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inserito il 29-11-2007 |
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Non è corretta la pratica del recupero crediti frazionato (in genere per rientrare negli ambiti di intervento del giudice di pace). Da Altalex.it Recupero credito –
parcellizzazione – illegittimità – buona fede e correttezza E’ contraria alla regola generale di correttezza
e buona fede, in relazione al dovere inderogabile di solidarietà di
cui all'art. 2 Costituzione,
e si risolve in abuso del processo (ostativo all'esame della domanda), il
frazionamento giudiziale (contestuale o sequenziale) di un credito unitario;
se il credito è unitario non può essere parcellizzato. (Fonte: Altalex
Massimario 23/2007. Cfr. nota su Altalex Mese) SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Sentenza 15 novembre 2007, n. 23726 Fatto e diritto 1. Con quattro
distinti ricorsi (R.G. nn. da Con i due
motivi, di cui si compone ciascuno dei quattro riferiti ricorsi la X.,
rispettivamente, denuncia ora violazioni di legge (artt. 1175, 1374, 1181 ce;
633 c.p.c.) e vizi di motivazione, sostenendo che il G.di p. abbia, in primo
luogo, errato, in linea di principio, con il ritenere contraria a correttezza
e buona fede la parcellizzazione in plurime e distinte domande di un unico
credito pecuniario; ed abbia altresì, in fatto, poi del pari errato
nel non rilevare che, nella specie, non si trattava comunque di un unico
credito ma di crediti distinti e diversi per ciascuna fattura posta a base
delle istanze monitorie. Resiste in tutti
i giudizi, la Y., in ciascuno preliminarmente eccependo
l'inammissibilità del ricorso avversario, sul rilievo che, alla
domanda azionata in sede monitoria dalla X. s.r.l., si sarebbe aggiunta
quella risarcitoria da essa proposta, con superamento, quindi, del limite di
valore delle controversie entro il quale soltanto sarebbe possibile ricorrere
direttamente per cassazione. Con ordinanza
interlocutoria 21 maggio 2007 della Sezione IIIA, i quattro giudizi, previa
loro riunione, sono stati rimessi al Primo Presidente che li ha quindi
assegnati a queste Sezioni unite, per risolvere la questione di massima -
sottesa al primo motivo dei ricorsi, e ritenuta comunque di particolare
importanza - "se sia consentito al creditore chiedere giudizialmente
l'adempimento frazionato di una prestazione originariamente unica, perché
fondata sullo stesso supporto". 2. Per la sua
natura pregiudiziale, va, però, esaminata preliminarmente la formulata
eccezione di inammissibilità dei ricorsi. La quale non
è però fondata. E ciò per
l'assorbente considerazione che l'istanza risarcitoria, formulata dalla Y.
nei giudizi a qui bus in ragione della dedotta "malafede
processuale" ravvisata nel frazionamento del credito operato, da
controparte, non è altrimenti configurabile che come domanda di
condanna dell'avversario per lite temeraria ai sensi dell'art.96 c.p.c, per
cui attiene, propriamente ed esclusivamente, al profilo del regolamento
delle spese processuali e non incide, quindi, sul valore della controversia
che resta perciò contenuto . in ciascuno dei su riferiti giudizi, nel
lìmite di valore entro il quale il G.d. p. decide (ex art. 113 c.p.c.)
secondo equità, con conseguente diretta ricorribilità, appunto,
delle correlative decisioni, direttamente in Cassazione. 3. Può
quindi passarsi all'esame della questione di massima devoluta a queste
Sezioni unite. La quale, qui,
per altro, rileva unicamente con riguardo alla pronuncia del G.di p. sulle spese
- per il profilo della loro mancata attribuzione alla X., per sua parziale
soccombenza - e non anche du.a statuizione di accoglimento, e di presupposta
ammissibilità dell'esame, delle domande di pagamento frazionato del
credito, in ordine alla quale non è stata proposta impugnazione
incidentale da parte dell'odierna resistente. 4. Con la
sentenza n. 108 del 5. Nel
rimeditare questa soluzione - come sollecitato con la su riferita ordinanza
di rimessione - il Collegio ritiene ora però di non poterla mantenere
ferma, in un quadro normativo nel frattempo evolutosi nella duplice
direzione, sia di una sempre più accentuata e pervasiva valorizzazione
della regola di correttezza e buona fede - siccome specificativa (nel
contesto del rapporto obbligatorio) degli "inderogabili doveri di
solidarietà", il cui adempimento è richiesto dall'art. 2
della Costituzione - sia in relazione al canone del "giusto
processo", di cui al novellato art. Ili della Costituzione. In relazione
al quale si impone una lettura "adeguata" della normativa di
riferimento (in particolare dell'art. 88 c.p.c), nel senso del suo
allineamento al duplice obiettivo della "ragionevolezza della
durata" del procedimento e della "giustezza" del
"processo", inteso come risultato finale (della risposta
cioè alla domanda della parte), che "giusto" non potrebbe
essere ove frutto di abuso, appunto, del processo, per esercizio dell'azione
in forme eccedenti, o devianti, rispetto alla tutela dell'interesse sostanziale,
che segna il limite, oltreché la ragione dell'attribuzione, al suo titolare,
della potestas agendi. 5/1. Per il
primo profilo, viene in rilievo l'ormai acquisita consapevolezza della
intervenuta costituzionalizzazione del canone generale di buona fede oggettiva
e correttezza, in ragione del suo porsi in sinergia con il dovere
inderogabile di solidarietà di cui all'art. 2 della Costituzione, che
a quella clausola generale attribuisce all'un tempo forza normativa e
ricchezza di contenuti, inglobanti anche obblighi di protezione della persona
e delle cose della controparte, funzionalizzando così il rapporto
obbligatorio alla tutela anche dell'interesse del partner negoziale (cfr.,
sull'emersione di questa linea di indirizzo, Cass. sez. IA n. 3775/94; Id. n.
