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COMUNICATO
STAMPA DELL’ANTITRUST del 26-8-2011 MANOVRA: ANTITRUST, DA DECRETO SPINTA POSITIVA PER LE LIBERALIZZAZIONI MA SERVONO MODIFICHE PER OTTENERE I RISULTATI SPERATI Deroghe alla liberalizzazione dei servizi privati dovranno essere valutate con rigore. Vanno riviste le soglie per le gare nei servizi pubblici. Per le privatizzazioni occorre garantire procedure ad evidenza pubblica. Sulle professioni eliminare il riferimento legale alle tariffe e ridurre la durata del tirocinio. Prevedere esami di Stato contemporanei alla laurea. Il decreto di stabilizzazione finanziaria all’esame del Parlamento va nella giusta direzione dell’apertura dei mercati ma per ottenere i risultati sperati occorre rivedere alcune norme che potrebbero produrre effetti opposti a quelli desiderati. Lo afferma l’Antitrust in una segnalazione inviata al Governo e alle Camere in vista dei lavori parlamentari per la conversione del provvedimento. Secondo l’Autorità il decreto offre un quadro di norme di principio che, se correttamente interpretate nella loro concreta applicazione, potrebbero portare ad una maggiore concorrenza nel sistema economico italiano. Perché questo avvenga è tuttavia necessario modificare alcuni aspetti del decreto. Di seguito una sintesi delle osservazioni dell’Antitrust.
SERVIZI PRIVATI L’abrogazione delle restrizioni all’accesso e all’esercizio delle attività economiche rappresenta un nuovo approccio regolatorio in grado di favorire crescita e sviluppo. La norma va tuttavia riformulata eliminando il riferimento ad autorizzazioni agganciate, direttamente o indirettamente, alla popolazione o ad altri criteri di fabbisogno: il rischio è che si mantengano o addirittura si reintroducano autorizzazioni che rappresentano una limitazione quantitativa ingiustificatamente restrittiva della concorrenza. Analogamente occorre riscrivere il comma che abroga le restrizioni relative ai prezzi minimi per evitare possibili interpretazioni riduttive. L’abrogazione andrebbe inoltre estesa a prezzi e tariffe massime che potranno essere mantenute, dopo una valutazione ad hoc, a tutela dei consumatori. Lo stesso decreto prevede del resto la possibilità di introdurre alcune eccezioni che tuttavia, secondo l’Antitrust, dovranno essere giustificate da ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica, di tutela dell’ambiente e di tutela del consumatore. PROFESSIONI Secondo l’Antitrust costituisce un passo indietro, rispetto alla norma vigente in base alla quale le tariffe professionali non sono obbligatorie, la previsione che rende le tariffe professionali come parametro legale di riferimento per la determinazione del compenso del professionista. Si tratta di una norma contraddittoria e contraria alla liberalizzazione del mercato dei servizi professionali che si vuole conseguire. Anche l’introduzione dei consigli di disciplina, senza la partecipazione di soggetti esterni, perde il suo carattere innovativo perché continua a mancare il requisito della terzietà. Da ridurre infine a due anni il tempo massimo del tirocinio, fissato in tre anni, mentre è positivo che il praticantato possa essere svolto contemporaneamente agli studi universitari. Tale previsione va rafforzata prevedendo la possibilità di lauree da conseguire contemporaneamente all’esame di Stato oggi previsto dalla Costituzione. SERVIZI PUBBLICI LOCALI Il decreto rilancia meritoriamente il processo di liberalizzazione dei servizi pubblici locali, colmando il vuoto normativo lasciato dal referendum ma introduce la soglia dei 900mila euro al di sotto della quale la gara per la scelta del gestore dei servizi non è obbligatoria. In questo modo si configura per alcuni settori di attività economica una sottrazione quasi integrale dai necessari meccanismi di concorrenza per il mercato. In ogni caso, il sistema di esenzioni dall’obbligo di gara così configurato si presta facilmente a comportamenti elusivi da parte delle amministrazioni che non intendono procedere agli affidamenti tramite gara dei servizi pubblici locali: sarebbe sufficiente frazionare gli affidamenti in tante “tranche”, ciascuna di valore inferiore a 900.000 euro, per poterle poi attribuire tutte direttamente a controllate in house. E’ quindi opportuno ribadire la regola della gara obbligatoria salvo particolari situazioni locali che dovranno essere dimostrate dall’ente affidante. Anche il sistema delle proroghe va ridotto a quanto strettamente necessario. In ogni caso il processo di riforma del settore dei servizi pubblici locali va accompagnato da misure di garanzia dell’efficienza e della qualità della gestione del servizio, indipendentemente dalla natura pubblica o privata del gestore. PRIVATIZZAZIONI A fronte dell’accresciuto favore verso le procedure di dismissione contenuto nel decreto, che prevede importanti e positive forme di incentivazione economica agli enti locali, occorre garantire che tali procedure si svolgano nel modo più concorrenziale possibile, privilegiando lo strumento dell’evidenza pubblica.
