnà, «in questa regione la ottiene Pina Fasciani perché in tv si scopre che non la conosce nessuno, oppure i politici corrotti e che hanno rubato e tutti si affrettano a rinnovare stima e gratitudine in attesa che la giustizia faccia il suo corso… Per questa causa, invece, nessuno si azzarda ad esprime un seppur minimo consenso e i media regionali più potenti stanno mettendo in atto una pesante azione censoria, proprio loro che millantano operazioni di trasparenza e moralità. Non possiamo tenere in piedi decine e decine di società che costano ai cittadini e fungono da "cimitero di elefanti". E lì, infatti che convergono», sostiene Rapagnà, «tutti quei politici bocciati dall'elettorato e riciclati dai partiti».

Eppure Rapagnà ventidue giorni fa, prima di cominciare lo sciopero della fame che lo sta debilitando («mi sento bene e ho ancora la lucidità mentale», assicura) qualche segnale di solidarietà se lo aspettava.
«Mi aspettavo che quelli che si definiscono i "partiti alternativi" come Rifondazione Comunista, i Verdi, o l'Italia dei Valori supportassero la mia causa. Invece è silenzio assoluto. Mi aspettavo una parola dal consigliere Gianni Melilla dei Ds con cui ho portato avanti altre battaglie…L'unico che mi è stato vicino, e lo ringrazio pubblicamente è stato Giustino Zulli, ex rappresentante della Cgil».
Il digiuno continuerà certamente fino al prossimo 27 marzo, giorno del prossimo consiglio regionale, poi si deciderà, compatibilmente con lo stato di salute di Rapagnà.
Altro problema è quello della sua “epurazione” dagli organi di informazione, ostracismo che lamenta da mesi «inascoltato anche dall’ordine dei giornalisti» e dopo le sue rimostranze ufficiali non vi sono stati cambi di rotta di nessun genere.


LO STIPENDIO DI UN CONSIGLIRE REGIONALE

E il Messaggero ieri ha fatto i conti in tasca ai consiglieri regionali: «un consigliere ”monodose” prende 8.082 euro di stipendio base», scrive il quotidiano, «più 750 euro del gruppo più 516,46 come membro del gruppo più l’indennità di capogruppo che è di 1.865 euro, più duemila euro di partecipazione ai consigli e se poco poco è anche presidente di commissione arriverà alla bellezza di 15.078,46 euro al mese. Senza contare i benefit. Quello che un vigile urbano guadagna in un anno».

Ad ogni consigliere, inoltre «vengono sottratti 200 euro per ogni filone in consiglio o in commissione, ma basta arrivare all’inizio farsi vedere e poi sparire, rivela un consigliere assenteista: tecniche di sopravvivenza economica».

LA SITUAZIONE E' CRITICA IN TUTTA ITALIA

Secondo l'Istat in Italia circa cinquecentomila persone vivono di politica – pochi per la politica - con un costo astronomico di oltre 4.000 milioni di euro, cioè circa 8.000 miliardi di lire. Una cifra enorme che non ha uguali in Europa. Nel 2005, sono stati 81 i partiti che si sono divisi i 196 milioni di euro.
I partiti, poi, presenti in parlamento si sono ripartiti 92.293.321 euro per contributi alle spese dei gruppi parlamentari. Il consiglio d’Europa nel 2003, ha chiesto la massima trasparenza e l’istituzione di autorità di controllo indipendenti.
Nel presente clima federalistico, ogni regione si considera un piccolo stato e apre la propria ambasciata a Bruxelles e a Roma.
Ogni regione moltiplica le commissioni consiliari che pure costano circa 65 mila euro al mese: l' Abruzzo, nel 2005, ne aveva 9, più della Lombardia e del Veneto. Il rinnovo degli statuti ha offerto l’occasione per una corsa all’aumento del numero dei consiglieri regionali: 111 unità in più. L’Abruzzo è passato da 40 a 50.
Le spese per incarichi e consulenze dilagano. Su un totale di 754 milioni di euro, più della metà sono per collaborazioni e consulenze esterne delle regioni e degli enti locali.
Negli ultimi due anni sono state istituite sette province, dieci sono in dirittura d’arrivo, altre diciotto sono in fase istruttoria. Si calcola che ogni provincia comporti una spesa base di 50 milioni. La Francia spende meno della metà, la Spagna un quarto, l’Ungheria quindici volte meno. I deputati e senatori percepiscono 16.437 euro solo di indennità e diaria mensili, senza contare i diversi rimborsi spesa, naturalmente senza rendicontazione.
A fine mandato compete loro la liquidazione e la pensione, nonchè l’assistenza sanitaria integrativa per loro e i familiari.
Dopo un solo mandato hanno un vitalizio mensile di 3.108 euro, che arriva a 9.947 dalla sesta legislatura. La retribuzione dei sindaci va da 1.291 per i paesi sotto i 1000 abitanti fino a 7.798 euro per le città di oltre 500.000 abitanti, con una spesa complessiva di 191.088.824 euro. I vicesindaci ci costano in totale 65.327.039. I presidenti di provincia percepiscono retribuzioni che vanno da 4.131 fino a 250.000 abitanti a 6.972 euro per oltre il milione di amministrati, i vicepresidenti e gli assessori costano in totale 11.119.986 euro, i presidenti delle comunità montane 13.681.583.
Ma la contabilità non è finita se non si aggiunge l’esercito di 300.000 persone titolari di incarichi e consulenze per i quali, nel 2003, si è speso la somma di oltre 958 milioni di euro.


TUTTI I DUBBI DI AMICONE (UDC)

Sulla riduzione dei costi della politica è intervenuto nelle ultime ore anche il consigliere dell'Udc Mario Amicone: «Mentre si continua a parlare della riduzione dei costi superflui come impegno prioritario registriamo un silenzio di tomba sull'esistenza di 6 Asl, 6 Ater, 7 Consorzi Industriali, 5 Distretti Industriali, 5 Consorzi di Bonifica, 3 Adsu, una decina di Consorzi sui Rifiuti, una dozzina di Società di trasporti, Fira, Fira Service, soltanto un accenno alla dozzina di Società acquedottistiche».
Inoltre Amicone sottolinea di dover prendere atto «dell'impegno d'istituire due Aziende clinicizzate, senza parlare di riduzione del numero delle Asl, della costituzione di una nuova Iri regionale, Abruzzo Engineering S.p.A. con Quarta Amministratore delegato, senza sciogliere l'Arit che è diventato un inutile doppione, della permanenza in servizio permanente effettivo, di 6 assessori esterni che si aggiungono ai 40 Consiglieri eletti con un maggior costo di circa un milione di Euro che grava sul bilancio regionale e sui contribuenti e la creazione di un fotoromanzo regionale dopo Capitan Abruzzo solo per giustificare l'assunzione del fotografo e del vignettista, della impossibilità di reperire qualsiasi lavoro utile dei vari consulenti (dott. Vincentelli docet) che avrebbe dovuto cambiare l'Abruzzo».
22/03/2007 13.07


Da Orvietonews.it 20-3-2007 Palazzo Bazzani: sull'indennità di mandato dei parlamentari è contrasto tra Pdci e resto della maggioranza

 

Politica - martedì 20 marzo 2007 - 18:03

Palazzo Bazzani: sull'indennità di mandato dei parlamentari è contrasto tra Pdci e resto della maggioranza

Benché sia stata condivisa da tutti i Consiglieri provinciali la condanna dell'emendamento alla finanziaria approvato in Commissione Bilancio del Senato, che stabilisce in 350 mila euro annui lordi la misura massima spettante ai Parlamentari per l'espletamento del loro mandato, l'Assemblea di Palazzo Bazzani si è trovata nell'impossibilità di votare, per mancanza del numero legale, una proposta di ordine del giorno avanzata dal Consigliere del PDCI Danilo Buconi. Numero legale venuto meno per l'abbandono dell'aula da parte dello stesso Consigliere e dei rappresentanti della CdL. Dopo aver criticato l'indisponibilità manifestata da Buconi a non accogliere eventuali emendamenti, il Capogruppo dei DS, Roberto Montagnoli, dopo una breve riunione della Conferenza dei Capigruppo, ha proposto gli emendamenti da apportare al documento: da un lato la cancellazione del comma riferito alla non condivisione sul piano politico, sociale e morale dell'emolumento previsto per i Parlamentari; dall'altro l'aggiunta di altri due punti in cui si prende atto dei contenuti della finanziaria e della discussione in atto tra maggioranza ed opposizione governativa sull'esigenza di una riforma profonda dell'assetto parlamentare italiano, unitamente alla modifica della legge elettorale: elementi che intendono ripristinare un corretto rapporto fra politica, istituzioni e cittadini e ridurre considerevolmente i costi delle istituzioni repubblicane, come la riduzione del 30% delle provvidenze ministeriali prevista nella finanziaria, la riduzione degli esecutivi nei piccoli Comuni e dei Consigli di amministrazione negli Enti pubblici di primo e secondo livello.

L'eccessivo costo della politica è stato sottolineato anche negli interventi dei Consiglieri di FI Torquato Petrineschi (che ha invitato il Consigliere Buconi a presentare un documento sulle spese sostenute per la politica a livello provinciale), dei DS Roberto Montagnoli (che ha evidenziato come non si dia alla società una bella immagine della politica facendo del semplice e facile populismo), del PRC Roberto Battistoni (che ha condiviso l'impostazione del documento di Buconi ed i punti aggiuntivi di Montagnoli, sottolineando la propria contrarietà all'emendamento approvato dalla Commissione Bilancio del Senato) e dello SDI Marsilio Marinelli (che si è detto contrario ad atteggiamenti demagogici che rischiano di allargare il divario tra politica e società civile).

Prima di abbandonare l'aula il Consigliere Buconi ha consegnato una nota che riportiamo integralmente: "Un Parlamento più snello, con funzioni diversificate tra i due rami e con un minore impatto economico sui cittadini contribuenti, dovrebbe rappresentare un passo in avanti di alto profilo per la democrazia e per il rapporto tra eletti ed elettori a cui auspicare a qualsiasi livello istituzionale del nostro Paese. Devo, mio malgrado constatare -scrive Buconi- che così sembra non essere, visto che questo tema viene caldamente osteggiato, in particolare dal Gruppo dei DS in seno al Consiglio provinciale di Terni, e ciò non credo che faccia bene né al confronto democratico né, tanto meno, al bene della comunità provinciale che il Consiglio stesso è chiamato a rappresentare. Nel prendere atto che certi temi sono allo stesso modo temuti a prescindere dagli schieramenti politici, ne desumo -conclude il rappresentante del PDCI- che la sorgente delle possibilità di dimostrare ai cittadini che essi contano sempre meno, rispetto alla politica, è quanto mani lontana dal prosciugarsi". La discussione riprenderà nel corso della prossima seduta del Consiglio provinciale.

 

 

 


Da La Stampa 18-3-2007  IL CASO Là dove fioriscono le tessere Antonella Rampino

 

Anche nella Margherita è polemica: a Roma si è iscritto un elettore su tre.

In uno sperduto paesino della Sicilia, un signore che vuole iscriversi alla Margherita si presenta nel giorno, nell’ora e nel luogo che gli sono stati indicati. Solo che si tratta di un bar, e per giunta chiuso. Dopo poco però gli si avvicina un tale, «Non ti preoccupare: sei iscritto lo stesso al circolo della Margherita, e anzi sei anche già stato eletto delegato».

Due dei cinque colonnelli che a Roma verificano la regolarità dei congressi, Rino Piscitello che è anche di garanzia per Rutelli, e Natale D'Amico che è anche di garanzia per i parisian-ulivisti, non confermano e non smentiscono. Ma la storia circola, e come ogni buona leggenda contiene elementi di verità. La proliferazione delle tessere, emesse da circoli, che magari hanno sede in un bar, in un oratorio, in un appartameto, in un negozio. Un po’ come è a Forza Italia, insomma. Perché per iscriversi alla Margherita, stabilisce lo statuto, ci si iscrive al circolo, «ed è questo che gonfia i numeri e rende le tessere poco verificabili», dice il rutelliano Roberto Giachetti, segretario uscente di Roma.

I Circoli della Margherita spiegano anche perché Rosi Bindi vorrebbe, una volta nato il Partito Democratico, veder chiuse le sezioni dei diesse, e perché dalla Quercia Caldarola le abbia risposto «non voglio finire a far politica all’oratorio». Perché se all'ombra della Quercia infuria la pugna politica attorno a tre mozioni da congresso, il paradosso è che nella Margherita si litiga anche di più pur avendo un’unica mozione, quella che propone di sciogliere i dielle, se si costituirà il Partito Democratico. L’un contro l’altro armati, a macchia di leopardo lungo tutta la penisola e con alleanze incrociate e variabili, sono rutelliani, mariniani, demitiani, gli ex popolari di Franceschini e Castagnetti. In più, adesso c’è la corrente di Enrico Letta, che col suo 6-7 per cento in molte situazioni fa da ago della bilancia.

In vista del congresso nazionale signori delle tessere e capi tribù si son dati battaglia. Tenere le posizioni anzitutto, contro i parenti-serpenti dello stesso partito, e per fronteggiare meglio in futuro i diessini. Il caso di Roma, e dei 49.243 convocati per tre giorni di congresso all’Ergife quando per contenerli tutti non sarebbe bastato un Palasport, ha avuto la sua risonanza nazionale, attirando l’attenzione e il sarcasmo di «Striscia la notizia»: «Ma perché non andate a contare le tessere di Forza Italia?», ha replicato l’ufficio stampa centrale, quello di Rutelli. Ma il fatto, spiega Natale D’Amico con la gravità di chi è stato grand commis in Banca d’Italia, «è che 37 mila tessere in più a Roma, quando i diesse che sono il doppio di noi ne hanno solo 14 mila, significa che si è iscritto alla Margherita un elettore su tre, visto che nella Capitale nel 2001 ci han votato in 150 mila: come possiamo non preoccuparci di quel che sta diventando il partito?». Per giunta i garanti han le mani legate: le decisioni si possono prendere solo all’unanimità, se non c’è accordo politico non se ne fa niente. I casi da esaminare non sono mancati. Mille e seicento nuove tessere contestate a Caserta; ad Avellino a una parte degli iscritti non è stato consentito di partecipare al voto, dicono i rutelliani, col quale poi è stato effettivamente eletto coordinatore Giuseppe De Mita; a Salerno il congresso è stato più volte rinviato per «mancanza di intesa politica», poi si è tenuto «ma l’abbiamo annullato» dicono i garanti. E quando i faldoni dei ricorsi campani approdano all’organismo di garanzia, a Roma, si sfiora la rissa, la cosa si viene a sapere e produce una nota di smentita ufficiale.

«Alla fine una composizione unitaria l’abbiamo trovata, ma è stata dura» sospira Rino Piscitello che è di corporatura possente e in quell’occasione la fece valere: «Non si riusciva a mettere d’accordo i demitiani con i rutelliani, e per giunta a Napoli la metà di noi sta con De Mita, e così pure molti mariniani». Alla fine, per far quadrare il cerchio dopo un mese e mezzo di riunioni sono scesi in campo i big: Rutelli e De Mita han trovato un accordo, segretario partenopeo sarà Antonio Polito, che ha accettato di ritirare la sua iniziale indisponibilità. E non che nel resto d’Italia sia andato diversamente: in tutto, 125 ricorsi da 34 diverse provincie. Anche da Bologna.

La ex-popolare Daniela Turci denuncia «intimidazioni telefoniche» per farle ritirare la candidatura a coordinatrice del partito. Risultato: per far pace, serve un Sms di Prodi in tempo reale, a congresso in corso: «Ricordatevi, il congresso deve essere u-ni-ta-rio!». Il peggio, a fine marzo sarà passato: i congressini chiuderanno i battenti, e ad aprile ci sarà a Roma il congressone nazionale. «Ma la fase più pericolosa è proprio quella della transizione verso il Partito Democratico, da noi come nei diesse le solidarietà interne si stanno allentando, e c’è chi pensa anzitutto a difendere le proprie posizioni sul territorio», dice Polito. E chiedendo «una data certa per la Costituente, con regole nuove per tutti», Giachetti si è messo pure in sciopero della fame. Basterà?


 

Dal Corriere Economia 19-3-2007 Mani pulite, mani globali. di Giulio Sapelli

 

Sommario Dalla Siemens europea alle "chaebols" coreane Mani pulite, mani globali di Giulio Sapelli Negli Usa, in Europa, in Asia, si è abbattuta un'ondata di processi contro le imprese accusate di corruzione, di truffa ai danni dello stato, di frode nei confronti di altri privati, di malversazioni contro i consumatori e gli azionisti. A essere accusati, in prima linea, sono gli imprenditori e soprattutto i grandi manager, che subiscono un attacco senza precedenti dagli apparati giudiziari e dalla stampa internazionale. I casi sono assai diversi, ma tutti riconducibili a un filo rosso unico. Si va dalla Siemens che viene accusata di aver distorto a suo favore gare d'appalto e poi via via viene implicata in una gigantesca ragnatela di responsabilità in molti paesi per corruzione di pubblici ufficiali e per distorsione, appunto, dei meccanismi di mercato. E non si guarda in faccia nessuno, anche in società tradizionalmente caratterizzate da alti gradi di deferenza dinanzi al potere economico. Pensate alla Corea del Sud: potenti famiglie da un secolo e mezzo governano le "chaebols", ossia i conglomerati finanziario-industriali che reggono l'economia di quel paese a fianco di una fittissima rete di piccole e medie imprese. Ebbene, abbiano assistito a condanne esemplari e all'esposizione alla vergogna pubblica di persone che parevano intoccabili, cosi come è avvenuto in Giappone e in altri paesi europei. C'è da chiedersi perché tutto questo accada proprio ora. Un fenomeno simile si verificò circa quindici anni or sono. Con una grande differenza, tuttavia. In quel tempo gli attori investiti dalle critiche, dalle denuncie, dalle inchieste e dai processi, erano soprattutto i politici. Potrei qui ricordare una miriade di uomini politici europei, asiatici e africani, ma sarebbe troppo lungo. Ieri i politici, oggi gli imprenditori e i manager. Ma rimane pur sempre il fatto che queste ondate hanno sempre di mira la corruzione. Per comprendere cosa stia accadendo occorre capire che cosa sia e che conseguenze provochi la corruzione. Lo svilupparsi della corruzione fa sì che tanto le merci quanto i meriti delle persone non siano distribuiti, da un lato, in base ai prezzi offerti da soggetti dalla buona reputazione e, dall'altro lato, in base ai meriti e alle competenze. Questi fondamentali fattori che determinano tutta la nostra vita sociale possono, infatti, trovare il modo di disporsi nel sistema sociale in due modi: i meccanismi di mercato, che segnalano valore e utilità attraverso il prezzo e la reputazione oppure attraverso le relazioni personali, che non considerano né il prezzo né la reputazione, ma solo la consanguineità, la fedeltà, l'affiliazione, la deferenza, la fedeltà, la complicità. La corruzione è una variante del generale modello di allocazione in base alle preferenze personali ed è diffusissima in tutto il mondo, scontrandosi sempre con le regole del mercato. Questa riflessione ci aiuta a capire perché da qualche tempo in tutto il mondo assistiamo a un rifiorire, come negli anni novanta del novecento, alla lotta contro episodi di corruzione. All'inizio degli anni novanta si doveva privatizzare e liberalizzare e le classi politiche ostacolavano quel processo. Oggi i comportamenti illeciti del manager e degli imprenditori minano alla base la legittimità del capitalismo globalizzato, favorendo le resistenze protezionistiche, localistiche, tradizionalistiche. Ma vi è un settore sempre più ampio delle società che crede che queste resistenze vadano abbattute. Non siamo, infatti, come pensano alcuni, dinanzi a un "grande vecchio" che gestisce nell'ombra questo processo. Siamo dinanzi, invece, a un colossale e benefico, lento, cambiamento dei costumi sociali, degli orientamenti all'azione delle persone. Sono queste attitudini e queste culture le più formidabili istituzioni del capitalismo. Ebbene, parte della società sta volgendo i suoi organi verso l'estirpazione della corruzione - perché è la funzione che crea l'organo e la globalizzazione è una funzione sociale, prima che economica. Le resistenze delle classi e dei ceti che vivono di questa rendita paramafiosa sono immense. Penso a una miriade di figure sociali e culturali che ritroviamo in tutto il mondo: i manager che tradiscono gli azionisti; i politici che vivono della riproduzione delle collusioni e delle morti dei mercati. Molte culture mondiali sono ancora in larga parte orientate verso una allocazione parentale, consanguinea, criminale dei fattori. Ma le inchieste che si susseguono, i processi che iniziano, ebbene, tutto ciò non può che confortarci nelle speranze che i meriti personali e i prezzi delle merci, ossia le capacità e le competenze e i costi dei beni, si avvicinino sempre più, tra tremende fatiche e sofferenze, all'equità, alla giustizia, e non siano disconosciute e distorte, invece, dalla strisciante criminalità che ancora ci circonda.

 


Il Giornale di Vicenza 18-3-2007 I costi della politica Se diventa fonte di finanziamento di Giulio Antonacci

 

L'odore dei soldi continua ad essere la chiave di volta di certa politica. Per carità. Che nessuno del palazzo o dei palazzi faccia il finto moralista. Che nessuno si stracci le vesti per questi antichi costumi che dilapidano l'etica della funzione politica. Perché il malcostume è diffuso. Anche se non c'è mai nulla di nuovo a questo mondo e ogni volta scopri che qualcuno c'è arrivato prima. Tutto cambia e tutto rimane quello che una volta era, e che sarà ancora. Un certo modo di intendere e fare la politica viene da lontano. La politica come fonte di finanziamento, per usare un termine più nobile, per arricchire se stessi e le proprie congreghe, per dire pane al pane, non è davvero una novità e una sorpresa, per quanto sgradevole e disgustosa. Cercare di dare panem et circenses al popolo per poi condire di denaro, censo e potere le trame della politica è un'antica e mai dimenticata consuetudine. Resta sempre da capire se alla fine tutto funziona. Se quelli che capiscono sempre la gente, che non hanno rispetto per nessuno, che pensano che nessuno pensi o se ne accorga, riescano a farla franca. Perché, ora, la novità sta nella progressiva e spregiudicata espansione della perversa prassi, a cui molti con malcelata improntitudine, ricorrono o non si sottraggono, a seconda della ipocrita semantica politica, di farsi nominare dentro gli enti legati o subordinati alla pubblica amministrazione, con il dissimulato obiettivo di riempire le proprie tasche, e quelle dei partiti o delle correnti di provenienza con prebende dirette, derivate e favorite. E se l'intreccio tra politica e affari non è affatto una novità, come non sono una novità le cattive pratiche di drogare il mercato, di condizionare appalti, di succhiare risorse pubbliche, non è però sbagliato ricordare ai nuovi vassalli della politica come la traumatica e violenta conclusione della prima repubblica sia avvenuta proprio su queste pratiche. Non è il caso di sbandierare la legge dei corsi e dei ricorsi storici, ma spesso si risente la stessa atmosfera, si risentono gli stessi discorsi, si ripetono le stesse logiche, si giustificano come allora le stesse distorsioni. Come se la questione morale fosse da relegare fra i dubbi del metodo cartesiano. Come se la democrazia contenesse in sé i germi della propria patologia, come se i partiti dovessero sempre essere organismi autoreferenziati, come se il fine dovesse sempre giustificare i mezzi e comportare quindi, legittimamente, un'autoassoluzione del sistema, identificando, come spiega Italo Calvino, il proprio gruppo di potere con il bene comune. Al di là dei rilievi di ordine morale che, purtroppo, possono essere polivalenti e che spesso ognuno si aggiusta come vuole, e al di là del discredito tout court a carico dei rari puristi sopravvissuti alla prima e anche a questa seconda, non diversa, repubblica, la necessità di dirottare risorse verso la politica conduce a due effetti molto negativi. segue a pag. 45.

 

 

 


La Stampa 17-3-2007 Parrini colpevole ecco tutti i perché  Giulio Gavino

 

SANREMO Gasparetto ha detto la verità quando ha raccontato delle tangenti pagate per lavorare a Ospedaletti. Soldi in contanti dati in buste chiuse al sindaco Flavio Parrini (in ben 26 occasioni), all'ingegner Massimo Carli e al geometra Vincenzo Palmero (6 dazioni). Tutti colpevoli. Per il tribunale di Sanremo le condanne per corruzione emesse il 25 gennaio scorso si fondano prevalentemente sulle dichiarazioni dell'imprenditore "pagante" e sui riscontri arrivati in merito ai progetti "aggiustati", a forti sconti sugli oneri dovuti al Comune e altro ancora. I perchè della sentenza da ieri sono di pubblico dominio. 210 pagine firmate dal giudice relatore, il presidente Piera Panico, che raccontano lo svolgimento del processo e l'individuazione di quegli elementi probatori che hanno portato alla sentenza (che aveva visto l'assoluzione dell'architetto sanremese Rosangela Bracco). "Gasparetto è pienamente attendibile - scrive il magistrato - ha avuto cognizione diretta dei fatti e non era mosso da secondi fini". In merito ai precedenti penali dell'imprenditore, rimarcati dalla difesa, il giudice ritiene che "possano lumeggiare la sua personalità ma che non siano tali da far sussistere dubbi sulla veridicità dei fatti narrati". Il "pentito" della procura Gasparetto ha quindi raffigurato un quadro inquietante secondo il quale "la tangente alle persone giuste e la scelta dei professionisti secondo il criterio di far piacere a Parrini erano elementi indispensabili per lavorare ad Ospedaletti". Sul fronte degli elementi probatori le motivazioni sono circostanziate, in particolare sulla contabilità personale dell'ex sindaco, "penna bianca" come Parrini veniva a volte soprannominato da Gasparetto con i suoi collaboratori. Scrive ancora il giudice: "Illuminanti sono stati gli accertamenti bancari sui conti di Parrini e della figlia con entrate prive di qualsiasi giustificazione lecita a fronte della modesta entità degli introiti leciti di Parrini e considerando che la figlia non era titolare di alcun reddito. Il totale delle entrate prive in modo assoluto di giustificazione era di 1 miliardo 400 milioni di lire". Parrini a questo proposito si era difeso. "Intervento limitato alla pura affermazione labiale, senza alcun elemento concreto, che si trattasse di proventi di attività di mediazione immobiliare, senza riscontri documentali o testimoniali". Dalla motivazione emerge anche il ruolo anomalo di amministratore di Parrini: "Il comune di Ospedaletti si rivela, nei periodi oggetto del processo, come una realtà del tutto anomala rispetto ai normali principi di diritto amministrativo, nel quale il sindaco, per ragioni che il processo non ha permesso di indagare compiutamente, aveva di fatto la concreta possibilità di dirigere le attività di edilizia privata del Comune in modo sicuramente anomalo, ma certamente molto pregnante e sicuramente efficace". Non mancano, inoltre, pesanti commenti sul ruolo di alcuni dipendenti pubblici non coinvolti nel processo. Le motivazioni rimarcano ruoli ed elementi probatori che hanno portato alle condanne per corruzione dell'ingegner Carli e del geometra Palmero. Nella giurisprudenza citata in merito al reato di corruzione un altro caso storico: la sentenza della Cassazione, sulle mazzette pagate dall'organizzatore del Festival Aragozzini ai politici sanremesi.

 

 

 

 


 

15-3-2007 RaiTre Pane e politica 1^. Di Riccardo Iacona. Il video

 

 


Il Messaggero Veneto 15-3-2007 Triete. De Anna: costi troppo elevati, ridurre i consiglieri

 

La Battellino avvia l'iter per indire la consultazione: entro 24 ore i certificati

LA PROPOSTA TRIESTE. I consiglieri regionali sono tanti e costano troppo ai cittadini, sarebbe bene ragionare su una riduzione. Nel dibattito di vertice tra Upi e Anci emerge anche questa proposta, destinata a gettare lo scompiglio nel palazzo di piazza Oberdan a Trieste. "La legge elettorale, così com'è, raddoppia sicuramente i costi della politica", osserva il presidente dell'Upi, Marzio Strassoldo. Ed è questo un punto su cui, se il consiglio regionale non cambierà l'ineleggibilità dei sindaci, gli amministratori locali intendono insistere, sino a porre la questione dell'eccessivo numero di presenze nell'assise. Una minaccia più forte del referendum, sia pure in proiezione (la consultazione sarebbe consultiva, per accettare o rifiutare la riforma elettorale). "La nostra iniziativa dovremmo legarla ai costi della politica, e alla riduzione dei consiglieri regionali. Credo chi i cittadini capirebbero", dice Giovanni Cumin, sindaco di Campolongo. "Certo, questa legge si è guardata bene dall'affrontare punti importanti, tra cui la composizione del consiglio, che potrebbe essere positivamente snellito", aggiunge Elio De Anna, presidente della Provincia di Pordenone. Intanto parte la prima iniziativa referendaria. Pubblicata ieri, la legge elettorale regionale è da oggi passibile di consultazione. Ed in consiglio è già partito un inter per sottoporla alla consultazione confermativa, ad opera di Alessandra Battellino, consigliere di Intesa per la Regione, non più organica alla maggioranza. "Entro 24 ore depositerò i certificati elettorali del comitato, dieci donne, rappresentative delle quattro province, e il giorno successivo inizierò la raccolta firme con i banchetti. Partecipando in prima persona, visto che, come consigliera, posso certificare personalmente", dice la Battellino.


 

Il Tirreno 14-3-2007 Tangenti e truffa ai danni della Ue a giudizio ex eurodeputato Paolo Bartolozzi (Forza Italia): "Estraneo a tutto"

 

 BARI. Il gup del tribunale di Bari Marco Guida ha rinviato a giudizio l'ex parlamentare europeo Paolo Bartolozzi (Fi), ora vicepresidente del Consiglio della Regione Toscana. Bartolozzi sarà processato per associazione per delinquere finalizzata alla truffa ai danni dell'Ue, truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche e per due episodi di corruzione. Il dibattimento comincerà il 28 maggio prossimo dinanzi al tribunale di Foggia dove compariranno altri imputati coinvolti nell'indagine e accusati anche di associazione mafiosa. Per truffa ai danni dello Stato è stato rinviato a giudizio oggi anche l'imprenditore del foggiano Rosario Marrone. Sia Bartolozzi sia Marrone sono imputati nello stralcio di un procedimento che inizialmente era a carico di 41 persone (metà delle quali saranno processate dal gup Guida con riti alternativi) per le quali la Dda di Bari ha chiesto il rinvio a giudizio al termine dell'inchiesta sui finanziamenti concessi dal ministero delle Attività produttive alla società finanziaria Soficoop. I fatti contestati fanno riferimento al 2002-2004: per quattro delle cinque società coinvolte nell'indagine è già stato disposto il rinvio a giudizio. L'inchiesta riguarda una presunta associazione finalizzata alla truffa per il conseguimento di finanziamenti pubblici, alla corruzione, all'abuso e alla rivelazione dei segreti d'ufficio, reati finalizzati ad agevolare gli interessi della Soficoop - attiva nell'erogazione di fondi della cosiddetta legge Marcora sui finanziamenti alle cooperative per l'occupazione. L'allora europarlamentare Bartolozzi è accusato di corruzione per aver esercitato pressioni sul settore politico amministrativo in favore della Soficoop presieduta da Ferdinando Vigiani, ricevendo in cambio prima 80.000 euro e successivamente ("a Firenze, 15 giorni prima delle elezioni europee in cui fu eletto") altri 60.000, oltre all'assunzione e alla promessa di assunzione di due persone da lui segnalate in altrettante aziende. Bartolozzi respinge tutte le accuse. "Mi ha molto sorpreso il rinvio a giudizio, vista l'assoluta mancanza di elementi a mio carico e nonostante le plurime pronunce in merito della Corte di Cassazione che, in casi analoghi, hanno escluso la sussistenza di reati a me contestati", ha detto in una nota il vicepresidente del Consiglio regionale della Toscana ed ex europarlamentare. "Mi aspetto - ha aggiunto Bartolozzi - un dibattito sereno che possa accertare la mia assoluta estraneità alle ipotesi di reato contestatemi".

 


Megachip.info 12-3-2007 I parlamentari italiani sono i più pagati d'Europa - di Elisabetta Povoledo, da International Herald Tribune - traduzione per Megachip di Eleonora Iacono

Per certi versi i parlamentari italiani sono i più produttivi d'Europa. Dalla Seconda Guerra Mondiale ad oggi, essi hanno generato – e sepolto – 60 governi. La scorsa settimana hanno quasi fatto altrettanto con il governo di Romano Prodi, il quale è sfuggito a stento alla sepoltura politica. Tuttavia persino questo primato non sembra giustificare i loro alti stipendi: essi guadagnano di più dei loro colleghi europei e hanno esteso tale generosità praticamente a chiunque sia stato eletto qui.

I parlamentari italiani guadagnano circa 16.000 euro, equivalenti a 21.000 dollari, al mese, cifra che comprende una somma giornaliera e stanziamenti per i membri del loro staff, anche se non ne hanno. In Francia i membri dell'Assemblea Nazionale percepiscono un po' meno di 7.000 euro al mese, compresa un'indennità per l'alloggio. In Svezia i membri del Riksdag devono accontentarsi di 5.000 euro.

(Il contrasto è ancora più stridente al Parlamento Europeo di Bruxelles, dove l'indennità mensile dei politici italiani è la più alta: ben 11.109 euro, mentre i tedeschi percepiscono 7.009 euro e gli spagnoli 2.914 euro. I rappresentanti della Lituania sono quelli che guadagnano meno di tutti: i loro 4.085 lita equivalgono ad appena 1.183 euro, in base alle statistiche fornite dall'ufficio del Parlamento che si occupa delle relazioni con i media.)

“Non si tratta solo del fatto che i parlamentari italiani percepiscono ingenti somme di denaro, vi è anche stata una moltiplicazione del numero dei funzionari nominati”, ha affermato Cesare Salvi, senatore dei Democratici di Sinistra, riferendosi ai numerosi rappresentanti del governo.

Quasi 150.000 persone in Italia sono pagate per lavorare nell'interesse del bene pubblico. Ci sono 78 rappresentanti del Parlamento Europeo, 945 membri del Parlamento (315 senatori e 630 membri della Camera dei Deputati), e rappresentanti delle amministrazioni regionali, provinciali, locali e municipali.

Ma il numero cresce fino a quasi 430.000 quando si considerano anche i consulenti a pagamento e gli incaricati politici, ha sottolineato Salvi nel 2005 in “Il costo della democrazia,” che ha scritto con Massimo Villone, un altro senatore di sinistra. Secondo i suoi calcoli i funzionari eletti e i finanziamenti ai partiti politici verrebbero a costare almeno un miliardo e ottantacinque milioni di euro all'anno.

Salvi e Villone hanno preparato vari disegni di legge per porre un freno alla macchina politica italiana. “Devo dire di essere alquanto pessimista”, ha affermato Salvi. Egli ha fatto notare che una misura da lui proposta per ridurre gli stipendi, in occasione del dibattito sul bilancio avvenuto a dicembre, è stata respinta.

Paragonate alle retribuzioni del settore privato, le buste paga dei rappresentanti elettivi possono essere definite cospicue. Ad esempio secondo Eurostat, l'ufficio statistico dell'Unione Europea, nel 2003 lo stipendio lordo annuale medio in Italia ammontava a meno di 22.000 euro.

“Sono strapagati e non c'è molto che giustifichi quello che guadagnano”, dice dei parlamentari del suo paese Daniela Corbisiero, che gestisce un bar a Roma.

“Alla fine noi paghiamo per tutto”, attacca, alludendo alle guardie del corpo e alle berline con autista. “I politici dovrebbero curare gli interessi del proprio paese, ma mi sembra che invece badino più ai propri interessi personali”.

Secondo Gustavo Piga, professore di economia presso l'Università Tor Vergata, il vero motivo di preoccupazione è il messaggio che i giovani ricevono dai loro parlamentari riguardo l'intoccabile settore pubblico. “È come se stessero dicendo: entrate in politica, è il lavoro pagato meglio per il minimo sforzo”, afferma.

Facendo riferimento al malessere pubblico nel discorso che ha preceduto il voto di fiducia al Senato del 28 febbraio, che ha ottenuto, Prodi ha riconosciuto che ridurre i costi del governo era fondamentale per costruire il consenso degli elettori. “Questo è uno dei punti fondamentali della nostra credibilità,” ha asserito. “Non possiamo chiedere ai cittadini sacrifici né la diminuzione della spesa pubblica, se non cominciamo a prendere decisioni che ci riguardano.”

Il suo governo, ha detto, ha già ridotto del 30 per cento l'indennità dei ministri, inclusa la sua. Ma, ha aggiunto, “non abbiamo ancora fatto abbastanza”.

Tuttavia alcuni esperti sostengono che tagliare gli stipendi del governo è una goccia in un oceano di problemi più seri. “Per me è inutile e demagogico”, afferma Pigas, professore di economia. Ammette che il messaggio etico che un tale taglio trasmette è positivo, “ma iniziare dalle cose di minore importanza non risolverà i problemi dell'Italia”.

da International Herald Tribune

 

 


Primonumero.it 12-3-2007 Sanità tra vizi e sprechi/2 Due capi per il reparto fantasma di Monica Vignale


Lo strano caso di Medicina d'urgenza a Termoli: chi è il responsabile? Secondo una delibera del 2000 è Elda Della Fazia, secondo un provvedimento del 2007 è Nicola Rocchia. Ma entrambi non hanno mai assunto la funzione. Colpa di una 'svista' o di ingerenze politiche?

Ci sono dei piccoli misteri nella sanità bassomolisana che raccontato piщ e meglio di qualsiasi statistica cosa significa la parola “cattiva gestione” applicata alla Salute pubblica. Uno di questi piccoli misteri si chiama Medicina d’Urgenza. E’ un reparto di otto posti letto al piano terra del San Timoteo di Termoli, accanto al Pronto Soccorso. Lì ci finiscono i pazienti che hanno bisogno di un ricovero urgente e che devono essere tenuti sotto osservazione costante. Un reparto importante per un ospedale come quello termolese: con l’autostrada a pochi chilometri e le tante aziende a rischio infortunio della zona è necessario poter contare su una struttura d’emergenza attrezzata. Medicina d’Urgenza a Termoli esiste da molti anni, ma stranamente non ha un responsabile. O meglio: ne ha due, ma solo sulla carta. E qui sta il mistero.
 
In realtà a coordinare il reparto ci pensa il primario del Pronto Soccorso, il dottor Antonio Occhionero. Il quale qualche mese fa ha chiesto alla direzione generale della Asrem di trasformare quelle stanze – un’appendice del Pronto Soccorso – in una UOS, acronimo di Unità Operativa Semplice, che però per essere tale ha bisogno di un responsabile autonomo. Infatti, raccogliendo tempestivamente l’istanza del dottor Occhionero, il manager generale Sergio Florio nel suo ufficio di Campobasso ha redatto (il 10 gennaio scorso) una delibera con cui si formalizza l’istituzione della Uos di Medicina d’urgenza al San Timoteo, nominando il responsabile nella persona di Nicola Rocchia, uno dei medici in servizio al Pronto Soccorso. Uno bravo, dicono tutti, con un curriculum valido e le carte in regola per ricoprire quell’incarico di prestigio, retribuito con soli 200 euro (lordi) in piщ al mese in aggiunta allo stipendio, ma considerato una sorta di anticamera per un primariato.
 
Ma ecco il primo dubbio, o mistero che dir si voglia: perché proprio Nicola Rocchia? Chi l’ha indicato? Forse il primario, dottor Occhionero: «No, non ho fatto nessun nome, mi sono limitato a chiedere l’istituzione di una unità operativa semplice». Forse il direttore di Zona del Basso Molise, Giovanni Giorgetta? No, nemmeno lui. Insomma, la nomina è stata fatta direttamente dalla direzione generale della Asrem – cioè da Sergio Florio – che non ha alcun obbligo di consultare chicchessia quando deve assegnare nuovi incarichi: «Certo, se fosse il primario a dare indicazioni  immagino che sarebbe meglio – ammette il dottor Occhionero – dal momento che un primario conosce, o quantomeno dovrebbe conoscere, i suoi medici. Ma non è un vincolo, è una semplice questione di opportunità». Lo stesso dottor Rocchia conferma: «E’ un incarico fiduciario».
 
Nel suo caso, tuttavia, è un incarico che ha incontrato qualche ostacolo. Ed ecco il secondo mistero.
Alla delibera non è seguito alcun contratto, per cui allo stato attuale il responsabile resta il dottor Occhionero. «Io non ho ricevuto nulla» spiega infatti Rocchia. E ha ragione, perchè quella delibera si è bloccata nei meandri della burocrazia ospedaliera, per ragioni che i sindacati interni addebitano a un caso di ‘sovrapposizione’ e il direttore di zona del Basso Molise, Giovanni Giorgetta, a una questione di priorità. Perché dunque il provvedimento di Sergio Florio – un uomo scelto dal Governatore in persona Michele Iorio – non è diventato esecutivo?
Giorgetta conferma che la nomina è bloccata «nell’attesa di un atto aziendale, cioè della pianificazione e la programmazione organizzativa degli incarichi per il triennio 2006 - 2008. Adesso siamo in una fase di monitoraggio dei bisogni degli ospedali di Termoli e Larino, non mi sembra il caso di assegnare alcuna nomina. Prima questo, poi vediamo gli incarichi». Con la stessa motivazione i sindacati hanno chiesto e ottenuto la temporanea sospensione della delibera.
 
Dietro questo mistero ce n’è un altro. E ci sono un altro nome e un’altra storia. Il nome è quello di Elda Della Fazia, dottoressa anche lei in servizio al Pronto Soccorso del San Timoteo. La storia è una storia di sette anni fa. Nel 2000 Medicina d’Urgenza si chiamava in un altro modo, cioè Astanteria Medica, ma la sostanza era la stessa. E nel 2000 il reparto venne istituito per la prima volta. Responsabile: la dottoressa Della Fazia, appunto, su nomina dell’ex manager Mario Verrecchia. Ma proprio come oggi la nomina non divenne mai esecutiva.
In quello stesso anno, infatti, la Della Fazia venne chiamata dall’allora Governatore della Regione Giovanni Di Stasi (centrosinistra) per fare l’assessore alle Politiche Sociali e lasciò temporaneamente l’ospedale. L’esperienza durò poco, perchè il ribaltone fece presto naufragare la giunta e rispedì la dottoressa in ospedale. Ma al suo ritorno scoprì che l’incarico di responsabile dell’Astanteria era svanito. Non le fecero firmare alcun contratto, tanto che lei si rivolse alla magistratura. Preparò un ricorso contro la Asl e nel novembre del 2005 il giudice del lavoro condannò la Asl per comportamento antisindacale e la obbligò a reintegrare la dottoressa come responsabile di Astanteria. «Sì, mi ricordo – dice Giorgetta – e credo che la Asl debba ancora pagare una piccola somma per quella vicenda giudiziaria».
Infatti la Asl non si oppose alla sentenza, ma nemmeno fece firmare alla dottoressa un contratto. Piщ semplicemente, lasciò correre, sperando che la vicenda venisse dimenticata.
 
La morale strapperebbe un sorriso se fosse una commedia dell’assurdo: Medicina d’urgenza e Astanteria Medica sono la stessa cosa, il dottor Rocchia e la dottoressa Della Fazia hanno lo stesso incarico, le delibere sono entrambe inattuate e quegli otto posti letto restano sotto la direzione del dottor Occhionero. In amministrazione alzano le spalle, qualcuno ipotizza che si sia trattato di una “svista”.
 
Probabilmente il particolare che Elda Della Fazia sia legata al centrosinistra e Nicola Rocchia sia invece di centrodestra (s’è candidato con Obiettivo Molise, una lista di supporto alla Cdl alle ultime Provinciali) è un trascurabile dettaglio in una palude di confusione e doppioni. Anche se a dar retta all’urologo Quintino Desiderio sembra che le ingerenze della politica nella sanità bassomolisana esistano, eccome. Il focoso medico, pure lui candidato (Lega Nord) qualche tempo fa, durante la presentazione in ospedale del nuovo assessore regionale alla Sanità, Ulisse Di Giacomo (Forza Italia), davanti all’invito rivolto ai medici di presentare qualche osservazione si alzò in piedi deciso: «Chiedo che la politica si faccia meno gli affari della sanità».
Gelo in aula. Silenzio di tomba. Imbarazzo. Poi una voce squillante. «Il dottor Desiderio ha perfettamente ragione, io condivido». La voce era quella di Fernanda De Guglielmo, a sua volta coinvolta mani e piedi nella politica. I cittadini di Termoli l’hanno da poco eletta nella lista di Forza Italia al Consiglio comunale.

(Pubblicato il 12/03/2007)


Il Quotidiano.it 10-3-2007 Ascoli Piceno. Gruppo AN:"Rossi predica bene ma razzola molto male"

 

ASCOLI PICENO - E' particolarmente grave che l'Amministrazione Provinciale, abbia deciso di aumentare sia le indennità dei consiglieri che i rimborsi spese per i gruppi consiliari.


Gruppo Provinciale AN
L'esigenza di ridurre i costi della politica rappresenta, ormai, un assunto condiviso da entrambi gli schieramenti. Non è un caso che le ultime due finanziarie(l'ultima del governo Berlusconi e la prima del Governo Prodi) siano state concordi sul punto. E soprattutto abbiamo introdotto norme tese a contenere il volume di indennità, rimborsi spese, auto blu e quant'altro rappresenta, (agli occhi di una comunità chiamata ad affrontare duri sacrifici economici) una sorta di spreco ingiustificato di risorse pubbliche.
Recentemente anche il segretario provinciale dei Ds ha fatto sentire la propria voce in proposito avvicinandosi ad un'impostazione "rigorista" che ha sempre ispirato la destra italiana confermando la natura bipartisan della volontà di ridurre l'impatto finanziario delle attività politiche. Date queste premesse, è particolarmente grave (quanto significativo) che l'Amministrazione Provinciale, guidata dal comunista Massimo Rossi, abbia deciso di aumentare sia le indennità dei consiglieri che i rimborsi spese per i gruppi consiliari. Esplode la fiscalità locale, i Comuni si vedono costretti ad aumentare l'ICI e l'IRPEF a causa dei tagli imposti da Prodi, le famiglie vengono soffocate dalle tasse e la Provincia di Ascoli che fa?
Aumenta le prebende per i politici che sostengono l'Amministrazione(non senza aver portato al 30 %, la misura massima prevista, l'imposta provinciale di trascrizione sugli autoveicoli e aver ridotto parecchio gli investimenti). Siamo di fronte all'ennesima prova della doppiezza di Massimo Rossi. Sulla scorta esemplare di Palmiro Togliatti, il Presidente Rossi mostra infatti e all'apparenza uno stile sobrio e morigerato. Ma alla prova dei fatti, tuttavia dissimula ben altre spregiudicatezze.
Difensore dei lavoratori nell'immagine esterna, il subcomandante di Palazzo San Filippo non esita a prelevare dalle tasse del proletariato ( e non solo di quello).le risorse necessarie per aumentare i costi della politica. E non cerchi il Buon Rossi di declinare le proprie responsabilità: la scelta di sostenere l'emendamento "incriminato" è stata sostenuta dal gruppo di Rifondazione Comunista che notoriamente, prende ordini da Lui.
Rincresce che Alleanza Nazionale si sia trovata sola a contrastare simili nefandezze amministrative in Consiglio Provinciale. Ci consola, tuttavia, la certezza che fuori dell'aula di PalaŸzo San Filippo a rimanere solitari saranno coloro che hanno avuto l'impertinenza di offendere in questa maniera i cittadini. Che saranno informati puntualmente di quanto il loro Presidente Provinciale sia bravo a predicare bene e poi a razzolare molto male.

sabato 10 marzo 2007, ore 16:22

 


La Stampa 12-3-2007 Vitalizi dei politici l'ennesimo scandalo  Guido Bodrato.

 

Chi si occupa di politica afferma che l'attuale legislatura durerà sicuramente fino all'ottobre 2008. Il motivo è semplice e riguarda le pensioni dei parlamentari: ci vogliono 30 mesi, cioè metà legislatura, per avere diritto alla pensione, che supera quella ottenuta da un lavoratore normale dopo 40 anni di lavoro. Sì, i parlamentari e i consiglieri regionali, dopo soli 30 mesi di permanenza nei loro scranni, maturano il diritto alla pensione, che però si chiama vitalizio. Qual è la differenza tra pensione e vitalizio? I vitalizi sono cumulabili con tutto il resto: altre pensioni, stipendi, indennità varie, ecc. e senza limiti di cumulo. Inoltre la reversibilità dei vitalizi spetta ai familiari indipendentemente dal reddito. Insomma "loro" possono cumulare tutto senza tagli, naturalmente con leggi fatte da "loro" per "loro". Se penso che tra poco questi bravissimi parlamentari saranno costretti, dicono "loro", a tagliare le future pensioni di tutti gli altri lavoratori italiani, mi vengono i brividi! Ma prima non si dovrebbero rendere le loro pensioni uguali a tutte le altre? LIVIO COSTA BIELLA Chi va da Santoro sa cosa lo aspetta Non riesco a comprendere come si possa accettare di partecipare ai programmi di Michele Santoro quando lo scopo di questo personaggio è quello di ridicolizzare le opinioni altrui. Mi indignano invece i lauti compensi che la Rai, con il denaro del canone pagato da tutti gli abbonati, gli elargisce. Da parte mia eviterò di guardare in futuro ogni trasmissione da lui diretta. MARCO CASTI "Dico" di sì Fermate la Chiesa Se qualcuno dicesse oggi che gli ebrei sono una minaccia per la razza ariana verrebbe tacciato di razzismo e condannato al carcere. Tutti i giorni, però, qualche esponente della Chiesa dice che noi omosessuali siamo una minaccia per la famiglia e non viene condannato da nessuno. Fa specie poi che il governo ascolti la Chiesa sulla legge per le unioni di fatto. È come se l'Onu ascoltasse i filo-nazisti nella preparazione di una legge a tutela delle minoranze etniche. PIERO SPINA "Dico" di no Una legge inutile Sono d'accordo con Tremonti: fare una bandiera della legge sui Dico quando le stesse cose potevano passare in una legge sulle famiglia è stata una stupidaggine del nostro governo. A meno di non voler conquistare i voti di omosessuali e lesbiche. Ma così si perdono i voti degli altri! GRAZIELLA IACCARINO-IDELSON ISAJA NAPOLI Guai al Paese che giudica i giudici Sull'eventuale corruzione di alcuni giudici della Basilicata è giustificata la prudenza dei media nell'esprimersi; sarebbe grave se invece si trattasse di assuefazione della nostra società al problema. Ciò significherebbe che l'ipotetico "uomo economico" della teoria economica (produttore e consumatore di beni e servizi che decide solo in funzione della propria convenienza senza curarsi di altri valori) è purtroppo sempre più presente nella realtà dei nostri tempi. Eppure già i testi antichi ammonivano: "Guai alla generazione i cui giudici meritino di essere giudicati". ASCANIO DE SANCTIS ROMA Cresce la voglia di grande centro Quando governava Berlusconi mi chiedevo che ci stava a fare uno come Casini (ma anche Follini che poi se n'è andato, ma è finito dalla padella alla brace) in un governo di destra. Oggi che governa Prodi mi chiedo che ci sta a fare uno come Mastella in un governo di sinistra. Diciamoci la verità: si parla di centrodestra e di centrosinistra ma in entrambi i casi, prendendo spunto dalla teoria informatica, il "master" (dispositivo principale che ne controlla altri) è sempre la destra o la sinistra e lo "slave" (dispositivo controllato da altri) è sempre il centro. Forse è davvero giunto il momento di dar vita a un "grande centro" che non debba mai più "prostituirsi" (peraltro senza trarne finora grossi vantaggi politici, se non qualche ministero o poltrone minori) né alla destra né alla sinistra per poter fare politica e far valere le proprie idee lontane sia dalla destra che dalla sinistra. Perché è così difficile creare questo benedetto "grande centro"? LORIS NUCERA COGNE (AO) Bodrato: le differenze fra Prodi e Bayrou Barbara Spinelli è stata la prima (sulla Stampa del 4) ad avvertire gli scricchiolii del bipolarismo alla francese, caratterizzato da due immobilismi che si alternano al potere, e per prima ha parlato degli imprevisti consensi al centrista Bayrou nella competizione per l'Eliseo. Ieri ha aggiornato l'analisi, riflettendo sulla strategia di Bayrou e sulle trasformazioni sociali che sollecitano mutamenti altrettanto profondi nella politica. Mi pare però che il titolo dato all'articolo ("Bayrou a lezione da Prodi") non colga le questioni fondamentali. Con Francois Bayrou, nel 2000, ho dato vita nel Parlamento di Strasburgo al "Gruppo Schuman" che univa i democristiani europei contrari all'ingresso dei conservatori britannici nel Partito popolare europeo. Con lui, i popolari italiani e i francesi dell'Udf sono usciti dal Ppe non condividendo una linea anti-socialista che si andava piegando al condizionamento degli euroscettici. Da quella decisione ha preso il via il Partito democratico europeo, presieduto da Prodi e guidato da Bayrou e Rutelli. Tuttavia, mentre alle europee del 2004 Bayrou ha presentato una lista dell'Udf che ha superato lo sbarramento concordato da socialisti e gollisti per soffocare quell'iniziativa nella culla, la Margherita ha presentato una "lista unica" con la Quercia, fingendo di ritenere possibile la nascita dell'Ulivo europeo. Per questa ragione ritengo che la vicenda francese suggerisca a Prodi di andare a lezione da Bayrou. Mi si potrebbe obiettare, rimandando a ciò che ha scritto Marc Lazar sulla Repubblica del 7, che comunque Bayrou non vincerà. Ma gli argomenti usati da Lazar confermano le critiche mosse a un modello che blocca la vita democratica, e che anche secondo le riflessioni conclusive della Spinelli spinge inevitabilmente verso la "contro-politica".

 

 


Sardegna Oggi 10-3-2007 Gli stipendi dei Consiglieri regionali sono stati al centro di una riflessione del Presidente Soru e dell'Assessore Dadea durante un incontro sulla Statutaria

 

Gli stipendi dei Consiglieri regionali sono stati al centro di una riflessione del Presidente Soru e dell'Assessore Dadea durante un incontro sulla Statutaria. Il Capo dell'Esecutivo regionale ha ipotizzato che vi sia un solo stipendio complessivo e che possano sparire "privilegi ingiusti, come quello di percepire la pensione dopo due anni e mezzo di lavoro". Secondo Dadea si potrebbe anche discutere del numero dei consiglieri, ora fissato in 80 rappresentanti del Popolo sardo. -->CAGLIARI - Un solo stipendio complessivo per i Consiglieri regionali. E' la proposta del Presidente della Regione, Renato Soru, che crede "che vi siano privilegi ingiusti come quello di percepire la pensione dopo due anni e mezzo di lavoro". Ricordando che anche lui è un consigliere regionale, Soru ha però chiarito che, anche a fronte della norma introdotta dalla Legge statutaria, ritiene "giusto che questo argomento, come anche quello delle aliquote di tassazione, venga sottratto al Referendum. Non per questo - ha aggiunto - il Consiglio regionale non ha la responsabilità di stabilire compensi giusti". All'interno della riduzione dei costi della politica, il presidente della Regione vede piuttosto "una riduzione dei troppi livelli istituzionali e dei troppi gangli in cui si consumano le risorse pubbliche: il reddito fiscale va restituito come servizi e il meno possibile va trattenuto per il funzionamento dell'apparato che eroga i servizi". L'assessore delle Riforme, Massimo Dadea, ha invece posto l'accento sul numero dei consiglieri, che potrebbe essere rivisto con la modifica allo Statuto sardo. Intanto sulla questione incombono una petizione popolare, con la richiesta, finora ferma in Consiglio regionale, di una legge che "moderi" gli emolumenti, oltre alla possibile richiesta di un Referendum. Entrame le proposte sono state avanzate dal movimento Lu Puntulgiu. -->.