10511/99; Sez.. un. 18128/2005). Se, infatti, si
è pervenuti, in questa prospettiva, ad affermare che il criterio della
buona fede costituisce strumento, per il giudice, atto a controllare, anche
in senso modificativo o integrativo, lo statuto negoziale, in funzione di
garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi (cfr., in particolare,
nn. 3775/94 e 10511/99 citt.), a maggior ragione deve ora riconoscersi che un
siffatto originario equilibrio del rapporto obbligatorio, in coerenza a quel
principio, debba essere mantenuto fermo in ogni successiva fase, anche
giudiziale, dello stesso (cfr. Sez. IIIA n. 13345/06) e non possa quindi essere
alterato, ad iniziativa del creditore, in danno del debitore. Il che,
però, è quanto, appunto, accadrebbe in caso di consentita
parcellizzazione giudiziale dell'adempimento del credito. Della quale non
può escludersi la incidenza, in senso pregiudizievole, o comunque
peggiorativo, sulla posizione del debitore: sia per il profilo del
prolungamento del vincolo coattivo cui egli dovrebbe sottostare per
liberarsi della obbligazione nella sua interezza, ove il credito sia nei suoi
confronti azionato inizialmente solo prò quota con riserva di azione
per il residuo [come propriamente nel caso esaminato dalla citata Sez. un. n.
108/00 cit., in cui la richiesta di pagamento per frazione era finalizzata ad
adire un giudice inferiore rispetto a quello che sarebbe stato competente a
conoscere dell'intero credito], sia per il profilo dell'aggravio di spese e
dell'onere di molteplici opposizioni (per evitare la formazione di un
giudicato pregiudizievole) cui il debitore dovrebbe sottostare, a fronte
della moltiplicazione di (contestuali) iniziative giudiziarie, come nel caso
dei processi a quibus. Non rilevando
in contrario che il frazionamento del credito, come in precedenza affermato,
possa rispondere ad un interesse non necessariamente emulativo del creditore
(come quello appunto di adire un giudice inferiore, più celere nella
soluzione delle controversie, confidando nell'adempimento spontaneo da parte
del debitore del residuo debito), poiché - a parte la pertinenza di tale
considerazione alla sola ipotesi (di cui alla sentenza 108/00) del
frazionamento non contestuale - è decisivo il rilievo che resterebbe
comunque lesiva del principio di buona fede, nel senso sopra precisato, la
scissione del contenuto della obbligazione operata dal creditore, per esclusiva
propria utilità con unilaterale modificazione aggravativa della
posizione del suo debitore. Ad evitare la quale neppure è persuasiva,
infine, la considerazione che "il debitore potrebbe ricorrere alla messa
in mora del creditore, offrendo l'intera somma", non essendo tale
soluzione praticabile ove, come possibile, il debitore non ritenga di essere
tale. 5/2. Oltre a
violare, per quanto sin qui detto, il generale dovere di correttezza e buona
fede, la disarticolazione, da parte del creditore, dell'unità sostanziale
del rapporto (sia pur nella fase patologica della coazione all'adempimento),
in quanto attuata nel processo e tramite il processo, si risolve
automaticamente anche in abuso dello stesso. Risultando
già per ciò solo la parcellizzazione giudiziale del credito non
in linea con il precetto inderogabile (cui l'interpretazione della normativa
processuale deve viceversa uniformarsi) del processo giusto. Ulteriore
vulnus al quale deriverebbe, all'evidenza, dalla formazione di giudicati (praticamente)
contraddittori cui potrebbe dar luogo la pluralità di iniziative
giudiziarie collegate allo stesso rapporto. Mentre l'effetto
inflattivo riconducebile ad una siffatta (ove consentita) moltiplicazione di
giudizi ne evoca ancora altro aspetto di non adeguatezza rispetto
all'obiettivo, costituzionalizzato nello stesso art. 113, della
"ragionevole durata del processo", per l'evidente antinomia che
esiste tra la moltiplicazione dei processi e la possibilità di
contenimento della correlativa durata. 5/3. L'esaminato
primo motivo del ricorso va quindi respinto, enunciandosi, in ordine alla
questione di massima ad esso sotteso, il principio (con il quale risulta in
linea la sentenza impugnata) per cui è contraria alla regola
generale di correttezza e buona fede, in relazione al dovere inderogabile di
solidarietà di cui all'art. 2 Costituzione, e si risolve in abuso del
processo (ostativo all'esame della domanda), il frazionamento giudiziale
(contestuale o sequenziale) di un credito unitario. 7. Il ricorso va
integralmente pertanto respinto. P.Q.M. La Corte respinge il ricorso e compensa le spese. |