Roma, 26 agosto 2011 AS864 - DISEGNO DI LEGGE AS N. 2887 DI CONVERSIONE DEL DECRETO LEGGE 13AGOSTO 2011, N. 138, RECANTE “ULTERIORI MISURE URGENTI PER LASTABILIZZAZIONE FINANZIARIA E LO SVILUPPO”Roma, 26 agosto 2011 Presidente del Senato Presidente della Camera Presidente del Consiglio dei Ministri Nell’esercizio dei poteri di cui
all’articolo 22 della legge n. 287/90, l’Autorità Garante
della Concorrenza e del Mercato intende formulare alcune
osservazioni in merito a talune disposizioni contenute nel decretolegge 13 agosto 2011 n. 138 recante “Ulteriori
misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e lo sviluppo” attualmente in corso di
conversione. L’Autorità ritiene in primo luogo
di dover esprimere apprezzamento e condivisione per l’introduzione, in una norma diretta a promulgare nuove e
necessarie disposizioni di stabilizzazione finanziaria ed economica, di previsioni finalizzate a
introdurre incentivi allo sviluppo e alla crescita economica, quali elementi imprescindibili per contrastare la fase
di crisi e garantire una rapida ripresa dell’economia italiana. Viene in particolare opportunamente riconosciuto
che la libertà di impresa e di iniziativa economica deve essere assicurata al massimo grado, con
possibilità di limitazione solamente quando strettamente necessario per contrastanti esigenze di carattere
imperativo. L’Autorità, ritenendo
particolarmente meritevole la decisione di emanare alcune specifiche
disposizioni in materia di riassetto regolatorio
del settore dei servizi, pubblici e privati, finalizzate al rilancio del
Paese mediante la definizione di importanti elementi
di riforma proconcorrenziale del funzionamento dei
relativi mercati, intende quindi sottoporre
all’attenzione del legislatore le seguenti osservazioni, finalizzate a
fornire emendamenti migliorativi delle disposizioni in
corso di conversione. La libertà di iniziativa economica
nell’ambito dei servizi privati Con riguardo al settore dei servizi privati,
quale ambito di attività economica che l’Autorità ha
spesso valutato in passato come afflitto da diffuse,
indebite restrizioni regolamentari e talvolta da ingiustificate protezioni corporative, le nuove disposizioni
appaiono andare nella giusta direzione di eliminazione di vincoli all’iniziativa privata, di
apertura dei mercati e di creazione di nuove opportunità di accesso all’attività, e quindi di crescita
e sviluppo. Specifica rilevanza, in tal senso, appaiono
assumere le disposizioni di cui all’art. 3 del decreto, che proseguono il percorso di liberalizzazione
dell’accesso e dell’esercizio delle attività economiche di
servizio che ha registrato da ultimo un’importante
tappa nella promulgazione del decreto legislativo n. 59/2010 di attuazione nazionale della Direttiva n.