 

 


La Stampa 10-3-2007 Regione Val D’aosta. Bocciata la mozione dell'Arcobaleno "No" dei consiglieri regionali all'autoriduzione di stipendio. Alessandro Camera

 

AOSTA "No" alla riduzione dello stipendio dei consiglieri regionali della Valle d'Aosta. La mozione del gruppo Arcobaleno che mirava a bloccare gli emolumenti percepiti dai consiglieri "attraverso la riduzione delle diarie mensili di un importo pari all'adeguamento dei parlamentari" è stata bocciata dal Consiglio regionale con 15 "no", 3 "sì" dei rappresentanti dell'Arcobaleno e 7 astensioni. Il dibattito ha raggiunto toni insolitamente alti, soprattutto nell'intervento del consigliere Massimo Lattanzi della Casa delle libertà, che ha accusato i rappresentanti dell'Arcobaleno di essere "a livelli di demagogia inaccettabili. Non prendiano lezioni di moralità da chi appoggia il governo Prodi, artefice dell'aumento delle indennità, ed ha portato in Parlamento due rappresentanti valdostani che gli aumenti li hanno accettati senza aprire bocca. Il tanto vituperato governo Berlusconi aveva posto un freno all'aumento del costo della politica". L'iniziativa dell'Arcobaleno è stata tacciata dai movimenti di maggioranza di "populismo e demagogia spicciola". Il consigliere Guido Cesal (presidente dell'Uv) ha ricordato ai consiglieri dell'Arcobaleno che "l'Uv, nell'ultimo congresso, ha approvato una mozione per arrivare a riduzioni degli emolumenti. Il tema deve essere affrontato senza ipocrisie e senza voler essere sempre i primi della classe". A testimonianza della "demagogia", Cesal ma anche Claudio Lavoyer, capogruppo della Fédération, hanno portato "il rifiuto dell'Arcobaleno a sottoscrivere una risoluzione che impegnava il Consiglio regionale a costituire un gruppo di lavoro composto dai rappresentanti di tutte le forze politiche presenti in aula, per esaminare e valutare gli automatismi che regolano la determinazione delle indennità e delle diarie". Il consigliere dell'Arcobaleno Ugo Venturella: "Altro che demagogia e populismo. Sono 4 anni - dice Venturella - che lottiamo per diminuire gli emolumenti. Abbiamo presentato interrogazioni, interpellanze e anche un disegno di legge che è stato bocciato dall'aula. Firmare una risoluzione che puntava solo a prendere tempo in cambio del ritiro della mozione era un baratto inaccettabile".

 


 

Il Sole 24 Ore 10-3-2007 La Calabria e la 'ndrangheta, storie di criminalità e appalti di Roberto Galullo

 

Il prefetto Luigi De Sena: "Ancora a rischio il porto di Gioia" La relazione del prefetto Luigi De Sena sul "Programma Calabria" Un film già visto: "Storie di ordinaria corruzione nella sanità". La Calabria purtroppo non riesce a farne a meno.La prima pellicola è stata girata a Locri esattamente un anno fa. Era il 25 marzo 2006 quando la Commissione di accesso del Viminale alla Asl 9 stendeva una relazione di 183 pagine nella quale inchiodava dirigenti, uffici e amministratori alle proprie responsabilità. In primo piano sprechi, gestione diretta della criminalità organizzata negli appalti e nei servizi, mancanza di trasparenza. Mentre il prefetto Luigi De Sena,il coraggioso assessore regionale alla Sanità Doris Lo Moro e Agazio Loiero concordano sulla necessità di avere subito la centrale unica degli acquisti (peraltro annunciata da oltre un anno), l'Asl 8 di Vibo provincia regno della famiglia Mancuso di Limbadi proietta sugli schermi nazionali la seconda pellicola: "Storie di ordinaria corruzione nella sanità Il ritorno". La Guardia di finanza ha consegnato all'Alto commissariato anticorruzione la relazione finale di 116 pagine dell'indagine conoscitiva disposta dall'allora Commissario Gianfranco Tatozzi, sostituito a gennaio da Bruno Ferrante. La relazione risulta depositata anche presso la Procura di Vibo Valentia. La sintesi dice che la trattativa privata era nel periodo 2003/2005 la regola, così come era la prassi il ricorso a rinnovi e proroghe di contratti eludendo le gare e, ancora, lavori in economia dove non era possibile, l'aggiudicazione sempre alle stesse ditte e il frazionamento in piccoli lotti per evadere le norme antimafia. Se questo dice la sintesi, ciò che racconta il dettaglio è impressionante. La relazione contiene pagine e pagine di imprese che hanno lavorato fuori regola, come a esempio il gruppo Evalto di Vibo. E di chi è la società? Dei figli di Domenico Evalto, che secondo la Dia risulterebbe appartenere alla cosca AnelloFumara. E da chi erano presiedute le commissioni che aggiudicavano gliappalti a esempio del servizio di ristorazione negli ospedali e case di cura dipendenti dalla Asl? Da Maurizio Marchese, che dal 2003 al 2006 scrivono le Fiamme Gialle si è contraddistinto per vicende giudiziarie per abuso d'ufficio, occultamento di fatti veri, turbata libertà degli incanti, corruzione, truffa aggravata e frode. Se dalla relazione emerge che sono moltissimi gli affiliati ai clan assunti dalle varie ditte aggiudicatrici di appalti, è impressionante il numero di dirigenti e impiegati della Asl (che complessivamente conta circa 2mila dipendenti) dirette espressioni di famiglie mafiose. Paolino Lo Bianco ad esempio, scrivono le Fiamme Gialle, assunto come operatore tecnico risulta figlio del capo clan Carmelo, a sua volta segnalato e arrestato per reati di tipo mafioso. In tutto decine e decine di persone legate alle cosche e con precedenti da far apparire un santo un omicida che ha trucidato la vicina di casa, senza contare che, come scrive ancora la Gdf, alcuni dipendenti, spesso pregiudicati, vanno al lavoro con armi da fuoco. Naturale come recarsi per un bambino a scuola con la merenda. E senza contare i rituali sprechi in forniture supervalutate e consulenze strapagate. A distanza di un anno dalla relazione su Locri tutto è cambiato perché poco o nulla cambiasse. "Intorno a Locri e non solo dichiara al Sole24 Ore il prefetto Luigi De Sena e intorno all'indotto di cliniche, laboratori e studi medici, continuano a gravitare gli interessi delle cosche"."La situazione di Vibo Valentia fa eco il Governatore Agazio Loiero è simile a quella di Locri. Gli appetiti della 'ndrangheta sulla sanità continuano a essere forti oggi come ieri". È passato già un anno da quando si scoprì che l'Asl di Locri era nelle mani delle cosche. È l'Azienda nella quale lavorava il vice presidente del consiglio regionale, Francesco Fortugno, assassinato il 16 ottobre 2005 in un seggio elettorale."Un omicidio mafioso" ricorda ancora oggi al Sole24 Ore il Governatore della Calabria Loiero. In quella stessa Asl lavorava anche la moglie, Maria Grazia Laganà, che ora siede in Parlamento ed è indagata dalla magistratura. Assassini e traffici illeciti maturano in ambienti politicoaffaristici che vedono nella sanità una gallina dalle uova d'oro:decine di miliardi da accaparrarsi attraverso la fornitura corrotta di beni e servizi. Un film già visto, appunto. Dove e quando la proiezione del terzo atto? roberto.galullo@ilsole24ore.com

 

 

 


La Stampa 8-3-2007 8/3/2007 (8:26) - INCHIESTA  Calabria, la cupola delle  raccomandazioni ANTONIO MASSARI

 

Politici, carabinieri e finanzieri nell’agenda di un faccendiere
accusato di truffa allo Stato, alla Regione e all’Unione Europea

 

Un giorno inviò una mail al ministero degli Interni. Scrisse al capo di gabinetto dell’ex ministro Giuseppe Pisanu: chiese un occhio di riguardo per un funzionario di polizia. Una faccenda di promozioni - secondo gli investigatori - liquidata in poche ma chiarissime righe. Il ministero, la Polizia, la richiesta di un favore. Strano? Il punto è che Antonio Saladino – il mittente della mail – non è un cittadino qualunque. In tanti lo chiamano, lo cercano, lo vogliono. E lui annota. Scrupolosamente. Fino all'ossessione. Gli investigatori restano sbigottiti, quando mettono le mani sulle sue carte.

L’agenda
Su richiesta del pm Luigi de Magistris, della procura di Catanzaro, perquisiscono la sede di tre società: «Why Not», «Need & Partners» e «Consorzio Brutium». Tutte riconducibili a Saladino, secondo il pm, che infatti l'ha inquisito. L’accusa: associazione per delinquere, finalizzata alla truffa, ai danni dello Stato, della Regione Calabria e dell'Unione europea. Grazie ai buoni rapporti con la politica - secondo i magistrati - sarebbe riuscito ad ottenere appalti in favore delle «sue» imprese. E torniamo alla perquisizione: due settimane fa, a metà febbraio, gli investigatori si presentano a Lamezia Terme, via Scotellaro numero 9, sede delle tre società. Cercano solo qualche traccia. Invece si imbattono in una valanga di informazioni: nomi e cognomi, riferimenti e annotazioni, date e appuntamenti. Saladino non ha un semplice archivio: il suo è un monumento alla schedatura. Centinaia di bigliettini di visita. Alcuni con dedica manoscritta. «Per qualsiasi cosa sono a tua disposizione», scrive sotto l'intestazione, con i relativi recapiti, un colonnello dei carabinieri. «Ti aspetto», appunta un colonnello della Finanza. «Mi auguro di poterci incontrare alla manifestazione», annota un altro ufficiale dell’Arma. Sulla sua agenda ce n'è per tutti i gusti. La segretaria annota: ha chiamato un procuratore di Lamezia, poi un procuratore di Catanzaro, ma anche un pluripregiudicato (quattro omicidi alle spalle) e persino qualche ministro. E chi sarà mai, questo Antonio Saladino, per avere un’agenda più fitta d’un diplomatico, per caldeggiare promozioni al ministero, e ricevere tali premure dalle Forze Armate?

La massoneria
Saladino è un semplice veterinario. Ben strutturato nella Compagnia delle Opere, della quale è un referente di spicco nel Meridione, ma tutto questo può bastare? Troppi potenti girano intorno a lui. E troppi affari. Per gli inquirenti, la «schedatura» rinvenuta da Saladino, potrebbe essere una bomba: la pista giusta per arrivare alla massoneria occulta. Di certo c'è che la sua è una vera agenda bipartisan: telefonano quelli di centrodestra e di centrosinistra. E lui annota. Senza tralasciare nulla. Meno che mai il cognome dei «referenti».
Le tre aziende si occupano, a vario titolo, di lavoro interinale e monitoraggio dell'ambiente. Le perquisizioni portano a galla decine di elenchi: le persone già assunte, e le altre da assumere, sono incolonnate e schedate. Nominativi, date, estremi, mansioni. Ma la colonna più interessante è quella a sinistra: «referenti». Che abbia registrato, per ogni lavoratore, chi l'ha raccomandato? Questa è l'ipotesi investigativa. Alla voce «referenti» spunta più volte il cognome Adamo. Che si tratti di Nicola (Ds), vicepresidente della giunta regionale calabrese? Poi spunta Abramo: che sia Sergio, capo dell'opposizione di centrodestra, ex sindaco di Catanzaro, nonché sfidante di Loiero alle ultime regionali? E ancora, e per decine di volte, spunta proprio Loiero: che sia Agazio, il presidente della Regione? Intanto, c'è un ulteriore fatto, che fa riflettere: il punto 17 del bando regionale indetto nel dicembre 2006.

Il bando
Bisogna affidare, attraverso una gara, due lavori. Primo: il censimento del patrimonio immobiliare della Regione. Secondo: il servizio di difesa dell'ambiente e del territorio. Contratto annuale, rinnovabile, per un compenso di 9,6 milioni di euro. Un buon affare. Ma il requisito previsto al punto 17 è preciso. Forse troppo. Per partecipare alla gara bisogna dimostrare, nel triennio 2004/2006, «un fatturato, maturato nel censimento immobiliare, non inferiore ai 5 milioni». Per la difesa dell'ambiente, nello stesso triennio, bisogna dimostrare un «fatturato di almeno 4,6 milioni di euro». Requisiti che – dice l'accusa - sembrano cuciti su misura per le società riconducibili a Saladino.

Nella perquisizione, gli investigatori, trovano il bando con una serie di annotazioni. Ma nutrono un sospetto più pesante: che il bando sia stato scritto dallo stesso Saladino. Come dire: l'azienda che vuole vincere l'appalto, in questo caso, si cuce il vestito su misura. Alla Regione non resta che firmare l'abito. E la sfilata può iniziare. In fondo, in questo affare, troveranno lavoro centinaia di persone. Se poi sono quelle segnalate dai «referenti», quelli della colonna a sinistra, tanto meglio. Saladino non sembra avere preferenze politiche, lega bene con tutti. Un giorno scrive una mail che, secondo gli inquirenti, è indirizzata a Vincenza Bruno Bossio. Ovvero: la moglie di Nicola Adamo, vicepresidente della giunta regionale. Le chiede: «Ti va bene questo giorno, per la visita alla Loggia di San Marino?».

La moglie di Adamo è interessata alla loggia massonica? Non conosciamo la risposta. Ma sappiamo che la Bossio è stata presidente del consorzio Clic (Consorzio Lavoro Informatico Calabrese). E del consorzio fanno parte sia la Abramotel, società riconducibile a Sergio Abramo, sia la Why Not, che farebbe capo a Saladino.
Adamo, Bossio, Abramo: cognomi che tornano nell'archivio di Saladino. Clic, Abramotel, Why not: imprese affiliate alla «Tesi», una società mista, fra pubblico e privato, che oggi è sull'orlo del fallimento. Secondo l'accusa, sostenuta sempre dal pm Luigi de Magistris, sarebbe stata saccheggiata. Qualcuno avrebbe intascato milioni di euro, sottratti all'Unione europea, allo Stato e – infine – agli stessi cittadini calabresi. E questa è un’altra storia, o un altro capitolo della stessa storia, che andrà raccontata.

 


Da La Stampa 6-3-2007 Il Parlamento del lavoro nero Denuncia delle Iene: oltre il 90 per cento dei portaborse pagato in forme irregolari Francesco Grignetti

ROMA
I soldi per i portaborse ci sono: 4150 euro al mese per ciascun parlamentare. Ma di mettere i lavoratori in regola, pochi lo fanno. I dati parlano chiaro. Ci hanno pensato le Iene a divulgarli: di 683 collaboratori parlamentari accreditati alla Camera, solo 54 risultano avere un contratto e perciò sono stati accreditati come «collaboratori a titolo oneroso». I restanti 629, stando alle dichiarazioni dei deputati, lavorano «a titolo gratuito». In verità sono tantissimi quelli che prendono uno stipendio in nero di 800-1000 euro senza contributi né diritti. «I dati sono questi - racconta il radicale Sergio D’Elia - ma attenzione a non fare confusione. Ci sono mille casi diversi». In effetti è una giungla quella del lavoro parlamentare. Il tempio della politica è anche il trionfo del precariato. Ci sono i lavoratori detti «delibera» perché diciassette anni fa ci fu una delibera della Camera, appunto, che prendeva atto dello scioglimento dei grandi partiti e si faceva carico dei lavoratori dei loro gruppi: sono gran fortunati perché sono quasi equiparati ai dipendenti della Camera. Poi ci sono i «deliberina», un gradino sotto.
Questi e quelli vengono riccamente pagati dalla Camera, ma gestiti dai gruppi parlamentari. E se si risparmia qualcosa sullo stipendio, la «cresta» va al gruppo. Ci sono poi quelli che vengono accreditati dal singolo deputato a «titolo gratuito» perché davvero non prendono niente: molti sono furbi lobbisti che ottengono così un badge d’ingresso. Ci sono altri che stanno nella segreteria del parlamentare, lontana da Roma. E infine quelli al nero. Ammette Carlo Leoni, Ds, vicepresidente della Camera: «Deputati e senatori che dovrebbero approvare leggi contro la precarietà e il lavoro nero, sarebbero i primi a ricorrere a pratiche di impiego illegali e irrispettose della dignità umana. E’ chiaro che gli uffici di Presidenza devono tornare al più presto ad occuparsi di questa delicata e poco edificante vicenda».
In alcuni casi, a sinistra, i lavoratori sono stati «centralizzati»: Ds e Rifondazione hanno deciso che il singolo parlamentare non ha diritto al portaborse, ma c’è un gruppo di lavoro per tutti. Il parlamentare dà una quota dello stipendio al partito; il partito pensa al resto. Accade così con Felice Casson, l’ex giudice di Venezia, oggi senatore dell’Ulivo, che dice: «Non ne so niente. Bisogna rivolgersi al partito per tutti gli aspetti contrattuali». Di fronte a questo groviglio di norme un altro senatore, Gerardo D’Ambrosio, l’ex procuratore capo di Milano, ha avuto un istintivo sobbalzo: «M’è sembrata una situazione molto strana. Mi hanno spiegato, quando sono arrivato, che potevo prendere un collaboratore e non pagare i contributi. Boh... Ho preferito prendere un’altra strada: occupandomi di questioni del diritto, chiedo delle consulenze ad avvocati affermati. Mi presentano le fatture e io pago. Tutto in regola».
Dalle parti di Rifondazione, dove si combatte la battaglia contro la flessibilità nel mondo del lavoro, capita però che i collaboratori siano contrattualizzati ma secondo le più svariate voci del precariato. Sono tutti co.co.pro, collaboratori a mandato o collaboratori a progetto. Contraddizioni? Daniele Farina, il rifondarolo che viene dal Leoncavallo di Milano, vede soprattutto le colpe della destra: «A me, la valigia o la borsa non la porta nessuno. Altro accade a destra. D’altra parte chi ha varato la legge 30 sul mercato del lavoro che comportamento può avere verso i propri collaboratori?».
Ma c’è chi ammette: «Io non ho nessun collaboratore, sono un self made man». Si chiama Francesco Saverio Romano, dell’Udc. E che ci fa con i 4150 euro a disposizione? «Risparmio». E Carlo Ciccioli, An: «Mettere tutti in regola... Costa troppo».

 


Da liberaliperlitalia.it 5-3-2007    Il costo della politica

 

Roba da non credere... 8 mesi dopo le amministrative milanesi il CdS si mostra finalmente intellettualmente onesto e tira fuori la storia che tutti sappiamo e che noi non abbiamo mai smesso di ripetere, e cioè che il costo della politica dei Consigli di Zona (e dei comuni, e delle provincie, etc) non ha alcuna giustificazione economica. I nostri lettori ben sanno delle polemiche sorte a margine delle scellerate decisioni del CdZ3 sul parcheggio di Piazza Aspromonte. Ma ora, numeri alla mano, qui non solo si tratta di scelleratezza ma di sperperi belli e buoni... come al solito alle spalle dei cittadini. A quando, signor Prodi, la legge che cancella i CdZ?

(Commento di Mario Caputi suun articolo del CdS - Gianni Santucci) 05/03/2007

 

Ecco l'articolo a firma di Gianni Santucci, apparso sul CdS del 5 Marzo 2007.


«Consigli di Zona: 4 milioni per mantenersi»

Parlamentini sotto accusa: le spese superano quelle per i servizi erogati. «Così è meglio chiuderli. Solo un modo per finanziare i partiti»

         

 

 

«Con quel tipo di conti, una qualsiasi azienda chiuderebbe in 24 ore». Uffici per il decentramento del Comune. Un direttore racconta la realtà dei nove Consigli di Zona di Milano, su cui lavora da anni. E riassume: «La sensazione è quella di una diseconomia complessiva». La promessa del sindaco Moratti in campagna elettorale era stata: «Rilanceremo le zone». Sono passati otto mesi. Si attende la «rivoluzione». Ma per capire, bisogna partire dal passato, dai bilanci. La prima cosa che salta all'occhio: il totale delle spese per mantenere in vita i nove carrozzoni supera (di circa 200 mila euro) i fondi che i Cdz amministrano, quelli che si traducono in servizi per i cittadini. Altri nodi, ammessi a mezza bocca da consiglieri e presidenti: i Consigli di Zona servono come massa di manovra per le campagne elettorali. I Cdz distribuiscono soldi a pioggia per la ricerca del consenso. I Cdz servono come forma di finanziamento dei partiti. Ma non dovevano essere dei micro-parlamenti locali per il coinvolgimento democratico della cittadinanza nella cosa pubblica? La risposta l'ha data una lettrice in una lettera al Corriere, in cui descrive una seduta: «Il Presidente di turno comincia affermando: "Sappiamo che il nostro è un parere puramente consultivo, che conta come il due di picche"».

Tornando ai numeri, somma delle spese del 2005 per pulizie, fotocopie, manutenzione, arredi e così via: 718.930 euro. Altra voce, gli stipendi: un consigliere, attraverso i gettoni di presenza, riceve un massimo di 738,54 euro al mese. Che moltiplicati per 40 consiglieri di ogni Cdz, per dodici mesi, per nove zone, fanno 3 milioni 622 mila euro l'anno. Aggiungendo gli stipendi dei presidenti (circa 4 mila euro al mese) si arriva 4 milioni 381 mila euro. Tutte spese. Solo per mantenere in vita i consigli. E ai cittadini? Attraverso i Centri di aggregazione giovanile, i Centri aggregativi multifunzionali, le manifestazioni nelle biblioteche e i fondi Map (per finanziare feste di via, mostre, manifestazioni varie) arrivano servizi per 4 milioni 190 mila euro. Cose utili e meritevoli, per carità. Corsi di danza, musica, teatro, ginnastica per gli anziani. Ci sono poi 11 milioni e mezzo di euro per aiuto alle persone in difficoltà, affitti e sussidi scolastici. Ma vengono assegnati con procedure standard, da direttori di settore e assistenti sociali. Cosa che potrebbe fare un qualsiasi ufficio comunale. Tirando le somme, la domanda è: ha senso tenere in piedi nove piccoli municipi sparsi per Milano? Per legge, devono esistere. Chiuderli non si può. Vanno rilanciati, si dice a destra e a sinistra. I presidenti si sono riuniti ed hanno chiesto all'assessore Colli competenze su manutenzioni e viabilità, una riforma di cui si parla da 10 anni. E dal passato riemerge un'altra storia: il Comune dovrà pagare 700 mila euro di arretrati ai consiglieri in carica tra il 1999 e il 2002. Che cosa è accaduto?

La giunta estese il pagamento dei gettoni ai consiglieri anche per la partecipazione alle commissioni e non solo per le sedute di consiglio. Ma Palazzo Marino non versò gli arretrati. «I consiglieri vennero trattati come optional, ignorati», spiega Beniamino Piantieri, ex eletto in Zona 3. E aggiunge: «È un sintomo del colpevole disinteresse che ha lasciato languire i Cdz per oltre 10 anni». Un lento trascinarsi tra disaffezione, scoraggiamento, frustrazione. Sono le parole che ricorrono nei blog dei consiglieri. Pareri consultivi sull'urbanistica, istanze ignorate da Palazzo Marino. Una qualche convenienza, però, sotto sotto c'è. Finanziamento: buona parte dei consiglieri versa una quota degli stipendi (dal 20 al 50 per cento) ai partiti di riferimento. Epropaganda: i Cdz diventano massa di manovra per «tenere caldo l'elettorato» (Manuela Valletti, ex consigliera in una lettera al Corriere). Meccanismo particolarmente attivo sotto elezioni. L'associazione Chiamamilano, inuneditoriale prima delle Comunali dell'anno scorso, ha denunciato: «Che cosa si potrebbe pensare di un padre di famiglia che impegni il 70, l'80, o il 90% del proprio reddito annuale tra gennaio e maggio?». Questo è successo nei Cdz a inizio 2006. Perché finanziare manifestazioni, mostre, festicciole varie di via e di quartiere, porta voti.


Da Altrenotizie.org 6-3-2007  I WEBMOSTRI E I SOLDI PUBBLICI di mazzetta

 

Martedì, 06 Marzo 2007 - 00:09 -

Per una volta si deve rendere pubblicamente grazie a Francesco Rutelli; se non fosse stato per la sua ignoranza del mondo della rete e per la sua smania di apparire, non ci si sarebbe mai resi conto di uno più insensati sprechi di risorse pubbliche della storia recente. Tutto ha origine al Ministero dell’Innovazione, retto durante il governo Berlusconi da Lucio Stanca, ex Ibm. Le risorse gestite dal ministero, pur modeste rispetto agli impegnativi compiti assunti dal governo (Internet era una delle famose “Tre -i-“ della propaganda berlusconiana) sono state evidente dissipate in progetti privi di logica, finanziati per importi cento è più volte superiori al necessario.

La settimana scorsa Francesco Rutelli ha presentato il sito www.italia.it con parole entusiaste, ma ha provocato un terremoto. Il sito tecnicamente è pessimo, non rispetta le norme, è inservibile, modesto, lento, vulnerabile dai malintenzionati. Si potrebbe continuare a lungo, ma, prima di tutto, il sito nasce da una percezione distorta della rete e dei comportamenti di chi la utilizza. Secondo le intenzioni Italia.it dovrebbe diventare un portalone attraverso il quale i turisti saranno invogliati a scegliere il nostro paese. L’idea di costruire un portale del genere, con tanto di piattaforma per le prenotazioni, è malsana perchè esiste già una miriade di siti che offrono questo genere di servizi, ma anche perchè non si capisce come si potrebbero convincere –tutti - gli operatori turistici italiani a passare attraverso la piattaforma di prenotazione del portalone (che comunque non è stata ancora realizzata); diversamente il denaro pubblico andrebbe a sostegno di alcuni e non di tutti.

Non si capisce neanche come, fattivamente, il portale potrebbe intercettare l’eventuale turista che naviga in rete in cerca di informazioni sul nostro paese. Non si capisce, infine, quale sia il progetto complessivo che c’è dietro la costruzione del sito, visto che le idee scritte sulla documentazione disponibile sono poche, ma confuse. I difetti “tecnici” del sito hanno attirato le maggiori attenzioni, ma è lo stesso senso di un sito del genere che andrebbe stabilito con precisione, prima di lanciarsi in avventure simili.

Grazie alla incredibile presentazione al pubblico di Italia.it, anche questa fondata su una colossale ignoranza per la quale è meglio mettere in linea il sito e poi aggiustare quello che non va (convinzione peraltro condivisa dalla Presidenza del Consiglio che ha messo online www.lineadirettacolpremier.it versione non funzionante di un progetto europeo, che dovrebbe funzionare come l’analogo sito tedesco www.direktzurkanzlerin.de che è già in linea da mesi), Rutelli ha fatto una pessima figura, perchè presentare un sito che dovrebbe essere la “vetrina del nostro paese”, mentre è poco più di uno scherzo di cattivo gusto, è un controsenso che non può sfuggire. Ma difficilmente Rutelli pagherà i danni fatti al turismo italiano mettendo in linea un tale orrore. Dallo scandalo che ne è derivato in rete (il mondo e i giornali non-digitali non ne parlano), si è alzata la polvere sui soldi pubblici spesi per mettere in linea siti internet più o meno istituzionali

Una montagna di soldi pubblici. Infatti Italia.it costa a bilancio quarantacinque milioni di euro e ci sono voluti tre anni perchè apparisse in linea per essere sepolto di critiche. Si può capire che, se la nostra classe politica capisce di internet come ne capisce Rutelli, non sia molto difficile perdere il senso della dimensione degli investimenti; se pochi sanno quanto costa un litro di latte, ancora meno avranno un’idea spannometrica del costo di un sito o di una piattaforma web. Il sito europeo che corrisponde a Italia.it, www.visiteurope.com costa 1.8 milioni di euro (quasi trenta volta meno) e già è stato criticato in quanto troppo costoso rispetto a quanto realizzato e mancante delle traduzioni previste, tanto per fare scomodi paragoni.

Italia.it ha anche un sito gemello, in quanto scandalosamente costoso, che è www.interculturale.it sito che si propone di mettere in rete le risorse culturali italiane mettendole così disposizione di tutti. Progetto molto più sensato di quello di Italia.it, che sebbene sia ancora ai primi passi nella realizzazione, si lascia guardare come uno strumento realmente utile/utilizzabile. Peccato solo che metterlo in rete abbia comportato l’iscrizione a bilancio di trentasette milioni di euro. Non è un caso isolato, da un documento che descrive il progetto PICO ( acronimo di Piano nazionale per l’Innovazione, la Crescita e l’Occupazione) si scoprono i progetti per altri portali dagli usi più disparati (ad esempio connettere tra loro le aziende dello stesso settore al Sud), ciascuno del costo di una decina di milioni di euro. Tutto fa credere che ci possano essere ancora molti esempi del genere.

Il popolo della rete è rimasto basito all’apparire di Italia.it, ma in realtà tutti dovrebbero stupirsi (e indignarsi) una volta compreso come, attraverso i progetti di siti web, si siano messe a bilancio decine e decine di milioni di euro (il totale supera sicuramente il centinaio; duecento miliardi di una volta) per ottenere in cambio un controvalore reale non superiore a qualche migliaio di euro. C’è stata sicuramente la mano larga (solo per il logo di Italia.it sono volati 100.000 euro) ma, prima di tutto, alla base di decisioni del genere c’è la spaventosa ignoranza di cosa sia la rete, dei costi dell’informatica, dei modi corretti per accostare internet ed usarlo utilmente. Riflessioni che evidentemente non sono state fatte nelle sedi opportune, se nessuno ha obbiettato quando è stato deciso di spendere una quarantina di milioni di euro per fare un sito.

Quando si parla di milioni di euro, spesso molti faticano a captare l’esatta dimensione della spesa e certi politici hanno buon gioco anche a passare questo genere di spese come una nota di merito. “Il governo ha stanziato 100 milioni di euro per costruire siti internet che permetteranno al paese...” è una frase che sarà presa per una benemerenza da gran parte di chi l’ascolti oggi nel nostro paese, ma l’italiano medio afflitto dal digital-divide, farebbe un salto dalla sedia se sapesse invece che con quei cento milioni di euro il governo ha comprato due Panda, che le ha targate ed assicurate e messe in servizio come auto di rappresentanza. Ancora di più si stupirebbe se vedesse in televisione scendere da una di queste Panda (alle quali per ora mancano le ruote, le porte ed i vetri) portata a spalle dalla scorta, per recarsi al Consiglio dei Ministri. Questo è, sostanzialmente, quello che ha fatto Rutelli con Italia.it: si è trovato con una Panda senza ruote da 45 milioni di euro e non ha resistito alla tentazione di presentarla alla stampa, magnificandone le qualità e facendo bruuum con la bocca. Incredibilmente, i giornalisti presenti l’anno anche bevuta, visto che nessuno ha, nemmeno timidamente, eccepito sull’investimento.

Questi siti sono come le due Panda dell’esempio, non servono alla funzione per la quale sono stati pagati, costano a bilancio un multiplo impossibile del loro costo reale, ma sono considerati passi avanti nella informatizzazione del nostro paese; addirittura strumenti preziosi e non manca chi li magnifica e li “inaugura” in grande spolvero. Ad oggi, dopo una settimana di rivolta su internet, dopo che è stato dedicato un blog alla questione, dopo che agili volontari hanno rifatto (gratis e in un attimo) e messo online versioni alternative del sito (che diversamente da questo funzionano anche), non è ancora giunta una sola riga di commento da Francesco Rutelli, che forse spera di far dimenticare questa colossale figuraccia grazie alla contemporaneità della crisi di governo. Sarebbe invece il caso che facesse sentire la sua reazione alla valanga di critiche. Visto che Rutelli ha detto in sede di presentazione che il sito “é un prodotto tecnologicamente avanzato, all'avanguardia mondiale, ma è ancora un cantiere aperto da cui partire e siamo aperti ai suggerimenti", mi permetto tre personali suggerimenti: mettere immediatamente offline il portale fino a che non sarà completamente rifatto; chiedere scusa per averlo definito “un prodotto tecnologicamente avanzato”; allertare la magistratura contabile perchè compia una indagine estesa sui costi di tutti i portali internet finanziati con denaro pubblico.

 


Da Ilmeridiano.info (1-3-2007) La politica costa troppo «Ora una riforma seria»

01.03.2007 ore 16:20:00.

Quanto costa la politica? E, soprattutto, è possibile intervenire per ridurne le spese? E’ questa la domanda che pongono i Comunisti Italiani di Taranto.

Uno dei dodici punti programmatici intorno a cui, come auspicavamo, si è ritrovata la maggioranza di centrosinistra indica la necessità di una riduzione dei costi della politica. Il Presidente del Consiglio Prodi sostiene che circa 850.000 persone lavorano in ambiti politici in modo diretto e indiretto. Riteniamo necessario procedere subito al ridimensionamento dei costi folli ed amorali della politica, a cominciare dalle cariche più elevate, dal Presidente della Repubblica fino ai consiglieri circoscrizionali. Esaminiamo, a titolo puramente esemplificativo, il trattamento economico dei senatori, tanto discussi in questa fase politica. Si tratta di veri e propri privilegi: la prima voce spettante ad un senatore è l’indennità (lo stipendio), che ammonta a quasi € 5500,00 mensili. Oltre a questo, è prevista una diaria mensile per la permanenza a Roma di € 4003,11 e, come se non bastasse, € 4678,36 a titolo di rimborso per le spese sostenute per retribuire i propri collaboratori. Si potrebbe aggiungere a questo elenco senza fine, che i senatori usufruiscono di tessere per la libera circolazione autostradale, ferroviaria, marittima ed aerea. Allo stesso tempo, godono di un rimborso spese annuo di € 13293,60 per i trasferimenti dal luogo di residenza a Roma. A coronamento di questo percorso dorato, dopo 35 mesi di legislatura hanno diritto ad una lauta pensione.

Non è necessario affannarsi in calcoli per comprendere la violenza dello schiaffo rivolto ai tanti cittadini italiani che devono lavorare per cifre neanche paragonabili ad una sola di queste voci.  Non si può accettare che i politici di casa nostra discutano di problemi come il lavoro stabile, i salari adeguati, la riforma delle pensioni, ed allo stesso tempo non riducano le ingiustificate ricchezze, che mensilmente sembrano piovergli addosso come per grazia ricevuta.

Assistiamo sconcertati a provvedimenti con cui Parlamenti regionali stabiliscono aumenti di “stipendio” di centinaia di euro in favore dei consiglieri (cioè si aumentano lo stipendio!). Occorrono decine di anni di contrattazione collettiva per ottenere gli stessi risultati per intere categorie di lavoratori. La conseguenza di questa politica del privilegio è che siedono in Parlamento burocrati di Partito, che non hanno mai avuto nessun contatto con il mondo del lavoro, eppure pretendono di possedere le soluzioni ai disastri di quelle realtà produttive che non hanno mai conosciuto. Occorre scardinare con coraggio il partito trasversale del privilegio. Questi aspetti odiosi della nobile arte della politica alimentano il qualunquismo di chi dice che “tanto sono tutti uguali”, provocando quel disinteresse che mina gli stessi fondamenti di una compiuta democrazia. Questa dovrebbe vedere un allargamento della sua base, ma contenendone i costi. E’ l’unico percorso possibile, in un Paese in cui si è sempre agitata la bandiera, secondo l’occorrenza, della necessità del contenimento dei costi della politica, ma non si è mai voluto affrontare con serietà e coscienza questo tema. Non è un caso che questo grido sdegnato si levi da Taranto, che il centrodestra ha insabbiato in un disastro economico ed etico senza pari nella storia dell’Italia Repubblicana.

La situazione, infatti, non è migliore a livello locale. Non si vede per quale motivo, ad un anno dalle dimissioni dell’ex Giunta Comunale, molti Consigli Circoscrizionali restino in piedi con i loro costi al cospetto di un Comune commissariato. Siamo avviati verso l’importante appuntamento elettorale delle prossime elezioni amministrative in una città in cui sarebbe finalmente etico ripartire da qui, da una revisione dei costi della politica, per operare tagli lì dove si annida il privilegio ingiustificato. Con questa proposta intendiamo sollevare una questione di equità sociale, che si inserisce nel quadro più ampio di una nuova e necessaria “questione morale”. Ad una riflessione critica amiamo far seguire sempre una proposta. Per questo, riteniamo opportuno che il prossimo sindaco di Taranto ed i relativi Consiglieri Comunali, recepiscano come fondamentale punto programmatico quello del contenimento dei costi della politica. Auspichiamo di poter essere preceduti da una seria riforma, effettuata a livello nazionale da questo Governo di centrosinistra. Siamo ben consci che questi temi non rientravano e non rientreranno mai nei programmi politici di una destra sempre attenta a salvaguardare privilegi, di qualsiasi natura essi siano. La discontinuità è necessaria, ma essere differenti significa agire con determinazione e coraggio, in tempi stretti, ponendo rimedio a queste situazioni di iniquità. Cominciare da se stessi sarebbe un segnale forte, di maturità politica, giustizia sociale e coerenza.

Bisogna agire subito. Questo significherebbe essere davvero “riformisti”.

 


Il Secolo XIX 2-3-2007. CONVEGNO SULLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE. Il presidente di Erg:"La corruzione in certe zone del Paese sta pericolosamente ritornando e raggiungendo livelli insopportabili".

 

 Iter autorizzativi troppo lunghi e complessi favoriscono la ricerca di scorciatoie

 "In un sistema amministrativo complesso, e a volte ostile, trova spazio chi cerca scorciatoie". Parola di Edoardo Garrone. Ci ha pensato il presidente di Erg a vivacizzare il convegno sulla riforma della pubblica amministrazione tenutosi ieri a palazzo San Giorgio. Grandi nomi al convegno, a cominciare dal ministro per le Riforme e l'Innovazione nella pubblica amministrazione, Luigi Nicolais. C'era Franco Bassanini, ex ministro della Funzione pubblica, l'uomo che ha avviato la riforma, oggi presidente di Astrid. E poi il sindaco di Genova, Giuseppe Pericu, quello di Torino, Sergio Chiamparino, docenti universitari, sindacalisti. Nell'occasione, Pericu ha presentato quella che potrebbe essere battezzata la Carta di Genova, dieci proposte per ammodernare la macchina organizzativa. Unica voce fuori dal coro, il petroliere Edoardo, figlio di Riccardo, presidente del Comitato tecnico per le riforme istituzionali di Confindustria, sempre diretto nelle sue uscite pubbliche. Garrone lancia l'allarme corruzione, definendo "lenta e farraginosa" la burocrazia. "Il tasso di corruzione è direttamente proporzionale alla complessità del sistema. - attacca - Iter autorizzativi complicati e lunghi, per esempio, favoriscono scorciatoie". E le scorciatoie sono la merce di scambio della corruzione. Garrone fa un discorso politico, che suona a metà tra l'SOS e il monito per i politici presenti in sala. I primi a pagare il prezzo della corruzione politico-amministrativa sono gli imprenditori, sostiene il petroliere. "Ci sono zone e settori nei quali noi come azienda abbiamo scelto di non intervenire. - rivela - E' noto, sono settori dove gli operatori privati non possono entrare. Penso alla gestione dei rifiuti in Campania, dove credo che i rapporti con la pubblica amministrazione non siano né leciti né trasparenti. Penso alle fonti alternative di energia: costruire impianti eolici è impossibile in certe zone. Tanto è vero che sono nate figure come gli "sviluppatori", professionisti che ottengono i permessi, sviluppano i progetti degli impianti e poi li vendono a aziende come la nostra". Garrone - denunciando che gli imprenditori italiani spendono 13 miliardi di euro l'anno per gli adempimenti burocratici, 11 volte il budget dei francesi - sostiene l'urgenza di "semplificare e rendere bene individuabili gli interlocutori nei casi di avvio di nuovi investimenti". Gli dà ragione l'ex ministro Bassanini, affermando che "negli ultimi tempi sono tornati ad aumentare gli oneri burocratici, i procedimenti, gli adempimenti. E Visco ne ha rimessi un buon numero. Se non si interviene si rischia di morire di troppe scartoffie che non servono affatto a garantire il rispetto della legge, anzi è l'opposto". "Visco fa il suo lavoro. - replica il ministro Nicolais - Sta cercando di far pagare le tasse, e per far questo, crea ovviamente qualche complicazione. È un sistema complesso e va gestito sapendo che è così. Non si può semplificare troppo". Nicolais aggiunge che per aiutare le imprese è stata istituita una "commissione di ministri per la semplificazione, che sta preparando un dispositivo di legge, che verrà varato ogni anno entro il 30 marzo, per ridurre la quantità di complicazioni". Cambiano i ministri, si susseguono le riforme della pubblica amministrazione, ma per l'utenza, i cittadini, la burocrazia resta quella di sempre: lungaggini e complicazioni. "È stato avviato un processo di interoperatività fra le pubbliche amministrazioni centrali e, successivamente, ne sarà avviato un altro tra le amministrazioni centrali e quelle periferiche. - annuncia Nicolais - Il tutto si concluderà alla fine del 2008. Nel frattempo è stata avviata la copertura al 100% della larga banda. Procediamo sostituendo parti cartacee con parti informatiche. Quando l'operazione sarà completata, avremmo un sistema di accesso a banche dati". 02/03/2007 CI SONO SETTORI IN CUI I RAPPORTI COL PUBBLICO NON SONO trasparenti edoardo garronePresidente di Erg 02/03/2007 " 02/03/2007.

 

 


Da La Stampa 28-2-2007 VIBO VALENTIA INCHIESTA "Per l'Ospedale mai nato, tangenti all'Udc". Di Antonio Massari

 

Il pm: mediatori per conto di vertici nazionali, un pentito: si pagava per avere l'appalto


L’onorevole s'è spogliato, s'è messo un costume, ed è venuto a farsi il bagno con me: “Eh - mi diceva - hai visto chi sono io...i lavori che gli faccio prendere a Lello Fusca, però se non mi dà 1 milione e 700 mila euro, il lavoro, non glielo faccio prendere”. E gli dissi io: “Cose vostre sono queste qua”». Era il 2004 quando il pentito calabrese Domenico Cricelli incontrava, secondo la deposizione resa agli inquirenti, l'ex deputato dell'Udc Michele Ranieli. Ora, per l'ennesina volta, il pm Giuseppe Lombardo ha chiesto di utilizzare le intercettazioni che lo riguardano. Niente da fare. La giunta parlamentare per le autorizzazioni, presieduta da Carlo Giovanardi (Udc), ha preferito rinviare. Ranieli ribadisce: «Da parte della magistratura c'è un chiaro intento persecutorio». Ma la procura non ha dubbi. Intorno al nuovo ospedale di Vibo Valentia girava una tangente: il 2 % dell'appalto era per l'Udc. Non per un singolo esponente di partito: per i vertici nazionali.

Mediatori
Intanto il nuovo ospedale, un affare da 25 milioni di euro, non l'ha mai costruito nessuno. Solo un mese e mezzo fa, a Vibo Valentia, moriva Federica Monteleone. Aveva 16 anni. Durante un'appendicectomia si verifica uno strano corto circuito. L’hanno operata in una sala «provvisoria».

Torniamo a oggi: dopo anni d'indagini, il pm Lombardo, sulla vicenda del «nuovo ospedale», vuole saperne di più. Punta al «livello politico». Per questo vuole usare, ai fini probatori, le intercettazioni di Michele Ranieli. In un'informativa d'appena due mesi fa, l'accusa, parla di «mediatori per conto del partito nazionale dell'Udc»: individuavano un consorzio, al quale affidare l'appalto per la costruzione dell'ospedale, per poi concordare «una tangente pari a 1 miliardo e mezzo del vecchio conio». Il 2% dell'appalto sarebbe andato «al partito politico nazionale». Tra i 29 indagati, in gran parte accusati di associazione per delinquere, figurano Santo Garofalo, ex direttore generale della Asl di Vibo Valentia, Fausto Vitiello, responsabile dell'ufficio progetti, Giorgio Campisi, esponente siciliano dell'Udc ed Enzo Fagnani, definito un «faccendiere romano». Insieme si sarebbero occupati di far pervenire l'appalto al Consorzio Tie, di Domenico Liso e Domenico Scelsi, indagati anche loro, per far confluire poi la tangente al partito. Il sistema: la Tie avrebbe ottenuto l'appalto, salvo poi dirottarlo a un'altra azienda, chiedendo denaro sottobanco. E' un doppio incastro: per vincere l'appalto, la Tie, avrebbe avuto bisogno di Garofalo e Vitiello all'interno della Asl. Per «costruire» la tangente, Garofalo e Vitiello, avrebbero avuto bisogno di una società affidabile: la Tie. Ma a quanto pare c'è una copertura politica.

Le minacce
Il legame di Garofalo con l'Udc emergerebbe da un'intercettazione del 2006: «Io tengo un'azienda che è dell'Udc», diceva Garofalo, parlando con la sua segretaria. In un'altra occasione, Garofalo, descrive una sorta di spartizione: «L'azienda di Vibo è l'azienda di omissis (...). Perché le tre aziende: uno di omissis, uno di omissis e l'altra di omissis». Dietro gli omissis, il nome di qualche parlamentare, per ora secretato. Ma per capire il meccanismo che, secondo gli inquirenti, porta alla tangente, bisogna tornare all'aprile del 2001. Per affidare l'appalto alla Tie serve l'uomo giusto al momento giusto. Ecco come. Nel 2001, il «responsabile dell'ufficio progetti» dell'Asl di Vibo è l'architetto Francesco Suraci: una mattina viene affiancato da due ragazzi in auto: «Se non te ne vai ti spariamo». Nel marzo 2002 Suraci si dimette: per sostituirlo arriva da Roma l'ingegnere Francesco Vitiello: per l'accusa è il primo tassello. Per la costruzione dell'ospedale, dicono gli inquirenti, si farà promettere 400 mila euro. L'individuazione di Vitiello, dice la segretaria di Garofalo, durante un interrogatorio, «era voluta dall'Udc». «Una nomina - precisano gli inquirenti - che appare preordinata alla costruzione del nuovo ospedale. Un momento ineludibile per drenare soldi verso il partito cui aderiva Garofalo». Per completare il mosaico, però, serve un'affidabile società appaltante. E qui entrano in scena Liso e Scelsi, titolari del consorzio Tie, e descritti dagli inquirenti come «faccendieri molto vicini all'Udc e all'Opus Dei».

«Scatola vuota»
Riguardo Liso, Scelsi e il consorzio Tie, l'imprenditore Maurizio Germani parla di «una scatola vuota ... solo di carta». La tecnica sembra la stessa: acquisire l'appalto «che poi - continua Germani - davano ad altri. E dicevano: dammi x per cento sul valore del lavoro». La Tie, quindi, deve innanzitutto vincere l'appalto. Nel 2003, gli indagati s'incontrano a Roma, all’associazione culturale «Solidarietà e sviluppo». Frequentata dall'Opus Dei, nonché da esponenti del vertice nazionale Udc, «la sede veniva prescelta da Vitiello e Giuseppe Namia per una riunione con Liso e Scelsi». Vitiello e Namia: gli stessi che avrebbero poi predisposto «la relazione di congruità dell'offerta, a seguito della quale, la gara veniva aggiudicata al consorzio». Vinto l'appalto, bisogna scegliere a chi affidarlo, e qui entrerebbe in gioco l'ex onorevole Ranieli. Lo spiega il pentito Domenico Cricelli.

La mafia
Nel 2004 Cricelli scopre che qualcuno vuole ammazzarlo e si rifugia presso tale Lello Fusca, dove, lavorando come cuoco, dice di aver incontrato Liso e Ranieli. Un incontro preannunciato: «Mimmo - mi diceva Fusca - ti raccomando.... che questa è una persona che dobbiamo trattare per quanto riguarda il subappalto dell'ospedale.... anche perché me l'ha fatto conoscere Michele Ranieli, e quindi dobbiamo fare belle figure». Ma Fusca, a quanto pare, del subappalto non voleva saperne. «Non mi conviene», avrebbe detto a Cricelli, che racconta: «Fusca mi disse: questo appalto è buono, però tutti i soldi che devo dare a Michele Ranieli, a Liso per cedermi il lavoro, insomma, a me non mi conviene. C'è già stato un ribasso di 9 milioni di euro (..) però questi 9 milioni erano recuperabili, facendo altre manovre (...), quindi quello non era un problema».

Infatti il problema è un altro: «Doveva dare 1 milione e 700 mila euro (in realtà si tratta di un miliardo e settecento milioni di vecchie lire, n.d.r.) a Michele Ranieli - continua Cricelli - che se li doveva dividere poi, a sua volta, con altre persone». Nei fatti, comunque, il subappalto non finì mai nelle mani di Fusca. Se lo accaparra, in parte, la ditta Evalto. Ma nell'azienda ci sarebbero infiltrazioni mafiose. L'autorizzazione viene revocata e la procura sequestra il cantiere. Nel 2005 emette gli avvisi di garanzia. Tra questi Giorgio Campisi, esponente dell'Udc siciliana, ed Enzo Fagnani, definito «faccendiere romano». A entrambi sarebbe spettato lo 0,50 per cento della tangente. A marzo si terrà l'udienza preliminare: il pm ha chiesto il rinvio a giudizio per tutte le persone coinvolte. Per il livello politico, però, bisognerà aspettare il via libera del Parlamento.

 


Da il meridiano.info (24-2-2007)  Pdci: «Impuniti i casi di mala-amministrazione dell’Asl»

 

Riceviamo e pubblichiamo l’intervento del Partito dei Comunisti Italiani sulla situazione dell’Asl e sui presunti casi di “mala-amministrazione”.

Ci risiamo, pare di assistere alla proiezione di un vecchio, vecchissimo, film dal finale scontato e dal titolo sconfortante I“impunità”. Ci riferiamo ai desolanti articoli apparsi negli ultimi giorni sulla stampa locale e nazionale in relazione alla verosimile, anzi scontata, decadenza per prescrizione delle ipotesi di reato attribuite a quanti coinvolti nelle vicende di “mala-amministrazione sanitaria” della Asl Annunziata nel periodo compreso dal 1997 al 2000. In piena onda di espansione Berlusconiana, sarebbe stato in quegli anni perpetrato il primo dei numerosi e consecutivi grandi saccheggi a discapito della collettività tarantina; le casse della Asl, secondo l’impianto accusatorio della Magistratura Inquirente, sarebbero state in quei fatidici quattro anni sottoposte a scientifica e sistematica spoliazione da parte dei vertici amministrativi della stessa. Tangenti, corruzione, sprechi, lavori inutili, voto di scambio, avrebbero rimpinguato le finanze personali di molti di coloro che avrebbero, tra l’altro, preparato la volata di un’altra grande Protagonista del disastrato passato prossimo della vita Politica Cittadina. Non casualmente sono quelli gli anni del trionfo della giunta Di Bello e ci pare altrettanto suggestivo che tra i nomi che sarebbero stati, in seguito, chiamati a gestire i servizi cittadini comparissero esponenti fortemente coinvolti nell’indagine in oggetto. Non intendiamo entrare nel merito dettagliato della vicenda; sebbene senza alcuna speranza che venga, non osiamo dire fatta giustizia, ma perlomeno rivelata una qualche verità, esiste tuttora un procedimento penale a carico di tanti illustri “galantuomini” e riteniamo scontato che sia compito della Magistratura occuparsi della vicenda, sino a quando le sarà concesso dalle vigenti e dissennate norme sulla prescrizione dei reati varate dal precedente Governo Berlusconi. Questi sono gli effetti delle “leggi ad Personam”. Intendiamo tuttavia esporre alcune spontanee e, forse ovvie, riflessioni sulla valenza etica dell’intero fenomeno. Immaginate infatti l’enorme quantità di risorse e di energie che, qualora fossero fondate le tesi della Pubblica Accusa, sarebbero state sottratte dagli eventuali colpevoli alla funzione assistenziale del Sistema Sanitario Nazionale. Per essere più chiari questi “Signori” avrebbero impedito a disabili di godere di assistenza domiciliare, a malati terminali di vedere alleviate le proprie sofferenze, ad affetti da Patologie Neoplastiche di giungere in tempo utile ad una valida diagnosi e terapia, ad anziani di beneficiarsi di cure dignitose ed umane, ad intere famiglie di dedicare alla cura dei propri bambini risorse  inevitabilmente deviate, per disperazione, verso la Sanità Privata. Infinito il novero delle inefficenze e disfunzioni del nostro Sistema Sanitario aggravate dall’infame lucrare sull’altrui sofferenza. Ci chiediamo ancora quanti Medici e Paramedici si sarebbe potuto, con le stesse risorse, affrancare da una condizione di decennale precariato e sfruttamento. Ci chiediamo quali livelli di riqualificazione professionale si sarebbero potuti offrire agli Operatori del settore. Ma tutto ciò non è in realtà che pura ipotesi, mera supposizione, semplice sospetto. Nonostante le confessioni, i chili di carte e documenti, le testimonianze, le evidenze, nessuno potrà mai dimostrare che ciò che si imputa agli indagati sia vero. Ma, badate bene. Nessuno potrà mai dimostrare altresì che tutto ciò sia falso. Nessuno degli indagati potrà mai più dichiararsi innocente, scendere a testa alta tra la gente onesta, tra chi lavora, tra chi soffre, tra chi fatica a sbarcare un misero salario per garantire con dignità ed orgoglio un futuro alla propria famiglia ed ai propri figli. Nessuno di loro. A meno che rifiutino la prescrizione e, da Uomini e non da “Caporali”, rivendichino il proprio buon diritto ad un Processo che dimostri, al di sopra di ogni dubbio la loro innocenza, per se stessi e l’onore delle proprie famiglie. Ma non è tutto. Quale pensate possa essere lo stato d’animo di quegli operatori del settore che dovranno in futuro, dopo aver attraversato gli anni in oggetto, dopo aver lottato con le unghie e con i denti per difendere le residue funzionalità di un Sistema Sanitario aggredito al tempo da ogni lato ed in ogni forma, dopo aver tirato un sospiro di sollievo all’aprirsi di uno spiraglio di speranza sulle proprie aspettative di trasparenza ed efficienza, vedere reintegrati nei propri ruoli e responsabilità soggetti non al di sopra di ogni sospetto. Medici e Paramedici dovranno attenersi a disposizioni amministrative, tecniche, sanitarie, operative derivanti da personaggi non sicuramente onesti. Credete voi tutti che leggete ora questa amare considerazioni che la qualità dell’assistenza a voi dedicata ne trarrà giovamento? Che quel mPdciedico vorrà impiegare un millesimo di energia in più di quanto assolutamente e strettamente previsto da contratto, che l’Infermiere possa considerare di trattenersi in servizio un attimo in più di quanto dovuto, che l’Inserviente voglia collaborare un filo più di quanto nel suo dovere? A favore di chi? Degli interessi di chi? Del potere e della gloria di chi?

 


Da La Stampa 18-2-2007 La truffa dell'ospedale fantasma. Antonio Massari

In Calabria, pronto dal '99, mai aperto per non danneggiare una clinica privata

LOCRI
Si dice che viste dall’alto, certe cose, risultino più chiare. Dal belvedere di Gerace, a nove chilometri da Locri, risulta chiaro un solo dato: la sanità calabrese è un groviglio inestricabile. Istituzioni, ‘ndrangheta, medici, politici, economia pubblica e privata: un puzzle complicato. Composto da migliaia di tessere. Spesso tessere di partito. Un groviglio dal quale nessuno sembra escluso: persino il presidente della Regione, Agazio Loiero, è indagato perché «in qualità di presidente della giunta, e anche prima delle elezioni», sarebbe stato «colluso con i componenti di un sodalizio criminale». Secondo il pm Luigi De Magistris avrebbe indicato, alla società Ital-Tbs, persone e modalità con le quali «conseguire profitti illeciti nel settore della sanità». Ma la giunta tira dritto: l’assessore Doris Lo Moro scrive che «l’obiettivo principale è costruire un sistema sanitario normale». Evidentemente il sistema, qui, è a-normale. E dal belvedere di Gerace lo vedi chiaramente: basta guardare quei tre casermoni in basso, sulla sinistra, recintati e lambiti da una curva d’asfalto. E’ un ospedale. Qualcuno l’ha progettato, finanziato, costruito, ultimato. Persino collaudato. Eppure è una scatola vuota.

Trent’anni
«I lavori iniziarono nel 1977 – dice il sindaco di Gerace, Salvatore Galluzzo – con i finanziamenti della Cassa del Mezzogiorno: tre padiglioni, 120 posti letto, un poliambulatorio e finanche l'impianto foto-voltaico. Nel 1996 furono completati e trasferimmo la proprietà all'Asl di Locri. Svuotammo persino i nostri reparti di geriatria, lungo-degenza e riabilitazione, che erano nel vecchio ospedale. Ma i tecnici dell’Asl dissero che gli impianti non erano a norma, che non c’erano fondi per ripristinarli. Eppure avevamo consegnato l'ospedale con il certificato di collaudo». Nel 2004 giunge uno spiraglio dal ministero della Giustizia. «L'ospedale sarebbe diventato un centro di psichiatria per detenuti. In cambio, una parte della struttura, sarebbe stata destinata alla cittadinanza». Sanità pubblica: senza convenzione con i privati? «Senza convenzione. Il ministero avrebbe investito sette miliardi di vecchie lire. Eravamo pronti a firmare: noi, il ministero, l'Asl, la provincia di Reggio Calabria». Ma sia il sindaco, sia Paolino Quattrone, del Dipartimento amministrazione penitenziaria, raccontano che l'assessore regionale alla Sanità, il giorno prima della firma, annunciò che l'appuntamento era rimandato: a data da destinarsi.