123/2006/CE (Direttiva Servizi), con il quale il legislatore italiano ha inteso conformare il quadro normativo interno ai
principi comunitari in materia di libera circolazione e prestazione dei servizi. Se, in particolare, l’opera legislativa
compiuta con il predetto intervento era valsa a operare un necessario alleggerimento degli oneri amministrativi
gravanti sui soggetti che intendono avviare un’attività di
servizio, è solo con le disposizioni del presente
decreto, e segnatamente con l’abrogazione delle restrizioni all’accesso e all’esercizio delle
attività economiche individuate espressamente dall’art. 3, che
si può considerare istituito un nuovo approccio regolatorio effettivamente improntato alla libertà
di iniziativa economica, in cui, conformemente ai principi
comunitari in materia, gli eventuali vincoli regolatori rispondano rigorosamente ai requisiti della
necessità in termini di tutela dell’interesse generale, di indispensabilità e di minima distorsione
possibile. 2 Il decreto in commento definisce quindi
certamente un quadro di norme di principio che, laddove correttamente interpretate nella loro concreta
declinazione, potrebbero portare ad una effettiva modernizzazione e a maggiore concorrenza
nell’offerta di moltissimi servizi privati in Italia; si pensi alla effettiva abrogazione delle norme restrittive
dell’accesso in alcuni mercati caratterizzati da tetti numerici allo svolgimento dell’attività,
casi in cui tali limitazioni, definite in via amministrativa , in ragione dell’assenza di una giustificazione in
termini di motivi imperativi di interesse generale, dovrebbero certamente venir meno con l’attuazione
della nuova disciplina. Analogamente, la caduta dei presupposti
necessari per l’applicazione di regolamentazioni restrittive della libertà di esercizio di numerose
attività economiche potrebbe determinare l’effettiva
liberalizzazione degli orari di vendita, l’incremento della
possibilità di vendita di diversi prodotti nello stesso esercizio. Per ottenere gli effetti concreti di
liberalizzazione qui prospettati, tuttavia, è necessario che la norma
in commento non presenti profili di
ambiguità che possano consentire una sua interpretazione riduttiva
rispetto agli obiettivi dichiarati. In tal senso, l’Autorità sottolinea
la necessità di eliminare talune ambiguità formali nel dettato
normativo, in base alle quali, ad esempio, potrebbe
determinarsi la mancata abrogazione (se non anche la nuova introduzione) di regolazioni all’accesso
in cui il numero delle autorizzazioni venga determinato, direttamente o indirettamente, sulla base della
popolazione o di altri criteri di fabbisogno, caso espressamente contemplato dal disposto di cui
all’art. 3, comma 9, lettera a). A tale riguardo, l’Autorità ricorda
che una restrizione quantitativa quale quella richiamata potrebbe, in assenza di motivi imperativi di interesse
generale, costituire un vincolo ingiustificatamente restrittivo della libertà di concorrenza, non conforme ai
principi comunitari e nazionali di liberalizzazione. Eventuali eccezioni all’abolizione
generalizzata di tali restrizioni potranno comunque giustificarsi sulla base dei criteri e con le procedure di cui al comma
11 dello stesso art. 3, da interpretarsi sulla base di quanto detto più avanti. Analogamente, con riguardo alla disposizione di
cui all’art. 3, comma 9, lettera h), che abroga le restrizioni relative “all’imposizione di
prezzi minimi o commissioni per la fornitura di beni o servizi indipendentemente dalla determinazione, diretta
o indiretta, mediante l’applicazione di un coefficiente di profitto o di altro calcolo su base percentuale”, l’Autorità sottolinea in
primo luogo la necessità di riformulare il suddetto comma al fine di evitare
che il dettato normativo possa essere erroneamente inteso come abrogativo unicamente
dell’imposizione di prezzi minimi o commissioni la cui determinazione, diretta o indiretta, non sia stabilita mediante
l’applicazione di un coefficiente di profitto o di altro calcolo su base percentuale. In linea più generale,
l’Autorità ricorda come la citata direttiva comunitaria
123/2006/CE, all’art. 15, comma 2, lettera g), individua fra i
requisiti di cui gli Stati hanno l’obbligo di valutare
l’eventuale ammissibilità in termini di
necessità, non discriminazione e proporzionalità “le
tariffe obbligatorie minime e/o massime che il prestatore deve rispettare”. In considerazione della riconosciuta
capacità di un sistema di tariffe massime di costituire un benchmark per fissazioni collusive dei prezzi sui mercati
di riferimento, l’Autorità segnala quindi la possibilità,
in quanto compatibile con il dettato comunitario, e
l’opportunità, per i possibili effetti anticompetitivi del mantenimento di una regolazione di tariffe
massime, di indicare fra le restrizioni oggetto di abrogazione anche quelle che impongono prezzi massimi, e
ciò in quanto in un contesto realmente concorrenziale, quale quello che si intende promuovere, sarà il
meccanismo competitivo di mercato e generare endogenamente
un effetto di calmiere alla eventuale definizione
di condizioni economiche non eque nell’offerta dei servizi. Nuovamente, il mantenimento di regimi di prezzi
massimi potrà essere attuato sulla base del comma 11, per i motivi più sotto richiamati; in ogni
caso, l’Autorità riconosce comunque l’importanza delle
esigenze di tutela dei consumatori dall’imposizione di
prezzi eccessivi o gravosi. In linea più generale,
l’Autorità ritiene opportuno ribadire che un eventuale processo
di valutazione della possibilità di esclusione dalle
abrogazioni previste per alcune attività economiche, quale quello del comma 11 dell’art. 3 del decreto, non
potrà che seguire l’indirizzo individuato dal diritto
comunitario, in base al quale, nel rispetto dei criteri di non
discriminazione e proporzionalità, la necessità della
restrizione 3 deve discendere da motivi imperativi di
interesse generale, tassativamente e unicamente da ricomprendersi in ragioni di ordine pubblico, di pubblica
sicurezza, di sanità pubblica e di tutela dell’ambiente. Con riguardo alle disposizioni di cui
all’art. 5 del decreto, relative specificamente alle norme applicabili
alle professioni liberali, esse appaiono
senz’altro apprezzabili laddove prevedono una riforma degli ordini professionali in senso pro-competitivo,
affinché questi garantiscano che l'esercizio dell'attività
risponda senza eccezioni ai principi di libera
concorrenza, al fine di assicurare l'effettiva possibilità di scelta
degli utenti nell'ambito della più ampia
informazione relativamente ai servizi offerti. Ci si riferisce in particolare alle disposizioni
che affermano la libertà di accesso alla professione, la cui eventuale limitazione numerica è
consentita unicamente laddove essa risponda a ragioni di interesse pubblico; al riconoscimento in favore del
tirocinante di un equo compenso di natura indennitaria, commisurato al suo concreto apporto
all’attività professionale; alla possibilità di svolgere
il tirocinio professionale in concomitanza al corso di studio
per il conseguimento della laurea di primo livello o della laurea magistrale o specialistica, nonché
alla previsione di un termine di durata massima del tirocinio, al fine di accelerare l'accesso al mondo del
lavoro; alla previsione secondo cui la comunicazione pubblicitaria dei professionisti deve poter essere effettuata
con ogni mezzo e riguardare, tra l’altro, anche i compensi delle prestazioni. Le disposizioni del decreto in materia di
tariffe professionali presentano tuttavia alcune criticità concorrenziali e costituiscono un passo indietro
rispetto alla disciplina dettata dal decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, che aveva abrogato