La ragnatela
L’assessore regionale alla sanità, nel 2004, si chiamava Giovanni Luzzo. Anch'egli indagato dal pm Luigi De Magistris, in concorso con Giovanni Filocamo (anche lui assessore regionale, poi commissario straordinario dell’Asl), Luigi Giugno (medico) e Manuela Stroili (direttore generale della Asl). Tra le accuse: «Arrecavano intenzionalmente a Francesco Fortugno un danno ingiusto». Come? Dividendo il presidio di pronto soccorso, di cui Fortugno – prima d'essere ammazzato - era primario. E «creando illegittimamente il reparto di medicina d'urgenza». Il reparto – secondo l'accusa – sarebbe stato poi affidato a Giugno con la creazione di un «concorso ad hoc». Insomma, tra il 2000 e il 2005, pare che Filocamo e Luzzo s'impegnino strenuamente per creare un «doppione» del pronto soccorso. Ma per l'ospedale di Gerace, che avrebbe dovuto ospitare geriatria e lungo-degenza, entrambi non muovono un dito. Eppure, già allora, l'Asl spendeva milioni di euro per la lungo-degenza. A chi andavano? Un esempio: alla società «Villa Vittoria», accreditata dalla Regione nel 2003, come residenza sanitaria assistenziale, per 40 posti letto. Fino al 2005 avrebbe incassato rette per 8,4 milioni di euro. Se l'ospedale di Gerace avesse funzionato, chissà, forse l'Asl avrebbe speso di meno. Ma chi troviamo tra i soci di «Villa Vittoria»? Vittoria e Francesca Filocamo: entrambe figlie di Giovanni Filocamo. Sì, proprio lui, l'assessore regionale alla Sanità, poi commissario straordinario della Asl di Locri. Insomma: dal suo stesso ospedale transitavano milioni di euro (pubblici) in un'azienda (privata) partecipata dalle sue figlie. Nello stesso periodo Fortugno presentava, alla procura di Locri, numerosi esposti sugli sprechi che, per lungo tempo, sembrano finire nel dimenticatoio. A dirla tutta - ma senza insinuare nulla - precisiamo che in quella stessa procura, all'epoca, c'era un nipote dell'assessore: il pm Fulvio Filocamo. Che la resse per circa sei mesi.

Un fiume di denaro
Ma non finisce qui. L'Asl spende milioni anche per le convenzioni di radio-diagnostica. La Nuova Radiodiagnostica Polifroni, per esempio, avrebbe incassato, tra il 2000 e il 2005, circa 5,5 milioni di euro. A chi appartiene? Rappresentante legale: Iemma Rosanna, moglie di Luigi Giugno. Proprio lui: il candidato primario del reparto «doppione». Nella stessa società troviamo anche Vincenzo Mollace: fratello di un procuratore a Reggio Calabria. Villa Vittoria e Nuova Radiodiagnostica: due società private, con due strette parentele in ospedale, e due strette parentele in procura. Tutto normale? Intanto lasciamo il belvedere di Gerace, con il suo ospedale fantasma, e scendiamo a Locri, dove qualcuno sta cercando di «normalizzare» la sanità locale. Antonio De Luca, commissario straordinario dell'Asl di Locri, racconta: «Quando mi sono insediato ho chiesto immediatamente la pianta organica: non c'era. Ho trovato il vuoto assoluto». In tutti i sensi: il passivo dell'Asl ammonta a ben cento milioni di euro. Intanto i medici ospedalieri, normalmente, si dovrebbero assumere per concorso. «In questi anni – continua De Luca - sono stati assunti 53 medici per lavorare nelle guardie mediche. Invece operano nell'ospedale». E nelle guardie mediche chi c'è? «Altri medici. Assunti con contratti trimestrali». Nel frattempo i farmacisti – qui come nel resto della provincia di Reggio Calabria – minacciano serrate: gli ospedali non pagano i medicinali da mesi, se non da anni, e anche De Luca ammette: «L'Asl non paga le medicine da giugno 2006».

Le cosche
E le infiltrazioni della 'ndrangheta? «Le cito un caso esemplare: mi tocca pagare lo stipendio a un tizio che è stato condannato per traffico di droga. Dovrebbe essere interdetto dai pubblici uffici, ma nonostante tutti i miei tentativi, è ancora qua». De Luca è comunque ottimista. Dice che l'assessore Lo Moro è fortemente determinata. Resta il fatto, però, che qui a Locri le convenzioni private continuano a prosciugare le casse: circa 9 milioni di euro l'anno, e pare che, solo per Villa Vittoria, la spesa ammonti a circa 1,3 milioni. Senza contare gli esborsi per la Fiscer, che si occupa di radio-diagnostica, come la Polifreni. L'Asl conta 1.600 dipendenti, ma finché non avrà una risonanza magnetica, una Tac funzionante, e magari anche l'ospedale di Gerace, toccherà rivolgersi sempre ai soliti (noti) privati.

 

 

 


Da teramonews.com 17-2-2007 Comunicazione: ma quanto mi costi? Daniele Tempera


 

Quanto conta la comunicazione nel mondo politico attuale? Moltissimo si direbbe. Per accorgersene basta solamente gettare uno sguardo al panorama mediatico che ci circonda, o guardare anche distrattamente un qualsiasi telegiornale, dove gran parte del tempo sembra essere occupato, dalla dichiarazione del politico o del partito di turno. I politici sanno bene, infatti, che per vincere una tornata elettorale è importantissimo attrarre dal proprio versante i cosiddetti “indecisi”, ovvero quelle persone che in mancanza di convinzioni politiche radicate, si trovano a oscillare periodicamente tra l’uno e l’altro schieramento elettorale. Va da sé che queste persone si collochino prevalentemente in quella larga area politica onnicomprensiva, che in Italia viene chiamata “centro” e che uno dei metodi principali per arrivare a questo determinato “target” sono le campagne di comunicazione.

L’avvento di Berlusconi e la nascita di un partito come Forza Italia negli anni 90’, divenuto in breve, grazie a sapienti operazioni di marketing e comunicazione politica il primo partito politico Italiano, ha portato alla ribalta anche in Italia tematiche quali: l’importanza della creazione e dell’implementazione continua di un “brand” (un marchio facilmente riconoscibile), la necessità di far leva su discorsi e argomentazioni più di carattere emozionale che razionale, lo strapotere dei mezzi di comunicazione di massa nella creazione del consenso, l’importanza di saper vendere efficacemente un’immagine che si avvicini sempre più a quella anelata dal cittadino medio. A dare un occhio alla politica mondiale, questi processi non si possono definire esattamente “nuovi”: non si può non notare per esempio le grandi campagne di comunicazione che precedono le presidenziali americane, o rimanendo in Europa, non si può ignorare la campagna di comunicazione pervasiva portata avanti durante questi anni dal “new labour” inglese, nella ridefinizione dell’immagine del partito e dello stesso Regno Unito.

La vera novità di questo processo è la sua diffusione a livello di politica locale. L’area delle amministrazioni locali era rimasta, infatti, vuoi per i costi che queste operazioni comportano, vuoi per la scarsa rilevanza delle elezioni amministrative (locali) sulle politiche (nazionali), un’isola relativamente felice, apparentemente immune da questa tendenza generale.

L’operato della giunta Chiodi, durante questi due anni e mezzo di amministrazione, smentiscono nettamente questa convinzione. Non c’è stato: atto, proposito o legge realizzata dell’amministrazione comunale, che non sia stato adeguatamente pubblicizzata, tramite l’utilizzo di diversi mezzi di comunicazione. La giunta di centrodestra, è riuscita durante questi anni a creare un vero e proprio “brand” attorno alla figura del sindaco, producendo una serie di immagini e allusioni volte ad individuare in Chiodi, l’uomo del mutamento e del dinamismo contrapposto alla decrepitezza e l’immobilismo della precedente amministrazione di centrosinistra. Le parole chiavi di ogni campagna di comunicazione dell’amministrazione comunale sembrano incitare alle stesse parole chiavi: rilancio, crescita, nuovo piano, futuro, strategia di sviluppo, globalismo (v.d. la campagna di “Teramo città aperta al mondo”) contrapposto ad un localismo che avrebbe angustiato a lungo la città, frenandone lo sviluppo.

Le campagne pubblicitarie per lanciare progetti promossi dal comune sono state in questi anni molteplici, come non scordare ad esempio gli slogan in pompa magna che accompagna da un po’ di tempo a questa parte la creazione del “piano strategico della città di Teramo”, visto quasi come un progetto di rinascita produttiva e culturale, pubblicizzato non a caso tramite la raffigurazione di bambini (un po’ quelli che dovrebbero rappresentare il futuro della città) e l’immancabile immagine del sindaco, nel sito internet dedicato al progetto. Come non dimenticare, l’invio a tutti i Teramani, ormai un anno e mezzo fa, del libretto relativo ai “500 giorni” dell’amministrazione Chiodi, uno spot tascabile entrato nelle case di tutte le famiglie, spacciato per un processo di comunicazione istituzionale volto ad avvicinare l’amministrazione ai cittadini. Analoghi discorsi si potrebbero fare per il clamore che ha accompagnato, iniziative quali: La notte bianca, la manifestazione “Teramo città aperta al mondo”, la realizzazione del nuovo stadio, il progetto “Cult” che oggi vediamo sintetizzato in uno slogan sui muri della città ecc.

Chi scrive è convinto della bontà e della validità di alcuni progetti portati avanti durante questi anni da questa amministrazione. Il problema principale è che molti di questi progetti si sono presto rivelati delle vere e proprie “cattedrali” nel deserto, ben inscatolate e vendute ma incapaci di apportare un vero cambiamento alla città. Slogan quali “Teramo città del futuro” e “Teramo città della cultura” suonano quasi inquietanti e a dir poco privi di sostanza in un comune che ha saputo difendere alcuni spazi culturali e creare buone manifestazioni, ma è stato incapace di creare un’autentica crescita culturale della città e delle cosiddette “attività aggreganti”, in una città che ci consegna ancora un senso profondo di torpore. Basti chiedere ad un giovane qualunque e pensare cosa ne pensi delle strade del centro deserte appena dopo le nove di sera, anche nei fine settimana.

Il problema non rilevante di questo continuo processo informativo, instaurato dal comune, è quello costituito dai costi. Vediamo periodicamente le nostre strade tappezzate da proclami dell’amministrazione, siti internet spuntare per produrre nuove attività, missive e comunicazioni domiciliari inviate dal sindaco ai Teramani e quant’altro. Ci sorge il dubbio che tutto questo processo costi e sia più funzionale allo sviluppo del “brand” dell’amministrazione, che a una reale ed efficace comunicazione istituzionale, come se ci si trovasse in una campagna elettorale permanente. Vale forse la pena di suggerire ingenuamente di usare questi soldi per realizzare opere concrete, realmente al servizio dei cittadini, fregandosene di tanto in tanto dell’indice di gradimento. Su una cosa siamo d’accordo con il sindaco: la città deve cambiare ed assumere nuovo dinamismo, anche per rispondere alle nuove sfide messe in moto dai processi di globalizzazione.
Ci piacerebbe che questo processo non sia solamente formale, ma anche sostanziale, per una volta.



 

 

 

 

 


 

Da L’Espresso (16-2-2007)  Suite con tangenti di P. Gomez e M. Lillo

 

L'assessore oggi sottosegretario Udeur. Il deputato forzista. Il capo di gabinetto di Storace. Tutti in fila per chiedere mazzette. Ecco l'esplosivo memoriale di Lady Asl

 

ESCLUSIVO: IL MEMORIALE DI LADY ASL (.PDF)

 

Lady Asl lo accusa di essersi riempito le tasche di banconote fruscianti. I carabinieri hanno scoperto una persona del suo staff che ha fatto uno strano acquisto immobiliare in contanti, ma i magistrati romani, che lo indagano per corruzione, continuano a considerare la posizione del sottosegretario Verzaschi diversa da quella degli altri politici travolti dalle dichiarazioni di Lady Asl. Mentre l'ex assessore Giulio Gargano è finito in galera e il deputato di Forza Italia Giorgio Simeoni ha evitato le sbarre solo perché la Camera ha negato l'autorizzazione a procedere, Verzaschi è rimasto al suo posto di sottosegretario alla Difesa. ...

 

Il memoriale di Anna Giuseppina Iannuzzi

C'è il sottosegretario di centrosinistra che per dare il suo ok alla convenzione di una clinica chiede, nell'ovattato silenzio della suite numero 6031 dello Sheraton di Roma, un milione di euro, 300 mila dei quali da versare in anticipo. C'è l'onorevole di centrodestra che elegantissimo fa il baciamano, manda avanti un suo uomo per proporre l'organizzazione di corsi di formazione professionale truffa e poi s'inginocchia domandando un prestito, mai restituito, di 600 mila euro. C'è il capo di gabinetto dell'ex presidente della Regione Francesco Storace, definito dal politico di An "un uomo al di sopra di ogni sospetto", che incassa mazzette a getto continuo e, tanto che c'è, si fa pure comprare una Jaguar. Ci sono i direttori delle Asl e degli ospedali regolarmente a libro paga. E c'è un assessore, che dopo essere stato indicato proprio da Storace come "l'unico riferimento per qualunque esigenza", si mette a battere cassa, ottiene uno 'stipendio' da 25 mila euro al mese e poi si trasforma in imprenditore (si fa per dire) pretendendo quote societarie al posto delle tangenti.

Per capire come mai nel Lazio il buco dei conti nella sanità abbia ormai superato la cifra record di 10 miliardi di euro e perché stiano per essere reintrodotti i ticket, basta mezz'ora. Tanto ci vuole per leggere le 28 pagine del memoriale di Lady Asl, al secolo Anna Giuseppina Iannuzzi, la donna che, dopo essersi fatta le ossa nel sottobosco dei centri di fisioterapia della capitale, nel 1997 è entrata nel gioco grande, stava per aprire cliniche su cliniche e ha messo in piedi un meccanismo di complicità e mazzette costato ai cittadini centinaia di milioni di euro. Accusata di truffa, corruzione, associazione per delinquere, Lady Asl adesso scrive ai magistrati di voler saldare "il debito con la giustizia" e punta l'indice contro i suoi presunti complici, le "persone altolocate in ambito politico e ai vertici delle varie Asl (...) che mi hanno indotto a commettere azioni illecite poi sfociate nei delitti che mi vengono contestati". L'elenco è lunghissimo e comprende il sottosegretario alla Difesa Marco Verzaschi (Udeur), nel 2004 assessore regionale alla Sanità con Forza Italia, il deputato azzurro Giorgio Simeoni, l'ex capo di gabinetto di Storace, Marco Buttarelli, una decina di dirigenti sanitari regionali tra i quali spicca il nome di Antonio Palumbo, l'ex direttore generale dell'ospedale romano San Filippo Neri. Un uomo al quale Anna Giuseppina Iannuzzi, o meglio la 'Dottoressa' come la chiamano i suoi collaboratori e persino suo marito, avrebbe versato negli anni '90 un miliardo di lire destinato, a detta di Palumbo, alla "presidenza della Regione" in quel momento retta da Piero Badaloni.

Al di là delle accuse, in buona parte ancora da verificare, il memoriale racconta una storia esemplare. Quella di una truffatrice diventata miliardaria (le sono stati sequestrati 50 milioni di euro in contanti) alle spalle dei malati. Di una signora ostinata e caparbia che viveva nella suite presidenziale dello Sheraton; che si faceva passare per la figlia di un importante industriale italo-americano (suo padre era invece un venditore ambulante) e che frequentava abitualmente le alte gerarchie del Vaticano: dall'attuale segretario di Stato Tarcisio Bertone a monsignor Milingo, dall'ex segretario di papa Ratzinger a don Giovanni D'Ercole, volto noto della tv ed esponente influente delle istituzioni della Santa Sede. Niente tangenti, per loro, ma solo opere di bene: buste piene di euro da dare in beneficenza che, stando al marito, Anna Giuseppina Iannuzzi consegnava un po' perché era "devota a Sant'Antonio" e un po' "perché i prelati piacciono molto alla politica".

Ma alla politica piacciono soprattutto i soldi. Così nella suite numero 6031 dello Sheraton, dove dietro alla scrivania di Lady Asl campeggia la bandiera gialla e bianca di ciò che rimane dello Stato Pontificio, sfilano esponenti di partito, portaborse e funzionari. A loro la 'Dottoressa' allunga mazzette su mazzette oggi sempre rigorosamente quantificate in lire, perché la signora è una donna all'antica, che si veste di nero e che ritiene l'euro una sorta di disgrazia. Allo Sheraton a fine 2004 si materializza anche il religiosissimo Marco Verzaschi, strenuo difensore di tutti i valori etico-morali del mondo cattolico, a partire dalla famiglia, che però, a detta di Lady Asl, tra i dieci comandamenti ne aveva dimenticato uno. Il settimo: 'non rubare'. Scrive la 'Dottoressa': "Verzaschi nel salotto del mio appartamento mi accennò al problema della clinica (una clinica che doveva ottenere dalla Regione una convenzione, ndr), a questo punto mi disse che avrebbe dato il suo appoggio perché l'operazione giungesse al termine, ma solo di fronte al pagamento da parte mia di 2 miliardi di lire. Se avessi accettato la sua richiesta, da quel momento avrei potuto contare su di lui e mi disse anche che avrei comunque dovuto pagargli un acconto di 600 milioni di lire. Gli risposi che avrei dovuto verificare quanta disponibilità di contante avevo in quel momento e mi allontanai per recarmi nello studio accanto al salotto dove sono posizionate le casseforti. Contai il denaro necessario e gli consegnai una busta contenente 300 milioni. Ricordo perfettamente che lui la prese, tolse i soldi dalla busta e li mise nelle varie tasche. A distanza di circa un mese dalla prima dazione gli diedi altri 300 milioni in un'epoca antecedente l'ottenimento dell'autorizzazione e della delibera relativa alla clinica (...): a tutt'oggi non sono in grado di precisare se questi secondi 300 milioni li ho consegnati in un'unica soluzione o se invece li ho dati in due soluzioni, la prima di 100 milioni e la seconda di 200". Dopo qualche settimana Lady Asl viene a sapere da alcuni funzionari della Regione che Verzaschi, nonostante i soldi ricevuti "ostacolava la convenzione della nostra clinica con (il policlinico di) Tor Vergata". La 'Dottoressa' convoca subito il direttore del San Filippo Neri, Antonio Palumbo, un dirigente diventato un "amico di famiglia" anche perché, stando al memoriale, fa da postino delle tangenti versate ai vertici delle varie Asl romane e in cambio ottiene soldi, viaggi gratis a Londra e "ogni Natale", un grande televisore al plasma, la sua vera "fissazione". Palumbo "è molto amico di Verzaschi", così s'incarica di capire che cosa è successo. Lady Asl racconta: "Dopo poche ore Palumbo tornò da me allo Sheraton con un messaggio di Verzaschi. (L'assessore mi diceva) di stare tranquilla e (mi spiegava) che il suo ostacolarmi alla presenza di miei amici era solo una scena, perché in realtà l'operazione sarebbe andata in porto. Mi pregava di non parlare assolutamente con nessuno perché un altro imprenditore suo amico ambiva a quella convenzione e lui non poteva fargli vedere che lui stava dalla mia parte; mi tranquillizzai perché capii che stava mantenendo gli impegni, tanto e vero che poi la delibera fu approvata".

A leggere il memoriale si comprende dunque che la corruzione nel mondo della sanità del Lazio è generalizzata e diffusa a tutti i livelli. Anna Giuseppina Iannuzzi non accusa però esplicitamente l'ex governatore Francesco Storace, punta invece l'indice su Marco Buttarelli, suo ex capo di gabinetto (in Regione e al ministero della Sanità), arrestato il 7 luglio 2006, e contro l'ex assessore ai Trasporti Giulio Gargano che, assistito dall'inedita coppia di avvocati Gaetano Pecorella e Giuseppe Lucibello, ha già patteggiato una pena a 4 anni e 6 mesi di reclusione. Anche se non lo scrive esplicitamente è chiaro che ritiene i due dei collettori per le tangenti forse destinate al leader di An. Lady Asl comunque sostiene di aver incontrato Storace (ascoltato come testimone il 25 luglio) un'unica volta nel 2001, quando era alla ricerca di uno spazio destinato a un centro di riabilitazione e fisioterapia per bambini e che, in quell'occasione, il governatore dopo averle proposto di affittare un immobile dell'Ipab (Istituzioni di pubblica assistenza e beneficenza), "precisò che Gargano sarebbe stato il suo unico riferimento a cui potevo rivolgermi per qualunque esigenza e che sarebbe stato a mia disposizione per poter realizzare quanto prima il mio progetto".

La 'Dottoressa' ottiene così in affitto due piani di una palazzina dell'Ipab grazie ai preziosi consigli del capo di gabinetto di Storace, Buttarelli, il quale le indica l'esatto importo dell'offerta da presentare all'ente pubblico, mentre Gargano si dà da fare per farle ottenere una convenzione con la Asl. Il problema è che Benedetto Bultrini, il dirigente della Asl Roma C che dovrebbe siglare l'accordo, si presenta allo Sheraton per battere cassa: "Mi chiese un prestito di 80 milioni di lire", scrive Anna Iannuzzi, "affermando che me li avrebbe restituiti entro una ventina di giorni (...) il prestito non è più stato restituito, dopo due giorni (Bultrini) mi ha portato l'atto che mi autorizzava a lavorare in convenzione con la Asl. Parlai del prestito con Gargano il quale si arrabbiò moltissimo dicendo che di soldi ne dovevo parlare solo con lui, perché lui era l'unico referente della Regione, come precisato da Storace. (Anche Bultrini) si arrabbiò molto del fatto che avessi parlato con Gargano e disse che comunque gli dovevo 10 milioni al mese all'insaputa di Gargano se no mi avrebbe revocato la convenzione. (Un altro funzionario) ci suggerì di regalare a Bultrini un televisore a schermo piatto (...) e ci ha chiesto di pagare a lui, a sua figlia e alla figlia di Bultrini, un viaggio a New York".

Allo stipendio destinato al dirigente della Asl si aggiunge poi quello per l'assessore Gargano, che nel febbraio del 2002 domanda a Lady Asl di essere foraggiato costantemente con sostanziosi contributi: "Mi disse che da quel momento aveva la necessità di 50 milioni al mese. Chiese inoltre l'ingresso nelle società operative e nella clinica in quota pari al 35 per cento (...) mi disse altresì che tali importi glieli avrei dovuti dare prima delle elezioni del 2005, altrimenti non sarebbe stato possibile raggiungere l'accordo su niente". La politica costa, si sa, così Gargano riceve "un miliardo di lire nel nuovo ufficio elettorale" di Alleanza nazionale, più altri soldi direttamente allo Sheraton. Anche il capo di gabinetto di Storace fa lo stesso: ma sta bene attento a separare il pubblico dal privato.

Così, dopo aver richiesto tangenti a tutto spiano, ai primi di marzo del 2005, decide di togliersi uno sfizio. Lady Asl racconta: "Una sera, all'improvviso, mentre eravamo nell'ufficio della suite 6044 mi disse: 'Anna per tutto l'impegno che sto mettendo mi devi 75 mila euro perché ho intenzione di comprarmi una bellissima macchina (una Jaguar poi rintracciata dai carabinieri, ndr), sono certo che trovi equa la mia richiesta, torno dopodomani?'. Che cosa dovevo rispondere? Ho detto 'va bene' (...) due giorni dopo ha preso da me in contanti l'importo, mi ha ringraziato e ha messo i soldi nella giacca: 'Chiaramente questi sono per me, ma quello che ci devi quando ce lo dai?'. Gli spiegai della difficoltà dei prelievi (secondo Lady Asl la sua banca allarmata si era opposta al prelievo di un milione di euro in contanti, ndr), ma gli dissi che avrei mantenuto gli impegni (...) una sera si è presentato (...) per organizzare una serata in onore di Storace: (...) hanno dato la loro disponibilità a pagare fino a un importo massimo, il resto l'ho pagato io a loro insaputa". L'affare più grande, comunque, Lady Asl non lo conclude con An, ma con Forza Italia. Secondo i magistrati la 'Dottoressa' e l'attuale deputato azzurro Giorgio Simeoni, all'epoca dei fatti assessore regionale, mettono in piedi un raggiro da far invidia alla 'Stangata'.

Nel 2003 Simeoni e il suo portaborse (arrestato) l'aiutano a organizzare corsi professionali fantasma finanziati con soldi pubblici e visto che è un'amica "pretendono il 50 per cento (dei finanziamenti ricevuti) invece che il 60 per cento che (il portaborse di Simeoni) dichiarava di chiedere normalmente agli altri imprenditori". Poi domandano altri 600 mila euro che dovevano servire per assicurare la riconferma di un manager di loro fiducia alla guida della Asl Roma B. La donna è titubante. Loro le dicono di considerare la somma un semplice prestito. Simeoni si presenta personalmente allo Sheraton per convincerla: "Sottolineava la sua necessità di ottenere tale prestito, è arrivato addirittura a inginocchiarsi davanti a me e ha aggiunto che mi avrebbe restituito i soldi il più presto possibile". Sono passati quattro anni. Di quel denaro, se mai è esistito, si sono perse le tracce.

 

 

 


Da Il Tirreno 15-2-2007 Enti inutili, i tagli non decollano. La Regione: abbiamo la mappa. La Cdl: non farete nulla  di Mario Lancisi

Il Tirreno

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FIRENZE. Per ora c’è la mappa: nome, numero dipendenti, bilancio. Non è stata facile, pare. Sono tanti gli enti regionali che metterli tutti insieme ha comportato un lavoro certosino. Ma ora viene il difficile: la Regione infatti entro la fine di marzo si è impegnata a presentare un piano di ristrutturazione e riorganizzazione. L’obiettivo è sì quello di rendere più efficienti agenzie e enti, ma soprattutto quello di risparmiare. E per farlo occorre tagliare gli enti inutili e accorpare quelli che sono dei doppioni, fonti di sprechi. Per redigere il piano la giunta regionale lunedì prossimo si radunerà a Carrara. Una giornata intera per discutere - tra gli altri temi - anche dove tagliare tra Ato e Lode (gli enti che gestiscono il patrimonio edilizio pubblico), tra Arsia e enti varii.
«Tagli? Macché...». «Operazione improba perché se davvero la Regione dovesse mettere le mani su agenzie, enti e ex municipalizzate verrebbe meno il sistema di potere su cui si regge la sinistra in Toscana», mette le mani avanti il portavoce della Cdl Alessandro Antichi. Che aggiunge: «Quello che occorre è il superamento del legame doppio che lega la politica agli enti pubblici. Solo privatizzando si può spezzare gli apparati di potere che sono ormai diventati l’insieme di questi enti. Non è realistico pensare che la sinistra intenda incamminarsi su questa strada».
 Scettico si dichiara anche Maurizio Bianconi, capogruppo regionale di An: «Tagli in Regione? Macché. Sì, li avevano annunciati con gran proclami, ma poi alle affermazioni non è seguito nemmeno un fatto. Così come niente in questo senso è scritto nel bilancio di previsione. Aspettiamo il piano di marzo, ma di sicuro qualunque azione fosse intrapresa per quell’epoca, ormai non servirà più a nulla di nulla».
Obiettivo 50 milioni. Eppure il piano è indispensabile, obbligatorio, se la Regione vuole incamerare quei 50 milioni di euro, annunciati dal presidente Claudio Martini e dal suo vice Federico Gelli, vicepresidente della Toscana, al momento della presentazione della manovra da 230 milioni con la quale la Regione ha inteso colmare il deficit di bilancio e finanziare il Prs, cioè il piano di rilancio economico della Toscana. Come è noto, il «buco» sarà colmato con 90 milioni di entrate (di cui 60-65 derivanti dall’aumento delle tasse: più 10% del bollo auto e più 2,85 centesimi a litro per la benzina), 90 milioni di rinvio di spese previste e 50 milioni di tagli. Nel mirino le spese inutili, improduttive o semplicemente non più sostenibili: affitti, consulenze, bollette del gas, acqua e telefono, gestione degli acquisti, convegni, studi e spese di rappresentanza (cene, pranzi, alberghi).
Affitti e consulenze. La Regione sostiene di aver realizzato molti di questi obiettivi. Ad esempio già dal 2007 sarà affidata ad un’agenzia il compito di fare acquisti e concorsi per evitare duplicati, costosissimi doppioni. Gelli proprio nelle settimane scorse ha annunciato il taglio degli affitti e la concentrazione delle proprie sedi per quasi 2 milioni di risparmio. E il 5 febbraio scorso ha approvato una delibera con cui si intende dare un giro di vite sulle consulenze. «Le prestazioni devono essere di natura temporanea e altamente qualificata», prescrive la delibera. Per coprire carenze di organico non si potrà fare più ricorso alle consulenze, che dovranno essere attivate solo per materie altamente specialistiche.
Dove tagliare. Ma il nodo più difficile da sciogliere viene ora. Perché - come spiega un dirigente regionale - «non si possono accorpare le mele con le arance». E tuttavia Martini ha già fatto capire che 6 Ato per le acque e 10 per i rifiuti è uno spreco che la Toscana non si può più permettere. Così come 10 Apt per promuovere il turismo toscano e 11 Lode sono decisamente troppi. Da lunedì scatterà il tempo delle forbici...

(15 febbraio 2007)

 


Da aipsimed 11-2-2007 La sanità campana. Sprechi, clientelismo, illegalità, inefficienza

 

(Relazione introduttiva all’incontro "La sanità campana. Sprechi, clientelismo, illegalità, inefficienza. Riformare o rivoluzionare", del dr. Massimo Miniero, tenutosi a Napoli il 3 febbraio 2007 presso l' Antisala dei Baroni del Maschio Angioino)


Ho organizzato questo incontro non tanto e non solo per denunciare quello che è quotidianamente sotto gli occhi di tutti ovvero il degrado dell’assistenza sanitaria testimoniato da mille episodi di cosiddetta ordinaria mala sanità e dai migliaia di cittadini campani che ogni anno vanno a farsi curare altrove od, infine, dai dati del registro dei tumori regionale che denunciano, senza che nessuno si scandalizzi, come in Campania ci si ammali meno di cancro ma, in compenso, ci siano più decessi: evidentemente frutto della mancata prevenzione, delle diagnosi precoci e dei trattamenti sanitari. Per contro invece emerge, che in alcune aree a forte inquinamento ambientale, come nel Casertano, c’è una percentuale di determinati tumori superiore al resto d’Italia. Queste cose ce le siamo dette in tanti incontri e però non so quanto siano state portate a conoscenza delle pubblica opinione. Anche per questo ripeterle fino alla noia non è mai sbagliato se è vero, come è vero, che un partito come il nostro non può non credere che le problematiche si possono risolvere solo con la partecipazione alla lotta di molti, partecipazione che nasce dalla presa di coscienza e, quindi , dall’informazione, dalla conoscenza. Ancora: non ci stancheremo mai di ripetere che non c’è solo la diagnosi sbagliata che può verificarsi anche nel sistema più perfetto, ma c’è un sistema strutturalmente inefficiente. E là dove si sono delle eccellenze, delle strutture che funzionano, e ci sono!!!, questo dipende dal lavoro ( direi all’abnegazione) di singole persone o di gruppi ristretti spesso senza appoggio quando non contrastate dal sistema, che basa la sua sussistenza sull’inefficienza.
Perché la politica qui al sud ha, come dice Antonio Tabucchi da tempo persa , se mai l’ha avuta , la passione civile, trasformandosi in gestione di interessi privati. E’ questa politica non più politica che trae i massimi vantaggi dall’inefficienza, dall’assenza di regole, di diritto. Quello che accade non è una anomalia ma quello che serve. Perché questa situazione rende più praticabile la scorciatoia di comprare i consensi per continuare a gestire il potere, invece di, più faticosamente, acquisire consenso dalla pratica del buon governo e della buona sanità.
Il cerchio si chiude. Non è casuale quello che accade perché è l’unico modo per i partiti , alcuni partiti, alcuni politici, di continuare a governare.
Tutto questo non risponde, però, alla domanda che spesso mi pongo: perché le strutture sanitarie siano tanto migliori in Veneto dove, come da noi, per 50 ha localmente governato la Democrazia Cristiana. Eliminata a priori una spiegazione di tipo genetico ( ovvero razzista) tutte le altre possibili spiegazioni di questo fatto appaiono parziali ed in conclusione ancora non ho trovato una risposta soddisfacente a questa domanda. Certo il ritardo culturale, l’assenza del diritto in ogni campo della vita pubblica. Resta il fatto che i partiti, da sempre, in questa regione, hanno visto la gestione della cosa pubblica e la sanità, in particolare, come il migliore degli ambiti per fare i propri affari. In altre parole la sanità è servita e serve alla politica e non viceversa come dovrebbe essere. Ribadisco che da noi non si tenta nemmeno di ottenere il consenso ( elettorale) attraverso il buon governo ma si sceglie la scorciatoia di comprare il consenso attraverso assunzioni, consulenze, creazione di strutture non per soddisfare un bisogno comune ma individuale, promozioni e quant’altro. In questo modo si può arrivare a racimolare 7-8000 voti per un figlio che si presenta, per la prima volta, candidato al comune. Il prezzo che noi tutti paghiamo è quello di una massima inefficienza raffrontata ad un debito enorme. E gli artefici dello sfascio sono premiati con nuovi incarichi sempre più prestigiosi che permettono loro di fare sempre meglio i loro affari.
Vorrei, però, anche precisare che non è il capitolo della spesa di per sè che mi scandalizza. Se noi avessimo una sanità efficiente il debito sarebbe più che accettabile, direi quasi fisiologico. Quello che invece accade è che si usa la mannaia del debito per giustificare quello che qualche giornale definisce il walzer delle poltrone in sanità, cioè per permetter ai partiti di riposizionarsi meglio nella lottizzazione in atto. Così accade che, intanto, non si distingue tra chi ha fatto debiti per promuovere i propri affari causando spreco ed inefficienza; e chi, si indebita perchè risponde a dei bisogni reali del contesto in cui opera. Anzi più spesso accade che sono proprio i più solerti a spendere in nome e per contro dei partiti che li hanno sistemati, ad essere premiati con incarichi sempre più rilevanti.
Oggi noi ci troviamo qui non per chiedere la luna, l’impossibile. Chiediamo non di avere una sanità, pubblica beninteso e gratuita, come in germania, svezia od in Francia paesi con i quali, non si dimentica mai di ricordare, avremmo la stessa matrice cristiana comune.. Chiediamo di avere una sanità come nelle regioni del Nord d’Italia.
Chiediamo poi anche, ma è un discorso più nazionale, una sanità più orientata verso il territorio piuttosto che, come accade ora, verso gli ospedali; più orientata verso la prevenzione che verso l’ospedalizzazione. Ma questo lo diranno altri oggi.
Quello che chiediamo noi comunisti qui in campania è una sanità che non sia terreno di conquista e saccheggio per la politica. Una sanità che usi la politica e non che sia usata dalla politica. Gestita localmente da tecnici che siano in contatto con le comunità locali e con i bisogni delle stesse e che decidano, magari anche sbagliando, nell’interesse comune e non agiscano come burattini dei partiti di riferimento. E che siano valutati per quello che di buono hanno fatto con criteri prestabiliti in modo da garantire il massimo della trasparenza. Così da non avere il “valzer delle poltrone” ma un naturale ricambio per motivi noti a tutti e condivisi dalla maggioranza dei cittadini.
Questo è quello che vogliamo e da oggi si potrebbe iniziare un percorso per arrivare a diventare una regione normale.
Appare altresì del tutto evidente come sia difficile che coloro che hanno gestito la politica sanitaria negli ultimi anni, a partire dal presidente della regione, possano gestire un cambiamento. Non che gli eredi siano migliori di loro. Anzi!!
Occorre che Rifondazione, che in tante cose si distingue dagli altri partiti, promuova una riscrittura delle regole che non consenta più lo strapotere e l’invadenza dei partiti nel sociale ed in particolare nella sanità, nella gestione ordinaria, quotidiana delle Aziende sanitarie. Occorre che ci siano regole chiare e trasparenti per la nomina e la conferma o la rimozione di un Direttore Generale così che non accada più che persone come Loretta, Piero Cerato e pochi altri siano rimossi senza ancora un perché anche se un perché c’è ma non si può dire. Non deve più accadere,come è oggi , che il messaggio per i nuovi direttori generali sia di stare zitti ed obbedire sennò guai. Non abbiamo mai avuto direttori generali di così basso profilo. come in questo momento. Yes men. D’altronde chi nominerebbe un direttore non affidabile che magari può anche fare di testa sua!! E quale persona può essere chi si presta a dire sempre di si? Obbedir tacendo è il messaggio che questa giunta ha dato.
Occorre, ancora, che i concorsi, di ogni ordine e grado, siano svolti con modalità trasparenti, così come i trasferimenti e le consulenze. Confermo quello che dico da tempo: da almeno da 10 anni non è stato fatto un concorso, un’assunzione, anche interinale, senza un corrispettivo in denaro oppure una sponsorizzazione. Ed in questa pastetta generalizzata anche i sindacati hanno avuto la loro parte. Concordo con quanti ritengono che la meritocrazia ha più di un difetto, ma questo sistema è tutto marcio.
In questo marciume generalizzato può ( oserei dire: deve) risaltare, per contrasto, il ruolo del nostro partito che, sono convinto, fonda la ragione stessa del suo esistere, su ideali di eguaglianza di diritti e doveri e di giustizia sociale. Purtroppo la sinistra, storicamente, ha trascurato alcuni settori del sociale come la sanità, ed il nostro partito, non ha fatto eccezione non senza scusanti. Questo ha causato una solitudine dei compagni eletti nelle istituzioni regionali, spesso a digiuno di conoscenze specifiche. Anche se , occorre riconoscerlo, hanno fatto un notevole sforzo per attivare gruppi di lavoro di tecnici. Purtroppo quello che si è prodotto non è riuscito, perché non poteva!, andare oltre la contingenza.
Anche se la regione, e quindi i consiglieri, ha specifica competenza sulla gestione della sanità non è e non può essere, l’ambito istituzionale quello in ci si confronta e si elabora la linea e l’indirizzo della politica del partito. C’è un momento ed un luogo per confrontarsi discutere e giungere ad una sintesi ed un momento ed un luogo per la trasformazione di un indirizzo politico in un atto istituzionale. Riportare la discussione, il confronto nella sua sede naturale, ristabilire, insomma il primato del partito, o di come lo si vuole chiamare, nel determinare la politica sanitaria, per esempio. Questo è lo sforzo che ci deve vedere tutti impegnati e che potrebbe favorire il ritorno al fare politica di quei tanti compagni che negli ultimi anni se ne sono allontanati .

 


 

Da caserta24ore.it 6-2-2007 IL COMMENTO: I PARLAMENTARI SI CROGIOLANO NELLE LORO PENSIONI D’ORO Mario Caligiuri - 06/02/2007

 

MA VI SEMBRA possibile? Un carabiniere che guadagna poco più di mille euro al mese deve mettersi sull’attenti quando passa un parlamentare che solo di pensione ne guadagna sproporzionatamente di più? Non ci sono i soldi per aumentare gli organici delle forze dell’ordine, che gli italiani apprezzano come dicono tutti i sondaggi, mentre si trovano milioni di euro per stipendi, giornali e prebende di chi dice di rappresentarci? E proprio ieri il ministro dell’interno Giuliano Amato ha dichiarato che c’è «un gigantesco uso di cocaina». E come intendiamo contrastarla? Con i diretti consumatori, le veline e gli ‘onorevoli’ congiunti presenti nel Parlamento? Abbiamo un bel dire che la sicurezza è una delle priorità del Governo se poi alle forze dell’ordine non vengono assicurati neanche i requisiti minimi per operare, mentre per gli tutti gli eletti, al centro come nelle regioni, si consolidano invece le condizioni massime. SOLO ORA ci accorgiamo, nel silenzio finora assoluto dei sindacati, che sono 3.302 gli ex parlamentari o i loro familiari che ricevono una pensione che oscilla dai 3 ai 10mila euro lordi al mese. E che tale situazione ha comportato, fino al 2006, un enorme buco previdenziale di 174 milioni di euro. E teniamo conto che nessun censimento è stato ancora effettuato sui consigli regionali, che, visti gli esempi «virtuosi» che provengono dall’alto, si stanno regolando nella stessa maniera. Alla faccia delle forze dell’ordine e dei milioni di pensionati a 500 euro al mese. NON A CASO, questo quotidiano mesi fa ha iniziato, in solitudine e senza timori riverenziali, ad affrontare il problema dei costi della politica, considerato non solo uno spreco di fondi pubblici, non solo inaccettabile sul piano dei diritti, non solo senza confronti col resto del mondo, ma soprattutto ritenuto elemento centrale che contribuisce a selezionare una classe politica assolutamente inadeguata.

Secondo noi, l’inefficienza del sistema democratico in Italia ha questa indiscutibile origine. Come possono essere gestite le istituzioni pubbliche prevalentemente da funzionari di partito scelti a tavolino? E checché se ne dica, sta bene a tutti gli schieramenti. LO SDEGNO purtroppo serve a poco: occorre essere operativi. Il Presidente Giorgio Napoletano, che non a caso aveva sottoscritto nel 2005 un documento all’assemblea dei Ds sui costi insostenibili del sistema, ha deciso di pubblicare una parte del bilancio del Quirinale. Comportamento apprezzabilissimo, ma nella sostanza solo un segnale formale: occorre andare oltre, non fermandosi alle dimostrazioni virtuali ma incidendo sulla polpa. SI POSSONO subito risparmiare decine di milioni di euro intervenendo in queste direzioni, come ha ben dimostrato il disegno di legge presentato da Cesare Salvi che, ovviamente, è rimasto lettera morta. E’ possibile arginare questi eccessi che ingessano la democrazia attorno ad un’oligarchia ristrettissima che si autossegna gli stessi privilegi di cui gode? Crediamo proprio di si. Avviamo subito referendum abrogativi per incidere sul numero dei parlamentari e dei consiglieri regionali, sui loro stipendi, sulle loro pensioni e per introdurre il limite di mandati. E’ certamente possibile, anzi è un dovere civile. Chi inizia a raccogliere le firme?


Da primadinoi.it 5-2-2007 Acqua. La riforma degli enti: «entro febbraio cancellati 2 Ato»

ABRUZZO. La Maggioranza ha espresso "pieno accordo" sulle linee guida di riforma degli enti d'ambito che entro febbraio sarà approvata dalla Giunta regionale. Il riordino del servizio idrico integrato, così come illustrato stamattina a Pescara, dall'assessore al ramo, Mimmo Srour, introduce, infatti, una serie di novità che «anzitutto hanno l'obiettivo di abbattere i costi della tariffa per il cittadino eliminando i costi della politica».

La riforma, infatti, prevede la riduzione da sei a quattro degli ambiti territoriali, uno per ciascuna provincia. La scelta, secondo l'Assessore, garantirà il rispetto della rappresentanza democratica, atteso che agli Ato partecipano obbligatoriamente gli enti locali che ricadono in quella stessa porzione di territorio e, inoltre, promuoverà una competizione tra gli stessi, tale da garantire una misurabile diversità di efficienza, che potrà essere premiata a vantaggio degli utenti.
Altro punto ritenuto qualificante è la separazione delle funzioni tra l'ente di programmazione, l'Ato appunto, e i soggetti gestori.
In ordine a quest'ultimo aspetto, la Regione, ribadendo il principio dell'acqua come bene pubblico, ravvisa la necessita di un servizio tutto pubblico (affidamento in house).
I nuovi Ato saranno presieduti da soli tre sindaci che non percepiranno nessun altro compenso aggiuntivo rispetto a quello percepito in qualità di sindaci. Per i soggetti gestori, al contrario, si garantirà una elevatissima qualità tecnico professionale del corpo dirigente, «superando ogni altra ipotesi di appartenenza». Un maggior ruolo dei sindaci, che dunque avranno pieno potere decisionale, è previsto anche nell'assemblea dei sindaci-soci. Giro di vite anche sull'organizzazione complessiva.
E' previsto, infatti,che vengano eliminate le tre società di patrimonio e i relativi consigli di amministrazione.
La proposta di riordino, inoltre, pone come imprescindibile la necessità che i controlli di efficacia e di efficienza siano garantiti con metodi scientifici: vi provvederà direttamente la Regione attraverso un'Autority e un Osservatorio, quest'ultimo aperto a tutti portatori di interesse.
«Con la nostra riforma - ha spiegato l'Assessore Srour - i cittadini potranno verificare direttamente il risultato sui costi della bolletta. Abbattendo gli sprechi e modernizzando, qualifichiamo tutto il sistema. Siamo convinti che potremo avviare sulla questione idrica una cambiamento ragguardevole. Insomma - ha concluso l'Assessore - riducendo i costi della politica miglioriamo la qualità della vita dei cittadini».
«All'assessore Srour esprimo la mia gratitudine e quella dell'intera Maggioranza per aver lavorato in questi mesi, raccogliendo molte suggestioni e combattendo molte semplificazioni, comprese le mie».
E' il commento del presidente della Giunta regionale, Ottaviano Del Turco.
«E' una prova di solidità della sua ricerca della quale desidero dargli atto», ha aggiunto.
«Ed è una prova che la Giunta continua nel suo programma di rinnovamento del metodo di governo della regione».

05/02/2007 15.27

 

 

 


Da altromolise.it (3-2-2007) Leva: 'Sottosegretario, una spesa in più che non serve al Molise' 2007-02-03 00:29:33

 

 “L’istituzione della figura del Sottosegretario della Presidenza della Giunta altro non è che un modo per aumentare in maniera esponenziale i costi della politica”.

 

Il consigliere regionale Leva ha così definito, senza mezzi termini, la proposta di legge avanzata dal centrodestra e approdata in consiglio regionale due giorni fa. Proposta che peraltro è stata per così dire “congelata”, data la sua discutibile finalità. “Cercare di assegnare l’ennesimo incarico, al di fuori della discussione sulla riforma dello Statuto  – ha dichiarato l’esponente diessino - è sicuramente una scelta sconsiderata, in stridente contrasto con un reale e serio riassetto istituzionale e con l’urgente politica di risanamento della nostra regione. Fino ad oggi abbiamo assistito alla proliferazione di presidenze, di commissioni speciali (allo stato attuale sono già quattro e ne verranno costituite ancora due!), per non parlare dei quattro assessori esterni…Incarichi su incarichi, che certo non fanno bene ai nostri conti pubblici e, indirettamente, alle tasche dei cittadini costretti a pagare già trenta milioni di euro di tasse, proprio per sanare il debito maturato in questi anni dal centrodestra con scelte ponderate solo in base ad interessi personali. La maggioranza – ha concluso Leva – farebbe bene a ritirare questa proposta di legge, il cui unico fine è quello di scaricare sulle istituzioni le questioni interne al proprio condominio!”. 

 


 

Da L’Espresso Le pensioni degli onorevoli (Att.ne: 2,2 MegaB)

 


 

Da La Stampa 26-1-2007. I costi della politica torinese  34 milioni 150mila!

Di Tropeano, Mondo, Borghesan, Minucci

 

In lire sarebbero oltre 68 miliardi: è quanto speso nel 2006 per pagare indennità, sedi, consulenze e benefit vari


Regione: il vizio di aumentarsi stipendi e prebende come regalo di Natale
In genere scelgono di aumentarsi indennità e prebende nelle sedute che precedono vacanze di Natale o estive. Una volta andò male: era la vigila del Natale del 2002, in piena crisi Fiat, e i cassaintegrati manifestarono sotto il Consiglio regionale per protestare contro la decisione dei consiglieri di aumentarsi l’indennità. Li chiamò un consigliere regionale poi deceduto, Mario Contu di Prc. Demagogia, si dirà. Quella volta, però, l’aumento saltò anche se solo per poche settimane. Voto bipartisan con un’unica eccezione. La Regione da sola assorbe quasi il 60 per cento dell’intero costo della politica piemontese: 19 milioni e mezzo. Ripartiti su quattro voci. Indennità di carica: 8 milioni e 266.775,61. Rimborso spese: 4 milioni e 149.798,80. Contributo per le spese di funzionamento dei gruppi: 2 milioni e 117.459,49. Spese per il personale dei gruppi: 4 milioni e 894.088,01.
Le indennità di consiglieri e assessori sono collegate a quelle dei parlamentari. Il consigliere regionale ha diritto all’85 per cento dell’indennità mensile lorda della Camera: 12.434,32. Come in tutte le assemblee, però, sono stati studiati meccanismi premiali per le cariche ottenute. Soldi in più vengono così praticamente distribuiti a quasi tutti i consiglieri. I capigruppo hanno diritto all’indennità piena dei deputati. I segretari dell’Ufficio di presidenza e i presidenti delle commissioni legislative, speciali, della Giunta e del regolamento arrivano al 95%. I vicepresidenti al 90%. Poi si sale. Assessori e vicepresidenti del Consiglio regionale hanno diritto al 105 per cento. Il vicepresidente della Giunta al 115% e i numeri 1 della Giunta e del Consiglio il 120%. Cifra fissa a cui si aggiunge il gettone di presenza: 122,07 euro lordi erogati solo per una seduta al giorno e per un massimo di 28 al mese. E poi il rimborso spese: 0,517 centesimi al chilometro per chi abita fuori Torino; un forfait di 3000 euro per chi abita in città. All’inizio della legislatura «La Stampa» denunciò lo scandalo dei consiglieri che dichiaravano di essere domiciliati in località a molti chilometri da Torino mentre continuavano a vivere sotto la Mole. L’ufficio di presidenza, poi, modificò il regolamento senza cancellare l’autocertificazione.
I costi della politica non finiscono qui. Il Consiglio regionale da alcuni anni ha un bilancio autonomo da quello della Giunta, finanzia i gruppi regionali. La legge regionale 50 del 29 agosto del 2000 stabilisce i contributi per le spese di funzionamento dei gruppi. Una quota fissa per ogni consigliere iscritto al gruppo e una percentuale che aumenta in base alla forza del gruppo. Il risultato? I Ds hanno diritto a circa 330 mila euro, Forza Italia sfiora i 270 mila; la Margherita 240 mila; An e Rifondazione DS 150 mila. E poi a scendere: 140 mila per la Lega; centomila per Verdi, Udc, Comunisti Italiani, Sinistra per l’Ulivo e Moderati; e circa 60 mila euro per i gruppi con un solo consigliere (Sdi, Idv, Dc, Consumatori). Senza dimenticare i quasi 4,9 milioni assegnati a tutti i 14 gruppi per il personale.

Provincia: Saitta difende taxi e ticket “Sono le spese della democrazia”

Ci sono le spese legate agli stipendi dei politici: 1 milione 187 mila euro l’anno per la giunta (presidente più assessori); 1 milione 666 mila per il Consiglio (presidente più consiglieri, molti dei quali devolvono una quota ai partiti di riferimento). I dipendenti, circa 2 mila, pesano per 87 milioni. E ancora. Servizio auto: 63 mila euro. Servizio taxi: 30 mila. Tickets restaurant: altri 106.650. Anche i telefonini di servizio - assegnati agli assessori, ai capigruppo, ai presidenti delle commissioni e a 642 dipendenti - fanno la loro parte: 258 mila euro di bolletta fra gennaio e settembre quando l’ente, per tagliare i costi, è passato a Wind.
Sono soltanto alcune delle spese che incidono sul bilancio della Provincia, il consuntivo 2006 ammonta a 652 milioni, incalzata dalla Finanziaria. La corsa al risparmio è iniziata da qualche anno e non si è ancora fermata, anche se i margini sono sempre più stretti. Le 25 sedi dell’ente, 5 a Torino, costano 2 milioni 372 mila euro l’anno (1 milione 700 mila solo quella di via Bertola). In compenso la Provincia ha venduto quelle di sua proprietà, in via Valeggio e in via Bogino, per finanziare l’acquisto del palazzo su corso Inghilterra che accentrerà gli uffici abbattendo i costi. Allo stesso obiettivo risponde il drastico taglio delle missioni istituzionali all’estero e delle consulenze, nonostante per la minoranza siano ancora troppe. Nemmeno i buffet sono scampati alle sforbiciate decise dal presidente e riconfermate dall’assessore Chiama (Bilancio).
Anche così, la macchina dell’amministrazione macina spese. Il che, secondo Saitta, non deve scandalizzare: «Bando agli sprechi, ma la democrazia ha i suoi costi. Non vorrei che si concentrasse il tiro sulle assemblee elettive trascurando di fare le pulci ad altre voci di spesa: penso ai grandi manager di Stato... Insomma: occhio al facile qualunquismo». Dello stesso avviso l’assessore Chiama: «Oltre una certa soglia il risparmio è impossibile, ne va della produttività dell’ente». Il dibattito è aperto.

Circoscrizioni: dieci parlamentini, tre milioni annui Ora Palazzo Civico vuole dimezzarli

I 250 consiglieri delle dieci circoscrizioni costano 3 milioni di euro l’anno. Per indennità e gettoni di presenza. A queste voci vanno aggiunti i rimborsi spese per coloro che risiedendo fuori città si devono spostare con un mezzo di trasporto, fortunatamente sono pochi: sarebbe davvero «fuori luogo» avere consiglieri di quartiere che vivono altrove. Tre milioni: una cifra lorda, e di massima, considerando che la spesa mensile ammonta a 25 mila euro per circoscrizione in periodi di media attività (d’estate le convocazioni diminuiscono).
Come si arriva a 25 mila?
Per legge: il presidente ha un’indennità di 3.558,19 euro pari al 60 per cento dell’assessore comunale (cifra lorda, il netto è del 70 per cento); a ciascuno dei 6 coordinatori vanno 1.186,07 euro (pari a un terzo del presidente di circoscrizione); i restanti 18 consiglieri hanno diritto a 60,42 euro per commissione (fino a un massimo di 10), per Consiglio, riunioni di giunta e dei capigruppo: si calcola che mediamente, ogni mese, il consigliere raggiunga così i 7-800 euro.
La spesa sostenuta per i 25 consiglieri fa 25 mila euro, che per 10 circoscrizioni diventano 250 mila euro il mese, e infine tre milioni l’anno.
Non è tutto. Il costo dell’impegno dei consiglieri lievita considerando che l’amministrazione civica deve rimborsare le aziende presso cui lavorano per le ore che dedicano alla «cosa pubblica» sottraendole al loro impiego. Il Consiglio circoscrizionale finisce per assorbire una giornata di lavoro, una commissione all’incirca 4 ore (spostamenti compresi). In un anno una circoscrizione deve versare alle aziende 10-15 mila euro per i lavoratori-dipendenti eletti in Consiglio.
L’assessore al Decentramento, Marta Levi, sta per promuovere uno studio volto a concentrare le dieci circoscrizioni in 5 o 7. Sarà consultato il coordinatore dei presidenti delle circoscrizioni, Michele Paolino. Il progetto verrebbe realizzato entro il 2009.

Comune: devono tirare la cinghia ma chiedono più gettoni e il cellulare per tutti

Un milione e 960 mila euro per il Consiglio comunale. Un milione e 420 mila euro per la giunta. Ma non basta. Cinque milioni soltanto per le consulenze, 10 mila euro per le auto blu. E poi ancora, 300 mila euro per telefonini, taxi e computer. Il tutto per un totale di 8 milioni e 880 mila euro, pari a oltre 16 miliardi delle vecchie lire, all’anno.
Tanto ci costa la politica di Palazzo civico. Una bella sommetta, cui si arriva mettendo insieme le indennità dei 50 consiglieri comunali, del presidente della Sala Rossa (che guadagna come un assessore e come lui ha diritto a telefonino ed auto blu, ma con l’aggiunta della scorta), quelle del sindaco, degli assessori e dei consiglieri comunali. Un argomento a parecchi zeri che in questi giorni ha surriscaldato gli animi di chi siede in Consiglio comunale. A scatenare la guerra fredda fra Consiglio comunale e giunta, sabato scorso, l’appello lanciato dal vicesindaco Tom Dealessandri al termine del vertice di maggioranza: «Dal momento che dobbiamo tutti tirare la cinghia, mi chiedo se questo momento non sia arrivato anche per chi siede in Consiglio comunale». La dichiarazione, che ha mandato in brodo di giuggiole l’assessore al Bilancio Gianguido Passoni, non è proprio andata giù ai consiglieri. I quali, da Forza Italia a Rifondazione comunista, lunedì scorso, si sono trovati ecumenicamente d’accordo sull’aumentare i numeri di gettoni legati alla presenza in commissione. E così, a pieni voti, i suddetti gettoni sono passati da uno a tre. «Non capisco lo scandalo sollevato da questa delibera - ha dichiarato il vicepresidente del Consiglio comunale Michele Coppola (Forza Italia) -, il fatto di poterne accumulare sino a tre al giorno non cambia il risultato finale: lo stipendio del consigliere non può superare un terzo dell’indennità percepita dal sindaco». Peccato che, secondo l’assessore Passoni, questa decisione comporti l’effetto collaterale di «veder desertificare le commissioni dal 15 del mese...». Altra questione nel mirino, l’obbligo di firma durante le sedute: «Firmano e se ne vanno, e sono in tanti, di tutti i partiti - spiega un tecnico di commissione -, se fossi nel sindaco istituirei l’obbligo della doppia firma: quando arrivi e quando te ne vai...». Altra questione calda, i telefonini: da qualche giorno i consiglieri comunali avrebbero chiesto (attraverso il loro presidente che ha scritto un’accorata lettera all’assessore Borgogno) di averne uno a testa. Per ora è un diritto soltanto del presidente di commissione e dei capigruppo: «Dal momento che con il cellulare ci lavoriamo - dice Coppola -, non capisco dove stia lo scandalo». Giorgis, invece, capogruppo dell’Ulivo getta acqua sul fuoco: «Abbiamo soltanto chiesto di verificare una possibilità. Sarebbe uno strumento di lavoro. In ogni caso, dati alla mano, il nostro gruppo sta risparmiando e di molto».
Anche Dealessandri minimizza: «Non capisco perché si siano tanto scaldati gli animi in Consiglio, io parlavo per il bene del bilancio collettivo... Poi se proprio dobbiamo fare le pulci, vi sembra giusto che il sindaco guadagni meno di un consigliere regionale?».