l’obbligatorietà delle tariffe fisse o minime. La nuova
disciplina individua le tariffe professionali come parametro legale
di riferimento per la determinazione del compenso (che deve essere pattuito per iscritto all’atto del
conferimento dell’incarico professionale), pur chiarendo che è ammessa la pattuizione
dei compensi anche in deroga alle tariffe. La disciplina, così riassunta, pur
potendosi trovare una giustificazione per la tariffa massima nella tutela del consumatore, risulta tuttavia idonea a disincentivare
fortemente la determinazione di compensi per l’attività professionale svincolati dalle tariffe e non
sembra né necessaria, né proporzionata, ma piuttosto contraddittoria e contraria all’obiettivo
che intende perseguire, vale a dire la liberalizzazione del mercato dei servizi professionali. Si ricorda infatti
che, secondo consolidati principi antitrust, i tariffari, anche non obbligatori, possono determinare effetti
negativi per la concorrenza alla stessa stregua dei prezzi obbligatori. Ciò in quanto la mera
esistenza di prezzi cui far riferimento si presta, da un lato, a facilitare
il coordinamento dei prezzi tra i prestatori dei
servizi e, dall’altro, ad informare non compiutamente i consumatori in merito alla misura dei livelli
ragionevoli dei prezzi. Le tariffe professionali, laddove assumano la qualifica di parametro di
riferimento, costituiscono dunque una grave restrizione della concorrenza nel settore dei servizi
professionali in quanto incentivano gli iscritti agli albi a non adottare comportamenti economici indipendenti e ad
utilizzare il più importante strumento concorrenziale, ossia il prezzo della prestazione. La durata massima del tirocinio, fissata in tre
anni, appare eccessiva, anche alla luce della prassi instaurata da alcuni Ordini, che hanno previsto periodi di
apprendistato di due anni. Una effettiva accelerazione della possibilità per i giovani di accedere al
mondo della professione dovrebbe in ogni caso andare più in profondità, coinvolgendo una riforma del
sistema degli studi: la possibilità per gli aspiranti professionisti
di svolgere l’intero tirocinio durante gli
anni universitari, e addirittura di conseguire lauree che, in combinazione con l’esame di Stato oggi
previsto dall’art. 33, comma 5, della Costituzione, abilitino all’esercizio della professione,
costituirebbe un cambiamento sicuramente più efficace in vista
dell’obiettivo perseguito. Quanto alla previsione dell'obbligo per il
professionista di seguire percorsi di formazione continua permanente, essa è indubbiamente da
apprezzare. Tuttavia, si evidenzia l’opportunità che
l’attribuzione agli Ordini della predisposizione dei percorsi di
aggiornamento, formazione e specializzazione dei professionisti non si traduca nella possibilità per essi
di riservare a se stessi la gestione degli eventi formativi ovvero nell’attribuzione di vantaggi
concorrenziali rispetto ad altri organizzatori di eventi formativi. Con riguardo infine all’istituzione dei
consigli di disciplina, le cui funzioni dovranno essere tenute distinte da quelle di natura tipicamente amministrativa
degli Ordini, si sottolinea che, secondo quanto emerge dal 4 decreto, in assenza di indicazione contraria,
tali organi dovrebbero essere composti esclusivamente da professionisti appartenenti all’ordine. Tale circostanza sembra depotenziare di molto il
carattere innovativo del nuovo organo disciplinare, che continuerebbe a difettare dei requisiti di
necessaria terzietà. Per tale ragione,
appare opportuno integrare la composizione dei consigli di disciplina, come
avviene in altri Paesi, mediante la partecipazione di soggetti esterni. Liberalizzazioni, privatizzazioni ed efficienza
nella gestione dei servizi pubblici locali Analizzando le disposizioni in materia di
servizi pubblici, e in particolare dei servizi pubblici locali, l’art.
4 del decreto si pone l’obiettivo di colmare
il vuoto normativo lasciato dall’abrogazione dell’art. 23-bis del decreto legge n. 112/2008, in modo da adeguare
la disciplina dei servizi pubblici locali al quadro giuridico europeo. Per far ciò, esso ripropone nei
fini l’impianto preesistente la consultazione popolare dello scorso giugno, escludendone
l’applicabilità al settore idrico, per tenere conto
dell’esito del referendum. In tal modo, l’articolo in esame rilancia
meritoriamente il processo di liberalizzazione dei servizi pubblici locali, avviato sulla base del precedente
impianto regolatorio. L’apertura del settore
è quanto mai essenziale, sia per agevolare il processo di crescita del
sistema economico, attraverso lo stimolo agli investimenti e all’iniziativa imprenditoriale in tali
attività, sia per ridurre il fabbisogno pubblico da destinare ad esse,
sotto forma di partecipazione diretta alla gestione o
di finanziamento per il ripiano di oneri di servizio pubblico. Tuttavia, l’impianto normativo ora
proposto si differenzia da quello precedente per un aspetto di rilievo, riguardante la scelta tra procedura a evidenza
pubblica o affidamento diretto del servizio. Nel precedente regime, la gara era lo strumento privilegiato,
derogabile in presenza di “situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche,
sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile
ricorso al mercato”,
in cui l’affidamento in house era consentito previa richiesta di parere
all’Autorità. Ora viene stabilità una soglia (valore
dell’affidamento pari a 900.000 euro annui) al di sopra della quale la
gara è obbligatoria, mentre al di sotto la gara è possibile, ma non necessaria (comma 13 dell’art. 4). L’eccezionalità della situazione
che non consente il ricorso al mercato viene dunque approssimata da un ben preciso valore economico del servizio, che
però non può sostituirsi in maniera efficace a tutte le
realtà in cui la gara non è esperibile, realtà
che presentano necessariamente caratteristiche molto differenziate sotto i vari aspetti che la formulazione del precedente
art. 23-bis aveva colto. In ogni caso, nell’assenza di precise
indicazioni sui criteri di scelta adottati per la definizione della soglia, l’Autorità osserva che questa
appare oggettivamente elevata, tale da poter determinare, per alcuni settori
di attività economica, una sottrazione quasi
integrale dai necessari meccanismi di concorrenza per il mercato. In ogni caso, il sistema di esenzioni
dall’obbligo di gara così configurato si presta facilmente a comportamenti elusivi da parte delle
amministrazioni che non intendono procedere agli affidamenti tramite gara dei servizi pubblici locali: sarebbe
sufficiente frazionare gli affidamenti in tante “tranche”,
ciascuna di valore inferiore a 900.000 euro annui, per
poterle poi attribuire tutte direttamente a controllate in house. Il sistema ora introdotto appare dunque meno
efficace di quello in vigore in precedenza, né sembra possa essere migliorato con modifiche al ribasso della
soglia, data l’arbitrarietà con cui qualsiasi valore verrebbe eventualmente determinato.
L’Autorità ritiene, a tale proposito, opportuna la regola della
gara obbligatoria salvo particolari situazioni locali di cui
dimostrare l’esistenza da parte dell’ente affidante. Il principio dell’obbligo di gara per
l’affidamento in esclusiva dei servizi pubblici locali, oltre a
rispondere ai principi concorrenziali, appare fondamentale
per garantire la scelta dell’operatore migliore in termini di qualità efficienza e condizione
economiche dei servizi offerti. A tale riguardo, l’Autorità
sottolinea l’opportunità di accompagnare il
processo di riforma del settore dei servizi pubblici locali con misure di garanzia dell’efficienza e della
qualità della gestione del servizio, e ciò indipendentemente
dalla natura pubblica o privata del gestore. Sulla scorta di analoghe esperienze estere,
potrebbe ad esempio prevedersi un obbligo di pubblicazione, direttamente da parte del gestore o anche a cura
dell’ente locale affidatario, di alcune misure di performance (livello qualitativo, prezzo medio per utente,
livello degli investimenti effettuati) della gestione del servizio, le quali, pur tenendo conto delle diverse condizioni
di fornitura in termini di aree, popolazione e 5 caratteristiche del territorio servito,
potrebbero consentire di effettuare delle prime valutazioni di benchmarking delle diverse gestioni. I risultati di questa attività
potrebbero poi essere utilizzati a fini normativi, ad esempio stabilendo