 


 

Da provincialatina.tv 28-1-2007 La Cisl chiede la mutazione degli assetti aziendali contro la crisi."La Multiservizi diventi Spa"

Aprilia (28/01/2007) - La Cisl chiede a gran voce nuovamente la trasformazione in spa della Multiservizi, azienda messa nuovamente in discussione per problemi economici, costi lievitati "oltre ogni ragionevole stima e non certo per problemi tecnici, organizzativi o operativi". "Quello che ha inciso negativamente su questa azienda è stata la politica della nostra città, che l'ha usata come parte integrante di una campagna elettorale lunga un anno e di cui ancora tutti oggi paghiamo le conseguenze, in primo luogo i lavoratori", dice il Segretario generale aggiunto Ida De Masi. Una trasformazione diventata "inevitabile" e che secondo la Cisl "permette di mantenere invariati diritti e tutele dei lavoratori ed di conseguenza quelli del cittadino utente". "Il passaggio ad una forma societaria di questo tipo permetterebbe, solo con una diversa gestione previdenziale (dall'Inpdap all' Inps) di attuare una sensibile riduzione dei costi attraverso l'attivazione e l'utilizzo di specifici ammortizzatori sociali come prepensionamenti - malattie - legge 104 - maternità - permessi, che porterebbe la quantificazione degli stessi entro limiti ragionevoli", scrive l'organizzazione sindacale in una lettera indirizzata al Prefetto, al Sindaco e ai vertici aziendali. "Un maggiore risparmio si potrebbe avere con una migliore razionalizzazione organizzativa della forza lavoro", prosegue; "Viceversa, non riusciamo a capire chi, ancora oggi, possa irresponsabilmente o semplicemente con estrema leggerezza auspicare un ritorno all' impianto delle cooperative, un sistema già sperimentato e negativamente e di cui non abbiamo alcuna nostalgia". La Cisl giudica poi irragionevoli alcune proposte emerse: "Chi dice di ridurre i costi attraverso l'istituzione del part -time ignora che già oggi più dell'80% dei dipendenti dell'azienda è a part-time e che, cosa ancora più grave non si possono organizzare servizi che per la loro natura devono avere una copertura totale con l'istituzione del part - time, questo significherebbe un ricorso sistematico all'utilizzo dello straordinario il che non comporterebbe assolutamente alcun risparmio, ma l'esatto contrario. Oppure si pensa ad una soluzione ancora peggiore, come quella di sub- appaltare ad alcune ditte locali, con relativo ricarico dei costi, la copertura di questi servizi?".
Stefano Cortelletti

 


 

 

Da bologna2000.com (27.1.2007) Modena: una 'nuova' Provincia con la carta delle autonomie

Modena - Una “nuova” Provincia, che riacquista un ruolo pieno di coordinamento e di indirizzo sulle politiche di area vasta, senza sovrapposizioni rispetto alle competenze della Regione, dei Comuni o delle forme associative di enti locali quali le Unioni dei Comuni.

E’ quanto prevede la nuova Carta delle Autonomie in base al disegno di legge delega approvato dal Consiglio dei Ministri una settimana fa, e destinato ad arrivare in tempi rapidi all’analisi della Conferenza Stato-regioni e, poi, del Parlamento.

Una Provincia "che rafforza il proprio ruolo in alcuni settori, dalle politiche sanitarie ai trasporti, dal lavoro alla gestione del territorio, dall’istruzione alla promozione e turismo, lasciando ai Comuni la gestione dei servizi più vicini ai cittadini" ha sintetizzato il presidente della Provincia di Modena Emilio Sabattini, intervenendo al convegno “Un cantiere per le autonomie», che si è svolto venerdì 26 gennaio al Baluardo della Cittadella a Modena.

Il convegno, organizzato dalle Province di Modena e Reggio Emilia, ha aperto una discussione sul processo di riforma delle autonomie locali avviato dal governo. "Un processo atteso da tempo e necessario per disegnare uno Stato più moderno, efficiente e vicino alle esigenze dei cittadini. Ridurre i costi della politica si può e si deve fare – ha concluso Sabattini – eliminando sprechi e sovrapposizioni e non, come ha proposto qualcuno, eliminando le Province, perché questo indebolirebbe il tessuto della democrazia".

La nuova Provincia, quindi, dovrà avere un ruolo chiaro recuperando spazi di autonomia rispetto ai Comuni - "ad esempio in materia di urbanistica", come ha osservato Mario Rey, docente di Scienza delle finanze a Torino – alle Regioni e agli altri enti associativi, agenzie e apparati "rispetto ai quali – ha spiegato Gian Candido De Martin della Luiss di Roma – si sono creati una confusione istituzionale ed evidenti aumenti di spesa".
"La conferma delle Province – ha aggiunto Francesco Merloni, docente di Diritto amministrativo a Perugia – si deve fondare su una rinnovata capacità contribuire a una vera semplificazione del sistema amministrativo".

"Il sistema delle autonomie locali è a una svolta importante – ha concluso Alessandro Pajno, sottosegretario agli Interni che ha disegnato la Carta delle Autonomie – e la Provincia di Modena, con il monitoraggio delle funzioni fatto in questi mesi, offre un contributo importante per il decreto delegato che deve essere scritto".

(Data e ora pubblicazione: 27-01-2007 ~ 15:30)

 

 


Da La Stampa 25/1/2007 (8:4) - INCHIESTA Non fare nulla può valere 750 mila euro RAPHAEL ZANOTTI

 

Storia dell’ente più inutile d’Italia Tre riunioni dal 2002 a oggi

ROMA
L’ultimo spreco di denaro pubblico si chiama, con semplicità borbonica, «Comitato nazionale italiano per il collegamento tra il governo italiano e le nazioni unite per l’alimentazione e l'agricoltura». Anni: 59. Numero di dipendenti: 0. Il comitato dovrebbe svolgere funzioni di rappresentanza presso la Fao e vagliare tutti i provvedimenti governativi che riguardano l'agricoltura o l'alimentazione. In realtà non se lo fila nessuno dei ministeri e negli ultimi quattro anni si è riunito tre volte. Il contributo ordinario annuale da parte dello Stato è stato negli ultimi tempi di 284 mila euro. La sua attività: nulla. Anche se, visto il nome, c'è chi sospetta un impegno d'inchiostro per l'intestazione della carta.
Questo organismo dalla vita ben remunerata ma pressoché sconosciuta si annida dalle parti del ministero delle Politiche agricole e forestali. I suoi membri vengono nominati direttamente dal ministro, anche se nessuno ormai capisce bene il perché. Da sedici anni la Corte dei Conti ne chiede la chiusura per inutilità manifesta. L'ultima volta è successo il 3 gennaio scorso quando la magistratura contabile ha depositato la sua relazione riguardante l'attività e il bilancio del comitato degli anni che vanno dal 2002 al 2005. L'esito è stato quello degli anni precedenti.

Stakanovisti
Nei quattro anni presi in esame dalla Corte, il comitato nazionale si è riunito tre volte. Nel 2004 i suoi membri non si sono incontrati nemmeno per l'approvazione del bilancio, che infatti è stato consegnato oltre i termini di legge. Fino al 28 febbraio 2002 il comitato aveva tre dipendenti. Poi, questi ultimi avevano tanto da fare che sono stati inglobati nel ministero delle Politiche agricole. Nell'ottobre 2001, nel rispondere a un'interrogazione parlamentare che già chiedeva la soppressione dell'ente, l'allora ministro Gianni Alemanno rispondeva che era «allo studio dell'amministrazione una soluzione legislativa volta a inglobare definitivamente, entro il 31 dicembre 2001, le attuali funzioni del comitato nella struttura del ministero».
Mancavano due mesi. Il comitato è ancora lì e in questi anni, per far fronte alle poche esigenze, è stata utilizzata la collaborazione sporadica di dipendenti dell'ufficio relazioni internazionali del ministero. Non che il comitato sia tirchio nei confronti del personale. Il 1° febbraio 2006, per far fronte alle celebrazioni del sessantesimo anniversario della Fao, sono stati assunti tre collaboratori. Due di loro hanno ricevuto un compenso di 58 mila euro per i nove mesi di attività, il terzo di 21 mila. La Corte dei Conti ha definito eccessivi i costi della struttura rispetto ai modesti risultati ottenuti.
Basta dare una scorsa alle cose fatte. Il segretariato, nel 2002, ha «coordinato e assicurato la sua partecipazione» ad alcune iniziative della Fao. Nel 2003 ha curato l'organizzazione di un convegno internazionale di due giorni e nel 2004 risulta si sia girato i pollici. Non così il segretario generale che, per un intero anno, ha pensato. Ha pensato a cosa fare gli anni dopo visto che l'unica attività registrata è stata la redazione del piano «progetto di attività 2004-2006». Il 2005, in compenso, è stato un anno effervescente. Il comitato ha infatti prodotto uno spot tv, organizzato un'esposizione di macchine per la produzione agricola per le vie di Roma e addestrato dieci guardie forestali sudanesi nell'ambito di un progetto di collaborazione internazionale. Con l'Ucraina è stata raggiunta un'intesa formale in vista dell'avvio del progetto «La via della soia».

Commissioni fantasma
Nel 2002 il ministro Alemanno ha creato tre commissioni di esperti e affidato loro la risoluzione dei problemi dell'alimentazione del pianeta. Il compito, tuttavia, dev'essere ciclopico visto che il pool non consegna alcuna relazione finale. Anzi, il segretario generale dichiara alla Corte che le commissioni, dal giugno 2004, non sono state ulteriormente convocate perché pletoriche e dispendiose. Anche la semplice redazione dei bilanci, per il comitato senza dipendenti, è diventata impossibile. Quelli che vengono consegnati alla Corte sono zeppi di errori e la Corte ha aggiunto una nota di biasimo in cui si chiede maggiore rigore. Che la gestione del denaro pubblico non sia tra le priorità del comitato, lo si intuisce perfettamente dall'oculatezza con cui viene investito il denaro non utilizzato. A differenza degli anni fino al 2001, infatti, dal 2002 in poi i soldi non sono stati impegnati in titoli di Stato che almeno qualche soldo alla fine producevano, bensì sono stati «dimenticati» nel conto corrente allo sportello della banca interna al ministero con un tasso di interesse pari all'1% inferiore a quello di mercato. Come dire: se li avessero consegnati a un qualunque cittadino con un conto corrente qualsiasi, avrebbero fruttato di più.

Giudizio e rassegnazione
Sono sedici anni che la Corte chiede di sopprimere questo comitato. E quest'anno non ha fatto eccezione. Eppure la magistratura contabile sembra ormai rassegnata: «Il tempo trascorso - ha scritto la Corte - fa ritenere improbabile nel prossimo futuro un rinnovato atteggiamento delle amministrazioni interessate. Questa Corte non può quindi che ribadire l'opportunità della sua soppressione». Parole sante, devono aver pensato al governo, che infatti nel marzo scorso ha aumentato il contributo annuale al comitato da 284 mila a 750 mila euro. Il costo dell'inchiostro per l'intestazione della carta, in questi anni, dev'essere schizzato alle stelle
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Da napoli.com (19-1-2007). Incredibile, una enoteca per regalo di Mario Caruso

 

Ci sono giornalisti che collaborano con le Asl ? Ci sono medici che pagati dalle Asl vengono smistati all’assessorato della Sanità? Vi sono altre clientele? Una sola risposta: “Tirate fuori i bilanci”. 
Nelle impenetrabili trincee della cattiva politica è certo una battaglia con i mulini a vento ma è importante  trovare le armi giuste per vincere la guerra. Non può andare sempre tutto di traverso per il cittadino che  viene derubato dalle istituzioni.  Certo non è più un problema che riguarda solo i cittadini di Napoli e Campania perché è su tutti gli italiani che pesa l’inefficienza di chi governa da oltre dieci anni la più bistrattata regione del Sud, considerando la promessa di interventi  del governo amico.
Per il momento da Roma hanno inviato solo i Nas, che ritorneranno, perché due giorni sono pochi per visitare i tunnel delle sporcizie negli ospedali e per contare le carcasse di topi e altri animali.
E si verifica anche che i Nas vengano richiesti dagli stessi manager. Perchè dopo che i ministri Turco e Mussi hanno deciso di dare via libera ai lavori di ristrutturazione all’Umberto I  di Roma sono partite  “richieste di aiuto”. Anche dalla Campania? C’è qualcuno che ha dubbi?
Un periodo terribile per la sanità campana. Annunciato. I semi di cavoli non danno rose. C’è squallore anche in altri settori della vita dei napoletani, ma certo è sull’assistenza sanitaria che pesano i macigni  dell’inefficienza e dell’affarismo. Il leit motiv è  l’arroganza.
L’assessore-professore Montemarano è su tutte le  furie, agli amici giornalisti dice: “Ora basta, manager in riga”. Sono quei direttori generali, scelti con cura dal mazzo della politica, che avrebbero dovuto mettere ordine nelle spese e annullare gli sprechi, invece dopo pochi mesi li hanno triplicati.
I farmacisti continuano a scioperare, hanno bussato alla porta della ministro Turco ma non arrivano segnali confortanti. Gli ospedali sono nel caos. I privati tamponano, ma fino a quando? Gli istituti bancari cominciano a negare mutui o altre operazioni di prelievo di soldi.
I padroni-patroni della Regione stanno per comprare altri immobili nel centro di Napoli da destinare anche ad una Enoteca. E’ strabiliante.  E non ritengono di chiudere le “ambasciate” e mettere alla porta i consulenti delle “partecipate” che sono già stipendiati presso altre strutture dello Stato. Mentre è in atto la svendita dell’ex Albergo Universo in Piazza Carità.
Il fiume degli sprechi che bagna tutta la Campania ha rotto gli argini. Cinque miliardi di euro è il debito della sanità verso case di cura, ambulatori, farmacie, centri di dialisi e di riabilitazione. Il “privato” fa quel poco che serve tanto non ha nulla da temere, basta rispondere ai telefoni per superare le strutture pubbliche dove si cade dalle barelle e si  muore.
Il professore-assessore fa la voce grossa. E’coperto da gran parte della coalizione regnante. Entro il 31 marzo bisogna ripianare però i debiti maturati nel  2005. Certe volte le leggi vengono applicate, nel nostro Paese.
In quale posto di questo mondo il presidente di una società ideata da sconsiderati amministratori, a spese dei cittadini, per far soldi e distribuirli ai creditori è invitato per chiarimenti davanti ad una commissione di inchiesta della stessa Regione? Accade a Napoli. Dove il giornaliero ammazzamento è ormai un optional. E se un ragazzo ammazza un coetaneo la colpa è dei guerrieri giapponesi ospiti della tivvù di Stato. Parola di sindaca.
La situazione sanitaria è drammatica e può esplodere. Se non si concludono le indagini le banche non chiudono le pratiche per la cessione dei mutui, la Soresa non ha i soldi da dispensare, Moody’s non accetta ricatti e non crede ai giuramenti fatti dal governatore in un incontro a Via Santa Lucia.
Una sfilza di “non”. Negatività senza limite, mancanza di credibilità. Signori, canta Napoli. Ma gli  spettatori diminuiscono sempre di più. Fusse ca fusse la vorta bbona?
19/1/2007


 

Da   ifatti.com 18-1-2007. Gettonopoli" napoletana, Capodanno: «Cinque milioni di euro per presidenti, assessori e consiglieri delle inutili Municipalità»


Per le assenze dai posti di lavoro gli oneri, per permessi retribuiti, sono a carico del Comune di Napoli

 

Napoli (AnDiFi) - "Gettonopoli", così è stata denominata l'indagine che vede inquisiti consiglieri comunali e circoscrizionali di Napoli della passata consiliatura. Sul tema interviene Gennaro Capodanno, presidente del Comitato Valori Collinari di Napoli, che da alcuni anni si batte per la buona amministrazione e per il ritorno alla Politica con la p maiuscola. Quella fatta con passione e nell'interesse degli amministrati. Cioè i cittadini. Capodanno insiste anche sull'inutilità delle Municipalità del Comune di Napoli, guidato dalla sindaca Rosa Iervolino Russo, che - a suo avviso - rappresentano un ennesimo spreco di denaro pubblico.
«Sono stato consigliere della circoscrizione Vomero, rivestendo anche la carica di presidente, dal 1980 al 1993, per 13 anni - inizia così Capodanno -. All’epoca ai consiglieri era riconosciuto solo il gettone di presenza di 20mila lire per le sedute di Consiglio che avvenivano per lo più nelle ore serali dalle 18 in poi, al massimo due volte al mese. Nessun riconoscimento per le commissioni consiliari. Assenza dal posto di lavoro solo per le sedute di Consiglio e per il tempo strettamente necessario».
«Allo stato, a parte il nome, da Circoscrizioni a Municipalità, e la diversa organizzazione territoriale e costitutiva - continua il presidente -, nulla è cambiato, nel senso che le Municipalità come le vecchie Circoscrizioni non contano nulla, avendo poteri delegati solo sulla carta, prive di bilanci autonomi, e quindi di risorse sia economiche, che di uomini e mezzi operativi, traggo spunto dalla denuncia di un consigliere della V Municipalità Vomero-Arenella per fare alcuni conti. Nelle dieci Municipalità nelle quali è stato suddiviso il capoluogo partenopeo si contano 10 presidenti, 30 assessori (esterni) e 300 consiglieri, dieci dei quali ricoprono la carica di vicepresidente. Il costo preventivato dal Comune per questo apparato, per sole indennità e gettoni di presenza, è di quasi 5 milioni di euro – per l’esattezza 4.815.000 euro -, dieci miliardi delle vecchie lire. A questo dato bisogna aggiungere il costo determinato dall’applicazione dell’art. 80 del D.L.vo n. 267/2000 che prevede che per le assenze dei consiglieri dal posto di lavoro gli oneri, per permessi retribuiti, sono a carico dell’ente presso il quale i lavoratori dipendenti esercitano le funzioni pubbliche. In pratica considerando che i consigli e/o le commissioni si riuniscono permanentemente almeno cinque giorni su sette, per i consiglieri lavoratori, che godranno per l’intero mese di permessi retribuiti, non andando mai a lavorare, sarà l’amministrazione comunale a rimborsare al datore di lavoro emolumenti e contributi assicurativi. Ad occhio è croce di tratta di altri 5 milioni di euro di spesa, considerando che il 50% dei consiglieri siano o liberi professionisti – che non godono ovviamente di questi ultimi benefici – o disoccupati».
Capodanno continua nella denuncia pubblica e prosegue nelle operazioni di calcolo degli sprechi del denaro dei cittadini.
«Ma, tornando ai costi della municipalità - aggiunge -, i calcoli sono facili a farsi. Dunque, applicando gli artt. 52 e 55 del vigente regolamento per le municipalità, per ogni consesso il presidente riceve l’indennità di poco più di 3mila euro mensili, il vicepresidente, circa 2.300 e i tre assessori esterni poco meno di 2mila euro, mentre i consiglieri percepiscono gettoni di presenza per una media di 20 sedute al mese pari a circa mille euro – 52 euro a seduta. Da precisare che lo stesso regolamento già prevede che i gettoni di presenza, a richiesta del consigliere, possano trasformarsi in indennità di funzione – comma 6 del già citato art. 55. Adesso passiamo ai totali. Mensilmente una singola municipalità costa alla collettività circa 41mila euro – 3mila al presidente, 8mila per vicepresidente ed assessori e 30mila per i consiglieri. Le dieci municipalità costano dunque 410mila euro mensili e quasi 5milioni di euro all’anno, a parte, come detto, i rimborsi ai datori di lavori per i consiglieri dipendenti. I conti alla fine tornano. Uno spreco di risorse senza eguali per non concludere nulla, per parlarsi addosso, senza poteri, senza mezzi e senza risorse economiche».
«I 10 presidenti, i 30 assessori municipali e i 300 consiglieri municipali, preso atto che le municipalità non contano nulla, dovrebbero avere il coraggio di dimettersi e di andarsene a casa – o a lavorare per chi un lavoro lo ha -, ma non lo faranno mai, per motivi che ben si comprendono - la proposta di Capodanno -. Nessun riconoscimento economico per le inutili e pretestuose commissioni, permessi retribuiti ridotti all’osso e solo per il tempo strettamente necessario, riunioni delle commissioni e dei consigli la sera dopo le 18 - al massimo due consigli al mese - stringate e con molti argomenti, senza “sospensioni” dei lavori, con interventi di 3 minuti per ogni partecipante, come si usa da tempo nel parlamento europeo. Basta con gli sprechi, le casse delle amministrazioni locali sono allo stremo e l’ultima finanziaria sta dando il colpo di grazia. Non possiamo permetterci in una città martoriata come Napoli, continuamente in emergenza, di sperperare il pubblico danaro per mantenere un esercito di 340 amministratori che amministrano il “nulla”. Chi vuole occuparsi dei problemi del proprio quartiere, lo faccia con il sano spirito di servizio che dovrebbe caratterizzare l’attività di ogni buon cittadino, che ama il rione dove è nato e dove vive. Io lo faccio, come molti sanno, senza rivestire da tempo alcuna carica pubblica, da tantissimo tempo, senza che nessuno mi riconosca alcun emolumento e prestando quotidianamente la mia opera di pubblico dipendente. Per un solo motivo, perché voglio bene alla mia città ed al quartiere, il Vomero, che mi ha visto nascere e dove vivo ed opero. Tutti gli altri,se vogliono, e soprattutto se amano almeno un poco Napoli, seguano il mio esempio. Solo così potremo avere il vero e duraturo “Rinascimento napoletano”, senza fuochi di paglia e senza mere immagini da cartolina illustrata».

 

 


Da ilmeridiano.info 13-1-2007   “Bazar ministeriali”, interrogazione di Costa

 

Roma Buon sangue non mente. Tale padre, tale figlio. Ricordate l’ex-ministro della sanità, il liberale Raffaele Costa, fustigatore degli sprechi statali (ha scritto anche un libro in proposito)? Oggi vive nella sua Cuneo (è il Presidente della Provincia) ed ha lasciato il “testimone” romano al figlio Enrico. Poteva il giovane Enrico lasciare l’Ufficio di Presidenza della Regione Piemonte e finire nell’anonimato della politica di Montecitorio? Nemmeno per idea. Dopo essersi ambientato nelle sale ovattate del Parlamento, lavorando nell’ombra, ha incominciato ad indagare sui “bazar” improvvisati nei vari ministeri dove si può comprare di tutto ovviamente in orario di ufficio. «Pensate solo se in un Municipio italiano – esordisce Enrico Costa (Forza Italia) – alcune stanze fossero adibite a negozietti o mercatini, dove nel  corso dell’orario di lavoro, i dipendenti comunali potessero fare la spesa. Cosa accadrebbe? Il Sindaco dovrebbe come minimo rassegnare le dimissioni. Nei ministeri, invece, non accade nulla». Nei “bazar ministeriali” avviene la compra-vendita di prodotti di vario genere (scarpe, vestiti, bigiotteria, profumeria e cosmesi, benessere del corpo, sino alla biancheria intima,alle stoviglie e in alcuni casi, anche generi alimentari). Costa, visto l’andazzo, ha preso carta e penna ed ha presentato un’interrogazione scritta al Presidente del Consiglio «per sapere cosa intenda fare di fronte a questa realtà ormai inaccettabile». Dalle informazioni raccolte, che hanno trovato fondamento, è emerso che i ministeri che ospitano spazi commerciali, sono parecchi: Riforma e Innovazione nella Pubblica Amministrazione, Sviluppo Economico, Beni e Attività Culturali, Politiche Agricole, Pubblica Istruzione, Università e Ricerca, Economia e Finanze, Lavoro e Previdenza Sociale, Salute. Insomma un grande ipermercato ministeriale! «Si tratta di veri e propri negozi – prosegue il parlamentare piemontese – riservati ai dipendenti che vi accedono senza neppure segnalare l’allontanamento dall’ufficio, in orario di lavoro». Ogni giorno i commercianti si alternano all’interno dei vari ministeri, secondo un calendario a rotazione. Per esporre e vendere la merce, occorre essere iscritti alla Camera di Commercio o possedere la partita iva, presentare richiesta ai responsabili dei Cral (i centri ricreativi ministeriali) e se la mrce è considerata interessante, attendere il proprio turno nelle liste di attesa. In alcuni casi, i commercianti, sono tenuti ad un pagamento, a titolo di contributo al dopolavoro, di una quota giornaliera che varia dai 16 ai 31 euro per l’occupazione dello “spazio espositivo-commerciale”. La mia interrogazione – conferma Enrico Costa – oltre a sollecitare il Presidente del Consiglio a porre fine a questa inaccettabile abitudine, va oltre. Quali sono gli accordi sindacali che permettono agli impiegati di lasciare il posto di lavoro per fare acquisti? I cittadini già tartassati dalla Finanziaria, non capiscono, non accettano e non tollerano»!

Alberto Fumi

 

 

 

   9-1-2007  Confartigianato UAPI denuncia: Nuovi oneri burocratici per le imprese

ASCOLI PICENO - Il Decreto Visco-Bersani costa alle aziende 740 milioni nel 2007.


In arrivo nuovi oneri burocratici per le imprese. Lo denuncia la Confartigianato UAPI, l'associazione a tutela delle imprese artigiane e PMI delle province di Ascoli Piceno e Fermo, che ha stimato l’impatto economico per il 2007 delle principali disposizioni contenute nel decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, il cosiddetto decreto “Visco-Bersani”, convertito in legge n. 248 del 4 agosto del 2006.

In particolare, Confartigianato UAPI ha analizzato i costi derivanti da: redazione e invio elenco clienti fornitori, invio dei corrispettivi giornalieri, invio telematico del modello F24 per le imprese, costi bancari per la tracciabilità dei pagamenti, costi derivanti dalla traslazione dei maggiori oneri collegati all'aggiornamento dei software di contabilità e paghe dei consulenti. L’importo complessivo stimato da Confartigianato UAPI dei maggiori oneri burocratici a carico degli imprenditori italiani è di 739,9 milioni di euro, equivalente ad una media di 143 euro per impresa. Questa somma aumenta per i soggetti obbligati all’invio telematico dei corrispettivi giornalieri, per cui il maggiore onere annuo diventa di 196,2 euro per impresa. I maggiori costi derivano soprattutto dall’obbligo degli elenchi clienti e fornitori che pesano sui bilanci delle imprese per 257,9 milioni di euro (34,9% del totale dei maggiori costi), seguiti dall’invio del modello F24 con 225 milioni di euro (30,4% del totale) e dall’invio dei corrispettivi giornalieri che, nonostante la minore platea di soggetti a cui si riferiscono, gravano sui bilanci aziendali per 155,7 milioni di euro e sono pari al 21% del totale dei maggiori costi.

Poiché attualmente i costi sopportati dagli imprenditori per pagare le imposte sono pari ad un importo di 6.867 milioni di euro, Confartigianato UAPI ha calcolato che i nuovi adempimenti collegati al decreto “Visco-Bersani” aumentano del 10,8% gli oneri delle imprese per pagare le imposte.

martedì 09 gennaio 2007, ore 19:03


 

Da primadinoi.it 9-1-2007 Che fine ha fatto la questione morale?

 

Inviato da Redazione ABRUZZO. «Il 2006 ci lascia un’immagine di un Abruzzo che fatica ad uscire dal guado dove si è cacciato e dove rischia di impantanarsi. Ha difficoltà a raggiungere l’altra sponda e riprendere con vigore la strada dello sviluppo stabile e duraturo, attento alle mutate esigenze sociali della comunità regionale, agli effetti della globalizzazione sulla nostra economia e alle responsabilità derivanti dal Federalismo che delega compiti e funzioni alla Regione, ma che richiede capacità di gestione e progettualità».
Anche nel 2007 la Cisl di Mario Spina si dimostra piuttosto intransigente con l’operato della politica nostrana e della giunta regionale.
Per Spina esiste inoltre, «una sottovalutazione della questione morale emersa con le vicende, ancora aperte, che hanno interessato la Fira ed il Comune di Montesilvano. Accadimenti che non possono essere ricondotti a meri fatti personali e che rischiano di intersecarsi con i problemi che attraversano l’Abruzzo in questa fase. C’è bisogno di un salto di qualità da parte dei partiti e di chi è chiamato al servizio della collettività nelle istituzioni».
Per quanto riguarda invece aspetti economici «l’approvazione della finanziaria 2007, quale ultimo atto del Consiglio Regionale, se da un lato evita il rischio della gestione provvisoria, dall’altro contiene provvedimenti, in particolare quelli assunti sulla sanità e sul riordino di alcuni settori della struttura regionale, che la Cisl d’Abruzzo non condivide, in quanto la politica delle entrate non è accompagnata da un disegno organico di riordino condiviso e contestuale, scaricando sulla collettività, ed in particolare sui pensionati, i lavoratori ed i cittadini più bisognosi, il peso delle mancate scelte con nuove tasse».

Per la Cisl le difficoltà nell’apparato industriale vanno concentrandosi sulle piccole e piccolissime aziende del settore manifatturiero legate a produzioni tradizionali, mentre le grandi imprese presenti nella regione, Micron – Sevel – Honda , unitamente alle medie imprese specializzate, hanno ripreso la strada dello sviluppo, vincendo la sfida della competizione sui mercati mondiali e vanno sostenute con politiche mirate, a partire dall’alta formazione,da una rinnovata politica industriale che sia in grado di dotare la regione di una legge sulla ricerca e l’innovazione, di sostenere soprattutto le piccole e medie imprese sui mercati internazionali, avviare un serio riordino dei Consorzi e dei Distretti Industriali ed affrontare con il sistema bancario regionale le politiche del credito allo sviluppo.
Ma proprio ieri si è registrata una nuova cassa integrazione per un folto gruppo di dipendenti della Denso.

E di questione morale continua a parlare in maniera molto preoccupata anche l’ex deputato Pio Rapagnà del movimento "Città per Vivere".
«Bisognerebbe intervenire con durezza, invertire il metodo amministrativo, cambiare a fondo la classe dirigente», sostiene, «rinnovare e riformare tutta la politica abruzzese: la cronaca registra invece una quotidiana e irresponsabile litania di annunci e iniziative fumose, senza programmazione e senza conseguenze verificabili, manca una visione strategica del futuro, e siamo in presenza di una “pesante zavorra” e di un netto rifiuto da parte dei soggetti competenti nel sottoporsi ad un rigoroso controllo. I costi sono altissimi, scadenti i risultati. Chi di dovere intervenga, e i Cittadini non stiano solo a guardare, ma scendano in campo».
Secondo Rapagnà alcune forme di criminalità legate a distorte modalità di gestione degli innumerevoli “enti strumentali”, società miste e partecipate, con oscure commistioni tra la politica e gli affari, avrebbe purtroppo «fatto breccia nella nostra Regione».
«Ciò si è verificato anche attraverso la realizzazione delle grandi opere pubbliche», ha spiegato Rapagnà, «spesso incompiute, della grande viabilità, smaltimento dei rifiuti e conseguente disastrosa gestione delle "discariche" Comunali e Consortili, dell'acqua e degli Acquedotti, della cementificazione dei fiumi e delle spiagge, delle scogliere frangiflutto e ricorrenti dannosi progetti di cosiddetto ripascimento, della Sanità Pubblica e privata, dell'Edilizia Residenziale Popolare e Cooperativa, dei Trasporti, del traffico e della mobilità delle merci e delle persone, della Formazione Professionale e dei cosiddetti interventi "a pioggia" a sostegno dell'occupazione e delle Aziende pubbliche e private, puntualmente in crisi, sotto procedimenti fallimentari e vittime di aste concordate e spesso pilotate.
La evidente, scandalosa, generalizzata e assoluta "mancanza di controllo" e di interventi forti di contrasto, di prevenzione e repressione da parte delle tantissime “Autorità competenti”, ha favorito ed incentivato un progressivo degrado del territorio, della qualità della vita e della coesione sociale: sono aumentati pertanto, come procurati da un destino cinico e baro, gli incidenti stradali e gli "omicidi bianchi" sui posti di lavoro, con infortuni ed invalidità permanenti, e si manifestano quotidianamente espressioni esasperate di "clamorose" proteste da parte degli utenti dei principali servizi, provocate da gravi disagi in settori vitali e primari quali la sanità, i trasporti, il traffico, l'acqua, la sicurezza, l'assistenza pubblica ed il mondo del lavoro e della produzione».
La speculazione edilizia e urbanistica degli ultimi anni è sotto gli occhi di tutti ed ora si comincia a scoprire cosa realmente ci fosse dietro.
«Evidente è quindi lo stato di crisi economica e la perdita inarrestabile di posti di lavoro qualificati e tecnologicamente più avanzati», conclude rapagnà, «mentre in questi anni si è verificata una lunghissima e inarrestabile serie di “procedimenti fallimentari” con attività e immobili liquidati a prezzi irrisori ed acquisiti attraverso aste pubbliche, concordati e transazioni: Gruppo ex-Monti di Pescara, Montesilvano e Roseto, IAC, Malvin Gerber, SIT, New Tex, AB-AB, Primavera, Vela, Cover, Italianboy, Met-Eur, SAIG, Adrilon, VECO, Sebino Est, Satndartela, Maglificio Gran Sasso, Coop. La Paganese, Ortacoop; Ceramica del Vomano, Casal Thaulero Coop, Merker, Villeroy e Boch, Spea, Colaprico, IRA, Eurocarbo, ex-SARA, Fater, Facar, Ilca, Alenia, Fatme, Simens, Italtel, Optimes, SADAM, Texas Instrument Italia, Polo elettronico aquilano, Parco tecnologico teramano, Industrie Val Pescara, Industria Tessile di Val Fino e per ultimo il Pastificio Delverde».

09/01/2007 11.20

 


 

Da osservatoriosullalegalità.org   8-1-2007  Etica e politica : il comma Fuda e il commento di Mastella di Alessandro Calducci

 

Certi ministri della Repubblica dovrebbero riflettere un po' prima di rilasciare dichiarazioni: le conseguenze delle loro parole non sono paragonabili alle conseguenze che seguono i discorsi da bar fatti dai comuni cittadini.

Mi voglio riferire alle incredibili frasi del ministro Mastella (1) sulla difesa del comma Fuda sulla prescrizione dei reati contabili. Se il Guardasigilli - che avrebbe il compito di assicurare il buon funzionamento della macchina giudiziaria e di essere in primo luogo esempio di corretto comportamento di fronte ai cittadini - si mette a difendere gli amministratori locali colpevoli di reati contro la pubblica amministrazione, allora forse occorre rinfrescare la memoria.

Nei soli anni '80 i costi diretti delle tangenti sono stati stimati in "15 mila miliardi l'anno con una incidenza sul PIL dell'1% e dell'8,9% sul deficit di bilancio. Somma che corrisponde al doppio degli utili realizzati nel 1992 dalle aziende italiane. A questo costo bisogna aggiungere i costi indiretti: migliaia di opere pubbliche inutili, costruite con materiali scadenti, inutilizzate; distruzione del territorio; inquinamento della pubblica amministrazione.

Nel 1996 i dipendenti pubblici inquisiti erano il 3% del totale e cioè 90 mila circa, dei quali, metà per corruzione" (fonte: democrazialegalita, 28.11.2004). Poiche' non abbiamo motivo di ritenere che nel frattempo i governi succedutisi - dagli anni di tangentopoli ad oggi - abbiano approntato quelle misure necessarie a prevenire, o quantomeno a limitare, lo spreco delle risorse costituito dalla mala amministrazione del denaro pubblico e dalla corruzione, c'e' da credere che la situazione attuale sia paragonabile a quella pre-tangentopoli se non addirittura peggiorata.

Questo significa che mentre il governo (di cui anche Mastella fa parte... o se ne e' scordato?) appronta una serie di misure impopolari e in qualche caso discutibili per far fronte alle esigenze improcrastinabili di risanamento del bilancio, dall'altra si permette che decine o centinaia di amministratori locali sperperino i soldi pubblici provenienti dalla tassazione. Non solo: si pretende anche che, una volta scoperti con le mani nel sacco, sia garantita loro l'impunita'!

Scriveva nel 2002 (decennale di Mani Pulite) Giuseppe D'Avanzo su Repubblica: "Non si può rievocare il decennio senza indicare le responsabilità della Politica sopravvissuta a (o nata da) Mani Pulite. Sarebbe stato primo compito della Politica, dopo gli anni del lavacro, rilegittimare se stessa e le istituzioni pubbliche con un sistema di riforme capaci di prevenire la corruzione.
Sarebbero state sufficienti poche riforme per ritornare all´auspicata 'normalità'. Per le imprese, la tutela della concorrenza, la regolamentazione del lobbing, la disciplina del conflitto d´interessi, un nuovo diritto societario. Per quanto riguarda le istituzioni pubbliche e la politica, la trasparenza e l'efficienza della pubblica amministrazione, le sanzioni al finanziamento illecito dei partiti, la divisione dei poteri tra amministratori eletti e burocrati.
In dieci anni nessuna riforma regolatrice del rapporto tra politica e affari è invece arrivata in porto. L'obiettivo della politica è stato un altro: trovare una linea di demarcazione tra passato e futuro per assolversi e ricominciare senza pesi e responsabilità; stringere un compromesso politico o addirittura "storico" per ricostruire ciò che è andato distrutto nella Prima Repubblica e non per rifondare la Seconda."

A rileggere queste cose scritte 5 anni fa, viene spontaneo chiedersi perche', invece di difendere i disonesti, il ministro in questione, insieme ai suoi colleghi, non inizi a fare almeno una parte delle cose descritte sopra. Perseguire il risanamento dei conti pubblici e' una missione doverosa, non solo per gli impegni presi nei confronti degli altri paesi europei, ma anche per assicurare un avvenire alle future generazioni.

Una missione che richiede pero' un comportamento da parte della classe politica che sia all'altezza del compito che si e' prefissa di portare avanti. Altrimenti si rischia di perdere credibilita' e di gettare nella sfiducia gli stessi cittadini che vengono chiamati a contribuire al risanamento.

(1) "Basta criminalizzare il comma Fuda". Pietro Fuda... "ha ideato questo comma solo per evitare una via crucis a tanti amministratori locali, cosa che ho anche tentato di spiegare a Prodi. Ma oramai si era scatenata la gazzarra su Fuda, visto come il diavolo tentatore e diventato famoso per una cosa che infame non è"... ed e' "il vendicatore di tanti amministratori pubblici costretti da una legge iniqua a non beneficiare di una prescrizione per un reato contabile. I ladri sì e i sindaci no! Cose da pazzi. Tantissimi amministratori pubblici ci chiedono il riequilibrio di questa ingiustizia. Non si può essere rei a vita".

 


 

 

Da epistemes.org 8-1-2007  Aboliamo i sussidi ai quotidiani italiani

 

January 8th, 2007 by editor

di Andrea Gilli

L’Italia è un paese di profonde contraddizioni. La sua carta stampata non fa eccezione. I giornali italiani vengono letti da poche persone. E quelle poche, nel tempo, diminuiscono. Dunque, agli italiani i giornali piacciono poco, e, soprattutto, piacciono sempre meno: prova ne sia il fatto che il numero di copie vendute è in rapida discesa.

Ciò significa, in altri termini, che i privati cittadini sono sempre meno disposti a spendere i loro soldi per comprare un prodotto che, per varie ragioni, non è di loro gradimento. In un Paese normale, con una normale economia di mercato, si assisterebbe ad un processo di ristrutturazione interna del settore. Alcuni giornali chiuderebbero, altri si fonderebbero, altri ancora si trasformerebbero, con il risultato finale che agli italiani verrebbe offerto un prodotto di loro gradimento, e che quindi rinizierebbero a comprare.

Questo, appunto, in un Paese normale. Non nel nostro, dove, invece, nonostante la disaffezione verso la carta stampata, i quotidiani continuano a restare uguali a se stessi anche se la gente non li acquista. Infatti, proprio dove i consumatori (o gli introiti pubblicitari, che sono proporzionati alla diffusione dei giornali) si fermano, arrivano i sussidi statali. I quotidiani italiani sono infatti (tutti) sussidiati dallo Stato (caso probabilmente unico nel mondo civilizzato). In altre parole, i soldi che i giornali non riescono a raccogliere tramite la vendita delle singole edizioni o degli spazi pubblicitari, vengono loro offerti dalla classe politica.

Gli effetti di questo sistema sono, come appare ovvio di primo acchito, nefasti. Di qui, a nostro giudizio, la necessità di abolire i sussidi alla carta stampata italiana, senza alcuna eccezione. Il suo finanziamento pubblico permette infatti il mantenimento in vita di un prodotto che i lettori non apprezzano; la costruzione di un rapporto simbiotico tra stampa e politica; e, infine, lo sviluppo di ripercussioni negative sul dibattito politico culturale italiano e quindi più in generale, sulla politica italiana.

Un servizio che è considerato non all’altezza del suo prezzo.

Che la qualità media dei quotidiani italiani sia bassa, molto bassa, è cosa assai risaputa. Chiunque sfogli le maggiori testate (ma anche le minori) se ne rende facilmente conto. Le analisi proposte sono spesso di scarso livello, poco ingegnose e molto ideologiche. I resoconti sono scarni e soprattutto, unico caso al mondo, il giornalismo italiano sembra essere rivolto più ai giornalisti che al pubblico. Non si riesce altrimenti a spiegare (tanto per fare un esempio) la frequente propensione dei giornalisti a riportare i dibattiti che avvengono sugli altri fogli (qualcuno si immagina il New York Times riportare ripetutamente le diatribe che avvengono sul Washingon Post?).

Eppure, come detto, malgrado il trend decrescente delle vendite, i quotidiani italiani non cambiano: essi rimangono passivi di fronte a questo trend (salvo l’introduzione del formato “a colori” da parte di alcuni di loro; e l’aumento sproporzionato di allegati, libri, enciclopedie, santini). E addirittura qualcuno va fiero dell’attuale sistema (Giuliano Ferrara - ma non è il solo, purtroppo - alcuni mesi fa giustificò i contributi pubblici al suo quotidiano con il fatto che quest’ultimo alimenterebbe il dibattito pubblico italiano. Nessuno ha mai informato Ferrara che il compito dello Stato non e’ quello di alimentare un dibattito pubblico - quello spetta ai privati cittadini - ma più semplicemente quello di fornire beni pubblici?).

Il ruolo della politica

Il giornalismo italiano non è solo rivolto a se stesso, ma è anche fortemente legato al mondo della politica. Come è evidente, se la politica sussidia i quotidiani, questi finiscono per avere tanti piccoli clienti senza voce (i lettori) e un lettore importante che nei loro confronti gode quasi di un potere monopsonico (la politica, appunto).

Le conseguenze sono evidenti: in primo luogo vi è una certa timidezza della carta stampata verso la classe politica. Ma ancora più importante è il rapporto simbiotico che si sviluppa con quest’ultima, tant’è che, mentre negli Stati Uniti si passa per la Columbia School of Journalism per andare al Washington Post, in Italia si passa dalle stanze del Parlamento per finire nelle redazioni dei giornali (anche per via dell’esistenza di testate politiche che di fatto, grazie ai sussidi pubblici, rappresentano primari canali di informazione: anche questo è un caso abbastanza anomalo se si eccettua la Cina).

Non è un caso, d’altronde, che una quota rilevante dei nostri giornalisti abbia un passato da politico, e che una quota altrettanto rilevante dei nostri politici abbia un passato da giornalista.

Tra i molteplici dubbi che possono sorgere da questo sistema, vogliamo rivolgere la nostra attenzione verso quello che a noi pare chiaramente un mercimonio tra politica e quotidiani: da una parte, la politica inonda le casse della carta stampata italiana, dall’altra pretende un’influenza nella loro conduzione. Alcune volte in modo palese (si ricorderà l’ambigua e ancora oscura uscita di scena di Ferruccio De Bortoli da Direttore del Corriere della Sera), ma molto più spesso (e in maniera più subdola) in modo meno palese, infiltrando alcuni dei suoi adepti nel mondo del giornalismo - obiettivo facilitato dall’esistenza dei giornali di partito di cui sopra. Da ciò risulta dunque una classe giornalistica molto spesso ideologizzata e attenta più agli interessi dei propri sponsor che ai fatti - con un conseguente abbassamento generale della qualità della carta stampata.

La politica guadagna così un giornalismo meno aggressivo, e soprattutto degli ottimi insider nel mondo dell’informazione che lavorano più per aiutare i loro sponsor che per acquisire notizie e compiere analisi. Si pensi per esempio al famigerato “buco di bilancio” che il governo di centro-sinistra avrebbe lasciato nel 2001. A sei anni di distanza, un cittadino qualunque che legge i giornali non è ancora in grado di dire chi avesse ragione tra Dini e Tremonti. Il motivo è che la verità non esiste, almeno per il nostro giornalismo: leggendo alcuni giornali aveva ragione Dini, leggendone altri aveva ragione Tremonti. Il singolo lettore è lasciato a se stesso.

A proposito viene solo da chiedersi a cosa serva l’Ordine del giornalisti e soprattutto quali sarebbero le garanzie di professionalità e serietà che esso dovrebbe assicurare.

Senza entrare nel contesto delle drammatiche inefficienze economiche che questo sistema di sussidi produce sul sistema economico italiano (quello stesso sistema economico italiano che i quotidiani italiani vogliono contribuire, con i loro editoriali, a rinnovare), possiamo facilmente affermare che da questa situazione deriva un abbassamento della qualità del dibattito politico italiano. In primo luogo, come detto, si ha un giornalismo chiuso e autoreferenziale e che scrive per se stesso. Questo stesso giornalismo, inoltre, è in buona parte composto di gente impreparata o comunque non rintracciabile tra i “migliori” (vedi quanto si diceva prima sulla Columbia School of Journalism). Infine, si ha una politica che sa di avere un certo controllo sulla carta stampata, una sorta di potere di deterrenza nei suoi confronti, e che quindi si sente molto più legittimata ad agire come ha sempre agito (male) piuttosto che obbligata ad essere responsabile e lungimirante (una stampa seria dovrebbe costringerla, invece, ad agire in questa maniera).

Insomma, i sussidi ai quotidiani hanno delle conseguenze nefaste sull’economia del Paese, sulla qualità del dibattito politico italiano e su quella della politica.

I sussidi, secondo noi, andrebbero dunque eliminati, in modo che sia il mercato a determinare la qualità e i volumi dell’offerta giornalistica. Avremmo in questa maniera un mercato meritocratico del lavoro giornalistico: mercato che attualmente non esiste. Avremmo un significativo risparmio di risorse, e, soprattutto avremmo un dibattito politico degno di un Paese del G8 e non di un Paese appena uscito da una guerra etnica.

Poichè è la politica che decide l’elargizione di questi sussidi, e poichè è essa che trae i principali benefici da questo sistema di prebende, dubitiamo che questa abolizione possa realmente avvenire, almeno in tempi rapidi.

Non per questo motivo, però, il tema non è meritorio di attenzione, soprattutto in ragione dei continui richiami al taglio agli “sprechi” che però, puntualmente, non arrivano.

 


 

Da ilTempo.it (3-1-2007) Il deficit sanitario per i Diesse causa aumenti dei tributi di ALDO CIARAMELLA

 

Mobilità dei cittadini e la proposizione di un progetto alternativo di semplificazione e di efficienza all’interno di un efficiente riordino istituzionale. I rappresentanti dei Democratici di sinistra cavalcano la valanga della protesta dopo l’approvazione della proposta di legge sulle misure di contenimento della spesa pubblica regionale e sugli aumenti dei tributi ficcando dita pungenti nella piaga del provvedimento e denunciando soprattutto, senza risparmiare alcuno, le ragioni che hanno portato all’adozione dell’inasprimento fiscale. Ieri mattina il sen. Massa, i due consiglieri regionali Petraroia e Leva e il segretario della direzione provinciale dei Campobasso Donato Pozzuto hanno sottolineato tutti i passaggi di una «stagione di sprechi e di sperperi del governo Iorio che hanno contribuito alla formulazione e quindi all’approvazione della legge sul rincaro di alcuni beni e consumi e di aliquote». Gli esponenti dei Diesse e soprattutto il sen. Massa ha tenuto a sottolineare che «è falso legare gli aumenti alla Finanziaria nazionale, è corretto e onesto dire, invece, che gli aumenti sono stati necessari per il deficit regionale accumulato in particolare nella sanità». I consiglieri regionali Leva e Petraroia hanno sottolineato come la Regione manchi di un riordino complessivo istituzionale che riporti equlibrio finanzario e quindi un ridimensionamento obbligatorio dell’apparato amministrativo e politico e come gli avvertimenti a Iorio e al suo governo risalgano a prima delle elezioni a quando il governo Berlusconi avvertì il Molise affinchè si rimettesse in carreggiata con i conti soprattutto nel dimagrimento dei conti nella sanità per arrivare tranquillo alla perequazione delle risorse del fondo sanitario nazionale. I rincari dei tributi secondo i Diesse sono stati causati dalle «spese eccessive nella sanità e dal costo della politica diventati insostenibili e sempre in aumento per una serie di costi a consulenti assunzioni e sprechi di ogni genere».

 


 

 

Da Altromolise.it 2-1-2007 Le bugie del centrodestra hanno le gambe corte  di GIUSEPPE ASTORE*

2007-01-02 03:14:23

- Michele Iorio, forte del consenso elettorale, può difendere allo stremo il suo modo di amministrare spregiudicato, clientelare, dissipatore di risorse.

 

Non si può accettare, invece, la maniera subdola, scorretta moralmente e politicamente, furbesca e menzognera di addebitare le sue scelte in materia fiscale allo Stato ed in particolare al governo Prodi. Veniamo fuori da un quinquennio che la storia di questa regione dovrà cancellare per indegnità, dove Michele Iorio e la sua corte non si sono fatti mancare niente: viaggi intorno al mondo, centinaia di consulenti super pagati, macchine blu da 170 mila euro, costi della politica alle stelle, macchina burocratica sovra dimensionata per le nostre esigenze, appalti di servizi inutili e pagati a peso d’oro di cui diremo nei prossimi giorni, spesa sanitaria impazzita per accontentare parenti e amici anche di Iorio, finanziamenti di iniziative inutili in America (200 mila euro per la serata del Niaf ) e in Italia (200 euro per la mostra Convivio del marito di Daniela Santanchè), assunzioni a gogo negli enti sub regionali, finanziamenti di avventurosi progetti come la facoltà di medicina. L’elenco, la cui lunghezza si può immaginare, da l’idea di come si sono dissipati e si vuole continuare a dissipare i soldi dei molisani e quelli della solidarietà nazionale, senza ottenere il fine pubblico: lo sviluppo del Molise. La stangata fiscale parte da lontano. E’ scritta nella relazione programmatica di insediamento di Iorio: “In molte regioni – aveva affermato il Presidente - sono in corso le revisioni del sistema impositivo in vista delle nuove sfide e, soprattutto, delle esigenze finanziarie di servizi primari come la sanità ed i trasporti. Anche noi dovremo fare, da subito, la nostra parte. Non è più pensabile conservare la partecipazione al riequilibrio perequativo nazionale, alimentato dalle Regioni che hanno esaurito la disponibilità impositiva, conservando, all’interno della regione, margini non più giustificati sul piano della contribuzione. E’ prima di tutto dovere civico da italiani, poi dovere politico regionale”. Quindi Iorio sapeva che la cassa nazionale da lui ampiamente saccheggiata era chiusa e quindi si preparava al nobile alibi dell’aumento dell’imposizione fiscale. Il Molise ha dovuto imporre nuove tasse per sanare la spesa corrente fuori controllo di ogni settore, in primis della sanità. Prodi e la Finanziaria non c’entrano nulla, al contrario essa prevede all’art.1 comma 796 lett. B un Fondo transitorio di 1.000 milioni di euro per aiutare le regioni, come la nostra, a rientrare dal forte disavanzo, oltre ad un considerevole aumento del Fondo Sanitario Nazionale. Iorio e la sua giunta aveva sottoscritto, nel 2005, con il Governo amico di Berlusconi il patto di stabilità per la sanità, impegnandosi a contenere la spesa entro determinati parametri. Il nostro Presidente non solo non ha rispettato gli impegni presentando un piano di rientro credibile ai sensi dell’art. 1 comma 180 della Legge 30 dicembre 2004, n. 311 (finanziaria Tremonti-Berlusconi) ma si lamenta che lo Stato ci richiama alle nostre responsabilità. E allora, prima di dissanguare i cittadini e costringere le imprese a chiudere o a delocalizzare Iorio ha il dovere di ridurre le spese e tagliare i mille sprechi, perché una tassazione così non è compatibile con il nostro assetto socio-economico. La benzina più cara d’Italia, l’Irap al massimo, le addizionali su gas, Ici, pensioni, stipendi redditi d’impresa ecc. rappresentano il colpo finale per la nostra Regione, perché saranno uno straordinario incentivo all’emigrazione. *deputato - coordinatore regionale Italia dei Valori

 

 

 

 



 

 

ARCHIVIO 2006 DEL DOSSIER I COSTI DELLA POLITICA

 

 

Da adnkronos.com (30-12-06)

La Regione propone l'istituzione di 2 organismi che si dovranno occupare del prezioso tubero

Calabria, commissioni sul tartufo: scoppia la polemica

 

Pirillo: "Le impone la legge". Bruno (Dl): "Serve Authority". Galan: "Scelte stravaganti da reprimere''. Cota (Lega): "Una follia"

Roma, 30 dic. (Adnkronos/Ign) - Calabresi estimatori di tartufo. E' proprio il caso di dirlo visto che la Regione Calabria tra 60 nuovi organismi proposti con legge, conta anche una "Commissione nominata dal comitato tecnico per l'accertamento della specie di tartufi'' e una ''Commissione per valutare l'idoneità dei raccoglitori di tartufi''. Iniziative politiche bacchettate, peraltro, dalla Corte dei conti che denuncia la mancanza di copertura finanziaria. Un caso 'al tartufo', dunque, che suscita curiosità e polemiche.
E sulla questione delle commissioni sui tartufi interviene l'assessore all'Agricoltura della Calabria Mario Pirillo. ''Stiamo parlando di proposte di legge che, come tali - dice all'ADNKRONOS-, giacciono in Consiglio regionale: proposte che devono essere discusse, approfondite, magari anche modificate, ma che intanto dimostrano che non manca in Calabria una attività legislativa che va ascritta proprio a quei cinquanta consiglieri regionali''.
In ogni caso, sottolinea Pirillo, le commissioni ''dovranno essere istituite. E non perché amiamo la politica tartufesca, ma perché ce lo impone la legge nazionale, la numero 752 del 1985, che affida alle Regioni il compito di disciplinare la raccolta e la commercializzazione dei funghi epigei anche attraverso l'istituzione di una Commissione per l'accertamento delle specie di tartufi e di una Commissione per la valutazione dei raccoglitori".
Secondo il coordinatore della Margherita della Calabria, Franco Bruno serve l'authority di controllo. "La struttura che proponiamo come Ulivo -commenta all'ADNKRONOS- servirà proprio a verificare la congruità di decisioni come queste''. Poi spiega: ''L'Authority di cui si sta discutendo verificherà gli incarichi e gli organi collegiali controllati dalla Regione e ha un senso proprio in questa direzione. Addirittura è previsto nell'articolato che alcune funzioni che la Regione svolge possano essere considerate inutili e quindi soppresse''.
Per il presidente del Veneto Giancarlo Galan ''bisogna fare una scelta e puntare sulle priorità, nel senso della necessità e della qualità. Poi se ci sono delle cose, delle scelte, stravaganti indubbiamente penso che queste andrebbero represse. Francamente se gli altri si divertono col tartufo noi abbiamo altri problemi più importanti da risolvere, non avendo il federalismo fiscale. In Veneto siamo i primi per accoglienza turistica, per integrazione verso i lavoratori straneri e nel campo sanitario. Noi spendiamo per ottenere queste cose ma non avendo il federalismo fiscale, e neppure i tartufi, soffriamo''.
Dal canto suo Roberto Cota, segretario della Lega in Piemonte e vice capogruppo del Carroccio alla Camera dei deputati, ironizza sulle 'originali' decisioni degli amministratori calabresi. ''Il tartufo piemontese è inarrivabile -dice all'ADNKRONOS-, da questo punto di vista non abbiamo nessun timore. E questo particolare evidenzia ancor di più come questa spesa della regione Calabria sia una spesa folle''.
E chi si intende da sempre di tartufi che ne pensa? ''Niente guerra del tartufo, Alba sarà sempre la capitale del Tuber magnatum Pico''. Parola di Mauro Carbone, direttore del Centro Nazionale Studi Tartufo con sede ad Alba e direttore dell'Ente Turismo Langhe e Roero, sorpreso dell'iniziativa calabrese. ''Di certo non siamo preoccupati del tartufo bianco della Calabria -commenta Carbone- non è una regione molto nota per la produzione di questo prodotto. Se, invece, si parla di tartufo nero, allora penso che ci siano ampi spazi per la valorizzazione: molte zone d'Italia dovrebbero fare di più''.

 


 

Da laprovinciadicremona.it (30-12-2006)

Comune. Corada difende la decisione: giusto cancellare il taglio degli emolumenti voluto dal governo Berlusconi


La giunta si regala compensi più alti. Per sindaco e assessori aumento del 10 per cento. di Gilberto Bazoli

La giunta comunale si fa un regalo di fine anno con la decisione, presa nell’ultima seduta del 2006, di aumentare del dieci per cento i propri compensi. Tutto fa pensare che sarà così anche per il gettone di presenza dei consiglieri. L’ultima Finanziaria del governo Berlusconi ha tagliato quest’anno di un decimo, in nome della necessità di ridurre i costi della politica, le indennità degli amministratori locali. La prima Finanziaria del governo Prodi, nella versione licenziata dal Senato, «non indica - afferma il sindaco Corada - come bisogna regolarsi in proposito. C’è un periodo di ‘vacatio’», di vuoto legislativo.

In attesa che la nuova Finanziaria chiarisca — ma non è detto che succeda — come comportarsi e se quel taglio è confermato o annullato, sindaco e assessori avevano due possibilità: continuare a percepire lo stipendio decurtato o tornare alla situazione precedente. Hanno scelto per la seconda opzione. «Abbiamo fatto la cosa più semplice: richiamare l’ultima legge, risalente al 2000, che stabiliva i compensi minimi degli amministratori pubblici (a seconda della grandezza delle città, ndr) e applicarli», continua Corada. In pratica le indennità torneranno ad essere quelle del 2005. In questo modo il sindaco percepirà 3.200 euro netti circa («Senza, si noti bene, la tredicesima») contro i 2.900 dell’ultima busta paga e gli assessori 2.300 euro, grosso modo, a fronte dei 2.100 delle ultime dodici mensilità. La decisione politica di fondo è che, giovedì, la giunta ha detto no all’indennità abbassata. Perché? «Quel taglio del 10 per cento era sicuramente sbagliato — risponde Corada -. Ognuno di noi, se dovesse lavorare nel mondo privato, per esempio facendo il tecnico, guadagnerebbe di più. Non voglio incensare me stesso o i miei collaboratori, ma siamo impegnati almeno dieci ore al giorno. La qualità del nostro lavoro è opinabile, la quanità no». E la lotta ai costi della politica? «Sono favorevole a una loro riduzione drastica, ci sono eccessi, come per gli stipendi dei parlamentari europei ma anche e forse più ancora dei manager di Stato. I costi vanno ridimensionati a quel livello, non certo colpendo le retribuzioni degli amministratori locali». Il sindaco non si nasconde che il tema è scottante e che la decisione della giunta rischia l’impopolarità: «Polemiche? Sarebbe una reazione demagogica ma anche una lettura sbagliata». Se un decreto del governo chiarirà la materia dei compensi chiudendo il vuoto legislativo aperto dalla Finanziaria, sindaco e assessori sono pronti, ovviamente, a un conguaglio, «in un senso o nell’altro», di quanto percepito a partire da gennaio. Corre voce che l’altro giorno in giunta ci sia stato un dibattito acceso tra alcuni suoi componenti e i dirigenti comunali sull’interpretazione delle leggi e la possibilità tecnica di ripristinare le indennità non tagliate, ma Corada smentisce seccamente: «Nessuna discussione». Anche se «l’ultima parola spetta al consiglio comunale, lo stesso principio adottato da noi — anticipa il primo cittadino — potrebbe valere anche per i consiglieri». Il gettone di presenza dovrebbe quindi passare, o tornare a seconda delle interpretazioni, dagli attuali 62 euro lordi a sessantotto.

 

 


Da La Stampa 27-12-2006

Regalo per l'Ulivo e i Consumatori. Pagano i piemontesi: 300 mila euro  Di Maurizio Tropeano

TORINO
Il Consiglio regionale, a larghissima maggioranza (i consiglieri di Prc e uno dei Verdi si sono astenuti o non hanno partecipato al voto e la forzista Mariangela Cotto ha votato contro), ha deciso di fare un regalo di Natale ai gruppi consiliari dei partiti. A spese dei piemontesi. Il via libera all’unificazione di Ds e Margherita e alla nascita del gruppo unico dell’Ulivo costerà circa 170 mila euro l’anno di mancati risparmi. L’autorizzazione alla nascita di un gruppo autonomo a favore del consigliere dei Consumatori, Michele Giovine, costerà 125 mila euro l’anno.

Da qui alla fine della legislatura - 2010 - l’operazione costerà complessivamente 680 mila euro di mancati risparmi e mezzo miliardo di costi aggiuntivi. L’operazione Ulivo è stata presentata dai capigruppo ds, Rocchino Muliere, e della Margherita, Stefano Lepri, come strumento per superare la frammentazione della politica. Ma visto che la politica costa era, ed è, necessario, garantire a chi sceglie di unificarsi di non subire perdite economiche. Da qui la necessità di modificare le attuali leggi di funzionamento del Consiglio regionale per evitare di vedersi tagliare la dote matrimoniale. Le vecchie norme, infatti, assegnano una quota fissa di funzionamento e per il personale e non prevedono «premi» per la fusione. La nascita del nuovo gruppo con le regole in vigore dagli anni Settanta costerebbe ai partiti circa 75 mila euro di spese di funzionamento e più o meno 95 mila euro per il personale. Da qui l’idea, poi diventata emendamento, di introdurre misure per incentivare le fusioni e dunque permettere ai gruppi che scelgono di unirsi di portarsi dietro la dote piena. Sulla carta un’operazione a costo zero visto che non comporta un esborso di nuove risorse. A leggere bene i numeri, però, si tratta di mancati risparmi per i piemontesi.

Il via libera alla nascita del gruppo autonomo dei Consumatori, invece, costa ai piemontesi mezzo miliardo di risorse aggiuntive. Con la modifica dell’articolo 13 del regolamento si consente di fare gruppo a chi ha presentato una lista nella metà più uno delle circoscrizioni piemontesi. E’ il caso della lista di centrodestra che ha eletto con 120 preferenze Michele Giovine. Il consigliere, che rischia il rinvio a giudizio per la vicenda delle firme false raccolte in occasione delle scorse regionali, è riuscito ad ottenere il via libera dell’Unione dopo un lungo ostruzionismo in aula. La copertura finanziaria delle due modifiche è contenuta nel bilancio di previsione del 2007 del Consiglio regionale approvato nell’ultima seduta dell’anno. In quella riunione è stato anche votato l’esercizio provvisorio 2007 della giunta regionale.

L’accordo tra Unione e Cdl ha permesso anche l’approvazione del «piano Casa» presentato dall’assessore Sergio Conti che permetterà la costruzione di 10 mila nuovi alloggi di edilizia popolare nei prossimi anni. Intanto i consiglieri Luca Robotti (Pdci) e Giampiero Leo (Forza Italia) hanno lanciato un appello congiunto al sindaco di Torino per sostenere il «progetto Beleville di riqualificazione urbana e di aggregazione giovanile».

 

 

 

 

 

 

Da Il velino.it (27-12-2006)

(POL) Villone (Ds): Chi non vuol ridurre i costi della politica?

 

Roma, 27 dic (Velino) - “Aspettiamo di scoprire chi non vuole ridurre i costi della democrazia nel governo Prodi”. Il senatore Massimo Villone (Ulivo) critica l’atteggiamento del governo Prodi sull’ordine del giorno, discusso durante la Finanziaria, che chiedeva la riduzione degli sprechi della Pubblica amministrazione.. “Credo che il governo abbia sbagliato a non accettare l’odg di alcuni parlamentari della maggioranza che chiedeva la riduzione dei costi della politica denuncia il parlamentare diessino - . Devo ricordare che la vicenda è nata in Senato dove io e Cesare Salvi e altri avevamo presentato un nutrito pacchetto di emendamenti che riguardavano il tema dei costi impropri della politica nei quali chiedevamo, tra l’altro, un limite alla nascita delle ‘ambasciate’ delle Regioni all’estero; l’abolizione degli enti inutili; la fine delle società miste e un tetto agli emolumenti pubblici. L’obiettivo di queste misure era quello di risparmiare denaro pubblico”.

Come sono andate le cose al Senato? “A Palazzo Madama avevamo una cabina di regia con tutte le forze della maggioranza che ha dato l’ok ad alcuni di questi emendamenti. Ma la notte prima del maxiemendamento al Senato è accaduto qualcosa che ci ha sorpreso”. (segue)


Hanno fatto sparire le vostre proposte? “Sui tetti agli emolumenti pubblici è successo che il limite che avevamo fissato per un gran numero di funzionari pubblici è stato limitato a pochi casi. Mentre per i casi dei manager delle società partecipate, per i quali volevamo mettere un tetto, è stato inserito un limite di 500 mila euro, aumentabile di altri 250 mila euro. E su questa cifra è stato anche riconosciuto un adeguamento Istat annuale. L’unica categoria che beneficia della scala mobile in Italia guadagna 750 mila euro! Ai dirigenti pubblici di prima classe è stato riconosciuto il diritto di viaggiare in prima classe sui voli intercontinentali. Inoltre, al Senato è stata inserita a sorpresa la proposta di sanatoria contabile di fronte alla Corte dei conti per danno all’erario che la maggioranza aveva respinto con l’accordo del Governo. A Palazzo Chigi ‘una mano’ ha inserito degli emendamenti che erano stati bocciati da maggioranza e Governo”.

Da questa situazione però è nato l’odg sui costi della politica. “Abbiamo chiesto al governo di impegnarsi per ripristinare una situazione per un giusto utilizzo delle risorse pubbliche”.

Il governo cosa ha fatto? “Invece di dichiarare il suo impegno, il governo ha respinto l’Odg per voce del sottosegretario all’Economia Nicola Sartor. Alla fine è giunto il voto dell’aula in cui il governo è stato battuto in aula”.

Sartor dipende dal ministro dell’Economia Padoa-Schioppa? “Non so cosa è avvenuto. Potrebbe esserci stato un intervento di alte burocrazie e non dei politici. Aspetto di sapere chi è stato a dire di no al nostro odg”.

(pal)

27 dic 10:26

 


 

Da www.napoli.com (12-12-2006)

 

Sanità, è di scena la vergogna  di Mario Caruso

Intanto è stato approvato il Piano Ospedaliero

 

L’assessore alla Sanità della Regione Campania, nominato per concessione del “Dio d’Irpinia”, è ritornato sulla Terra dopo un lungo viaggio nel Cosmo.
Il “professore” che sa tutto sugli sprechi della sanità, personaggio a conoscenza dei fatti, è abituato per il raggiungimento di uno stupido artifizio che spesso è per lui un boomerang, a rispondere con domande alle domande di chi gliele formula.

Con coerenza a questa sua consuetudine ha aggredito gli intervistatori, asserendo: “Serve chiarezza su ciò che sta accadendo? Lo chiederemo alla Soresa”.
I giornali editi a Napoli sono pieni di questa storia, che rimane purtroppo circoscritta per volere editoriale alla sola Campania, ma che senz’altro meriterebbe un’attenzione da “Striscia” e dalle “Iene”.

La Soresa è una società voluta dalla politica bassoliniana costituita nel dicembre del 2003 con legge regionale a capitale sociale di 500mila euro.
Era stata “inventata” per accollarsi e restituire l’intero ammontare del pesante debito maturato nei confronti dei creditori della sanità, se ne parla “al passato” dato l'evidente fallimento, sul quale non c’è alcuna chiarezza perché mai nessuno, in special modo l’Assessorato, ha esercitato il sacrosanto controllo sull’operato svolto.

Come fare soldi per pagare i creditori? Attraverso mutui con tre istituti bancari e con somme provenienti da “condoni” ricevuti solo in parte dal governo amico (si sa che in Campania la coalizione politica è di centrosinistra) e da aumenti di tasse locali su Irpef, Irap e servizi vari ad appannaggio delle istituzioni.
I fuochi di artificio sono esplosi quando è stato scoperto che per far funzionare la Società Soresa è stata costituita ad hoc, perché nata nel 2005, un’ altra società con compiti di consulenza.

Nella prima società il presidente è di area diessina, nella seconda a capo vi è un dirigente di area margherita.
Nelle composizioni viene rispettata la spartizione tra bassoliniani e demitiani. Una sola nota stonata, ma riconducibile ad una delle due aree, la presenza nel CDA della Soresa di una consigliera di area Emily, l’Associazione creata e presieduta dalla consorte di Bassolino. Una sola donna, per rispettare una ”pari importunità”.

Le tre banche che dovrebbero accendere i mutui sono: Lehman, Credit Suisse e Cavlon. Dalle loro tasche la soluzione per sanare il buco di cinque miliardi di euro.
Ma che cosa è accaduto se a tutt’oggi (12 dicembre 2006) le tre banche mettono a disposizione solo 143 milioni di euro (su oltre 5 miliardi...) per tappare la bocca ai creditori? Vuol dire che forse i banchieri prendono le dovute, per loro, distanze e che quindi non vogliono rimetterci altre somme?

La Regione Campania si muove con lo stesso criterio del Governo Prodi, cioè le entrate sono solo virtuali (certo quelle previste provenienti da evasori) e quindi le banche non rischiano. Anche considerando che altri debiti, sanati con mutui o semplici prestiti, galleggiano da anni nel mare malato delle amministrazioni locali.
Nel gioco della presenza della Soresa nel mercatino regionale è entrata a far parte la società di consulenza, pare di origine tutta irpina, alla quale sono stati già pagati oneri per diciotto milioni di euro.

La Banca che deve fungere da consulenza è la Carrington & Cross, che ha a sua volta come socio al 50 per cento la Harley & Dikkinson, che poi è controllata da un privato per il 20% e per l’80 da Consulfiduciaria Spa.
In proposito che cosa sta perdendo, e forse sottovalutando se ne è conoscenza, Marco Travaglio!
Ma il giornalista di Repubblica perderebbe mai un pò di tempo per raccontare una delle vergognose commedie che si recitano nella casa del centrosinistra in Campania?

Perché i creditori devono andare a Lugano per incassare parte delle somme a loro dovute? C’è anche un’Agenzia che organizza i viaggi? Cioè che fa parte del busines. Oppure perché in Svizzera si pagano meno tasse per cessioni di credito?
Ricordiamo ancora un pò di numeri: il debito maturato con l’assistenza privata fino al 2005 è di 4,7 miliardi, due sono coperti dagli arretrati che la Regione pretende dallo Stato, 2,7 miliardi che dovrebbero essere mesi in circolo dalle banche in cambio di mutui, 170 i miliardi per il rateo annuale di mutuo.

I pignoramenti dei creditori subiti dalle Asl ammontano a 450 milioni di euro e si susseguono a ritmo di circa cento milioni al mese. Si tratta di cliniche e laboratori che non sono caduti nelle reti di “creduloni sindacati” e quindi hanno deciso in proprio per i decreti ingiuntivi nei confronti delle Asl di competenza.
“Necessario diradare le ombre”, dice l’assessore. Anche se non è l’unico ad oscurare la sanità ma, certo, un suo definitivo allontanamento consentirebbe qualche spiraglio di luce.

Intanto nel corso del Consiglio Regionale, dove è stato approvato in un osannante clima spaventosamente provinciale il chiacchierato nuovo Piano Ospedaliero, è stata nominata una commissione di inchiesta che dovrà indagare sulla Soresa e su ciò che è accaduto e sta accadendo intorno a questa società di affari. E’ formata da tutti i capigruppo politici presenti nella coalizione bassoliniana e presieduta dalla signora Sandra Lonardo Mastella, come è noto presidente del Consiglio regionale.

Fuori i balconi degli uffici del governatore il pavese della grande soddisfazione. Tra le dichiarazioni quella di Bassolino: “Ne parlai con Prodi, con Amato e Padoa Schioppa”.

Insomma anche dagli ospedali si leva alto il grido dannunziano: “Contro l’illegalità e cuori al vento verso la speranza”.

12/12/2006

 

 

 


 

Da agi.it 26-12-2006

 

IMPRESE: PER IL 66,7% RICETTA GOVERNO SU SPRECHI NON FUNZIONA

(AGI) - Roma, 26 dic. - Due imprenditori su tre sono convinti che le prime misure adottate dal governo Prodi lasceranno invariati o addirittura faranno aumentare i privilegi di politici e dirigenti pubblici. E' quanto emerge da un sondaggio della Confartigianato sulle riforme piu' attese dalle pmi nella cosiddetta "fase due" del Governo. Per il 66,7% degli intervistati (su un campione di 529 imprese con meno di 20 addetti), i primi provvedimenti dell'esecutivo non ridurranno i costi della politica. Anzi. E il 64,3% pensa che cresceranno o resteranno immutati gli sprechi nella gestione della Pubblica Amministrazione. Per le imprese, inoltre, e' la burocrazia il "nemico" numero uno delle piccole e medie imprese. La liberazione da lacci e laccioli burocratici e' infatti al primo posto nelle loro aspettative, con l'83,4% degli intervistati che la ritengono importante. Per il 72,4% e' altrettanto importante poter avere migliori incentivi per la propria attivita' mentre il 70,9% vorrebbero energia elettrica e gas piu' liberi e quindi meno costosi. Piu' distanziate, ma giudicate importanti da circa due terzi degli imprenditori, la liberalizzazione dei servizi pubblici locali e la riforma delle pensioni. A fronte di queste speranze nella 'fase due', i piccoli imprenditori si dichiarano poco ottimisti circa gli effetti dei provvedimenti adottati dal Governo negli ultimi sei mesi. Il 53,7% degli intervistati ha risposto che non cambiera' o addirittura diminuira' l'efficienza della pubblica mministrazione centrale e il 59% pensa che non vi saranno miglioramenti anche per quanto riguarda il funzionamento di Regioni, Province e Comuni. Le cose non sono andate meglio nemmeno nel corso degli ultimi due anni: l'81,6% degli intervistati ritiene infatti che siano aumentati o rimasti invariati gli sprechi pubblici. Soltanto il 5,2% pensa che siano diminuiti i privilegi di politici e dirigenti pubblici e oscilla attorno al 15% la quota di chi ha percepito miglioramenti nell'efficienza della Pubblica Amministrazione a livello centrale e locale. "I risultati del sondaggio - commenta il Presidente di Confartigianato Giorgio Guerrini - dimostrano che la finanziaria non ha contribuito a rafforzare la fiducia dei piccoli imprenditori. Per agganciare la ripresa c'e' bisogno di segnali positivi, di avviare senza esitazioni la stagione delle riforme strutturali indispensabili per liberare il Paese e le imprese da vincoli ed ostacoli che ne frenano lo sviluppo". (AGI) -
261244 DIC 06

 


 

Da www.Modena2000.it Inserito il 20-12-2006 ~ 18:30 da Redazione  

Cgil, Cisl e Uil criticano scelta aumento Irpef a Carpi
 
Le organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil della zona di Carpi criticano fortemente l'intenzione espressa dal Sindaco e dalla Giunta comunale di aumentare l'addizionale Irpef del Comune di Carpi dallo 0,2 allo 0,5%.

 

La dichiarazione di ieri a mezzo stampa quantomeno ci sorprende. Non più tardi del 12 dicembre in un incontro con le Organizzazioni Sindacali l'intera Giunta della Unione dei Comuni Terre d'Argine (fra cui i sindaci dei quattro Comuni) ha espresso sì preoccupazioni per la finanza locale, ma ha unanimemente dichiarato di rimandare l'approvazione dei quattro bilanci e dello stesso bilancio dell'Unione a fine gennaio.
Questo sia per verificare con maggiore puntualità i risvolti a livello locale della Finanziaria 2007 (che tra l'altro ha mantenuto invariata la possibilità di inserire gli oneri di urbanizzazione, elemento di maggiore preoccupazione a detta dei Sindaci), ma anche per poter dar luogo, così come richiesto da parte sindacale, ad un confronto concertativo sostanziale e non formale sul tema dei bilanci. Confronto previsto peraltro da un protocollo di relazioni siglato dallo stesso Comune di Carpi e che rischia di essere smentito dalle dichiarazioni di ieri. Ribadiamo la richiesta di invarianza delle pressione fiscale, sia a Carpi che nell'intera Unione, per praticare una reale difesa dei redditi da lavoro e da pensione e non vanificare i vantaggi fiscali che derivano dalla Finanziaria alle famiglie e ai pensionati.
Rispetto ai bilanci di previsione 2007 vogliamo entrare nel merito delle scelte e discutere di possibili maggiori entrate (dalla lotta all'evasione fiscale e dalla gestione del catasto, nonché da una valutazione degli effetti della Finanziaria 2007 in un’ottica di mandato, etc.) senza aumentare il prelievo sui cittadini. Vogliamo inoltre proporre una ristrutturazione dei bilanci per considerare le priorità (principalmente il welfare locale), ma anche impostare un importante lavoro di revisione e contenimento della spesa (analisi delle macchine comunali, costi della politica, consulenze, etc.).
Nelle prossime settimane ci confronteremo con i nostri iscritti, con i lavoratori e i pensionati, e non escludiamo il ricorso a iniziative di protesta se le dichiarazioni di ieri si tradurranno in una delibera del Consiglio Comunale.

(Cgil, Cisl e Uil zona di Carpi)                                                                                                                      

 


 

Da www.ilmeridiano.info  20.12.2006 ore 12:30:00.

La Confapi non ci sta: «La politica rilanci il binomio Energia-Sviluppo»

«Il legame Energia-Sviluppo non è un semplice enunciato teorico, ma, in termini reali, la maggiore o minore disponibilità di energia rappresenta la potenzialità produttiva di un territorio, in grado di creare sviluppo». Il commento di Giovanni Longo, presidente del centro studi della Confapi, sembra una bocciatura della posizione della Regione che ha di fatto arenato il progetto della «Foggia Energia» e nel contempo dell’atteggiamento tenuto dal territorio e da una larga parte della sua classe dirigente. «Vogliamo smentire gli allarmismi di queste settimane - afferma Longo - perché questo insediamento rappresenta un concreto esempio di “Sviluppo Sostenibile”, compatibile con l’ambiente e il territorio circostante e, inoltre, foriero di benefici per il comparto agricolo, al quale, oltre all’elettricità a costi ridotti, può fornire anche vapore e acqua calda, in quantità necessarie per alimentare attività terricole e di trasformazione dei prodotti». Un’analisi circostanziata, quella della Confapi, che considera «più strumentali che sostanziali» gli allarmismi arrivati nelle ultime settimane perché «è evidente che una centrale elettrica non può che sorgere su un’Area di Sviluppo Industriale, così come prescrivono le vigenti norme in materia». Sull’impatto ambientale dell’impianto, inoltre, Longo ricorda «i numerosi pareri espressi positivamente da tutti gli Enti preposti al controllo e alla tutela tecnico-ambientale, non dimenticando che esiste una Via (Valutazione d’Impatto Ambientale) favorevole e, soprattutto, la positiva Autorizzazione Integrata Ambientale, che recepisce tutte le direttive dell’Unione Europea emanate in materia». «La Centrale proposta da “Foggia Energia” che, prevede solo alimentazione a gas metano - aggiunge Longo - non è, come qualcuno vorrebbe far credere una “bomba ecologica”, ma una iniziativa industriale non inquinante che nasce nel sito giusto e che offre concrete possibilità di sviluppo al nostro territorio che, afflitto dal drammatico fenomeno della deindustrializzazione, non dovrebbe assolutamente lasciarsi sfuggire». Le questioni energetiche, con particolare riferimento al dibattito sul ricorso alle fonti rinnovabili, meritano «approfondimenti e precise scelte di campo, anche e soprattutto da parte della politica». Longo, nel sostenere la validità del progetto, ribadisce i vantaggi che la centrale porterebbbe al territorio ed ai cittadini: «Oltre all’aspetto occupazionale (circa 380 unità lavorative) e all’investimento finanziario dei privati, si rileva che c’è anche quello di natura ambientale connesso ad un progetto di recupero e riqualificazione territoriale e, in più, quello di tipo economico che, per 9 anni, porterà nelle casse comunali un contributo di circa un milione e 500mila euro all’anno. Una somma che potrebbe attivare investimenti e mutui per diversi milioni di euro, da destinare alla realizzazione di opere pubbliche necessarie per migliorare sia le infrastrutture dell’Asi, che la stessa qualità della vita dei cittadini di Foggia». Quasi un invito alla Regione a rivedere il suo parere negativo.

r.p.n.


 

Da www.primadinoi.it

 

Di Stefano(An): «Tutte le spese del Presidente»

L’AQUILA. Si infuoca ancora di più -se possibile- la polemica sulle spese della Regione dopo la nostra inchiesta sull’Arssa che denunciava strategie, logiche e stipendi del tutto inadeguati al periodo, oggi è intervenuto Fabrizio Di Stefano (An) ancora una volta a denunciare numeri e qualche bugia.

LE SPESE DELL'ARSSA
AUMENTANO IRAP E IRPEF
TUTTE LE SPESE DEL BILANCIO

«Il presidente Del Turco è solito annunciare tagli ai costi della politica, l’ha fatto anche oggi dalle pagine di un importante quotidiano: dia un’occhiata a queste cifre e intervenga, se ai proclami vuol far seguire veramente fatti concreti», ha detto Di Stefano.
In un altro incontro An aveva già parlato di alcune spese quali, ad esempio, quelle per l’organizzazione della Conferenza Generale dell’Agricoltura – costo complessivo € 250.000 – in cui spiccavano cifre per l’acquisto di penne per € 8.920 o spese postali per € 29.000 «che la dicono lunga sulla razionalità nell’utilizzo dei fondi pubblici da parte della Giunta Regionale» ha premesso Di Stefano.
Lo stesso Di Stefano ha proseguito sottolineando che «quello che segue è solo un secondo elenco destinato all’allungarsi ulteriormente nei prossimi mesi».

SEGRETARIATO GENERALE DEL PRESIDENTE

Si tratta della famosa struttura politico-amministativa di cui si è dotato il presidente Del Turco e di cui è responsabile Lamberto Quarta.
Sono fioccate le polemiche nei mesi scorsi per la perseveranza con la quale Del Turco ha tentato a più riprese di sistemare l’amico e compagno di partito (anche dopo la mancata vittoria per la corsa al Parlamento).
Il compenso delle due unità lavorative assegnate alla struttura è “pari al più alto del trattamento economico corrisposto ai Dirigenti di Servizio della Giunta Regionale”, oltre all’indennità annua di risultato.
Il costo complessivo della struttura, per il momento, compreso il “Sottosegretario” Lamberto Quarta, è di circa € 250.000.

ASSESSORATO ALL’AGRICOLTURA

In data 04.09.2006, nell’ambito del programma comunitario Leader+, veniva conferito ad una professionista un incarico di co.co.co. di € 31.500 annui.
La stessa persona risulta essere amministratore unico della società Kalumet srl vincitrice di due bandi emanati dall’Assessorato all’Agricoltura:
a)fornitura del servizio di progettazione ed organizzazione della formazione del personale nella sede di Bruxelles con un ribasso d’asta di € 100. Compenso per la società: € 35.880;
b)assistenza tecnica Docup Pesca 2000/2006 con un ribasso d’asta di € 84. Compenso per la società: € 39.635.

ARSSA

Con la riforma dell’Agenzia Regionale di Sviluppo Agricolo è stato abolito il consiglio di amministrazione, nel contempo – però – è stato nominato il direttore generale (costo circa € 120.000), il direttore tecnico (circa € 100.000) ed è in itinere la nomina del direttore amministrativo (circa € 100.000), per un totale di circa € 320.000.
Avevamo già riferito della sede di Bruxelles dell’Arssa: 43 mq in piazza Schuman alla modica cifra di € 5.020,29 al mese.
È stato prorogato l’incarico di “ambasciatore” dell’Arssa a Bruxelles per Antonio Falconio, la somma stanziata per 6 mesi è di € 45.000.

SANGRITANA

Il presidente della Sangritana SpA, come noto, si è dotata di un assistente dal costo di € 7.500 mensili; lo stesso assistente – quando era direttore di Abruzzo Lavoro – aveva affidato all’attuale presidente della Sangritana e a sua figlia varie consulenze.
Inoltre, la Sangritana ha nominato – individuando figure professionali esterne, cosa mai accaduta finora – un Direttore ed un Vicedirettore generale.
Da segnalare anche i numerosi incarichi di assistenza legale assegnati a professionisti di fiducia.
Costo complessivo annuo solo delle consulenze: circa € 270.000, cui vanno aggiunti i maggiori oneri per Direttore e Vicedirettore.

CO.CO.CO.

Ad oggi la Regione conta circa 200 persone assunte con contratti di collaborazione coordinata e continuativa. Dopo le polemiche dei giorni scorsi per i bandi con scadenza a cinque giorni i cui termini sono stati riaperti in seguito alle polemiche sollevate dai consiglieri di centro-destra, la Direzione Attività Produttive ha risposto pubblicando un avviso per ulteriori 15 co.co.co. con compensi che variano da un minimo di € 22.000 ad un massimo di € 35.000.
Se stimassimo il compenso per ogni co.co.co. in euro 15.000, avremmo un totale di € 3.000.000 circa.

CONFERENZA NAZIONALE SUL TURISMO

La 3° Conferenza Nazionale sul Turismo che si è svolta a Montesilvano nei giorni 30 settembre - 1° ottobre scorsi ha avuto un costo di € 350.000.
Per l’organizzazione della stessa sono stati conferiti due incarichi di consulenza, della durata di due mesi, di € 13.890 ognuno (quindi € 6.945 mensili) per un totale di € 27.780.

20/12/06 15.55.21


Da romagnaoggi.it (19-12-2006)

sei in news/Prima pagina, data 19.12.2006, orario 15:08.

La Regione aumenta Irap e Irpef, bagarre in Assemblea

BOLOGNA - L'Assemblea legislativa dell'Emilia-Romagna ha iniziato questa mattina l'esame del progetto di legge della Giunta regionale intitolato "Disposizioni in materia tributaria". Hanno aperto i lavori antimeridiani le due relazioni, di maggioranza e minoranza, illustrate rispettivamente da Gian Luca Rivi (ds) e Antonio Nervegna (fi).

Il relatore Gian Luca Rivi (ds) ha spiegato che il progetto disciplina in "maniera innovativa" le aliquote dei principali tributi regionali, IRAP e addizionale regionale sull'IRPEF, per reperire un congruo finanziamento, circa 240 milioni di euro, da utilizzarsi nell'ambito della manovra di bilancio della Regione per il 2007 per sostenere il fondo regionale per la non autosufficienza (100 milioni), per garantire la salvaguardia degli equilibri economico-finanziari del sistema sanitario regionale (100 milioni) e per alimentare i programmi regionali di investimento per la promozione dello sviluppo economico e della coesione sociale (40 milioni).


Rivi ha ricordato che la Regione non si era avvalsa finora della potestà di aumentare questi tributi e che dal 1999 è la prima volta che sceglie di aumentare la propria pressione fiscale. Questa manovra tributaria - evidenzia ancora Rivi - è resa possibile dal fatto che l'attuale Governo, nell'ambito della legge finanziaria 2007, ha provveduto a restituire alle Regioni l'autonomia fiscale che il precedente Governo Berlusconi aveva "inopinatamente" cancellato negli ultimi tre anni, ferendo l'autonomia delle Regioni.


Rivi ha poi evidenziato che si è cercato di porre una "specifica attenzione" nell'individuare i soggetti e le categorie economiche a cui richiedere un maggiore sforzo tributario, in particolare per l'IRAP la scelta è caduta sulle imprese del comparto bancario ed assicurativo, dell'energia e delle poste e telecomunicazioni, settori meno esposti alle pressioni competitive.


Dall'IRAP, modificando l'aliquota di un punto dal 4,25% al 5,25%, ci sarà un maggiore introito di circa 60 milioni di euro. Per quanto riguarda l'IRPEF, non sono interessati alla manovra i contribuenti della attuale "no tax area", redditi fino a 7.500 euro e pensionati fino a 7.000 euro. Tali limiti si innalzano in presenza di famigliari a carico di oneri deducibili e detraibili.


La manovra inoltre segue il criterio di gradualità delle aliquote in relazione alle fasce di reddito imponibile: su una popolazione residente in Emilia-Romagna di oltre 4 milioni e 100mila abitanti, per l'anno di imposta 2004 i soggetti passivi dell'addizionale regionale sono stati poco più di 2 milioni e 566mila, il 62% del totale. Il restante 38% non risulta quindi toccato dall'addizionale vigente (0,9%), né da questa variazione.


L'aumento massimo dell'addizionale del 5 per 1000 verrà invece a gravare su poco più del 14% della popolazione, nonché su circa il 23,5% dei contribuenti.
Queste le nuove aliquote dell'addizionale regionale secondo la legge approvata: 1,1 per cento per i contribuenti con reddito imponibile ai fini dell'addizionale stessa non superiore a 15.000 euro; 1,2 per cento per i redditi tra 15.001 ed i 20.000 euro; 1,3 per cento per i redditi tra i 20.001 ed i 25.000 euro; 1,4 per cento per i redditi superiori a 25.000 euro.
Dall'addizionale IRPEF - sottolinea infine Rivi - la Regione si prefigge l'obiettivo di un maggior gettito pari a circa 180 milioni di euro.

Di opposto tenore l'intervento del relatore di minoranza Antonio Nervegna (Forza Italia), che ha immediatamente stigmatizzato il fatto che la Regione Emilia-Romagna sia intervenuta sulle aliquote dei tributi regionali "a differenza di altre Regioni che hanno deciso di non incidere sulla leva fiscale regionale".

 

Di fronte alla riduzione dei trasferimenti attuata dal Governo Prodi, questa Regione non ha quindi provveduto ad "incidere seriamente sulla spesa, attuando una politica di lotta agli sprechi", producendo al contrario questo provvedimento, collegato al bilancio regionale 2007, che è "una finanziaria nella finanziaria nazionale", con maggiorazioni che vanno a sommarsi a quelle nazionali ed agli aumenti che introdurranno Comuni e Province.


"Ma quel che più sconcerta - evidenzia Nervegna - è che la relazione di maggioranza non chiarisce affatto che non c'è gradualità in questo incremento dell'addizionale IRPEF regionale, ma il prelevo è globale per ogni fascia, con un ulteriore aggravio per i contribuenti che si troveranno di fronte ad una sequela di tassazioni, dirette, indirette e nascoste di cui ancora non si riesce a quantificare l'entità (oltre alla tassazione nazionale, l'addizionale IRPEF regionale, quella comunale, poi le tasse di scopo, i ticket sanitari, l'aumento ICI, il bollo auto, l'accisa sul gasolio e così via)".


"Così gli emiliano-romagnoli - sottolinea Nervegna - potranno a ragione mantenere il loro primato di contribuenti più tartassati d'Europa. Dall'inasprimento fiscale, infatti, saranno colpiti tutti i redditi ed in particolare quella grande fascia, composta da lavoratori dipendenti, pensionati, piccoli artigiani che rientrano nei 15.000 euro di reddito lordo, che sarà soggetta a maggiore prelievo per effetto dell'aumento della base imponibile".
E' lecito a questo punto chiedersi - conclude il relatore di minoranza - se la logica dell'equa ridistribuzione delle ricchezze, sostenuta da Prodi e dal suo Governo di sinistra, sia veramente questa.

 

IL DIBATTITO

Un giudizio "fortemente negativo" sulla manovra tributaria è stato espresso da Gioenzo Renzi (an), che ha accusato la Regione di "troppa fretta nell'applicare queste nuove tasse, senza prima intervenire sulla propria organizzazione con tagli e razionalizzazioni". A meno che - evidenzia - non ci siano situazioni debitorie, per esempio nella sanità, di cui non siamo a conoscenza. Il dato è che anche la scelta un po' demagogica di aumentare l'IRAP nei settori che tirano ricadrà poi sulle spalle dei cittadini contribuenti attraverso l'inasprimento dei costi di servizi e tariffe. Renzi ha contestato le modalità dell'aggravio dell'addizionale IRPEF che consistono in una cedolare secca che punisce in modo contraddittorio ed iniquo i redditi appena superiori ai limiti minimi di ciascuna fascia e che va a pesare soprattutto sui redditi inferiori.


Contrarietà sul provvedimento sono state espresse anche da Carlo Monaco (per l'e-r), che ha stigmatizzato il fatto che nella relazione di presentazione non ci sia stato un riconoscimento critico sulla Finanziaria nazionale, "una delle vicende più tristi della storia italiana" che ha sollevato distinguo anche da ambienti vicini alla sinistra. Una Finanziaria - ha aggiunto - che è stata come uno tsunami nella politica italiana, con i sondaggi sul Governo in caduta libera ed i fischi ai suoi rappresentanti, e che alla prova dei fatti disattende le tre parole chiave su cui diceva di basarsi: crescita, risanamento, solidarietà. Monaco ha poi contestato che la manovra tributaria regionale sia in linea con il federalismo fiscale. Regione e Comuni sono stati trattati dal Governo come Ent esecutori marginali, a cui si è data la libertà di imporre tasse aggiuntive e non sostitutive.


"Così proprio non va: questa manovra è pesante per i cittadini e devastante per le imprese". Lo ha detto Ubaldo Salomoni (fi) che ha parlato dell'errore compiutto dal Governo di autorizzare l'aumento della tassazione locale dando vita ad un meccanismo che sfuggirà ad ogni controllo, anche a causa delle tassazioni indirette. Per Salomoni "Rivi gioca anche con i numeri". L'esempio è quello dell'IRAP, dal cui aumento la Regione si aspetta 60 milioni di euro, ma alla voce sviluppo ne alloca solo 40. Sul fronte del welfare, Salomoni ha criticato la Regione che prima bastonava il Governo Berlusconi perché a suo dire limitava i fondi del sociale, mentre oggi, di fronte ai tagli effettivi sul sociale del Governo di centro-sinistra, non solo tace, ma fa ricadere sulle spalle dei contribuenti le trascuratezze e le falle dell'esecutivo nazionale.



Questa legge tributaria non era necessaria, soprattutto a fronte al lascito positivo del Governo Berlusconi, provato dai numeri ufficiali "e non da quelli della propaganda" (per esempio il gettito delle entrate di novembre aumentato a 34 miliardi rispetto al 2005 ed il rapporto deficit/PIL del 2006 che si attesta sul 3,2%) che avrebbero consentito manovre di ben più leggera entità. Lo ha detto Luca Bartolini (an), evidenziando che la Regione, per far quadrare i conti, ha scelto la strada più semplice dell'introduzione di nuove tasse, anziché rimodulare le priorità di spesa o tagliare gli sprechi. Addizionali regionali che si sommeranno agli incrementi nazionali ed a quelli locali ed alle tassazioni indirette. Una manovra "ingiusta" che "smentisce le promesse di Prodi di non aumentare ed anzi di diminuire le tasse", che colpisce tutti i redditi e che "farà piangere chi è stato illuso dalla sinistra".


Per Gianni Varani (FI) questa manovra consente di trarre valutazioni sullo stato di salute della Giunta e sul peso specifico di alcuni assessorati; a differenza dello scorso mandato, un anno e mezzo dopo l'insediamento, secondo Varani si è già esaurita la spinta propulsiva della nuova Giunta Errani. Il pesantissimo deficit della sanità viene affrontato mascherando come razionalizzazioni i numerosi tagli alle prestazioni. È poi paradossale che, dopo aver accusato per cinque anni il governo Berlusconi di presentare le peggiori Finanziarie del dopoguerra senza tuttavia aumentare le tasse regionali, oggi che c'è un governo amico, questa Giunta si trovi costretta a farlo.


Lamentando la disattenzione degli organi di informazione locali su questa manovra della Giunta, Marco Lombardi (FI) ha sottolineato come si stia procedendo verso significativi aumenti della pressione fiscale in Emilia-Romagna: in alcuni casi con una pericolosa discrezionalità (IRAP), mentre l'addizionale IRPEF viene applicata anche su fasce di reddito risparmiate da altre Regioni. È particolarmente grave che i primi, timidi segnali di ripresa dell'economia vengano accompagnati da un incremento delle tasse; è tipico delle sinistre approfittare delle fasi di crescita economica per aumentare la spesa pubblica, e anche l'imprevisto introito di 34 miliardi di euro di maggiori entrate fiscali servirà a costruire un fondo-cassa finalizzato a questo.


Il consigliere Ugo Mazza (DS) ha identificato un primo difetto di comunicazione del governo Prodi: era opportuno inviare una lettera agli italiani per rendere conto della situazione economica e patrimoniale ereditata. Non aver evidenziato questo punto di partenza, può aver indebolito il senso di alcune scelte. Ora, i difficili rapporti di forza parlamentari impongono al governo di indicare priorità realistiche, e le Regioni devono contribuire a definire questa agenda. Va innanzitutto tenuto fermo il concetto di equità fiscale, come fattore cruciale del patto fra cittadini e Stato, con le sue componenti di giustizia e di lotta all'illegalità. Al centrodestra chiede un pronunciamento chiaro sulla lotta all'evasione, fenomeno molto diffuso anche in questo territorio.


Per Alberto Vecchi (an) "si tratta di una manovra politico-ideologica, finalizzata ad aumentare le tasse per pagare l'aumento della spesa pubblica. Noi - ha sottolineato - avevamo sollecitato una proposta alternativa che mirava a tagliare le spese nella pubblica amministrazione per coprire, con un correttivo dello 0,6%, il fabbisogno. La risposta è stata quantificata in un aumento che risulta tre volte superiore alle necessità". Per quanto riguarda la finanziaria nazionale, l'esponente di an ha criticato il Governo su tutte le scelte, in particolare, "l'aver scordato di tutelare i 2500 precari della Croce Rossa che, alla scadenza dell'anno, non potranno più esercitare il loro importante lavoro".


Un giudizio positivo sulla proposta della Giunta, viene, invece, da Paolo Nanni (idv). "Una manovra che dispiacerà, ma, va detto, - ha sottolineato il consigliere - che si tratta di una pressione fiscale minima (erano anni che non si interveniva sul prelievo fiscale) finalizzata a sostenere (e ciò è meritevole) la non autosufficienza, oltre ai programmi di sviluppo economico per la nostra realtà regionale".

 


 

Da www.dilloadalice.it (20-12-2006)

 

Sen. Claudio Grassi: “Potremmo far mancare la maggioranza al Senato. E poi sugli inceneritori..."

 

Alice intervista il Sen. Claudio Grassi (PRC), leader nazionale della seconda componente di Rifondazione, l’Ernesto: “Quelle “misteriose” modifiche di testi all’interno del maxi-emendamento alla finanziaria. Fatti svilenti per la Democrazia".

DilloAdAlice.it n. 134 del 20/12/2006

Il senatore Claudio Grassi (PRC) spiega i misteriosi “blitz” avvenuti in questi giorni negli Uffici di Palazzo e annuncia che Rifondazione -insieme ai Verdi- è pronta a non presentarsi al Senato facendo mancare la maggioranza se non si ritornerà ai testi concordati in Commissione.

Senatore Grassi iniziamo dalla questione Cip6, i finanziamenti in bolletta Enel (voce A3) che dovevano andare alle fonti rinnovabili e invece, dal '92 ad oggi, sono andati prevalentemente a petrolieri ed ex municipalizzate con inceneritori, causando guadagni milionari in Borsa a queste società e un procedimento d'infrazione da parte dell'Unione Europea che non considera tali fonti "rinnovabili". Il tutto con i nostri soldi. Un giro d'affari da 3 miliardi di euro l'anno che invece che finire al solare e l'eolico finiva in rifiuti bruciati, carbone, petrolio, 'drogando' tra l'altro il mercato e andando contro le leggi UE. Cosa è successo in corso di stesura di finanziaria?

I nuovi impianti dal 2007 in avanti non saranno più incentivati. Ma nel testo approvato in commissione Bilancio alla presenza di Ministri e Sottosegretari, i tecnici che hanno scritto il testo hanno misteriosamente cambiato la parola impianti “realizzati” in “autorizzati” entro il 31 dicembre 2006 ampliando la gamma di impianti ai quali andranno ancora i finanziamenti fino alla scadenza dei contratti...Su questo Rifondazione e Verdi hanno chiesto che si ritorni al testo originario concordato in Commissione con un decreto, altrimenti non ci presenteremo più al Senato facendo mancare la maggioranza.

Come andrà a finire?

Sui Cip6 come sulla depenalizzazione dei reati contabili, contestata da noi e da Di Pietro ho visto che c'è l'impegno di tornare al testo originario. Ci dovrà essere un apposito decreto entro fine anno. Il Governo lo dovrà affrontare nella prossima riunione del Consiglio dei Ministri.

Sono successi altri 'scherzetti' del genere durante il maxi-emendamento della finanziaria?

Sì. Ho avuto la sorpresa nella partita sui costi della politica e sugli “stipendi tetto” ai super manager delle aziende municipalizzate e di Stato dei quale si era discusso in commissione affari costituzionali. Avevamo concordato un tetto per gli stipendi di 250.000 euro. E' successo che ci siamo ritrovati scritto: 500.000 prorogabili a 750.000 euro...Su questo punto sia noi che Salvi e Villone della sinistra Ds stiamo dando battaglia.

Come possono succedere cose del genere?

Purtroppo il Parlamento, dovendo operare di gran fretta, delega al Governo la scrittura finale dei testi che vengono redatti da dei tecnici funzionari del Parlamento (ndr: non eletti). Dal momento che sul maxi-emendamento della finanziaria c'era la fiducia il testo presentato diventa immodificabile in quella sede. A quel punto noi senatori sul Cip6 come sul tetto manager non possiamo che votare se no ne va del Governo..E dobbiamo porre successivamente la questione.

In tutto questo non ci rimette la democrazia del Paese?

Da un punto vista politico sono state fatte modifiche che ci hanno molto allarmato su questi due punti. E' totalmente svilente per i Parlamentari e per la democrazia. Tutti dicono che bisognerà rivedere come si costruisce la legge finanziaria. Sono d'accordo.

Ma come possono succedere fatti come questi con tecnici che cambiano testi già decisi da parlamentari?

Queste vicende ci dimostrano quanto i cosiddetti poteri forti contano in Italia. Sono lobby e gruppi organizzati con uomini giusti al posto giusto che al momento buono agiscono. Poi bisogna avere la forza per aggiustare le cose.

Matteo Incerti

 


 

 

 

Da IL Giornale 19-12-2006

 

I prefetti ad Amato: vanno ridotti i costi della politica

 

da Roma

Se la missione era quella di convincere i prefetti che i tagli della finanziaria sono una cosa buona, il ministro dell'Interno Giuliano Amato non è riuscito nel suo intento. Il responsabile del Viminale ha parlato come previsto alla cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico della Scuola superiore dell'amministrazione dell'Interno. I sindacati prefettizi, che lo aspettavano al varco sui tagli alle Prefetture, hanno preso per la prima volta la parola alla cerimonia. E hanno spiegato le ragioni del dissenso a proposito della chiusura di alcune prefetture, decisa - questa una delle accuse - «senza sentire i sindacati». Amato nel suo intervento ha invitato i prefetti a uscire dalla logica della «esclusività delle competenze» indicando nella «cultura del coordinamento» la versa sfida. Il titolare del Viminale poi ha cercato di sdrammatizzare la prevista riduzione degli uffici territoriali di governo nelle zone meno popolate del Paese (con meno di 200mila abitanti): «Esistono - ha detto il ministro - aree ricche del Paese dove ci sono mucche che danno buon latte. Il fatto che si inventino mucche-Stato per mungere stipendi e posti inutili io la trovo una cosa al di là della vergogna. Un prefetto - ha continuato Amato - è offeso nella sua dignità se viene inviato in una cittadina di provincia a esercitare la sua funzione di coordinamento dove ci sono poche decine di migliaia di abitanti. È un po' come una Ferrari che viene fatta correre in un circuito di un chilometro e 150 metri».
L'intervento non ha convinto i rappresentanti dei sindacati. Claudio Palomba, presidente di Sinpref, ha osservato che «il problema è il costo della politica». D'accordo con le tesi dei prefetti il centrodestra. Secondo Jole Santelli di Forza Italia «l'abolizione di alcune prefetture, così come delle questure e dei comandi provinciali dei vigili del fuoco, in base a un mero criterio quantitativo è una scelta scellerata visto che si vanno a cancellare importanti presidi dello Stato in città come Crotone e Vibo Valentia, cioè in aree dove l'incidenza della criminalità è elevatissima».

 

 


Da Il Corriere della sera 18-12-2006

 

Provvedimento riguarderà anche i capoluoghi regioni a statuto speciale

Province addio, al via le città metropolitane

ddl governo: Milano, Roma, Venezia, Bari, Bologna, Napoli, Torino, Genova e Firenze ingloberanno le relative province                                                                                                                                                     

 

 

 Presto alcune province italiane potrebbero sparire. Per far posto alle città metropolitane. Che potrebbero inglobare anche i territori di alcune province nascenti, che quindi non vedrebbero mai la luce. Il pre-consiglio dei ministri di martedì, esaminerà infatti il testo del Codice delle autonomie, che dovrebbe essere approvato nel consiglio dei ministri di venerdì prossimo. Si tratta di un provvedimento di 7 articoli con la delega al governo a emanare, entro un anno dall'approvazione in Parlamento, i decreti legislativi delegati con la riforma degli enti locali. Nascono 9 città metropolitane (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari) nelle Regioni a statuto ordinario, ma il provvedimento prevede che lo stesso status giuridico possa essere conferito dalle Regioni a statuto speciale ai rispettivi Comuni capoluogo. Per un totale, dunque, di 14 città metropolitane nelle quali rimane il Comune capoluogo ma sparisce la Provincia e, in qualche caso, anche le province confinanti verrebbero riassorbite nel nuovo livello di governo.

IL DISEGNO DI LEGGE - Il provvedimento non entra sulle questioni ordinamentali, che saranno oggetto dei decreti delegati: nessun riferimento, quindi, alla riduzione del numero dei Consiglieri o degli assessori. È previsto, invece, per contenere i costi della politica, che le associazioni di piccoli Comuni saranno governate da sindaci e consiglieri dei singoli Comuni senza dar vita a nuovi organismi di governo. Il ddl delega all'esame del governo contiene anche un primo embrione di federalismo. Non attua l'articolo 119 della costituzione, ma prevede norme transitorie verso un riassetto federalista dello Stato. Saranno infatti assicurate risorse autonome e stabili ai Comuni in relazione al trasferimento delle competenze.

18 dicembre 2006

 

 


 

Da Il Tempo 18-12-2006

La Regione taglia gli stipendi

Ai consiglieri trecento euro in meno. Addio alle missioni all’estero
di ALBERTO DI MAJO
LA COMMISSIONE bilancio della Regione taglia gli stipendi dei consiglieri e le missioni all’estero. Ci sono volute dodici ore di discussione ma alla fine, alle 3 del mattino di ieri, è stata approvata la finanziaria regionale. I rappresentanti eletti alla Pisana non avranno più l’indennità di carica, pari a trecento euro al mese. Nel 2007, inoltre, assessori e consiglieri non potranno chiedere rimborsi per i viaggi all’estero. Esclusi da quest’ultimo provvedimento il presidente della Regione, quello del Consiglio e i rappresentanti che dovranno recarsi a Bruxelles. Ma non è tutto. Sono stati dimezzati i fondi per i quaranta osservatori: da quello sui prezzi a quelli sull’agricoltura e sul lavoro. In tutto i tagli alla spesa ammonteranno a 200 milioni di euro. «È una scelta di austerità istituzionale - commenta Daniele Fichera, capogruppo della Lista Marrazzo e membro della Commissione - resa possibile anche dalla collaborazione dell’opposizione. Siamo partiti dalla consapevolezza che un debito di dieci miliardi non è un problema soltanto della maggioranza ma dell’intera istituzione». Le tasse resteranno invariate ma, precisa ancora Fichera, «l’azzeramento del deficit entro il 2009 ci darà la possibilità di abbassare Irap e Irpef nel 2010». Il confronto alla Pisana prenderà il via oggi stesso e prima di Natale dovrebbe essere licenziata la legge. «La manovra - spiegano gli altri membri di centrosinistra della Commissione, Mario Di Carlo, Enrico Fontana e Claudio Mancini - comprende la valorizzazione del patrimonio Gepra anche attraverso intese con Comuni e Province e un congelamento del 25% di tutti i capitoli di spesa non inderogabili». Saranno anche cancellati gli enti inutili e accorpati gli altri. Si cambia pure nella sanità. Si tornerà al sistema di finanziamento per prestazioni delle strutture ospedaliere pubbliche, che prevederà pure un fondo integrativo. Via libera a un piano regionale triennale di investimenti di oltre cento milioni, cofinanziato con fondi europei per l’innovazione tecnologica e la ricerca. In più saranno adottate misure di risparmio energetico. Inoltre, nelle Asl ci saranno dei responsabili dei bilanci: dirigenti già assunti dalle aziende che si occuperanno di controllare i documenti economici per evitare, come negli ultimi anni, che la spesa sia fuori controllo. L’assessore al Bilancio Luigi Nieri precisa: «Con questa manovra finanziaria si procede ad operare un taglio agli sprechi e ai costi della politica, si rafforzano le norme che puntano al potenziamento del welfare e al rilancio dello sviluppo, si affronta in maniera completa la questione della sanità del Lazio». Soddisfatto il presidente Marrazzo: «La maggioranza della Regione si è dimostrata coesa nel ribadire gli obiettivi principali di questa finanziaria: risanamento, equità e sviluppo». L’opposizione tende la mano: «La riduzione degli stipendi è un atto dovuto e un segnale anche al governo - sottolinea il capogruppo di Forza Italia Alfredo Pallone - Nel dibattito in aula, tuttavia, dovremo discutere su come s’intende ridurre la spesa farmaceutica, che si è impennata negli ultimi due anni, e su come si può coprire il debito della sanità. Penso comunque che se la maggioranza metterà da parte questioni di carattere propagandistico riusciremo ad approvare il documento prima di Natale».

 


 

 

Da www.teramonews.com

 

La politica in Abruzzo si deve "ripulire"

La "politica" in Abruzzo è diventata un monopolio di una aristocrazia di politici di professione e funzionari di partito che occupano tutti i posti di potere nei Comuni, nelle Provincie e in Regione.
Questi hanno assunto la "gestione diretta" di beni e servizi primari come l'acqua, la sanità, i rifiuti, i trasporti, l'edilizia privata, pubblica e popolare, attraverso una pletora di Commissioni, Consorzi, Agenzie, "Enti strumentali", "Società miste pubblico-private" e Comitati di gestione: ASL, ATO, ACA, ACQUEDOTTO DEL RUZZO, CIRSU, CORSU, AGENA, ARTA, ARPA, GTM, SANGRITANA, SAGA, APTR, ATR, ATER (ex IACP), ARET, FIRA (Finanziaria Regionale), CIAPI, ADSU, COMUNITA' MONTANE, CONSORZI DI BONIFICA, CONSORZI AGRARI, CONSORZI PER L'INDUSTRIALIZZAZIONE, AGENZIE DI SVILUPPO ecc. ecc. ecc.
Interminabile è l'elenco di incarichi e consulenze, con stipendi, gettoni di presenza, rimborsi, diarie e contributi a pioggia agli "amici degli amici": i costi per i cittadini sono altissimi e non più tollerabili, anche alla luce delle attuali vicende giudiziarie legate al cosiddetto "modello Montesilvano", alla FIRA, al fallimento del Pastificio Delverde, all'aumento delle tariffe autostradali, mentre galoppa indisturbata l'aggressione all'ambiente e continua (con puntuali sanatorie degli abusi e condoni edilizi) lo spreco di risorse a danno delle future generazioni.
In tale situazione di totale assenza di controllo politico e amministrativo, grave sul piano dei costi e della facile corruttibilità, si deve affrontare concretamente la "questione morale", il funzionamento degli Uffici Giudiziari, delle Procure e dei Tribunali, per una più rapida, efficiente ed efficace Amministrazione della Giustizia, della prevenzione e delle repressione dei reati, i quali (come sembra purtroppo emergere dal rapporto dell'EURISPES sulla criminalità) non sono soltanto quelli legati alla "cronaca nera" o alla criminalità comune, ma anche quelli "non censiti e non denunciati" di carattere amministrativo, edilizio, urbanistico e ambientale, quelli conseguenti ad abusi di ufficio e di potere da parte di pubblici funzionari e ad omissioni di atti di ufficio, associazione per delinquere in ambito della politica, del sistema e del "sottobosco" dei partiti e dei loro satelliti.
Bisogna ripulire la politica, mettendo prima di tutto da parte quanti non siano stati all'altezza della situazione, fallendo sul piano strategico e dell'efficienza, senza mai assumersi la responsabilità del proprio cattivo operato.