l’automatica cessazione anticipata dell’affidamento avvenuto in
via diretta (e la successiva messa a gara del medesimo), se
il gestore non è in grado di realizzare performance paragonabili ai migliori standard disponibili
per servizi analoghi. L’Autorità ritiene che il decreto
potrebbe essere modificato in tal senso, lasciando a una successiva fase regolamentare la definizione degli aspetti di
dettaglio (definizione dei benchmark, modalità di pubblicazione dei risultati di gestione da parte
di tutti gli affidatari, periodicità dei confronti, ecc.) Per ciò che concerne le previsioni di cui
al comma 11 dell’articolo 4, che commisurano la durata massima degli affidamenti al periodo di ammortamento
degli investimenti previsti a carico del gestore, l’Autorità ritiene opportuno segnalare i possibili effetti
anticoncorrenziali derivanti da un eccessivo prolungamento della stessa gestione in capo a un unico
soggetto, anche alla luce del meccanismo di subentro di cui ai successivi commi 29 e 30, che garantiscono
comunque il recupero degli investimenti effettuati. Con riguardo poi alle previsioni in materia di
regime transitorio per gli affidamenti diretti oggi in vigore, l’Autorità osserva quanto segue. Il
comma 32 dell’art. 4 prevede che gli affidamenti diretti, relativi a
servizi il cui valore economico superi i 900.000 euro
annui, cessano improrogabilmente al 31 marzo 2012; per i servizi di valore inferiore a 900.000 annui vale
dunque la scadenza originaria dell’affidamento. Per le stesse motivazioni esposte in precedenza, appare del
tutto inconferente un valore predeterminato del
servizio quale criterio per giustificare la prosecuzione degli
affidamenti, effettuati in house, sino alla loro scadenza naturale. Inoltre, la norma, per come formulata,
stabilisce l’esenzione dalla scadenza anticipata per tutti gli affidamenti diretti, non solamente per quelli in
house, ampliando ulteriormente, rispetto a quanto previsto dal comma 13 per i nuovi affidamenti, la platea
dei soggetti che possono continuare a gestire Spl
senza aver vinto alcuna gara. Allo stesso fine di evitare la permanenza di
gestioni da parte di soggetti che non sono stati scelti ad esito di una procedura competitiva,
l’Autorità osserva che i casi di cui alla lettera d), del
comma 32, non possono ricomprendere anche affidamenti oggi in essere
in base a rinnovi o proroghe tacite, già definiti dal giudice amministrativo quali gestioni di fatto, in
quanto esercitati sulla base di un titolo illegittimo. Inoltre, la previsione del comma 33
dell’art. 4, che consente agli affidatari diretti di partecipare a gare ulteriori, solamente in occasione della prima
gara successiva alla cessazione del servizio, svolta mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica,
avente ad oggetto i servizi da essi forniti, appare porre condizioni eccessivamente restrittive. La ratio della norma è condivisibile:
evitare le distorsioni derivanti dalla partecipazione di soggetti avvantaggiati
dal beneficiare di un affidamento diretto, e disincentivare il ricorso ad affidamenti diretti, ostacolando la
partecipazione alle gare per i soggetti titolari di tali affidamenti. Tuttavia, l’esperienza
maturata in alcuni settori, quale il trasporto pubblico locale, indica come la restrizione qui in esame rischi di rendere
impraticabile l’intero meccanismo di gara, finendo per limitare drasticamente il numero degli operatori
ammissibili alle procedure di gara, e favorendo l’aggiudicazione al precedente affidatario, spesso l’unico
partecipante alla gara. Si propone dunque di attenuare le condizioni che consentono agli affidatari diretti di
partecipare ad altre gare, consentendo loro di farlo nel caso in cui (i) i soggetti in questione siano nella fase finale
(inferiore ai due anni) del proprio affidamento e (ii)
sia già stata bandita la gara per il riaffidamento
del servizio o, almeno, sia stata adottata la decisione di procedere al nuovo affidamento attraverso procedure ad
evidenza pubblica, per il servizio erogato dall’affidatario diretto. L’Autorità, infine, vede con favore
le importanti forme di incentivazione economica per le privatizzazioni delle società a partecipazione pubblica,
ma ritiene sia pressante l’esigenza di garantire che tali procedure si svolgano nel modo più concorrenziale
possibile, privilegiando lo strumento dell’evidenza pubblica. L’Autorità auspica che le
precedenti osservazioni siano di ausilio per i lavori parlamentari di
conversione in legge del decreto. IL PRESIDENTE Antonio Catricalà |
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