Pio Rapagnà

 

 


 

 

Da www.romagnaoggi.it (15-12-2006)

 

sei in news/Ravenna, data 15.12.2006, orario 16:33.

RAVENNA - Fronzoni (Lpr) punta il dito su consulenze, cda e collegi sindacati delle società pubbliche

 

RAVENNA – “Ridurre i costi della politica: da tanto se ne parla, ma poi le tentazioni politiche prevalgono sul risanamento etico e degli eccessi di spesa e nonostante le costanti denunce di Corte dei Conti e Ragioneria Generale dello Stato”. Lo afferma Federico Fronzoni, consigliere comunale della Lista per Ravenna.

 

“Propongo allora un Codice Etico/Politico di autoregolamentazione – prosegue Fronzoni -, un segnale concreto e possibilmente condiviso nell’opera di risanamento dei costi della politica applicata.  Lo scenario in oggetto vede il numero complessivo degli Amministratori di CdA e dei membri del Collegio Sindacale in 86 (65 Amministratori + 21 Sindaci), delle società a maggioranza pubblica dove Ravenna partecipa attivamente”.

 

“Il costo totale, comprensivo dei consiglieri delle controllate di Hera (circa 60 società e per i quali per pudore e sforzo immane non abbiamo il numero), ammonta a circa 5,6 milioni di Euro per i CdA ed i Collegi Sindacali – spiega ancora il consigliere -. Solo in Hera le Consulenze siano passate da 13.059.000 Euro nel 2004 a 32.953.000 Euro nel 2005, i vecchi 60 miliardi di lire”.

 

“Romagna Acque ha liquidità per circa 90,5 milioni di Euro (circa i 2/3 del Bilancio del Comune di Ravenna), investita in Titoli di Stato e altri titoli, per 77,8 milioni – prosegue l’analisi del consigliere di Lpr -, e Depositi Bancari per 11,7 milioni. Tale liquidità frutta alla società 3,5 milioni di proventi finanziari, per poi andare a pagare 2,6 milioni di tasse, principalmente allo stesso Stato al quale presta il denaro. In più la società riceve ogni anno circa 4,6 milioni di Contributi Governativi Statali. Ha poi ottenuto il 2 Gennaio 2006 un finanziamento ventennale  di 20 milioni di Euro dalla Banca OPI Spa di Roma. E Sapir non è da meno, con circa 10 milioni di Euro di liquidità investita, che producono proventi finanziari a beneficio del bilancio”.

 

 

 

 


 

Da L’Espresso http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Pesca%20miracolosa/1438350

Pesca miracolosa - a cura di Paolo Forcellini

La Regione Siciliana moltiplica i consorzi per il ripopolamento ittico.

Sono scatole vuote senza uffici propri.

In compenso proliferano i commissari straordinari e le relative indennità

 

Un mare di risorse

Ognuno dei 12 presidenti intasca 1.650 euro in più al mese, oltre allo stipendio di consigliere regionale (circa 7 mila euro). Ogni vicepresidente ne riceve 770, ogni segretario 440. Poi ci sono le spese di rappresentanza (in media 400 euro mensili) e quelle per il personale distaccato (9.550 euro al mese per un massimo di sei dipendenti a organismo): totale, 180 mila euro. Sono i conti delle 12 Commissioni speciali della Regione Campania, mai abrogate benché tutti i partiti si dicano scandalizzati per lo sperpero e un presidente Sdi e un vicepresidente della Margherita si siano dimessi per sollecitarne la riorganizzazione. I dibattiti sulla Risorsa Mare, sul Mediterraneo, sulla Condizione giovanile, costano 2,2 milioni all'anno. I componenti delle 12 Commissioni speciali (in pratica tutti i consiglieri regionali) si sono riuniti in totale 315,8 ore.

M. F.

 

Per riuscire nel miracolo di moltiplicare i pesci, la Regione siciliana sta intanto moltiplicando i consorzi per il ripopolamento ittico. Fino all'anno scorso ne esistevano solamente tre: i primi due nati nel lontano 1976, il terzo nel 1997. Finché, nel 2005, al governo presieduto da Totò Cuffaro (Udc), non è venuto improvvisamente un colpo di genio: consentire l'adesione ai consorzi non solo ai comuni costieri ma anche a quelli dell'entroterra. Risultato: in pochi mesi ne sono stati costituiti altri sette. I nuovi consorzi sono scatole vuote, senza neppure uffici propri. Al momento hanno a disposizione giusto una scrivania e un telefono e vengono ospitati alla meglio presso l'assessorato regionale alla Pesca. In compenso sono stati nominati, con tanto di indennità, i relativi commissari straordinari. Anzi, sono stati nominati due volte: una prima volta a marzo, una seconda a settembre, quando in gran parte sono stati sostituiti. Tra le eccezioni, tra coloro che hanno resistito sulla poltrona, spicca quella di Silvio Marcello Cuffaro, guarda caso fratello del governatore Totò, riconfermato alla guida del consorzio di ripopolamento ittico Agrigento 1. I pesci, come l'intendenza, seguiranno.

A. Mo.

 


 

Quotidiani locali su L'espresso

Da Il Centro http://www.ilcentro.quotidianiespresso.it/giornalilocali/index.jsp?s=ilcentro&l=primapagina

Ainis: la politica costa troppo ma l’illegalità è nella società

Giuliana di Tanna

PESCARA. Per tagliare il nodo perverso che lega la politica agli affari è necessario ridurre i costi della prima. Ma per farlo è indispensabile ridurre il numero dei partiti con una riforma della legge elettorale. E’ la ricetta di Michele Ainis.
Messinese, 51 anni, titolare della cattedra di istituzioni di diritto pubblico all’università di Teramo, Ainis è anche un apprezzato editorialista della Stampa. Il più recente dei suoi libri è «Vita e morte di una costituzione. Una storia italiana» (Laterza), ma quello che, forse, meglio sintetizza la sua posizione rispetto all’arbitrio nell’esercizio dei poteri pubblici è «Se 50000 leggi vi sembran poche», edito da Mondadori nel 1999. Ainis ha accettato di parlare con Il Centro del problema della commistione dell’interessse privato nella gestione della cosa pubblica.
Professor Ainis, alla luce anche delle inchieste sulla Fira e sull’amministrazione comunale di Montesilvano, qual è lo stato dell’arte in Italia del rapporto fra politica e affari?
«L’etica pubblica è il fantasma della nostra vita collettiva. L’atteggiamento generale è quello dell’indignazione rispetto agli affari altrui senza, però, posare gli occhi sul proprio giardino. Invece, il rapporto fra politica e affari è cosa che ci riguarda tutti e ci costringe tutti a guardarci allo specchio. Poi, certo, ci sono problemi strutturali. Ma il rapporto tra politica e affari dipende principalmente dai costi della politica. E la politica, oggi in Italia, tende a costare sempre di più, e ha bisogno di instaurare rapporti spesso opachi con chi scuce i quattrini».
E’ quantificabile questo rapporto, in qualche maniera?
«Ho qui dei dati interessanti, molti dei quali si trovano nel prezioso libro di Salvi e Villone, “Il costo della democrazia”, che è stato pubblicato l’anno scorso. Ebbene, questi dati ci dicono che la politica in senso lato - quindi, non solo il costo degli eletti ma anche quello dei loro consulenti e familii - sfiora i 4 miliardi di euro, che è una tombola. E, sempre secondo questi dati, la politica dà lavoro, oggi in Italia, a più di 400 mila persone. Questo, dunque, è il costo della politica italiana».
Qual è la causa principale di questa ipertrofia della politica?
«A quei dati aggiungerei una mia personale analisi. Il costo della politica lievita perché abbiamo un numero eccessivo di partiti. Faccio un esempio: se invito a cena tre amici, questi, anche se sono di appetito robusto, non mi ripuliranno la dispensa, così come succederebbe se di amici ne invitassi 21, tanti quanti sono i partiti presenti oggi in Parlamento. Sicché, per ridimensionare quei costi sono necessarie la semplificazione del sistema politico e la riduzione del numero dei partiti: il Partito della libertà, o come si chiama, da un lato; e il Partito democratico dall’altro. Più un altro paio di formazioni minori. Ciò che voglio dire è questo: la riduzione del numero dei partiti è una condizione necessaria, ancorché non sufficiente, per tagliare il costo della politica e, quindi, il nesso fra affari e politica».
Ci sono in Italia le condizioni storiche e culturali per pensare che questa riduzione si possa attuare?
«Ci sono fattori culturali e storici che - è vero - lo rendono difficile. Veniamo, comunque, sempre dall’Italia dei Comuni, dei Municipi. Ma questa situazione è incentivata da una legge elettorale che favorisce la proliferazione dei partiti. Tra i paradossi italiani c’è anche quello che siamo un Paese che ha ben due partiti comunisti. Allora, siccome questi due partiti devono pur trovare dei voti sono costretti a fare delle polemiche furibonde fra di loro per marcare le loro identità politiche. Quel che ci servirebbe, quindi, sarebbe una legge elettorale con una soglia di sbarramento effettiva e con un premio di maggioranza da attribuire non alla coalizione ma al partito più votato. Prendiamo l’esempio della legge finanziaria attualmente in discussione alle Camere. E’ una finanziaria fatta da una coalizione di nove partiti che vanno accontentati tutti e nove. E così lievita la spesa. Si parla ogni tanto di tagliare gli enti inutili. Ma questi enti sono utilissimi ai partiti che ci piazzano le loro persone. Insomma, da questo problema non se ne esce senza ridurre il numero dei partiti. E il primo passo da fare è cambiare la legge elettorale».
C’è chi davanti all’insorgenza di nuovi scandali invoca la necessità di nuove norme, di altre regole: è un rimedio utile?
«Il fatto che abbiamo circa 50 mila leggi in vigore, di molte delle quali non sospettiamo neppure l’esistenza, dovrebbe consigliare prudenza su questa materia. Questo eccesso di regole, in realtà, rende sregolata l’azione pubblica. Chi ha il potere di decidere troverà sempre un pezzo di norma a cui appoggiarsi rispetto a una cosa che ha fatto oppure non ha fatto. E’ fisiologico che un giudice debba interpretare una legge e che per farlo abbia una sua discrezionalità che non si può sopprimere. Ma il paradosso italiano è che la discrezionalità dei giudici non si esprime solo nell’interpretazione della norma ma anche nel decidere quale norma applicare. L’eccesso di norme, infatti, porta a un eccesso di discrezionalità del giudice e di chi detiene un potere. Manzoni diceva: le grida son tante e il dottore non è un oca. Fra tutte queste norme che abbiamo - per lo più inutili - ne manca una importantissima che c’è invece negli Stati Uniti e che potrebbe rendere più trasparente il rapporto tra politica e affari».
Quale?
«E’ la legge sulle lobby. In Italia non abbiamo alcuna disciplina delle lobby. In America i lobbisti sono presenti a Washington e hanno anche dei distintivi, per cui si capisce quali sono gli interessi che rappresentano. Qui da noi tutto avviene nei corridoi, in maniera clandestina».
E a chi invoca l’esigenza di una rinascita morale della classe politica cosa risponde? E’ un rimedio utile, praticabile?
«Rispondo che la tensione etica, così come la tensione erotica, non può durare a lungo (ride). Anche i Girotondi sono passati dopo l’onda montante, e ora siamo in una fase di riflusso. Ma è normale che sia così. E’ un errore accreditare l’immagine di una società virtuosa contrapposta a un Palazzo vizioso. I fenomeni di illegalità, infatti, attraversano la società italiana. Se è vero che il “sommerso” copre un terzo del nostro Pil; se è vero che le case abusive sono diffusissime (nel Lazio ne sono state calcolate un paio per ogni chilometro sulla costa); se è vero, come risulta da una denuncia di Legambiente, che nei parchi abruzzesi la caccia di frodo ha avuto un’impennata negli ultimi anni; se è vero che l’ultimo rapporto di Transparency International ci mette nella penultima posizione in Europa nella classifica a rovescio della corruzione pubblica e privata e al 45º posto nel mondo: si capisce, quindi, che il problema della corruzione non riguarda solo la politica ma la società italiana nel suo complesso».

(14 dicembre 2006)

 

 

 

 


 

Dal Corriere della Sera 12 dic 19:20  Finanziaria: Rame, "Grave se tolto emendamento su costi politica"

ROMA - ''Sarebbe grave se gli emendamenti riguardanti la riduzione dei costi della politica non fossero inseriti nel maxi emendamento''. Lo ha dichiarato la senatrice Franca Rame dell'Italia dei Valori commentando la Finanziaria. ''Abbiamo raccolto voci - spiega la senatrice moglie del premio nobel Dario Fo - che il Governo sarebbe intenzionato a non includere nel maxi emendamento le proposte presentati dall'Italia dei Valori. Una battaglia intrapresa con determinazione e che non intendiamo mollare poiche', siamo certi, la moralizzazione di tutta la politica italiana passa, innanzitutto, da una sostanziale riduzione e razionalizzazione delle spese della politica''. (Agr)

 

 


Da Vivi Enna – 11-12-2006 - La Favola di Enna

 

Enna 11/12/06 – Riceviamo la seguente lettera, di cui la redazione conosce il mittente, e avendola trovata “simpatica” si è deciso di pubblicarne il contenuto:

“C’era una volta, molti anni fa, un paese incantato, nascosto tra le nuvole, dove la gente viveva felice, un paese pulito, pieno di fiori, dove tutti lavoravano. Il Castellano organizzava delle splendide feste per i suoi sudditi all’interno del castello e la gente arrivava da ogni dove, ammirata da tanta bellezza, partecipando con gioia a tutti gli eventi; gli abitanti erano felici che chiunque arrivasse restava incantato dalle bellezze del loro paese e, si fermava per giorni, durante il periodo estivo, per respirare quell’aria fresca che nella calura circostante rappresentava un’oasi di pace e di serenità.

Ai piedi di questo paese vi era un lago splendido dove si poteva bagnarsi, andare in giro sulle barche e, in autunno, anche cacciare; intorno vi era un anello dove splendide auto potevano correre ed i loro piloti, uomini pieni di fascino, facevano sognare le giovani donne durante lunghe serate in cui si danzava.

Ma tanta bellezza, non poteva essere accettata dagli uomini malvagi che vivevano nascosti nelle grotte intorno al paese; questi, un giorno, si riunirono e decisero distruggere il paese, così cominciarono con l’abbattere i palazzi più belli, costruendo al loro posto fabbricati senza senso dalle forme e dai colori più orribili, le ricche miniere che permettevano agli abitanti di lavorare furono chiuse e (forse) riempite di materiale radioattivo che ha portato morte tra gli uomini.
Non fecero più correre sulla pista del lago quei corridori che tanto avevano fatto sognare tutte le donne. Lo stesso lago decise di ritirarsi perché gli uomini malvagi cominciarono a bere le sue acque e, non ci furono più barche a solcarlo, niente più bagnanti sulle sue spiagge. Intorno fu eretto un grande casermone di cemento per limitarne la splendida vista.
Niente più fiori nel belvedere e lungo le vie del paese, i giardinieri sparirono dalle ville, i turisti indignati dal traffico e dalla sporcizia non si fermarono più ad ammirare i monumenti del paese, così gli uomini malvagi erano sempre più soddisfatti.

Il povero Castellano non riusciva a darsi pace, anche le sue splendide feste furono bloccate ed al posto del palcoscenico dove i migliori artisti si erano esibiti, vi furono soltanto macerie, il bosco all’interno del castello fu invaso da immondizie e solo i cani randagi potevano aggirarsi.

Ma nonostante tanta distruzione, gli uomini malvagi non erano ancora completamente soddisfatti, e così, senza alcuno scrupolo, decisero di spartirsi, terreni, palazzi, alberghi e tutto quanto potevano, impoverendo sempre di più i cittadini.

L’ultimo dei Castellani, cercò di arginare tanto male, controllava tutte le spese per evitare che il suo popolo diventasse sempre più povero, cercò di ricostruire quello che era stato distrutto.

Nel lontano 1999 limitò anche i costi della politica, fissandoli in 219.000 euro e, chi fra i suoi cavalieri osava ribellarsi veniva subito scacciato dal suo castello.

Ma gli uomini malvagi non potevano accettare che vi fosse ancora un castellano innamorato del suo paese e, così lo scacciarono dal castello con la forza, aumentarono tutte le spese ed impoverirono sempre di più il popolo che si ritrovò a non avere più nulla, niente servizi pubblici, niente TELECOM, niente ENEL, niente POSTA, niente più feste, niente teatro, niente cinema, niente di niente. Neanche più l’aria pura !.

Anche il costo della politica, nel giro di pochi anni, aumentò vertiginosamente e raggiunse i 731.000 euro; tutti i nuovi cavalieri al servizio degli uomini malvagi che si erano impossessati del paese, chiedevano sempre di più e sempre di più gli veniva dato per tenerli buoni e permettere agli uomini malvagi di impossessarsi di quanto restava ancora di buono.

I cavalieri costruirono parchi gioco inutili, sotto le rocce dove nessun bambino vi avrebbe mai giocato, ma il cui costo era così elevato da interessarne la realizzazione, rifecero vie e piazze con la sabbia in modo che si distruggessero subito, bloccarono qualsiasi attività dei privati. Realizzarono un’Università che invece di allocarla al centro del paese per farlo rivivere, la ubicarono nei luoghi ove avevano acquistato palazzi e terreni, per arricchirsi sempre di più; ed il CONTROLLO fu TOTALE.

Oggi i cittadini di quel paese, obbligati a viverci, non hanno più niente, gli anziani possono vivere solo di ricordi i giovani neanche di quelli, ma tutti sono costretti a pagare solo TASSE e non avere niente in cambio.

Inserita il 11/12/2006 alle 14:37:46  

 


 

 

 

Da www.viterbocitta.it (5-12-06)

 

Viterbo - Provincia : Politica. Bigiotti (Udc) : "Troppi soldi sprecati alla Provincia"

 

 

Ho voluto investire un po’ di tempo per fare dei calcoli e, con non troppo sorpresa, ho verificato quanto, ormai da tempo, vado ipotizzando. I costi della politica, per l’amministrazione Mazzoli, non sono evidentemente un problema. Si spendono Ottocentocinquantamila euro ogni anno in più rispetto al passato, solo per i costi che derivano dall’istituzione dei due nuovi assessorati e dall’incarico DG ! Veramente intollerabile!
Questa dissennata politica amministrativa rende ancora più difficile il raggiungimento dello stato di virtuosismo che dovrebbe sancire il rientro all’interno dei parametri del Patto di Stabilità, disastro su disastro!
Non finisce qui, invece di contenere le spese, è stato aumentato anche il numero delle commissioni consiliari ed ora sono otto ed ognuna di queste commissioni costa, costa molto cara; anche in considerazione del fatto che il lavoro che queste svolgono potrebbe essere tranquillamente sostenuto da quattro al massimo sei commissioni. Il risparmio è una cosa che non si vuole prendere in considerazione. Potrei tranquillamente ricordare decine di provvedimenti “sperpera soldi” (esternalizzazione servizio riscossione evasione Tosap, incarico all’Università per la formazione, pagamento cena CGIL per 30 milioni, studi di fattibilità per progetti che, già si sa, non si potranno mai realizzare, etc. etc.). Chi più ne ha più ne metta, potremmo andare avanti per ore.
Credo che sia importante informare i cittadini di dove vanno i loro soldi, per questo ogni qualvolta avrò consapevolezza di “spese evitabili”, da oggi in poi, ne darò informazione alla stampa e questo per doveroso e proficuo spirito d’informazione.
Un’ultima considerazione mi sembra doverosa, poiché non dobbiamo scordarci che 18 cantieristi stanno per perdere il lavoro, per mancanza di risorse finanziarie, anche a causa di questa politica di “sperpero”.
Tutti noi vogliamo la “Pace”, ci mancherebbe altro, ma se riuscissimo a tagliare un po’ di soldi che vengono spesi per i viaggi e le manifestazioni per la “Pace”, sicuramente riusciremo ad assicurare, anche ai nostri lavoratori dei cantieri scuola, un dignitoso Natale di “Pace”!!

Francesco Bigiotti Capogruppo UDC

 


 

Da L’Espresso – Repubblica Locale

 

http://espresso.repubblica.it/dettaglio-local/Enti%20regionali,%20giro%20di%20vite%20su%20costi%20e%20dirigenti/1449256/6

4-12-2006

 

Enti regionali, giro di vite su costi e dirigenti – di  Berardino Santilli

 

La giunta chiede nuovi tagli. Quelli già fatti hanno fruttato 1 milione di euro

 

L’AQUILA. In arrivo un giro di vite sugli enti ed aziende regionali ed i rispettivi Consigli di amministrazione. Dopo aver recuperato nei mesi scorsi oltre un milione di euro con il taglio dei compensi nei Cda degli enti controllati dalla Regione, la giunta lavora ad un secondo ridimensionamento dei costi della politica. Le prime decisioni saranno prese dopo un monitoraggio che durerà tre mesi.
 L’iniziativa prevede una profonda riforma degli enti, a partire dalla Finanziaria regionale (Fira), al centro del grave caso giudiziario che ha portato all’arresto dell’ex presidente, Giancarlo Masciarelli, e di altre 10 persone; riforma che proseguirà con altri enti strumentali: le agenzie per l’edilizia pubblica Ater e Aret, l’agenzia di promozione turistica Aptr, l’agenzia regionale per l’ambiente Arta ed anche per le Asl. Per queste ultime potrebbe esserci una riduzione da sei a quattro Asl, in concomitanza con l’entrata un funzione delle due aziende ospedaliero universitarie dell’Aquila e di Chieti, dove sono in funzione i due poli universitari.
 Ed ancora le aziende di trasporto Gtm, Arpa e Sangritana, per le quali c’è un progetto di accorpamento. Il ridimensionamento riguarderà anche enti ed aziende minori, anche poco conosciute. Per alcuni Cda potrebbe esserci anche la cancellazione totale, non solo il ridimensionamento del numero dei componenti.
 L’acquisizione dei documenti è cominciata da tempo e l’analisi porterà a stabilire la portata del risparmio che al momento non è ipotizzabile. Sulla lente di ingrandimento però ci saranno sprechi e doppioni. L’annuncio è stato fatto dal presidente della giunta regionale, Ottaviano del Turco, nel corso di una riunione di concertazione con sindacati e forze sociali sul Bilancio e la Finanziaria regionale 2007. «Entro 90 giorni», ha detto Del Turco, «taglieremo ancora le spese degli enti strumentali, il recupero non inciderà sul bilancio regionale, ma comunque sarà un messaggio politico straordinario». Per il segretario generale della presidenza della Giunta, Lamberto Quarta, si tratta della prosecuzione di un discorso già avviato con il risparmio di circa un milione di euro ottenuto con il taglio dei compensi per i componenti dei Cda «che abbiamo parametrato a criteri omogenei in relazione alla valenza territoriale, provinciale e regionale». «Abbiamo iniziato la ricognizione che ci darà un quadro per attuare una riforma che prevede riduzioni di costi, tagli ed eliminazione di strutture e di Cda», spiega Lamberto Quarta, «sarà un segnale di rigore e serietà. Le Asl? Superata questa fase legata al piano di rientro, alla razionalizzazione delle rete ospedaliera, con l’entrata in funzione delle due aziende ospedaliero universitarie dell’Aquila e Chieti, il numero potrebbe essere ridotto a quattro».

(04 dicembre 2006)

 


 

 

Da Il Giornale  4-12-2006

 

Regione, tagli a geometria variabile                                                                                                                                                                    - di Antonella Aldrighetti -

 

La manovra laziale stringe la cinghia ai cittadini ma regala 60 milioni di euro in più alla presidenza di giunta



La messa in moto della macchina amministrativa regionale nel 2007 costerà 60 milioni di euro in più rispetto al 2006: le attività complessive della presidenza di giunta lievitano da 196 a 256 milioni di euro, spicciolo più spicciolo meno. Eppure la finanziaria regionale per l'anno futuro avrebbe dovuto vantare il contrassegno del risparmio. E avrebbe pure dovuto registrare quelle legittime istanze per rispondere alle «esigenze di razionalizzazione della spesa» come, a parole, piace ribadire all'assessore al Bilancio Luigi Nieri. A parole, appunto. Perché, nei fatti, la realtà denota altri contenuti. Infatti gli impegni di spesa che vengono fuori dalla lettura dei vari capitoli di bilancio indicano che i primi a crescere sono i costi della politica regionale quando invece, per fare fronte al ripiano del debito laziale, la giunta ulivista si è spinta tanto in là da chiedere a cittadini e imprese di impegnarsi a pagare l'incremento addizionale delle imposte. Già, i cittadini sono chiamati a tirare la cinghia mentre assessori e presidente possono addirittura allentarla. Ed è addentrandosi nelle prime pagine della finanziaria regionale che si scova di quanto si può scialare con le spese del 2007. Uno a caso è l'impegno di risorse per la rappresentanza del presidente Piero Marrazzo che passa da 850mila euro del 2006 a un milione e 30mila euro per il 2007. La somma destinata alla gestione di presidenza e vicepresidenza della giunta passa da 400mila a 457mila euro. Gli impegni per i gettoni di comitati e commissioni passano da 100mila a 664mila euro. Mentre le spese per celebrazioni ed eventi di interesse regionale crescono da un milione e 620mila a un milione e 794mila euro.

Le anticipazioni all'economo di giunta invece passano da 450mila a 615mila euro. Ma la fetta più consistente del budget dedicato alle attività della presidenza se la guadagna il fattore comunicazione. Le attività di promozione e comunicazione della Regione praticamente raddoppiano: da quattro milioni e 300mila euro del 2006 passano a otto milioni e 79mila. E il pallino della divulgazione di notizie investe pure l'Ufficio relazioni con il pubblico e la comunicazione interna agli uffici per i quali la giunta di centrosinistra sceglie di investire per il prossimo anno sette milioni e 286mila euro a fronte dei quattro milioni e 315mila dell'anno in corso. Insomma a occhio e croce le cifre fin qui sciorinate hanno totalizzato 20 milioni e 225mila euro quando invece nel 2006 si attestavano a «soli» undici milioni e 550mila euro. Certo è che, a rimpinguare l'ammontare 2007, hanno dato una bella mano anche le risorse impegnate per il monitoraggio della spesa sanitaria, il cosiddetto «cruscotto» voluto dal governatore Marrazzo come strumento principe della razionalizzazione sanitaria che per due milioni di euro avrebbe dovuto funzionare da «dissuasore degli sprechi». Quei due milioni però non sono stati spesi perché spulciando i capitoli di bilancio si ritrovano nei residui. Cosicché si impone la scelta di impegnarli di nuovo per il medesimo motivo: per il 2007 il «cruscotto» costerà 4milioni. Tra le voci di spesa deputate alla presidenza Marrazzo vanno annoverate pure quelle della «parsimonia» destinate al consiglio regionale dove i costi, tra l'anno in corso e il prossimo non subiscono grossi scostamenti: si mantengono infatti sui 63milioni di euro. Qualche incremento si nota nel budget per le indennità di carica e di missione destinato ai consiglieri regionali e agli assessori non componenti il consiglio che passa da 23 a 26milioni di euro.

 

 


 

Da La Stampa 2-12-2006

 

Il Cavaliere, la piazza e il governo    di  LUCA RICOLFI

Oggi i partiti di centro-destra, con la sola eccezione dell’Udc, scendono in piazza contro la Finanziaria e la politica del governo. I motivi di protesta non mancano, e molti di essi sono tutt’altro che peregrini: la Finanziaria 2007 non solo è impopolare (come tutte le Finanziarie che aumentano le tasse) ma è oggetto di severe critiche da parte della maggior parte degli studiosi indipendenti, che a Prodi e ai suoi ministri rivolgono soprattutto tre imbarazzanti domande: perché, anziché avviare subito le riforme strutturali che contano, avete deciso di infierire sui contribuenti? Che cosa vi fa pensare che il giro di vite fiscale non finirà - come al solito - per gravare sui ceti e le regioni che già pagano troppe tasse? Siete sicuri che la stangata fiscale non azzopperà il già incerto cavallo della crescita?

La protesta di oggi ha dunque i suoi motivi, e molti di essi sono più che ragionevoli. E tuttavia... Tuttavia c’è una domanda che richiederebbe una risposta chiara da parte di Berlusconi e degli altri leader che oggi guideranno la protesta di piazza. La domanda è questa: se oggi, domani, o dopodomani al governo ci foste voi, che cosa fareste? Non faccio questa domanda per ricordare la solita verità, ossia che è più facile protestare che governare, ma per due ragioni di tutt’altro genere. La prima è che, a meno di un prodigioso cambiamento del clima d’opinione, al prossimo giro il governo ritoccherà alla destra: ci farebbe quindi piacere sapere quel che ci attende.
La seconda ragione è che, se non ci sono idee nuove, se la politica economica e sociale della destra sarà quella cui abbiamo assistito in questi anni, quel che realisticamente possiamo attenderci è destinato a somigliare molto a quel che Prodi sta facendo. Ecco qualche esempio. Spesa pubblica. Il suo peso rispetto al Pil è sempre aumentato, dai tempi del governo Amato (2000-2001) sino ad oggi. Negli ultimi tempi c’è un modesto sforzo di contenimento delle spese delle amministrazioni centrali, ma si tratta di qualcosa che accomuna le ultime due finanziarie, quella del 2006 (Tremonti) e quella del 2007 (Padoa-Schioppa). Chi ci dice che, tornando al governo, la destra sarà meno spendacciona di quanto è stata negli anni in cui ha governato? Tasse. La pressione fiscale è lievemente diminuita nei primi quattro anni della scorsa legislatura, ma nel 2006 - ultimo anno in carico al governo di centro-destra - è tornata ai livelli cui Berlusconi l’aveva trovata. La promessa di «abbattere la pressione fiscale» non è stata mantenuta.
Conti pubblici. Complessivamente li ha governati meglio il centro-sinistra dal 1996 al 2001 che il centro-destra dal 2001 al 2006, ma negli ultimi due anni Tremonti e Padoa-Schioppa hanno entrambi aumentato sia le tasse sia la spesa. Forse quest’anno Tremonti avrebbe avuto la mano un po’ più leggera del suo successore, ma è pura propaganda raccontare che l’aggiustamento sarebbe stato di soli 10 o 15 miliardi di euro: se c’è un filo conduttore nella politica economica del governo di centro-destra è che le «risorse» per infrastrutture e partito della spesa sono sempre state trovate. Liberalizzazioni. Non è chiaro se il centro-destra ce l’ha con Prodi perché sta liberalizzando troppo poco, o perché lo sta facendo fin troppo. A giudicare dalla scorsa legislatura le liberalizzazioni non sono una priorità del centro-destra, e a giudicare da questo scorcio della nuova legislatura non lo sono nemmeno per il centro-sinistra.
Riforme strutturali. Se si eccettua la riforma del mercato del lavoro (su cui dal 1997 a oggi centro-sinistra e centro-destra qualcosa hanno realizzato) ben poco di effettivo è stato fatto. Su scuola e istruzione né Berlinguer, né De Mauro, né la Moratti hanno impresso alcuna vera svolta meritocratica (né forse potevano farlo senza scontrarsi con i sindacati). Su pensioni e Tfr le uniche riforme degli ultimi anni sono state virtuali, perché il centro-destra ha preferito vararle solo sulla carta, lasciando la patata bollente della loro applicazione al futuro governo (che ora è nei guai). Sprechi, enti inutili, costi della politica non sono mai stati realmente tagliati da nessun governo. Ricordando queste inquietanti somiglianze, cui il lettore impietoso non mancherà di affiancare la vicenda dell’indulto, non voglio suggerire che destra e sinistra facciano esattamente le stesse cose.
Differenze ce ne sono. Ad esempio, per molti aspetti la destra ha meno rispetto per le istituzioni (leggi ad personam), la sinistra per i cittadini (onnipresenza della regolazione statale). Ma il punto è che, con le informazioni attuali, non è realistico prevedere che, una volta tornata al governo, la destra cambierebbe rotta e avvierebbe quella stagione di riforme coraggiose di cui tanti invocano la necessità. Non ha avuto la volontà o la capacità o la forza di farlo nella scorsa legislatura, non si vede perché dovremmo credere che l'avrebbe nella prossima. Astenendosi da qualsiasi autocritica sul suo recente passato, la destra non fornisce alcun motivo razionale per pensare che, tornando al governo (magari senza Berlusconi), riuscirebbe a fare quel che la sinistra - per ora - si mostra incapace di fare, ossia liberalizzazioni, riforme e riduzione delle aliquote. E non lo fornisce perché l’unico motivo che risulterebbe credibile di fronte agli elettori sarebbe un’analisi spietata delle ragioni per cui nessuno, in questo paese, riesce a fare quel che (quasi) tutti dicono che andrebbe fatto.

 

 

Da www.lamescolanza.com 4-12-2006  L'Espresso 1-12-06  -  La giungla dei privilegi

 

Stipendi folli, auto blu, biglietti gratis, poltrone assicurate, bonus faraonici. Dai politici ai manager, dai religiosi ai sindacalisti, tutti i benefici-scandalo. Che gli italiani vedono crescere sempre di più

 

Ancora di più. Le caste dei diritti acquisiti non si arrendono e continuano a fare incetta di nuovi privilegi. C'è chi si muove personalmente, con modi tra il piratesco e l'autoritario. E chi marcia compatto nei ranghi delle corporazioni, unica istituzione che sopravvive allo sfascio di partiti e pubblica moralità. Ma tutti puntano a un solo obiettivo: ritagliarsi quell'orticello di vantaggi protetti, svincolati da meriti e risultati. Un po' per interesse, spinti dalla brama di guadagni sicuri; un po' per la voglia di emergere ostentando status symbol come l'auto blu; un po' per una mai sopita vocazione da hidalgo che fa sentire superiori ai comuni mortali e all'obbligo di pagare biglietti. Certo: il vizio è atavico. Ed è sopravvissuto a ogni rivoluzione egualitaria, a ogni processo di razionalizzazione, a ogni ondata di modernità e moralità: particolarismo, egoismo e protezionismo; la sacra trinità di una passione italica immortale. Che nessuna crisi e nessuna stretta riesce a sconfiggere. Anzi, come dimostra il sondaggio Swg realizzato per conto de 'L'espresso', la maggioranza degli italiani è convinta che il fronte dei 'lei non sa chi sono io' stia costantemente crescendo. E non si illude di sconfiggerli: per la metà degli intervistati nessuno può far arretrare i sistemisti del benefit a spese altrui. Solo un terzo ritiene che il premier Romano Prodi possa scendere in campo con successo contro il dilagare dei cavalieri dell'indennità facile e ancora meno (il 14 per cento) ripone fiducia nelle capacità del suo predecessore Silvio Berlusconi: insomma, per il 49 per cento entrambi sono impotenti.

Intanto però il bestiario si arricchisce di nuove figure: di baroni del posto nepotista che assieme alle università colonizzano anche il futuro del Paese, di procacciatori di prebende federaliste che proliferano nelle regioni, di speculatori squattrinati che vivono da nababbi sulle spalle del risparmiatore. Ne studiano tante e così velocemente da spiazzare la popolazione. Perché le indennità record dei parlamentari, le lunghe vacanze di molti magistrati, i posti prioritari dei figli di boiardi sono vantaggi che tutti comprendono e tutti indignano. Mentre il top manager che con un investimento minimo sale al timone di una holding quotata a piazza Affari e si riempie le tasche di stock option riesce a sottrarsi all'ira delle masse. Come fa? Sfrutta l'ignoranza e la diffidenza per la Borsa: il sondaggio realizzato da 'L'espresso' dimostra che quattro italiani su dieci non sanno cosa siano le stock option e quindi non le vivono come un privilegio. Forse se si rendessero conto che con questo escamotage finanziario una pattuglia di capitani d'industria porta a casa milioni di euro extra, allora rivedrebbero le loro hit parade. Che oggi restano molto convenzionali. Al primo posto tra i benefici che provocano irritazione ci sono gli stipendi dei politici: detestati dall'83 per cento degli italiani, con una quota che sale fino al 94 tra gli elettori del centrodestra e scende all'80 tra quelli dell'Unione. Seguono le paghe dei manager pubblici, da sempre sospettati di inefficenza e lottizzazione, invisi al 73 per cento del campione. Infine i vantaggi diretti, la Bengodi delle auto di servizio, dei passaggi gratis in aereo e dei pranzi a ufo di cui approfittano tante categorie tra il pubblico e il privato: il 72 per cento li vorrebbe cancellare. Molte volte ci sono anche luoghi comuni, difficili da sfatare: l'ondata di baby pensionati nelle amministrazioni statali ha creato una massa di invidia e malcontento consolidati nel 58 per cento. La stessa premessa vale per le ferie lunghe che vengono attribuite a insegnanti e magistrati, il segno di una scarsa considerazione nella produttività delle due categorie. Quello che invece finisce nel conto di manager privati non sorprende più di tanto e non sembra scatenare sentimenti particolarmente negativi.

In generale, il disgusto per questa corsa al tesserino e al piedistallo lascia spazio a una grande rassegnazione. No, la speranza non viene né dai politici, né dai sindacati, percepiti anzi come alfieri del beneficio garantito: c'è il sogno della rivolta di base, animata dalle associazioni dei cittadini (31 per cento) e magari mobilitata da un ruolo più pungente dei mass media (28). Perché il privilegio si allarga e contagia nuove categorie, tutte avide di ritagliarsi una fettina di onnipotenza. Pubblico, privato; laici e cattolici; guardie e ladri; tutti uniti nel difendere la loro isoletta dorata.



Camere a cinque stelle

Stipendi smisurati e una vita spesata, questo è il bello del rappresentare i cittadini. Forse troppo, tanto che, come dimostra il sondaggio Swg per 'L'espresso', gli italiani sarebbero felici di limare questo montepremi. Già, perché deputati e senatori incassano ogni mese più di 14 mila euro tra indennità, diaria e rimborsi vari. Allo stipendio di 5 mila e 500 euro bisogna aggiungere il rimborso di 4 mila euro per il soggiorno a Roma e altre 4 mila e 200 euro per 'le spese inerenti il rapporto tra il deputato e l'elettore'. Al Senato questa voce è aumentata di circa 500 euro al mese. Poi c'è il capitolo trasporti: il parlamentare si muove come l'aria nel territorio nazionale. Infila la porta del telepass in autostrada senza ricevere nessun estratto conto, al check-in prende posto in business senza mettere mano al portafoglio e all'imbarco del traghetto non fa fila né biglietto. E i taxi? Niente paura. È previsto un rimborso trimestrale pari a 3 mila e 300 euro. Mentre per i deputati che abitano a più di cento chilometri dall'aeroporto più vicino, il rimborso sale a 4 mila euro. L'angelo custode del bonus non abbandona il parlamentare nemmeno quando varca i confini nazionali per 'ragioni di studio o connesse alla sua attività': gli spettano fino a 3.100 euro all'anno. Per avere un'idea del costo degli 'onorevoli viaggi' basti un dato: i soli deputati nel 2005 sono costati alla collettività 40 milioni. Non paga nemmeno il telefono, fisso o mobile, fino a una bolletta massima di 3.100 euro. E ha diritto a un computer portatile e alla fine della legislatura (per tutelare la riservatezza dei dati) può tenerselo.

Di tutti i privilegi, però quello che costa di più è il dopo. Ossia il trattamento pensionistico. Deputati e senatori, anche se in carica per una sola legislatura, maturano il diritto a una pensione straordinaria. Si chiama vitalizio e dovrebbe maturare al compimento dell'età di 65 anni. In realtà, se ha fatto più legislature il deputato, come un lavoratore usurato, può andare in pensione a 60 anni (che scendono a 50 per quelli delle precedenti legislature). Il vitalizio varia da un minimo del 25 per cento dell'indennità (2.500 euro circa) per chi ha versato solo i canonici cinque anni di contributi della singola legislatura. Ma arriva fino a un massimo dell'80 per cento dell'indennità per chi ha più legislature alle spalle. Comunque, per maturare il diritto alla pensione non è necessario restare in carica cinque anni. In passato bastavano pochi giorni. Ora ci vogliono due anni, sei mesi e un giorno. E gli eletti dal popolo contano doppio: possono sommare la pensione dovuta per la loro attività professionale a quella ottenuta per rappresentare i cittadini. La liquidazione parlamentare, poi, non è meno regale: 80 per cento dell'indennità moltiplicato per gli anni della legislatura, ossia minimo 35 mila euro.



Ottimi Consiglieri

Evviva il federalismo, evviva le regioni: ogni capoluogo si sente capitale, ogni assemblea vuole imitare Montecitorio. Ma che bel mestiere fare il consigliere: Lombardia, Lazio, Abruzzo, Emilia Romagna, Calabria gli elargiscono il 65 per cento del compenso riconosciuto al deputato. E più si sentono autonomi, più si premiano. I sardi, infatti portano a casa l'80 per cento dell'indennità nazionale a cui vanno aggiunte tutte le voci previste alla Camera: la diaria, i rimborsi, la segreteria. A conti fatti si superano i 10 mila euro. E non è finita qui. I consiglieri isolani hanno inventato anche i fondi per i gruppi: 2 mila e 500 euro per ogni consigliere più altri 5 mila al gruppo di almeno cinque persone. Inoltre, quando sono a Roma, hanno diritto a un auto blu con autista.

In passato la Sardegna si distingueva anche per le sue generose buonuscite: 117 mila euro per consigliere. La chiamavano 'indennità di reinserimento', come si fa con i tossici usciti da San Patrignano. Ora è stata ridotta a 48 mila euro, speriamo che non ricadano nel vizio. Quella del reinserimento è una moda diffusa. Il Molise ha appena varato un sostanzioso "premio di reinserimento nelle proprie attività di lavoro" a tutti i consiglieri trombati o non ricandidati: così l'onorevole Aldo Patricello dell'Udc, dimessosi per diventare europarlamentare, si prende più di 72.700 euro ed è primo della speciale classifica, al pari dei diessini Nicolino D'Ascanio (attuale presidente della Provincia di Campobasso) e Antonio D'Ambrosio e a Italo Di Sabato di Rifondazione. Ai privilegi infatti ci si affeziona. L'ex governatore pugliese Raffaele Fitto di Forza Italia aveva ottenuto l'auto blu per alleviare i primi cinque anni senza carica. La delibera è stata cambiata dopo le contestazioni, ma la giunta di sinistra non si è dimenticata degli ex: le pensioni sono state ritoccate. Al rialzo. Perché in Puglia il benefit è ecumenico: anche alcune delle 19 Lancia Thesis noleggiate dalla Regione sono a disposizione dei 12 assessori uscenti.

Le strade del bonus sono infinite. Un'altra veste giuridica per coprire l'ennesima erogazione va sotto il nome di indennità di funzione per i vertici di giunte e commissioni su misura. Per questo ogni giorno ne nasce una nuova. La Campania deteneva il record nazionale: l'anno scorso le commissioni erano 18. Ognuno dei presidenti intasca 1.650 euro in più al mese, oltre allo stipendio di consigliere regionale (circa 7 mila euro). Poi ci sono le spese di rappresentanza (in media 400 euro mensili) e quelle per il personale distaccato (9.550 euro al mese per un massimo di sei dipendenti a organismo): totale, 180 mila euro. La settimana scorsa, dopo un'ondata di indignazione, la Regione ne ha abrogate sei. Ma dal 2000 al 2005 le indennità dei consiglieri sono passate da 18 milioni a 30 milioni di euro all'anno mentre i benefit sono saliti da 18 a 30 milioni. Nella regione dell'emergenza perenne quei fondi potevano trovare impiego migliore.



Vizi privati

I bilanci aziendali grondano utili e il titolo vola in Borsa? Complimenti ai manager: si meritano un bell'aumento di stipendio. Profitti in calo e quotazioni in ribasso? La musica non cambia: i compensi di amministratori delegati e direttori generali crescono comunque. In Italia, quasi sempre, funziona così. Le retribuzioni dei massimi dirigenti delle società quotate in Borsa si muovono a senso unico: verso l'alto. Stock option, bonus o incentivi vari corrono a gran velocità se l'azienda fa faville. In caso contrario aumentano più lentamente, ma aumentano comunque. Prendiamo l'esempio di Mediaset. L'anno scorso il titolo ha perso lo 0,3 per cento e gli utili sono aumentati del 9 per cento. Difficile definirla una performance brillante. Eppure il presidente Fedele Confalonieri ha visto raddoppiare il suo compenso a 4,7 milioni grazie anche a un bonus di 2 milioni. Telecom Italia, che ha chiuso l'ultimo esercizio con utili di gruppo in aumento del 77 per cento, ha invece deluso in Borsa con un calo del 17,6 per cento tra gennaio e dicembre del 2005. Insomma, per i soci c'è poco da festeggiare, ma i compensi del presidente (dimissionario dal 15 settembre scorso) Marco Tronchetti Provera sono comunque aumentati del 66 per cento: da 3,1 a 5,2 milioni.

Se non bastassero premi e incentivi vari, i manager italiani sono riusciti a cavalcare alla grande anche il gran rialzo di Borsa che dura ormai da quasi tre anni. Come? Grazie alle stock option, cioè le azioni a prezzi di favore assegnate ai manager come forma di retribuzione. Con la riforma fiscale varata dal governo in piena estate questo strumento è diventato molto meno conveniente per i dirigenti, obbligati a inserire nella dichiarazione dei redditi i guadagni derivanti dall'esercizio delle opzioni. Nel frattempo, però, qualcuno era già passato alla cassa. Ai primi posti nella speciale classifica dei super compensi da stock option troviamo così un paio di banchieri protagonisti di grandi operazioni societarie varate in questi mesi. Corrado Passera di Banca Intesa, prossima sposa di Sanpaolo Imi, ha guadagnato 9,9 milioni e poi li ha reinvestiti in titoli del suo istituto. Scelta quanto mai azzeccata, visto che dall'inizio del 2006 le quotazioni di Banca Intesa sono cresciute del 25 per cento. Anche Giampiero Auletta Armenise numero uno di Bpu (Banche Popolari Unite) si prepara alla prossima fusione con Banca Lombarda forte di un guadagno extra di 7,5 milioni realizzato nel 2005 grazie alle sue stock option.

Il gran rialzo del listino azionario ha finito per creare anche un altro gruppo di privilegiati. Banchieri, avvocati, consulenti d'immagine e pubblicitari: sono loro i veri vincitori della grande lotteria delle matricole di Borsa. Una febbre da quotazione che ha portato sul listino una ventina di nuove società negli ultimi mesi, coinvolgendo migliaia e migliaia di risparmiatori. Solo che gli investitori si sono presi il rischio di bidoni e ribassi. I banchieri invece guadagnano comunque. Come è puntualmente successo anche per lo sbarco in Borsa della Saras, l'azienda petrolifera della famiglia Moratti. L'operazione ha fruttato circa 2 miliardi alla famiglia di industriali milanesi. Ai risparmiatori è andata molto peggio, visto che in meno di sei mesi dalla quotazione il titolo ha perso quasi il 30 per cento. Un disastro, ma i banchieri del consorzio di collocamento guidato dalla banca d'affari americana Jp Morgan, affiancata da Caboto (Banca Intesa), hanno comunque incassato la loro provvigione: quasi 40 milioni di euro. A cui vanno aggiunti altri 12 milioni da dividere tra consulenti legali, d'immagine e altri ancora. Mica male per un flop.



Servizi extra

Il 16 dicembre, quando lasceranno i vertici dell'intelligence, avranno già distrutto molti segreti. Qualche carta, invece, la porteranno con sé a futura memoria. Niente di strano: funziona così in tutto il mondo. Emilio Del Mese, Nicolò Pollari e Mario Mori stanno facendo le valigie e si preparano al passaggio di consegne con i loro successori. Ma i conteggi della loro pensione, con relativa buonuscita, sono già pronti. Così, secondo quanto risulta a 'L'espresso', ai tre illustri pensionandi il governo avrebbe riconosciuto una liquidazione che sfiora quota un milione e 800 mila euro. Una somma che forse farà alzare qualche sopracciglio, ma che sarà certamente stata costruita nel pieno rispetto di leggi e contratti e che, in ogni caso, riguarda tre persone che hanno servito lo Stato ad alto livello per oltre 40 anni. Più anomala l'entità della pensione: ogni mese 31 mila euro lordi. A questo importo-monstre si è arrivati cumulando lo stipendio con l'indennità di funzione, che nei servizi chiamano 'indennità di silenzio'. Chi presta servizio al Sisde o al Sismi, infatti, di solito guadagna il doppio rispetto al parigrado che è rimasto in divisa. E l'avanzamento nei servizi è molto discrezionale e rapido. Quando la barba finta va in pensione, però, non si porta dietro quella ricca indennità: il privilegio dei privilegi riconosciuto solo ai capi. Per il resto, chi fa il militare o il poliziotto, di privilegi veri ne ha pochi. Gli stipendi sono bassi e spesso poco rispettosi dell'alto grado di rischio o di stress. Con il tesserino si può viaggiare gratis sui mezzi pubblici e, spesso, godersi gratis la partita di calcio. Ma definirli privilegi sarebbe un po' ardito.

La via Nazionale

Non ci sono più gli affitti agevolati negli immobili di proprietà della banca. Né il caro-legna, un sussidio alle spese per il riscaldamento, o la speciale indennità per gli autisti della sede di Venezia, che guidano il motoscafo invece dell'auto blu. Così come sono un ricordo del passato gli straordinari benefici pensionistici di quando si poteva andare a casa con 20 anni di servizio e un assegno che restava ancorato alle retribuzioni. Anche nell'era di Mario Draghi la Banca d'Italia continua però a dispensare un trattamento ultra-privilegiato ai suoi dipendenti. Basta pensare che gli stipendi dei magnifici quattro del Direttorio di palazzo Koch (il governatore, il direttore generale e i due vice) sono segreti. Scavando un po' si può scoprire che oggi i funzionari generali hanno un lordo annuo di 110 mila euro. Gli oltre 200 direttori di filiale stanno a quota 64 mila; i funzionari di prima a 49 mila e 200. Ma allo stipendio-base si aggiunge una giungla di altre voci che arrotonda la cifra finale. Siccome lavorare stanca, c'è per esempio uno stravagante premio di presenza: chi va in ufficio per almeno 241 giorni in un anno si porta a casa una sorta di quattordicesima: il premio Stachanov. A dicembre c'è la cosiddetta gratifica di bilancio: vale circa 35 mila euro per i funzionari generali; 18 mila per i direttori e oltre 6 mila per i funzionari. Siccome poi la banca ha un suo decoro, i più alti in grado incassano anche un'indennità di rappresentanza, una specie di buono-sarto, che è semestrale, forse per rispettare il cambio di stagione: poco meno di 8.500 euro per i funzionari generali; 4 mila per i direttori; 1.200 per i funzionari.



Onorati baroni

In teoria i professori universitari non dovrebbero godere di chissà quali privilegi, ma in realtà la loro posizione è unica. Perché da noi i controlli di produttività non esistono e una volta conquistata la cattedra i prof restano incollati ritardando pure la pensione. Per arrivare sulla poltrona, poi, fanno di tutto; ma nell'immaginario collettivo e negli atti di parecchie indagini penali domina la catena del nipotismo. Si ereditano posti da ordinario o li si scambia, creando intrecci o addirittura facendo nascere nuove facoltà per gemmazione. La summa del 'tengo famiglia' viene registrata a Bari dove nell'ateneo prosperano tre clan principali: uno vanta ben otto parenti-docenti, gli altri due si attestano a sei. Insomma, l'ateneo è cosa nostra. Il discorso non cambia quando in cattedra sale il medico, che di sicuro dovrà rispondere della sua produttività clinica, ma che rappresenta anche la vetta di una categoria molto corteggiata. Soprattutto dalle case farmaceutiche, prodighe di viaggi per convegni e presentazioni di mirabolanti macchinari: prodotti che poi vengono pagati dalle Asl. Una casta sono sempre stati considerati anche i giornalisti, soprattutto quelli stipendiati per far poco o imbucati in qualche meandro della tv di Stato. Il tesserino rosso, in realtà, si è molto scolorito. Gli sconti delle Fs non sono più automatici, ma richiedono l'acquisto di card annuali (60 euro per avere il 10 per cento in meno sui treni), Alitalia e Airone invece tagliano del 25 per cento i biglietti a prezzo intero. L'unico vero privilegio è l'ingresso gratuito nei musei statali e in numerose gallerie comunali. È chiaro che le eccezioni non mancano. Alcune sono frutto di operazioni di public relation: viaggi, show, vetture in prova, riduzioni su acquisto di auto, sconti su alcuni noleggi. Altre sono concessioni ad personam, come i cadeaux natalizi.



Partecipazioni interessate

Un vero e proprio Carnevale di privilegi è stato per anni il contratto di lavoro dei dipendenti dell'Alitalia. In un'azienda dove la definizione di giorno di riposo sembrava scritta da Totò & Peppino ("Deve avere una durata di almeno 34 ore") e dove i dirigenti riuscivano a farsi infilare nella mazzetta dei giornali i fumetti di Topolino per (si spera) i pupi di casa, alla fine i soldi sono davvero finiti. I piloti hanno così perso via via dei benefit, come il buono-sarto per farsi confezionare la divisa su misura, il diritto all'autista da casa all'aeroporto, o la cosiddetta indennità Bin Laden, istituita dopo l'11 settembre 2001 sulle tratte mediorientali. Sono rimasti, però, i ricchi sconti al personale sui voli: i dipendenti (e i pensionati) hanno diritto ad acquistare (anche per figli e coniugi o conviventi) i biglietti con una riduzione del 90 per cento sulla tariffa piena se rinunciano al diritto di prenotazione. Altro capolavoro di sindacalismo all'italiana è il contratto dei ferrovieri. Quando un macchinista guida un treno da solo come in tutto il resto del mondo, invece che in coppia secondo la procedura made in Fs, ha diritto a incamerare anche la paga del compagno assente. Tutti i dipendenti dispongono inoltre di una carta di libera circolazione, che consente di viaggiare gratis (con coniugi e figli) su treni regionali, interregionali e Intercity.



Carriere insindacabili

Sono decine di migliaia alla Cisl. Altrettanti alla Cgil. Un po' meno alla Uil. Nel complesso, si parla di ben 200 mila persone a fronte di oltre 10 milioni di iscritti: un folto esercito comunque di distaccati, delegati, quadri e dirigenti che mantengono saldi nelle proprie mani privilegi e facilitazioni che riguardano soprattutto la possibilità di contrattare direttamente condizioni preferenziali con le controparti; di sedere nei consigli di amministrazione di enti e banche e assicurazioni; di gestire le attività legali, assistenziali e fiscali tramite patronati e sportelli di servizio; di curare un patrimonio immobiliare di non poco conto. Privilegi e facilitazioni che, in particolare, partono dalla fine della carriera. E soprattutto dalla garanzia di arrivare all'età pensionabile con un buon livello economico. In tempi di incertezze previdenziali, infatti, i sindacalisti si trovano in una botte di ferro. Prima la legge Mosca del '74 e poi un provvedimento approvato dall'Ulivo nel '96 (e promosso dall'ex ministro del Lavoro, Tiziano Treu, uomo di area Cisl) prevedono una contribuzione che vale doppia e la possibilità di beneficiare di un ulteriore versamento da parte del sindacato. Inoltre, nello statuto dei lavoratori è previsto che ai dipendenti in aspettativa per lo svolgimento di incarichi sindacali vengano riconosciuti e versati contributi figurativi a carico dell'Inps, che sono calcolati sulla base dello stipendio che non viene più versato dall'azienda o dell'ente di provenienza. Stessa situazione viene riconosciuta ai sindacalisti che usufruiscono del regime di distacco per attività sindacale e che percepiscono lo stipendio di un'azienda privata o di un ente pubblico anche se lavorano a tempo pieno solo per il sindacato. Secondo alcuni dati, sono diverse migliaia di persone a godere di questo regime speciale di doppia contribuzione. Tra distacchi, diarie e rimborsi, un sindacalista di medio profilo porta a casa circa 2.500 euro al mese, ma per i dirigenti la retribuzione supera i 5 mila.



In piedi entra la Corte

Per i semplici componenti, 370 mila euro l'anno; oltre 444 mila per i presidenti. Questo il tetto massimo delle retribuzioni lorde di quasi tutte le Authority: telecomunicazioni, energia, antitrust e Consob. I compensi sono fissati per legge e sono identici agli stipendi di giudici e presidente della Corte costituzionale, a loro volta legati agli andamenti della retribuzione del primo presidente della Cassazione. Il calcolo dei compensi è semplice. Il primo presidente della Cassazione può arrivare a guadagnare fino a 246 mila 800 euro lordi l'anno, come (unica eccezione tra le autorità di garanzia) il Garante della privacy, il cui stipendio nel 2006 sarà in totale di 216 mila euro. I giudici della Corte costituzionale hanno diritto invece a uno stipendio superiore del 50 per cento all'appannaggio del primo presidente di Cassazione, cioè 370 mila euro. Mentre il presidente della Consulta incassa la stessa cifra (370 mila) maggiorata del 20 per cento. Totale: 444 mila euro lordi l'anno. Tutti i membri della Consulta hanno diritto all'auto blu e a una struttura di segreteria. Il presidente ha diritto anche ad utilizzare i voli di Stato. Gran parte dei membri della Consulta ne diventano prima o poi presidenti, poiché la scelta ricade ormai sempre sul giudice in carica da più tempo, magari per pochi mesi (negli ultimi sette anni sono stati dieci). I presidenti emeriti sono attualmente 16: ciascuno di loro ha diritto vita natural durante a un'auto blu con autista. Ma anche da defunti possono contare su un particolare onore: una delibera del Comune di Roma stabilisce che a tutti gli ex presidenti della Corte trapassati sia dedicata una strada nel quartiere Aurelio.

I magistrati italiani hanno stipendi in media con l'Europa. Il meccanismo più discusso, in ogni caso, è quello degli scatti automatici. In parte tutela la toga coraggiosa dagli ingranaggi più odiosi del potere e della politica, ma non sfugge a nessuno che consenta anche carriere garantite e spesso sganciate dal merito. E paradossalmente a guadagnare di più sono quelli sospettati dai colleghi di lavorare di meno, ovvero i magistrati amministrativi. Ci sono poi i doppi canali: il Csm poi può autorizzare incarichi remunerati come le docenze. E un malcostume più volte denunciato riguarda il numero crescente di magistrati che lasciano sguarniti uffici di periferia delicati per assieparsi al ministero con ricche diarie. La vera variabile poi è il prestigio. In Italia, il magistrato, specie se maneggia inchieste penali, è un vero vip; all'estero non lo conosce nessuno. Tutto qui? Alla fine, il privilegio forse più vistoso è quello delle ferie: due mesi e mezzo ogni estate. I pm che hanno in mano le inchieste più scottanti lavorano lo stesso, con pc e cellulare sempre acceso. Ma se un avvocato prova a cercare un magistrato della fallimentare a metà giugno, è facile che lo trovi intorno alla fine di settembre. La legge è uguale per tutti, i privilegi invece no. n

 


L'isola del tesoro  In Sicilia la Regione paga un'armata di 2.200 dirigenti. E riserva ai politici stipendi e benefit da sogno
 

 

In cima alla lista dei privilegi 'made in Sicily' c'è il nome di Felice Crosta. Dirigente delle Regione in pensione, è stato chiamato dal governatore Totò Cuffaro alla guida dell'agenzia regionale per l'Acqua e i Rifiuti. La sua indennità annua ammonta a più di 567 mila euro.

In pratica più di 1.500 euro al giorno. È seguito a ruota da Patrizia Bitetti, sulle cui spalle poggia il peso della sanità siciliana. Per tentare di far quadrare i conti della salute (a giudicare dal deficit di un miliardo, andrebbe escluso che sia riuscita ad assolvere il suo compito), il compenso previsto arriva quasi al mezzo milione. Al loro livello si colloca anche la retribuzione di Gabriella Palocci, capo dipartimento della Programmazione. Sono loro, tutti e tre dirigenti 'esterni' e quindi liberi di contrattare il loro onorario, la punta apicale di una macchina regionale da 16 mila dipendenti. Duemila e 200 di loro hanno la qualifica di dirigente con compensi annui che possono variare dai 50 mila euro sino ai 200 mila assegnati ai responsabili dei 32 dipartimenti dell'amministrazione regionale.

L'area dirigenziale della Regione siciliana è un'idrovora che costa ai contribuenti 162 milioni di euro l'anno: per capire, la Lombardia spende poco meno di 19 milioni. Ma di privilegi si può parlare anche per i 90 inquilini di Palazzo dei Normanni, la sede del parlamento siciliano. In nome dell'Autonomia - l'assemblea regionale è nei fatti equiparata al Senato - i consiglieri possono fregiarsi del titolo di deputato. L'Ars costa quasi 400 mila euro al giorno, nonostante una paralisi legislativa che ha prodotto una stasi di nove mesi. Ogni deputato percepisce uno stipendio annuo di 145 mila euro. A questa somma vanno aggiunti alcuni benefit: viaggi e trasferte contribuiscono a far lievitare il costo della politica in Sicilia per quasi 3 milioni, mentre sono 5 i milioni a disposizione dei deputati per 'studio, ricerca, consulenza e documentazione'. E siccome ogni deputato vuole i suoi privilegi (auto blu, come minimo), uno dei primi atti di questa quattordicesima legislatura regionale ha assicurato ulteriori prebende per tutti. Così, le poltrone delle commissioni parlamentari sono aumentate da 13 a 15. E sei commissioni per 15 commissari fa 90, guarda caso il numero esatto dei deputati. I diritti dei deputati non si esauriscono con il finire del mandato: 19 milioni vanno
in vitalizi. E per i trombati? Mamma Regione quasi sempre non li dimentica. Come nel caso di Alberto Acierno, fedelissimo di Gianfranco Miccichè (ex viceministro oggi presidente dell'Assemblea regionale). Acierno è stato deputato nazionale e regionale. Per non intralciare la corsa di Miccichè gli è stato chiesto di non candidarsi all'Ars. Sacrificio ben ricompensato: oggi Acierno dirige la Fondazione Federico II, braccio operativo delle attività culturali del parlamento siciliano. Ma un'agenzia non si nega a nessun ex: c'è una poltrona per tutti, destra e sinistra, con una pioggia di gettoni di presenza. Magari la si crea apposta: come si sospetta nel caso dell'agenzia per le Politiche mediterranee: affidata a Fabio Granata, ex deputato di An e già presidente della commissione regionale antimafia.

 


Bolzano sale in cattedra
 

Stipendi doppi per gli insegnanti, grazie alla provincia autonoma
 

 

Sarà anche una delle città italiane più care, ma gli insegnanti a Bolzano non possono certo lamentarsi. Nella loro busta paga si ritrovano una considerevole gratifica in euro per effetto del contratto integrativo provinciale, che aggiunge un'indennità allo stipendio.

Se un professore nel resto d'Italia riceve per contratto ad inizio carriera 1.174 euro netti al mese, a Bolzano ne riceve 1.500, sempre netti, che aumenta fino a 1.624 con l'indennità di bilinguismo. Dopo dieci anni di servizio un insegnante altoatesino si ritrova in busta paga 1.793 euro netti al mese: 500 in più degli altri insegnanti. In questa fascia si situa gran parte degli 8 mila insegnanti dell'Alto Adige. A fine carriera un professore bolzanino porta a casa quasi 3.200 euro netti (più 200 euro con l'indennità di bilinguismo), quasi il doppio rispetto ai suoi colleghi con contratto nazionale. E per i dirigenti scolastici si arriva a 5 mila euro netti con il massimo di anzianità.

 


È la nuova Tangentopoli

Antonio Di Pietro lancia l'allarme. E critica i colleghi

 

"In Italia il culto della personalità rasenta la follia. E credo di poterlo dire perché sono tra quelli che non fa mettere sulla macchina neppure il lampeggiante". Parola di Antonio Di Pietro, l'ex magistrato più famoso d'Italia, oggi ministro delle Infrastrutture.
Ecco, a proposito di lampeggianti, pare che al suo ministero ce ne fosse una miniera."Ne ho trovati alcune decine. E anche a palette non si scherzava. Ma in pochi giorni ho deciso di far piazza pulita. La gente guarda e ci giudica".Parliamo di scorte. Sono troppe?
"C'è un sistema quasi infallibile per capire se una scorta è mera esibizione di potere. Quando si vede un codazzo di macchine scure con sirene varie e uomini vestiti come i bodyguard dei film, la scorta di solito non serve a un cavolo. Perché chi rischia la vita deve spostarsi senza dare nell'occhio".
Lei ce l'ha?
"Ridotta al minimo, appunto".
E quando faceva il magistrato?
"Ho avuto paura solo dopo la morte di Falcone e Borsellino, quando all'inizio di Mani pulite venni indicato come possibile obiettivo. Proprio in quel periodo ho imparato a essere anonimo".
Codazzo di autisti al ristorante?
"Orrendo. Il potente seduto a tavola nel posto di grido, e la scorta fuori in macchina ad aspettare. Si vede solo in Italia".
Accoglienze da re per comizi in provincia?
"Un conto è la simpatia della gente, se te la meriti. Un conto è paralizzare un'intera zona. Come ho visto qualche giorno fa".
Racconti, racconti...
"Dovevo andare in Puglia a parlare. Arrivato vicino al posto vedo una parata di vigili, poliziotti, carabinieri. Mancavano solo
i pompieri. E c'era pure un elicottero che volteggiava. Sembrava l'Iraq".
Tutto per lei.
"No, per un collega che non sapevo fosse stato invitato insieme a me".
Fuori il nome.
"Per una volta sarò omertoso. Per carità di patria, diciamo. Ma rispetto al governo precedente sembriamo svedesi, quanto a sobrietà".
Prodi che viaggia in treno?
"Splendido messaggio, appunto. Altro che Berlusconi".
Parliamo di soldi. La politica costa...
"Costa troppo".
Stipendi da urlo.
"Ecco, andiamo al sodo. Gli stipendi dei politici sono parametrati per legge a quello del primo presidente di Cassazione".
Saranno almeno 14 mila euro lordi al mese.
"Ma stiamo parlando del più anziano e importante magistrato d'Italia. Le pare giusto che un neo deputato di 29 anni guadagni quella cifra? O il consigliere di una regione a statuto speciale? E poi il trucco sta nelle indennità aggiuntive".
Ossia?
"Il primo presidente di Cassazione guadagna quella cifra e basta. I politici hanno rimborsi spese di ogni tipo, mutue, facilitazioni pensionistiche, diarie giornaliere impressionanti".
Che fare?
"Basterebbe dire che quel parametro illustre dev'essere il massimale onnicomprensivo. E non una rampa di lancio potenzialmente illimitata. Ma poi mica ci siamo solo noi politici nazionali. Vogliamo parlare di enti locali, authority, società miste? Bisogna mettere un freno alla proliferazione locale di società miste e agenzie che duplicano gli assessorati".
Clientela pura, spesso.
"È la nuova Tangentopoli. Anzi, peggio.
Perché è legalizzata. Formalmente è tutto in regola. Ma sono voti scambiati con assunzioni e prebende".
E gli stipendi d'oro nel parastato?
"Immorali, infatti in sede di Finanziaria si è provato a mettere un tetto al numero dei consiglieri nei cda e agli stipendi".
Sul tetto agli stipendi, però, c'è chi dice che così facendo nessun bravo manager si concederà più al pubblico.
"Scemenza grossa come una casa. Abbiamo pagato per anni stipendi miliardari a manager che venivano dal privato. Ora li stiamo mandando a casa con buonuscite favolose. Ebbene, questi 'super-eroi' come hanno amministrato treni, aerei, strade?".
Lei era il simbolo dell'italiano che s'indigna per sprechi e ruberie. Adesso che le dice la gente per strada?
"C'è chi magari ancora mi abbraccia, ma poi mi dice all'orecchio: era meglio quando facevi il magistrato. È una cosa che mi addolora tantissimo. Penso ai senatori che lavorano 20 ore al giorno sulla Finanziaria o a certi sindaci che per pochi soldi rischiano la vita. E penso che non è giusto fare di ogni erba un fascio. Però se tutti ci dicono le stesse cose, a noi politici, significa che in generale il sistema non va.
E che dobbiamo cambiarlo".

 


Stipendi deputati

 Indennità lorda (per 12 mesi) 11.190,89

Indennità netta 5.419,46

Diaria (ridotta di 206,58 euro per ogni giorno

di assenza dalle sedute con votazioni) 4.003,11

Spese per rapporto con gli elettori 4.190,00

(inclusi eventuali portaborse)

Assegno di fine mandato (80 per cento

dell'importo mensile lordo dell'indennità per ogni anno di mandato o frazione non inferiore a sei mesi)

Assegno vitalizio (a 65 anni riducibili a 60

in base al numero di anni del mandato) tra il

25 e l'80 per cento dell'indennità parlamentare

Inoltre

Nessun pedaggio su autostrade italiane

Libera circolazione sui treni, in Italia

Libera circolazione marittima, in Italia

Voli aerei nazionali gratis

Trasferimenti dal luogo di residenza all'aeroporto

più vicino e tra Fiumicino e Montecitorio:

forfait trimestrale (dimezzato per gli eletti

nel collegio di Lazio 1) 3.323,70

(per chi dista dall'aeroporto più di 100 km.) 3.995,10

Rimborso annuale per viaggi all'estero (per

studio o attività connesse a quella parlamentare) 3.100,00

Rimborso annuo per spese telefoniche 3.098,74

Assistenza sanitaria integrativa

Barberia a prezzi scontati

Buvette a prezzi scontati

Ristorante interno alla Camera

Sconti per l'acquisto di automobili, apparecchi telefonici e altro (offerti da produttori e negozi di loro iniziativa)

Libero ingresso nei cinema e nei teatri

(offerto dai gestori delle sale)

 

 


Acqua benedetta

 Scuole. Servizi. Ici. Radio. Parrocchie. Ecco tutti i privilegi che lo Stato italiano riserva alla Chiesa

Il più noto è l'8 per mille più antico, l'extraterritorialità, garantita a tutte le proprietà della Santa Sede fuori dalle mura vaticane. I privilegi della Chiesa, codificati specie nei due Patti lateranensi, il Trattato e il Concordato, si nascondono più spesso tra le pieghe delle Finanziarie e nel corpus della normativa di casa nostra. Non tutti sanno che la manovra 2005 finanzia con 15 milioni il Centro San Raffaele del Monte Tabor di don Luigi Verzè. O che la stessa legge fissa a un milione il finanziamento per "l'aggiornamento della tecnologia impiegata nel settore della radiofonia", limitandolo però a due emittenti: Radio Padania Libera, la radio della Lega Nord, e Radio Maria. Dal 1985, l'8 per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche è "destinato a scopo di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica"; dal 1929, è l'Italia a pagare i 5 milioni di metri cubi d'acqua consumati in media ogni anno dallo Stato pontificio. Per le acque di scarico, Città del Vaticano si allaccia all'Acea, ma non paga le bollette. Quando la società si quota in Borsa, nel '99, i 44 miliardi di lire di debiti li ripiana il ministero dell'Economia. Da quel momento, i circa 4 miliardi di lire annui dovevano essere a carico della Chiesa. La Finanziaria 2004 risolve il caso: stanzia 25 milioni subito e quattro dal 2005 per dotare il Vaticano di un sistema di acque proprio. La stessa manovra prevede 50 milioni, in due tranche per l'Università Campus Bio-Medico, "opera apostolica della Prelatura dell'Opus Dei". Nel 2003 il Parlamento aveva già riconosciuto come parificato l'Istituto di studi politici San Pio V, approvandone il finanziamento annuo di 1,5 milioni. È l'anno in cui si vara la legge sugli oratori: lo Stato riconosce la funzione educativa e sociale dei centri parrocchiali e ne finanzia l'attività. Il record per il 2005 spetta alla parrocchia dell'Addolorata di Tuglie (Lecce): un milione e 180 mila euro per un campo di calcetto, uno di bocce, spogliatoi e servizi. I comuni sono obbligati a versare l'8 per cento degli oneri per l'urbanizzazione secondaria (asili nido, scuole, impianti sportivi di quartiere) alle chiese. Quanto alle scuole cattoliche, che sono la maggior parte delle private, ricevono sussidi statali sotto forma di contributi per la gestione (pari a poco meno di 500 milioni nel 2005), di finanziamenti di progetti per "l'elevazione di qualità ed efficacia delle offerte formative" (un milione destinato alla "formazione del personale dirigente delle parificate"), di contributi alle famiglie. Scelti dalla Cei, ma pagati dallo Stato, gli insegnanti di religione sono stati immessi in ruolo con una legge del 2003. Infine, l'Ici: l'esenzione per gli immobili, anche destinati a uso commerciale, di proprietà della Chiesa cattolica è diventata legge nel 2005.

 


Paradiso Livigno

Come un diritto extradoganale ha reso d'oro la montagna
 

Della vecchia Livigno, il Tibet d'Italia isolato dal mondo per molti mesi l'anno, resta solo la cornice. Uno scenario mozzafiato con le montagne e gli sterminati prati verdi che d'inverno diventano un paradiso per lo sci da fondo. Tutto il resto è stato travolto dai segni del benessere portato dal turismo: decine di insegne, dall'abbigliamento alle profumerie, vetrine scintillanti di telefonini e videocamere, vecchie baite trasformate in hotel e ristoranti. A Livigno tutto è davvero cambiato dai tempi in cui la gente viveva di emigrazione, pastorizia e contrabbando con la Svizzera. Tutto è cambiato, salvo il privilegio che ha fatto da motore alla trasformazione. Nel 1910, infatti, il paese lombardo (4 mila residenti) dell'Alta Valtellina è diventato zona extradoganale. Niente Iva, quindi, né dazi. Il Comune si limita a incassare un balzello, i cosiddetti diritti speciali doganali, sui generi esentasse. Così la benzina costa il 30 per cento in meno. E i turisti vanno a caccia anche di sigarette, liquori, prodotti elettronici. Tutto a prezzi scontati. Un successone, che però provoca giganteschi ingorghi di auto nei periodi di punta. Mentre i Comuni vicini protestano per la concorrenza sleale. Ciascun turista non può fare acquisti per un valore superiore a 175 euro, ma i controlli in un'apposita dogana non sembrano scoraggiare l'esercito dei visitatori, spesso semplici turisti mordi e fuggi. "Che senso ha un privilegio simile per pochi residenti?", si chiedono i critici. Senza però riuscire a espugnare il Tibet della Valtellina.

 

L'Espresso 1-12-06

 

 


 

Link fondamentale:   http://www.societalibera.org/iniziative/20051103_costipolitica/iniziativa20051103.htm

 


Da Il Sole 24 Ore  1 dicembre 2006

L'inchiesta / Debiti e assegni scoperti del senatore Sergio De Gregorio

di Claudio Gatti

L' obiettivo è ambizioso: passare da un singolo voto al Senato a una federazione di movimenti che rappresenti svariate realtà regionali. E con essa andare alla conquista di quell'appetitosa massa elettorale centrista insoddisfatta sia di Romano Prodi che di Silvio Berlusconi. C'è già l'embrione di una struttura nazionale, a sentire il senatore Sergio De Gregorio, 46 anni,eletto a Palazzo Madama con la lista di Di Pietro, passato al Gruppo misto dopo essere stato eletto presidente della Commissione Difesa del Senato con i voti del centro destra.«Presidiamo 10 regioni in Italia,con un grande numero di consiglieri comunali, provinciali e regionali», spiega al Sole 24 Ore. Ci sono anche i soldi. O perlomeno sono in arrivo. A versarli sarà soprattutto il Niapac, ovvero il National Italian American Political Action Committee,una lobby politica statunitense, il cui presidente, Amato Berardi, 48 anni,è presentato come uno dei maggiori sostenitori della nuova entità politica.
«Il Niapac è di gran lunga il nostro maggior finanziatore — spiega De Gregorio —.Si è impegnato a contribuire con 5 milioni di euro all'anno». Una bella somma senza dubbio. Ma, sempre a detta di De Gregorio, è solo un tassello di una partnership strategica. Il piano di marcia prevede un primo passo il 16 dicembre, quando al Teatro Tenda di Napoli si terrà la festa del Movimento Italiani nel mondo e il Niapac sarà presente in forze. Poi, a febbraio, è prevista la prima convention del Movimento. A Filadelfia, la città di Berardi e del Niapac.«Ci sarà una manifestazione di fusione delle due esperienze »,anticipa De Gregorio. «Significa che celebreremo la firma del protocollo d'intesa». Quell'intesa ha due obiettivi primari:uno politico e uno economico. Quello politico è di far crescere il movimento sia in Italia che in Nord America. Quello economico è di usare il network del Niapac per favorire investimenti americani in Italia. In particolare nel Mezzogiorno.
«Col Niapac stiamo strutturando un'ipotesi di un fondo previdenziale che investa in piccole e medie industrie italiane». Ma che c'entrano gli investimenti americani in Italia con la politica? «Con la penuria di prospettive che cista inItalia —spiega De Gregorio —un movimento politico che si proponga di operare nel concreto e di dimostrare che gli italiani nel mondo possono essere un importantissimo punto di riferimento per il finanziamento della libera intrapresa non si pone un obiettivo politico? La politica significa anche concretezza di orientamenti e simbologia concreta delle cose che si dicono».
È evidente che De Gregorio punta molto sul Niapac e sul suo presidente e fondatore, Amato Berardi, presentato come un uomo di grossissima caratura, «presidente di un fondo pensioni da 60 miliardi». Ma, dall'inchiesta del Sole 24 Ore,risulta essere un semplice agente assicurativo, con una storia di dispute per tasse non pagate sia con lo Stato della Pennsylvania che con l'erario federale («Il Sole 24 Ore» ha ripetutamente ma invano contattato l'ufficio di Berardi).
Il Niapac ha una storia di contabilità irregolare e non ha mai avuto a disposizione fondi per più di un paio di centinaia di migliaia di dollari all'anno. Possibile che una persona scaltra come il senatore De Gregorio non sappia che il suo principale finanziatore e partner strategico non ha a propria disposizione neppure un venticinquesimo dei soldi che gli ha promesso? È certamente possibile. Dire infatti che lo stesso senatore ha un passato di contabilità difettosa sarebbe un eufemismo, vista la montagna di assegni scoperti e debiti non pagati da lui accumulati nell'ultimo paio d'anni. Nel corso della sua inchiesta, tra De Gregorio e società da lui controllate, «Il Sole24 Ore» ha trovato evidenze di buchi per circa un milione di euro. Su questo né il senatore né il suo addetto stampa hanno voluto rilasciare commenti.
L'agiografia dedicatagli dalla rivista «Dossier Magazine» (da lui stesso edita) presenta De Gregorio come«un giornalista prestato alla politica», ed effettivamente il suo curriculum è ricco di esperienze di ogni genere, dalla televisione alla carta stampata. Ma non gli è mai bastato avere un piede in una scarpa sola. Prima di diventare giornalista politico è stato giornalista editore imprenditore. Tra le sue iniziative, due agenzie fotovideogiornalistiche, Alfa Press Service e Bvp Broadcast Video Press,società editrice dell'edizione napoletana de «Il Giornale»e quella di«Dossier Magazine», prima quindicinale cartaceo poi giornale online, e ora anche tre società televisive legate a Italiani nel Mondo.
«Il Sole24 Ore» ha inoltre saputo che una grande banca nazionale ha recentemente dato mandato a uno studio legale napoletano di avviare un'iniziativa legale per recuperare circa 600mila euro prestati alla Broadcast Video Press, di cui De Gregorio detiene il 98%,e mai restituiti. Dalle visure camerali sulla Broadcast Video Press risulta inoltre che quella società ha emesso assegni scoperti per 82mila euro mentre la socia di minoranza ne ha emessi altri per 25.560 euro.
Altri assegni scoperti sono segnalati in una visura camerale sulla Aria Nagel Associati Srl, società pubblicitaria oggi in liquidazione di cui negli ultimi anni De Gregorio ha avuto la maggioranza assoluta. In questo caso è risultato che De Gregorio ha emesso assegni scoperti per un totale di 87.240euro, la Aria Nagel per 127.806 euro e l'amministratore unico al quale De Gregorio ha lasciato il timone della società altri 67.044 euro. All'inizio di quest'anno la sua situazione debitoria è stata ritenuta così grave dai soci di De Gregorio nella cooperativa International Press da spingerli a chiedere — e ottenere —le sue dimissioni per non compromettere la reputazione di quella cooperativa e del giornale da esso editato,l'Avanti. Peccato, perché nei panni di consigliere delegato, direttore editoriale e firma di punta,De Gregorio era stato uno dei responsabili del rilancio della storica testata socialista dopo il crollo del Psi di Bettino Craxi.
Non era stata cosa facile, avendo il giornale perso sia il partito di riferimento che le sovvenzioni statali. Ma De Gregorio aveva fatto tutto il possibile perché il giornale potesse farsi notare. Passata alla storia è stata la serie di durissimi articoli inchiesta sull'Alitalia partita il 23 gennaio 2002. Per giorni «l'Avanti» pubblicò un pezzo più duro e sferzante dell'altro. Tutti a firma di De Gregorio. E tutti con la preoccupante (per l'Alitalia) parolina «segue» in calce. Fino alla quarta puntata. Poi apparve una bella pubblicità della compagnia di bandiera nazionale.


Da www.primadinoi.it 30/11/2006 10.24

Costo del consiglio regionale: «5 milioni di euro in più in soli 3 anni»

Inviato da Redazione

 ABRUZZO. Dal consuntivo 2004 al previsionale 2007 le spese del consiglio regionale sono aumentate in maniera vertiginosa: da 25.640.000,00 a 30.695.000,00. + 500 mila euro solo per le spese di amministrazione. Oltre 700 mila gli euro spesi in "rappresentanza". Ma a cosa sono dovuti gli aumenti? Secondo il presidente del consiglio Marino Roselli alle pulizie, fitti, manutenzione, noleggio, quotidiani, vestiario, cancelleria. Non sono stati sentiti i sindacati per l'incremento del costo del personale.

A denunciare una situazione che «evidentemente è sfuggita di mano a qualcuno» è il capogruppo di An in consiglio regionale, Alfredo Castiglione, che ieri mattina in prima commissione ha ribadito il suo no al bilancio previsionale del consiglio per il 2007.
Un dettaglio, quelle delle spese, che potrebbe provocare qualche fastidioso mal di stomaco a quanti in questi giorni hanno appreso la necessità di dover pagare più tasse…
A cosa sono da addebitare questi 5 milioni extra che hanno fatto crescere le spese e far toccare la soglia dei 30 milioni di euro? Difficile stabilirla anche per chi, in teoria, dovrebbe tenere sotto controllo il bilancio della grande famiglia Abruzzo.
La commissione, precedentemente rinviata proprio su richiesta dell'esponente di An, ieri ha ascoltato il presidente Roselli, ma lo stesso, conferma Castiglione «nonostante fosse supportato da due dirigenti regionali, non ha voluto o saputo fornire il dettaglio delle singole voci previste per spese, come quelle di amministrazione (3.345.000,00) che hanno subito incrementi più significativi (di oltre 500.000,00), limitandosi a fornire un elenco generico di spese, come pulizia, fitti, manutenzione, noleggio, quotidiani, vestiario, cancelleria., etc».
Uno degli aspetti «più incredibili di questa pantomima», come la definisce Castiglione « è che, malgrado rispetto al previsionale dello scorso anno il costo per la gestione del personale sia aumentato di un milione e messo di euro, a tal riguardo non siano state ascoltate neanche le rappresentanze sindacali, né in sede di redazione del documento né in audizione successiva, come da me richiesto».
Altra voce consistente riguarda le spese di supporto alla rappresentanza e le spese di rappresentanza, di appannaggio esclusivo della presidenza, che insieme hanno superato i 700.000,00 euro.
«Cos'altro esprimere se non il nostro sconcerto», conclude Castiglione, « se da parte della Giunta si annuncia una politica di rigore (ben lungi dall'essere messa in pratica) e l'aumento delle imposte non per pareggiare i bilanci delle ASL ma per coprire spese che D'Amico non vuole diminuire, in Consiglio si parla un'altra lingua e soprattutto si razzola molto diversamente: spese pazze e incontrollate, in spregio della più volte richiamata – anche dal presidente Marini - necessità del contenimento dei costi della politica».
Castiglione chiede al presidente Roselli «uno stile più parco e consono ai difficili tempi che la regione sta attraversando».


 

 



La Stampa 20-11-06

La spesa gonfiata dai partiti


Ci costano 4 miliardi di euro l’anno i quasi 428 mila consulenti e portaborse degli eletti.
Diventa un’emergenza nazionale la modifica della legge

MICHELE AINIS

L’onda dell'illegalità in Italia è diventata uno tsunami. Lo attesta il rapporto di Transparency International, appena pubblicato: siamo penultimi in Europa per grado di corruzione pubblica e privata, precipitiamo dal 40° al 45° posto su scala planetaria, peggio della Giordania o del Botswana. Intanto lievita il conto che ci presenta la politica: secondo un'indagine di Salvi e Villone sfiora i 4 miliardi di euro, che impinguano le tasche di 427.889 addetti a tale redditizia professione. C’è un nesso tra questi fenomeni? Sì, e chiama in causa la struttura dei partiti e il cancro che vi si è annidato.

Anche a scapito della legalità Intendiamoci: la democrazia ha un costo che non è possibile azzerare. I partiti sono pur sempre l'«ossatura politica» del popolo, come diceva Montesquieu. Ma soffrono d'una malattia degenerativa indicata già nel 1949 da Giuseppe Maranini: la partitocrazia, la presa dei partiti su ogni ganglio della vita sociale, la loro trasformazione in corpi burocratici, impermeabili per chi non ne sia cliente. Nel passaggio alla Seconda Repubblica questo morbo si è aggravato. I vecchi partiti di massa hanno ceduto spazio a un nugolo di partiti personali, dalla Lista Bonino a Di Pietro, a varie altre che spesso durano il tempo d'un fiammifero. Le sedi sono vuote di militanti, rimpiazzati tuttavia dall'esercito dei consulenti, dei portaborse, dei famigli degli eletti. Si è svuotata pure la fiducia degli italiani nei partiti: ci crede ancora solo il 4,4% della popolazione, secondo una rilevazione Censis 2000. Ma in compenso ne è cresciuto a dismisura il numero, a ogni elezione troviamo sulla scheda verdi di destra e di sinistra, cattolici doc in varie sigle, o il paradosso di due partiti comunisti l'un contro l'altro armati.

Affonda qui la radice del problema. E’ il numero dei partiti che gonfia la nostra spesa pubblica, anche a scapito della legalità. Se invito tre o quattro commensali, di pur robusto appetito, non mi ripuliranno la dispensa come se ne avessi invitati una ventina, quanti sono i partiti oggi in Parlamento. E infatti la misura dei contributi pubblici ai partiti si è impennata del 968% in un decennio. Il costo di Camera e Senato è cresciuto del 15% e del 39% nell'ultima legislatura, ben oltre l’inflazione. Il governo Prodi ha battuto ogni precedente record quanto a scranni di ministri, viceministri, sottosegretari: 102. In questa Finanziaria di lacrime e sangue Palazzo Chigi costa 17 milioni in più rispetto all'anno scorso.

Tagliare quell’idra a cento teste D’altra parte se ti tocca governare con una coalizione di 9 partiti, ciascuno dei quali ha potere di vita e di morte sul tuo esecutivo, devi soddisfarne ogni pretesa. Non puoi sbaraccare per esempio gli enti inutili, giacché ai partiti sono utili per distribuire prebende. E allora non ti resta che imporre nuove tasse. Ma una pressione fiscale intollerabile stimola di fatto l'evasione: secondo un'indagine Eures del 2004, per il 60% degli italiani ne è la prima causa. La questione partitica si converte dunque in questione morale, l'illegalità si propaga dal Palazzo ai cittadini. Da qui l’urgenza di ridisegnare questa scena politica sin troppo affollata d’attori e comprimari. Da qui, in breve, la modifica della legge elettorale come autentica emergenza nazionale. Ma è possibile un suicidio di massa dei partiti? Quando il riformatore coincide con il riformato, l’esperienza insegna che la riforma non vedrà mai la luce. Sennonché c'è un referendum già depositato in Cassazione, e il suo primo effetto è di tagliare quell'idra a cento teste che è ormai il nostro sistema dei partiti. Forse il partito democratico, o quello delle libertà nel centro-destra, nasceranno sulla scia d'un referendum.




(Dal quotidiano Roma del 17/11/2006 )

17/11/2006 - Gli scandalosi costi della politica     di Gerardo Mazziotti    

 

Il libro “Il costo della democrazia” di Cesare Salvi e Massimo Villone, edito da Mondadori nel dicembre 2005, tre mesi dopo il mio “L’assalto alla diligenza”, contiene un’analisi dei costi della politica italiana con alcune generiche proposte di soluzione. I due senatori diessini sono convinti che “questi fenomeni sono causati da una caduta di tensione ideale e di rigore morale”. E Fassino, di fronte alla moltiplicazione delle commissioni consiliari di alcune Regioni rosse, pronunciò nel luglio dell’anno scorso una frase lapidaria: «Guai a dimenticare che il fiume della politica deve scorrere nel letto dell’etica e della morale”». Aggiungo che, dopo aver letto il mio libro, il senatore Salvi mi ha scritto il 27 ottobre 2005 per complimentarsi “dell’eccellente lavoro di ricognizione e anche propositivo, anche se, com’è naturale, per questo secondo aspetto c’è qualche divergenza rispetto all’impostazione che ho svolto insieme a Massimo Villone nel nostro libro, che le invierò per avere un suo giudizio”. Le loro proposte puntano sulla modifica del finanziamento pubblico dei partiti perché diano garanzie di democraticità, su una generica riduzione dei parlamentari, sulla non proliferazione delle Province e delle Comunità montane, su una legge elettorale che riduca i costi della politica, sul rilancio dei referendum per coinvolgere maggiormente i cittadini, sullo stop (è scritto proprio così) alla spartizione e alla moltiplicazione di incarichi e consulenze, su una sanità non più lottizzata, su un ripensamento del federalismo, sulla ricerca della responsabilità perduta (una specie di viaggio prustiano) e, infine, su trasparenza, trasparenza, trasparenza, (ripetuta borrellianamente tre volte per dire basta a una “gestione oscura della cosa pubblica all’interno di certi studi professionali”, contestata recentemente dal sempiterno De Mita al governatore Bassolino). Nei giorni scorsi abbiamo appreso che i due senatori diessini, con l’aiuto del deputato Valdo Spini, hanno deciso di presentare tre disegni di legge per fare risparmiare a questo disastrato paese almeno 6 milioni di euro l’anno grazie alla riduzione degli attuali 945 parlamentari a 600 (400 deputati e 200 senatori), alla soppressione delle Province, al contenimento entro 40 del numero dei ministri e dei sottosegretari (gli Usa e la Germania hanno governo composti da 15 ministri e altrettanti sottosegretari), alla soppressione di una serie di enti inutili (ne elencano solo sei lasciandone in vita diecine di migliaia come le società miste) e, infine, alla profonda riorganizzazione delle formazioni politiche con sanzioni per quelle che non rispettano il metodo democratico (una legge alla tedesca, per intenderci). Mi è facile osservare: a) che la riduzione dei parlamentari a 600 è esattamente quella contenuta nella Devolution del centrodestra, contestata anche da Salvi e Villone e bocciata dal referendum, perché è senza una convincente ragione il fatto che un paese di 56 milioni di abitanti abbia un Parlamento superiore a quello degli Usa, la potenza mondiale di 300 milioni di abitanti, costituito da 435 deputati e da 100 senatori; b) che hanno votato la fiducia a un governo composto da ben 103 tra ministri, vice e sottosegretari e che, volendolo ridurre a 40 componenti, basterebbe invitare Prodi a farlo subito senza bisogno di una legge costituzionale visto che la nostra Costituzione, all’art. 92 , non fissa alcun numero; c) che per eliminare i mille sprechi della politica occorre ridurre a 150 deputati e 50 senatori il numero dei parlamentari (metà di quelli Usa), eletti al massimo due volte e senza gli attuali inverecondi privilegi, istituire tre macroregioni, sopprimere tutti gli enti inutili, dalle Province alle Comunità montane e alle società miste. E affidare a citymanagers l’amministrazione degli ottomila Comuni, come suggeriscono esperienza e buon senso..





Da Il Corriere della Sera (14-11-2006).

 I partiti e il business dei rimborsi elettorali. 

Nel 2006 le forze politiche hanno ricevuto oltre 200 milioni.  Di Sergio Rizzo Gian Antonio Stella

 

Il caso dei Pensionati, che per le ultime Europee hanno ottenuto centottanta volte quello che avevano investito. L’eccezione dei radicali. Spesi 16 mila euro, incassati tre milioni

        

Il radiotelegrafista Fatuzzo Carlo, giunto alla veneranda età di 43 anni, intercettò sulle onde elettromagnetiche un’ispirazione: datti alla politica. Detto fatto, fondò il partito dei pensionati. Il più redditizio del mondo. Basti dire che nella campagna per le ultime europee investì 16.435 euro ottenendo un rimborso centottanta volte più alto: quasi tre milioni. Un affare mai visto neanche nelle fiammate borsistiche della corsa all’oro di internet. Eppure, il suo è solo il caso più plateale. Perché, fatta eccezione per i radicali, quei rimborsi sono sempre spropositati rispetto alle somme realmente spese. E dimostrano in modo abbagliante come i partiti, negli ultimi anni, abbiano davvero esagerato. Il referendum del 18 aprile ’93 era stato chiarissimo: il 90,3% delle persone voleva abolire il finanziamento pubblico dei partiti. Giuliano Amato, a capo del governo, ne aveva preso atto con parole nette: «Cerchiamo di essere consapevoli: l’abolizione del finanziamento statale non è fine a se stessa, esprime qualcosa di più, il ripudio del partito parificato agli organi pubblici e collocato tra essi».

Certo, il voto era stato influenzato dal vento impetuoso della rivolta morale contro gli abusi della Prima Repubblica, travolta da mille scandali. E magari è vero che conteneva una certa dose di antiparlamentarismo, trascinato da mugghianti mandrie di torelli giustizialisti che presto si sarebbero trasformati in pensosi bovi garantisti. Di più: forse era solo una illusione velleitaria l’idea che una democrazia complessa potesse reggersi sulla forza di partiti dalle opinioni forti e dai corpi leggeri come piume. Maanche chi da anni teorizza la necessità che la società si faccia carico di mantenere i partiti quali strumenti di democrazia, dovrà ammettere che la deriva fa spavento. Ve lo ricordate perché nacquero, i rimborsi elettorali? Per aggirare, senza dar nell’occhio, quel referendum del ’93. E sulle prime l’obolo imposto era contenuto: 800 lire per ogni cittadino residente e per ognuna delle due Camere. Totale: 1.600 lire. Pari, fatta la tara all’inflazione, a un euro e 10 centesimi di oggi. Erano troppo pochi? Può darsi. Certo è che, via via che l’ondata del biennio ’92/’93 si quietava nella risacca, i partiti si sono ripresi tutto. Diventando sempre più ingordi. Fino a divorare oggi, nelle sole elezioni politiche, dieci volte più di dieci anni fa. Eppure, la prima svolta sembrò già esagerata. Era il 1999. L’idea transitoria del 4 per mille (volontario) sul quale i partiti prendevano degli anticipi, si era rivelata un fallimento.

A marzo, con un pezzo della destra che denunciava l’ingordigia dei «rossi», passarono l’abolizione delle agevolazioni postali in campagna elettorale e l’eliminazione dell’anticipo: i partiti avrebbero dovuto restituire in 5 anni, nella misura del 20% annuo del totale, le somme «eventualmente ricevute in eccesso». Macché. Non solo la restituzione fu svuotata dalla scelta di non varare mai (mai) il decreto di conguaglio. Ma due mesi dopo, col voto favorevole d’una maggioranza larghissima e il plauso anche della Lega («Questa legge ci avvicina all’Europa», disse Maurizio Balocchi, coordinatore dei tesorieri dei partiti) passò un ritocco assai vistoso: da 800 a 4.000 lire per ogni elettore e per ogni camera alle Politiche. Più rimborsi analoghi per le Europee e le Regionali. Più un forfait, volta per volta, per le elezioni amministrative. Una grandinata di soldi mai vista prima. Che avrebbe portato nel 2001 le forze politiche a incassare in rimborsi oltre 165 miliardi di lire, pari a 92.814.915 euro. Una somma enorme. Eppure l’anno dopo, a maggioranza parlamentare ribaltata, mentre invitavano gli italiani a tenere duro perché dopo l’11 settembre i cieli erano foschi, i partiti erano ancora lì, più affamati di prima. Ricordate le risse di quel 2002? La destra irrideva agli anni del consociativismo cantando le virtù della nuova era dove mai i suoi voti sarebbero stati mischiati a quelli «comunisti». La sinistra barriva nelle piazze che mai si sarebbe lasciata infettare da un accordo con l’orrida destra.

Finché presentarono insieme una leggina, firmata praticamente da un rappresentante di ciascun partito perché nessuno gridasse allo scandalo (Deodato, Ballaman, GiovanniBianchi, Biondi, Buontempo, Colucci, Alberta De Simone, Luciano Dussin, Fiori, Manzini, Mastella, Mazzocchi, Mussi, Pistone, Rotondi, Tarditi, Trupia, Valpiana) che portava i rimborsi addirittura a 5 euro per ogni iscritto alle liste elettorali e per ciascuna delle due Camere. Una scelta discutibile con l’aggiunta di una indecente furberia: anche il calcolo dei rimborsi per il Senato andava fatto sulla base degli elettori della Camera. I quali sono, senza calcolare gli italiani all’estero, 47.160.244. Contro i 43.062.020 degli aventi diritto a votare per Palazzo Madama: 4.098.224 in meno. Risultato: si sono accaparrati, solo quest’anno, con quel trucchetto, 20.491.120 euro in più. Il triplo, per dare un’idea, di quanto è costata a Padova la «Città della speranza» che grazie alla generosità dei benefattori privati riesce a svolgere il ruolo di Centro diagnostico nazionale a disposizione di tutti gli ospedali italiani per l’individuazione e la cura delle leucemie infantili. O, se volete, quanto è stato investito in dieci anni nella ricerca dal centro patavino. Totale dei rimborsi elettorali per il 2006: 200.819.044 euro. Una montagna di denaro destinata l’anno prossimo, dice la Finanziaria, a crescere ancora di altri 3 milioni e mezzo di euro.

Confronti: i partiti assorbono oggi oltre il doppio (quasi 201 milioni contro quasi 93) di quanto assorbivano cinque anni fa. Il balzello è passato dal 1993 ad oggi, con l’appoggio, la complicità o il tacito consenso di tutti (salvo le eccezioni di cui dicevamo e un po’ di distinguo) da 1,1 a 10 euro per ogni cittadino. E ogni ciclo elettorale (politiche, regionali, europee, amministrative...) ci costa ormai un miliardo di euro a lustro. Per carità, qualcuno cui tutto questo sembra abnorme, c’è. Lo si è visto anche ieri con la richiesta di nuove regole di Cesare Salvi, Massimo Villone e Valdo Spini. I quali hanno rilanciato in parte anche le proposte di Silvana Mura, la tesoriera dell’Italia dei Valori che ha presentato due emendamenti alla Finanziaria per limitare i rimborsi almeno al calcolo di chi è andato a votare e abrogare una leggina approvata dal precedente parlamento che stabilisce lo scandaloso principio in base al quale i rimborsi elettorali (erogati in tranche annuali) sono dovuti anche nel caso di scioglimento anticipato delle Camere. Scelte di pura decenza, eppure devastanti. Lo dice il confronto fra le somme spese effettivamente per le campagne elettorali, e accertate da un’indagine della Corte dei Conti (l’unico che ci permette di compilare tabelle omogenee) sulle Europee del 1999 e del 2004. La differenza, come si nota, è scandalosamente enorme. E non solo per il Partito dei pensionati, che già nel ’99 aveva ricevuto 76 volte ciò che aveva speso. Basti vedere il guadagno della Fiamma Tricolore (che ha incassato 81 volte di più), di Rifondazione (13 volte di più), dei Comunisti Italiani (12 volte di più), dell’Ulivo (7,8 volte di più), di Alessandra Mussolini (6 volte di più), della Lega (5,9 volte di più) ma anche dei grandi partiti. Totale delle spese accertate: 88 milioni di euro. Totale dei rimborsi: 249. Quasi il triplo.

Sergio Rizzo Gian Antonio Stella

14 novembre 2006

 


Da  www.arezzonotizie.it

No alla riduzione dei costi della politica

 

Bocciato dal Consiglio Comunale l’atto di indirizzo presentato da Manneschi (città aperta democratici per arezzo) sulla riduzione dei costi della politica.
“Nonostante le modifiche da me apportate recependo alcune proposte dei consiglieri intervenuti nel dibattito l’atto è stato votato solo da 2 consiglieri oltre al sottoscritto (Pelini della Rosa nel Pugno e Domini della Margherita)”– dichiara Manneschi –“sono dispiaciuto per una occasione persa per il centro sinistra di affrontare con coraggio una questione sinora sottovalutata e che genera distacco e sfiducia da parte dei cittadini”.

“La politica non deve avere paura di affrontare il tema ma deve essere consapevole che negli ultimi anni i suoi costi, anche nella nostra piccola realtà, ed anche grazie al centro destra che ha deciso di aumentare significativamente alcune indennità, sono aumentati.
Mi aspettavo dal centro sinistra maggiore lungimiranza ma, evidentemente, i tempi non sono ancora maturi per invertire realmente la rotta ed evitare che la politica venga percepita come arrivismo e carrierismo (vi sono ormai decine di incarichi negli enti partecipati retribuiti alla stregua di un vero e proprio lavoro per espletare i quali sono sufficienti poche ore settimanali di impegno).

Mi sono astenuto sull’atto alternativo presentato da Gasperini, Nicotra e Arcangioli perché troppo generico e sostanzialmente dilatorio.
Nessuna delusione per l’atteggiamento del centro destra che appena 1 anno fa innalzò i gettoni di presenza della Fraternità a 150 euro e creò (dopo oltre otto secoli di volontariato) l’indennità di carica per il primo rettore.
Allora il centro sinistra si oppose…
L’impegno perché i cittadini si sentano più coinvolti nelle istituzioni continuerà senza farsi scoraggiare da questi deludenti risultati.”

redazione@arezzonotizie.it - u.s.

 


Da www.parlamento.toscana.it 09/11/2006

Istituzioni, Nencini interviene sui costi della politica

 

Il presidente del Consiglio: “Torniamo volentieri sull’argomento con cifre puntuali fornite dai nostri uffici”. “I costi complessivi della politica istituzionale in Toscana - ha sottolineato Nencini - sono decisamente più contenuti che altrove”

 

Firenze –“Già lo scorso anno tenemmo in Consiglio regionale un incontro con la stampa per spiegare le voci di bilancio relative al costo complessivo sostenuto dall’istituzione per i consiglieri regionali, e già in quell’occasione apparve chiaro come il Consiglio regionale toscano fosse tra i più virtuosi nel panorama nazionale. Torniamo volentieri sull’argomento con cifre fornite dai nostri Uffici per evitare che vi siano incerte ricostruzioni”. Così Riccardo Nencini, presidente del Consiglio regionale, interviene sui ricenti passaggi di cronaca, relativi ai costi della politica in Toscana. “Il Consiglio regionale, per numero di sedute consiliari, per attività delle commissioni, e per qualità e quantità delle iniziative politico -istituzionali – Festa della Toscana, Pianeta Galileo, Parlamento degli Studenti, Angeli del Fango, costituzione della Pinacoteca di arte contemporanea, iniziative nelle scuole, etc - è considerato un’esperienza all’avanguardia e un esempio da ripetere in Italia. A dirlo, è il Rapporto sulla legislazione 2005 discusso dalle assemblee regionali a Montecitorio nel giugno dello scorso anno”. Nencini continua: “Il nostro bilancio appena due anni fa è stato preso a modello dal parlamento irlandese, e siamo a tutt’oggi tra i protagonisti – riconosciuti per metodo elettivo – dei consessi istituzionali ed assembleari in ambito comunitario”. “I costi complessivi della politica istituzionale in Toscana sono decisamente più contenuti che altrove”, afferma il presidente (si veda Allegato 1, ndr), che chiarisce: “Il costo annuale per quindici consiglieri, come da dati forniti dai nostri uffici, è pari a 2.088.734,4 euro”. Sulla questione delle indennità e dei benefit dei consiglieri, argomento anch’esso venuto al centro delle cronache correnti, Nencini ricorda che “la Toscana si colloca agli ultimi posti in Italia”, e che “I controlli, a garanzia piena della trasparenza dell’attività di tutti i consiglieri regionali, sono esercitati sistematicamente e da tempo: disciplina delle presenze, disciplina del comportamento in aula, disciplina sull’utilizzo dell’autovettura di servizio, disciplina delle missioni, taglio di alcune voci dell’indennità in caso di assenza”. “Nonostante questo il nostro bilancio è costantemente sotto controllo, e pensiamo ad un ulteriore contenimento della spesa – annuncia Nencini: in un momento in cui vengono richiesti sacrifici all’intera società, dobbiamo dare il primo esempio. Stiamo lavorando ad una revisione degli enti nominati dalla Regione”. Conclude Nencini: “Il parlamento regionale è una Istituzione seria, che rappresenta tutti i toscani, che ha in capo funzioni di controllo e che, lo ricordo, approva le leggi che interessano la nostra comunità: funzioni che il governo della Regione è tenuto a ripettare come sovrane, a cominciare dal vicepresidente della Giunta regionale”. (Cam)

 

 


 


Dal Corriere della sera del 7-11-2006

 Le regioni. Stipendi dei consiglieri, il taglio diventa finto

 

Dalla Toscana al Veneto alla Sicilia, le leggine regionali per «limitare» il sacrificio

Gian Antonio Stella

 

 

Ricordate la riduzione del 10% degli stipendi dei politici, dai parlamentari ai consiglieri circoscrizionali? Doveva essere un taglio, è diventato un taglietto. Meglio: un tagliettino. Doveva dimostrare che quanti governano, in questi anni di magra, danno il buon esempio. E' diventato la prova, l'ennesima, che le sforbiciate non passano mai, nei palazzi del potere. Doveva far risparmiare un piccolo tesoro da distribuire «a fini di solidarietà».
E invece offre nuovi spunti a chi dice, sfidando l'accusa di qualunquismo, che su certe cose (eccezioni a parte) sono tutti uguali. Una delle furbate messe a punto per aggirare il taglio del 10% degli stipendi è finita in Consiglio dei ministri non più tardi di quattro settimane fa, il 6 ottobre. Quando il governo, reduce dal varo di una manovra pesantissima motivata con la necessità di far quadrare i conti, è stato chiamato a dir la sua su una legge della Toscana (la 36/2006) che interpretava in modo «elastico» il taglio deciso da Giulio Tremonti nella sua ultima Finanziaria. E poiché non ha trovato motivi per opporsi e impugnare tutto, le nuove norme sono state pubblicate sulla Gazzetta ufficiale del 28 ottobre. Diventando operative, sconti compresi.
Diceva il comma 54 dell'articolo 1 della Finanziaria tremontiana: «Per esigenze di coordinamento della finanza pubblica, sono rideterminati in riduzione nella misura del 10 per cento rispetto all'ammontare risultante alla data del 30 settembre 2005 i seguenti emolumenti: a) le indennità di funzione spettanti ai sindaci, ai presidenti delle province e delle regioni, ai presidenti delle comunità montane, ai presidenti dei consigli circoscrizionali, comunali, provinciali e regionali, ai componenti degli organi esecutivi e degli uffici di presidenza dei consigli dei citati enti; b) le indennità e i gettoni di presenza spettanti ai consiglieri circoscrizionali, comunali, provinciali, regionali e delle comunità montane». E per non lasciare spazio ai dubbi dei maghi del cavillo («per indennità di funzione intendesi forsanco...») il punto «c» precisava che andavano tagliate «le utilità comunque denominate spettanti per la partecipazione ad organi collegiali». Insomma: tutto. Tanto più che gli stipendi dei politici, dai deputati ai consiglieri regionali, sono composti sempre da più voci (rimborsi viaggi, indennità di missione, assunzione di assistenti...) tradizionalmente usate per aggirare questo o quel problema. A partire, per dirla tutta, dalle imposte.
Tutto chiaro? Chiarissimo. Eppure, avute tra le mani le norme, il consigliere regionale toscano Jacopo Maria Ferri ha levato il ditino: eh no, così non va. E ha cominciato a cercare, uno per uno, i punti in cui la legge poteva essere aggiustata. Chi sia il giovanotto è presto detto: un idealista. Figlio di Enrico Ferri, il leggendario ministro socialdemocratico dei Lavori pubblici ricordato per la barbetta risorgimentale e il tentativo di obbligare gli italiani a non superare i 110 all'ora, il giovanotto succhia politica da quando gli diedero il primo biberon. E ha continuato a succhiare. Eletto due volte consigliere regionale per Forza Italia, il giorno in cui il babbo (due volte eurodeputato berlusconiano) decise di lasciare gli azzurri alla vigilia delle elezioni del 9 aprile per passare all'Udeur, si trovò davanti a un dilemma: scegliere il papà o il Cavaliere? Scelse il papà, con allegato Mastella. Restando imbullonato al seggio regionale e insieme a quello di consigliere del «Consorzio per lo sviluppo della ricerca geofisica mineraria applicata e ambientale».
Chi presiede il Consorzio? Papà Enrico. Chi sono i soci? Uno è il «Centro lunigianese di studi giuridici», guidato da sempre da papà Enrico. L'altro il Comune di Pontremoli, del quale (dopo una complicata vicenda di ineleggibilità, ricorsi, sospensive del Tar che non staremo a riassumere) fa oggi le funzioni di sindaco, dopo essere stato podestà quattro volte dal giurassico al proterozoico, sempre lui: papà Enrico. Se sia stato il babbo a suggerirgli gli aggiustamenti non si sa. Certo è che Jacopo, con l'appoggio di un collega di An, l'aretino Maurizio Bianconi, presenta a giugno una leggina. La quale interpreta a modo suo il comma 54. E dice che no, le percentuali del rimborso spese mensile vanno calcolate «senza tenere conto della riduzione del 10%». Che questa riduzione «non si applica alla diaria mensile». Che i gettoni di presenza devono continuare ad essere distribuiti come prima in base alla consuetudine che «si considera presente il Consigliere che facendo parte di più organi collegiali, abbia partecipato nella giornata alla riunione di uno degli organi». Che la «determinazione dell'ammontare dell'assegno vitalizio spettante ai consiglieri cessati dal mandato» va calcolata anche quella «senza tenere conto della riduzione del 10% dell'indennità mensile» e così pure la «determinazione dell'ammontare dell'indennità di fine mandato».
A farla corta: la leggina regionale, su cui Francesco Storace sta per presentare una scandalizzata interrogazione parlamentare, riduce il taglio al minimo del minimo. E chi la vota, in aula? I Ds si chiamano fuori. E votano contro: «Ci pareva assurdo, in un momento come questo, esporci all'accusa di farci gli affari nostri», spiega il presidente della giunta regionale Claudio Martini. Tutti gli altri, a favore. Compresi quelli che si rifiutano perfino di andare insieme in piazza contro il terrorismo. Da An a Rifondazione, da Forza Italia ai comunisti italiani, dall'Udc alla Margherita ai Verdi. Tutti uniti nella Grosse Koalition del Rimborson. Un caso isolato? Ma niente affatto.
La scappatoia alla sforbiciata l'hanno data in tanti. Scegliendo, qua e là, soluzioni diverse. Il Veneto, roccaforte della destra, ha optato per l'escamotage della Toscana, roccaforte della sinistra: solo taglietto alla voce indennità con l'esclusione delle altre. Fine. La Sicilia ha battuto altre strade. Ce le dicono due buste paga (aprile 2005 e agosto 2006) di Salvatore Centola, un deputato udc dell'Ars cui va riconosciuto avere il coraggio di rendere pubblici i suoi stipendi. Da cui si vede che l'indennità è stata un po' tagliata (non del 10%: del 7,3%) ma in compenso è stata più che raddoppiata (da 443 a 1.107 euro al mese) la «indennità DPA 79/75» e portata a 345 euro la «franchigia telefonica» e altro ancora. Ma soprattutto è stata radicalmente tagliata, questa sì, la base imponibile. Così che la ritenuta Irpef lorda è scesa da 4.288 a 3.931 euro. Morale: un deputato siciliano prende più o meno quanto prima.
Del resto è così anche a Roma. I primi a venir tagliati non dovevano essere gli stipendi di deputati e senatori? Bene, i bilanci del Senato (dato ufficiale) dicono che non è andata così. Lo stanziamento del capitolo 1.2.1. (indennità parlamentare) parla infatti di un taglio del 5,51% per l'effetto combinato, parole testuali, «della decurtazione del 10% delle competenze in questione e del successivo incremento delle stesse, ipotizzato nell'ordine del 4,5%, che verrà applicato quando sarà disponibile il tasso di incremento delle retribuzioni della magistratura».

 



 

Da Il Corriere della Sera (1-11-2006).

 «Collaboratori» e «cancelleria»: Palazzo Chigi costa il 69% in più. Di Sergio Rizzo - Gian Antonio Stella 

Spese per lo staff del premier cresciute del 186%   

 

 

«Dobbiamo tagliare», diceva Berlusconi. E le spese di funzionamento di Palazzo Chigi sono passate in pochi anni, nei «suoi» bilanci, da 214 a 302 milioni di euro. Fino a toccare nel 2006, secondo i conti ulivisti (ma la responsabilità va divisa: metà alla destra, metà alla sinistra) i 373 milioni.

«Dobbiamo tagliare», dice Romano Prodi. Ma per le stesse spese prevede di tirar fuori nel 2007, nella «sua» Finanziaria, 17 milioni in più. Fino ad arrivare a 391. Pari a 757 miliardi di lire.
Per carità: è più cara la bolletta del riscaldamento, sono più cari i pieni di benzina, è più cara l'elettricità. Ma capire come le spese vive del «cuore» dello Stato si siano impennate del 69% oltre l'inflazione (13% complessivo) è arduo. Tanto più che i bilanci, come capita nelle società di quei faccendieri che non vogliono curiosi nei dintorni, sono tutt'altro che cristallini.

Una struttura pubblica trasparente deve avere bilanci trasparenti? Qui no. Prendiamo un capitolo: «Spese per acquisto di cancelleria, stampati speciali e ogni altro bene di consumo e/o strumentale necessario al funzionamento degli uffici, per il noleggio e la manutenzione di apparecchiature, attrezzature e restauro di mobili». Cosa vuol dire? Che ci fa il «restauro di mobili» con le matite e le gomme? E di quali «apparecchiature» si tratta? Computer? No, c'è una voce a parte. Anzi, nel bilancio 2005 addirittura tre. Capitolo 213: «Spese per l'installazione, la gestione e la manutenzione degli apparati tecnologici delle reti informatiche e di telecomunicazione»: 4.913.737 euro. Capitolo 913: «Spese per l'acquisto di beni e servizi informatici e telecomunicazioni durevoli»: 1.770.000. Capitolo 909: «Spese per lo sviluppo del sistema informatico e delle infrastrutture di rete»:10.693.383. Qual è la differenza? Boh... L'unica cosa certa è il totale: 17.377.120 euro. Quanto alle «spese di cancelleria», nel 2001 ammontavano a 1.043.242 euro, nel 2005 erano a 2.598.721.

Sono aumentati i dipendenti, quindi la necessità di penne e calamai? Nel faccia a faccia prima del voto, in polemica col Cavaliere, il Professore disse di sì: «Aveva detto che c'erano troppi dipendenti a palazzo Chigi. Erano 4.000 persone, oggi sono 4.200». In realtà, i numeri a bilancio sembrano dare torto a tutti e due. Non erano quattromila ma 3.548 (sulla carta) nel 2001, non sono 4.200 ma 2.974 (sulla carta) alla fine del 2005. Sulla carta, però. Perché esiste da sempre una tale girandola di «comandati», consulenti, provvisori vari da perdere la testa. La riprova? La spesa per il personale, che in base ai numeri appena dati avrebbe dovuto calare di circa un sesto (anche se i dirigenti con le destre al governo sono passati da 310 a 368) è in realtà aumentata, salendo da 76.653.739 euro del 2001 a 134.438.560 del 2005.


Il fatto è che tutto è molto complicato da decifrare. E che a Palazzo Chigi i consulenti (61 nel 2001, 136 nel 2005) e i collaboratori presi in prestito possono essere un esercito. Come quello a guardia di Berlusconi: vi sembrano tanti i 31 agenti che lui stesso si assegnò per quando non sarebbe più stato capo del governo? Allora ne aveva 81. Dei quali 11 (sei dipendenti del gruppo Mediaset, stando alle denunce della sinistra) erano stati assunti dal Cesis per chiamata diretta, scavalcando le regole che permetterebbero l'accesso ai «servizi» solo a chi è già poliziotto o carabiniere.

Quanto allo staff, ricordate cosa scrisse un cronista entusiasta dell'attivismo del Cavaliere? «Segreterie e collaboratori si alternano, con diversi turni, mentre il Cavaliere sembra l'omino delle pile Duracell. Chi scrive riesce a stento a girare lo zucchero nella tazzina del caffè, nello stesso tempo in cui il presidente fa almeno tre cose». Pareva una lisciatina: era un programma. Lo dicono i bilanci: nel 2001 le spese per pagare «gli addetti alle segreterie particolari del presidente, del vicepresidente e dei sottosegretari di Stato estranei alla pubblica amministrazione» (le persone portate da fuori) ammontarono a 1.882.248 euro. Ai quali andavano aggiunti altri 1.846.333 euro per il «trattamento economico accessorio per gli addetti agli uffici di diretta collaborazione del presidente, dei vicepresidenti e dei sottosegretari». Totale: 3.728.581. Cosa significhino esattamente queste voci (cos'è il trattamento «accessorio»?) non è chiarissimo. È però chiaro che le stesse voci si sono impennate nel 2005 fino a 11.154.000 euro: 21 miliardi e mezzo di lire. Un aumento reale, al di là dell'inflazione, del 186%. Né è andata peggio al segretario generale e ai suoi vice: nel 2001 i loro stipendi pesavano per 320 mila euro, nel 2005 per 584 mila.

Per le altre curiosità, c'è da cogliere fior da fiore. Tutto legittimo, per carità. Ma colpisce, in questi anni di ristrettezze, che la Protezione Civile abbia speso nel 2005 solo 6 milioni per lo Tsunami (280 mila morti) e 15, quasi tre volte tanto, per «oneri connessi alle esequie del Papa e alla nomina del nuovo Pontefice». O che la stessa protezione civile abbia tirato fuori un milione di euro per «il grande evento relativo alla Conferenza episcopale di Bari».

Per non dire della magica stagione della società televisiva «Euroscena». Fondata venti anni fa «su imprescindibili valori cristiani» (così è scritto nel sito, dove si vanta insieme il quiz «Distraction» dove chi rispondeva bene aveva diritto a smutandarsi), fino al 2000 fatturava 2 milioni e mezzo di euro. Dal 2001 ad oggi è passata a 16.164.414. Wow! Merito del «genio» dell'amministratore unico, Davide Medici, un ignoto ragazzo di 22 anni? No, della Provvidenza, spiega in un'intervista il socio di maggioranza Luigi Sciò: «Ho tanta fede nella Provvidenza». Che nel suo caso, dicono i maligni, è bassina, ha i capelli trapiantati e la pelle liftata. Berlusconi, per Sciò, è «una persona amica», uno «che ha dato moltissimo alla televisione», un «grandissimo imprenditore», un «uomo veramente straordinario con una famiglia straordinaria». Una stima agiografica ma ricambiata.

Convinto che «Euroscena» sia il top, il Cavaliere le ha infatti delegato non solo la confezione dei filmati propri (dal vertice di Pratica di Mare al decennale di Forza Italia, poi girati alla Rai con relative polemiche) ma anche quelli di Prodi. Dopo una gara «informale» («motivi di segretezza»: sic) fatta poco prima di sgomberare da Palazzo Chigi ma con un contratto che sarebbe scattato il 19 maggio e cioè 40 giorni dopo le elezioni, ha affidato infatti alla società una serie di appalti a partire dal confezionamento tivù dei grandi eventi di palazzo Chigi anche per tre anni a venire. Cosa che al nuovo governo non è piaciuta tanto. Tanto più che, appena insediato, il Professore bolognese si è visto arrivare le fatture per tre avvenimenti «extra-canone» che avevano celebrato il predecessore.
1) La cerimonia per l'anniversario del volontariato civile.
2) L'udienza agli atleti paraolimpici a Villa Madama.
3) La cena a Villa Miani con gli esponenti del Partito Popolare Europeo venuti alla vigilia delle elezioni a spalleggiare il centrodestra. «Perché dobbiamo pagare noi, coi soldi dei cittadini, uno spot promozionale privato e partitico?», si sono chiesti gli attuali inquilini di palazzo Chigi.
Tanto più che la fattura, per i tre servizi, era di 334.316 euro. Più di duecento milioni a botta.

Sergio Rizzo
Gian Antonio Stella

01 novembre 2006


Il Corriere della Sera del 27.10.2006

I costi della politica. E il Cavaliere ereditò auto blu e superscorta. Di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella


115 auto blu nell'autoparco di Palazzo Chigi che sono costate negli ultimi 5 anni 7 milioni di euro. 31 agenti di scorta per l'ex Presidente del Consiglio e il boom dei voli.

I costi della politica in tempi di tagli...

MILANO - Non si fidava, il Cavaliere, del suo successore. E così, mentre ancora stava a Palazzo Chigi in attesa di lasciare il posto a Romano Prodi, avrebbe deciso di darsela da solo, la scorta per il futuro: 31 uomini. Più la massima tutela a Roma, Milano e Porto Rotondo. Più sedici auto, di cui tredici blindate. Il minimo indispensabile, secondo lui, di questi tempi.

Un po' troppo, secondo i nuovi inquilini della Presidenza del consiglio. Che sulla questione, a partire da Enrico Micheli, avrebbero aperto un (discreto) braccio di ferro con l'ex-premier. Guadagnando finora, pare, solo una riduzione del manipolo: da 31 a 25 persone. Quante ne aveva il "bersaglio Numero Uno" Yasser Arafat, ricorda Massimo Pini, il giorno che andò a visitare Bettino Craxi. Certo, qualcuno ricorderà a Berlusconi quanto disse ai tempi in cui aveva deciso col ministro dell'Interno Claudio Scajola di tagliare il numero degli scortati. Tra i quali, come rivelarono mille polemiche e le intemerate di Francesco Saverio Borrelli, c'era anche il pm dei suoi processi, Ilda Boccassini, che si era esposta contro la mafia in Sicilia. Disse che per molti la scorta era "solo uno status symbol" usato "impropriamente, magari sgommando". E si vantò, giustamente, di aver sottratto alla noia di certe inutili tutele "788 operatori di polizia dirottati così in altri settori per garantire una maggiore sicurezza dei cittadini".
Né val la pena di ricordare che, ai tempi in cui le Br ammazzavano la gente per la strada e i politici erano esposti come mai prima, il presidente del consiglio Giulio Andreotti viaggiava con scorte assai più contenute: «Mia moglie a Natale faceva un regalino a tutti, e certo non erano molti». E' vero: è cambiato tutto. E la scelta di ridurre drasticamente le spese per proteggere gli ex-capi del governo fatta da Giorgio Napolitano quando stava al Viminale, appare lontana anni luce. Berlusconi è stato il premier che ha appoggiato fino in fondo Bush, ha schierato l'Italia nelle missioni in Afghanistan e in Iraq, si è battuto in difesa della sua idea di Occidente con una veemenza (si ricordi la polemica sulla "superiorità sull'Islam") che lo ha esposto non solo ai fanatici come quel Roberto Dal Bosco che gli tirò in testa un treppiede ma all'odio di tanti assassini legati ad Al Qaida. Garantirgli la massima tutela è un dovere assoluto. Punto e fine. Il modo in cui si sarebbe auto-confezionato questa tutela, invece, qualche perplessità la solleva.

Il 27 aprile, cioè diciassette giorni dopo il voto e prima che Romano Prodi si insediasse, la presidenza del consiglio stabiliva che i capi del governo "cessati dalle funzioni" avessero diritto a conservare la scorta su il tutto il territorio nazionale nel massimo dispiegamento. Altri dettagli? Zero: il decreto non fu pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» e non sarebbe stato neppure protocollato. Si sa solo che gli uomini di fiducia "trattenuti" erano 31. Quelli che con un altro provvedimento il Cavaliere aveva già trasferito dagli organici dei carabinieri o della polizia a quelli del Cesis. Trasferimento che l'allora presidente del Comitato di controllo sui servizi Enzo Bianco, appoggiato dal diessino Massimo Brutti, aveva bollato come "illegittimo". Scoperta la cosa all'atto di insediarsi come sottosegretario con delega ai "servizi" al posto di Gianni Letta, Enrico Micheli avrebbe espresso sulla faccenda l'irritazione del nuovo governo. E dopo una lunga trattativa sarebbe riuscito a farsi restituire, come dicevamo, sei persone.

Quanto alle auto, quelle "prenotate" dall'allora presidente sarebbero come detto 16, delle quali 13 blindate. Quasi tutte tedesche. Resta la curiosità di sapere se vanno o meno contate tra quelle del parco macchine di Palazzo Chigi. Così stracarico di autoblu che il grande cortile interno non può ospitarne che una piccola parte. Il resto sta in via Pozzo Pantaleo 52/E, una strada fuori mano alle spalle di Trastevere, nel quartiere portuense. Serve una macchina? Telefonano: "Mandate un'auto, per favore". Se non c'è traffico, una mezz'oretta. I ministri sparpagliati qua e là che fanno riferimento a Palazzo Chigi, non sono pochi: Linda Lanzillotta (Affari Regionali), Giulio Santagata (Attuazione del programma), Luigi Nicolais (Riforme e Innovazioni nella pubblica amministrazione), Barbara Pollastrini (Pari opportunità), Emma Bonino (Politiche europee), Vannino Chiti (Rapporti con il Parlamento) Rosy Bindi (Politiche per la famiglia) e Giovanna Melandri (Politiche Giovanili e Sport). Ma le autoblu a disposizione, comprese le due Maserati in dotazione a Prodi e Micheli, sono una marea: 115. E il bello è che sono già calate: fino al 17 maggio erano 124.

Costi? Una tombola. Nel solo 2005, per "acquisto, manutenzione, noleggio ed esercizio dei mezzi di trasporto nonché installazione di accessori, pagamento dei premi assicurativi e copertura rischi del conducente e dei trasportati, spese per permessi comunali di accesso a zone a traffico limitato", quel parco di autoblu ci è costato 2 milioni e 152 mila euro, 400 mila in più rispetto alle previsioni. Ai quali vanno sommati gli stipendi degli autisti, presumibilmente gravidi di straordinari. Un anno eccezionale? Niente affatto: la fine di una rincorsa. Nel 2001, per le stesse cose, erano stati spesi 940 mila euro. Nel 2002 un milione e 389 mila. Nel 2003 un milione e 322 mila. Nel 2004 un milione e 800 mila. Una progressione inarrestabile. Fatte le somme, dal 2001 al 2005 dalle casse di palazzo Chigi sono usciti per le autoblu 7 milioni 603 mila euro. Pari a 14 miliardi e 721 milioni di lire. Eppure, per i viaggi appena più lunghi, devono aver anche volato. Lo dicono i bilanci: per "noleggio di aeromobili per esigenze di Stato, di governo e per ragioni umanitarie e spese connesse all'utilizzo dell'aereo presidenziale" sono stati spesi nel solo 2005 due milioni e 150 mila euro. Il quadruplo del 2002, quando i voli della presidenza ci erano costati 577.810 euro. Sarà stata colpa del caro petrolio...

 


 

 

Da http://www.liberaliperlitalia.it/  Dossier  Costi della Politica

 

 

Noi liberali siamo proprio "pazzi": questo dossier sui costi della politica dell' Assemblea regionale siciliana può avere l'effetto di un terremoto in tanti altri ambienti lavorativi pubblici italiani . La Premessa è che oggi la politica si finanzia tramite Assemblee parlamentari. Nelle Assemblee parlamentari i decisori sono sostanzialmente irresponsabili per le decisioni di spesa adottate. Mentre invece il popolo deve essere puntualmente informato sulle principali decisioni adottate e sulle loro conseguenze finanziarie, per avere, a propria volta, la possibilità di giudicare. (Livio Ghersi) 18/03/2006

 

Questo dossier è il Contributo per il programma di Rita Borsellino Presidente, in occasione della riunione del Cantiere tematico “Assetti istituzionali ed organizzativi e riforma della P. A. regionale” - Palermo.

 

Buongiorno,

dall’agosto del 1981 sono dipendente dell’Amministrazione dell’Assemblea regionale siciliana, dopo aver superato un concorso pubblico per esami per la qualifica di “referendario parlamentare” (posizione iniziale della carriera direttiva).

In questo intervento svolgo una serie di considerazioni che sono frutto della mia diretta esperienza. L’intervento è scritto affinché chi è interessato possa leggerlo con calma. In questa sede lo do per letto, per non rubare tempo.

Si tratta di un contributo di analisi, articolato nei seguenti tre paragrafi:

Autonomia ed Arcana Imperii

La struttura burocratica dell’Assemblea regionale siciliana: i costi

La struttura burocratica dell’Assemblea regionale siciliana: ciò che dovrebbe fare

Le conclusioni impegnano soltanto me stesso. Ciascuno potrà liberamente valutare il testo e ritengo anche possibile che alcuni possano non condividerlo, quanto meno nella sua ispirazione generale.

A coloro che saranno chiamati a fare la sintesi politica, lascio il compito di verificare se ci sono spunti utili anche dal loro punto di vista.

 1. Autonomia ed Arcana Imperii

Ricordo, prima di tutto a me stesso, due princìpi fondamentali da mettere al centro di un programma di riordino delle istituzioni della Regione siciliana:

1) il denaro pubblico, che proviene dalla generalità dei contribuenti, non deve essere sprecato, ma va utilizzato al meglio, per finalità di interesse generale;

2) le pubbliche amministrazioni, proprio perché sono finanziate con denaro pubblico, devono fornire utilità e servizi alla collettività. Se servono soltanto ad elargire stipendi, e poi pensioni, ad un numero più o meno vasto di beneficiari, tradiscono il loro scopo.

I predetti princìpi, in sè considerati, potrebbero apparire ovvii, quasi la scoperta dell’acqua calda. Assumono però altro significato, ed una portata quasi eversiva, se messi in relazione con l’esigenza di riconsiderare il modo in cui storicamente è stata interpretata la speciale autonomia della Sicilia, con l’autonomia regolamentare dell’Assemblea regionale siciliana che dall’autonomia statutaria discende.

Non è che l’autonomia sia sbagliata in sé, al contrario! Il fatto è che l’autonomia è un’opportunità, una possibilità di fare, di per sé né buona né cattiva: tutto dipende dall’uso che in concreto se ne fa.

Lo Statuto garantisce l’autonomia dell’Assemblea regionale per quanto attiene al procedimento di esame e di approvazione delle leggi regionali. Tale procedimento deve essere disciplinato dal Regolamento interno dell’Assemblea medesima. In materia c’è una riserva di regolamento parlamentare, nel senso che la stessa materia non potrebbe essere disciplinata con una legge regionale. Riserva di regolamento parlamentare che ha il medesimo contenuto di quella che è solennemente affermata nell’articolo 72 della Costituzione.

Secondo le norme del proprio Regolamento, spetta all’Assemblea eleggere i propri organi interni (Presidente, Commissioni, eccetera), così come l’Assemblea ha il potere di auto-organizzarsi, per l’esercizio delle funzioni ad essa spettanti (articolo 4 dello Statuto).

I singoli deputati hanno il potere di iniziativa legislativa (articolo 12 dello Statuto) ed il diritto di presentare interpellanze ed interrogazioni (atti cosiddetti di controllo ispettivo), e mozioni (atti di indirizzo politico) in seno all’Assemblea (articolo 7 dello Statuto). Non possono essere chiamati a rispondere per i voti dati e le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni (articolo 6 dello Statuto).

Tutto queste garanzie servono per assicurare la libertà e l’indipendenza, tanto dell’Istituzione parlamentare nel suo insieme, quanto dei singoli deputati. Si tratta di garanzie che ormai si sono consolidate da secoli e che traggono origine da quella fase storica in cui la libertà dei Parlamenti era minacciata dal potere del Re.

Con legge regionale 30 dicembre 1965, n. 44, si è stabilito che ai deputati regionali si applica la legge 31 ottobre 1965, n. 1261, recante “Determinazione dell’indennità spettante ai membri del Parlamento”. Il concetto di indennità parlamentare, nell’applicazione pratica, si è via via esteso, in una completa equiparazione del trattamento economico dei deputati dell’ARS a quello complessivamente fruito dai senatori. Fino a qui tutto pacifico, o quasi.

La tendenza a realizzare la stessa equiparazione in altri settori (ad esempio, per quanto riguarda i limiti alla giurisdizione), non è invece riuscita, perché la Corte Costituzionale, in ripetute pronunce, ha sempre riaffermato questo principio: “l’analogia tra le attribuzioni delle assemblee regionali e quelle parlamentari non significa identità: le prime si svolgono a livello di autonomia, anche se costituzionalmente garantite, le seconde a livello di sovranità; e, dunque, non sono autonomamente applicabili agli organismi assembleari delle regioni le prerogative riservate agli organi supremi dello Stato e le speciali norme derogatorie che vi si riconnettono” (così sentenza del 13 giugno 1995, n. 245; sono ivi richiamate le precedenti sentenze n. 66 del 1964, n. 110 del 1970 e n. 209 del 1994). Sono investiti del potere sovrano dello Stato soltanto questi organi: le due Camere del Parlamento, la Presidenza della Repubblica e la Corte Costituzionale.

Il Regolamento interno dell’Assemblea, cui finora si è fatto riferimento, rientra nella tipologia definita dagli studiosi “regolamento parlamentare generale”. Ma, oltre al Regolamento parlamentare "generale", nel senso sopra chiarito, che attua norme costituzionali o che comunque — come ha scritto un insigne costituzionalista siciliano purtroppo scomparso, Temistocle Martines — contribuisce con le proprie disposizioni «a comporre la struttura politico-costituzionale dello Stato», esistono i cosiddetti regolamenti parlamentari "minori", che sono relativi ad un settore dell’attività della Camera o della sua organizzazione interna (si veda Martines,  Diritto Costituzionale, Giuffrè, Milano, 1978,  pp. 282-283).

Per rendersi conto della diversa valenza delle norme regolamentari generali, rispetto a quelle contenute nei regolamenti "minori", si pensi soltanto alla diversa procedura stabilita per la loro approvazione: nel primo caso sono approvate dall’Assemblea parlamentare con una maggioranza qualificata (nel senso di più ampia) dei suoi componenti; nel secondo caso si tratta di norme approvate dall’Ufficio di Presidenza.

Si tende sempre a riportare le norme contenute nei regolamenti "minori" sotto lo stesso regime di garanzie previste per il regolamento parlamentare generale. Tale assimilazione generalizzata, tuttavia, in taluni casi costituisce una forzatura quando le norme regolamentari minori disciplinano quelle che Di Ciolo definisce "funzioni accessorie", cioè funzioni che non attengono direttamente all’attività parlamentare, ma hanno un valore meramente strumentale (si veda Vittorio Di Ciolo,  Il Diritto parlamentare nella teoria e nella pratica,  Giuffrè, Milano, 1980, pag. 376).

Il problema ha risvolti molto concreti. Sappiamo, ad esempio, che la parte prevalente di denaro pubblico destinato ai partiti politici proviene dalle Assemblee parlamentari (Camera e Senato, ma lo stesso discorso si può fare per le Assemblee regionali). La politica oggi si finanzia per il tramite dei Parlamenti.

Al riguardo, la prima cosa che viene in mente è il “rimborso” pubblico alle liste che concorrono alle elezioni. La materia è disciplinata dalla legge 3 giugno 1999, n. 157, la quale – all’articolo 1 – stabilisce che presso la Camera dei deputati, ed a carico del bilancio interno della Camera medesima, sono istituiti dei fondi per i rimborsi delle spese sostenute dai movimenti o partiti politici che partecipano alle elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati, del Parlamento europeo, dei consigli regionali, nonché per le spese sostenute dai comitati promotori dei referendum. L'erogazione dei rimborsi delle spese sostenute dai movimenti o partiti politici che partecipano alle elezioni per il rinnovo del Senato della Repubblica, invece, è a carico del bilancio interno del Senato.

Una cosa sono i rimborsi da dare ai partiti che partecipano alle elezioni, altra cosa sono i contributi che, per tutta la durata di ogni legislatura, sono erogati ai Gruppi parlamentari, in proporzione al numero dei parlamentari che aderisce a ciascun gruppo. Stiamo parlando di contributi per le spese di funzionamento dei Gruppi, per il personale dipendente, eccetera.  Le indennità corrisposte ai parlamentari sono a parte.

Ma ci sono tante altre decisioni adottate dagli Uffici di Presidenza di Camera, o Senato (lo stesso discorso vale per le decisioni del Consiglio di Presidenza dell’Assemblea regionale siciliana) che si traducono in ulteriore destinazione di risorse per il finanziamento della politica.

Ad esempio, se gli Uffici di Presidenza di Camera, o Senato, decidono di autorizzare la costituzione di Gruppi parlamentari in deroga rispetto ai requisiti normalmente previsti, assumono decisioni rilevanti dal punto di vista delle conseguenze finanziarie. Quando stabiliscono quanti collaboratori possano essere utilizzati dai Gruppi parlamentari, con oneri a carico dei bilanci interni di Camera, o Senato, assumono decisioni rilevanti dal punto di vista delle conseguenze finanziarie. Quando quantificano l’entità di benefit per i singoli parlamentari (dal trattamento di missione, alla dotazione per spese di viaggio, alle agevolazioni per l’acquisto di una casa, fino alla cose più banali come la dotazione di telefoni portatili), assumono decisioni rilevanti dal punto di vista delle conseguenze finanziarie.

Gli esempi potrebbero continuare: si pensi ai contributi che il Consiglio di Presidenza dell’Ars eroga per coprire in parte le spese di organizzazione di convegni, congressi, mostre, manifestazioni culturali e sportive, eccetera,  che hanno quasi sempre promotori, o sponsor, politici.

Tutte queste decisioni sono assunte nell’esercizio dell’autonomia regolamentare propria delle Assemblee parlamentari. Quindi, in nome dell’autonomia, i decisori politici pretendono di essere e sono, nella sostanza, giuridicamente irresponsabili.

Gli Uffici di Presidenza di Camera e Senato sono rappresentativi di tutti i Gruppi parlamentari (di maggioranza e di opposizione). Quindi è naturale che le decisioni vengano adottate in una logica consociativa: se tutti sono responsabili di una decisione potenzialmente impopolare, nessuno è responsabile. E’ relativamente facile raggiungere accordi in cui ciascun Gruppo abbia il proprio particolare tornaconto, quando la possibilità di spesa è pressoché illimitata e gli oneri finanziari sono sistematicamente scaricati sul bilancio pubblico.

Non vorremmo che l’Istituzione parlamentare, presidio della democrazia, fosse travolta da un ciclo degenerativo, finendo per trasformarsi nel primo centro di corruzione della vita pubblica.

Questo discorso potrà risultare sgradito. Ricordo allora che due autorevoli senatori del partito dei Democratici di Sinistra, Cesare Salvi e Massimo Villone, nel novembre del 2005 hanno pubblicato un libro che non è passato inosservato ed anzi ha riportato commenti favorevoli pure in settori di opinione pubblica orientati politicamente in senso opposto a quello degli autori. Il titolo è “Il costo della democrazia”; sottotitolo: “Eliminare sprechi, clientele e privilegi per riformare la politica”. Arnoldo Mondadori, editore.

A mio avviso, Salvi e Villone non hanno compiuto quella coraggiosa “operazione verità” che il fenomeno da loro affrontato richiederebbe. Hanno però avuto il merito di fare emergere un problema che la stragrande maggioranza dei politici di professione preferirebbe rimuovere.

Anche la scelta del titolo è significativa: non si parla di “costi della politica”, ma di “costi della democrazia”. La logica implicita in questa scelta è che in un sistema democratico è comunque inevitabile che una parte dei costi dell’attività politica gravi sul bilancio dello Stato e sui bilanci delle regioni e degli enti locali. Si tratta, quindi, di ragionare sui numeri. Ciò che, dal mio punto di vista, è inaccettabile è che si adoperi l’esigenza di “partecipazione democratica” come pretesto per giustificare qualunque tipologia di spesa, per un numero sempre maggiore di beneficiari.

Salvi e Villone scrivono che la “Politica S.p.A.” è ormai diventata la più granze azienda pubblica italiana. “Emerge, dall’insieme dei dati che abbiamo raccolto, che quasi 200 mila sono le persone che in Italia sono retribuite per essere state elette o per avere un incarico di governo” (si veda pag. 50).

Mentre l’articolo 69 della Costituzione prevede soltanto una indennità per i parlamentari, Salvi e Villone scrivono che “quello di eletto sta diventando un posto di lavoro di nuovo genere,  una carriera che assicura a un numero crescente di persone lo stipendio, la pensione, la liquidazione, l’assistenza, i benefit e anche privilegi non funzionali al mandato popolare. La rappresentanza elettiva diventa attività professionale retribuita” (si veda pag. 51).

Mi è capitato, nel recente passato, di essere considerato il più pericoloso degli eversori per avere sviluppato pubblicamente il seguente ragionamento: non è possibile che chi assume rilevanti decisioni di spesa – pur nell’esercizio di un’autonomia statutariamente garantita – pretenda di essere irresponsabile circa le decisioni assunte.

Ci deve essere un’Autorità, non mi interessa se debba trattarsi di magistrati contabili in posizione di “terzietà” come quelli della Corte dei Conti, oppure se debba trattarsi di un collegio di Difensori civici, o se debba trattarsi di speciali organi di garanzia al momento non previsti, comunque ci deve essere un’Autorità che abbia il potere riconosciuto dall’ordinamento giuridico di pretendere di conoscere i conti di qualsiasi Istituzione che si finanzia con pubblico denaro, a cominciare dall’Istituzione parlamentare. Che dovrebbe essere una “casa di vetro”, presidio della democrazia, eccetera.

Qualche politico, pure della coalizione dell’Unione,  ha esultato pubblicamente per recenti pronunce della Corte Costituzionale che avrebbero “rintuzzato” le pretese della Procura Generale dalla Corte dei Conti, e pienamente riaffermato le prerogative del Parlamento regionale siciliano derivanti dallo speciale Statuto di autonomia. Quasi che il problema fosse quello di difendere l’Istituzione “siciliana” nei confronti di giudici “stranieri”.

La domanda che io personalmente ho formulato, ma che non ho mai sentito riprendere da alcun politico, è la seguente: scusate, se la Regione siciliana fosse uno Stato indipendente e sovrano, con il suo regolare seggio nell’Organizzazione delle Nazioni Unite, l’ordinamento statuale siciliano non dovrebbe comunque prevedere forme istituzionali di controllo dell’uso del pubblico denaro? Infatti, un’Istituzione rappresentativa può anche a buon diritto difendersi dall’asserita invadenza dei magistrati, ma non ha alcun diritto di negare ai cittadini, i quali la finanziano attraverso il prelievo fiscale, di conoscere come i loro soldi vengono utilizzati. Conoscere nel dettaglio, non secondo cifre aggregate  a chiusura di rendiconto annuale.

Perché insisto nei riferimenti al Parlamento regionale? Perché conquistata quella cittadella inespugnabile, le stesse regole, a cascata, dovrebbero essere generalizzate nei confronti di qualunque altra istituzione regionale. Nessuno avrebbe più titolo legittimo per opporsi.

Per restare alle vicende di casa nostra, il potere di autonomia regolamentare deve trovare un limite che nasce dalla logica stessa della democrazia: non ci può essere autonomia decisionale senza corrispondente assunzione di responsabilità. Innanzitutto responsabilità politica, di fronte al corpo elettorale: il popolo deve essere puntualmente informato sulle principali decisioni adottate e sulle loro refluenze finanziarie, per avere, a propria volta, la possibilità di giudicare.

Che cosa conosce il popolo delle decisioni del Consiglio di Presidenza dell’A.R.S., o delle decisioni di spesa del Collegio dei Deputati Questori?

Conosce quanto riferisce la libera stampa parlamentare. E la libera stampa parlamentare di quali fonti si avvale? Ha forse accesso diretto agli atti? Devo ricordare il significato del termine «velina»? C’è quindi un gigantesco problema di mancanza di trasparenza amministrativa.

Ma c’è di più. C’è un ancor più grave problema sotto il profilo della certezza del diritto. Vediamo di rinfrescare i princìpi generali. Ricordo a me stesso che l’articolo 10 delle «Disposizioni sulla legge in generale» (regio decreto 16 marzo 1942, n. 262), relativo all’inizio dell’obbligatorietà delle leggi e dei regolamenti, recita: «Le leggi e i regolamenti divengono obbligatori nel decimoquinto giorno successivo a quello della loro pubblicazione, salvo che sia altrimenti disposto».

Nel nostro caso l’attenzione va rivolta non al termine di entrata in vigore, ma al fatto che la «pubblicazione» costituisce un necessario passaggio formale, senza il quale non si dà né legge, né regolamento.  Questo principio della pubblicazione, come condizione necessaria affinché le disposizioni di legge abbiano vigenza, è solennemente riaffermato all’articolo 73, comma 3, della Costituzione.

Risulta a qualcuno che le deliberazioni del Consiglio del Presidenza che, di volta in volta, modificano, o integrano, le disposizioni regolamentari interne dell’Amministrazione siano pubblicate da qualche parte? La sensibilità di tanti raffinati giuristi non è appena turbata dalla circostanza che il Consiglio di Presidenza, quando decide di adottare un provvedimento di qualsiasi natura, non si limita ad operare in conformità ad un corpo di disposizioni regolamentari «certo», «emanato in precedenza» e da chiunque conoscibile, ma può mutare la disposizione regolamentare un attimo prima di adottare il provvedimento, cosicché questo sia sempre e comunque formalmente legittimo?

E per quanto riguarda altre eventuali possibilità di controllo, il fatto che i verbali del Consiglio di Presidenza ed i decreti del Presidente dell’Assemblea abbiano contenuto riservato e siano accessibili solo da un ristrettissimo numero di persone all’interno dell’Amministrazione, non ha mai fatto venire il sospetto che pure nei casi eccezionali di richieste di esibizione di documenti, da parte di Autorità esterne (ad esempio, l’Autorità giudiziaria), nulla impedisce che gli atti che interessano possano essere rivisti, modificati ed «aggiustati» al momento, secondo la bisogna? Sempre ragionando in linea ipotetica.

Sto argomentando non una semplice lacuna, ma un buco nero, che inghiotte la concezione dello Stato di Diritto e la azzera.

Il bilancio interno dell’Assemblea regionale siciliana di previsione per l’anno 2006, quantifica la spesa prevista in 149.240.000 euro, corrispondenti circa a 289 miliardi di vecchie lire (arrotondamento in eccesso). L’Assemblea ha una tradizione di approvazione dei propri documenti contabili negli orari più insoliti (sedute convocate alle 09,00 del mattino, che iniziano puntuali). Il 17 gennaio 2006, tuttavia, c’è stata una innovazione procedurale: la convocazione “a sorpresa”. La seduta dell’Assemblea era stata sospesa per consentire una riunione dei capigruppo, nell’ufficio del Presidente, per stabilire come procedere nella discussione dei disegni di legge di bilancio e finanziaria della Regione.  All’improvviso si sente un suono di campanello e si materializza un vicepresidente dell’Assemblea che chiude la seduta in corso, e ne convoca un’altra, da lì ad un minuto, con un nuovo ordine del giorno che prevede, appunto, la discussione del bilancio interno dell’Assemblea regionale. Bilancio interno (e rendiconto consuntivo delle spese dell’anno 2004) sono stati formalmente approvati in meno di cinque minuti, in un’Aula semideserta.

Niente di male, diranno alcuni, perché tanto l’approvazione dei documenti contabili interni della Assemblea regionale si risolve in un fatto meramente tecnico ed i deputati ignari delle segrete cose meno se ne occupano e meglio è.

I documenti contabili oggi sono sempre distribuiti ai giornalisti e sono integralmente pubblicati nei Resoconti parlamentari. Non è sempre stato così e se ora è così consentitemi di attribuirmi una piccolissima parte di merito.

Mi sembra tuttavia che i giornalisti che se ne occupano si appaghino di scrivere “pezzi di colore”, che si ripetono nel tempo. Finora non c’è stato uno studioso serio che si sia mai preso la briga di prendere i bilanci di previsione ed i rendiconti di un periodo di tempo significativo, poniamo, quindici anni, per valutare le dinamiche della spesa.

Nel mio piccolo, ho spesso utilmente praticato questi raffronti. Alla fine del testo, allego informazioni relative agli ultimi due rendiconti approvati, ponendo a confronto le medesime voci di spesa nei due esercizi considerati. I rendiconti sono documenti più attendibili dei bilanci di previsione. Infatti certificano quanto è effettivamente avvenuto, laddove i bilanci di previsione contengono, il più delle volte, indicazioni di massima destinate ad essere sensibilmente modificate nella realtà.

 2. La struttura burocratica dell’Assemblea regionale siciliana: i costi.

Pochi sanno che l’apparato servente dell’Assemblea regionale siciliana costituisce un corpo burocratico distinto dall’Amministrazione regionale.

I dipendenti di ruolo dell’ARS dovrebbero essere in tutto 296, secondo la pianta organica approvata nel marzo del 2003. Tra questi, i consiglieri parlamentari (appartenenti a quella che prima si chiamava carriera direttiva) dovrebbero essere 50, incluso il Segretario Generale. In realtà oggi sono 39, cioè ci sono 11 posti scoperti in organico.

L’organigramma del vertice burocratico approvato dal Consiglio di Presidenza nel luglio del 2005 è “barocco” e sovradimensionato. Le figure di vertice sono 18: 1 Segretario Generale, 2 Vicesegretari generali, 10 direttori di Servizio, 5 direttori con incarico speciale.

Tanta abbondanza si spiega perché quando i decisori politici (cioè il Presidente dell’Assemblea e gli altri nove deputati che compongono il Consiglio di Presidenza) vogliono attribuire a nuovi funzionari l’incarico di direttore, non procedono mai alla sostituzione di almeno una parte delle persone che in precedenza ricoprivano questo incarico (per definizione, un “incarico” è temporaneo) e nel contempo, per ragioni di opportunità, rispettano sempre il criterio dell’anzianità, che pure non è giuridicamente vincolante. La conseguenza è che il vertice burocratico tende ad ampliarsi nel corso del tempo, per successivi incrementi.

Tutto questo, naturalmente, non risponde a reali esigenze funzionali e non ha niente a che vedere con il principio costituzionale di buon andamento dell’amministrazione (articolo 97 Cost.).

Se i decisori politici avessero il coraggio di nominare soltanto i loro cari, in una logica di spoil system all’americana, dovrebbero assumersi la responsabilità politica delle scelte compiute, nonché degli effetti di quelle scelte (in termini di capacità gestionale dei nominati). Invece preferiscono non scontentare nessuno – almeno in termini retributivi – scaricando gli oneri sui contribuenti.

Formalmente, tutti i direttori hanno lo stesso titolo, ma poi è ovvio che il loro potere reale dipende dall’importanza della struttura burocratica cui sono preposti. Nel mio caso, ad esempio, essere, “direttore”, si risolve in un fatto “cartaceo”: significa dirigere una struttura composta da un terzo di funzionario (perché ha altre due assegnazioni) e dal 50 per cento di un coadiutore dattilografo. Molto meno di un qualunque Ufficio che si rispetti.

Così come il trattamento economico dei deputati regionali è equiparato a quello dei senatori, i dipendenti dell’ARS percepiscono la stessa retribuzione dei dipendenti del Senato della Repubblica, ai corrispondenti livelli di qualifica e di anzianità.

Da tempo sostengo, anche pubblicamente (con una certa risonanza il 30 novembre 2003), che la predetta equiparazione (in gergo assembleare, si usa la locuzione “parametro con il Senato”) è un lusso che le devastate finanze regionali sempre meno possono permettersi.

Per dare la dimensione del problema, ricorro a qualche quantificazione, riportando i dati ufficiali dei rendiconti degli anni 2003 e 2004. Meno di trecento persone (dipendenti di ruolo) sono costati alla collettività:

€ 30.083.596,79 (corrispondenti a 58 miliardi e 250 milioni delle vecchie lire) nel 2003;

€ 30.794.620,91 (corrispondenti a 59 miliardi e 627 milioni delle vecchie lire) nel 2004.

Parliamo di spese effettive, rendicontate, non di previsioni di spesa.

Ma il confronto fra i rendiconti degli anni 2003 e 2004 fornisce un altro dato allarmante: per la prima volta, nel 2004, le pensioni per dipendenti in quiescenza costituiscono un onere superiore al costo dei dipendenti in servizio:

retribuzioni al personale in servizio: € 30.794.620,91;

pensioni per dipendenti in quiescenza: € 32.137.616,92.

La normativa dell’ARS (mutuata da quella del Senato) consente di andare in pensione quando si abbia un coefficiente minimo di 109 come risultato della somma di tre parametri (anzianità di servizio effettiva; anzianità contributiva; età anagrafica). A conti fatti – e pur tenendo conto del regime transitorio – è possibile andare in pensione prima di quanto previsto dalla riforma pensionistica nazionale.

C’è modo di affrontare la situazione? Certo che c’è.

Basterebbe prendere sul serio la riforma dell’Amministrazione dell’ARS (mutuata da quella del Senato, definita nel febbraio 2001) e da noi è entrata in vigore nell’aprile 2003. Detta riforma contiene in sé degli elementi di grande interesse che, se adeguatamente valorizzati, potrebbero rivoluzionare le modalità di determinazione del trattamento economico dei dipendenti.

Infatti, mentre in precedenza i dipendenti percepivano un trattamento economico unico, onnicomprensivo, con inclusa la valutazione del disagiato orario, ora la riforma prevede tre distinte voci di retribuzione:

a) la retribuzione tabellare (quella finora percepita), pensionabile;

b) l’indennità di funzione (commisurata per i dirigenti alla funzione disimpegnata, rispettivamente nella direzione di un’Area, o di un Servizio, o di un Ufficio, o di una Unità operativa, strutture elencate in senso decrescente, da maggiore a minore); questa indennità non è pensionabile;

c) altre indennità e forme di incentivazione (riconosciute secondo il sistema di valutazione del personale), anche queste non pensionabili.

La riforma è stata percepita e gestita nel senso che le indennità sub b) e sub c) sono in aggiunta a quanto in precedenza percepito. Anche le unità operative sono state intese come mero pretesto per aumentare la retribuzione; ed infatti sono state istituite in numero abnorme: circa centoventi, in rapporto di una ogni due dipendenti e qualcosa.

Il vertice burocratico è il primo a ad affermare che il sistema di valutazione è di difficile applicazione, per lasciare intendere che i rapporti di valutazione non possono risolversi altrimenti che in una formalità.

Invece, secondo me, andrebbe perseguito con gradualità l’obiettivo di fare sì che la retribuzione tabellare costituisca non più del 75 – 80 per cento del trattamento economico complessivo. Le altre due voci dovrebbero essere considerate non aggiuntive, ma sostitutive, nel senso che, nel medio periodo, dovrebbero sostituire quel 25 – 20 per cento che viene a mancare alla retribuzione tabellare. Ciò significa che una parte consistente del trattamento economico complessivo non verrebbe più erogata a tutti indiscriminatamente, ma in considerazione degli incarichi effettivamente ricoperti (cioè in relazione alle responsabilità che si assumono), ed in base al rendimento (qualità del lavoro, diligenza e puntualità nell’assolverlo). Questa impostazione richiederebbe dirigenti capaci di dimensionare in modo razionale i servizi, gli uffici e le unità operative che effettivamente servono, tenendo fede a quella legge che in filosofia è nota come “Rasoio di Ockham”: Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem (che significa che non bisogna aumentare il numero degli enti, se non quando sono strettamente necessari). Richiederebbe dirigenti che non hanno paura di assumersi la responsabilità di scegliere e di dire “a te do l’incarico” e “a te non lo do”, e di essere pronti a motivare tali scelte davanti a qualunque controllore esterno. Un imperatore romano è noto per avere nominato senatore il proprio cavallo, con l’intento di mortificare il Senato. Se si lascia al vertice burocratico piena potestà decisionale, le decisioni del medesimo vertice potranno essere giudicate poi sotto il profilo della culpa in eligendo. Si può ben nominare un cavallo dirigente, ma allora i risultati saranno quelli che il cavallo può determinare. La responsabilità dei dirigenti è appunto una responsabilità di risultato. I risultati o ci sono, o non ci sono.

Un mutamento delle logiche gestionali delle pubbliche amministrazioni richiederebbe però anche giudici degni di questo nome e che non diano ragione al dipendente per pregiudizio ideologico, perché comunque lo considerano la parte debole del rapporto di lavoro. La prima verifica dovrebbe sempre vertere sul fatto se quel dipendente si guadagna lo stipendio che gli viene corrisposto.

La predetta impostazione è tanto più importante proprio rispetto al problema della sostenibilità economica del sistema pensionistico: infatti, indennità di funzioni e premi di produttività (comunque denominati) non sono pensionabili. Così si incentiverebbero le persone a continuare a lavorare. Pertanto, secondo il mio modo di vedere, la stessa logica dovrebbe essere generalizzata in ambito regionale, per ogni tipo di pubblica amministrazione i cui oneri siano a carico del bilancio regionale.

Si deve aggiungere, sempre come discorso di carattere generale valido per l’intera Regione, che è giusto che i pensionati abbiano periodiche rivalutazioni delle loro pensioni, in modo che queste siano adeguate agli eventuali aumenti del livello medio dei prezzi. Non è invece più economicamente sostenibile che vengano estesi ai pensionati i miglioramenti economici derivanti da rinnovi contrattuali di cui fruiscono i lavoratori in servizio.

Veniamo ora ai rimedi specifici per l’Amministrazione dell’Assemblea regionale siciliana.

In primo luogo – se anche si volesse mantenere il parametro con il Senato, perché così preferiscono i deputati regionali – è sempre possibile stabilire che, per il personale dipendente, l’equiparazione non sia al 100 % del trattamento economico del Senato, ma, poniamo, al 90 %. Basterebbe non recepire due rinnovi contrattuali consecutivi, per portarsi nell’arco di un quinquennio alla predetta quota del 90 %.

In secondo luogo, è già stata praticata in passato (al tempo in cui la carica di Presidente dell’Assemblea fu ricoperta da Pancrazio De Pasquale e poi da Michelangelo Russo), la soluzione di prevedere per il nuovo personale che si assume una posizione economica pre-tabellare, sensibilmente più bassa rispetto alla prima posizione tabellare contemplata dal Senato. Ciò comporta un significativo rallentamento delle dinamiche di progressione economica nella carriera. Naturalmente, occorre che la linea di rigore permanga nel tempo: negli anni Ottanta, al tempo della presidenza Lauricella, invece, la posizione pre-tabellare fu abolita, con conseguente ricostruzione della carriera e liquidazione degli arretrati a tutti gli interessati!

Il trattamento economico, tuttavia, è soltanto un aspetto del problema. Ci sono poi i benefits.

Alcuni dipendenti dell’ARS hanno percepito nel corso del tempo: 1) cessione del quinto dello stipendio; 2) cessione del doppio quinto; 3) anticipo della buonuscita; 4) mutuo per l’acquisto della casa di abitazione, o, se già posseduta, per la ristrutturazione della medesima; 5) ricalcolo della buonuscita secondo le modifiche intervenute nelle tabelle economiche per effetto del parametro con il Senato; 6) effettiva liquidazione della parte residua di buonuscita al momento del pensionamento; 7) monetizzazione delle ferie residue non percepite.

In passato c’era pure un fondo per il rimborso delle spese di viaggio sostenute (per vacanza, non per missioni).

Provvedimenti di favore, previsti da disposizioni diverse. Che dire quando tutto ciò che astrattamente è possibile, viene reclamato come "dovuto" a prescindere da documentate esigenze che giustifichino l’adozione del provvedimento? Che dire quando tante diverse misure di favore si cumulano in capo ad una stessa persona, in aggiunta ad un trattamento economico di base che già è parametrato a quello del Senato?

Certamente, si tratterà di provvedimenti sempre formalmente legittimi. Ma la loro somma dà effetti profondamente iniqui dal punto di vista sociale. Per questo ha fondamento denunciare una inammissibile situazione di privilegio.

Si intende che non tutti i dipendenti, e non tutti i dirigenti, vogliono approfittare del pubblico denaro. Ma finora non c’è mai stato alcuno fra i responsabili politici (presidenti dell’Assemblea pro tempore, o deputati Questori) che si sia preoccupato di verificare, carte alla mano, che non tutti i dirigenti si sono comportati e si comportano allo stesso modo e che il costo di un dirigente, in termini di denaro pubblico che gli viene complessivamente corrisposto, può essere anche notevolmente diverso.

Per quanto mi riguarda, ritengo comunque sbagliata l’equiparazione del trattamento giuridico ed economico dei dipendenti dell’Assemblea regionale siciliana al trattamento giuridico ed economico dei dipendenti del Senato della Repubblica, per i seguenti motivi:

1) perché non ha alcuna giustificazione razionale, trattandosi di Istituzioni che oggettivamente sono di diverso rango costituzionale, ed hanno dimensioni (quantitative) fra loro non commensurabili;

2) perché si paga pesantemente in termini di mancanza di certezza del diritto e di mancanza di trasparenza amministrativa; la normativa, infatti, si fonda su atti interni dell’Amministrazione del Senato, che possono avere anche contenuto riservato e che comunque l’Amministrazione del Senato comprensibilmente non ha piacere che diventino oggetto di discussione nelle pubbliche piazze e nelle sedi giurisdizionali.

Non esiste (né potrebbe esistere) un obbligo giuridico dell’Amministrazione del Senato a comunicare i propri provvedimenti interni alla nostra dirigenza burocratica. Faccio riferimento, in particolare, alle tabelle economiche, applicando le quali si quantificano gli stipendi dei dipendenti.

In materia, i flussi di comunicazioni sono attivati sulla base di rapporti personali. Ieri c’era un senatore Questore siciliano, che si prestava; poi, per lungo tempo — sembra incredibile, ma è la verità — le tabelle sono state fornite da un commesso del Senato, membro della Rappresentanza permanente per i problemi del Personale del Senato, il quale benevolmente le passava ad un suo amico commesso dell’ARS. Questo è il livello di certezza del diritto!

In conclusione, la mia proposta è quella di disciplinare con legge regionale le regole organizzative ed il trattamento economico dei dipendenti dell’Assemblea regionale; per il regime transitorio, i trattamenti attualmente corrisposti dovrebbero essere assunti come un dato "storico", sul quale intervenire in modo programmato per correggere, via via, le storture evidenti.

 3. La struttura burocratica dell’Assemblea regionale siciliana: ciò che dovrebbe fare.

A differenza dell’Amministrazione regionale, l’apparato burocratico servente dell’Assemblea normalmente non fornisce servizi ai cittadini genericamente intesi, ma opera perché il Parlamento regionale, con i suoi organi interni (ad esempio, le Commissioni legislative), possa svolgere le sue  funzioni statutarie: legislativa, di indirizzo politico, di controllo.

Ai deputati, titolari del mandato rappresentativo, spetta in via esclusiva la decisione politico - legislativa. Il ruolo dell’apparato burocratico servente deve consistere nel fornire elementi di valutazione e di approfondimento, affinché si elevi il livello di consapevolezza del decisore politico nel momento in cui assume le sue scelte.

A mio avviso, l’apparato burocratico servente non deve ritrarsi rispetto ad argomenti sui quali più forte è il contrasto politico, ma anche per quegli argomenti deve fare il proprio mestiere: fornire un supporto di conoscenza che sarà tanto più credibile ed efficace quanto più si baserà su dati (norme di legge, pronunce della Corte Costituzionale, eccetera) precisamente richiamati e da chiunque riscontrabili.

Un funzionario parlamentare non può essere uno “yes man”, né un cameriere. Laddove ritiene, ad esempio, che ci siano profili di legittimità costituzionale, o problemi di copertura finanziaria, che ostano ad una norma che un deputato si ostina a voler presentare ed approvare, il funzionario può anche formalizzare il suo dissenso con un parere scritto, fermo restando che poi il parlamentare sarà sempre libero di atteggiarsi come crede, ma assumendosene tutta la responsabilità politica.

Certo è più comodo e facile dire sempre “sì” al politico, ma questo comportamento è proprio del cattivo funzionario.

In altri termini, i funzionari non devono preoccuparsi più di tanto se le conclusioni cui, di volta in volta, pervengono possono risultare sgradite a qualche parte politica. L’unica cosa che importa è operare con onestà intellettuale ed assumersi la responsabilità di quanto si attesta. Naturalmente, poi, sul piano espositivo, occorrono doti di equilibrio, di prudenza, e senso della misura, nella chiara distinzione dei ruoli.

A fronte della sempre maggiore complessità del diritto, nei suoi livelli regionale, statale e comunitario, una Assemblea parlamentare di una Regione importante qual è la Sicilia dovrebbe in primo luogo dotarsi di un Servizio Studi ben strutturato e numericamente adeguato. Tale Servizio dovrebbe supportare l’attività delle Commissioni parlamentari, sia aiutando i deputati nella fase di elaborazione dei disegni di legge più complessi, sia, in generale, nella fase istruttoria di tutti i disegni di legge.

Si pensi che il Servizio Studi della Camera dei Deputati – per fare una comparazione – dispone da solo di più funzionari di quanti ne abbia l’intera Amministrazione dell’ARS.

Invece, per compensare la continua crescita del bilancio interno, si tende a risparmiare sul personale in servizio. Questa è la prima Legislatura in cui ancora non è stato bandito alcun concorso pubblico, per nessuna carriera.

Senza organici adeguati non si possono fornire servizi di qualità. Anzi, la qualità dei servizi offerti è destinata a scadere progressivamente.

Si approvano riforme del Regolamento interno in teoria molto promettenti. Ad esempio, si prevede l’istituzione di un Comitato per la qualità della legislazione, che potrebbe consentire di strutturare meglio la fase dell’istruttoria formale dei disegni di legge.

Per essere più precisi, ai sensi del comma 1 dell’articolo 160 ter del Regolamento, il predetto Comitato esprime parere “sulla qualità dei testi legislativi”, sulla base di quattro parametri: a) omogeneità dei testi; b) semplicità; c) chiarezza; d) proprietà della loro formulazione.

Il Comitato si pronuncia altresì sulla “efficacia” dei testi legislativi, per quanto riguarda la loro attitudine a perseguire gli obiettivi: a) della semplificazione; b) del riordinamento della legislazione vigente.

Ma quale struttura burocratica dovrà supportare il Comitato? Tutto resta sulla carta.

Altra struttura di importanza strategica sarebbe quella denominata “Bilancio, fondi comunitari ed extraregionali”. Dopo il mutamento della Forma di Governo regionale che vede rafforzato il ruolo del Presidente della Regione eletto direttamente dal popolo, è indispensabile che l’Assemblea legislativa si rafforzi a sua volta e disponga di propri apparati strumentali per verificare e controllare – in autonomia dal Governo regionale – la dinamica dei conti pubblici regionali. Ma qual è l’attuale dotazione organica di questa struttura burocratica dell’ARS, pur esistente sulla carta? Di quali specifiche professionalità dispone?

Sulla base dei numeri attuali siamo al ridicolo, o alla farsa, o alla tragedia, secondo i punti di vista.

Quindi, da un lato si pagano troppo poche persone. Dall’altra non si coprono gli organici che si dovrebbero coprire, non si immettono energie nuove nell’Amministrazione, non si supportano le strutture strategiche. Spendendo meglio gli stessi soldi si potrebbe fare tutto.

 

Palermo, 11 marzo 2006

Livio Ghersi  (*)

 

  

(*) Direttore preposto all’incarico speciale “Controllo parlamentare e testi unici” dell’Assemblea regionale siciliana.


 

Confronto fra i rendiconti degli anni 2003 e 2004.

 


Rendiconto delle entrate e delle spese dell’Assemblea regionale per l’anno finanziario 2003 (Documento n. 126), approvato nella seduta n. 252 del 15 dicembre 2004.

Somme effettivamente spese, risultanti dal rendiconto:

a) Indennità parlamentare e spese varie per i deputati in carica (Capitolo II, articoli 5, 6, 7 e 9) = € 20.245.944,58.

b) Contributi ai Gruppi parlamentari (Capitolo VI, articolo 26) = € 6.566.721,25.

c) Spese per i Gruppi parlamentari (collaborazioni, etc.) (Capitolo VI, articolo 27) = € 5.225.467,68.

d) Assegni vitalizi a deputati cessati dal mandato (Capitolo III, articolo 10) = € 18.513.913,66.

e) Retribuzioni al personale di ruolo (Capitolo IV, articolo 17) = € 30.083.596,79.

f) Pensioni per dipendenti in quiescenza (Capitolo V, articolo 21) = € 28.951.096,05.

g) Totale complessivo somme spese nell’anno finanziario 2003 = € 138.102.869,41.

h) Partite di giro nell’anno finanziario 2003 = € 42.313.085,73.


Rendiconto delle entrate e delle spese dell’Assemblea regionale per l’anno finanziario 2004 (Documento n. 128), approvato nella seduta n. 349 del 17 gennaio 2006.

Somme effettivamente spese, risultanti dal rendiconto:

a) Indennità parlamentare e spese varie per i deputati in carica (Capitolo II, articoli 5, 6, 7 e 9) = € 20.487.076,49.

b) Contributi ai Gruppi parlamentari (Capitolo VI, articolo 25) = € 7.360.910,70.

c) Spese per i Gruppi parlamentari (collaborazioni, etc.) (Capitolo VI, articolo 26) = € 5.004.441,33.

d) Assegni vitalizi a deputati cessati dal mandato (Capitolo III, articolo 10) = € 19.173.003,69.

e) Retribuzioni al personale di ruolo (Capitolo IV, articolo 17) = € 30.794.620,91.

f) Pensioni per dipendenti in quiescenza (Capitolo V, articolo 20) = € 32.137.616,92.

g) Totale complessivo somme spese nell’anno finanziario 2003 = € 141.420.092,30.

h) Partite di giro nell’anno finanziario 2004 = € 37.501.161,44.